L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1434)

Free Lance International Press

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Sotto lo sguardo vigile del padrone di casa, il cardinale Marco Sittico Altemps, troneggiante dall’apice del fastigio con stemma e iscrizione sul caminetto, Salvatore Settis, ha parlato su Mostrare la storia, coltivare la memoria nei Musei.

Nella dimora gentilizia, che, ora, è una delle sedi del Museo Nazionale Romano, in particolare quella che rende conto del collezionismo delle famiglie nobili nel Rinascimento, al cospetto del Galata suicida e del Sarcofago Ludovisi, si è parlato del MEIS, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. Il MEIS è a Ferrara, la città che, nel Quattrocento dei Gonzaga, ha accolto gli Ebrei, ancora una volta cacciati e, che, in tempi più vicini, con Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, tramanda la memoria di storie personali vissute all’interno della Grande Storia, prima e dopo le leggi razziali fasciste. Il museo ferrarese è responsabile della comunicazione della memoria dei duemila e duecento anni della comunità ebraica “italiana”. La mostra attuale, illustrata nel catalogo edito per i tipi della Electa, è stata definita “prefigurativa” di ciò che sarà il museo, anche perché la memoria che tramanda è dei “primi mille anni”. È costituita da opere provenienti da altri musei e da calchi e riproduzioni di quelle inamovibili. Addirittura sono stati ricostruiti tratti delle catacombe ebraiche di Roma. È connotata dall’aniconismo.

A Roma duecento anni prima di Cristo si è stabilita la comunità ebraica. Da Roma è partita la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme per mano di Tito. Nei rilievi all’interno del fornice centrale dell’arco dedicato all’imperatore alle pendici del Palatino, la memoria storica dell’evento. L’immagine della Menorah è scolpita nella pietra, tra i trofei del corteo trionfale.

La memoria come trauma, come comunicazione del trauma, se nel Sarcofago Ludovisi trova espressione nella sopraffazione, nel Galata suicida è, invece, il non arrendersi oltre la morte, che viene testimoniato.

La memoria non è asettica, è, al contrario, affettiva, coinvolgente. La memoria è selettiva, decide cosa e come ricordare. Lo stesso fa l’oblio. Memoria e oblio costruiscono il futuro. Nella intitolazione delle strade si traccia una memoria topografica. Intitolare una via ad Almirante significa voler dimenticare i suoi scritti razzisti o almeno sminuirne, se non occultarne la gravità. Azione ancora più grave se assecondata e giustificata da un Ministro dell’Interno. Vuol dire obliare il ruolo attivo, la partecipazione degli Ebrei Italiani, all’unità d’Italia e alla formazione dello Stato. Vuol dire voler dimenticare di essere nati come società calda, come la definisce Levi-Strauss, connotata dalla stratificazione delle diversità, dall’accoglienza della diversità.

Il museo come luogo di comunicazione della storia e di coltivazione della memoria, oggi, è un’istituzione che sta cambiando. Dall’educazione del popolo si sta passando all’edutainment, l’intrattenimento educativo.

Orhan Pamuk vede un parallelo tra il passaggio dall’epica al romanzo e dai musei dei palazzi ai musei nazionali. Questi ultimi dovrebbero partecipare non solo la grande storia, ma la storia quotidiana, testimoniata, ad esempio da quegli oggetti d’uso esposti nei musei archeologici.

Può essere letta in tal senso la mostra in corso, Citazione pratiche. Fornasetti a Palazzo Altemps. Personalmente, la sensazione suscitata dall’interazione tra gli inarrivabili capolavori del passato e l’irriverente ironia delle opere del presente, è di forte disturbo e irritazione. Gli spazi del Palazzo e l’aura dei capolavori risultano violati, invasi. Il passaggio dall’epica al romanzo corrisponde a quello tra aristocrazia e borghesia, ma non si tratta di una transizione naturale, ma di un vero e proprio quarantotto.

Martedì 26 giugno (giornata mondiale contro l'abuso e il traffico illecito di droga). Grande emozione, presso la Chiesa di Scientology di Roma e Mediterraneo, quando rappresentanti della Fondazione per un Mondo Libero dalla Droga, l’Anglad e l’Associazione Fuori della Porta Onlus e gli oltre 50 partecipanti al convegno hanno deciso di Unirsi contro la schiavitù della droga con l’arma più potente: l’istruzione.

Tra i relatori Don Giovanni Carpentieri, un prete sulle strade dei giovani che li raggiunge anche nelle discoteche per distoglierli dalla droga; Sandro Matini che con oltre 400 conferenze ha informato circa 40.000 studenti tra i 12 e 18 anni raccontando loro la verità sulla droga e Paolo De Laura che da oltre 20 anni si dedica ad aiutare chi è caduto nella trappola della droga.

Don Giovanni, Sandro e Paolo hanno raccontato le loro emozionanti esperienze su come aiutano i giovani ed hanno sensibilizzato il pubblico presente che con entusiasmo, e la certezza che qualcosa si può fare, si è unito nel grande progetto di prevenzione “creare un mondo libero dalla droga”.

Materiale didattico informativo, realizzato dalla Fondazione per un Mondo Libero dalla Droga che permette ai giovani di conoscere la verità sulla droga ed arrivare ad una scelta consapevole e informata di non assumere droga in primo luogo è stato messo a disposizione dei partecipanti: manuale per l’insegnante, con un piano di lezioni sulle droghe; 14 opuscoli sulla verità sulla droga, dvd contenente documentario di storie vere, annunci di pubblica utilità e un kit informativo sul programma “La Verità sulla Droga”.

June 25, 2018

Nel quadro delle crescenti tensioni politiche interne e internazionali, i risultati delle elezioni legislative e presidenziali in Turchia potrebbero avere serie ripercussioni sugli equilibri geopolitici non solo del Medio Oriente, ma anche del Mediterraneo orientale, dove gli interessi di Ankara si scontrano con quelli di Atene e dell'Unione europea

Attese dall'attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan, che vorrebbe la maggioranza assoluta per presentarsi come il nuovo “padre della patria”, le elezioni legislative e presidenziali del 24 giugno in Turchia suscitano l'attenzione della Grecia, appena formalmente libera dai riflettori della troika e in una posizione delicata all'interno dell'Unione europea. Con Ankara, Atene ha in sospeso questioni cruciali per gli equilibri nel Mediterraneo orientale: la definizione della piattaforma continentale dell'Egeo, Cipro e i diritti di ricerca di giacimenti di gas a largo delle sue coste, gli otto militari turchi fuggiti in Grecia dopo il tentato golpe di luglio 2016 e i due soldati greci arrestati e ancora tenuti “in custodia” dalle autorità turche. Questioni che in Turchia hanno un particolare rilievo politico, soprattutto da quando la crescita economica e la riduzione del tasso di disoccupazione non appaiono più così a portata di mano come negli ultimi due decenni, quindi non sono più argomenti privilegiati a buon mercato in campagna elettorale.

