
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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“per sua natura il vino è naturale”
Così è stato scritto da un amico sul mio profilo facebok dopo la pubblicazione dell’ennesimo post sui “vini naturali”.
La mia posizione è nota: “I vini naturali non esistono, in natura si trova solo l’uva”.
Non voglio assolutamente nascondermi dietro un dito circa la definizione. Capisco, ma non condivido. Perché?
L’utilizzo della definizione “vino naturale” sta ad indicare un vino prodotto con uve che, dopo la pigiatura divenuto mosto (ad opera dell’uomo, in natura questa non avviene) segue un percorso di “trasformazione” guidata dall’uomo senza che intervenga qualsiasi tipo di aggiunte e manipolazioni. Vino frutto dei soli processi “naturali” però (ed è importante) predisposti e favoriti nei tempi dall’uomo.
Ma è proprio vero tutto questo? Fra i “produttori così chiamati naturali” è veramente bandito qualsiasi intervento aggiuntivo?
E se fa freddo e le fermentazioni non partono aspettiamo la “calda” primavera con i mosti nelle vasche? E gli affinamenti che rendono i vini unici? Con la malolattica che ci facciamo? Il vero vino deve essere aspro, amaro? E con la “solforosa “ come la mettiamo?
Per i produttori “puri” l’aggiunta di metabisolfito di potassio che sprigiona il biossido di sodio ovvero anidride solforosa, detta più semplicemente “solforosa” che produce stabilità e conservazione del vino, è sacrilegio.
Altri che sanno come “vanno le cose” l’aggiungono “quando proprio non se ne può fare a meno”.
A parte queste disquisizioni che fotografano la “vera” situazione della produzione dei “vini naturali” mi preme ritornare alla frase di partenza.
Secondo il mio interlocutore il vino si può definire naturale perché altro non è che la trasformazione dell’uva in mosto e a seguire in vino attraverso processi che la natura stessa “governa”.
Mi viene da pensare: “Bando quindi alla chimica? Intesa come scienza che studia la composizione della materia ed il suo comportamento? Chiusura di conseguenza delle facoltà di Agraria ed Enologia perché non servono più gli studi scientifici a riguardo, solo “vino genuino del contadino” con tutte le “puzzette inebrianti” magari non filtrati, veri “mangia e bevi”.
Capisco e chiedo scusa. Mi sono lasciato trascinare in “spicciola” polemica.
Ritorniamo a “per sua natura il vino è naturale”.
Vediamo le varie fasi dove l’uomo “favorisce il cammino dall’uva al vino. Pigiatura come? Con i piedi, con i torchi o con le presse di ultima generazione? Diraspare o pigiare con raspi? Perché da se gli acini non si staccano. Lavare o no? Usare tini di cemento, botti vecchie, bandire l’inox termocontrollato? Usare il processo a caduta o con le odiatissime pompe? O, come centinaia di anni fa portando con scale i “buioli” (contenitori, secchi ecc…) pieni di mosto? E poi filtrare o non filtrare, imbottigliare con le “sughette” aspirando l’aria con la bocca? Ritornare ad usare l’olio enologico e la stoppa?Comunque la si pensi è l’uomo che decide ed opera: il Vino è opera dell’Uomo.
E lo certificano anche i VAN (Vignaioli Artigiani Naturali). “Con il termine naturale si intende un concetto culturale, filosofico e spirituale che riguarda il rapporto tra uomo e natura. Mezzo fondamentale nella definizione di questo rapporto è, nel vino, la fermentazione spontanea: momento di trasformazione naturale da mosto a vino, dal lavoro in vigna a quello in cantina, in grado di restituire l'unicità dell'annata e del terroir”.
Con il Vignaiolo al centro ovvero l’uomo che prepara il mosto, controlla la fermentazione ed imbottiglia il vino. E alla fine esclama: questo è il mio Vino!.
Perfino Noè, sceso dall’Arca, nella piana di Erevan, fece vino e si ubriacò.
Meglio, molto meglio a mio parere l’atteggiamento di quei produttori che gestiscono le vigne in regime di lotta ragionata nella tutela dell’ambiente per la produzione di ottimi vini nel contesto del territorio e altrettanta attenzione in cantina nell’aiutare le fermentazioni ed arrivare alla messa in bottiglia ottenendo così un prodotto che risponda appieno alle vere tradizioni
Avviso ai contadini: via tutti i sacchi di metabisolfito, la medicina, che avete ben nascosti in cantina. È sacrilegio.
Viva il vino buono!
Anzio, sabato 12 Maggio - Una giornata preziosa e significante, rappresentata dal Capo Missione e Primo Addetto Commerciale dell’Ambasciata dell’Uzbekistan Rustam Kayumov, dal Console Mr. Shuhrat Rashidov,Capo Dirigente Finanziario Madam Farzona Muminova, Madam Nilufar Kayumova e dal Rappresentante Legale dell’“Uzbekistan Airways” in Italia Khushnud Artikov, che ha messo in evidenza il ruolo prestigioso dell’ Ambasciata dell ‘ Uzbekistan in Italia e ha presentato la compagnia aerea di bandiera “Uzbekistan Airways”, promotrice di nuove rotte di collegamento tra Italia, Uzbekistan ed India e ha visto la grandissima partecipazione di pubblico e della Comunità Indiana fornendo l’occasione di vivere questa giornata come esperienza di cultura, integrazione e festa.
Salvo Cacciola e la sua AQ International hanno avuto l’onore e il piacere di ospitare questo importantissimo evento, sotto il coordinamento dei Carabinieri del Comando Stazione di Lavinio Lido Di Enea e del loro Comandante Giuseppe Luca. Il primo interesse è stato quello di rafforzare i rapporti già esistenti tra Italia, Uzbekistan e India che è rappresentata dalla comunità indiana presente in modo importante nel territorio anziate e nel Lazio con cui l’Associazione NCR.it lavora da anni promuovendone e integrandone l’interessante identità culturale.
