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Nata a Kyiv, in Ucraina, da una famiglia di diplomatici. Kateryna "Katia" Sadilova nel 1999 ottiene il master nella facoltà di relazioni internazionali e politica estera dell'università Nazionale di Taras Shevchenko. Dopo un breve stage nel Ministero degli Affari esteri, dal 1999 al 2001 lavora nel dipartimento di ricerche strategiche del consiglio di sicurezza ucraino.
Nel 2001 si trasferisce in Italia, dove inizia a collaborare con vari canali televisivi ucraini, tra cui "1+1". Spesso invitata a conferenze che riguardano temi di geopolitica, in particolare inerenti a Ucraina, Russia ed est Europa, lavora attualmente come Digital Account Manager nel settore del Digital Advertising e ha partecipato come relatore in convegni su argomenti come le Fake News e il ruolo della Russia insieme a Anna Zafesova e Jacopo Iacoboni de "La Stampa", ed è attualmente vicepresidente di Futura, un'associazione di Lodi che, tramite conferenze e incontri, si occupa di promuovere i valori europei e affontare i temi politici di oggi.
Una breve panoramica della situazione politica ed economica attuale in Ucraina?
Per quanto riguarda la situazione economica va ricordato che dopo la fuga del presidente Yanukovych a febbraio 2014 nelle casse dello stato sono rimasti 3.600€. Questo per far capire in che stato drammatico si è trovato il paese. Nel 2015 il prodotto interno lordo è crollato del 10%, per risalire del 2,4 nel 2016 e del 2,5 nel 2017. Un aumento che si è consolidato nel 2018 con un +3,5%, nonostante la guerra. Cresce il numero delle aziende europee che aprono le proprie sedi in Ucraina: solo negli ultimi 4 anni sono state aperte oltre 2000 aziende arrivate dalla Germania che danno lavoro a circa 600 mila ucraini. Quel che attira di più è il basso costo del lavoro a fronte di una manodopera qualificata, infatti molti imprenditori hanno portato in Ucraina fabbriche che prima erano in Polonia, Romania, Slovacchia.
Il 2019 è pieno di incertezze, a causa delle elezioni appena passate. Gli investitori attendono cautamente per capire i prossimi passi del presidente neo eletto e vedere che clima regnerà nel paese dopo le elezioni parlamentari.
Persino il Fondo monetario internazionale, senza il cui supporto l’Ucraina sarebbe affondata, ha già fatto sapere che soltanto dopo le elezioni parlamentari si deciderà se il paese riceverà una tranche di 1,3 mlrd di dollari secondo il programma standby firmato a dicembre 2019.
Cosa significa oggi essere ucraini nello scenario politico, economico, culturale nel mezzo di oriente e occidente? Quali sono le caratteristiche principali dell'essere ucraino oggi?
Essere ucraini oggi vuol dire condividere i valori della famiglia europea e saper presentare il proprio paese e la propria cultura in tutto il mondo. L'Ucraina non deve affermarsi come paese, non è uno stato "Artificiale" che esiste da pochissimo, come sostiene la propaganda russa per sminuire l'intera nazione. L'Ucraina ha una storia di oltre mille anni di cui gli ucraini possono andar fieri. Pensare solo che già nel X secolo il Ducato Rus' di Kyiv (non confondere con la Russia che allora non esisteva nemmeno) è stato uno dei più sviluppati economicamente in Europa, contava numerose accademie e università. Le cronache parlano di Kyiv di quei tempi come della "Città delle cento cupole". L'attività edilizia era imponente (chiese di Santa Sofia, dell'Annunciazione, di Santa Irene), come pure la produzione di icone. Si costruirono anche monasteri (soprattutto il monastero delle Grotte) e numerosi palazzi.
Il granduca Yaroslav il Saggio fu soprannominato il Suocero d'Europa: ebbe dieci figli, sei maschi e quattro femmine. Le femmine sono state date in spose ai vari re dell'Europa: Elisabetta divento' moglie del re norvegese Gerald, Anna diventò moglie del re francese Enrico I, tuttora in Francia è amata e rispettata, ci sono i suoi monumenti in alcune città francesi. Anastasia fu la moglie del re Ungherese Andrash I, Agata fu data in sposa a Enrico III d'Inghilterra. Anche i figli maschi si sono sposati con varie principesse delle corti europee: Vsevolod sposò Irina, la principessa greca, un altro figlio, Izyaslav sposo' Gertruda, la figlia del re polacco.