Il partito di Erdoğan, Giustizia e sviluppo (AKP), da almeno tre anni impone una visibilità mediatica quasi esclusiva a temi geopolitici, cui dal luglio 2016 si è aggiunta la guerra ai nemici interni: una soluzione manu militari della questione curda e l'eliminazione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK, con il quale lo stesso Erdoğan aveva avviato un negoziato nel 2013), il prevalere degli interessi turchi in Medio Oriente, l'espansione dell'influenza turca nei Balcani (dagli anni '90 del secolo scorso, le moschee in Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo e nel Caucaso sono per lo più finanziate da Ankara) e la revisione del Trattato di Losanna del 1923. Un misto di riferimenti simbolici da un lato al padre della patria Mustafa Kemal Atatürk e al nazionalismo turco, dall'altro all'Impero ottomano, al suo espansionismo e al ruolo chiave dell'islam. Simili, se non più radicali le posizioni di Meral Akşener, candidata del Buon Partito (o partito del bene, İyi), nato da una scissione all'interno del Partito del movimento nazionalista di Devlet Bahçeli (MHP, che invece sostiene Erdoğan). Più moderato il candidato dei kemalisti laici e socialdemocratici del Partito popolare repubblicano (CHP, guidato da Kemal Kılıçdaroğlu), Muharrem İnce, professore di fisica di origini contadine. Le proposte più concilianti vengono invece dal Partito democratico dei popoli (HDP, filocurdo, ma in generale sensibile alla giustizia sociale, alla questione di genere e ai diritti delle minoranze), il cui candidato Selahattin Demirtaş seguirà le consultazioni dal carcere.

La volontà di Erdoğan, candidato favorito alle presidenziali, di modificare il trattato di Losanna, manifestata nel dicembre 2017 in occasione della sua storica visita ufficiale ad Atene, rischia di diventare un ulteriore motivo di attrito con la Grecia, acuendo la tensione nel Mar Egeo tra i due paesi, entrambi membri dell'Organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord (NATO). Negli ultimi decenni, a più riprese Ankara e Atene sono state sul punto di dichiararsi guerra. Ad esempio, nel 1996 si è accesa un'aspra disputa, non ancora definitivamente risolta, sul controllo di due isolotti disabitati, chiamati Imia dai greci, Kardak dai turchi: alla fine di gennaio, un elicottero greco da ricognizione precipitò in mare e i tre soldati a bordo morirono (la notizia inizialmente non fu diffusa per evitare ripercussioni internazionali e interne ai due paesi coinvolti), ma la mediazione ufficiosa di Washington sopì momentaneamente la controversia; a maggio dello stesso anno, tuttavia, la collisione tra una motovedetta turca e una greca al largo di questi “scogli” fu seguita da nuove reciproche accuse di sconfinamento (un episodio simile è avvenuto nel febbraio di quest'anno: Erdoğan ha invitato la Grecia a non sottovalutare la Turchia). La crisi ha rischiato nuovamente di esplodere nel maggio 2006, quando un caccia F-16 da combattimento greco e un velivolo da ricognizione RF-4 turco si sono scontrati al di sopra dell'isola di Karpathos, la più meridionale del Dodecaneso: secondo Atene il caccia turco aveva violato lo spazio aereo greco, mentre Ankara accusò l'aviazione militare greca di intralciare le esercitazioni dell'aeronautica militare turca. Non si trattò tuttavia di un episodio isolato: la Hellenic Air Force ha rilevato nel solo 2014 ben 2.224 sconfinamenti. Inoltre, tra gennaio e febbraio 2016, caccia turchi hanno violato più volte lo spazio aereo greco, in particolare sopra le isole di Samos, Chios (Egeo sud-orientale), Limnos e Lesvos (Egeo nord-orientale). Ma l'episodio forse più grave si è verificato il 1 agosto 2017, quando undici F-16 turchi hanno sorvolato le isole dell'Egeo orientale per ben dodici ore, prima di essere intercettati e respinti dall'aviazione militare greca. Il ministero della Difesa di Atene ha aperto un'inchiesta informando le autorità internazionali. Per alcuni analisti si è trattato di una rappresaglia di Ankara a seguito del respingimento di un aereo spia turco CN-235 da parte dell'aeronautica militare greca. Lo scorso aprile, dopo che gli F-16 greci avevano intercettato un drone Uav Turco nei cieli dell'isola di Rodi, il ministro della Difesa greco Panos Kammenos ha annunciato di voler inviare 7.000 soldati nelle isole dell'Egeo e al confine con la Turchia per “far fronte a qualsiasi minaccia”.

 

Oltre alla questione dell'Egeo, un altro tema caldo nel quadro delle relazioni greco-turche è quello di Cipro. Nel 1960 l'isola conquista l'indipendenza dalla Gran Bretagna (cui era stata assegnata dal Trattato di Losanna), che tuttavia vi mantiene le due basi di Akrotiri e Dhekelia con oltre 4.000 soldati. Da subito l'isola è stata oggetto delle mire dei nazionalisti greci e turchi, che ne rivendicavano l'annessione. Negli ultimi anni, la Turchia ha più volte effettuato manovre di disturbo all'interno della Zona economica esclusiva (ZEE) di Cipro, che dal 2004 è membro dell'Unione europea. Questione cipriota e tensioni con la Grecia nell'Egeo sono state le motivazioni per cui la Ankara ha rifiutato di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare nel 1988 e ha sempre contestato gli accordi del 2004 tra Cipro, Israele, Libano ed Egitto per la delimitazione delle rispettive ZEE. Lo scorso aprile, inoltre, Ankara ha emesso un nuovo Navtex (Navigational Text Messages), che prevede indagini sismografiche estese anche a zone di competenza cipriota. Un'altra azione di disturbo turca ha coinvolto anche l'Italia: lo scorso febbraio, la marina militare turca ha fermato la piattaforma dell'Eni Saipem 12000, in rotta verso Cipro per iniziare trivellazioni esplorative nei giacimenti di gas naturale, con il permesso di Nicosia (la piattaforma). Erdoğan si era già dichiarato contrario alla presenza dell'Eni nel Mediterraneo orientale, considerando le esplorazioni come “una minaccia” per Cipro e per la Turchia. La questione cipriota va avanti ormai, nella sostanziale indifferenza dell'Europa, dal 1974, quando, dopo il colpo di Stato dei militari greco-ciprioti vicini ai colonnelli greci (e il fallimento della mediazione statunitense), la Turchia invase l'isola occupandone la parte settentrionale. Nel conflitto morirono circa 4.000 persone, tra soldati e civili, mentre i dispersi furono un migliaio. La successiva partizione di Cipro fu seguita inoltre da uno scambio di popolazione forzato, sul modello degli “scambi di popolazione” tra Grecia e Turchia nel 1922: circa 200.000 greco-ciprioti furono costretti a lasciare il territorio della Repubblica turca di Cipro del Nord (non riconosciuta dalle Nazioni Unite), dove furono insediati oltre 300.000 coloni anatolici. Di contro, i militari golpisti ciprioti vicini ai colonnelli greci lanciarono persecuzioni ai danni della minoranza turca e circa 70.000 turco-ciprioti fuggirono al Nord. Una sorta di balcanizzazione ante litteram, che dovrebbe far riflettere i vertici europei e che rischia di coinvolgere anche la Russia, che da qualche anno inizia a riaffacciarsi sul Mediterraneo.