Da menzionare la stessa presenza di Salvo Cacciola, insieme alla collaboratrice Francesca Pellegrino, a nome della Pro Loco “Città di Anzio” che, grazie al lavoro del proprio Presidente Augusto Mammola, si impegna annualmente per la promozione e la
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Il prof. Salvo Cacciolla |
conoscenza del mostro territorio.
“L’Uzbekistan è uno scrigno inesplorato, la cui cultura è la perfetta cerniera e comunione tra Occidente e Oriente. È una regione dall’importanza unica dove il tempo ha costruito le civiltà rimanendo intatto e preservandone gli aspetti.” Così Salvo Cacciola giustifica i solidi contatti con il Paese, dimostrato dall’ interesse continuo promosso anche durante la sua manifestazione “Luci nel Blu” dove, ogni anno, affronta l’argomento del Lago di Aral per cui la mano dell’uomo ha causato una catastrofe ambientale, prosciugandone le acque, seconda al disastro di Cernobyl.
Un sodalizio rimarcato grazie a questa giornata, che si propone di continuare e di gettare nuove basi per una fruttuosa collaborazione socio-culturale intenta anche a far conoscere Anzio e questa bellissima Regione dell’ Uzbekistan, dove la grandezza del passato conserva ancora una preziosa attualità.
Nella cornice del Monk, locale romano di musica alternativa gestito da soci Arci, c’è la presentazione del nuovo disco (il terzo per quanto riguarda la carriera solistica) del giovane trentenne romano Tommaso di Giulio, vincitore di una miriade di riconoscimenti ed una promessa del cantautorato di casa nostra, autore anche di colonne sonore per cinema e teatro.
Questo nuovo disco (esce a tre anni di distanza dal precedente album “L’ora solare”) dal titolo “Lingue”, strizza l’occhio alla musica psichedelica inglese degli anni 70 mischiandolo al rock americano con spruzzi di cantautorato italiano (vedasi Graziani, Battisti, Dalla ,Battiato) e si sposa con la cosiddetta scuola romana contemporanea cito Max Gazzè (con cui ha scritto e duettato in un brano nel 2015) ma anche Daniele Silvestri e Niccolò Fabi.
Tommaso racconta: -Avevo scritto inizialmente un disco completamente differente, molto più leggero ed eterogeneo che non aveva niente a che fare con queste canzoni, poi sono successe delle cose talmente grosse nella mia vita da non riconoscere più quelle canzoni e ho sentito il bisogno di scriverne delle altre, così è nato questo “Lingue” un disco scritto di pancia, diretto, introspettivo, personale, dove si cerca di convertire la propria sofferenza in musica.
Il concerto è preceduto dall’esibizione di un gruppo emergente chiamato Galil3o che comprende nel nome volutamente quel tre rovesciato al posto della “e”, giustificato dalla band per distinguersi dal cognome del famoso scienziato.
Sostenuto e osannato da parenti e amici, oggi si gioca in casa, sale sul palco l’attesissimo Tommaso Di Giulio. Però prima di contornarsi della presenza dei musicisti che lo accompagneranno per l’intero concerto, e solo e soltanto per il primo brano, il nostro si presenta in maniera solitaria al suo pubblico; l’apertura del concerto, così come il suo nuovo lavoro discografico, inizia con “Canzone per S” (S sta per Sergio, il papà) dedicato alla malattia recente del padre, il testo parla anche di conflittualità e incomunicabilità, il cosiddetto gap generazionale tra padri e figli.
“Chi la sa più lunga” una ballata che nella versione live acquista un aspetto più tirato, di questa canzone Tommaso dice:- «È una canzone sul disperato tentativo di individuare e tenersi stretto ciò che conta veramente, o meglio: chi conta veramente per noi».
Si prosegue con “Da lontano” con il ritornello in inglese; sembra quasi di ascoltare una canzone di Zucchero Fornaciari quando quest’ultimo mischia l’idioma italico alla lingua di albione.
Torna l’ironia, il tipo di scrittura più consona al nostro Tommaso “Il mese più caldo” (Gennaio è il mese più caldo nel letto con te) protagonisti due innamorati che presi dalla passione si sentono lontani da tutto e da tutti senza percepire il freddo perché c’è l’amore a scaldare le loro vite. Così come la vivace “L’acqua su Marte” che parla di una coppia in crisi che intraprende un viaggio intergalattico su Marte,pensando di poter risolvere lì i loro problemi, per poi tornare sulla terra diversi, rappacificati, consci di aver guarito le ferite.
Il concerto va avanti con ”Le notti difficili” sull’eterna paura della morte (e portami le medicine contra la paura della morte) e la domanda è: ci saranno mai delle medicine per sconfiggere la morte?
“Prendiamo esempio” scritto di getto il giorno successivo agli attentati di Parigi al Bataclan.
“L’umidità” un rock quasi californiano da ricordare la musica surf dei Beach Boys.
“Quello nello specchio” , dove l’autore si fa tante domande esistenziali , è il brano che chiude la prima parte del concerto ed è anche l’ultima traccia dell’ultimo lavoro discografico. Rispetto alla scaletta del disco, nel concerto sono state eseguite pedissequamente tutte le tracce ad eccezione solo di “Piangi pure”, scritta in occasione di un dolore recente che è ancora troppo forte per poter essere eseguito dal vivo.
La seconda parte del concerto prosegue con una carrellata di successi i così detti evergreen tratti dai due precedenti dischi da quello di esordio intitolato “Per fortuna dormo poco”, estrae ”In confidenza” in puro stile De Gregori, ”Le mie scuse sincere” dall’andamento ‘reggaegiante’ e “Farò colpo” con il simpatico ritornello (anche i nani iniziarono da piccoli). Mentre dal suo penultimo disco del 2015 dal titolo “L’ora solare” esegue “Spesso e volentieri” come sentirsi inappropriati in una storia d’amore ,“La fine del dopo” sull’inganno del tempo e come rincorrerlo ,”Dov’è l’America” che parla di confini metaforici e ancora il rock tiratissimo di “Poveri posteri”.
