
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Un simile concetto può essere giustificato solo nella necessità di dover scegliere tra due mali quello minore, ma nella decisione di mangiare o no carne dov’è il male minore? Quello della rinuncia ad un piacere? E come può essere giustificata un’ingiustizia con un piacere?
La natura non ti costringe ad essere ingiusto, a reprimere il sentimento di compassione e di pietà verso la vittima, se non in casi di estrema necessità di sopravvivenza, diversamente è solo una patetica, ipocrita scappatoia per giustificare la tua volontà a non rinunciare a ciò che ti piace. Dici che ti dispiace della sorte dell’animale, che sei convinto che uccidere sia un fatto ripugnante, che è un’azione riprovevole, però accetti che si compia questa ingiustizia, mentre certamente non avresti il coraggio di farlo con le tue mani. Sei consapevole che l’animale soffre ma anteponi il tuo piacere alla vita e al dolore dell’animale.
Tutto ciò che succede all’interno dell’universo resta nel Tutto e nulla si disperde. Così recita la legge della conservazione degli elementi enunciata da Lavoiser nel 1789. Ma c’è un’altra legge, quella della meccanica che recita “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria” e dimostra che tutto è conseguenza, tutto si paga perché come si semina così si raccoglie. E non bastano le nostre giustificazioni a scagionarci e ad evitare la karmica onda di ritorno.
Non vi è essere vivente che non sia soggetto alla legge del dolore, dall’insetto alla balena. Tutto ciò che esiste è soggetto al dolore, dal filo d’erba alla sequoia, anche se i nostri sensi non sono così sviluppati da percepire il loro dolore. L’angoscia dell’animale durante la prigionia e l’angoscia della sua uccisione resta nelle sue carni martoriate ed entrano a portare disordine energetico, spirituale e fisico in colui che se ne nutre.
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“Uccidere gli animali per nutrirsi del loro sangue e delle loro carni è una delle più deplorevoli e vergognose infermità della condizione umana. Questo nutrimento contiene in se i principi irritanti e putridi che agitano il sangue e abbreviano la vita dell’uomo. Verrà il tempo in cui gli uomini aborriranno il consumo di carne come ora noi aborriamo il cannibalismo”. (Alphonse Lamartine, poeta francese, 1790-1869)
“Quanto più presto ed estesamente noi introdurremo nelle scuole un’educazione più umanitaria e favoriremo lo spirito di giustizia e bontà verso tutte le creature inferiori, tanto più presto ed estesamente raggiungeremo le radici della crudeltà e del crimine”. (Miriam Ferguson, governatore del Texas)
“La vita vegetale invece del cibo animale è la chiave della rigenerazione. Gesù, nell’ultima Cena, usò pane al posto della carne e vino al posto del sangue”. (Richard Wagner 1813-1883 musicista tedesco)
“Oh mangiatore di carne, tu non sei un essere umano. Non accompagnatevi con un mangiatore di carne, perché anche la sua sola compagnia è dannosa per la devozione al Signore. Credimi, amico, coloro che mangiano carne e pesce e bevono bevande inebrianti, saranno tutti estirpati come le erbacce sono estirpate da un fertile campo e gettati dentro un’oscura valle di morte. Tutta la carne è una che sia di uccello, di cervo o di vacca e coloro che la mangiano andranno direttamente all’inferno con gli occhi aperti”. (Kabir, poeta Sufi)
“L’uomo è l’essere più simile agli dei per questo deve nutrirsi nel modo più simile a loro”. (Musonio Rufo)
“Se mostri amore ad un essere umano egli ti ripaga rendendotene grazie e ricambiando il tuo amore, ma se risparmi un insetto, un pesce o un uccello, oppure una pianta o un cespuglio e anzi mostri loro amore, è a Dio che lo offri. E quando Gli starai di fronte Egli magari ti chiederà: Perché hai calpestato quel verme? Perché hai strappato o gettato quei fiori? Perché hai spezzato quel ramo? Tutto questo lo hai fatto a Me”. (Hermann Hesse)
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
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veduta aerea del Prosecco |
Il comitato dell’Unesco ci ripensa. Dopo lo “strombazzato trionfalistico” comunicato dei giorni scorsi diramato dai responsabili alla comunicazione del Consorzio Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene che recitava così ” Prosecco patrimonio dell’Umanità”, ecco arrivare una nota “nuda e cruda” a spengere tutti i comunicati a zonzo sul web. “Le alte potenzialità del sito candidato, che ha elementi di unicità, devono essere meglio precisate. Invitiamo l’Italia, la Regione Veneto e il Consorzio, coinvolti a presentare il dossier, di riproporlo il prossimo anno con le correzioni richieste per l’iscrizione”. Come dire:” vietato barare con i numeri”. La solita figuraccia all’italiana. Il sottosegretario agli Affari Esteri, Guglielmo Picchi, minimizza dicendo “Oggi si è vinto” solo perché la decisione è stata presa a maggioranza. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, difendendo l’indifendibile, ha dichiarato che comunque è stata richiesta solo una integrazione. Come dire il dossier è stato presentato in maniera corretta. Nel frattempo, in Regione, le previsioni meteo segnano “burrasca”.
Frammento n. 1
Nasce il nuovo Consorzio Roma Doc.
24 produttori della Doc Roma, istituita nel 2011, hanno dato vita al Consorzio Roma Doc, eleggendo Tullio Galassini alla Presidenza. “La denominazione della Città Eterna ha finalmente raggiunto un riconoscimento storico”. Questa la prima dichiarazione, come dire, abbiamo stravinto sulla burocrazia. “ Al momento l’87% della filiera risulta iscritto al Consorzio nella speranza che il rimanente 13% capisca presto l’importanza dello stare uniti e proporci al mondo esterno con le nostre innate capacità produttive supportate dalla Storia con la S maiuscola”.Il discorso d’insediamento è stato breve e diretto. “Puntiamo subito all’Erga Omnes”. Locuzione latina che significa “davanti a tutti”. Nel mondo del vino prende questo significato:” Un'opportunità di fare sistema che nasce dal basso e può rispondere efficacemente alle esigenze delle aziende, chiamate a concorrere per garantire tutela e promozione della denominazione e assicurarne la valorizzazione e la protezione in Italia e all’estero”. Il Presidente Tullio Galassini non è uno qualunque. Enologo uscito dalla prestigiosa Scuola Trentina di San Michele all’Adige, sostenitore da subito della Doc Roma intesa come guida della viticoltura regionale, produttore presso la Galassini Viticoltore.
Frammento n. 2
Con la Birra ci si guadagna?
“Chi si avvicina al mondo della Birra pensando di fare soldi, sbaglia di grosso”. Parola di Jef Van den Steen, mastro birrario belga e guru delle birre artigianali. “Siamo di fronte ad un fenomeno su scala mondiale. La gente è stufa di bere Birre industriali sfornate dalle multinazionali del settore. C’è un ritorno diffuso all’arte di fare birra per la famiglia, per gli amici, per gli intenditori. L’Italia è tra le protagoniste di questo nuovo corso ma attenzione, il fenomeno non va collegato al business. Chi pensa di aprire un birrificio perché vuol fare soldi, si sbaglia di grosso. La vita di un Mastro birrario è sacrificio e intorno al magico mondo di malti e orzi non ci sono tanti soldi”. Ma è proprio così?
Frammento n. 3
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Enoteca Pinchiorri |
Quattro Ristoranti Italiani tra i primi 91 nel mondo per la migliore cantina.
Eletti da Wine Spectator, la rivista ritenuta più attendibile a livello mondiale. Si tratta del Duomo di Ragusa, il nuovo Cracco di Milano, Pierluigi di Roma e del Caffè Dante Bistrot di Verona. Raggiungono i tristellati Enoteca Pinchiorri di Firenze, la Pergola del Rome Cavalieri di Heinz Beck, la Ciau de Tornavento di Treiso, la Bottega del Vino di Verona e il Poeta Contadino di Alberobello.
Frammento n. 4
Barrique si, barrique no.
Doctor Wine, al secolo Daniele Cernilli che di vino se ne intende, prende le distanze dal tentativo di demonizzazione “di principio” le piccole botti meglio conosciute come barrique (di solito circa 225
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Barrique |
litri). Validi strumenti di cantina, “inventate” dai francesi utilizzando legno di rovere proveniente dalle foreste del Massiccio Centrale. Allier ne rappresenta la produzione migliore. “I francesi chiamano elevazione il passaggio in barrique proprio per sottolinearne gli aspetti positivi”. In Italia è in atto da anni un processo di demonizzazione delle barriques per quell’uso troppo eccessivo. Daniele Cernilli continua nella sua disanima su barrique si, barrique no. Interessante il suo pensiero finale che mi trova concorde: ”Demonizzare la barrique è come demonizzare una padella o una casseruola quando facciamo il ragù. Se bruciamo il ragù non è colpa dei contenitori, forse e del fuoco troppo alto o della nostra scarsa attenzione. (Fonte: Doctor Wine del 02/07/18)
Frammento n. 5
Un esempio da seguire.
Al via il nuovo progetto di sensibilizzazione al bere responsabile promosso da Ruffino e dal Comune di Firenze. Ruffino Cares. “L’idea è quella di educare a gustare il vino ancorandolo a sistemi relazionali che ci appartengono quasi geneticamente: la convivialità, la condivisione, le saporite tavolate, il pranzo della domenica, un fiasco da spartire con amici. Ma non isolarsi negli eccessi”. A parlare Francesco Sorelli, responsabile della comunicazione dell’Azienda della Rufina e responsabile del progetto. “Ruffino Cares vuol comunicare la bellezza che, come dicevano gli antichi, può essere buona e sociale. Adesso la sensibilizzazione al consumo responsabile, in futuro comunicazione nelle Scuole”. Un esempio da seguire!