 

La terza spinosa questione che incendia i rapporti tra Ankara e Atene risale invece al luglio 2016. Dopo il tentato golpe, di cui Erdoğan accusa i seguaci del suo ex alleato, il predicatore islamico Fethullah Gülen, otto militari turchi sono fuggiti in Grecia, chiedendo asilo politico. Le insistenti richieste di estradizione da parte della Turchia sono state sistematicamente respinte dalle autorità greche, che hanno inoltrato i dossier alla magistratura, per valutare se ci fossero gli estremi per riconoscere lo status di rifugiato agli otto militari. A fine maggio, il Consiglio di Stato greco ha concesso tale status a uno di loro (con la motivazione che in patria non gli sarebbe garantito il diritto a un processo trasparente), aprendo la strada a misure analoghe per gli altri sette. Immediata la reazione di Ankara, che ha accusato Atene di “proteggere i terroristi”. Occorre notare che dal 2017 le richieste di asilo di cittadini turchi in Grecia sono aumentate di ben dieci volte rispetto al 2016: secondo il Servizio di asilo greco, lo scorso anno 1.827 turchi hanno avanzato richiesta di asilo politico. Inoltre, nel solo febbraio 2018, 17 ex funzionari turchi (tra cui alcuni magistrati) hanno chiesto asilo politico in Grecia, provocando un ulteriore deterioramento dei rapporti tra i due paesi. Il 22 giugno, a soli due giorni dalle consultazioni elettorali, il ministro degli Esteri turco Mevlut Çavuşoğlu ha persino insinuato che Tsipras avrebbe rifiutato l'estradizione degli otto militari turchi a causa di pressioni da parte dell'Unione europea. Gli otto militari ora potranno lasciare il territorio greco, ma la vicenda è complicata dall'arresto da parte delle guardie di frontiera turche di due soldati greci che sostengono di aver accidentalmente sconfinato a causa del maltempo: i due sono detenuti in Turchia dall'inizio di marzo, senza che nessuna accusa sia stata loro formalmente notificata. Il ministro della Giustizia greco Stavros Kontonis li ha definiti “ostaggi” di Ankara e teme che essi possano essere accusati di spionaggio. Secondo fonti diplomatiche greche, la Turchia intenderebbe invece scambiarli con gli otto militari turchi, ma Ankara finora ha smentito, adottando una strategia intimidatoria fatta di provocazioni militari e aggressioni verbali. Intanto, ad aprile, il Parlamento greco ha approvato con procedura accelerata un nuovo piano per la difesa, che prevede l'ammodernamento di armi e mezzi in dotazione all'esercito.

 
 Il Presidente Putin con il suo cane

Quando nel 1991 l’URSS finì di esistere iniziò il calvario della esistenza dei “bambini randagi” di Mosca, di Leningrado e di tante altre città della immensa ex Unione Sovietica.

Ma posto che quei bambini erano il prodotto della liberazione della Russia “dal comunismo”, nessuno in Occidente se ne fece un problema, e tutto passò sotto silenzio, come un “male necessario”. Forse qualche riflessione sarebbe necessaria, ora che si parla di cani randagi, non per proporre delle classifiche, ma per includere se possibile tutte le forme di violenza e di sofferenza, senza colpevoli amnesie od esclusioni.

Da tempo immemorabile – e per non andar troppo indietro nel tempo da almeno un secolo a questa parte – la Russia, ma non solo la Russia, e tutti i Paesi non allineati al sistema di pensiero unico liberista (e, paradossalmente, oggi, la Russia è un Paese capitalista a tutti gli effetti!), è oggetto di una aggressione militare e mediatica, a tutti i livelli.

Ogni Paese oggetto delle attenzioni occidentali può essere accusato dell’uso dei gas sui civili, di violazioni riguardanti i diritti umani, della repressione dei diritti degli omosessuali, ovviamente di propagandare l’antisemitismo, e da ultimo anche di contrasto alla immigrazione di massa e di praticare l’uccisione di massa degli animali.

Oggi si è totalmente perduto il senso della misura e della logica nell’assunzione, nel controllo e nella divulgazione di una notizia. Tanto è vero che le notizie della Siria arrivano dalla Gran Bretagna (ciò che del resto non scandalizza nessuno e televideo RAI riporta regolarmente le falsità del cosiddetto “Osservatorio siriano per i diritti umani”), ed è giusto che quelle della Russia provengano, ovviamente, dalla Spagna (ed altrove…) e ciò non è uno scherzo, è la pura verità.

Ed è a proposito di violenze sugli animali, cui ovviamente chi scrive è sensibile e attento, che ci troviamo di fronte all’ennesima falsità messa in piedi dai massmedia occidentale: i connotati della bufala ci sono tutti e ciò è dato anche dai soggetti che si sono fatti promotori della propaganda.

Chi abita in Spagna, chi negli Usa, chi altrove, hanno nomi fittizzi, fanno finta di essere russi e di trovarsi nei luoghi da cui inviano le immagini che peraltro, si è scoperto, ritraggono scene dall’Ucraina o dal Pakistan…

Una foto è stata divulgata da tale Elena Zvonkova che dice di essere di Mosca, ma vive a Valencia (Spagna), a migliaia di chilometri dalla Russia, per cui è giusto ritenere che sia in possesso di notizie di prima mano…

Un fenomeno così grave sarebbe saltato all’attenzione anche delle tv russe – e ve ne sono che avrebbero anche approfittato dell’occasione – e invece no, le tv sono russe ma si trovano in Francia…

 

foto presa in Pakistan e fatta passare in tutti i siti, come se fosse stata ripresa in una città Russa.
Sullo sfondo dell'immagine è possibile distinguere i caratteristici mezzi di trasporto locali di Karachi
(città del Pakistan).

Alcune fra le numerose fonti da cui provengono le notizie sono: il gruppo “east2west” che si trova in Canadà e naturalmente il “glorioso” quotidiano Daily Mail!

I fatti sono molto differenti da come sono stati raccontati. In Russia vi sono bande di cani randagi affamati, che specie nella stagione invernale, provenendo dai boschi, si avvicinano ed entrano nelle città, attaccando i soggetti più vulnerabili, quali donne, vecchi e bambini e ogni anno si registra un certo numero di morti (in media 35 morti, contando solo i bambini piccoli) e di feriti molto gravi. Inoltre ogni anno solo nella capitale russa, a causa dei morsi dei cani, vengono ferite circa 30 mila persone e considerando tutto il territorio russo, nel periodo 2000-2015 più di 200 russi sono morti di rabbia, e i cani sono i principali diffusori di questa malattia mortale per l’uomo.

Da parte loro, le autorità locali lottano con tutti mezzi per risolvere questo problema, soprattutto raccogliendo fondi per il mantenimento degli animali dopo la loro cattura. In base alla legge russa chi maltratta animali è punibile con tre anni di galera.

Non si può certo escludere che dei cani, in questa, così come in altre occasioni, siano stati uccisi. Altra cosa invece è sostenere che questo sia avvenuto o stia avvenendo in nome e per conto dello Stato e secondo un piano prestabilito!

E posto che gli animali, a meno di non cozzare contro ogni logica, non potrebbero mai essere ritenuti responsabili degli atti compiuti, va ricordato il caso commovente di Vania, un bambino abbandonato in tenera età dai genitori alcoolizzati e adottato da alcuni cani randagi…

E veniamo ai fatti.

Nel mese di Gennaio di quest’anno la Duma (il parlamento russo) ha indirizzato una lettera al Ministero dello Sport, esprimendo la preoccupazione riguardo i paventati propositi di fare retate, per catturare i cani randagi nelle città dove si sarebbe svolto il campionato mondiale di calcio.