Per cui possiamo sostenere con certezza che il sangue ucraino scorre nelle vene di quasi tutte le monarchie europee. Peccato che di queste cose in Italia non si parla proprio, e se si parla viene presentata una versione russa che non c'entra nulla con veri avvenimenti storici.
Pensare che Mosca è stata fondata solo nel 1147, mentre il Ducato di Rus di Kyiv esisteva già da oltre 300 anni! Il nome "Mosca" viene dalla lingua finnica e significa "umido, bagnato", visto che quel territorio fu abitato dalle varie tribù ugro-finniche che non c'entravano nulla con i slavi della Rus di Kyiv. Infatti fino a 1700 il terrirorio che oggi chiamiamo la Russia si chiamava Moscovia, soltanto con il Pietro il Grande il paese ha "espropriato" una parte del nome Rus di Kyiv, probabilmente per aggiungere i secoli della storia di un altro stato alla propria.
Questo "furto d'identita" riguarda molti famosi ucraini che tutto il mondo considera russi: Gogol, Čechov ("Sono nato in una piccola verde cittadina ucraina Taganrog"), Bulgakov: "Ma come sono belle le stelle in Ucraina. Ormai sono sette anni che vivo a Mosca, pero' non riesco a staccarmi dalla mia patria. Sento il dolore nel cuore, viene voglia di correre alla stazione e prendere il treno... per andare là. Di nuovo vedere i versanti coperti dalla neve, Dnepr... Non esiste la città più bella al mondo di Kiev!", Malevich. Igor Sikorskiy e tanti altri.
L'Ucraina di oggi sembra essere divisa, a macchia di leopardo, tra filorussi, nazionalisti, filoeuropeisti e chi, invece, desidera solo vivere in pace senza interferenze esterne. Quale è la vera identità del paese?
Per capire la vera identità ucraina si dovrebbe tornare indietro di 100 anni, quando, dopo la conferenza di Parigi nel 1918, il paese contava oltre 90 milioni di abitanti. Successivamente, con l’arrivo delle truppe sovietiche, alcune regioni ucraine come Kuban’, Belgorod, Kursk ecc con la maggioranza ucraina del 90% sono state "passate" alla Repubblica Sovietica Federativa Russa (adesso Federazione Russa) dove successivamente e fino ai nostri giorni è stata introdotta una politica di russificazione forzata.
Il resto del territorio ucraino ha subìto tragedie inimmaginabili come Holodomor, la fame artificiale indotta dal governo di Stalin per punire il popolo ucraino per la sua voglia di libertà e poca obbedienza nei confronti del governo “Rosso”. Nell’arco di due anni (1931-1933) l’Ucraina perse oltre 8 milioni di cittadini.
Dopo questa pagina nera per gli ucraini ne arrivò un’altra: la Seconda guerra mondiale, in seguito alla quale l’Ucraina perse oltre 9 milioni di vite (più del terzo di tutte le vittime dell’intera Unione Sovietica). Ricordiamo anche il Rinascimento ucraino che venne fucilato: negli anni Trenta il governo sovietico fucilò l’intera pleiade dei poeti, scrittori, musicisti e attori ucraini. La loro colpa? Portavano gli abiti tradizionali ucraini, scrivevano e recitavano in lingua ucraina.
Aggiungiamo a tutto questo la deportazione di intere regioni ucraine in Siberia, nei campi di concentramento e Gulag: Stalin amava tanto giocare a “Risiko”, spostando interi popoli e mandandoli a morire nei posti più sperduti dell’impero sovietico dove in inverno le temperature arrivano a -55°C.