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
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La Francia e le zone francofone nel mondo |
Quando è la Francia a mostrare interesse a sostegno delle difficoltà che l’Italia incontra, non sorprenda se il sostegno non è rivolto all’Italia ma alle difficoltà.
È fuori luogo che il comportamento della Francia nei confronti dell’Italia per l’attuale questione degli immigrati, riesca a meravigliare fino all’indignazione.
Non sono quindi le azioni di contrapposizione francese agli interessi italiani che possano destare meraviglia. C’è infatti chi pone in prima linea, come l’ Italia, l’ ideologia politica ad oltranza; c’è chi invece chi, come la Francia, punta ai risultati disconoscendo le relazioni di buon vicinato pur di raccogliere qualche beneficio.
L’attuale rapporto tra Francia e Italia è ormai alla ribalta della cronaca quotidiana e pertanto ognuno si è ben fatto una chiara idea di quali siano le pretese a senso unico che la Francia intende attualmente mantenere, a proprio vantaggio.
Ma prima …………
Se ora così stanno le cose, dovremmo però ricordare, per non commettere sempre gli stessi errori, che quando l’Italia protestava nei confronti dell’Egitto per la morte di Giulio Regeni, il nostro governo, incapace di ottenere per via diplomatica i necessari chiarimenti, chiedeva all’Unione Europea aiuto (quale?) per conoscere da altri la cosiddetta “verità”.
Ciò avveniva tra il “peloso” plauso di alcuni Stati della UE per tanta fermezza, ai quali però, certamente non sfuggiva il plateale sfaldamento che l’ Italia, giorno dopo giorno, provocava alle secolari relazioni amichevoli con il nostro dirimpettaio della quarta sponda.
La Francia allora, non perse l’occasione di recarsi in Egitto in modo ufficiale, con la rappresentanza di Stato dell’ allora Presidente della Repubblica, Hollande.
Il fatto è che non si trattava di un viaggio diplomatico organizzato a questo scopo. Infatti, arrivato al Cairo al cospetto del Presidente Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, si è soffermato qualche minuto per esprimere imbarazzo per una misteriosa morte di un cittadino francese: Eric Lang, in un commissariato egiziano; misteriosa come quello di Regeni, ma solo con l’auspicio di conoscere come sono andate le cose.
La nostra diplomazia - Il governo italiano comprometteva perfino le relazioni diplomatiche, facendo rientrare in Italia l’ambasciatore dal Cairo, senza tenere nel debito conto che le relazioni commerciali nel rapporto di scambio sulla bilancia dei pagamenti con l’estero, ammontavano a ben 11 miliardi di esportazioni di euro contro 2 miliardi dell’Egitto.
Inoltre l’Italia in quei tempi, aveva scoperto attraverso l’Eni il più grande giacimento del Mediterraneo di gas nelle acque territoriali egiziane. Era evidente l’aspettativa contrattuale per Eni e il nostro Paese per la relativa estrazione, a mezzo di idonee piattaforme di perforazione, ma le relazioni venivano seriamente compromesse dallo sproporzionato atteggiamento ostile verso l’Egitto.
L’Italia, infatti, questa ostilità l’ ha chiaramente manifestata sotto tutti i possibili modi fino a mettere in dubbio l’opportunità turistica europea di recarsi in terra egiziana.
La solidarietà francese - Hollande che invece si era trattenuto due giorni in Egitto, abbandonando la linea diplomatica delle domande senza risposta, bada al sodo nell’interesse economico della Francia, parlando di affari con gli esponenti politici egiziani, mentre l’Italia cercava la ……“verità".
Si è trattato di colloqui e di accordi con i quali, la Francia ha ottenuto una serie di appalti per ben 1,6 miliardi di euro, riguardanti l’ elettricità, i trasporti, ivi compresa la realizzazione del terzo ramo della metropolitana del Cairo, con galleria sotto il Nilo, per 1.2 miliardi di euro.
Per quanto riguarda il turismo che l’ Italia aveva preso di mira per indurre l’ Egitto a più miti consigli sul caso Regeni, la Francia firma di contro, un memorandum per favorire il turismo francese in Egitto .
Sul fronte italiano - Mentre l’Italia incrementava le ostilità, ritenendosi sostenuta dalla solidarietà europea per la fermezza dimostrata nei confronti dell’ Egitto, Hollande assicurava a al-Sīsī che la Francia aveva scelto di sostenere l’Egitto nel suo percorso per raggiungere la sicurezza e lo sviluppo economico.
La risposta, non si è fatta attendere. “l’Egitto – ha spiegato il Ministro del commercio egiziano Tareq Qabil - potrebbe diventare la porta dei prodotti francesi verso il mercato arabo e africano”.
L’augurio plateale è stato il coro della delegazione francese al cospetto del Presidente egiziano che si è congedato dalle due giornate di business con un “Viva l’Egitto e viva la Francia”.
I nostri soccorritori
Il nostro Paese non ha tenuto alcunché dall’Egitto con il quale ha praticamente rotto per un certo tempo i rapporti diplomatici, lasciando allo scoperto le numerosissime imprese italiane in questo Paese. E, anziché ricevere solidarietà dagli altri Stati della UE, non ha ricevuto dai nostri tradizionali amici, in particolare la Francia, il benchè il minimo aiuto.
Mentre in casa nostra molto spesso, si corre in soccorso per non cambiare nulla ………….. quando è la Francia che ci viene in aiuto sicuramente la situazione cambia, ma in peggio.
Adesso il Presidente non è Hollande ma Macron; e i rapporti anziché migliorare sono notevolmente peggiorati. Ciò significa che anche se cambiano i suonatori l’orchestra è sempre la stessa. Ed è questo che l’attuale governo dovrebbe tener presente nei rapporti con i nostri vicini di casa.
Sempre più l’avvenimento “IN” d’inizio estate.
Sicuramente lo è per la Versilia. Atteso, partecipato, impossibile mancare. Ma in cosa consiste?
A parlare è Gianluca Domenici, l’eclettico personaggio versiliese e non solo, editore, direttore editoriale della rivista quindicinale Paspartu, musicista (l’inno della squadra Torino è suo) e patron dell’Evento:
“C’era e continua ad esserci la necessità di promuovere la Versilia, nel contesto dell’attività turistica, anche per il cibo ed il vino, meglio dire proposte di enogastronomia. Far conoscere la grande offerta esistente in questo fazzoletto di terra per tutte le tasche.
Perché non istituire premi alla Ristorazione cogliendo l’occasione per distribuire in anteprima la Guida particolareggiata a tutti i ristoranti, agli addetti ai lavori? (ristoratori, giornalisti del settore, invitati).
Siamo arrivati alla decima edizione (la guida) con la prudente politica dei piccoli passi. Da subito ho capito che aveva bisogno di essere affiancata da un Gran Gala, appunto. Nasce così (nove anni fa, 2009) il Gran Gala della Cucina d’Autore”. Una vetrina del Gusto di Alto Livello.
Ed infine i “celeberrimi Premi alla Ristorazione”, gli Oscar ambiti in marmo bianco di Carrara.
EDIZIONE n° 9
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La sala |
è andata così:
Miglior Chef 2018 è Nicola Gronchi, nuova generazione dello stellato Bistrot di Forte dei Marmi. Dinamismo, slancio e modernità.
Migliore in Sala 2018 è Libero Musetti, titolare del Ristorante Il Circo di Pietrasanta. Simpatia, la giusta professionalità, la conoscenza dei gusti degli abituè della Versilia.
Premio Carriera 2018 è Bruno Vietina. Discorso a parte per questo ristoratore versiliese già protagonista negli anni ’60, ’70, ’80 alla guida dei locali storici come il Madeo e il Maitò. Successivamente sbarcato negli Stati Uniti con altrettanti ristoranti di conclamato successo. Basti pensare al suo ristorante a Beverly Hills.
Ed infine il Premio più ambito, ovvero il Ristorante dell’Anno 2018:
Filippo Mud di Filippo Di Bartola. Così è stato presentato da Gianluca Domenici:
“ Il riconoscimento al locale pietrasantino è soprattutto motivato da un innovativo e stimolante concetto di ristorante, non più imbrigliato in statiche formule ma aperto a nuovi intriganti elementi, come quello della mixology dei cocktail, della pittura e della scultura, con geniali ‘focus’ sulle materie prime utilizzate nell’ottima cucina. Oltre ad una sala dinamica, giovane e attenta”.
IL PREMIO ECCELLENZA ITALIANA
Non solo Versilia ma individuare anno dopo anno, l’eccellenza conclamata della cucina italiana, quella che mette d’accordo tutte le guide della ristorazione.
Tutti in piedi: una vera e propria standing ovation per Alfonso e Livia Iaccarino del celebre ristorante “Don Alfonso 1890” nella penisola sorrentina, “Premio Versilia Gourmet – Champagne Bergère 2018 Eccellenza Italiana”.
C’erano davvero tutti ad applaudirli: i migliori ristoratori della costa, i giornalisti ed esperti del settore, le autorità e uno stuolo di appassionati ammiratori. Il momento della consegna dei Premi Versilia Gourmet – Champagne Bergère è stato il toccante ed emozionante gran finale di una cena da mille e una notte allestita dai migliori chef “stellati” della Versilia.
