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Preambolo sull’alimentazione in generale
La storia dell’alimentazione ha sempre vissuto - a seconda dei casi per individui, popolazioni e istituzioni nel mondo - un suo Inferno e un suo Purgatorio caratterizzati da sofferenze e crimini più o meno gravi (drammi di fame e sete per guerre e carestie;interessi fuori controllo e sofisticazioni da parte di alcune multinazionali e agromafie, con povertà e patologie ad essi collegate; sprechi e disordini alimentari soprattutto nei Paesi più sviluppati; “diete” e modelli fisici che snaturano senso e valori della nutrizione; contributi sui media oscillanti tra idolatria e “pornografia alimentare”, con spettacolarizzazione del cibo da parte di “chefs” promossi “maîtres à penser”...), ma comunque anche un suo Paradiso - certo di difficile raggiungimento - che riassume in pratica tutto ciò che è sotteso all’accezione più completa di “dieta” (buone pratiche su qualità e quantità della nutrizione; recupero e rispetto del gusto; opportuni rapporti dell’alimentazione con altri ambiti della vita; possibilità di scelta da parte dei consumatori con filiere tracciabili dei prodotti e potenziamento dell'economia locale.
Sulla Pastasciutta al Pomodoro
Ho avuto già occasione di trattare la storia della Pastasciutta in modo esteso, mediante lo svolgimento propedeutico di tre vie di ricerca: influenza cromatica su funzione e gradimento degli alimenti, storia della Pasta e affermazione nella nostra cultura del Pomodoro; temi che convergono nell’analisi del prodotto di cultura materiale e simbolica detta appunto “Pastasciutta al Pomodoro”, cioè Pasta condita con salsa di Pomodoro, semplice oppure integrata con carne.
La Pasta
Ѐ alla Sicilia influenzata dalla cultura araba del sec. XII che risalgono le prime testimonianze europee di produzione di pasta fresca oppure secca, mentre la successiva fase relativa in ambito italiano si apre coll’importazione di tale prodotto dall’isola a Napoli verso la fine del ‘400. Se è comunque due secoli dopo che la Pasta comincia ad assumere un ruolo importante nella città partenopea - a causa d’emergenti problemi demografici, politici, economici alleggeriti però da soluzioni “tecniche” di produzione – la sua affermazione perfino al Sud non risulta ovunque rapida, e neppure uniforme.
Il Pomodoro
Al Meridione d’Italia – certo storicamente abile ad assorbire e (ri)creare popoli, culture, politiche e governi - va riconosciuto pure un efficace sincretismo alimentare realizzato tra prodotti agricoli e d’allevamento, tra colture autoctone e di provenienza americana.
Tra fine ‘600 e ‘700 compaiono le prime citazioni e conferme del Pomodoro come ingrediente gastronomico riconosciuto, in ricette che non prevedono però il suo utilizzo insieme alla Pasta.
Nell’ambito specifico invece delle salse - fino al periodo rinascimentale consumate brunite, e imbiancate poi nel secolo XVII – risulta evidente la rivoluzione che coinvolge le stesse con l’impiego progressivo d’un frutto, cromaticamente “deciso”, come il Pomodoro.
Riguardo all’odierna filiera di tale ex “Eroe dei Due Mondi” in quanto ormai globalizzato (grandi produttori/esportatori Cina e Stati Uniti; in Italia coltivato nel nocerino-sarnese sin dall’Unità, e poi in Puglia dagli anni ‘50/’60 del secolo scorso; con Napoli e Salerno attualmente terminali dei maggiori quantitativi di prodotto proveniente dall’estero), non posso esimermi dal fare triste menzione di tragici incidenti legati alla coltivazione intensiva dello stesso: morte di lavoratori per sinistri certo di strada, ascrivibili purtroppo però anche alla complessa e critica organizzazione produttiva del frutto, da tempo suscettibile di narrazioni di tipo non solo romantico…
La Pastasciutta al Pomodoro
La storia dei protagonisti del piatto qui analizzato vede la Pasta e il Pomodoro dapprima intenti a vivere le loro esistenze senza alcun interesse reciproco, legati ad altri “partners” più o meno costanti di frequentazione; poi finalmente uniti in Pastasciutta - nella terza vicenda di Pasta del nostro Paese – con passione espressa ancora però in modo discreto. Un’attrazione comunque in seguito sempre più difficile da contenere - che d’un piatto appetibile fa soluzione geniale di dieta, e pure icona simbolo di nostri luoghi e genti, natura e cultura.
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“Focus” specifico questa sera sul tema, una breve riflessione sul contesto storico in cui ha visto la luce la prima documentazione editoriale dell’“invenzione”-Pastasciutta, concepita negli anni ’30 dell’800 ma formalizzata a Napoli solo verso la fine di tale decennio.
Nella seconda edizione della sua “Cucina teorico pratica” (Napoli, Tipografia G. Palma, 1839) infatti, il cuoco letterato Ippolito Cavalcanti (duca di Buonvicino 1787-1859) inserisce nell’appendice “Cusina casarinola co la lengua napoletana” - tra molte ricette tratte da subculture diverse - per la prima volta proprio una Pastasciutta di vermicelli, conditi con salsa di Pomodoro appositamente preparata alla bisogna.
Perlomeno due riflessioni sul momento “storico” di tale ufficializzazione. Se la Pastasciutta al Pomodoro nel nostro immaginario appare forte simbolo d’italianità “da tempo” in campo, risulta essa in realtà molto più recente o coeva rispetto a caratterizzazioni altre d’ambito stesso: compare ad esempio molto dopo la creazione del Corpo dei Carabinieri Reali (1814), poco dopo quella dei Bersaglieri (1836) e in contemporanea – su territorio nazionale - alla prima ferrovia Napoli–Portici e all’ottimizzazione tecnica delle riprese fotografiche (1839). Non solo cibo forse allora, ma reazione simbolica al grave momento politico e ambientale che stava vivendo tutto il Paese, funestato da repressioni di moti mazziniani, gravi epidemie di colera e forti inondazioni (1833-1839)?
Da diversa prospettiva storica, l’incontro gastronomico Pasta-Pomodoro avvenne però ben due decenni prima dell’intesa - questa volta politica – del cosiddetto incontro di Teano tra Vittorio Emanuele II di Savoia e Giuseppe Garibaldi (1860): tanto che la famosa battuta attribuita a Massimo d’Azeglio (in realtà del politico Ferdinando Martini) dopo l’Unità d’Italia “Fatta l’Italia, occorre fare gli Italiani”, avrebbe potuto essere - opportunamente anticipata al 1839 – così formulata: “Fatta la Pastasciutta al Pomodoro, occorre fare l’Italia, e poi gli Italiani”.
Domenico Ienna
Fabiola Di Gianfilippo nasce a Roma il 19 maggio del 1977 e vanta sangue abruzzese al 100%. Inizia giovanissima a calcare il palcoscenico. Nella sua famiglia ha da sempre respirato l’amore per l’arte in ogni sua declinazione. A venti anni, dopo la gavetta e i soldi messi da parte per pagarsi i primi corsi, comincia la scuola di recitazione e si concentrerà principalmente sul metodo Stanisvlasky/Strasberg. Nel 2008 si iscrive al Dams di Roma Tre conseguendo poi la laurea magistrale. Scelta da Stefano Reali entra a far parte del cast " Le ali della vita", fiction targata Mediaset di grande successo ancora oggi ritrasmessa. Per proseguire con teatro tv radio, gli ultimi due lavori di successo con il film per il cinema "ti presento Sofia" e la serie tv "Jams".
Fabiola Di Gianfilippo un'attrice a 360° con la passione per la letteratura, la poesia, la pittura e il canto lirico. Cosa apprezzi di questi quattro elementi?
"La profondità, la loro potenza la loro capacità di toccare corde ancestrali, universali, zone non accessibili alla propria mente".
Nel 2013 diventi mamma di Gemma. Come ti ha cambiato la vita l'arrivo di una bimba?
"Credo molto nell'infinito potenziale dell'essere umano, figurati quello di un bambino che non ha sovrastrutture, concetti prefabbricati... è lei la mia guida. è cambiata la prospettiva, la ascolto molto e per fortuna anche lei ascolta molto me ?. seguo le sue sensazioni le sue proposte e ci confrontiamo, siamo una grande squadra. se penso ad un bilancio in questi sei anni vedo che la mia vita è più grande più ampia , lei mi ha permesso di entrare in una dimensione d'amore molto vasta eliminando totalmente e con facilità rancori e conflitti solo perchè il mio obiettivo è sempre stato crescere una figlia felice. "L'inferno esiste nel cuore di chi disprezza suo padre e non si cura di sua madre" Nichiren Daishonin".
Restando in tema infantile, sei reduce dal successo della serie tv Jams. Cosa ti ha dato questo progetto?
"Jams è stata la prima serie tv in europa a trattare la tematica degli abusi sui minori , ha avuto un grande successo di pubblico e di media tanto e' vero che hanno subito mandato in onda le repliche. io quando mi è stato proposto il provino per questa serie ho desiderato con tutta me stessa di vincerlo, volevo essere dentro a questo progetto, portare dentro le case questa tematica in cui l'omerta' la fa padrona. Volevo che i bambini si sentissero sostenuti e anche i genitori. La cosa più importante e più emozionante sono i messaggi calorosi dei ragazzi che mi scrivono ringraziandoci proprio per questi motivi".