Così fu con i tatari della Crimea, così fu con gli ucraini di Donbass. Se adesso, per curiosità, controllate i cognomi dei cittadini russi che abitano in Siberia, noterete che la maggior parte porta i cognomi ucraini, quelli che finiscono con -ko: Shevchenko, Stefanenko, Petrenko, Gritsenko. Sono eredi degli ucraini deportati. Gli ucraini e i tatari della Crimea hanno avuto lo stesso terribile destino: le loro case vuote, dopo la deportazione, sono state assegnate ai cittadini russi; in Crimea (dato il clima e il mare) le case dei tatari sono stati regalati ai fedelissimi del partito comunista, nel Donbass mandavano anche gli ex carcerati, criminali, la gente con i precedenti penali, per costruire gli stabilimenti, lavorare nelle miniere, anche gratuitamente, per far ripartire l’economia sovietica dopo la Seconda guerra mondiale. Proprio per questo l’Ucraina di oggi sembra di essere a macchia di leopardo. Gli europeisti sono gli eredi degli ucraini sopravvissuti dopo il “trattamento speciale” riservato alla nostra nazione dal regime sovietico, quelli filorussi sono gli eredi dei “commissari rossi”, quelli che furono i boia del popolo ucraino, quelli che non si sono mai sentiti ucraini, non hanno mai accettato la lingua e l’identità ucraini.
Il popolo ucraino di oggi cosa ha in comune con quello russo e con quello europeo?
Con l’Europa sicuramente lo spirito di libertà, la democrazia, la tolleranza, l’assenza di paura nei confronti delle persone che rappresentano una cultura diversa. L’Ucraina è uno dei pochi paesi dove una moschea dista 100 m da una sinagoga, una chiesa cattolica da quella ortodossa, e non ci sono mai state tensioni. Il popolo ucraino (almeno la maggior parte) è molto tollerante.
Con quello russo in comune abbiamo il passato. Questo collegamento lo sentono soprattutto le persone di una certa età, quelle che hanno vissuto la maggior parte della loro vita nell’impero sovietico. Sono ancora attaccate ai film e alle canzoni sovietiche, spesso questa nostalgia si manifesta non perché lo stato sovietico non esiste più, ma perché gli anni più belli sono passati, gli anni della propria giovinezza che si confondono con l’amore verso l’Unione Sovietica, spiegando che "Allora il gelato era più buono", "Le caramelle erano più dolci" e "Il pane era più soffice". Preferiscono non credere e rimuovere completamente tutte le informazioni che riguardano i crimini del regime sovietico.
In più c’è la lingua. Non è un segreto che per via degli avvenimenti storici che ho già spiegato quasi la metà del paese parla la lingua russa, si tratta soprattutto delle generazioni nate negli anni 50, 60, 70 e 80, i giovani ucraini nati dopo l’indipendenza del 1991 nella maggior parte dei casi parlano la lingua ucraina, questa tendenza è particolarmente evidente dopo la rivoluzione del 2013-2014. Il fatto curioso è che molte persone russofone rifiutano categoricamente di essere associate e collegate alla Russia, sottolineando di sentirsi al 100% ucraini. Infatti la metà di ucraini caduti nel Donbass difendendo la patria dalle truppe dei militanti russi era di madrelingua russa.
Come è cambiata la coscienza nazionale degli ucraini in questi ultimi 10 anni, tra Euromaidan, Rivoluzione arancione, annessione della Crimea, ingerenze russe, ruolo dell'Europa ecc?
Sicuramente gli eventi nominati hanno rafforzato la voglia degli ucraini di diventare ufficialmente parte della comunità europea. Nessuno ha dei dubbi che, geograficamente parlando, l’Ucraina faccia parte dell’Europa, alla fine si trova nel cuore dell’Europa.
Ricordiamo, inoltre, che gli ucraini sono stati gli unici come nazione a morire a Maidan stringendo al petto la bandiera europea. Gli europei di oggi, quelli che hanno la fortuna di far parte dell’Unione, sono pronti a fare altrettanto se dovesse succedere quello che è successo agli ucraini...essere attaccati da uno stato confinante nonché morire per le proprie idee?
La perdita dei territori, annessi dalla Federazione Russa, la successiva occupazione del Donbass, 13 mila morti, tre milioni di sfollati...questo è il prezzo che sta pagando l’Ucraina per aver intrapreso il percorso europeo. Le famiglie distrutte, giovani vedove, bambini orfani, ragazzi ventenni mutilati, funerali dei militari ogni giorno, come fa tutto questo a non cambiare la coscienza nazionale?
Fino a pochi decenni fa, l'Ucraina era considerata Unione Sovietica. Quanto pesa ancora oggi quell'eredità nell'indipendenza e nell'identità dell'Ucraina?
Pesa ancora parecchio. Per spezzare questo cordone ci vogliono almeno due generazioni, nate dopo la proclamazione dell’Indipendenza. Nonostante 28 anni già passati, molti giovani di oggi, nati dopo il 1991 (soprattutto nelle regioni sud-orientali) continuano ad assorbire questa "nostalgia" grazie ai racconti di nonni e genitori.