Sì perché l’Evento, come nelle passate edizioni, è stato un momento per assaggiare le “creazioni di sei chef stellati”:
l’inizio, l’aperitivo in terrazza del Luxury Hotel Principe di Forte dei Marmi, con il coreografico panorama di una Versilia scintillante d’inizio estate, direttamente dalla cucina e bagnati rigorosamente da champagne Bergère, le micro-creazioni dello chef di casa Valentino Cassanelli (ristorante stellato Lux Lucy dell’Hotel Principe) hanno dato il via al gran Gala, con il sole a tuffarsi nel mare proprio lì davanti.
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l'impiattamento |
A seguire, gli oltre 160 ospiti si sono seduti nell’elegante dehors dell’hotel per gustare il ricco menù.
Raffinato e leggero antipasto di Giuseppe Mancino, chef bistellato del Piccolo Principe a Viareggio accompagnato dal Rosato Le Cicale 2017 dell’azienda Sardi Giustiniani.
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Alfonso e Livia Iaccarino |
Secondo antipasto, saporito e convincente, dello chef stellato Gioacchino Pontrelli di Lorenzo a Forte dei Marmi. Abbinato a Altair 2017 Fattoria La Torre
Il primo. Il vulcanico e anticonformista Cristiano Tomei (vi ricordate la trasmissione La Prova del Cuoco di alcuni anni fa?), versiliese doc ma adesso protagonista a Lucca con il suo Imbuto, ha proposto una sua personale versione di un minerale e ‘salmastroso’ riso di mare. (non chiamatelo risotto, per favore). Abbinato a Vermignon (vermentino e sauvignon) 2017 Tenuta Lentini.
Secondo piatto dai sapori caleidoscopici quello di chef Nicola Gronchi, emozionato per essere stato protagonista sia della cena che del Premio ricevuto. Ristorante stellato Bistrot di Forte dei Marmi. Abbinato a Sauvignon 2012 Terre del Sillabo
Chiusura dolce grazie alla pastry chef viareggina Silvia Pardini, giovanissima ma già protagonista nelle prestigiose cucine del Le Cirque di New York e di Dubai. Tanto per dire. Abbinato ad una stupenda Malvasia di Bosa Slittari (un appunto: la Malvasia meglio berla da sola in meditazione: fantastica).
Al momento dei saluti, selfie e foto con i “personaggi della serata”, la consegna della Guida ai Ristoranti della Versilia, Versilia Gourmet in vendita nelle edicole e librerie. Chapeau!
Speciale giornata sulla cucina e mostra del dopoguerra su Israele
Se non ci fosse stato San Paolo, forse, oggi saremmo tutti ebrei e probabilmente anche il nostro cibo. Come sarebbe stata, quindi, la nostra cucina? attraverso il breve convengo sulle pietanze ebraiche, tenutosi lunedì 25 giugno presso il Palazzo della Cultura del Ghetto Ebraico, con esperti di ricette e alimentazione come Laura Ravioli, Fabiana Mendia e Giulia Gallichi Punturello, Ariela Piattelli, ci siamo immersi nella cultura ebraica con le sue tradizione ed un cibo tra l’esotico e diverse contaminazioni tripoline. Un cibo mai noioso, influenzato dai paesi con cui è venuto a contatto, come la cucina romanesca. Guardiamo ad esempio ai formaggi oggetto del rinfresco del festival, lavorati secondo la memoria ebraica, sono gli stessi della cucina italiana, ma trattati secondo le regole e precetti della religione ebraica. Infatti gli ebrei non possono accostare formaggio e carne, così da oltre 2000 anni è stato introdotto nella lavorazione il caglio vegetale in sostituzione di quello animale, utilizzando degli estratti del cardo, una pianta che cresce nelle pianure sarde ed adoperata dai pastori sardi per cagliare il latte di pecora e con il siero fare delle caciotte di pecora e della gustosa ricotta. Lo sa bene il proprietario del noto ristorante “Yotvata Cheese Italia” di Piazza Cenci produttore di formaggi lavorati secondo la “tradizione” “Per farla breve – spiega Marco Sed del ristorante kosher Yotvata – circa 12 anni fa ho iniziato la produzione di formaggio di ricotta e mozzarella e poi ho ampliato la gamma di formaggi italiani fatti secondo lo standard Kosher ed ho poi iniziato la vendita anche nei mercati esteri. Oggi la nostra clientela è soprattutto ebraica che apprezza i nostri formaggi naturali e digeribili senza aggiunta di prodotti animali”.
Eredi preziose della cultura ebraica sono le donne, nonne e madri, che la loro cucina ha trasmesso una sapienza fatta di spostamenti e attimi da ricordare. Cucina fatta di regole religiose, tradizioni, ma
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Immagini della mostra sugli eventi politici e sociali nel dopoguerra in Israele |
anche quella più intima del proprio focolaio domestico come la Shakshuka un piatto specy, di uova e pomodoro. Un cibo scandito dal tempo e dalle ricorrenze, da interpretazioni e tocchi personali, da sapori e contaminazioni culturali . “Molte ricette, come ad esempio quelle degli ebrei libici arrivati in Italia con una forte identità – spiega - originaria di Napoli Giulia Gallichi Puntarello - fanno oggi ancora parte dei menù dei ristoranti del ghetto romano” . E’ stupefacente accorgersi quanto ogni cibo sia collegato a un evento ad un gesto, memorie che si intrecciano per non dimenticare ma nello stesso tempo per non farsi imprigionare da esse, guardando al futuro e ,perché no, anche alla cucina molecolare. Cibi che parlano per simboli, come il melograno i cui chicchi raffigurano i precetti positivi da osservare,oppure la zucca auspicio di guadagno e abbondanza, cibi della storia agricola come il pane, i carciofi romaneschi alla giudia e infine i dolci ,sentinelle delle feste, come quella pasquale la Pesah, con un dolce di pizzarelle e miele, o la Shavuot l’augurio di buon anno di ricotta e visciole. Dolci visti attraverso la festa del Re Fagiolo dove si nasconde il fagiolo tra i dolci e chi lo trova diventa il Re, o la festa di San Nicola del 6 dicembre dove si lasciano ai bimbi buoni tante leccornie. E non dimenticare quando dovevi partire e non avevi che poche sterline, e non potevi portare con te nulla se non un po’ di the e caramello e per questo a fine pasto si finisce proprio con la cerimonia del the e caramello. Insomma l’antisemitismo si può combattere a tavola dichiara Riccardo Di Segni rabbino capo di Roma, sul quotidiano la Repubblica, e questo è tanto più vero quando assaggi la pizza ebraica, un biscotto con dentro canditi e uva passa del forno del quartiere ebraico del centro di Roma.
Il festival della cucina ebraica è stato accompagnato da un mostra sulle donne straordinarie ed eventi legati al tempo che hanno contribuito alla vita sociale e politica dello Stato d’Israele subito dopo la 2^ Guerra Mondiale: come Golda Meir primo ministro eletta nel 1969, Rebecca Sieff promotrice del Movimento delle donne sioniste, la Conferenza Internazionale sul Nucleare del 1957, università di Bar Ilan con la consegna dei diplomi e il tempo delle operaie al lavoro nel 1950 , il tempo del voto delle donne per il rinnovo della Knesset nei kibbutz 1959. C’è un tempo per tutto per mangiare, per lavorare, per fare politica per innamorasi. Il mondo ebraico ti fa innamorare, chi è tornato da Israele lo sa bene, e allora per rendere la propria vita straordinaria ad ottobre sono aperte le iscrizione per imparare l’ebraico moderno e biblico presso il Centro Culturale Ebraico e a Marzo 2019 viaggio in Israele per prendere parte ad un seminario per costruire un mondo migliore (www.oneminutemeditation.com/rvs).
Sotto lo sguardo vigile del padrone di casa, il cardinale Marco Sittico Altemps, troneggiante dall’apice del fastigio con stemma e iscrizione sul caminetto, Salvatore Settis, ha parlato su Mostrare la storia, coltivare la memoria nei Musei.
Nella dimora gentilizia, che, ora, è una delle sedi del Museo Nazionale Romano, in particolare quella che rende conto del collezionismo delle famiglie nobili nel Rinascimento, al cospetto del Galata suicida e del Sarcofago Ludovisi, si è parlato del MEIS, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. Il MEIS è a Ferrara, la città che, nel Quattrocento dei Gonzaga, ha accolto gli Ebrei, ancora una volta cacciati e, che, in tempi più vicini, con Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, tramanda la memoria di storie personali vissute all’interno della Grande Storia, prima e dopo le leggi razziali fasciste. Il museo ferrarese è responsabile della comunicazione della memoria dei duemila e duecento anni della comunità ebraica “italiana”. La mostra attuale, illustrata nel catalogo edito per i tipi della Electa, è stata definita “prefigurativa” di ciò che sarà il museo, anche perché la memoria che tramanda è dei “primi mille anni”. È costituita da opere provenienti da altri musei e da calchi e riproduzioni di quelle inamovibili. Addirittura sono stati ricostruiti tratti delle catacombe ebraiche di Roma. È connotata dall’aniconismo.
A Roma duecento anni prima di Cristo si è stabilita la comunità ebraica. Da Roma è partita la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme per mano di Tito. Nei rilievi all’interno del fornice centrale dell’arco dedicato all’imperatore alle pendici del Palatino, la memoria storica dell’evento. L’immagine della Menorah è scolpita nella pietra, tra i trofei del corteo trionfale.
La memoria come trauma, come comunicazione del trauma, se nel Sarcofago Ludovisi trova espressione nella sopraffazione, nel Galata suicida è, invece, il non arrendersi oltre la morte, che viene testimoniato.