Sei impegnata da anni sul fronte dei Diritti Umani con la Free Lance International Press. Come mai questa scelta?
"La la Flip è una associazione di giornalisti freelance che si occupa spesso di diritti umani. Ogni anno, ad ottobre, organizza il premio "Italia diritti umani" dedicandolo ad Antonio Russo di cui era vice-presidente. Antonio era un giornalista pluripremiato sia in Italia che all'estero, amava la verità e la giustizia.
Fu barbaramente trucidato in Georgia mentre indagava sulla tragedia cecena. Ho avuto la fortuna, tanti anni fa, di conoscere Virgilio Violo, il presidente dell'associazione, che mi propose di consegnare uno dei premi durante la cerimonia e poi, nel tempo, visto che seguivo ogni anno l'evento, mi ha chiesto di entrare nell'organizzazione. Anch'io amo la verità e la giustizia, sono i miei motori vitali e li difendo sempre ad ogni livello. Sono anche le basi dell'educazione che sto dando a mia figlia: come esci di casa i diritti umani vengono calpestati, anzi come ci ricorda Jams, anche dentro casa. Per questo è importante avere una solida coscienza e iniziare prima di tutto a non violare noi stessi, per primi, la nostra stessa vita, ma essere connessi sempre con l'immenso valore che ha".
5 - Progetti e sogni futuri?
"Progetti: sono in fase di valutazione, sogni: viaggiare , viaggiare, viaggiare".
8 apr 2019 — Il 70° anniversario della Nato è stato celebrato dai 29 ministri degli Esteri riuniti non nel quartier generale della Nato a Bruxelles, ma in quello del Dipartimento di Stato a Washington.
Maestro di cerimonie il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che si è limitato ad annunciare il discorso di apertura pronunciato dal segretario di Stato Michael Pompeo.
La Nato – spiega il Dipartimento di Stato – è importante perché, «grazie ad essa, gli Stati uniti possono meglio affrontare, militarmente e politicamente, le minacce globali ai loro interessi: la Nato rimane fondamentale per le operazioni militari Usa nella regione transatlantica (cioè in Europa) e in altre regioni strategicamente critiche, come il Medio Oriente e l’Asia Meridionale».
È quindi lo stesso Dipartimento di Stato a dirci chiaramente che la Nato è uno strumento degli Stati uniti. Nessuna reazione politica in Italia. L’unica risposta è venuta dal Convegno che, promosso dal Comitato No Guerra No Nato e da Global Research, centro di ricerca diretto da Michel Chossudovsky, ha riunito al cinema-teatro Odeon di Firenze il 7 aprile circa 600 partecipanti.
Le conclusioni sono esposte nella «Dichiarazione di Firenze», riportata qui di seguito:
«Il rischio di una grande guerra che, con l’uso delle armi nucleari potrebbe segnare la fine dell’Umanità, è reale e sta aumentando, anche se non è percepito dall’opinione pubblica tenuta all’oscuro dell’incombente pericolo.
È di vitale importanza il massimo impegno per uscire dal sistema di guerra. Ciò pone la questione dell’appartenenza dell’Italia e di altri paesi europei alla Nato.
La Nato non è una alleanza. È una organizzazione sotto comando del Pentagono, il cui scopo è il controllo militare dell’Europa Occidentale e Orientale.
Le basi Usa nei paesi membri della Nato servono a occupare tali paesi, mantenendovi una presenza militare permanente che permette a Washington di influenzare e controllare la loro politica e impedire reali scelte democratiche.
La Nato è una macchina da guerra che opera per gli interessi degli Stati uniti, con la complicità dei maggiori gruppi europei di potere, macchiandosi di crimini contro l’umanità.
La guerra di aggressione condotta dalla Nato nel 1999 contro la Jugoslavia ha aperto la via alla globalizzazione degli interventi militari, con le guerre contro l’Afghanistan, la Libia, la Siria e altri paesi, in completa violazione del diritto internazionale.
Tali guerre vengono finanziate dai paesi membri, i cui bilanci militari sono in continua crescita a scapito delle spese sociali, per sostenere colossali programmi militari come quello nucleare statunitense da 1.200 miliardi di dollari.
Gli Usa, violando il Trattato di non-proliferazione, schierano armi nucleari in 5 Stati non-nucleari della Nato, con la falsa motivazione della «minaccia russa». Mettono in tal modo in gioco la sicurezza dell’Europa.
Per uscire dal sistema di guerra che ci danneggia sempre più e ci espone al pericolo imminente di una grande guerra, si deve uscire dalla Nato, affermando il diritto di essere Stati sovrani e neutrali.
È possibile in tal modo contribuire allo smantellamento della Nato e di ogni altra alleanza militare, alla riconfigurazione degli assetti dell’intera regione europea, alla formazione di un mondo multipolare in cui si realizzino le aspirazioni dei popoli alla libertà e alla giustizia sociale.
Proponiamo la creazione di un fronte internazionale NATO EXIT in tutti i paesi europei della Nato, costruendo una rete organizzativa a livello di base capace di sostenere la durissima lotta per conseguire tale obiettivo vitale per il nostro futuro».
(il manifesto, 9 aprile 2019)
Nei numeri di febbraio e marzo del mensile francese Le Monde Diplomatique, viene a più riprese chiamata in causa la filosofia del disprezzo dei “benestanti” nei confronti delle classi popolari, in riferimento a una sorta di lotta di classe rovesciata; una chiave di lettura per comprendere meglio i fenomeni che attraversano le attuali società occidentali, dai gilet gialli all'emergere dell'estrema destra in Europa
Dalla fine degli anni '70 del secolo scorso, all'interno delle società europee, si è assistito alla progressiva marginalizzazione dei movimenti che fino ad allora si erano fatti portavoce delle istanze delle classi popolari. Una repressione condotta non solo con i mezzi tradizionali, ma anche, e forse soprattutto, attraverso la diffusione di modelli di “sviluppo” e di “benessere” funzionali alle evoluzioni del capitalismo e del mercato del lavoro, quindi adatti a mantenere e rafforzare il potere delle classi dirigenti. In tal modo, le conquiste che avevano reso in una certa misura meno alienante la società di massa degli inizi del XX secolo sono state progressivamente erose, anche a causa della diffusione strumentale del cosiddetto edonismo reaganiano. Un individualismo miope e sfrenato, in cui vige il principio del bellum omnium contra omnes, della competizione e del consumismo; in cui l'autocritica è sostituita da un'autoesaltazione demenziale basata sull'illusoria identificazione della felicità con il successo economico, della personalità individuale con la posizione sociale “vincente”.
Successivamente, dopo l'implosione dell'Unione Sovietica, è venuto meno il termine di paragone di un sistema che faceva della giustizia sociale e dell'uguaglianza un pilastro essenziale della propaganda dei vari regimi. Di conseguenza, la globalizzazione è stata accompagnata dal motto di una presunta vittoria della libertà sull'oppressione, della democrazia sulla dittatura, come se i concetti stessi di democrazia e libertà fossero intrinseci al sistema economico capitalista. In altri termini, già a partire dagli anni '80, le classi dirigenti dei paesi occidentali, hanno imposto un nuovo paradigma culturale, un pensiero unico basato sul dogma dell'equazione tra comunismo (etichetta sotto la quale è confluito qualsiasi tentativo di instaurare un dibattito sulla giustizia sociale e sulla necessità di ridurre le diseguaglianze) e oppressione politica e sul postulato altrettanto dogmatico secondo cui la vera democrazia risiede nello spirito del capitalismo, in cui la libertà individuale viene assorbita negli ingranaggi del sistema produttivo. In tal modo, le forze politiche di sinistra, anche le più riformiste e moderate (si pensi allo scandalo internazionale suscitato dal tentativo di compromesso storico in Italia, portato avanti da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer), sono state progressivamente relegate ai margini della scena politica, impegnate più a difendersi dall'accusa di connivenze con il “vecchio sistema sovietico” che a portare avanti il loro autentico progetto politico. Un processo che, peraltro, è venuto incontro all'esigenza, emersa con la decolonizzazione, di trovare nelle classi meno agiate sacche di sfruttamento alternative ai vecchi imperi coloniali.
Contestualmente, i processi e le trasformazioni sociali innescati dalla terza rivoluzione industriale, tra i quali il più visibile è la cosiddetta terziarizzazione, hanno ridotto in misura crescente il peso economico e di conseguenza politico delle classi lavoratrici “tradizionali”, impegnate nel processo di produzione di beni destinati ad alimentare il mercato. Sul piano antropologico-culturale, una simile evoluzione ha favorito un cambiamento sensibile nel concetto stesso di lavoro: mentre il risultato della produzione di un bene è visibile una volta realizzato quest'ultimo, la valutazione di un servizio offerto coinvolge la soggettività della ricezione da parte di un utente-cliente, spesso influenzata da fattori estrinseci all'effettivo comportamento del lavoratore. Il che significa che l'aspetto pubblicitario conta più della preparazione effettiva di quest'ultimo, quindi che la forma ha preso il sopravvento sulla sostanza. Che sia per questo che nei vari sistemi di istruzione si preferisce parlare sempre di più di competenza (capacità di fare, di orientarsi in un determinato ambito) e sempre meno di conoscenza (che è sapere ma soprattutto spirito critico, saper organizzare ciò che si sa, saper mettere in dubbio le proprie conclusioni per aprirsi a un cammino potenzialmente infinito)? Nella competizione postindustriale, in altri termini, val più la competenza della sapienza.