Tali racconti spesso sono idealizzati, in quanto si tratta di un fenomeno psicologico molto diffuso: con il passar del tempo la memoria umana rimuove la maggior parte degli episodi negativi, lasciando solo quelli piacevoli. Aggiungiamo a questo un fattore molto importante: i mass media. Il 90% dei canali televisivi ucraini appartiene agli oligarchi, quasi tutti filorussi, per cui l’informazione che viene passata al cittadino tramite questo mezzo di informazione corrisponde alle preferenze del proprietario del canale. Ci sono quelli con un’audience molto importante, che mandano in onda tutto il giorno film sovietici, concerti degli anni 70, varie trasmissioni e talk-show dei canali russi (anche oggi identiche a quelli sovietici per quanto riguarda la propaganda e fake news), questo condiziona molto il pubblico nonché danneggia la percezione della realtà.
Per essere indipendenti non basta definire le frontiere dello stato, ci vuole anche la percezione mentale dell’indipendenza da parte dei cittadini, la consapevolezza di appartenere ad un’altra nazione, altra cultura, altri valori, diversi da quelli russi (sovietici). Finché questo non accadrà il popolo ucraino sarà costretto a trascinare il bagaglio sovietico per molti anni, perdendo tempo e risorse.
Un eventuale ingresso nell'UE potrebbe ostacolare l'indipendenza dell'Ucraina o sarebbe un vantaggio per il paese?
Sicuramente sarebbe un vantaggio, l’ingresso sia nell’UE che nella NATO. Le strutture europee e euroatlantiche possono dare e insegnare tanto: il rispetto dei diritti civili, il sistema giudiziario, la responsabilità civile, le regole della trasparenza economica. Ma anche l’Ucraina può dare tanto all’Europa: soprattutto rinnovare e sollevare il suo spirito, visto il clima di sfiducia che regna ultimamente nella maggior parte dei paesi dell’Unione.
L’Ucraina in questi anni di guerra è riuscita a costruire forze armate efficienti e professionali che possiedono l’ottavo posto in Europa e il 29° posto nel mondo secondo la classifica Global Firepower.
Inoltre, l’Ucraina è sempre stata chiamata “Il granaio dell'Europa”, l’export dei prodotti ucraini verso i paesi dell’Unione Europea cresce ogni anno. Nel 2018 l’Ucraina ha esportato nei paesi dell’UE servizi e generi alimentari per un importo di oltre 20 miliardi di dollari. Sta crescendo l’interesse dei cittadini comunitari verso l’Ucraina come meta turistica: Kyiv, Leopoli e Odessa sono le mete preferite. Kyiv ormai da 5 anni fa parte della lista di 10 capitali europee più belle da visitare.
Quali potrebbero essere stati gli errori dell'Occidente nella gestione della crisi ucraina?
Sicuramente il timore e la titubanza nel chiamare l’aggressore con il suo vero nome. È chiaro che la Federazione Russa è una potenza nucleare ed è altrettanto chiaro che l’Occidente abbia permesso all’establishment russo di inserirsi, tramite mezzi economici spesso molto discutibili, nella vita di ogni paese, finanziando partiti politici, giornalisti, imprenditori. In tutti questi anni sono stati creati dei legami con la Federazione Russa, soprattutto in Italia, che influiscono sulla presa di posizione e sull’approvazione di certe decisioni.
Però esistono anche gli obblighi presi dall’Europa e dagli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina nel 1994 tramite il memorandum di Budapest: l’Ucraina era la terza potenza nucleare nel mondo, ha rinunciato poi al possesso delle armi nucleari in cambio alle garanzie dell’integrità territoriale da parte dei paesi-garanti. L’ironia della sorte è che fu attaccata proprio da uno di questi garanti, la Federazione Russa, e la risposta dell’Occidente è stata debole e insufficiente.
Probabilmente l'Occidente non si è reso conto che con questa violazione del diritto internazionale è stato scoperto il vaso di Pandora: come fanno adesso a convincere, ad esempio, la Corea del Nord a rinunciare alle armi nucleari? Risponderanno giustamente: guardate cos’è successo all’Ucraina.