A tale scopo la Duma si era raccomandata di procedere ad un controllo regolare della presenza di cani randagi, ma aveva sottolineato che la cosa fosse attuata con metodi umani, quindi una cattura allo scopo di vaccinarli, di sterilizzarli e nondimeno mantenerli nei centri addetti.

Ciò che non ha alcun rapporto con uno sterminio organizzato a livello governativo, per come si è fatto credere in questi giorni.

Le associazioni animaliste russe, da parte loro, si sono mobilitate in maniera particolare e hanno fatto sentire la loro voce, proprio esprimendo la preoccupazione sulle misure che sarebbero state prese in riferimento al problema dei randagi, nella occasione dei Mondiali di calcio. Hanno quindi espresso la raccomandazione che si procedesse secondo termini di rispetto per gli animali.

In particolare, da parte delle associazioni animaliste, era stato sottolineato che, in ordine ad un principio morale di rispetto per la vita e nondimeno di reputazione internazionale della Russia, sarebbe stato necessario evitare qualsiasi atto di violenza sugli animali.

La risposta del Ministero dello Sport, chiara e circostanziata, diceva che in Russia non esisteva – da parte del Governo – nessun piano per la uccisione degli animali.

Tutte queste preoccupazioni, peraltro del tutto legittime, sono state strumentalizzate dalla stampa occidentale, che, senza indugi e senza lo scrupolo di controllare la reale consistenza dei fatti, ha trasformato ipso facto le raccomandazioni per “fatti realmente avvenuti” e come tali li ha presentati al pubblico che in tal guisa li ha assunti per veri. La stampa occidentale da tempo è dedita alla fabbricazione delle “fake news” per diffamare la Russia, in questi giorni si cerca in sostanza di annullare il successo della Russia nell’organizzazione impeccabile dei Mondiali di Calcio. Si prodigano in ciò vari siti e in particolare si nota il comportamento vergognoso della mostruosa “Radio Svoboda” (e del relativo sito internet), che, com’è noto, è una emittente americana… Tanto per cambiare e per restare in tema !

Lo Stato Russo realizza le attività di cattura dei cani randagi nei posti o quartieri dove sia necessario intervenire per rendere sicura la vita dei cittadini e proteggerli dagli assalti, ma di certo non per l’uccisione di massa, per come è stato scritto e divulgato da molta stampa straniera e ripreso ovunque come se si trattasse di oro colato e quindi verità inconfutabile, come per esempio la bufala del “movimento dei cacciatori di cani”: approfittando e distorcendo il fatto che diversi cittadini hanno a cuore la sicurezza dei propri quartieri e partecipano alla risoluzione del problema dei randagi offrendosi volontari nella cattura. Ma su questo si costruisce la Fake news, come oramai da copione, triste copione!

È presumibile che, finito il campionato di calcio, si spegneranno i riflettori anche su questo problema, perché nessuno avrà interesse ad attenzionare una questione priva di ripercussioni politiche internazionali.

                                                  Marinella Mondaini[1] – Gianni Viola[2]


[1] Scrittrice, pubblicista – Ricercatrice universitaria – Università di Mosca.

[2] Ricercatore scientifico – scrittore – Resp. Comm.ne Scientifica Free Lance International Press -Roma.

Educate i bambini a valorizzare e a rispettare il piccolo, il minuto, il diverso ed egli crescerà valorizzando e rispettando anche il grande; ma se lo educate a valorizzare e a rispettare solo il grande egli crescerà incapace di rispettare sia il grande sia il piccolo e farete di lui un essere egoista ed infelice.


 
Credo che l’ostacolo maggiore per educare i bambini alla buona e giusta alimentazione siano i genitori spaventati dall’idea che una dieta priva di prodotti animali possa causare carenze di vario tipo nell’organismo dei piccoli. “Lo dicono i medici che bisogna mangiare la carne, la televisione, i preti, anche Gesù mangiava il pesce…”.
Per educare i più piccoli alla corretta alimentazione bisogna che prima siano correttamente informati sia i genitori che gli insegnanti i quali, molto spesso, carenti delle necessarie nozioni credono di fare il bene dei piccoli convincendoli, a volte  costringendoli a mangiare la carne e i prodotti di derivazione animale.


 
Ma per educare il bambino all’igiene naturale e alle regole della buona alimentazione occorre immedesimarsi nella mente e nella pulita coscienza del piccolo. Per prima cosa è indispensabile far capire che ogni essere vivente mangia il cibo più adatto a lui e che il cibo più adatto a noi è di origine vegetale; occorre parlare del valore del cibo, dell’importanza della giusta e corretta alimentazione; abituarli a mangiare in tempi regolari, a lavarsi le mani prima di mangiare e porre attenzione sul prodotto che stanno consumando; educarli a masticare bene gli alimenti, a mangiare la frutta lontano dai pasti, a non eccedere mai nel quantitativo, invogliarli a preferire i cibi naturali  rispetto a quelli prodotti dalle industrie che sono trattati, conservati, addizionati; invogliarli a preferire i cibi crudi rispetto a quelli cotti facendogli capire la differenza che c’è tra un alimento vivo ed uno denaturato con la cottura; parlare dell’importanza degli alimenti biologici e integrali cercando di spiegare loro la differenza tra un cibo integrale ed uno raffinato;

evidenziando la differenza tra un frutto dolce, semidolce o acidulo; fargli soffermare sulla differenza di forma, di colore, di gusto, spiegare la differenza tra pianta e frutto, tra tubero e  ortaggio, spiegare come vengono coltivati gli alimenti vegetali e quanto impegno è necessario prima che arrivino sulle nostre tavole; fermare la loro attenzione sulla funzione della buccia che riveste la frutta, sui semi, sulla polpa. Se gli si dà ancora da mangiare del formaggio o del latte far capire che è prodotto dalla mucca o dalla pecora per i suoi piccoli, non adatto alla nostra specie. Parlare dei componenti nutrizionali degli alimenti che ci consentono di vivere bene, di crescere sani e robusti;  parlare loro dei minerali, delle vitamine, degli zuccheri, dei grassi, delle proteine presenti negli alimenti che entreranno e diventano parte del nostro organismo. Spiegare il processo che subisce il cibo dopo essere stato ingerito, in che modo si trasforma in energia, in nuovi tessuti ecc.

 
La cosa migliore è abituarli ad osservare con maggiore attenzione tutto ciò che li circonda. Parlar loro del mondo degli animali, in che modo e con quale fatica cercano di procurarsi il cibo necessario. Far notare che ogni animale, anche il più piccolo ha, come ognuno di noi, una mamma, un papà, dei fratellini, degli amici, che come noi amano giocare, che come noi a volte sono impauriti, hanno sentimenti,  e che come noi soffrono se violentati o privati della libertà o dei loro genitori, dei loro amici o del loro ambiente naturale.
Mettere in risalto la bellezza delle piccole cose, semplici, minute, l’importanza della diversità nell’universo della vita, stupirli con la perfezione di ogni essere vivente, la bellezza di una farfalla, il profumo dei fiori, le infinite sfumature dei colori, la forma di un sasso, la perfezione di una foglia, la maestosità di un albero; far notare che tutte le cose che ci circondano sono esseri viventi, grandi, piccoli e piccolissimi. Educarli a rispettare qualunque cosa, anche il filo d’erba e far capire che anche la pianta più umile se spezzata può soffrire perché i rami di un albero sono come le nostre braccia, le nostre dita.