Chiude la serata “Novanta” un nostalgico viaggio negli anni ’90 e che al suo interno comprende un’azzeccatissima citazione di un brano di quel periodo di Corona “The rhythm of the night” .
Arriva il momento del bis, viene concesso tributando una cover al suo mentore e massimo ispiratore Franco Battiato con la celeberrima “Centro di gravità permanente”.
Il concerto finisce così; ci rimane il buon sapore di una bella serata, la sincerità di una faccia pulita e vera, i testi intelligenti ironici ed impegnati. È sicuramente il raggiungimento di una musicalità costruita attraverso una lunga gavetta che sicuramente gli aprirà le porte e ribalte ben più importanti, perché lo merita; eccome!
“Quando l’uomo si interessa del tutto è più attento ai problemi di una parte di esso”. (Porfirio)
Nulla di ciò che esiste resta allo stato evolutivo iniziale: è spinto dalla legge naturale verso la sua crescita, la sua completezza, la sua realizzazione, la sua maturità fisica, mentale e spirituale e che consente lo sviluppo delle qualità potenziali di ogni essere vivente. I “talenti” che ognuno di noi ha fin dalla nascita per fattori genetici, sono poi condizionati dall’ambiente, dal livello culturale, morale, spirituale della famiglia e dal contesto in cui si vive. Per mezzo della volontà e del libero arbitrio ognuno è chiamato a sviluppare e a far fruttare i “talenti” iniziali. L’inettitudine, l’inerzia, l’apatia, l’indifferenza impediscono lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo.
Se una persona è travolta dai suoi singoli problemi, se non è libera dentro, se è succube del suo personalismo, condizionato dalle tendenze dominanti, delle sue manie, dalle sue debolezze, non può dare nulla di buono a se stesso e agli altri: come potrebbe dare ciò che non possiede se è lui ad aver bisogno di sostegno?
Solo quando una persona sviluppa una personalità armonica con se stessa è in grado di interagire armonicamente nel sociale. Solo quando un individuo si impegna a superare i propri limiti tende alla realizzazione integrale di se stesso e dà il meglio delle sue possibilità personali.
Si è credibili solo quando si è coerenti nei propri principi e nel proprio ideale di giustizia. La coerenza e l’esempio sono componenti imprescindibili per chi spera in un mondo migliore. “Essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo” diceva Gandhi. Non puoi pretendere dagli altri ciò che tu stesso non vivi. Non puoi pretendere giustizia e onestà se tu non sei giusto e onesto; non puoi sperare nel rispetto per le regole se tu le infrangi.
Occorre passare dalla coscienza individuale alla coscienza collettiva, capire che i problemi di ognuno incrementano i problemi del contesto in cui si vive. Capire che ognuno di noi è parte inscindibile di una realtà in cui nessuno è separato e in cui nessuno può vivere senza interagire: vivere per se stessi, assorbiti dalle proprie problematiche, significa consegnare nelle mani di chi ha interesse a conservare l’attuale stato di cose. Occorre superare la tendenza a scindere la propria responsabilità personale da quella della società in cui vive.
Interessarsi della propria crescita personale significa curare lo sviluppo armonico della 4 fondamentali componenti dell’entità umana: fisica, mentale, emozionale e spirituale. La felicità personale è direttamente proporzionale al superamento dei propri limiti e allo sviluppo simultaneo, simbiotico e bilanciato del nostro benessere fisico, della nostra intelligenza, del nostro senso critico positivo, dalla sensibilità del cuore e dal riferimento oggettivo ad un ideale superiore.
I valori fondamentali dell’individuo non si improvvisano e in questo la famiglia, la scuola e lo Stato hanno una diretta responsabilità della quale non possono sottrarsi. I bambini non vengono educati all’amore, alla pace, ma al materialismo, alla competizione, all’indifferenza, all’edonismo.
Ciò che realmente occorre è rendere migliore l’uomo per migliorare i meccanismi, i sistemi, il mondo. In futuro l’Universalismo sarà la sola via da percorrere; il sincretismo delle grandi dottrine: il biocentrismo è ciò che renderà responsabile l’individuo verso la Natura e che gli consentirà si superare la visione antropocentrica della vita.
Deve nascere in ognuno di noi la consapevolezza che l’umanità è una sola famiglia, che gli animali sono diversi da noi solo nella forma fisica, che tutti respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua, ci nutre la stessa terra: un sangue rosso scorre nelle vene di tutti. Ma quando una parte del Tutto è ferita o sofferente è l’intero organismo che è in pericolo di vita. Siamo parte di un tutt’uno. O ci salviamo tutti o nessuno.
Sta nascendo una NUOVA COSCIENZA UMANA, UNA NUOVA ETICA che valorizza le possibilità dell’animo umano rendendo ognuno artefice del proprio destino e pone le basi di una umanità finalmente libera dalla violenza, dalla malattia e dal dolore.
Martedì 5 giugno nella prestigiosa sala Igea della Enciclopedia Italiana, a Roma, è stato assegnato il Premio “Le rosse pergamene del nuovo umanesimo” ideato e coordinato dalla scrittrice Anna Manna. Due le giurie tecniche presiedute da Corrado Calabrò che premierà i vincitori del concorso sulla poesia per la Calabria e da Neria De Giovanni che assegnerà i premi speciali per il nuovo umanesimo .
“La pergamena del nuovo umanesimo 2018” è stata conferita a Giurie riunite ad Antonio Casu, Consigliere capo servizio e Bibliotecario della Camera dei Deputati, membro di vari comitati scientifici, condirettore di collane di filosofia politica, autore e /o curatore di oltre cento pubblicazioni, uno dei massimi studiosi di Thomas More e presiedente dell’Associazione culturale “Cenacolo di Tommaso Moro”.
Antonio Casu, della famiglia del grande studioso di Berchidda Pietro Casu, ha ottenuto il premio, come si legge nella motivazione, perché : “La sua “curiositas”lo ha portato a spaziare in diversi campi del sapere ma sempre con il medesimo rigore da bibliofilo e ricercatore.