La memoria non è asettica, è, al contrario, affettiva, coinvolgente. La memoria è selettiva, decide cosa e come ricordare. Lo stesso fa l’oblio. Memoria e oblio costruiscono il futuro. Nella intitolazione delle strade si traccia una memoria topografica. Intitolare una via ad Almirante significa voler dimenticare i suoi scritti razzisti o almeno sminuirne, se non occultarne la gravità. Azione ancora più grave se assecondata e giustificata da un Ministro dell’Interno. Vuol dire obliare il ruolo attivo, la partecipazione degli Ebrei Italiani, all’unità d’Italia e alla formazione dello Stato. Vuol dire voler dimenticare di essere nati come società calda, come la definisce Levi-Strauss, connotata dalla stratificazione delle diversità, dall’accoglienza della diversità.
Il museo come luogo di comunicazione della storia e di coltivazione della memoria, oggi, è un’istituzione che sta cambiando. Dall’educazione del popolo si sta passando all’edutainment, l’intrattenimento educativo.
Orhan Pamuk vede un parallelo tra il passaggio dall’epica al romanzo e dai musei dei palazzi ai musei nazionali. Questi ultimi dovrebbero partecipare non solo la grande storia, ma la storia quotidiana, testimoniata, ad esempio da quegli oggetti d’uso esposti nei musei archeologici.
Può essere letta in tal senso la mostra in corso, Citazione pratiche. Fornasetti a Palazzo Altemps. Personalmente, la sensazione suscitata dall’interazione tra gli inarrivabili capolavori del passato e l’irriverente ironia delle opere del presente, è di forte disturbo e irritazione. Gli spazi del Palazzo e l’aura dei capolavori risultano violati, invasi. Il passaggio dall’epica al romanzo corrisponde a quello tra aristocrazia e borghesia, ma non si tratta di una transizione naturale, ma di un vero e proprio quarantotto.
Martedì 26 giugno (giornata mondiale contro l'abuso e il traffico illecito di droga). Grande emozione, presso la Chiesa di Scientology di Roma e Mediterraneo, quando rappresentanti della Fondazione per un Mondo Libero dalla Droga, l’Anglad e l’Associazione Fuori della Porta Onlus e gli oltre 50 partecipanti al convegno hanno deciso di Unirsi contro la schiavitù della droga con l’arma più potente: l’istruzione.
Tra i relatori Don Giovanni Carpentieri, un prete sulle strade dei giovani che li raggiunge anche nelle discoteche per distoglierli dalla droga; Sandro Matini che con oltre 400 conferenze ha informato circa 40.000 studenti tra i 12 e 18 anni raccontando loro la verità sulla droga e Paolo De Laura che da oltre 20 anni si dedica ad aiutare chi è caduto nella trappola della droga.
Don Giovanni, Sandro e Paolo hanno raccontato le loro emozionanti esperienze su come aiutano i giovani ed hanno sensibilizzato il pubblico presente che con entusiasmo, e la certezza che qualcosa si può fare, si è unito nel grande progetto di prevenzione “creare un mondo libero dalla droga”.
Materiale didattico informativo, realizzato dalla Fondazione per un Mondo Libero dalla Droga che permette ai giovani di conoscere la verità sulla droga ed arrivare ad una scelta consapevole e informata di non assumere droga in primo luogo è stato messo a disposizione dei partecipanti: manuale per l’insegnante, con un piano di lezioni sulle droghe; 14 opuscoli sulla verità sulla droga, dvd contenente documentario di storie vere, annunci di pubblica utilità e un kit informativo sul programma “La Verità sulla Droga”.
Nel quadro delle crescenti tensioni politiche interne e internazionali, i risultati delle elezioni legislative e presidenziali in Turchia potrebbero avere serie ripercussioni sugli equilibri geopolitici non solo del Medio Oriente, ma anche del Mediterraneo orientale, dove gli interessi di Ankara si scontrano con quelli di Atene e dell'Unione europea
Attese dall'attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan, che vorrebbe la maggioranza assoluta per presentarsi come il nuovo “padre della patria”, le elezioni legislative e presidenziali del 24 giugno in Turchia suscitano l'attenzione della Grecia, appena formalmente libera dai riflettori della troika e in una posizione delicata all'interno dell'Unione europea. Con Ankara, Atene ha in sospeso questioni cruciali per gli equilibri nel Mediterraneo orientale: la definizione della piattaforma continentale dell'Egeo, Cipro e i diritti di ricerca di giacimenti di gas a largo delle sue coste, gli otto militari turchi fuggiti in Grecia dopo il tentato golpe di luglio 2016 e i due soldati greci arrestati e ancora tenuti “in custodia” dalle autorità turche. Questioni che in Turchia hanno un particolare rilievo politico, soprattutto da quando la crescita economica e la riduzione del tasso di disoccupazione non appaiono più così a portata di mano come negli ultimi due decenni, quindi non sono più argomenti privilegiati a buon mercato in campagna elettorale.
Il partito di Erdoğan, Giustizia e sviluppo (AKP), da almeno tre anni impone una visibilità mediatica quasi esclusiva a temi geopolitici, cui dal luglio 2016 si è aggiunta la guerra ai nemici interni: una soluzione manu militari della questione curda e l'eliminazione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK, con il quale lo stesso Erdoğan aveva avviato un negoziato nel 2013), il prevalere degli interessi turchi in Medio Oriente, l'espansione dell'influenza turca nei Balcani (dagli anni '90 del secolo scorso, le moschee in Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo e nel Caucaso sono per lo più finanziate da Ankara) e la revisione del Trattato di Losanna del 1923. Un misto di riferimenti simbolici da un lato al padre della patria Mustafa Kemal Atatürk e al nazionalismo turco, dall'altro all'Impero ottomano, al suo espansionismo e al ruolo chiave dell'islam. Simili, se non più radicali le posizioni di Meral Akşener, candidata del Buon Partito (o partito del bene, İyi), nato da una scissione all'interno del Partito del movimento nazionalista di Devlet Bahçeli (MHP, che invece sostiene Erdoğan). Più moderato il candidato dei kemalisti laici e socialdemocratici del Partito popolare repubblicano (CHP, guidato da Kemal Kılıçdaroğlu), Muharrem İnce, professore di fisica di origini contadine. Le proposte più concilianti vengono invece dal Partito democratico dei popoli (HDP, filocurdo, ma in generale sensibile alla giustizia sociale, alla questione di genere e ai diritti delle minoranze), il cui candidato Selahattin Demirtaş seguirà le consultazioni dal carcere.
La volontà di Erdoğan, candidato favorito alle presidenziali, di modificare il trattato di Losanna, manifestata nel dicembre 2017 in occasione della sua storica visita ufficiale ad Atene, rischia di diventare un ulteriore motivo di attrito con la Grecia, acuendo la tensione nel Mar Egeo tra i due paesi, entrambi membri dell'Organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord (NATO). Negli ultimi decenni, a più riprese Ankara e Atene sono state sul punto di dichiararsi guerra. Ad esempio, nel 1996 si è accesa un'aspra disputa, non ancora definitivamente risolta, sul controllo di due isolotti disabitati, chiamati Imia dai greci, Kardak dai turchi: alla fine di gennaio, un elicottero greco da ricognizione precipitò in mare e i tre soldati a bordo morirono (la notizia inizialmente non fu diffusa per evitare ripercussioni internazionali e interne ai due paesi coinvolti), ma la mediazione ufficiosa di Washington sopì momentaneamente la controversia; a maggio dello stesso anno, tuttavia, la collisione tra una motovedetta turca e una greca al largo di questi “scogli” fu seguita da nuove reciproche accuse di sconfinamento (un episodio simile è avvenuto nel febbraio di quest'anno: Erdoğan ha invitato la Grecia a non sottovalutare la Turchia). La crisi ha rischiato nuovamente di esplodere nel maggio 2006, quando un caccia F-16 da combattimento greco e un velivolo da ricognizione RF-4 turco si sono scontrati al di sopra dell'isola di Karpathos, la più meridionale del Dodecaneso: secondo Atene il caccia turco aveva violato lo spazio aereo greco, mentre Ankara accusò l'aviazione militare greca di intralciare le esercitazioni dell'aeronautica militare turca. Non si trattò tuttavia di un episodio isolato: la Hellenic Air Force ha rilevato nel solo 2014 ben 2.224 sconfinamenti. Inoltre, tra gennaio e febbraio 2016, caccia turchi hanno violato più volte lo spazio aereo greco, in particolare sopra le isole di Samos, Chios (Egeo sud-orientale), Limnos e Lesvos (Egeo nord-orientale). Ma l'episodio forse più grave si è verificato il 1 agosto 2017, quando undici F-16 turchi hanno sorvolato le isole dell'Egeo orientale per ben dodici ore, prima di essere intercettati e respinti dall'aviazione militare greca. Il ministero della Difesa di Atene ha aperto un'inchiesta informando le autorità internazionali. Per alcuni analisti si è trattato di una rappresaglia di Ankara a seguito del respingimento di un aereo spia turco CN-235 da parte dell'aeronautica militare greca. Lo scorso aprile, dopo che gli F-16 greci avevano intercettato un drone Uav Turco nei cieli dell'isola di Rodi, il ministro della Difesa greco Panos Kammenos ha annunciato di voler inviare 7.000 soldati nelle isole dell'Egeo e al confine con la Turchia per “far fronte a qualsiasi minaccia”.