Se i bambini rifiutano di mangiare la frutta o la verdura è perché hanno subito un’alterazione delle capacità naturali gustative a causa dell’imposizione da parte degli adulti a mangiare prodotti innaturali, industriali e prodotti animali fin da i primi mesi di vita. In questo caso occorre rieducare il loro gusto preparando in modo accattivante questi importanti alimenti per farli riabituare ai sapori naturali.
La cosa più efficace, ma anche la più facile, è sensibilizzare i bambini verso la condizione degli animali. Con la dovuta delicatezza e senza urtare la loro sensibilità infantile, invitarli a guardare agli animali come a degli esseri fatti come noi con una forma fisica diversa, invitargli quindi a considerare che come noi tutti gli animali hanno gli occhi, un cuore, un cervello, il naso, le orecchie, la bocca ecc. e che far del male ad un animale è come far del male ad uno di noi, ad un amico,  ad essere umano.
Il tentativo di far leva sulla spontanea sensibilità del bambino potrebbe portare ad una reazione avversa da parte di quei genitori o di quegli insegnanti che ancora considerano gli animali semplici alimenti per l’uomo. Ma se il problema è affrontato con la dovuta saggezza ed equilibrio, molto resterà nell’animo del bambino e avremo contribuito a fare di lui una persona più sana, più sensibile e più riflessiva e in questo avremo contribuito a porre le basi di un mondo migliore, libero dalla violenza, dalle malattie e dal dolore.

June 23, 2018

19/06/2018 - Il problema dell’Europa non è l’Italia, col suo pesantissimo debito pubblico accumulato soprattutto negli anni del glorioso CAF, con le pensioni di vecchiaia fasulle, di invalidità inventate, con  e ‘pensioni d’oro’ e tutto lo smercio del voto di scambio, né la Spagna con l’indipendentismo catalano, né la periclitante Grecia.

Il problema è la Francia. Con la sua ridicola e pericolosa grandeur, la sua boria o, per esprimerci con le parole di Palazzo Chigi nei giorni dello scontro con Macron, “col suo atteggiamento di superiorità  insopportabile”. Questi credono di vivere ancora l’epopea di Napoleone. Anche se pur sul teppista corso ci sarebbe poi da ridire: con i quattro milioni di soldati messi sul campo abbandonando la civile  guerre en dentelles degli austriaci, e la democrazia esportata in Europa sulla punta delle baionette.

Comunque da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Non si era ancora spenta l’eco dei processi di Norimberga e di Tokio, che secondo le intenzioni avrebbero dovuto “escludere la guerra dalla vita  della società”, che già le truppe francesi soffocavano con l’atroce brutalità di sempre un disperato tentativo del Madagascar di liberarsi delle manette coloniali. Questa vile e facile vittoria è stata l’unica  della loro storia post napoleonica.

 

Dopo non hanno fatto altro che buscarle. Nel 1870 nella guerra franco-prussiana i tedeschi annientarono in un sol mese l’esercito di Napoleone III. Nella prima Guerra Mondiale furono sconfitti dai  tedeschi a Charleroi, si ritirarono sulla Marna e furono salvati dagli inglesi, come sempre dagli inglesi fu salvata non solo la Francia ma l’intera Europa nella seconda Guerra Mondiale. L’insuperabile Linea  Maginot fu irrisa da Hitler che, passando per il Belgio, dopo pochi mesi passeggiava sugli Champs-Elysée. Il collaborazionismo francese col governo Pétain fu maggiore di quello degli italiani che pur dei  nazisti erano alleati. Durante il governo fantoccio di Pètain, Gerhard Heller, il funzionario tedesco che doveva occuparsi di tenere sotto controllo i letterati e gli scrittori francesi sospettati di essere  contrari al regime, si meravigliava che le denunce contro costoro venissero molto più dai loro connazionali che dai nazisti e dalla Gestapo. Nonostante tutto ciò, grazie all’escamotage del
governo De Gaulle riparato a Londra, riuscirono a sedersi al tavolo della pace da vincitori a fianco degli inglesi, degli americani e dei russi che quella guerra, con enormi sacrifici di sangue, l’avevano  combattuta e vinta davvero.

Nel 1954 furono sconfitti rovinosamente dai vietnamiti a Dien Bien Phu.

Però i ‘cugini d’oltralpe’ continuano imperterriti nel loro grottesco “complesso di superiorità” e nei tempi più recenti hanno causato danni gravissimi all’Europa e soprattutto all’Italia. La sciagurata  aggressione alla Libia è stata una loro iniziativa. Sono stati poi seguiti dagli immancabili americani e purtroppo anche da noi italiani, eternamente autolesionisti. Il nostro premier del tempo, Silvio  Berlusconi, grande amico di Gheddafi, era contrario ma si accodò per sottomissione agli americani come aveva fatto D’Alema nel 1999 nella guerra alla Serbia. Con la differenza che D’Alema non era amico  i Milosevic e quindi Berlusconi, nel suo sottomettersi, è stato doppiamente coglione. Per giustificarlo si dice che fu il presidente Giorgio Napolitano a convincerlo. Ma per Napolitano-Berlusconi vale  quanto abbiamo scritto per Mattarella-Conte: in una Repubblica parlamentare, qual è fino a prova contraria la nostra, la politica la fa il premier e non il Presidente della Repubblica.

 

Per non farsi mancar nulla i francesi, forse gli unici rimasti ad avere una mentalità colonialista vecchio stampo, hanno aggredito il Mali del nord abitato da pacifici Tuareg che, per difesa, si sono uniti agli  jihadisti locali. Da qui la guerra e l’altrimenti inspiegabile migrazione maliana. Dopo essere stati responsabili in notevole misura delle migrazioni, adesso i francesi respingono questi disperati ai loro confini,  da Ventimiglia a Bardonecchia (per la verità a Bardonecchia sono andati anche oltre, penetrando con i loro militari nel nostro territorio). E nei giorni scorsi si sono permessi di bollarci, per il caso  Acquarius, come “irresponsabili, cinici e vomitevoli”.

Però in questo caso una funzione utile l’hanno avuta. Ci hanno restituito un pizzico d’orgoglio d’esser italiani, che abbiamo eterni difetti che eternamente si ripetono (vedi il nuovo ‘caso Roma’ che  coinvolge anche i Cinque Stelle), ma almeno non siamo schifosamente sciovinisti come i francesi che non ne hanno di meno.

 

Fonte: Massimo Fini

June 23, 2018

19/06/2018 -  La Francia è una delle poche (ex) potenze del defunto sistema europeo ad aver preservato e perpetuato dei disegni egemonici su quel che fu il suo impero coloniale, nonostante la perdita  di potere relativo, sia in Europa che nel mondo, e l’affermazione di un nuovo ordine internazionale non più eurocentrico.

In principio fu Charles de Gaulle a voler impedire l’involuzione della Francia da una grande potenza mondiale ad una potenza regionale in declino ed in posizione periferica nel nuovo ordine post-bellico. A  questo scopo, la Francia si dotò dell’arma atomica e tentò di riconquistare gli ex territori imperiali africani attraverso una politica di neocolonialismo economico seguendo l’ambizioso quanto visionario  piano per l’Africa francofona elaborato da Jacques Foccart, uno dei più importanti ideologhi e strateghi dell’era gollista. Il piano di rinascita neoimperiale per la Francia di Foccart non puntava soltanto  alla riconquista dell’Africa, ma all’espansione su ogni territorio francofono del mondo. In questo contesto si inquadrano il sostegno fornito dallo Sdece, i servizi segreti per l’estero, al movimento  separatista quebecchese, e quel controverso “Vive le Québec libre!” gridato da De Gaulle alla folla di Montreal nel 1967.