Ne sono prova gli ultimi preziosi volumetti che aprono la collana “Sentieri” delle Edizioni Nemapress, “La memoria e il sacro, Appunti di viaggio nella letteratura del primo Novecento” e “L’enigma Grazia Deledda, la grande scrittrice e il lungo silenzio delle Istituzioni”.
Antonio Casu con la sua attività di studioso ben incarna lo spirito con cui il Premio intende contrastare il pericolo di una retrocessione rispetto ai valori del vivere in “social catena”.
Durante la cerimonia Neria De Giovanni ha presentato il “Manifesto delle donne letterate per l’educazione al sentimento” proponendo un convegno in autunno che coinvolgerà intellettuali di tutta Italia per una lotta contro la violenza di cui sono vittime le donne e non solo, per una proposta di impegno culturale e civile, per un nuovo umanesimo rispettoso della persona umana.
Nuove pessime notizie arrivano dal fronte israelo-palestinese. Alcune si potrebbe dire che cozzino pesantemente contro i principi del Diritto universale umanitario che è tale solo se vale per tutti, compresi i prigionieri di qualunque Stato e per qualunque motivo. A maggior ragione vale quando questi sono detenuti politici imprigionati da uno Stato fuorilegge (fuori della legalità internazionale) quale è Israele, e lasciati morire in carcere dopo 4 anni di isolamento, torture e percosse. E’ il caso del prigioniero Aziz Oweisat di 53 anni, morto in isolamento e per mancanza di cure nel più assordante silenzio mediatico rotto, forse, dall’appello lanciato dall’Ambasciata palestinese in Italia affinché una commissione d’inchiesta accerti i motivi del suo decesso.
A questa recente morte in prigione se ne aggiungono altre di manifestanti già feriti dai cecchini israeliani durante le proteste al confine della Striscia di Gaza. Morti che non spengono certo la tensione, nonostante le autorità politiche che governano la Striscia, secondo fonti attendibili, stiano concordando un compromesso per l’ottenimento di qualche miglioramento sul piano umanitario in cambio della fine delle manifestazioni di massa. Se così sarà, gli oltre 12.000 feriti, centinaia dei quali resi invalidi a vita e gli oltre 112 morti, verranno percepiti come vittime di un amaro tradimento perché quel che va considerato, nonostante la vulgata israeliana fatta propria dai mezzi d’informazione, è che la grande manifestazione di popolo iniziata il 30 marzo per il diritto al ritorno e la fine dell’assedio, non è una manifestazione di Hamas, sebbene i suoi leader – facilitati dalle accuse israeliane – alla fine siano riusciti a farla percepire come propria invitando la popolazione ad andare ed offrendo trasporto gratis per arrivare ai border.
Una dimostrazione di quanto affermato è data dalle “schegge” esasperate che all’obiettivo della grande marcia non rinunciano e che anche in questi giorni cercano di dimostrare, a costo della propria vita, che possono superare il confine e restituire all’IDF parte di quel che l’IDF ha dato ai palestinesi. Infatti piccoli gruppi di giovani sono riusciti più volte a entrare dimostrando che se i droni israeliani possono bruciare le tende dei palestinesi, anche i palestinesi, sebbene con rischi infinitamente superiori, possono fare altrettanto.
Ma Israele ha la forza per bloccare queste infiltrazioni e la usa, sebbene in modo diverso. Talvolta ne fa uso diretto, uccidendo chi non riesce a sottrarsi alla mira dei cecchini, talvolta invece, come ieri, lascia fare per poi trovare l’immediata giustificazione del mondo alla sua rappresaglia come è successo questa notte. Ricordiamo che per il diritto internazionale la rappresaglia è legittima solo tra Stati belligeranti ed è imputabile allo Stato autore dell’illecito e non ai singoli cittadini, sempre e solo dopo aver accertato i colpevoli e inoltre deve essere sempre strettamente proporzionale all’offesa. Questo in sintesi recita la IV Convenzione di Ginevra e quindi le rappresaglie israeliane, non essendo tra Stati (non risulta che Gaza lo sia e lo Stato di Palestina non è comunque riconosciuto da Israele), non avendo accertato i colpevoli, non essendo proporzionali all’offesa, sono regolarmente illegali.
I bombardamenti di questa notte, quindi configurabili in rappresaglia illegale, sarebbero stati la risposta ufficiale all’azione di un gruppo di palestinesi che è penetrato in Israele dal sud della Striscia, nei pressi di Rafah, e ha dato fuoco a una postazione di cecchini israeliani. Perché l’esercito israeliano non sia intervenuto, sebbene in una nota abbia comunicato di essere a conoscenza dell’azione, è intuibile ma non dimostrabile. L’accusa comunque è indirizzata ad Hamas, nonostante non ce ne siano prove.
Che siano stati militanti di Hamas o meno a compiere l’azione non è dato saperlo ma, applicando un ragionamento logico dovrebbero essere elementi sfuggiti al suo controllo visto che Hamas, come detto sopra, starebbe trattando per la fine della grande marcia in cambio di aiuti alla popolazione. Tuttavia, attribuendo ad Hamas qualunque cosa avvenga nella Striscia, il ministro Liberman, dopo i bombardamenti di questa notte – che hanno distrutto due barche destinate a rompere l’assedio portando fuori i malati impossibilitati a uscire e alcune postazioni militari vicino Jabalia – ha sbeffeggiato le Autorità politiche di Gaza invitandole ad ammettere che il loro progetto militare è fallito.
La risposta non poteva che essere una, in questo micidiale gioco di potere in cui le vittime fungono da pedine, la risposta è stata che le proteste popolari saranno alimentate dalla repressione e Israele non riuscirà con la sua violenza a indebolire la determinazione del popolo gazawo.
In effetti, dopo settant’anni di invasione, repressione e occupazione, nonostante le innegabili lacerazioni del tessuto sociale dovute a rivalità politiche e a una forte spaccatura tra movimenti laici e movimenti religiosi, il popolo palestinese, tutto, ha contraddetto la convinzione che Ben Gurion, il fondatore dello Stato israeliano, espresse nell’aprile del ’48 quando affermò che “i vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno”. Infatti non è bastata la violenza dell’occupante e il sostegno di cui gode a livello internazionale a spezzare la determinazione di questo popolo e probabilmente non basterà.