Inoltre, l'ormai avviata quarta rivoluzione industriale potrebbe rendere il lavoratore “umano” del tutto superfluo ai fini del sistema di produzione, tanto più nel quadro del capitalismo finanziario attuale, in cui a farla da padrone sono “caste” oligarchiche che poco hanno a che fare con il lavoro tradizionalmente inteso. Peraltro, da un punto di vista geopolitico, da circa un decennio l'asse principale della competizione tra potenze si è spostato dall'egemonia territoriale (terra, mare e spazio) al cyberspazio, dando vita a un conflitto “a bassa intensità” per la supremazia in settori di alta innovazione tecnologica, come quelli dell'informatica e della robotica. Si tratta quindi di dinamiche da cui le “classi lavoratrici” sono praticamente escluse, anzi, ridotte a fonti di dati da vendere sul mercato dell'informazione. Una condizione che somiglia più a quella di merce, di prodotto, che non a quella di attore economico, politico e sociale.
È dunque legittimo domandarsi in che modo tali dinamiche influiranno sull'evoluzione ormai necessaria delle istituzioni politiche dei singoli Stati, soprattutto in una fase di transizione come quella attuale. In particolare, se alle “classi lavoratrici”, il cui peso negli anni '60 e '70 ha consentito a partiti e movimenti di sinistra di ottenere notevoli conquiste sul piano sia del diritto del lavoro, sia dei diritti civili, saranno garantite forme di rappresentanza adeguate, in grado di mantenere una relazione tra governo e corpo sovrano, ammesso che si potrà parlare ancora di corpo sovrano. Presumibilmente, infatti, saranno le “classi” sociali che conquisteranno il maggior peso economico ad avere più probabilità di incidere sull'evoluzione delle forme istituzionali, come già è avvenuto nei secoli passati. Per citare qualche esempio: in epoca moderna, l'affermazione della borghesia sull'ancien régime; nell'antichità, il conflitto tra fazioni e la crisi della res publica romana tra la fine del II secolo a.C. e il I secolo a.C., e il declino delle poleis greche dopo la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.; in questo periodo ad Atene si verificano due colpi di stato oligarchici, dei quali l'ultimo, quello dei Trenta tiranni, sfociato in guerra civile: come scrive il prof. Luciano Canfora nella Guerra civile ateniese, fu la “democrazia” restaurata a condannare a morte Socrate). In ognuno di questi processi, c'era alla base l'emergere di una “classe” sociale economicamente intraprendente, che conquistò progressivamente il potere di influenzare le dinamiche politiche.
Evoluzioni sociali a parte, anche il quadro internazionale lascia intendere la possibilità di significativi mutamenti, accelerati dall'emergere (che in alcuni casi è un ritorno) di potenze asiatiche come Cina, Giappone, India, e di potenze un tempo attive nell'assetto europeo, come Russia e Turchia. Occorre quindi una riflessione seria sulla necessità di gestire in modo razionale questo intrecciarsi di transizioni, interne e internazionali, perché un “ordine mondiale”, che risulta dalle relazioni tra i singoli Stati, è necessariamente influenzato dalle forme politiche di questi ultimi. In altri termini, se prevarranno forze politiche scarsamente disponibili alla dialettica e al compromesso, sarà più probabile l'emergere di conflitti sul piano internazionale, oltre che forti tensioni su quello interno. Per evitare ciò, occorre limitare quanto possibile i fenomeni di polarizzazione tra le diverse componenti della società e garantire un certo equilibrio nella dialettica politica interna. Altrimenti, il rischio è che si contrappongano diverse filosofie del disprezzo: quella della “casta” (che si arrocca per mantenere i propri privilegi) nei confronti delle “classi popolari”, quella (di reazione) del “paese reale” nei confronti della “casta” e quella (in certa misura più trasversale) nei confronti delle “minoranze”. Tre pensieri unici che si alimentano a vicenda imponendo una gara tra opposte mistificazioni, a discapito di una discussione lucida e ragionevole sui fenomeni politici e geopolitici in atto.
Inaugurata il 21 febbraio a Milano,dall’assessore dei Beni culturali della Regione Siciliana, Sebastiano Tusa, dal sindaco lombardo Beppe Sala, alla presenza di Vittorio Sgarbi, la mostra dedicata ad Antonello da Messina, l’artista siciliano che ha dato vita ad un corpus di opere fra cui spicca per dovizia di cura, ingegno ed estro artistico una tra le opere più seducenti della storia dell’arte di tutti i tempi: l’Annunziata.
Così come una bella signora di provincia, senza troppi orpelli, la Vergine lascia gli angusti vicoli arabi della Kalsa di Palermo, dov’è esposta a Palazzo Abatellis (sede della Galleria Regionale) per fare il suo ingresso nel capoluogo milanese.
Sono le 5 del pomeriggio quando il camion dei trasporti eccezionali fa il suo ingresso nel cortile di Palazzo Reale a Milano accompagnato dalla scorta armata. A bordo, in una piccola cassa di legno, custodito quasi come una reliquia sacra, il magnifico ritratto del pittore siciliano. Hanno accompagnato la Madonna, nel volo di linea PA-MI, Evelina De Castro, direttrice di Palazzo Abatellis e Franco Fazzi, restauratore che hanno fatto notare la fragilità di una pittura su legno che non vede ritocchi dal 1941.
Nonostante il decreto di inamovibilità voluto dall’ex assessore ai Beni culturali Maria Rita Sgarlata che grava sull’opera e nonostante fosse in corso proprio al Museo Regionale che ospita l’opera una mostra su Antonello con opere provenienti da tutta la Sicilia, dagli Uffizi e dalla Romania, alla fine la controversa questione si è risolta a favore dei milanesi.
Decisive comunque le trattative di carattere economico che sono risultate vantaggiose per la Regione Sicilia e il “baratto” con alcune tele sulla ritrattistica del 900 che hanno operato il dietro front del Presidente della Regione Nello Musumeci .
Così, concessa “in extremis”, l’opera è stata assicurata per un valore di 60 milioni di euro e rappresenta indubbiamente il pezzo clou della monografica curata da Giovanni Villa.
La mostra che si protarrà fino al 2 giugno prossimo, grazie al prezioso “prestito”, con molta probabilità riuscirà a battere tutti i record di Palazzo Reale: dopo solo 5 giorni dall’apertura delle prenotazioni, infatti, si sono già registrate 11 mila possibili presenze.
Questa “Madonna col libro avanti”, come ebbe a definirla Marco Boschini, con il suo sguardo ipnotico, diventa, per l’occasione,” ideale ponte di bellezza fra due grandi capitali di cultura, Milano e Palermo”. Queste, in buona sostanza, le parole del sindaco Sala.
Il rapporto simbiotico che lega quasi sempre indissolubilmente l’artista alla propria opera, in questo caso, sembra incarnarlo persino nelle vicissitudini a cui sia l’opera che il suo creatore sono andati incontro. Dell’autore, “Antonellus Messanensis”, com’era solito firmarsi, infatti, pochissime sono le notizie pervenute. Circondata da un’aura di mistero la sua vita a causa della mancanza di notizie perché tracce e documenti relativi sono stati distrutti o dispersi nei terremoti. Così pure la sua tomba. Però fonti accreditate narrano di un “pictore ceciliano” che Galeazzo Maria Sforza avrebbe , a un certo punto voluto alla Corte di Milano.
“Pictor non umano” scrisse di lui il figlio, mentre era ancora in vita, proprio a voler sottolineare come fosse già evidente questo suo talento capace di superare gli umani limiti.
E così anche la sua opera eccelsa: datata 1475/76, sopravvissuta a catastrofi, calamità, incursioni di popoli stranieri, in una terra che è stata territorio di conquista sin dalle sue origini, rimane nell’oblio per secoli fino al 1860 circa quando lo studioso Giovanni Battista Cavalcaselle compie il suo viaggio in Sicilia. Come i molti paradossi di cui solo la storia dell’arte e della sua critica sono capaci, il capolavoro, oggi universalmente riconosciuto, rimane ignoto per circa 400 anni quando salta fuori il nome di questa Vergine legato forse ad Antonello da Messina.
Ignota la modella, ignota la committenza, innegabile la bellezza.
La ragazza siciliana, dal volto olivastro, dai lineamenti leggeri e raffinati, è di fronte a noi ma il suo sguardo non sembra incrociare il nostro.
Perché?
Perché i due occhi scuri guardano altrove.
Non è solo lo sguardo timido di una ragazza che non si sente ancora pronta ad affrontare il proprio destino, è di più: il punto di fuga è verso il basso perché la Vergine sta contemplando un’assenza annunciata. Antonello ha stravolto i canoni consueti fino a quel momento, ha reinventato l’iconografia dell’Annunciazione ponendo l’Arcangelo nella stessa posizione dello spettatore.