 

Québec a parte, le mire francesi, dal gollismo ad oggi, si sono rivolte verso l’Africa francofona, di cui si è tentato di condizionarne in ogni modo le dinamiche economiche e politiche attraverso omicidi  politici, colpi di Stato, sostegno a dittature militari e gruppi terroristici, alimentazione di guerre civili e conflitti inter-etnici, creando nel tempo una sfera d’influenza egemonica ribattezzata  "Françafrique", sostanzialmente estesa sull’intero ex impero coloniale.

Foccart è stato il potere dietro la corona da De Gaulle a Jacques Chirac, chiamato per fornire pareri, elaborare strategie, effettuare missioni diplomatiche segrete, dal 1960 al 1995.

Si può affermare che Foccart è stato per la Francia, ciò che Henry Kissinger è stato per gli Stati Uniti, ossia, uno stratega guidato da visioni tanto intelligentemente lungimiranti quanto subdolamente  imperialistiche. La Françafrique è una realtà multidimensionale, agisce infatti sul piano economico, politico, diplomatico ed ideologico di numerosi paesi, dal Magreb al Sahel, all’Africa sub-sahariana.

La sottomissione economica è essenzialmente esplicitata nell’esistenza della cosiddetta* area franco*, di cui fanno parte 14 paesi africani, obbligati ad utilizzare il franco CFA, della cui convertibilità in  euro si occupa il Ministero dell’economia e delle finanze francesi. L’appartenenza all’area franco prevede inoltre che i paesi membri depositino almeno il 65% delle riserve di moneta estera in Francia.  Inoltre, le grandi realtà francesi dei settori energetico e minerario godono di trattamenti privilegiati nello sfruttamento del territorio e nella divisione dei profitti con gli Stati.

"La dimensione politico-diplomatica" riguarda le pressioni fatte ai paesi della Françafrique affinché essi sostengano gli interessi nazionali, le posizioni e le dottrine di politica estera francesi in sede  internazionale, ad esempio in luogo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La dimensione ideologica ha riguardato inizialmente il contenimento delle spinte anticoloniali di liberazione nazionale durante  ’epoca della decolonizzazione, in seguito si è concentrata sul contenimento dei movimenti comunisti nel continente foraggiati dall’Unione Sovietica, ed "oggi è principalmente focalizzata su due  fronti: la competizione con l’Italia per l’egemonia su Libia e Tunisia ed il contenimento dell’espansionismo sinico, quest’ultimo molto più difficile del primo obiettivo, tanto che nel vocabolario di politologi e  geopolitici è entrato a pieno titolo il neologismo Cinafrica."                                                                2

I numeri della Françafrique sono impressionanti: oltre 40 interventi militari diretti tesi a difendere regimi filo-francesi, sia democratici che dittatoriali, o ad aiutare dei ribelli a rovesciare dei regimi ostili. Attualmente, la Francia è legata a 12 paesi da accordi militari di tipo difensivo, ed è presente in 10 paesi con delle missioni militari, per un totale di oltre 5mila unità presenti. Dietro la scusante della  guerra contro l’imperialismo delle multinazionali occidentali, la Francia ha utilizzato la compagnia di sicurezza privata dello storico mercenario Bob Denard per combattere in Katanga e Biafra, e tentare dei  ambi di regime in Gabon, Angola, Zimbabwe, Benin, Repubblica Democratica del Congo ed Unione delle Comore. Lo *Sdece* è stato il principale strumento di difesa della Françafrique, coinvolto pubblicamente o presuntamente in numerosi omicidi politici, soprattutto di leader carismatici noti per le loro denunce nei confronti della sottomissione del continente all’imperialismo occidentale: Ruben  Um Byobe e Félix-Roland Moumié dell’Unione Popolare del Camerun, Barthélemy Boganda del Partito Nazionalista Centrafricano, l’oppositore politico ciadiano Outel Bono, l’attivista anti-apartheid Dulcie  September, sino ad arrivare ai mostri sacri del fronte nazionalista africano Thomas Sankara e Patrice Lumumba.

 

Spesso e volentieri i governi francesi hanno sfruttato le tensioni interetniche e interreligiose presenti nei paesi più etno-religiosamente eterogenei per alimentare guerre civili decennali, attraverso le quali mantenere i regimi più ostili, o i territori più ricchi, in un costante stato di assedio e sottosviluppo, utilizzato per acquistare a basso costo materie prime contrabbandate da terroristi e ribelli: un vero e  proprio capitalismo di rapina. Fra il 1967 e il 1970, la Francia è stata coinvolta attivamente nella guerra del Biafra, sostenendo i secessionisti attraverso armi, capitale, mezzi, mercenari, viveri. Insieme  all’intervento in Libia del 2011, la guerra del Biafra rappresenta uno dei capitoli più cupi della storia della Françafrique. La Francia era intimorita dalla prospettiva che la Nigeria, una delle economie più  dinamiche del continente, potesse cadere sotto influenza britannica o sovietica, pertanto alimentò il malcontento presente fra le forze armate e l’etnia Igbo nei confronti del governo centrale per dar  luogo ad un movimento secessionista che frazionasse il paese in maniera permanente. Furono Foccart, la Michelin e la "Société Anonyme Française de Recherches et d’Exploitation de Pétrolières"  (Safrap), a convincere De Gaulle, demoralizzato dagli insuccessi in Algeria e nel Katanga, ad introdursi nella nascente questione nigeriana per accaparrarsi le importanti riserve di greggio presenti nel Biafra.

Un delicato lavoro di diplomazia segreta effettuato da Foccart portò numerosi paesi, europei e africani, a sostenere la Francia nella guerra segreta contro la Nigeria, fra i quali Israele, Portogallo,  Spagna, Rhodesia, Gabon, Sud Africa, Costa d’Avorio, che aiutarono i secessionisti inviando loro armi, scambiando informative d’intelligence, addestrandoli. Un ruolo di fondamentale importanza fu svolto  anche dalle organizzazioni non governative, segno precursore del prossimo avvento delle nuove guerre descritte da Mary Kaldorall’indomani dell’implosione della Jugoslavia; infatti gli aerei della Croce  Rossa francese furono utilizzati per trasportare carichi di armi ai secessionisti. In concomitanza all’appoggio francese ai secessionisti, l’autoproclamato governo del colonnello Ojukwu introdusse corsi di  lingua francese nelle scuole del Biafra e firmò delle importanti concessioni petrolifere alla Safrap. Inoltre fu messa in moto un’efficace macchina propagandistica tesa a dipingere negativamente il governo nigeriano agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, in modo tale da legittimare l’intervento francese nel paese. L’agenzia di stampa fittizia Biafra Markpress, con sede a Ginevra, finanziata dallo Sdece,  diventò la principale fonte d’approvvigionamento delle maggiori testate giornalistiche europee, sfornando oltre 250 approfondimenti sulla guerra del Biafra.