E’ più facile che l’idea di Ben Gurion si realizzi con altri mezzi e Israele, con l’aiuto della sua intelligente propaganda, di una sapienza notevole di psicologia delle masse e del ricorso al sempiterno potere della corruzione in situazioni di bisogno, potrebbe riuscirci. Ma è un obiettivo difficile da raggiungere e probabilmente Israele non ci riuscirà se i palestinesi, e i gazawi in particolare, si renderanno conto per tempo che qualcuno sta tentando di trasformarli da popolo resistente e dignitoso, a popolo di questuanti depressi e disperati.
La partita, secondo chi scrive, ora si gioca su questo terreno oltre che su quello della violenza che l’occupante comunque non abbandonerà finché ci sarà una resistenza che, in forme diverse, seguiterà a opporsi al suo strapotere anche semplicemente seguitando a chiedere il riconoscimento di diritti inalienabili, non solo per i palestinesi, ma per la stessa sopravvivenza del diritto internazionale che sotto la falce israeliana rischia di diventare solo simulacro di se stesso.
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
L’istituzione museo nasce come luogo-contenitore delle arti e della memoria culturale ad esse legata. Luogo della memoria e dell’identità quindi, l’accento sulla funzione educativa, da svolgere sul pubblico, viene posto dall’Illuminismo e dall’epoca napoleonica.
A livello legislativo le funzioni del museo sono raccolte, da una parte sotto il termine tutela, intesa come conservazione dell’oggetto e della memoria ad esso legata, implicante la conoscenza dell’oggetto stesso e del suo contesto. Dall’altra sotto il termine valorizzazione, inteso come divulgazione ad un pubblico più vasto possibile del contenuto museale. Anche in questo caso è implicata la conoscenza, in funzione della fruizione e acquisizione di informazioni, ma anche dell’intrattenimento a vario livello.
L’attività editoriale del museo ottempera ai doveri e alle funzioni dell’istituzione.
Nelle scorse settimane i Musei Vaticani hanno presentato il Catalogo delle pubblicazioni 2018 e un trittico di volumi.
Alla stessa collana Dentro il Palazzo, appartengono Vestire i palazzi. Stoffe, tessuti e parati negli arredi e nell’arte del Barocco e Lusingare la vista. Il colore e la magnificenza a Roma tra tardo Rinascimento e Barocco, dedicati agli allestimenti, agli arredi e alle collezioni dei palazzi romani nell’età moderna, a questi si aggiunge Il Papa e le sue vesti. Da Paolo V a Giovanni Paolo II (1600-2000). I tre volumi hanno in comune l’intento ormai dichiarato da anni di contravvenire alla divisione tra arti maggiori e minori, per tornare ad una visione complessiva e di contesto. Viene confermata quella attenzione accordata all’effimero e al collezionismo. Ancora nuova è l’attenzione concessa al tessuto, indagato nelle sue molteplici sfaccettature di manifattura, moda, mercato.
I due volumi della collana hanno visto la collaborazione tra il Getty Research Institute di Los Angeles, la “Sapienza” Università di Roma e i Musei Vaticani. Parati, tessuti, arazzi e i cosiddetti corami, cioè cuoi lavorati, di cui si ha un esempio nelle pareti laterali di quella che era la cappella privata di Urbano VIII, adiacente alla Stanza dell’Incendio di Borgo di Raffaello ai Musei Vaticani, costituiscono gli oggetti di ricerca di Vestire i palazzi.
La magnificenza espressa da mosaici, dai marmi pregiati e dagli stucchi è il tema di Lusingare la vista.
Il Papa e le sue vesti indaga sulle figure dei pontefici, dei committenti, degli artigiani, dei disegnatori, dei tessitori e dei ricamatori.
Vestire i palazzi
Stoffe, tessuti e parati negli arredi e nell’arte del Barocco
Dentro il Palazzo, 1
Edizioni Musei Vaticani
Città del Vaticano 2014
€ 56,00
Lusingare la vista.
Il colore e la magnificenza a Roma tra tardo Rinascimento e Barocco
Dentro il Palazzo, 2
Edizioni Musei Vaticani
Città del Vaticano 2017
€ 60,00
Marzia Cataldi Gallo
Il Papa e le sue vesti
Da Paolo V a Giovanni Paolo II (1600-2000)
Edizioni Musei Vaticani
Città del Vaticano 2016
€ 70,00
Conoscere cosa si mangia è basilare per la propria salute e longevità a detta dell’esperto: il prof. Antonino De Lorenzo, Ordinario del dipartimento di Biomedica e Prevenzione- Dipartimento Scienze dell’Alimentazione- dell’Università di Tor Vergata a Roma. Per il professore la missione è quella di far capire al consumatore le differenze e il valore alimentare di ciò che mangia.
“Per vivere a lungo e bene, le scelte nutrizionali del consumatore devono essere adeguate al proprio fabbisogno e metabolismo”. Non ha dubbio alcuno, il Prof. Antonino De Lorenzo iniziando a dialogare a margine del convegno “La sana e corretta alimentazione, frutto della terra e del lavoro dell’uomo” tenutosi presso il teatro della scuola “Istituto Caterina di Santa Rosa”, di Roma, il 24 maggio scorso.
Il suo obiettivo è far comprendere al consumatore che il modello alimentare che ci permette di assicurare al nostro organismo benessere e longevità è quello della “vera” dieta mediterranea.
L’unico modello alimentare per raggiungere lo stato di salute e l’importante traguardo della vita, dove tra chi mangia bene e chi mangia male, c’è un gap dai sei ai dieci anni di aspettativa di vita.
Tanti, troppi anni di differenza, in considerazione del fatto che basta scegliere cosa mangiare e puntare sulla qualità del cibo, per assicurarci benessere e salute.