Oltre alla questione dell'Egeo, un altro tema caldo nel quadro delle relazioni greco-turche è quello di Cipro. Nel 1960 l'isola conquista l'indipendenza dalla Gran Bretagna (cui era stata assegnata dal Trattato di Losanna), che tuttavia vi mantiene le due basi di Akrotiri e Dhekelia con oltre 4.000 soldati. Da subito l'isola è stata oggetto delle mire dei nazionalisti greci e turchi, che ne rivendicavano l'annessione. Negli ultimi anni, la Turchia ha più volte effettuato manovre di disturbo all'interno della Zona economica esclusiva (ZEE) di Cipro, che dal 2004 è membro dell'Unione europea. Questione cipriota e tensioni con la Grecia nell'Egeo sono state le motivazioni per cui la Ankara ha rifiutato di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare nel 1988 e ha sempre contestato gli accordi del 2004 tra Cipro, Israele, Libano ed Egitto per la delimitazione delle rispettive ZEE. Lo scorso aprile, inoltre, Ankara ha emesso un nuovo Navtex (Navigational Text Messages), che prevede indagini sismografiche estese anche a zone di competenza cipriota. Un'altra azione di disturbo turca ha coinvolto anche l'Italia: lo scorso febbraio, la marina militare turca ha fermato la piattaforma dell'Eni Saipem 12000, in rotta verso Cipro per iniziare trivellazioni esplorative nei giacimenti di gas naturale, con il permesso di Nicosia (la piattaforma). Erdoğan si era già dichiarato contrario alla presenza dell'Eni nel Mediterraneo orientale, considerando le esplorazioni come “una minaccia” per Cipro e per la Turchia. La questione cipriota va avanti ormai, nella sostanziale indifferenza dell'Europa, dal 1974, quando, dopo il colpo di Stato dei militari greco-ciprioti vicini ai colonnelli greci (e il fallimento della mediazione statunitense), la Turchia invase l'isola occupandone la parte settentrionale. Nel conflitto morirono circa 4.000 persone, tra soldati e civili, mentre i dispersi furono un migliaio. La successiva partizione di Cipro fu seguita inoltre da uno scambio di popolazione forzato, sul modello degli “scambi di popolazione” tra Grecia e Turchia nel 1922: circa 200.000 greco-ciprioti furono costretti a lasciare il territorio della Repubblica turca di Cipro del Nord (non riconosciuta dalle Nazioni Unite), dove furono insediati oltre 300.000 coloni anatolici. Di contro, i militari golpisti ciprioti vicini ai colonnelli greci lanciarono persecuzioni ai danni della minoranza turca e circa 70.000 turco-ciprioti fuggirono al Nord. Una sorta di balcanizzazione ante litteram, che dovrebbe far riflettere i vertici europei e che rischia di coinvolgere anche la Russia, che da qualche anno inizia a riaffacciarsi sul Mediterraneo.
La terza spinosa questione che incendia i rapporti tra Ankara e Atene risale invece al luglio 2016. Dopo il tentato golpe, di cui Erdoğan accusa i seguaci del suo ex alleato, il predicatore islamico Fethullah Gülen, otto militari turchi sono fuggiti in Grecia, chiedendo asilo politico. Le insistenti richieste di estradizione da parte della Turchia sono state sistematicamente respinte dalle autorità greche, che hanno inoltrato i dossier alla magistratura, per valutare se ci fossero gli estremi per riconoscere lo status di rifugiato agli otto militari. A fine maggio, il Consiglio di Stato greco ha concesso tale status a uno di loro (con la motivazione che in patria non gli sarebbe garantito il diritto a un processo trasparente), aprendo la strada a misure analoghe per gli altri sette. Immediata la reazione di Ankara, che ha accusato Atene di “proteggere i terroristi”. Occorre notare che dal 2017 le richieste di asilo di cittadini turchi in Grecia sono aumentate di ben dieci volte rispetto al 2016: secondo il Servizio di asilo greco, lo scorso anno 1.827 turchi hanno avanzato richiesta di asilo politico. Inoltre, nel solo febbraio 2018, 17 ex funzionari turchi (tra cui alcuni magistrati) hanno chiesto asilo politico in Grecia, provocando un ulteriore deterioramento dei rapporti tra i due paesi. Il 22 giugno, a soli due giorni dalle consultazioni elettorali, il ministro degli Esteri turco Mevlut Çavuşoğlu ha persino insinuato che Tsipras avrebbe rifiutato l'estradizione degli otto militari turchi a causa di pressioni da parte dell'Unione europea. Gli otto militari ora potranno lasciare il territorio greco, ma la vicenda è complicata dall'arresto da parte delle guardie di frontiera turche di due soldati greci che sostengono di aver accidentalmente sconfinato a causa del maltempo: i due sono detenuti in Turchia dall'inizio di marzo, senza che nessuna accusa sia stata loro formalmente notificata. Il ministro della Giustizia greco Stavros Kontonis li ha definiti “ostaggi” di Ankara e teme che essi possano essere accusati di spionaggio. Secondo fonti diplomatiche greche, la Turchia intenderebbe invece scambiarli con gli otto militari turchi, ma Ankara finora ha smentito, adottando una strategia intimidatoria fatta di provocazioni militari e aggressioni verbali. Intanto, ad aprile, il Parlamento greco ha approvato con procedura accelerata un nuovo piano per la difesa, che prevede l'ammodernamento di armi e mezzi in dotazione all'esercito.
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Il Presidente Putin con il suo cane |
Quando nel 1991 l’URSS finì di esistere iniziò il calvario della esistenza dei “bambini randagi” di Mosca, di Leningrado e di tante altre città della immensa ex Unione Sovietica.
Ma posto che quei bambini erano il prodotto della liberazione della Russia “dal comunismo”, nessuno in Occidente se ne fece un problema, e tutto passò sotto silenzio, come un “male necessario”. Forse qualche riflessione sarebbe necessaria, ora che si parla di cani randagi, non per proporre delle classifiche, ma per includere se possibile tutte le forme di violenza e di sofferenza, senza colpevoli amnesie od esclusioni.
Da tempo immemorabile – e per non andar troppo indietro nel tempo da almeno un secolo a questa parte – la Russia, ma non solo la Russia, e tutti i Paesi non allineati al sistema di pensiero unico liberista (e, paradossalmente, oggi, la Russia è un Paese capitalista a tutti gli effetti!), è oggetto di una aggressione militare e mediatica, a tutti i livelli.
Ogni Paese oggetto delle attenzioni occidentali può essere accusato dell’uso dei gas sui civili, di violazioni riguardanti i diritti umani, della repressione dei diritti degli omosessuali, ovviamente di propagandare l’antisemitismo, e da ultimo anche di contrasto alla immigrazione di massa e di praticare l’uccisione di massa degli animali.
Oggi si è totalmente perduto il senso della misura e della logica nell’assunzione, nel controllo e nella divulgazione di una notizia. Tanto è vero che le notizie della Siria arrivano dalla Gran Bretagna (ciò che del resto non scandalizza nessuno e televideo RAI riporta regolarmente le falsità del cosiddetto “Osservatorio siriano per i diritti umani”), ed è giusto che quelle della Russia provengano, ovviamente, dalla Spagna (ed altrove…) e ciò non è uno scherzo, è la pura verità.
Ed è a proposito di violenze sugli animali, cui ovviamente chi scrive è sensibile e attento, che ci troviamo di fronte all’ennesima falsità messa in piedi dai massmedia occidentale: i connotati della bufala ci sono tutti e ciò è dato anche dai soggetti che si sono fatti promotori della propaganda.
Chi abita in Spagna, chi negli Usa, chi altrove, hanno nomi fittizzi, fanno finta di essere russi e di trovarsi nei luoghi da cui inviano le immagini che peraltro, si è scoperto, ritraggono scene dall’Ucraina o dal Pakistan…
Una foto è stata divulgata da tale Elena Zvonkova che dice di essere di Mosca, ma vive a Valencia (Spagna), a migliaia di chilometri dalla Russia, per cui è giusto ritenere che sia in possesso di notizie di prima mano…
Un fenomeno così grave sarebbe saltato all’attenzione anche delle tv russe – e ve ne sono che avrebbero anche approfittato dell’occasione – e invece no, le tv sono russe ma si trovano in Francia…
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foto presa in Pakistan e fatta passare in tutti i siti, come se fosse stata ripresa in una città Russa. |
Alcune fra le numerose fonti da cui provengono le notizie sono: il gruppo “east2west” che si trova in Canadà e naturalmente il “glorioso” quotidiano Daily Mail!
I fatti sono molto differenti da come sono stati raccontati. In Russia vi sono bande di cani randagi affamati, che specie nella stagione invernale, provenendo dai boschi, si avvicinano ed entrano nelle città, attaccando i soggetti più vulnerabili, quali donne, vecchi e bambini e ogni anno si registra un certo numero di morti (in media 35 morti, contando solo i bambini piccoli) e di feriti molto gravi. Inoltre ogni anno solo nella capitale russa, a causa dei morsi dei cani, vengono ferite circa 30 mila persone e considerando tutto il territorio russo, nel periodo 2000-2015 più di 200 russi sono morti di rabbia, e i cani sono i principali diffusori di questa malattia mortale per l’uomo.
Da parte loro, le autorità locali lottano con tutti mezzi per risolvere questo problema, soprattutto raccogliendo fondi per il mantenimento degli animali dopo la loro cattura. In base alla legge russa chi maltratta animali è punibile con tre anni di galera.
Non si può certo escludere che dei cani, in questa, così come in altre occasioni, siano stati uccisi. Altra cosa invece è sostenere che questo sia avvenuto o stia avvenendo in nome e per conto dello Stato e secondo un piano prestabilito!
E posto che gli animali, a meno di non cozzare contro ogni logica, non potrebbero mai essere ritenuti responsabili degli atti compiuti, va ricordato il caso commovente di Vania, un bambino abbandonato in tenera età dai genitori alcoolizzati e adottato da alcuni cani randagi…
E veniamo ai fatti.