 

Il governo nigeriano fu accusato di aver ridotto in carestia la popolazione biafrana attraverso blocchi navali ed aerei, con l’obiettivo di depurare il paese della componente Igbo. Diversi giornali, tra cui Le  onde, iniziarono a parlare di genocidio.

Una storia di terrorismo psicologico e guerra di informazione molto familiare, se si pensa alle bufale prodotte dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, gestito da un solo individuo, e finanziato dal governo britannico, sin dallo scoppio della guerra civile siriana, allo scopo di plagiare l’opinione pubblica mondiale e creare una falsa immagine sul ruolo delle parti in conflitto.                   L’intervento  n Libia del 2011, fortemente voluto dall’allora presidente della repubblica Nicolas Sarkozy, ha riconfermato l’importanza per la Francia di avere l’intero continente sotto la propria egemonia.  La caduta di Gheddafi <https://www.gogedizioni.it/prodotto/libro-verde/> ha significato non soltanto la ri-tribalizzazione della Libia, oramai considerabile uno Stato fallito comparabile alla Somalia, ma  anche tante altre cose: il ridimensionamento della posizione geopolitica dell’Italia nel Mediterraneo e in Nord Africa,* la caduta del paese in una guerra civile che lo ha reso vulnerabile all’avanzata del  Daesh e alla radicalizzazione dei più giovani, la fine del patto italo-libico per il controllo dei confini marittimi ed il contrasto all’immigrazione clandestina.

 

L’interventismo francese nei confronti di un paese tradizionalmente vicino all’Italia è stato reso possibile anche e soprattutto dall’assenza di una classe politica nostrana realmente votata all’interesse  nazionale. Quando nel 1986 gli Stati Uniti decisero di reagire militarmente all’attentato alla discoteca La Belle di Berlino, imputato ai servizi segreti libici, con l’operazione El Dorado Canyon, l’allora  presidente del consiglio Bettino Craxi, suggerito dall’allora ministro degli esteri Giulio Andreotti, decise di avvertire Gheddafi dell’imminente attacco e negò l’utilizzo dello spazio aereo ai velivoli della US Air  orce, nella consapevolezza che la destabilizzazione della Libia avrebbe significato instabilità nel Mediterraneo, quindi lungo le coste italiane.

Oggi assistiamo ad un ritorno dell’interesse nazionale al centro dell’agenda politica del governo italiano, con il ministro dell’interno Matteo Salvini che ha dichiarato di avere in programma un viaggio in  Libia con l’obiettivo di risolvere definitivamente la crisi dei migranti, sulla falsariga di quanto già fatto dal suo predecessore Marco Minniti.

La Francia ha esteso i tentacoli della Françafrique anche in Libia a detrimento di un alleato, membro dell’Unione Europea e della Nato, che ha poi patito, e continua a patire, interamente i costi di  quell’azione antistorica. L’Africa non conoscerà una vera crescita economica ed una duratura stabilità sociale fino a che la Françafrique esisterà, dal momento che essa si nutre del mantenimento del  continente in uno stato di violento asservimento. Allo stesso modo, l’Italia non potrà risolvere la questione dei migranti che andando alla radice: il Sahel, perché è da lì che partono le principali carovane,   sempre lì la Francia ha dispiegati uomini e mezzi, e ha politici sul libropaga, potendo determinare l’arresto dei flussi migratori e generando condizioni di sviluppo che, migliorando la qualità della  ita delle popolazioni locali, possano creare nel continente le opportunità che in migliaia continuano a cercare disperatamente alla volta dell’Europa.

 

Fonte: L!intellettuale dissidente

PERFORMANCE DI ARTE DEI BORSISTI 2017/2018  - RUBBANO L’ANIMA A ROMA


Tutti gli anni Villa Massimo apre le porte ad uno degli eventi romani più significati della capitale: mercoledì 20 giugno 2018, infatti, tra le carezze del vento del ponentino e l’aria frizzante , la fila delle persone per entrare all’evento (gli ospiti non hanno dovuto aspettare molto tutto era organizzato in stile tedesco ordinato e puntuale), ai bellissimi giardini di un verde intenso, arricchiti con busti antichi, alla grandezza degli edifici della Villa, è stata inaugurata l’edizione 2018, Festa dell’Estate dell’Accademia Tedesca. Un viaggio festoso da godere fino alla fine immersi nelle sale allestite con mostre, letture, concerti, performance dei borsisti residenti per 10 mesi nella capitale. E’ cosi che abbiamo incontrato il contrabbasso dell’artista Jay Schwartz che ha vibrato sotto le onde dei gong, portandoti in un luogo, lontano dallo stress quotidiano, il luogo della pace, di cui questo pianeta ha immenso bisogno.

L’incanto ha proseguito nelle altre stanze affacciate sui rigogliosi giardini di Villa Massimo con il ceppo sradicato da terra ,dell’artista Cristoph Keller, caduto in via Tiburtina e trasportato nel luogo espositivo, e foto di Corviale, di una gioventù che ha visto già troppo, ed i grattacieli del quartiere come cubi neri uno sull’altro e la solitudine raccontata da un immagine dentro una stanza buia, come in opera di Quasimodo dove gli sguardi di questi giovani in erba trafiggono il cuore e poi arriva il buio, dell’artista Benedict Esche.

Pochi passi e incontriamo l’atelier di un altro artista , Bettina Altamoda che fa spalancare la bocca e gli occhi per la luce e i colori dei sui drappi di stoffe iridescenti con grandi paillette. I borsisti 2017/2018 hanno colto nel poco tempo trascorso a Roma i colori, suoni, architettura, la natura della bella capitale e sembrano dirci come in un quadro del Caravaggio “Guarda”.

Interessante il lavoro del pittore Marx Ernst presentato dall’artista Thomas Baldischwyler, il quadri di Simone Haug in omaggio alle tavoglie delle famiglie di Olevano Romano e dintorni, e il box bianco con all’interno la pianista Hui Ping lan che ha suonato in prima italiana il brano The Incredible Nightcrawler.

Dopo le mostre ha “aperto le danze” alle ore 21.00 il buffet : anche in questa occasione nonostante la presenza numerosa di persone, le pietanze sono state servite velocemente, “come si dice i Tedeschi non si fanno parlare dietro”. Piatti e forchette ecologiche non è mancata la mostarda, cetrioli, rapa rosa, patate e wuster con polpette. Birra e vino e una mousse con yougurt e frutti di bosco come dessert. Personaggi noti e meno noti hanno accompagnato la serata, tra cui l’ incontro veloce con il vicesindaco del Comune di Roma Luca Bergamo.

La serata ha proseguito fino a mezzanotte con il DJ Cilloman nel parco di Villa Massimo tra alberi centenari si è ballato. Anche la musica della disco/dance è stata un’ autentica opera di arte , con proiezioni di luci sugli alberi, sembrava di stare in una spa per la terapia dei colori e una musica tecno dai suoni delicati come in un rave party per altolocati. Un’ esperienza da ripetere all’Accademia Tedesca, ma di questo ne siamo sicuri con la prossima festa dell’estate 2019 che racconta Roma e ne ruba l’anima.

I giovedì dei Musei Vaticani sono occasione di comunicazione con il pubblico, sia essa la presentazione di un restauro o di una pubblicazione. Ma è comunque sempre una comunicazione scientifica, ottemperando a quel dovere dell’istituzione museale, che è il continuo aggiornamento su tutto ciò che la riguarda. Uno scambio culturale tra istituzioni e discipline differenti, non ultimo, in funzione della formazione, perché, da sempre, il museo ha una funzione educativa.