Il Professor De Lorenzo ha impegnato tutta la sua vita di ricerca nell’identificazione dei parametri salutari utili per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative. E’ al suo gruppo di ricerca a Tor Vergata, che va intestata la scoperta nel 2004 della “ Normal Weight Obesity”, una sorta di sotto classificazione dell’obesità che ha permesso a tutti gli esperti del mondo di affrontare scientificamente l’obesità come patologia vera e propria.
Di fronteggiarla e aggredirla con le prospettive di una medicina predittiva che con venti-trenta anni di anticipo sia in grado di conoscere le condizioni di rischio di alcune cardiopatie ischemiche e di alcuni tumori.
“L’obesità è una patologia preponderante in questa società che solo negli ultimi anni è aumentata del 2,5%” afferma De Lorenzo. E’ nemica della longevità, perché chi è obeso vive di meno dei normopeso. Ed in più, dati alla mano, va detto che l’80% dei bimbi obesi nell’infanzia lo saranno anche nell’età adulta.
Quindi, è qui il messaggio per tutti i consumatori e per le mamme che guidano le scelte alimentari dei propri figli: far sapere che l’alimentazione è oggi, tra le prime cause di malattia a livello mondiale.
Solo le scelte salutari di chi mangia e di cosa mangia possono migliorare l’aspettativa di vita e il benessere. Come? Riducendo le calorie rispetto al consumo alimentare- ma mai al disotto del fabbisogno- aumentando l’attività fisica e scegliendo il modello di dieta mediterranea che facevano i nostri contadini negli anni ’50. Prevalentemente biologico e non convenzionale.
Per questo, il professore passa in rassegna i caposaldi della dieta mediterranea: grano, olio, carne, pesce, latte e formaggi, uova, legumi, frutta e verdura. Unico modello, quello della dieta mediterranea, vincente in termini di salute e ormai certificato a livello europeo e mondiale.
Pensate che questi furono i risultati di una ricerca scientifica degli anni cinquanta, lo studio-pilota del 1957 dell’esperto americano, Ancel Keys, che nel Cilento, osservò che dalla popolazione italiana erano assenti sintomi del diabete e arteriosclerosi, già molto presenti nella popolazione USA. Il prof. Keys capì che tutto era legato all’alimentazione: pasta, pomodoro, pesce, verdura, frutta e olio, che erano vincenti in termini di salute e benessere.
Il relatore, a tal proposito, rimarca che grossa responsabilità nel dirigere i consumi ce l’ha l’industria alimentare che ci usa come pedoni nella scacchiera dell’offerta gastronomica. Senza rendercene conto, abbiamo perso la libertà di movimento, le mosse sono state già precedentemente studiate dal marketing delle grandi multinazionali. Dobbiamo, allora riappropriarci del cibo vero, biologico, di qualità, quello che nutre attraverso le scelte consapevoli. Ed educare al consumo, come materia di educazione scolastica, cosa che non si è riuscita ad ottenere nei programmi scolastici italiani, ma che c’è in molte realtà come l’Istituto Caterina di Santa Rosa di Roma.
L’educazione al consumo, se instillata fin dall’inizio del percorso formativo dei giovani, aumenta la coscienza critica ed il confronto costruttivo, in termini di cosa si mangia a tavola e cosa privilegiare.
Conoscere per capire, può apparire uno slogan ma richiede impegno e scelte: dove fare la spesa, scegliendo i colori naturali dei cibi, la qualità, il pesce rispetto alla carne, i legumi, i vegetali e la frutta, ad esempio, che non devono mai mancare sulla tavola delle nostre famiglie.
Un ultimo consiglio, infine, il nostro relatore lo ha dato a tutte le mamme presenti: date alici tre volte alla settimana ai vostri figli, condite con succo di bergamotto e il loro quoziente intellettivo aumenta considerevolmente.
Il libro della vita dei vostri figli, si può scrivere dal punto di vista alimentare e della salute, fino ai trent’anni poi sarà per loro quello che voi avete contribuito a scrivere.
Circa venti opere realizzate da Giovanni Neri negli ultimi due anni, sono disposte negli spazi del Palazzo Santa Chiara nel cuore di Roma. Sono disposte più che esposte, perché entrano quasi a far parte dell’arredo dei particolari ambienti del palazzo, adibiti soprattutto ad ospitare eventi. Una parte dell’edificio seicentesco viene trasformata in teatro nel 1873.
I dipinti sono dislocati lungo le mura perimetrali di quello che possiamo definire il foyer del piccolo teatro, che, sul fondo, si apre su uno spazio minore dove si trova l’accesso alla Cappella del Transito di Santa Caterina da Siena. Il corpo della Santa è visibile al di sotto dell’altare centrale della Chiesa di Santa Maria sopra Minerva. La cappella fu realizzata nel 1638 negli ambienti che l’avevano ospitata, ormai spogli di qualsiasi memoria materiale.
Nel foyer, al di là di una tenda, si accede ad un disimpegno che conduce al piccolo teatro, mentre sulla sinistra parte una breve scalinata. Sui gradini, il Banner di Giovanni Neri è una sorta di guida che conduce al dipinto posto alla sommità, creando un allestimento suggestivo.
Le opere sono costituite in maggioranza da acrilici su masonite.
L’effetto dripping, che ricorda la pittura gestuale di Pollock, è accompagnato da quello che sembra generato dalla stessa interazione chimico-fisica del colore con se stesso e con la superficie. Una sorta di interferenza o onda, è quella che sembra di vedere, o come se il colore avesse una consistenza elastica e fosse stato tirato e deformato.
Proprio nel gesto e nel colore Giovanni Neri, in questi ultimi anni, ha trovato la migliore espressione dell’emozione e della sua ricerca. Questa si svolge per temi, gran parte delle opere esposte appartengono alla serie Leggendo Ungaretti.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo che rende conto del lavoro dell’artista, le immagini coprono un arco temporale che dal 1989 arriva al 2018.
Nella pubblicazione si parla anche del documentario Terre incolte. Giovanni Neri e la sua pittura, che fa capire come l’arte sia per lui una necessità di evasione dal quotidiano lavoro della terra.