In questo ribaltamento del punto di vista il colpo di genio del pittore.
L’osservatore è contemporaneamente fuori e dentro l’opera.
Spettatore e protagonista nello stesso tempo.
Un dialogo silenzioso, una presenza non rappresentata, l’umano e il divino che si fondono, che si confodono in una dimensione catartica e soprannaturale.
Perché il miracolo della Vergine, per chiunque abbia avuto il privilegio di ammirarla, sta proprio in questo: nella catarsi che si avverte a prescindere da ogni dogma di fede.
Perché la Vergine di Antonello è come la contemporanea opera di Mantegna, Il Cristo morto che non è solo il Cristo dei Cristiani è il Cristo di tutta l’umanità.
E le opere d’arte sono le testimoni ignare, innocenti di questo miracolo, esse sono la nostra memoria, la nostra identità, l’ultimo baluardo di difesa contro ogni possibile barbarie.
E cosa dire poi di quelle mani, “le mani più belle che io conosca dell’arte” per usare le parole di Roberto Longhi che così le definì nel 1912.
Una mano che nel suo gesto enigmatico sembra racchiudere tutto il significato di un’opera apparentemente semplice ma fondamentalmente complessa.
La Vergine sa a che cosa è chiamata e il gesto istintivo della sua mano cerca di fermare l’Angelo ma al contempo il suo sorriso è sereno e pacato già quasi divino.
Che possa l’arte insieme alla sua Madonna compiere oggi il miracolo di “muovere le folle”, cosa dove peraltro sembra stia riuscendo alla perfezione.
Emilia Di Piazza
Stemma della tenuta |
“Nel 1994 Fulvio Martini, industriale delle “spugne”, torna a far vivere un luogo abbandonato in una posizione incantevole della costa toscana. Le lande incolte vengono popolate di oliveti, vigneti e macchia mediterranea, mentre una ristrutturazione di gran gusto crea dai resti dell’antico casale un relais di campagna”. Così si legge nella presentazione della Tenuta Fortulla.
Il casale |
Ci troviamo a Castiglioncello tra Rosignano Marittimo e Livorno, la costa che precede la rinomata area bolgherese. Ad accogliermi Laura Marzari, l’anima vera della Tenuta.
Avevo promesso a Laura, in un precedente incontro, che sarei venuto “a calpestare le vigne” per consolidare e rafforzare quanto era emerso in quel contesto. Promessa mantenuta. Ed insieme a scoprire…
LA PITTURA
Luogo da sempre fonte di ispirazione per gli artisti in particolare pittori. Qui alla fine dell’800 nacque il movimento dei pittori Macchiaioli.
La storia racconta che il loro maggiore esponente, il pittore Giovanni Fattori (Livorno, 6 settembre 1825 – Firenze, 30 agosto 1908), abbia soggiornato spesso a Castiglioncello nella tenuta dell’amico e critico d’arte Diego Martelli. Si racconta che il Poggio Pelato sia stato fonte d’ispirazione per molte sue opere.
Scena del film "Il sorpasso" |
IL CINEMA
Sono i luoghi del celeberrimo film Il sorpasso, film del 1962 di Dino Risi. Il regista scelse quel tratto dell’Aurelia, tra Castiglioncello e Calafuria, per girare le scene finali drammatiche di quel sorpasso ormai vero cult della storia cinematografica di quel periodo. E la Tenuta Fortulla ha voluto dedicare uno dei suoi vini prestigiosi, Sorpasso (appunto), alll’evento divenuto ormai patrimonio di quel territorio.
LA MACCHIA MEDITERRANEA
La macchia mediterranea (lecci, ginepri, eucalipti, rovi, rosmarini) è uno dei principali ecosistemi. Formazione vegetale arbustiva sempreverde. A Castiglioncello e nel suo entroterra si sviluppa sui declivi con suolo poco profondo e soggetto a un rapido drenaggio. Svolge quindi la funzione importantissima di difesa del suolo dall’erosione da parte degli agenti atmosferici, assicurando un'efficace regolamentazione idrogeologica.
Olivi, pini (bosco) e vigneti come patrimonio del Progetto Bioitaly della Direttiva Europea Habitat ovvero sito di interesse Nazionale per la sua preziosa biodiversità.
“La nostra filosofia aziendale abbraccia le pratiche biologiche perché siamo convinti che questa è la strada del nostro futuro. Fin dalla preparazione del terreno, le lavorazioni sono state condotte in maniera biologica e abbiamo piantato le barbatelle a mano. L’essere biologici rispecchia la nostra linea di pensiero, aiuta e amplifica l’identità dei nostri vini e ad essere più unici”
I NUMERI
La proprietà si estende su 110 ettari di cui circa 7 vitati e 5 ad oliveta. “La scelta dei vitigni è stata dettata dal nostro terroir e dal clima per dar vita a dei vini ottimi, ricchi di frutto, sole ed equilibrati ma sempre rispettando la peculiarità dei nostri vitigni”.
GLI ASSAGGI
5 i vini prodotti e 1 spumante (metodo charmat).
Serpentino 2018, vermentino 90% e viognier 10%. Ottimo voto 86/100;
Pelagico 2015, petit manseng 100%. Ottimo, voto 89/100;
Epatta rosé 2018, cabernet franc e sauvignon al 50% ciascuno. Ottimo, voto 87/100;
Fortulla 2014, cabernet franc e sauvignon al 50% ciascuno. Ottimo 89/100
Sorpasso 2013, cabernet sauvignon 47%, cabernet franc 47% e merlot 6%. Eccellente 91/100.
Ventaglio eterogeneo di terreni, esposizioni; differenze notevoli nello stesso areale. Peculiare diversificazione come recente eredità della storia di Laura e Fulvio. I vini vividi e gradevoli che hanno dato ottime prove durante la degustazione.
Tenuta Fortulla: nella sua crescita meritevole di molta attenzione. Chapeau!
Urano Cupisti
Mai come in questo momento storico abbiamo bisogno di confrontarci con l’equilibrio ambientale del nostro pianeta e anche un viaggio nei grandi spazi australiani ci fa ripensare al nostro essere in comunione „empatica“ con la natura.
Il RAINBOW SERPENT risalendo dalle viscere della terra ha creato rilievi montuosi e canyon ed ora abita nelle pozze d’acqua del deserto australiano.
Siamo in Australia sudoccidentale e stiamo ricordando la leggenda del serpente mitologico che le tribu’ locali dei Ballardong credevano avesse dato origine allo spettacolare massiccio della Wave Rock, formazione rocciosa che ricorda una gigantesca onda che sta per infrangersi.
Questa struttura granitica si trova nell‘Hyden Wildlife Park, una riserva naturale di 160 ettari a circa 340 km a sud-est di Perth, zona considerata uno dei luoghi piu‘ interessanti e antichi dell’Australia.
La Wave Rock, alta 15 metri e lunga circa 110 metri, si ritiene che originariamente fosse sepolta nel sottosuolo e che in seguito emerse a causa delle erosioni di agenti atmosferici, come vento e pioggia, le quali hanno creato nei millenni sul granito strisce verticali grigie, ocra e rosse, colori derivanti dall’incontro di diverse composizioni di minerali presenti nella roccia e che, tra l’altro, cambiano colore in ogni momento del giorno.
Come si puo‘ rilevare dalla carta geologica, l’angolo sudoccidentale del continente corrisponde alle rocce piu‘ antiche, si tratta del cratone (antico continente) Yilgarn con rocce che contengono tra l’altro gli zirconi piu antichi del pianeta risalenti a circa 4,4 miliardi di anni fa. Con una passeggiata a piedi si arriva alla Bates Cave, una grotta con graffiti di circa 200 anni fa; leggende tribali vogliono che in questa grotta si rifugiasse Mulka, figlio cieco la cui cecita‘ si dice derivasse da una sorta di di punizione divina perche‘ frutto di unione proibita tra un uomo e una donna di due tribu aborigene diverse. Inoltre si racconta che questa figura mitologica non potendo cacciare mangiasse i bambini, infatti la grotta e‘ cosparsa da impronte di piccole mani tutt’ora visibili e, anche per questo, i discendenti delle tribu locali si tengono lontano da questo luogo.
La zona dell’Hyden Wild Life Park e‘ molto interessante da visitare, oltre che per la famosa Wave Rock, anche per la presenza del vicino lago e per la possibilita‘ di entrare in contatto diretto con panorami molto lontani dalla nostra realta, i quali in un certo senso ci permettono quasi di „perderci“ nella natura ed entrare in contatto con noi stessi e quindi anche dandoci la possibilita‘ di osservare il nostro patrimonio naturalistico in modo diverso da come abbiamo fatto fino ad ora.
Gaza stanotte si è addormentata sotto una tempesta naturale che faceva concorrenza ai bombardamenti israeliani, ma si è svegliata con la notizia che un nuovo missile ha colpito a nord di Tel Aviv centrando un’abitazione e ferendo 7 persone tra cui, per fortuna leggermente, 3 bambini. Quindi si è svegliata temendo che non saranno i fulmini a coprire prossimamente il cielo, ma l’aviazione israeliana, come già minacciato da Netanyahu che sta tornando in fretta e furia da Washington.