Va però detto che, nonostante tutto, i paesi dell’UE votano all'unanimità per quanto riguarda la proroga delle sanzioni contro la Federazione Russa per l’annessione della Crimea e per violazione degli accordi di Minsk. Questo è un segnale decisamente positivo. Mi auguro che i politici europei capiscano che in questo momento i militari ucraini difendono non solo la frontiera orientale del proprio paese, ma anche quella dell’Europa. Se cade l’Ucraina l’Europa sarà la prossima.
Con questa crisi, c'è chi teme un ritorno di una "Guerra Fredda", con l'Ucraina nel mezzo. È uno scenario fattibile?
La Guerra Fredda è già in corso ed è iniziata molto prima, nel momento in cui il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la maggior tragedia del XX secolo fu il crollo dell'Unione Sovietica. Tutto quello che è successo dopo - l'omicidio dei dissidenti russi, di 314 giornalisti tra cui Anna Politkovskaya, Stas Markelov, Anastasiya Baburina, Nataliya YEstemirova e tanti altri, l'avvelenamento di Litvinenko, la morte sospetta di Berezovskiy, la guerra con la Georgia nel 2008...tutto questo fa parte della guerra fredda. Se l'Occidente lo avesse capito e avesse reagito prima avremmo potuto evitare tanti morti, non soltanto in Ucraina, ma anche in Siria, Venezuela, ovunque ci sia l'interesse della Russia.
Per la sua posizione di "Terra di confine" tra occidente e oriente e per numerosi altri fattori, la crisi ucraina è molto importante nello scenario geopolitico europeo. Eppure in Italia, ma anche nel resto d'Europa, se ne parla poco a livello mediatico, specialmente a confronto di altri argomenti molto più gettonati come il terrorismo, l'immigrazione, la Siria, la mafia ecc. Lo stesso conflitto nelle zone del Donbass ha ben poco risalto nei media, figuriamoci nei libri. Perché, nonostante la sua importanza, l'argomento Ucraina è cosi poco discusso?
In Italia è veramente poco discusso...i motivi sono diversi. In primis perché tra l’Italia e la Federazione Russa c’è sempre stato un rapporto particolare, privilegiato, un rapporto di particolare vicinanza per motivi storici che risalgono ancora agli anni 70. L’Ucraina è sempre stata vista in Italia come parte della Russia (grazie anche alla diffusione della propaganda russa in Italia). Ad esempio ancora oggi, spesso, quando mi chiedono delle mie origini e io rispondo che sono ucraina, il mio interlocutore mi risponde: “ah, sei russa”.
Nonostante la poca distanza tra Kyiv e Roma (non parliamo poi di Milano), soli 2 ore con l’aereo, l’Italia non si è mai sforzata per avere i propri inviati a Kyiv. Ricordo che l’Ucraina è il più grande paese europeo, si trova nel cuore dell’Europa, ma nonostante questo, tutte le notizie che riguardano l’Ucraina arrivano direttamente dai corrispondenti italiani che stanno a Mosca. Vi sembra normale? Perché poi ci meravigliamo quando parlano del conflitto russo-ucraino dal punto di vista della Russia, diffondendo le false notizie?
Ho visto più volte i reportage dei vari telegiornali italiani in prima serata che trasmettevano i video con il logo DNR/LNR, le repubbliche terroristiche autoproclamate, armate e supportate dalla Russia. Questo succede in uno dei paesi dell’Unione Europea. I giornalisti non vanno a chiedere le informazioni alle agenzie ucraine, ma preferiscono dare la voce alla propaganda del paese aggressore. Possiamo contare con le dita di una mano i giornalisti italiani che affrontano la questione ucraina con la massima serietà e professionalità, ma loro non fanno parte della cerchia degli "Eletti" quelli che si vedono ogni giorno in TV.
Aggiungiamo poi alcuni politici italiani molto conosciuti che, violando le norme del diritto internazionale, si recano sui territori annessi ucraini, la Crimea, senza chiedere il permesso all’Ucraina, entrando sul territorio della penisola annessa dal territorio del paese aggressore. Che messaggio mandano alla società? Dov’è il rispetto della vita umana e tredici mila morti ucraini?
Considerata la sua importanza economica e strategica (basti pensare alle esportazioni di prodotti agricoli e al passaggio dei gasdotti), l'Ucraina potrebbe ancora ribaltare la sua posizione nei confronti di Russia e America e tornare a trarre per prima vantaggio dalla propria posizione geopolitica?