L’ultimo appuntamento del giovedì ha riguardato un argomento, eccezionale e particolare insieme, intitolato: Oltre l’immagine. Iscrizioni nascoste sui vasi ateniesi, straodinarie scoperte tra il Museo Archeologico di Firenze e il Museo Gregoriano Etrusco.

Mario Iozzo, direttore del Museo Archeologico di Firenze, ha esaurientemente spiegato, da una parte l’importanza della scoperta e della sua divulgazione e, dall’altra, la differenza con altre iscrizioni presenti sui vasi.

Prima di tutto è utile ricordare che le decorazioni sui vasi sono l’unica testimonianza che ci rimane della pittura greca.

Le iscrizioni visibili sui vasi, di solito sono costituite dai nomi dei personaggi raffigurati, divinità o eroi della mitologia, oppure sono dediche.

La particolarità di quelle nascoste è che sono state coperte dal colore e non erano destinate ad essere viste. L’ipotesi è che fossero un messaggio, una comunicazione operativa tra il vasaio e il decoratore o cermografo. Non sempre le due figure coincidevano nella stessa persona. Queste iscrizioni sono poste anche in punti strategici, comunicavano cioè, anche in base alla posizione. L’iscrizione poteva addirittura essere un verso tratto da una rappresentazione teatrale. Il ceramografo non solo conosceva la scena e le figure che doveva ritrarre, ma la posizione strategica dell’iscrizione, indicava anche la disposizione delle figure e il loro atteggiamento. Ad esempio la direzione dello sguardo, come si può vedere dall’immagine di Edipo con la Sfinge, nella kylix attica a figure rosse. Il vaso eponimo, che cioè da il nome all’artista che l’ha prodotto, definito Pittore di Edipo, è parte della collezione etrusca dei Musei Vaticani. Proviene da Vulci ed è datata tra il 470 e il 460 a.C. La tipologia dei vasi è distinta in base alla loro forma e funzione, la kylix è una tazza poco profonda con manici.

Le iscrizioni nasconste quindi costutuiscono un avanzamento e un’apertura negli studi delle botteghe e delle figure degli artigiani. Quella che si auspica è una ricerca a tutto campo condotta all’interno delle collezioni di tutto il mondo. Non è la prima volta che qualcuno vede queste iscrizioni nascoste, già gli studiosi del passato, pur guardando solo ad occhio nudo le avevano intraviste. Oggi siamo avvantaggiati dai progressi della tecnologia, che costituisce anche uno dei motivi per cui i Musei Vaticani sono stati coinvolti, sono infatti responsabili delle immagini delle iscrizioni, di difficile realizzazione. L’altro motivo è che sono detentori di una delle più importanti collezioni di vasi greci, che costituiscono una sezione corposa del Museo Gregoriano Etrusco.

I vasi erano oggetti preziosi, veri e propri status symbol, parte del corredo funerario di personaggi importanti del mondo etrusco.

Il pezzo più famoso è forse l’anfora a figure nere dove sono raffigurati Achille e Aiace che giocano a dadi. L’opera è firmata da Exekias, il famoso artista che era sia vasaio che ceramografo ed è datata tra il 540 e 530 a.C. Sono presenti altre iscrizioni visibili, oltre ai nomi, dalla bocca dei personaggi, a mo’ di fumetto, esce la scritta col punteggio realizzato.

I giovedì dei Musei Vaticani riprenderanno dopo la pausa estiva, in chiusura è stato ricordato l’appuntamento con la mostra dedicata a Johann Joachim Winckelmann, che chiuderà le celebrazioni dedicate, tra il 2017 e il 2018, all’archeologo ed erudito in occasione dei 300 anni dalla nascita e i 250 dalla morte.

Serata evento in onore del gruppo di ballo SANAM - alla scoperta del Folklore Uzbeko 

Anzio, 13 giungo – I colori e la tradizione dell’Uzbekistan incantano il pubblico di Anzio, che accorso numeroso ha assistito e partecipato alla serata dedicata al gruppo di ballo folkloristico SANAM esibitosi durante l’evento organizzato dall’ Ambasciata dell’Uzbekistan in Italia, di cui era portavoce e presente l’Head Mission of the Embassy of the republic of Uzbekistan Mr. Rustam Kayumov, e curato da Salvo Cacciola presso la sua AQ International.

Il gruppo SANAM nasce nel 2002 e vanta la presenza di 40 artisti (tra cui 20 ballerini) che esportano la cultura del paese Uzbeco in giro per il mondo, avendo alle spalle spettacoli in ben 41 Paesi.

Il direttore artistico e cantante Mr. Shuhrat Vakhidov, nonché Direttore del Central Palace of Culture presso Tashkent (capitale dell’Uzbekistan), si è esibito insieme a parte del gruppo SANAM e alla ballerina Mrs. Rushana Sultanova. L’esibizione ha catturato la platea grazie alla presenza dei costumi originali delle varie

 Mr. Rustam Kayumov (a sin.) e Salvo Cacciola

Regioni del Paese (Khorezm, Fergana, Bukhara, Tashkent, Surkhandarya) indossati dalle danzatrici e alle musiche rituali e quotidiane delle danze tradizionali, conosciute per il grande pathos emotivo trasmesso tramite la gestualità delle mani e del volto.

Degno di nota è stato il duetto canoro del Baritono Vakhidov e della Soprano Marzia De Lorenzo, che citando la cultura operistica italiana tramite Caruso, hanno espresso una lode all’ arte senza barriere, in grado di avvicinare diverse culture e gli animi delle persone. Questo incontro artistico, voluto da Cacciola e Francesca Pellegrino,nasce dalla consapevolezza del successo che ha la musica italiana in Uzbekistan, tra tutti la lirica e le canzoni di Albano e Toto Cutugno.

È Mr. Rustam Kayumov a sottolineare l’importanza della serata: «L’Italia per noi è una Nazione affascinante, perché con essa condividiamo non solo la tradizione millenaria che tutt’oggi ci identifica nel mondo, ma anche l’importanza dell’espressività artistica manifesta nelle tradizioni folkroristiche. In questo quadro, Anzio è una città dalle infinite potenzialità che vanta un passato degno di nota e che ringraziamo per aver partecipato a questa serata di cultura e divertimento». A queste parole è stato aggiunto il desiderio e l’auspicio di portare avanti una stretta e proficua collaborazione, iniziata da Salvo Cacciola che per anni ha rappresentato la Nazione Uzbeca effettuando studi sul posto e promuovendone la storia e la cultura.

Quest’ ultimo, a chiusura dell’evento, insieme ad Augusto Mammola, presidente della Pro loco città di Anzio, e parte del Consiglio Direttivo della stessa Associazione, ha consegnato una prestigiosa targa al gruppo di ballo e all’ Ambasciata Uzbeca come segno di riconoscimento e di ospitalità da parte di tutta la città Anziate.

Un evento che rimarca l’importanza per la città di Anzio di promuovere la cultura tout court, la quale, in quanto città di Nerone, porta con orgoglio sulle spalle una storia fastosa che spesso dimentichiamo di promuovere con la giusta importanza e consapevolezza.

                                                                                                                                  

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