Nel mese di Gennaio di quest’anno la Duma (il parlamento russo) ha indirizzato una lettera al Ministero dello Sport, esprimendo la preoccupazione riguardo i paventati propositi di fare retate, per catturare i cani randagi nelle città dove si sarebbe svolto il campionato mondiale di calcio.
A tale scopo la Duma si era raccomandata di procedere ad un controllo regolare della presenza di cani randagi, ma aveva sottolineato che la cosa fosse attuata con metodi umani, quindi una cattura allo scopo di vaccinarli, di sterilizzarli e nondimeno mantenerli nei centri addetti.
Ciò che non ha alcun rapporto con uno sterminio organizzato a livello governativo, per come si è fatto credere in questi giorni.
Le associazioni animaliste russe, da parte loro, si sono mobilitate in maniera particolare e hanno fatto sentire la loro voce, proprio esprimendo la preoccupazione sulle misure che sarebbero state prese in riferimento al problema dei randagi, nella occasione dei Mondiali di calcio. Hanno quindi espresso la raccomandazione che si procedesse secondo termini di rispetto per gli animali.
In particolare, da parte delle associazioni animaliste, era stato sottolineato che, in ordine ad un principio morale di rispetto per la vita e nondimeno di reputazione internazionale della Russia, sarebbe stato necessario evitare qualsiasi atto di violenza sugli animali.
La risposta del Ministero dello Sport, chiara e circostanziata, diceva che in Russia non esisteva – da parte del Governo – nessun piano per la uccisione degli animali.
Tutte queste preoccupazioni, peraltro del tutto legittime, sono state strumentalizzate dalla stampa occidentale, che, senza indugi e senza lo scrupolo di controllare la reale consistenza dei fatti, ha trasformato ipso facto le raccomandazioni per “fatti realmente avvenuti” e come tali li ha presentati al pubblico che in tal guisa li ha assunti per veri. La stampa occidentale da tempo è dedita alla fabbricazione delle “fake news” per diffamare la Russia, in questi giorni si cerca in sostanza di annullare il successo della Russia nell’organizzazione impeccabile dei Mondiali di Calcio. Si prodigano in ciò vari siti e in particolare si nota il comportamento vergognoso della mostruosa “Radio Svoboda” (e del relativo sito internet), che, com’è noto, è una emittente americana… Tanto per cambiare e per restare in tema !
Lo Stato Russo realizza le attività di cattura dei cani randagi nei posti o quartieri dove sia necessario intervenire per rendere sicura la vita dei cittadini e proteggerli dagli assalti, ma di certo non per l’uccisione di massa, per come è stato scritto e divulgato da molta stampa straniera e ripreso ovunque come se si trattasse di oro colato e quindi verità inconfutabile, come per esempio la bufala del “movimento dei cacciatori di cani”: approfittando e distorcendo il fatto che diversi cittadini hanno a cuore la sicurezza dei propri quartieri e partecipano alla risoluzione del problema dei randagi offrendosi volontari nella cattura. Ma su questo si costruisce la Fake news, come oramai da copione, triste copione!
È presumibile che, finito il campionato di calcio, si spegneranno i riflettori anche su questo problema, perché nessuno avrà interesse ad attenzionare una questione priva di ripercussioni politiche internazionali.
Marinella Mondaini[1] – Gianni Viola[2]
[1] Scrittrice, pubblicista – Ricercatrice universitaria – Università di Mosca.
[2] Ricercatore scientifico – scrittore – Resp. Comm.ne Scientifica Free Lance International Press -Roma.
Educate i bambini a valorizzare e a rispettare il piccolo, il minuto, il diverso ed egli crescerà valorizzando e rispettando anche il grande; ma se lo educate a valorizzare e a rispettare solo il grande egli crescerà incapace di rispettare sia il grande sia il piccolo e farete di lui un essere egoista ed infelice.
Credo che l’ostacolo maggiore per educare i bambini alla buona e giusta alimentazione siano i genitori spaventati dall’idea che una dieta priva di prodotti animali possa causare carenze di vario tipo nell’organismo dei piccoli. “Lo dicono i medici che bisogna mangiare la carne, la televisione, i preti, anche Gesù mangiava il pesce…”.
Per educare i più piccoli alla corretta alimentazione bisogna che prima siano correttamente informati sia i genitori che gli insegnanti i quali, molto spesso, carenti delle necessarie nozioni credono di fare il bene dei piccoli convincendoli, a volte costringendoli a mangiare la carne e i prodotti di derivazione animale.
Ma per educare il bambino all’igiene naturale e alle regole della buona alimentazione occorre immedesimarsi nella mente e nella pulita coscienza del piccolo. Per prima cosa è indispensabile far capire che ogni essere vivente mangia il cibo più adatto a lui e che il cibo più adatto a noi è di origine vegetale; occorre parlare del valore del cibo, dell’importanza della giusta e corretta alimentazione; abituarli a mangiare in tempi regolari, a lavarsi le mani prima di mangiare e porre attenzione sul prodotto che stanno consumando; educarli a masticare bene gli alimenti, a mangiare la frutta lontano dai pasti, a non eccedere mai nel quantitativo, invogliarli a preferire i cibi naturali rispetto a quelli prodotti dalle industrie che sono trattati, conservati, addizionati; invogliarli a preferire i cibi crudi rispetto a quelli cotti facendogli capire la differenza che c’è tra un alimento vivo ed uno denaturato con la cottura; parlare dell’importanza degli alimenti biologici e integrali cercando di spiegare loro la differenza tra un cibo integrale ed uno raffinato;
evidenziando la differenza tra un frutto dolce, semidolce o acidulo; fargli soffermare sulla differenza di forma, di colore, di gusto, spiegare la differenza tra pianta e frutto, tra tubero e ortaggio, spiegare come vengono coltivati gli alimenti vegetali e quanto impegno è necessario prima che arrivino sulle nostre tavole; fermare la loro attenzione sulla funzione della buccia che riveste la frutta, sui semi, sulla polpa. Se gli si dà ancora da mangiare del formaggio o del latte far capire che è prodotto dalla mucca o dalla pecora per i suoi piccoli, non adatto alla nostra specie. Parlare dei componenti nutrizionali degli alimenti che ci consentono di vivere bene, di crescere sani e robusti; parlare loro dei minerali, delle vitamine, degli zuccheri, dei grassi, delle proteine presenti negli alimenti che entreranno e diventano parte del nostro organismo. Spiegare il processo che subisce il cibo dopo essere stato ingerito, in che modo si trasforma in energia, in nuovi tessuti ecc.
La cosa migliore è abituarli ad osservare con maggiore attenzione tutto ciò che li circonda. Parlar loro del mondo degli animali, in che modo e con quale fatica cercano di procurarsi il cibo necessario. Far notare che ogni animale, anche il più piccolo ha, come ognuno di noi, una mamma, un papà, dei fratellini, degli amici, che come noi amano giocare, che come noi a volte sono impauriti, hanno sentimenti, e che come noi soffrono se violentati o privati della libertà o dei loro genitori, dei loro amici o del loro ambiente naturale.
Mettere in risalto la bellezza delle piccole cose, semplici, minute, l’importanza della diversità nell’universo della vita, stupirli con la perfezione di ogni essere vivente, la bellezza di una farfalla, il profumo dei fiori, le infinite sfumature dei colori, la forma di un sasso, la perfezione di una foglia, la maestosità di un albero; far notare che tutte le cose che ci circondano sono esseri viventi, grandi, piccoli e piccolissimi. Educarli a rispettare qualunque cosa, anche il filo d’erba e far capire che anche la pianta più umile se spezzata può soffrire perché i rami di un albero sono come le nostre braccia, le nostre dita.
Se i bambini rifiutano di mangiare la frutta o la verdura è perché hanno subito un’alterazione delle capacità naturali gustative a causa dell’imposizione da parte degli adulti a mangiare prodotti innaturali, industriali e prodotti animali fin da i primi mesi di vita. In questo caso occorre rieducare il loro gusto preparando in modo accattivante questi importanti alimenti per farli riabituare ai sapori naturali.
La cosa più efficace, ma anche la più facile, è sensibilizzare i bambini verso la condizione degli animali. Con la dovuta delicatezza e senza urtare la loro sensibilità infantile, invitarli a guardare agli animali come a degli esseri fatti come noi con una forma fisica diversa, invitargli quindi a considerare che come noi tutti gli animali hanno gli occhi, un cuore, un cervello, il naso, le orecchie, la bocca ecc. e che far del male ad un animale è come far del male ad uno di noi, ad un amico, ad essere umano.
Il tentativo di far leva sulla spontanea sensibilità del bambino potrebbe portare ad una reazione avversa da parte di quei genitori o di quegli insegnanti che ancora considerano gli animali semplici alimenti per l’uomo. Ma se il problema è affrontato con la dovuta saggezza ed equilibrio, molto resterà nell’animo del bambino e avremo contribuito a fare di lui una persona più sana, più sensibile e più riflessiva e in questo avremo contribuito a porre le basi di un mondo migliore, libero dalla violenza, dalle malattie e dal dolore.
19/06/2018 - Il problema dell’Europa non è l’Italia, col suo pesantissimo debito pubblico accumulato soprattutto negli anni del glorioso CAF, con le pensioni di vecchiaia fasulle, di invalidità inventate, con e ‘pensioni d’oro’ e tutto lo smercio del voto di scambio, né la Spagna con l’indipendentismo catalano, né la periclitante Grecia.