Le agenzie di stampa israeliane stamattina abbondavano, come ovvio, in notizie circa i feriti e i danni provocati dal potente missile Farji5, i media internazionali hanno fatto loro eco abbondando anche in notizie di colore, tra cui i ricoveri per stato di panico nonostante i rifugi sicuri, o la morte di un cane rimasto sotto le macerie, cosa sicuramente triste ma che, se si mette sul piatto della bilancia rispetto agli assassinii a freddo dei palestinesi e alla demolizione di decine di migliaia di loro case con morti umani sotto le macerie, sembra un’attenzione quantomeno squilibrata.
Ma al di là delle notizie per così dire di colore, ce ne sono due piuttosto strane, la prima è che l’iron dome, cioè il più sofisticato sistema antimissilistico, capace di intercettare e neutralizzare i razzi nemici era stranamente spento quando il missile è arrivato. La seconda è che, nonostante il missile lanciato da Rafah abbia centrato una zona residenziale ferendo e facendo gravi danni, le scuole oggi sono rimaste aperte.
Se i due missili di circa dodici giorni fa, quelli ai quali Israele rispose con una notte di bombardamenti distruggendo più di 100 strutture e ferendo diverse persone, sono rimasti senza chiaro mittente tanto che alcune ipotesi sono state di “razzi elettorali” ed altre di “razzi distrazionali pro-Hamas”, il missile di questa mattina crea ancora più dubbi. Sia la volta precedente che oggi, è stato ipotizzato dalla stampa israeliana, portavoce del governo, che possa essersi trattato di un errore. Fa un po’ ridere quest’idea che sprovveduti ragazzotti spingano su un bottone sbagliato avendo accesso a luoghi che non sono certo una sala biliardo e quindi è difficile crederci. Proviamo a esaminare i motivi di dubbio.
Il primo fatto significativo è la potente gittata di questo missile, che dovrebbe essere di fornitura iraniana e dovrebbe far parte degli stoccaggi della Jihad islamica. Tra Rafah e Tel Aviv passano 120 chilometri. Mai un missile lanciato da Gaza è arrivato tanto lontano. Inoltre la Jihad ha sempre rivendicato le sue azioni militari ma questa volta, esattamente come dodici giorni fa, rifiuta ogni responsabilità e al momento i suoi capi sono in riunione con i capi di Hamas che rifiuta, a sua volta, ogni rivendicazione.
Perché Jihad e/o Hamas avrebbero dovuto lanciare un missile tanto potente sapendo che questo avrebbe innescato una risposta violentissima? Vogliono un’escalation? E’ proprio loro il missile lanciato da Rafah, cioè da pochi metri dall’Egitto? Qual è dunque il motivo e il messaggio lanciato da quest’azione? E se non è stato Hamas, come affermano a Gaza persone che non sono assolutamente simpatizzanti del governo locale, né la Jihad, chi e perché ha lanciato il missile?
Stranamente Israele non ha ancora risposto se non con modeste azioni a Beit Hannoun, estremo nord, questa mattina, senza grossi danni né feriti. Anche questo è strano, non rientra nella “tradizione” israeliana le cui rappresaglie sono sempre violentissime e sproporzionate alle azioni della resistenza palestinese. Qui si sta aspettando la risposta israeliana, ma anche la risposta ufficiale che dovrebbe uscire dalla riunione congiunta di Hamas e Jihad. La Jihad ha già pubblicato un comunicato laconico che fa eco alle minacce di durissima rappresaglia da parte di Israele, dichiarando che la risposta della resistenza sarà a sua volta durissima.
Altra cosa strana, per tutto il giorno i droni sono stati a riposo, stanno arrivando adesso, 17 ora locale. Volano bassi, pessimo segnale.
Intanto Israele ha mandato l’esercito in massa lungo la linea dell’assedio e ha chiamato i riservisti. Gli iron dome, che stavolta funzioneranno, sono stati dislocati in tutto il territorio israeliano. Inoltre sono stati avvertiti gli abitanti degli insediamenti prossimi alla Striscia di Gaza di organizzarsi che ci sarà presto un violentissimo attacco aereo. Ci sarà prima del rientro dall’America di Netanyahu? Chi ne prenderà “i meriti”? Mentre scrivo arriva la notizia del primo attacco israeliano a nord dalla parte del mare. I droni seguitano a volare bassi.
Il popolo palestinese di Gaza pagherà le conseguenze di ogni cosa. Israele ha chiesto ai Consolati stranieri di evacuare i propri cittadini. Questo è un segnale pesantissimo. I valichi sono stati chiusi, ma tanto questo per i gazawi rientra nella normalità dell’assedio, mentre il segnale che viene mandato al mondo è preciso: faremo un massacro al quale nessuno potrà sfuggire, portatevi fuori i vostri quattro internazionali perché non vogliamo testimoni. E i consolati si stanno attrezzando. Chi scrive sarà probabilmente costretta domattina ad uscire da Gaza, lasciando sotto le bombe solo uomini, donne e bambini gazawi, gli stessi di cui conosce nomi, visi, risate e sogni, e lasciando ai megafoni israeliani la sola voce che arriverà in Occidente.
Le ultime notizie riaffermano che Israele “risponderà” ad ogni attacco, mentre da Gaza la resistenza risponde che replicherà da ogni punto della Striscia ad ogni attacco israeliano. Non è una partita di risiko. E’ una tragedia annunciata. E su tutto c’è la grande ala delle prossime elezioni che probabilmente verranno vinte grazie al sacrificio del popolo gazawo. Quello che non muore di paura scappando nei rifugi, ma che muore per davvero, proprio come il povero cane israeliano che ha commosso i media, ma probabilmente senza muovere la stessa commozione. Gli attacchi sono appena iniziati. Possiamo solo sperare che qualcuno riesca a fermarli prima che si trasformino nell’inferno annunciato.
per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Informazioni sull'Autore
Patrizia Cecconi nasce a Roma dove consegue la laurea in Sociologia presso l’Università La Sapienza. Qui tiene per alcuni anni seminari sulla comunicazione, quindi si dedica all’Economia e vince la cattedra di Economia Aziendale per l’insegnamento negli Istituti d’istruzione superiore dove presterà servizio per circa venticinque anni. Interessata all’ambiente e alla natura, verso il 2000 rivolge la sua attenzione allo studio sistematico della botanica e della fitoterapia ponendo sempre al centro dei suoi lavori l’interazione culturale tra l’ambiente e gli umani che lo abitano. Infatti il suo interesse per l'ambiente si lega alla denuncia della violazione dei diritti umani nel mondo. Ha curato e pubblicato articoli e libri su argomenti diversi, ma sempre focalizzati sul rispetto e la tutela del Diritto universale, anche quando il tema richiama la botanica. Il suo interesse particolare è rivolto alla Palestina, dove si reca diverse volte l’anno. I suoi reportages su Palestina e palestinesi sono pubblicati regolarmente in Italia in diversi giornali e riviste on line. Dal 2009 fino al dicembre 2014 è stata presidente della onlus “Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese” di cui ora è presidente onoraria, associazione umanitaria laica che cura principalmente le adozioni a distanza di bambini disagiati e la sensibilizzazione verso la questione palestinese in Italia. E’ co-fondatrice della onlus Cultura è Libertà e dell’associazione Oltre il Mare di cui è presidente, entrambe le associazioni hanno come focus prioritario del proprio agire la diffusione della storia e della cultura palestinese.
Leonardo da Vinci, S. Girolamo penitente, 1482 ca., |
Mentre per volere di papa Giulio II della Rovere Michelangelo stava affrescando la volta della Cappella Sistina (1508-1512), Raffaello stava decorando le stanze dell’appartamento papale (1508-1517) e Bramante, a partire dal 1506, stava contemporaneamente distruggendo la vecchia e costruendo la nuova basilica di S. Pietro, a Roma, c’era anche Leonardo.
Documentazione figurativa di tutte queste presenze e accadimenti, è l’istantanea ideale che Raffaello ha scattato, tramandandoci i ritratti dei protagonisti nell’affresco della Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura, la più importante delle Stanze di Raffaello in Vaticano. Proprio nel centro dello schieramento dei filosofi, Platone, il dito puntato verso il mondo delle Idee e il Timeo nell’altra mano, tradizione vuole, che abbia il volto di Leonardo.
Un documento dell’Archivio Storico della Fabbrica di S. Pietro certifica la presenza del maestro, chiamato in Vaticano, più come ingenere e scienziato, che come artista, proprio per la costruzione della basilica.
Tale documento, è esposto presso il Braccio di Carlomagno, terminazione di una delle ali del Colonnato berniniano, insieme al S. Girolamo penitente di Leonardo.
In occasione delle celebrazioni dei cinquecento anni dalla morte del genio del Rinascimento, l’unica opera di Leonardo nelle collezioni dei Musei Vaticani, solitamente esposta nella Pinacoteca, è offerta gratuitamente alla fruizione dei visitatori, turisti e pellegrini.
Il percorso ha inizio con i pannelli che riportano la biografia dell’artista, da una parte la cronologia, dall’altra la versione del Vasari.
In una teca il documento della Fabbrica di S. Pietro, dall’altra il video realizzato dai Musei Vaticani, che racconta la presenza di Leonardo a Roma e, in particolare, in Vaticano.