Giovanni Neri
Opere recenti
17 maggio-12 giugno 2018
Roma, Palazzo Santa Chiara
Ingresso libero
Orari: dalle 10 alle 20.30, lunedì chiuso
Catalogo: Palombi Editori €. 19,00
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
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Terenzio Medri |
Un’altra figura storica del mondo della sommellerie internazionale ci ha lasciato. Addio a Terenzio Medri, albergatore con la passione del vino: È stato presidente dell’A.I.S, Associazione Italiana Sommelier. CIN Presidente!
La Riflessione!
“Vini prodotti con metodi di lavoro che prevedono il minor numero possibile di interventi in vigna e in cantina e che escludono l’utilizzo di additivi chimici e di manipolazioni da parte dell’uomo”. Questa una delle tante definizioni che troviamo in giro in riferimento ai cosiddetti “vini naturali”. Quando poi vengono organizzate tavole rotonde per osannare i vini veri, a mio avviso, tocchiamo il fondo nella comunicazione: vero è proprio inganno per i consumatori. Il contrario di Naturale: artificiale, alterato. Il contrario di Vero: falso, ingannevole. “Dobbiamo giocare tutti con le stesse regole. Vini naturali, vini veri, sono termini ambigui” ( Ruenza Santandrea. Coordinatrice Alleanza Cooperative Agroalimentari). Aggiungo:” Il vino naturale non esiste. È frutto del lavoro dell’uomo. Altra cosa è biologico”.
Frammento n. 1
Cerea, Vini Veri.
Si è svolta a Cerea, pochi chilometri da Verona, in concomitanza con il Vinitaly, la quindicesima edizione di Cerea ViniVeri, “nel rispetto dei ritmi e delle risorse naturali”. Tema conduttore per questa edizione è stato:” Amore per la natura e i suoi cicli”. Amore come arte del saper attendere, come “certezza che la natura non tradisce mai”, nel rispetto dei ritmi e delle risorse naturali. “Amore, in un’epoca di standardizzazione e omologazione, per i frutti di un’agricoltura sostenibile che preserva ed esalta la ricchezza e l’unicità dei territori e della loro biodiversità”. Così è stato sostenuto da Giampiero Bea, Presidente di ViniVeri. Filosofia pratica che è e vuole diventare anche stile di vita. Non importa se il vino non è buono. L’importante è che sia frutto di amore, natura, passione, ambiente, rispetto, sostenibilità, identità. Quindi al centro il vignaiolo, la vigna, la cantina. Al bando i trattori inquinanti, le vendemmiatrici, tutta la tecnica di vinificazione che ha rappresentato studi e conquiste per il viniviticoltura. E dato che ci siamo chiudiamo le Facoltà di Agraria ed Enologia che sfornano di continuo i “personaggi del male”. Però, attenzione, udite udite, un piccolo peccato può essere ammesso: l’aggiunta in “modeste” dosi di solfiti. Viva Cerea e i suoi Vini Veri. Se non ci fosse saremmo tutti senza una parte di “filosofia di vita”. Un consiglio: continuate questo tipo di produzione e lasciate agli assaggiatori dire che il vino così ottenuto è Vino Buono.
Frammento n. 2
Spesso ci dimentichiamo delle Pietre Miliari della ViniViticoltura.
I 40 anni di Banfi ci ricordano, in questo mondo di ricerca del diverso a tutti i costi, che esistono realtà che rappresentano la viniviticoltura italiana nel mondo. Era il 1978, l’anno della messa a dimora della prima barbatella di sangiovese a Montalcino. Ogni tanto corre l’obbligo di ricordarlo per primo a noi stessi: cosa sarebbe oggi Montalcino senza Biondi-Santi, Fattoria de’ Barbi e Banfi? Festeggerà i traguardi raggiunti, oltre a degustazioni particolari e iniziative sia in Italia che all’estero dove l’etichetta Banfi è presente, con un vino celebrativo, prodotto solo in 2.000 esemplari, che non sarà in vendita ma omaggiato a selezionati clienti che propongono Banfi in tutto il mondo.
Frammento n. 3
Sandro Gini eletto Presidente del Consorzio Tutela Vino Soave.
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Presidente Gini |
Sandro Gini, enologo classe 1958 e titolare dell’azienda “Gini Sandro e Claudio” è il nuovo Presidente per il mandato 2018/2020. Subentra ad Arturo Stocchetti, storico Presidente rieletto per 14 anni. Conscio di essere a “capo” di circa tremila piccole aziende distribuite su circa 7.000 ettari di territorio vitato. La sfida è quella di proporre un nuovo Soave sia in Italia che all’estero, arricchito di valori basati sull’unicità del territorio. Occasione per vedere alla prova il Nuovo Presidente è stata Soave Preview, dal 17 al 20 maggio scorso. Dove, davanti ad una platea formata da stampa specializzata e buyer da tutto il mondo, ha ben spiegato i nuovi progetti di tutela e valorizzazione della denominazione. Buon lavoro Presidente!
Frammento n. 4
Terremoto nel Consorzio dell’Oltrepò Pavese.
Era nell’aria già da tempo. 15 aziende hanno lasciato il Consorzio perché “legato a schemi passati”. Gli “aventiniani” che da tempo partecipavano passivamente alle riunioni consortili, si sono riuniti presso l’Azienda Torrevilla sottoscrivendo le lettere individuali di dimissioni irrevocabili. Pare che, alle prime quindici, seguiranno altre. Una cosa è certa: viene meno il ruolo del Consorzio su controllo e vigilanza delle produzioni nel territorio. Il futuro? Auspicabile le dimissioni di tutto l’apparato consortile, apertura di un serio dibattito e riscrivere nuove politiche di rinnovamento. Altrimenti questa scissione non sarà che l’inizio di un nuovo percorso che porterà alla costituzione di un Consorzio alternativo. Diciamo la verità: l’Oltrepò non ci guadagnerà.
Frammento n. 5
Tar: la nocciola delle Langhe è solo delle Langhe.