Il problema è la Francia. Con la sua ridicola e pericolosa grandeur, la sua boria o, per esprimerci con le parole di Palazzo Chigi nei giorni dello scontro con Macron, “col suo atteggiamento di superiorità insopportabile”. Questi credono di vivere ancora l’epopea di Napoleone. Anche se pur sul teppista corso ci sarebbe poi da ridire: con i quattro milioni di soldati messi sul campo abbandonando la civile guerre en dentelles degli austriaci, e la democrazia esportata in Europa sulla punta delle baionette.
Comunque da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Non si era ancora spenta l’eco dei processi di Norimberga e di Tokio, che secondo le intenzioni avrebbero dovuto “escludere la guerra dalla vita della società”, che già le truppe francesi soffocavano con l’atroce brutalità di sempre un disperato tentativo del Madagascar di liberarsi delle manette coloniali. Questa vile e facile vittoria è stata l’unica della loro storia post napoleonica.
Dopo non hanno fatto altro che buscarle. Nel 1870 nella guerra franco-prussiana i tedeschi annientarono in un sol mese l’esercito di Napoleone III. Nella prima Guerra Mondiale furono sconfitti dai tedeschi a Charleroi, si ritirarono sulla Marna e furono salvati dagli inglesi, come sempre dagli inglesi fu salvata non solo la Francia ma l’intera Europa nella seconda Guerra Mondiale. L’insuperabile Linea Maginot fu irrisa da Hitler che, passando per il Belgio, dopo pochi mesi passeggiava sugli Champs-Elysée. Il collaborazionismo francese col governo Pétain fu maggiore di quello degli italiani che pur dei nazisti erano alleati. Durante il governo fantoccio di Pètain, Gerhard Heller, il funzionario tedesco che doveva occuparsi di tenere sotto controllo i letterati e gli scrittori francesi sospettati di essere contrari al regime, si meravigliava che le denunce contro costoro venissero molto più dai loro connazionali che dai nazisti e dalla Gestapo. Nonostante tutto ciò, grazie all’escamotage del
governo De Gaulle riparato a Londra, riuscirono a sedersi al tavolo della pace da vincitori a fianco degli inglesi, degli americani e dei russi che quella guerra, con enormi sacrifici di sangue, l’avevano combattuta e vinta davvero.
Nel 1954 furono sconfitti rovinosamente dai vietnamiti a Dien Bien Phu.
Però i ‘cugini d’oltralpe’ continuano imperterriti nel loro grottesco “complesso di superiorità” e nei tempi più recenti hanno causato danni gravissimi all’Europa e soprattutto all’Italia. La sciagurata aggressione alla Libia è stata una loro iniziativa. Sono stati poi seguiti dagli immancabili americani e purtroppo anche da noi italiani, eternamente autolesionisti. Il nostro premier del tempo, Silvio Berlusconi, grande amico di Gheddafi, era contrario ma si accodò per sottomissione agli americani come aveva fatto D’Alema nel 1999 nella guerra alla Serbia. Con la differenza che D’Alema non era amico i Milosevic e quindi Berlusconi, nel suo sottomettersi, è stato doppiamente coglione. Per giustificarlo si dice che fu il presidente Giorgio Napolitano a convincerlo. Ma per Napolitano-Berlusconi vale quanto abbiamo scritto per Mattarella-Conte: in una Repubblica parlamentare, qual è fino a prova contraria la nostra, la politica la fa il premier e non il Presidente della Repubblica.
Per non farsi mancar nulla i francesi, forse gli unici rimasti ad avere una mentalità colonialista vecchio stampo, hanno aggredito il Mali del nord abitato da pacifici Tuareg che, per difesa, si sono uniti agli jihadisti locali. Da qui la guerra e l’altrimenti inspiegabile migrazione maliana. Dopo essere stati responsabili in notevole misura delle migrazioni, adesso i francesi respingono questi disperati ai loro confini, da Ventimiglia a Bardonecchia (per la verità a Bardonecchia sono andati anche oltre, penetrando con i loro militari nel nostro territorio). E nei giorni scorsi si sono permessi di bollarci, per il caso Acquarius, come “irresponsabili, cinici e vomitevoli”.
Però in questo caso una funzione utile l’hanno avuta. Ci hanno restituito un pizzico d’orgoglio d’esser italiani, che abbiamo eterni difetti che eternamente si ripetono (vedi il nuovo ‘caso Roma’ che coinvolge anche i Cinque Stelle), ma almeno non siamo schifosamente sciovinisti come i francesi che non ne hanno di meno.
Fonte: Massimo Fini
19/06/2018 - La Francia è una delle poche (ex) potenze del defunto sistema europeo ad aver preservato e perpetuato dei disegni egemonici su quel che fu il suo impero coloniale, nonostante la perdita di potere relativo, sia in Europa che nel mondo, e l’affermazione di un nuovo ordine internazionale non più eurocentrico.
In principio fu Charles de Gaulle a voler impedire l’involuzione della Francia da una grande potenza mondiale ad una potenza regionale in declino ed in posizione periferica nel nuovo ordine post-bellico. A questo scopo, la Francia si dotò dell’arma atomica e tentò di riconquistare gli ex territori imperiali africani attraverso una politica di neocolonialismo economico seguendo l’ambizioso quanto visionario piano per l’Africa francofona elaborato da Jacques Foccart, uno dei più importanti ideologhi e strateghi dell’era gollista. Il piano di rinascita neoimperiale per la Francia di Foccart non puntava soltanto alla riconquista dell’Africa, ma all’espansione su ogni territorio francofono del mondo. In questo contesto si inquadrano il sostegno fornito dallo Sdece, i servizi segreti per l’estero, al movimento separatista quebecchese, e quel controverso “Vive le Québec libre!” gridato da De Gaulle alla folla di Montreal nel 1967.
Québec a parte, le mire francesi, dal gollismo ad oggi, si sono rivolte verso l’Africa francofona, di cui si è tentato di condizionarne in ogni modo le dinamiche economiche e politiche attraverso omicidi politici, colpi di Stato, sostegno a dittature militari e gruppi terroristici, alimentazione di guerre civili e conflitti inter-etnici, creando nel tempo una sfera d’influenza egemonica ribattezzata "Françafrique", sostanzialmente estesa sull’intero ex impero coloniale.
Foccart è stato il potere dietro la corona da De Gaulle a Jacques Chirac, chiamato per fornire pareri, elaborare strategie, effettuare missioni diplomatiche segrete, dal 1960 al 1995.
Si può affermare che Foccart è stato per la Francia, ciò che Henry Kissinger è stato per gli Stati Uniti, ossia, uno stratega guidato da visioni tanto intelligentemente lungimiranti quanto subdolamente imperialistiche. La Françafrique è una realtà multidimensionale, agisce infatti sul piano economico, politico, diplomatico ed ideologico di numerosi paesi, dal Magreb al Sahel, all’Africa sub-sahariana.
La sottomissione economica è essenzialmente esplicitata nell’esistenza della cosiddetta* area franco*, di cui fanno parte 14 paesi africani, obbligati ad utilizzare il franco CFA, della cui convertibilità in euro si occupa il Ministero dell’economia e delle finanze francesi. L’appartenenza all’area franco prevede inoltre che i paesi membri depositino almeno il 65% delle riserve di moneta estera in Francia. Inoltre, le grandi realtà francesi dei settori energetico e minerario godono di trattamenti privilegiati nello sfruttamento del territorio e nella divisione dei profitti con gli Stati.
"La dimensione politico-diplomatica" riguarda le pressioni fatte ai paesi della Françafrique affinché essi sostengano gli interessi nazionali, le posizioni e le dottrine di politica estera francesi in sede internazionale, ad esempio in luogo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La dimensione ideologica ha riguardato inizialmente il contenimento delle spinte anticoloniali di liberazione nazionale durante ’epoca della decolonizzazione, in seguito si è concentrata sul contenimento dei movimenti comunisti nel continente foraggiati dall’Unione Sovietica, ed "oggi è principalmente focalizzata su due fronti: la competizione con l’Italia per l’egemonia su Libia e Tunisia ed il contenimento dell’espansionismo sinico, quest’ultimo molto più difficile del primo obiettivo, tanto che nel vocabolario di politologi e geopolitici è entrato a pieno titolo il neologismo Cinafrica." 2
I numeri della Françafrique sono impressionanti: oltre 40 interventi militari diretti tesi a difendere regimi filo-francesi, sia democratici che dittatoriali, o ad aiutare dei ribelli a rovesciare dei regimi ostili. Attualmente, la Francia è legata a 12 paesi da accordi militari di tipo difensivo, ed è presente in 10 paesi con delle missioni militari, per un totale di oltre 5mila unità presenti. Dietro la scusante della guerra contro l’imperialismo delle multinazionali occidentali, la Francia ha utilizzato la compagnia di sicurezza privata dello storico mercenario Bob Denard per combattere in Katanga e Biafra, e tentare dei ambi di regime in Gabon, Angola, Zimbabwe, Benin, Repubblica Democratica del Congo ed Unione delle Comore. Lo *Sdece* è stato il principale strumento di difesa della Françafrique, coinvolto pubblicamente o presuntamente in numerosi omicidi politici, soprattutto di leader carismatici noti per le loro denunce nei confronti della sottomissione del continente all’imperialismo occidentale: Ruben Um Byobe e Félix-Roland Moumié dell’Unione Popolare del Camerun, Barthélemy Boganda del Partito Nazionalista Centrafricano, l’oppositore politico ciadiano Outel Bono, l’attivista anti-apartheid Dulcie September, sino ad arrivare ai mostri sacri del fronte nazionalista africano Thomas Sankara e Patrice Lumumba.