Si affrontano poi i pannelli che narrano la storia e le vicissitudini dell’opera: una vita avventurosa e ancora enigmatica, per quello che riguarda la committenza e, soprattutto, la datazione certa.
Quindi le indagini, scientifiche e di restauro, ma anche iconografiche, tecniche e stilistiche. Il non finito, lo sfumato, la ricerca naturalistica nel paesaggio, ma anche nelle dissezioni anatomiche, tutto emerge in questa singola opera, che richiama per analogia gli altri capolavori del maestro. Infine, un pannello è dedicato a S. Girolamo, le notizie sul padre della Chiesa, vengono dalla voce autorevole di Bendetto XVI, tratte da due testi delle consuete udienze del mercoledì, del 7 e del 14 novembre del 2007.
La mostra in Vaticano può fare da prologo o completamento a Leonardo da Vinci. La scienza prima della scienza, in corso, sempre a Roma, alle Scuderie del Quirinale. Anche in questo caso, come è stato per la chiamata di Leonardo in Vaticano, non è all’artista che ci si rivolge, quanto all’ingegnere e allo scienziato.
Leonardo da Vinci, studio di due mortai che lanciano proiettili esplosivi, 1485. Codice Atlantico f.33r. Milano Veneranda Biblioteca Ambrosiana. |
L’esposizione è incentrata sulle riproduzioni delle macchine inventate dal genio toscano, provenienti dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci» di Milano. L’originalità della mostra, non è tanto nell’esposizione delle macchine, per quanto in relazione con i disegni del maestro conservati nel Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana, pure presentati al pubblico, quanto nel tentativo di ricostruzione di una possibile biblioteca a lui appartenuta. Oltre ai dieci fogli del Codice Atlantico è presente l’unico libro con annotazioni autografe dell’artista, il Trattato di Architettura di Francesco di Giorgio Martini della Biblioteca Laurenziana.
È proprio ai manoscritti e agli stampati che è affidato il compito di ricostruire l’ambiente culturale dell’epoca. I temi del dibattito culturale, non ancora settorializzati, ma in dialogo profiquo tra discipline differenti e, seppure disparate, non così lontane e separate, emergono e si dipanano lungo l’esposizione, che segue anche la periodizzazione biografica.
La prima sezione è dedicata agli ingegneri toscani sulla cui professionalità e maestria Leonardo si è formato.
Segue lo studio dell’Antico e Leonardo è già a Milano, siamo nel 1482. Il dibattito tra pianta centrale e pianta a croce latina nell’architettura delle chiese e la sovrapposizione-combinazione delle due, lo porterà a Roma per la nuova S. Pietro.
Quindi l’invenzione della prospettiva. Poi la sezione delle città ideali e vie d’acqua. Tra i manufatti che più attirano l’attenzione, i portelli originali della chiusa di S. Marco del Naviglio di Milano, ancora in uso fino al 1929. I teatri di macchine poi ci conducono nel mondo dello spettacolo con gli apparati scenici.
Quindi la parte dedicata alla biblioteca di Leonardo, seguita dall’arte della guerra. La mano felice del maestro rende quasi leggiadre queste macchine da distruzione, come nel disegno dal Codice Atlantico, Studio di due mortai che lanciano proiettili esplosivi del 1485. Le macchine da offesa lasciano poi il campo a quelle dal fascino avveniristico e visionario del volo.
La mostra si chiude con la sezione dedicata al mito di Leonardo che continua ad affascinare ed ispirare, così che queste celebrazioni del Cinquecentenario della morte, ce lo fanno sentire quanto mai vivo e presente.
Approfondimenti sono previsti dalla programmazione degli incontri Leonardo in città che vedrà protagonisti gli studiosi specialisti di Leonardo come Pietro Marani e Martin Kemp.
Accompagna la mostra il catalogo edito da arte’m l’Erma di Bretschneider. La bellezza di manoscritti e stampati, solitamente tesori poco visibili in mostra, sia per la scarsa conoscenza, legata anche alla giovinezza della codicologia, disciplina che studia l’aspetto materiale di tali opere, sia per la fragilità e conservazione delle stesse, è esaltata dalle foto a piena pagina. Le didascalie sono generose e puntuali, anche e soprattutto quelle riguardanti manoscritti e stampati, dove è riportata oltre agli incipit e la presenza di fogli di guardia, anche la bibliografia di riferimento, come la descrizione codicologica prevede e vuole.
Leonardo.
Il S. Girolamo dei Musei Vaticani
22 marzo-22 giugno 2019
Città del Vaticano, Piazza S. Pietro, Braccio di Carlomagno
Ingresso gratuito
Orari: Lunedì, martedi, giovedì, venerdì e sabato dalle 10.00 alle 18.00
Mercoledì dalle 13.30 alle 18.00
Domenica chiuso
Info: www.museivaticani.va
Leonardo da Vinci.
La scienza prima della scienza
13 marzo-30 giugno 2019
Roma, Scuderie del Quirinale
Ingresso intero €.15,00
Orari: da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00
Venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30
Info: www.scuderiedelquirinale.it
Catalogo arte’m l’Erma di Bretschneider €.35,00
Elena Sidoni
Contrariamente alla filosofia di Ippocrate, la cui scienza e la cui attività di medico erano interamente concentrate sulle cause che determinano le malattie, e a neutralizzarle tramite un giusto stile di vita ed una corretta alimentazione vegetariana, l’industria chimico-farmaceutica (e l’apparato medico allopatico) opera principalmente sui sintomi delle malattie e trova nella negligenza del popolo il migliore alleato per i suoi giganteschi interessi economici. Sfrutta l’indolenza della maggior parte della gente che preferirebbe farsi tagliare una mano piuttosto che rinunciare a certi piaceri gastronomici: si reca dal medico non per conoscere le cause del suo problema di salute e intervenire su questo; vuole il farmaco che gli consente di continuare a vivere senza dover rinunciare ai vizi che causano la malattia. Cioè, se una persona soffre di cirrosi epatica al medico chiede la pillola che gli consente di continuare a consumare alcolici, che è come spegnere la spia del carburante sul cruscotto dell’automobile pensando di continuare a viaggiare senza benzina.
Naturalmente l’ultimo degli interessi dell’industria farmaceutica è quello di debellare le malattie e quindi di patrocinare la cultura delle cause e della guarigione, anzi spesso sono i medicinali stessi a generare altre malattie, da curare: gli effetti iatrogeni dei medicinali risultano essere la 4^ causa di morte nel mondo occidentale. D'altronde, può un’industria di ricambi d’auto sostenere la produzione di automobili che non si deteriorano? In sostanza, l’apparato medico allopatico non è preposto a debellare le malattie, ma a curarle. Non esiste un ente preposto a dare alla popolazione il benessere e la salute. Questo dovrebbe essere il principale obiettivo del Ministero della salute, ma la realtà dei fatti conferma che per salute si intende curarsi con i farmaci.
Io non voglio essere complottista, non voglio pensare che questo infernale meccanismo sia pensato a tavolino per danneggiare volutamente la salute del pianeta e trarre dalla malattia umana benefici economici; voglio credere che l’industria farmaceutica sfrutti a suo vantaggio i problemi di malattia, i vizi e le debolezze umane, e abbia trovato nella tendenza umana, a delegare a terzi il proprio benessere, il mezzo più efficace per i suoi immensi guadagni finanziari. Attualmente, il fatturato mondiale delle industrie farmaceutiche supera i 1.100 miliardi di dollari ed è in crescita esponenziale. L’industria farmaceutica investe milioni in campagne di disinformazione. Il Vioxx prescritto come antidolorifico, ha ucciso 100.000 persone e si stima che i casi di infarto superi il milione. (Farmaci e protocolli per bambini) - da panorama di apr. 2008. In America è stato esaminato un campione di 100 spot televisivi, tutti sono stati giudicati parzialmente o totalmente falsi e ingannevoli. Solo il 2 % degli studi clinici per testare i farmaci a scopo pediatrico si basa su Comitati di Controllo Indipendenti non legati ad <http://www.mednat.org/big_farma.htm> industrie farmaceutiche per valutare l’eventuale presenza di reazioni avverse. Questo e’ quanto emerge da un’analisi, effettuata dall’Università di Nottingham (UK) ed apparsa sulla rivista Acta Pediatrica di 739 trial (prove) internazionali effettuata fra l 1996 ed il 2002.
Ad innumerevoli scienziati fu chiesto “Cosa ne pensa del cancro? “Un gran parte un imbroglio” (Linus pauling, due volte primio Nobel); “Un verofallimento” (John Bailar, medico, ex direttore del Jouarnal of the National Cancer istitute); “Il Vietnam della medicina” (Donald Kennedy , ex presidente della Stanford University); “Un mucchio di letame” (James Watson, genetista, scopritore della struttura della molecola del DNA, premio Nobel).
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
In arrivo Vinitaly e Vinexpo.