Svolta storica: la sentenza del Tar Lazio ha accolto il ricorso presentato da circa cento comuni piemontesi per difendere il nome e l’identità di un territorio. La sentenza mette fine alla generica definizione “Langhe” e apre la strada al riconoscimento di una nuova Igp che farà storia: Langhe è solo delle Langhe. Quindi cancellazione dal Registro Vivaistico Nazionale “Tonda Gentile Langhe” che permetteva ad altre nocciole, di quella specie prodotte nel resto d’Italia, di portare in etichetta Langhe creando nel consumatore una evidente confusione.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Fino al 26 maggio è visibile presso Cosarte a Roma, la mostra collettiva Contemporanea-mente. Non c’è un tema univoco che collega le opere, differenti anche per il mezzo espressivo prescelto dai diversi autori. In prevalenza sono state realizzate con una tecnica mista, come le opere di Luciano Antonacci, ma anche con colori acrilici, Maurizio Campitelli, o olio su tela, Anna Cunicella. In gran parte sono dipinti, ma sono presenti anche alcune fotografie di Giorgio Cirillo e di Debora Gloriani, delle illustrazioni di Cinzia Isabella Chitti e una scultura di Enzo Romani, forse il più classico degli autori presenti.
Figurativo, Debora Mazzone e astratto, ricorda la tecnica del dripping di Pollock, Maria Grazia Lunghi, ma anche recupero e riutilizzo di materiali, proposto da Roberto Fantini.
Il trait d’union è da rintracciarsi proprio nel titolo, in cui mente e contemporanea sono separati. Il protagonista è quindi il mondo contemporaneo interpretato, però, o meglio filtrato, pensato dalla mente, che condivide e vive il medesimo momento.
Lo spazio espositivo di Simona Gloriani nasce come scelta di vita, a contatto con il quotidiano del quartiere Garbatella. Si apre sulla strada come spazio creativo che invita a partecipare a corsi di pittura, ad eventi di varia natura, disponibile alla collaborazione con altre iniziative culturali ad ampio spettro presenti sul territorio.
Nel 1933 i bambini di Gruaro vennero sacrificati sull’altare della conoscenza: cavie umane a cui non è stata dedicata nemmeno una lapide
In questi giorni, nel silenzio generale, ricorre l’85° anniversario di una strage sconosciuta ai più ma non per questo meno terribile e assurda.
Nel 1933 si decise di avviare la sperimentazione di un nuovo vaccino antidifterite sui bambini dai 13 mesi agli 8 anni residenti nel comune di Gruaro, un paesino tra i più piccoli e poveri del Veneto. Il vaccino costava 80 centesimi e sarebbe stato inoculato gratuitamente.
L’ufficiale sanitario, il dott. Bettino Betti, si rifiutò di praticare i vaccini poiché non vi erano focolai epidemici di difterite (si erano verificati soltanto due casi negli ultimi tre anni) ma sotto le pressioni del prefetto di allora fu costretto a procedere. In una settimana, a partire dal 10 gennaio 1933, furono vaccinati 253 bambini, nonostante la diffidenza della gente e la contrarietà del parroco di Guaro e di quello di Bagnara. Dopo i primi “eventi avversi” (eritemi, esantemi, orticaria, edemi, disturbi gastrointestinali), il 18 aprile il dott. Betti riscontrò il primo caso allarmante su un bimbo di 3 anni, “colpito agli arti inferiori,” e dal giorno successivo cominciarono a moltiplicarsi i casi di paralisi.
Alla fine, 28 dei 253 bambini vaccinati morirono e altri riportarono danni neurologici permanenti.
Ariego Rizzetto, nel libro “Gruaro, venti secoli di storia”, racconta questo episodio, oggetto anche delle testimonianze di Adamo Gasparotto che alla strage sopravvisse insieme alla sorellina di 3 anni e cercò – del tutto inutilmente – di mantenere viva la memoria su questa storia vergognosa. Infatti, ogni famiglia colpita da lutto ricevette 7mila lire e tutto fu insabbiato. Visto ciò che stava succedendo le autorità salirono a Gruaro per far sparire ogni traccia del vaccino passando addirittura di famiglia in famiglia per raccattare tutte le scatole vuote. Il fascicolo scomparve e non risulta che sia stata avviata alcuna indagine giudiziaria per accertare eventuali responsabilità.
Si diceva che la storia di questa strage è sconosciuta ai più e si capisce il perché. E’ una storia molto, molto scomoda. Specialmente di questi tempi. Tempi in cui anche i nostri bambini fungono da cavie, sottoposti d’autorità a dosi massicce di vaccini di cui non si conoscono le sperimentazioni, non si conoscono i componenti, non si conoscono gli effetti e non si conoscono le controindicazioni. Tutto in nome di una scienza sovrana lasciata nelle mani di pochissimi eletti spesso in palese conflitto di interessi. Ci sono però tantissimi Gasparotto che non ci stanno e continuano a battersi per un approccio più democratico, più dialettico e più responsabile del problema, in modo da evitare che l’elenco dei 28 bambini di Guaro continui ad allungarsi con l’inclusione di tante piccole vittime ignote.
Di seguito gli articoli sull’argomento usciti su “Il Gazzettino”:
“Quei bambini usati come cavie per testare un vaccino: morirono in 28” di Gabriele Pipia, martedì 2 dicembre 2013.
“Bimbi usati come cavie: sparito il fascicolo sulla strage di Gruaro” di Maurizio Marcon, mercoledì 3 dicembre 201
“Fecero la foto per la lapide ma io sono sopravvissuta” di Gian Piero del Gallo, giovedì 5 dicembre 2013.
Articolo sulla Rivista la bassa, anno XXXV, n. 66, giugno 2013 di Giacomo Tasca.
Lettera aperta al Sindaco di Gruaro (281,3 KiB, 1.858 download)
La strage di Gruaro del 1933, Il Gazzettino (198,3 KiB, 639 download)
estratto da 'Gruaro, venti secoli di storia': la strage del 1933 (489,3 KiB, 832 download)
http://www.veneziatoday.it/cronaca/strage-gruaro-2933-bambini-morti-vaccino.html
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