Spesso e volentieri i governi francesi hanno sfruttato le tensioni interetniche e interreligiose presenti nei paesi più etno-religiosamente eterogenei per alimentare guerre civili decennali, attraverso le quali mantenere i regimi più ostili, o i territori più ricchi, in un costante stato di assedio e sottosviluppo, utilizzato per acquistare a basso costo materie prime contrabbandate da terroristi e ribelli: un vero e proprio capitalismo di rapina. Fra il 1967 e il 1970, la Francia è stata coinvolta attivamente nella guerra del Biafra, sostenendo i secessionisti attraverso armi, capitale, mezzi, mercenari, viveri. Insieme all’intervento in Libia del 2011, la guerra del Biafra rappresenta uno dei capitoli più cupi della storia della Françafrique. La Francia era intimorita dalla prospettiva che la Nigeria, una delle economie più dinamiche del continente, potesse cadere sotto influenza britannica o sovietica, pertanto alimentò il malcontento presente fra le forze armate e l’etnia Igbo nei confronti del governo centrale per dar luogo ad un movimento secessionista che frazionasse il paese in maniera permanente. Furono Foccart, la Michelin e la "Société Anonyme Française de Recherches et d’Exploitation de Pétrolières" (Safrap), a convincere De Gaulle, demoralizzato dagli insuccessi in Algeria e nel Katanga, ad introdursi nella nascente questione nigeriana per accaparrarsi le importanti riserve di greggio presenti nel Biafra.
Un delicato lavoro di diplomazia segreta effettuato da Foccart portò numerosi paesi, europei e africani, a sostenere la Francia nella guerra segreta contro la Nigeria, fra i quali Israele, Portogallo, Spagna, Rhodesia, Gabon, Sud Africa, Costa d’Avorio, che aiutarono i secessionisti inviando loro armi, scambiando informative d’intelligence, addestrandoli. Un ruolo di fondamentale importanza fu svolto anche dalle organizzazioni non governative, segno precursore del prossimo avvento delle nuove guerre descritte da Mary Kaldorall’indomani dell’implosione della Jugoslavia; infatti gli aerei della Croce Rossa francese furono utilizzati per trasportare carichi di armi ai secessionisti. In concomitanza all’appoggio francese ai secessionisti, l’autoproclamato governo del colonnello Ojukwu introdusse corsi di lingua francese nelle scuole del Biafra e firmò delle importanti concessioni petrolifere alla Safrap. Inoltre fu messa in moto un’efficace macchina propagandistica tesa a dipingere negativamente il governo nigeriano agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, in modo tale da legittimare l’intervento francese nel paese. L’agenzia di stampa fittizia Biafra Markpress, con sede a Ginevra, finanziata dallo Sdece, diventò la principale fonte d’approvvigionamento delle maggiori testate giornalistiche europee, sfornando oltre 250 approfondimenti sulla guerra del Biafra.
Il governo nigeriano fu accusato di aver ridotto in carestia la popolazione biafrana attraverso blocchi navali ed aerei, con l’obiettivo di depurare il paese della componente Igbo. Diversi giornali, tra cui Le onde, iniziarono a parlare di genocidio.
Una storia di terrorismo psicologico e guerra di informazione molto familiare, se si pensa alle bufale prodotte dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, gestito da un solo individuo, e finanziato dal governo britannico, sin dallo scoppio della guerra civile siriana, allo scopo di plagiare l’opinione pubblica mondiale e creare una falsa immagine sul ruolo delle parti in conflitto. L’intervento n Libia del 2011, fortemente voluto dall’allora presidente della repubblica Nicolas Sarkozy, ha riconfermato l’importanza per la Francia di avere l’intero continente sotto la propria egemonia. La caduta di Gheddafi <https://www.gogedizioni.it/prodotto/libro-verde/> ha significato non soltanto la ri-tribalizzazione della Libia, oramai considerabile uno Stato fallito comparabile alla Somalia, ma anche tante altre cose: il ridimensionamento della posizione geopolitica dell’Italia nel Mediterraneo e in Nord Africa,* la caduta del paese in una guerra civile che lo ha reso vulnerabile all’avanzata del Daesh e alla radicalizzazione dei più giovani, la fine del patto italo-libico per il controllo dei confini marittimi ed il contrasto all’immigrazione clandestina.
L’interventismo francese nei confronti di un paese tradizionalmente vicino all’Italia è stato reso possibile anche e soprattutto dall’assenza di una classe politica nostrana realmente votata all’interesse nazionale. Quando nel 1986 gli Stati Uniti decisero di reagire militarmente all’attentato alla discoteca La Belle di Berlino, imputato ai servizi segreti libici, con l’operazione El Dorado Canyon, l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi, suggerito dall’allora ministro degli esteri Giulio Andreotti, decise di avvertire Gheddafi dell’imminente attacco e negò l’utilizzo dello spazio aereo ai velivoli della US Air orce, nella consapevolezza che la destabilizzazione della Libia avrebbe significato instabilità nel Mediterraneo, quindi lungo le coste italiane.
Oggi assistiamo ad un ritorno dell’interesse nazionale al centro dell’agenda politica del governo italiano, con il ministro dell’interno Matteo Salvini che ha dichiarato di avere in programma un viaggio in Libia con l’obiettivo di risolvere definitivamente la crisi dei migranti, sulla falsariga di quanto già fatto dal suo predecessore Marco Minniti.
La Francia ha esteso i tentacoli della Françafrique anche in Libia a detrimento di un alleato, membro dell’Unione Europea e della Nato, che ha poi patito, e continua a patire, interamente i costi di quell’azione antistorica. L’Africa non conoscerà una vera crescita economica ed una duratura stabilità sociale fino a che la Françafrique esisterà, dal momento che essa si nutre del mantenimento del continente in uno stato di violento asservimento. Allo stesso modo, l’Italia non potrà risolvere la questione dei migranti che andando alla radice: il Sahel, perché è da lì che partono le principali carovane, sempre lì la Francia ha dispiegati uomini e mezzi, e ha politici sul libropaga, potendo determinare l’arresto dei flussi migratori e generando condizioni di sviluppo che, migliorando la qualità della ita delle popolazioni locali, possano creare nel continente le opportunità che in migliaia continuano a cercare disperatamente alla volta dell’Europa.
Fonte: L!intellettuale dissidente
PERFORMANCE DI ARTE DEI BORSISTI 2017/2018 - RUBBANO L’ANIMA A ROMA
Tutti gli anni Villa Massimo apre le porte ad uno degli eventi romani più significati della capitale: mercoledì 20 giugno 2018, infatti, tra le carezze del vento del ponentino e l’aria frizzante , la fila delle persone per entrare all’evento (gli ospiti non hanno dovuto aspettare molto tutto era organizzato in stile tedesco ordinato e puntuale), ai bellissimi giardini di un verde intenso, arricchiti con busti antichi, alla grandezza degli edifici della Villa, è stata inaugurata l’edizione 2018, Festa dell’Estate dell’Accademia Tedesca. Un viaggio festoso da godere fino alla fine immersi nelle sale allestite con mostre, letture, concerti, performance dei borsisti residenti per 10 mesi nella capitale. E’ cosi che abbiamo incontrato il contrabbasso dell’artista Jay Schwartz che ha vibrato sotto le onde dei gong, portandoti in un luogo, lontano dallo stress quotidiano, il luogo della pace, di cui questo pianeta ha immenso bisogno.
L’incanto ha proseguito nelle altre stanze affacciate sui rigogliosi giardini di Villa Massimo con il ceppo sradicato da terra ,dell’artista Cristoph Keller, caduto in via Tiburtina e trasportato nel luogo espositivo, e foto di Corviale, di una gioventù che ha visto già troppo, ed i grattacieli del quartiere come cubi neri uno sull’altro e la solitudine raccontata da un immagine dentro una stanza buia, come in opera di Quasimodo dove gli sguardi di questi giovani in erba trafiggono il cuore e poi arriva il buio, dell’artista Benedict Esche.
Pochi passi e incontriamo l’atelier di un altro artista , Bettina Altamoda che fa spalancare la bocca e gli occhi per la luce e i colori dei sui drappi di stoffe iridescenti con grandi paillette. I borsisti 2017/2018 hanno colto nel poco tempo trascorso a Roma i colori, suoni, architettura, la natura della bella capitale e sembrano dirci come in un quadro del Caravaggio “Guarda”.
Interessante il lavoro del pittore Marx Ernst presentato dall’artista Thomas Baldischwyler, il quadri di Simone Haug in omaggio alle tavoglie delle famiglie di Olevano Romano e dintorni, e il box bianco con all’interno la pianista Hui Ping lan che ha suonato in prima italiana il brano The Incredible Nightcrawler.
Dopo le mostre ha “aperto le danze” alle ore 21.00 il buffet : anche in questa occasione nonostante la presenza numerosa di persone, le pietanze sono state servite velocemente, “come si dice i Tedeschi non si fanno parlare dietro”. Piatti e forchette ecologiche non è mancata la mostarda, cetrioli, rapa rosa, patate e wuster con polpette. Birra e vino e una mousse con yougurt e frutti di bosco come dessert. Personaggi noti e meno noti hanno accompagnato la serata, tra cui l’ incontro veloce con il vicesindaco del Comune di Roma Luca Bergamo.
La serata ha proseguito fino a mezzanotte con il DJ Cilloman nel parco di Villa Massimo tra alberi centenari si è ballato. Anche la musica della disco/dance è stata un’ autentica opera di arte , con proiezioni di luci sugli alberi, sembrava di stare in una spa per la terapia dei colori e una musica tecno dai suoni delicati come in un rave party per altolocati. Un’ esperienza da ripetere all’Accademia Tedesca, ma di questo ne siamo sicuri con la prossima festa dell’estate 2019 che racconta Roma e ne ruba l’anima.