Terminata la girandola delle Anteprime e in corso l’evento vinicolo tedesco ProWein, all’orizzonte ecco arrivare la kermesse italiana più importante e seguita: il Vinitaly con al seguito l’edizione biennale del Vinexpo di Bordeaux. Un 2019 ricco di eventi a livello mondiale nel segno della “globalizzazione”. Tutti, sud-americani, europei, cinesi, asiatici e chi più ne ha ne metta, alla conquista forsennata dei mercati altrui a suon di numeri, produzioni, fatturati ecc…Il mondo del vino in movimento. Ognuno dica la sua. Ogni tanto fermarsi e pensare con Baudelaire non farebbe male:” Caro povero uomo, dalla prigione del vetro e sotto questa rossa laccata cera, ti giunga luminosa, fraterna, una canzone. So bene quanta pena, quanto sudore occorra sulla collina in fiamme, sotto il sole cocente perché io abbia un’anima, e la vita in me scorra”.
Frammento n. 1
La FIVI al Vinitaly
Ormai è stata definita “la carica dei 212 vignaioli al Vinitaly”. Nuovi spazi espositivi nel padiglione 8. È la prima volta che un numero così sostanzioso partecipa a questo evento occupando ben 1200 metri quadri. Basti pensare che nell’edizione del 2018 erano solo 158 posizionati su 830 metri quadri. Presenteranno al pubblico e agli operatori del settore, italiani e stranieri, i loro vini frutto di una viticoltura “artigianale” a ricordare da dove provengono e le tradizioni che rappresentano. E bene ricordare che il vignaiolo Fivi è colui che coltiva le proprie vigne, produce e imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto.
Frammento n. 2
Vinexpo Bordeaux anticipa
Non più a giugno ma un mese prima: dal 13 al 16 maggio. Quattro giorni per fare il giro del mondo del vino e degli alcolici, incontrare i decision maker leader, fare affari, confrontarsi sulle sfide strategiche della filiera e beneficiare di un’esperienza unica nel cuore di uno dei vigneti più famosi. Come sempre l’impronta diversa, unica di affrontare le tematiche della vinoviticoltura mondiale. 850 giornalisti provenienti da 40 paesi, esplorazione delle tendenze grazie ai numerosi lanci di prodotti nuovi, contenuto di alto livello con relatori di fama internazionale. Questo sarà il Vinexpo 2019.
Frammento n. 3
Il Riesling delle Alpi Apuane
Alpi conosciute per i bianchi bacini marmiferi (il marmo bianco di Carrara e le cave di Michelangelo) non certamente per luoghi viticoli anche se nei paesini disseminati lungo quello che oggi è il Parco Naturale delle Alpi Apuane, da sempre si fa vino. Un vino schietto, aspro, sincero, prodotto e consumato durante l’anno. Tre “ragazzi” provenienti da esperienze diverse che in qualche modo hanno avuto a che fare con il vino( Andrea Elmi, Gian Luca Guidi e Marco Raffaelli ), hanno dato origine ad un progetto: produrre vino da vitigni riesling a mille metri s.l.m. Piantato il vigneto nel 2013 con l’obiettivo della prima vendemmia nel 2017. Ma il gelo fuori stagione ha rinviato la nascita del vino delle Apuane. Il 17 di ottobre 2018 la festa della vendemmia. Cinque quintali di uva adesso si trovano a riposare in cantina in attesa di essere imbottigliato. Il Riesling delle Apuane è in procinto di nascere.
Frammento n. 4
Mu Mu la mozzarella made in Japan è servita
Ormai i falsi hanno preso il sopravvento in tutti i campi. L’assedio adesso è rivolto verso l’alimentare. A Tokio, precisamente nel quartiere di Shibuya, è attivo un caseificio dove si produce Mozzarella di Bufala Dop: Mu Mu Mozzarella Tokyo Dop. Il marchio riporta la testa di una bufala chiaramente campana e la scritta Dop un acronimo giapponese. Riusciremo a fermare l’avanzata delle bufale con gli occhi a mandorla?
Frammento n. 5
Grappa veneta made in Germany
E dopo la mozzarella con gli occhi a mandorla ecco la grappa veneta made in Germany. Si chiama Grappagner. A monte il 65% delle esportazioni in terra germanica della grappa in particolare quella veneta. Smerciare prodotti simili diventa molto più facile. Se poi consideriamo che la truffa è perpetrata nell’ambito europeo su di un prodotto tutelato…che dire?
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Urano Cupisti
Non solo rivelazioni - Nell’intervista esclusiva rilasciata da Enrico Malatesta, giornalista d’inchiesta (e grande “cacciatore” di documenti inediti occultati), per il suo ultimo libro “Centenario delle Stigmate di San Padre Pio“ -Edizioni Mimep-, apprendiamo una straordinaria circostanza. Nella lunga ed operosa ricerca delle “carte” nascoste, sulle congiure operate per screditare il santo frate di Pietrelcina quand‘ancora era in vita, si erano perse anche le tracce di alcune sue rilevanti reliquie. Ebbene l’autore di questo libro, dopo aver ritrovato i “carteggi occultati”, ha anche recuperato le importanti reliquie che nell’udienza privata del 6 dicembre 1999, ha consegnato ufficialmente nella mani del Pontefice Giovanni Paolo II. Qui accanto, l’immagine della prima pagina de IL TEMPO, che ne riporta la cronaca di quel momento della consegna al Papa, ed in basso, le foto del flacone contenente la reliquia più importante proveniente dal corpo del Santo. Nel libro poi, sono ampiamente descritti tutti i particolari delle complesse vicende all’origine dei ritrovamenti.***
Il 16 marzo 2018 Papa Francesco, con l’ufficialità del suo viaggio apostolico a San Giovanni Rotondo, dava inizio all’apertura delle future celebrazioni di settembre per il Centenario delle Stigmate di San Padre Pio da Pietrelcina.
Ritenuto modello di misericordia come, l’altro cappuccino padre Leopoldo Mendik, il Pontefice aveva già indicato al modo il loro alto valore nella santità, il servizio reso nell’incarnarsi con la misericordia del perdono e dell’amore fraterno, quindi quale miglior esempio se non quello di essere esposti in San Pietro a modello cristiano per l’Anno Santo della Misericordia?
Eppure qualcosa non deve aver incontrato il gradimento dei frati cappuccini di San Giovanni Rotondo. Abituati come sono a considerare il proprio confratello Padre Pio, Santo di fama mondiale, e quindi … “cosa loro”, hanno preferito porre in risalto il cadere della data del 23 settembre 2018 come l’anniversario del Cinquantenario della morte del Santo, piuttosto che la data della Stigmatizzazione. In materia di celebrazioni religiose di esponenti del mondo cattolico assurti agli onori degli altari si tiene conto della data di nascita del Santo, se laico, e della presa dei voti solenni, se religioso. Perché commemorarne la morte che è solo la fine della parentesi terrena?
Per capirci qualcosa di più, in questo complesso mondo Vaticano, dove ormai sono in molti ad accorgersi che i tempi moderni hanno “logorato” più le coscienze che i poderosi graniti del Colonnato, della maestosa e maggiore Basilica del mondo, abbiamo rivolto questa domanda al giornalista e scrittore Enrico Malatesta*, che di San Padre Pio è ormai considerato tra i più preparati, se non addirittura il più documentato studioso del Frate delle Stigmate.
Malatesta allora … che accade in questo Centenario delle Stigmate?
R. Nulla …. Assolutamente nulla !
- Spiegaci ….. Cosa vuoi dire con “Nulla” ?
R. Quando si prepara una celebrazione per un Centenario, …. Diciamo per una guerra mondiale, per una scoperta scientifica, come il vaccino,…. della nascita di una Repubblica o di un regno, si approntano cerimonie celebrative, pubblicazioni, conferenze, studi storici e rievocativi, ecc. ecc.
In questo caso,…. Proprio il “nulla”. All’epoca della proclamazione a Beato, addirittura vennero programmate due fictions televisive sulla storia di Padre Pio, mentre ora per il centenario neanche la riproposizione di una di queste. Perfino il Programma “Porta a Porta” di Bruno Vespa che di anniversari non se n’è perso mai uno, ha taciuto miseramente.
Pensate, in libreria sono giunti centinaia di libri su Padre Pio ma… tutte vecchie edizioni, addirittura anche di venti o trenta anni fa.
Zero conferenze,….zero Studi, zero cerimonie, zero stampa e zero televisione …!!!!
Insomma zero di tutto. Una sola conferenza c’è stata, ma in sordina, a San Giovanni Rotondo, indetta dai frati, a mio avviso proprio per salvare la faccia. Però a commemorare il Centenario ci hanno pensato centinaia e centinaia di parrocchie di tutta l’Italia con processioni, fiaccolate e rosari recitati fino ad ora tarda con veglie ai luoghi di San Pio. Un culto semplice ma vero.
E tutto questo perché ….?
R. Perché ancora oggi l’eterno dissidio tra le regole del tradizionalismo disturbano la visione di una Chiesa al passo coi tempi. Ovvero il “modernismo” religioso”.
Il segno si è passato quando un importante monsignore della Segreteria di Stato ha confessato al mondo della stampa la sua omosessualità, (poco dopo l’elezione di Papa Francesco) e che viveva col fidanzato all’interno del suo stesso appartamento vaticano. Lo scandalo a mio avviso, non è l’omosessualità, ma la sfrontatezza di voler infrangere le regole a colpi di scandali, perché così si possa mettere in mora tutta la “tradizione ecclesiale”. Padre Pio era il semplice frate orante che aveva la “colpa” di amare il Cristo nella sua più tradizionale e costante passione mistica.
Papa Francesco lo ha capito.
Tu invece cos’hai preparato per il Centenario?
R. non ne voglio parlare perché non amo andare per le redazioni dei programmi a fare pubblicità alle mie iniziative editoriali. Se sei così curioso puoi andare su internet e troverai tutto. Una cosa però te la voglio dare in esclusiva. Prima del marzo prossimo, del Centenario delle Stigmate pubblicherò un documento straordinario: un Dvd con due film che dimostrano, e mostrano in modo inoppugnabile, il compiersi di due straordinari miracoli, scaturiti proprio da quelle ferite stigmatiche.
Un documento storico-religioso di portata mondiale, accompagnato da un libro che narra l’impresa della scoperta e recupero dei documenti e dei filmati.
*Enrico Ripanti Malatesta è autore dei seguenti libri su Santo Padre Pio
Da Sofija dei Bulgari a Palma de Mallorca - fino a Piazza dei Ravennati d’Ostia Lido - va l’iter migratorio di Georgi imbianchino, valente musico però d’orecchio e scuola, e pure di cuore. Dopo anni di Baleari, da cinque pizzica infatti corde di chitarra fronte Tirreno, sopra il Pontile mitico della spiaggia romana.
Di chioma candida - e brunito viso proprio di chi mira sempre Sud e onde lontane – si presta a chiacchiere solo dopo l’occaso in mare verso Fiumicino: con l’ombra allora da Torvajanica che sale, e sfuma graffiti e gente sorpresi sul “white carpet” di pietra, e corre giù giù fino alla Rotonda confusa d’orizzonte.
Caro Georgi - tra balaustre gonfie di vento e di salsedine - quanti ragazzi hai fatto innamorare, quanti maturi ri-sognare, quanti solitari ri-sperare, e quanti bambini danzare lieti ai tuoi tanti “revivals” di Mondo e d’Italia? A note sempre solo sussurrate, col garbo di chi libera tra cielo e mare finalmente i suoi aquiloni…
Regalaci però presto anche il tuo folk ricco di Balcani: per fare di Mar Nero e Tirreno acque unite – al profumo di rose bulgare – per poesie d’Europa…
Domenico Ienna
Mentre la malattia avanza e colpisce anche in Italia, la morte del campione del passato Fausto Coppi potrebbe essere il simbolo di questa subdola patologia
Università Ambrosiana |
Tra le principali emergenze sanitarie dell’ umanità attualmente in atto, la malaria è una malattia endemica in vasti distretti della Terra. In epoca relativamente recente il nostro contesto occidentale in qualche modo era stato messo al riparo da questa patologia che tuttavia si ripropone con crescente intensità nelle zone già bonificate nel passato, a causa probabilmente dei flussi migratori in special modo di questo ultimo periodo.
Ma è ancora la malaria, durante i viaggi turistici in certe zone verso il Sud del mondo quantunque non dichiaratamente malariche, che colpisce inaspettatamente una significativa parte di persone non sufficientemente immuni da questa patologia.
Complessivamente nel mondo sono circa 500 milioni gli individui ammalati e nella stragrande maggioranza, questi si trovano nella vicina Africa sud sahariana. Ma anche in Italia, a causa degli spostamenti della popolazione, la malaria si sta diffondendo negli ultimi decenni, prima ancora che nel nostro continente, con tutte le conseguenze annesse e connesse.
L’origine della malattia
La malaria è provocata dai parassiti del genere “Plasmodium” trasmessi da zanzare che causano un alto tasso di mortalità o di invalidità tra coloro che ne sono colpiti.
È la femmina di questi insetti del genere “Anopheles” che inocula il parassita presente nella sua saliva quando introduce il pungiglione per prelevare sangue dalla vittima.
Esisteva nel passato un insetticida, il DDT, molto efficace contro le zanzare ma che si è rivelato dannoso anche per la salute umana. Da allora null’altro di effettivamente efficace è stato prodotto a difesa da questi micidiali insetti.
Il Plasmodium, ossia il parassita che causa la malaria, viene introdotto nel sangue solo dalle zanzare femmine. Non per voler scagionare i poveri maschi da tutte le accuse di questo periodo, ma per evidenziare simbolicamente che la “puntura” delle femmine talvolta è più micidiale di quella dell’altro sesso.
Anophele portatrice di malaria |
Le zanzare
Tornando alle zanzare, se anche si accoppiano nella vita una volta sola, tanto è e ce n’avanza per il danno che sono capaci di compiere. A questo punto sarebbe sufficiente renderle anche momentaneamente sterili, per risolvere il problema dalla radice. Riuscire a prevalere sulla malaria debellandola completamente alla stregua del vaiolo, sarebbe una conquista per l’intera umanità. Ma ogni tentativo meritevole di considerazione per la probabilità di successo, non ha però dato fino adesso, risultati attendibili, tanto che la ricerca antimalarica si è indirizzata verso altri rimedi.
La ricerca in Italia
In questo settore di ricerca si sono inseriti da qualche anno, l’Università Ambrosiana e l’ENEA, che già per la stessa reputazione e serietà, dovrebbero offrire garanzia per i loro intenti; intenti che nel caso specifico riguardano proprio lo studio, la ricerca e la proposizione di metodo, per interrompere il ciclo patologico della malaria.
In mancanza di risorse economiche, ossia, di fondi pubblici che pur disponibili non sono stati stanziati per questo Progetto denominato,“Against Malaria”, proposto dall’ENEA e dall’Università Ambrosiana, gli scienziati dei due Enti con l’utilizzo di molecole di sintesi hanno sviluppato una metodologia atta ad interrompere all’interno della Anopheles il ciclo del Plasmodium. Il metodo proposto consiste nell’interruzione del passaggio del Plasmodium dallo stomaco alle ghiandole salivari della Zanzara, impendendo quindi la trasmissione del Plasmodium.
Il prodotto di sintesi è stato concepito per essere facilmente disperso nelle acque stagnanti che questi insetti prediligono, senza creare altri problemi ambientali.
Tale sistema con buona pace degli ecologisti che ritengono le zanzare meritevoli di vivere, interromperebbe solo il ciclo patologico espresso dal Plasmodium che in tal caso, non potrebbe essere inoculato.
L’ umanità sofferente
- La campionatura statistica sull’ efficacia del prodotto di sintesi è stata effettuata con innumerevoli test nei laboratori dell’ENEA e dell'Università Ambrosiana. Dopo queste sperimentazioni con la sostanza ideata, è stata sicuramente esaurita la fase teorica della ricerca sul prodotto focalizzato dai ricercatori.
Va anche detto che quando la teoria è bene costruita e dà anche come riscontro sperimentale in laboratorio il risultato atteso, ogni ulteriore perplessità, basata sul far trascorrere inutilmente il tempo prima di procedere oltre, è molto probabilmente motivata da interessi contrari. E allora come stanno le cose? Sono oltre 200 milioni nel mondo coloro che ogni anno contraggono la malaria.
Sarebbe interessante portare allo scoperto il motivo per il quale una ricerca che potrebbe rappresentare la fine della sofferenza e della morte di milioni di persone, non viene finanziata.
Il metodo è abbastanza semplice: si tratta soltanto della omissione delle sovvenzioni richieste che i soliti boiardi di Stato disperdono tra gli enti inutili; enti che pertanto, essendo inutili, non rappresentano alcun problema per coloro che sono incuranti del resoconto delle somme investite, né tanto meno, per le lobby contro interessate al successo.
Le priorità del Ministero della Salute
Da quanto risulta, i due Enti hanno richiesto al Ministero della Salute le sovvenzioni occorrenti alla seconda fase della ricerca tesa a sconfiggere la malaria.
Ma la risposta formale del Ministero che disponeva dei fondi necessari, come detto, è stata il silenzio. Mentre quella ricevuta in via ufficiosa ha confermato il “no” che la prima aveva lasciato intendere. Per motivare infatti, il pratico diniego è stato riferito che vi erano altre priorità da seguire.
Ricordando che questo progetto di ricerca si è reso possibile grazie ad una Convenzione non onerosa per lo Stato, fra i due Enti, sarebbe interessante di fronte alla morte certa tra 500 milioni di persone ammalate quale priorità internazionale lo stesso Ministero della Salute reputa più alta e più nobile di questa proposizione.
Un confronto
Se il pratico diniego fosse motivato da una questione di disponibilità economica, allora è giusto fare un confronto.
Quante centinaia di milioni di euro è costato allo Stato, ovvero ai contribuenti, l’invio di navi della nostra Marina Militare fin sulle coste libiche a prelevare gli emigranti dalle bagnarole dei trafficanti?
Il Ministero della Salute non reputa dunque, di dover concedere ad una pandemia come questa la priorità delle risorse economiche, perché non la ritiene una condizione di necessità meritevole di sostegno.
Ignorare però, una ricerca tesa all’eradicazione della malaria nel mondo, quando già si conosce in via teorica il risultato positivo che sarà conseguito, allora l’omissione in atto assume un altro significato.
Alberto Zei