Certamente, ma questo può succedere solo quando cadrà l'attuale regime russo. Finché c’è Vladimir Putin come presidente della Federazione Russa temo che la situazione non cambi e la guerra non finisca, almeno che l’Ucraina non decida di arrendersi e tornare nella sfera dell’influenza russa, ma per il momento non vedo i presupposti per questa retromarcia.
L'Ucraina è ancora oggi considerata uno dei paesi con il più alto tasso di corruzione. Quanto peso ha ancora oggi questa discutibile pratica nella vita politica, sociale ed economica del paese? E che ruolo ne ricoprono ancora i cosiddetti oligarchi?
Purtroppo, il problema esiste. Ma è vero anche che negli ultimi 5 anni la situazione è notevolmente migliorata, l’Ucraina ha fatto i passi da gigante. Basta pensare al sistema ProZorro (Прозоро, "Trasparenza" in ucraino. Il sistema elettronico per la gestione di appalti pubblici attivo dal 1 agosto 2016, ndr) che permette di migliorare la trasparenza imprenditoriale, la facilità nell’aprire la partita IVA (bastano 5 minuti), rende pubbliche le dichiarazioni dei redditi dei politici e deputati, facilmente consultabili online da qualsiasi cittadino, facilita le riforme nel sistema sanitario e quelle dell'Istruzione.
Si poteva fare molto di più, questo è certo. L’influenza degli oligarchi sulla vita degli ucraini è ancora rimasta, sicuramente molto meno di prima, ma tuttavia c’è, soprattutto nel campo energetico. Va anche detto che in seguito alle ultime elezioni presidenziali in Ucraina e future elezioni parlamentari esiste un notevole rischio del ritorno della situazione di 5 anni fa.
L'ingresso dell'Ucraina nella NATO potrebbe essere un rischio per la posizione di superpotenza della Russia, come alcuni temono?
Finché Vladimir Putin sarà il presidente della Federazione Russa farà di tutto perché questo non accada. Lo scopo principale di tutta la presidenza di Putin è il rinnovo dell'impero sovietico, in un modo o nell'altro, l'allontanamento dell'Ucraina dalla sua sfera di influenza verso le strutture Euroatlantiche lo vede come minaccia alla realizzazione del suo sogno geopolitico.
Ovviamente l'ingresso dell'Ucraina nella NATO non puo' essere in alcun modo un rischio per la Russia, che ha già i paesi del Patto atlantico lungo i propri confini. Il danno sarebbe puramente psicologico, in quanto l'Ucraina è una colonna portante dell'eventuale alleanza "Sovietica", simile a quella che ha già la Federazione Russa con la Bielorussia. Se non ci sarà più l'Ucraina in questo folle progetto non ci sarà il progetto stesso.
Volodymyr Oleksandrovych Zelensky è il nuovo presidente dell'Ucraina: ha vinto con oltre il 70% delle preferenze. Sembra quasi che il popolo ucraino, pur di avere un netto cambiamento, fosse disposto a eleggere "...anche una sedia", come commenta "L'Economist". Ma è realmente lui il presidente di cui l'Ucraina ha oggi bisogno?
Innanzitutto vorrei precisare che il presidente Zelenskiy ha vinto con il consenso del 73% di quelli che hanno votato. il 43% degli ucraini non si è presentato ai seggi, per cui se dovessimo prendere tutti i cittadini ucraini che hanno il diritto di voto, allora la percentuale cambia, diventando il 44%. Va anche detto che a tal punto anche il Presidente Poroshenko non ha preso il 25%, ma soltanto intorno al 13%.
Con l'elezione del presidente Zelenskiy i cittadini ucraini hanno mostrato il forte desiderio di cambiare l'establishment del paese, essendo insoddisfatti dei politici di vecchia data e pensando che con l'arrivo della "Gente nuova" il processo del cambiamento nel paese si velocizzerà.
A mio parere queste elezioni hanno reso evidente tutta l'immaturità della società civile ucraina nonchè l'assenza di responsabilità e di un'idea chiara quanto lavoro deve essere fatto prima di iniziare a vedere i risultati delle riforme, sopratutto nel paese dove il 5% del prodotto lordo interno è destinato alle forze armate.
Era chiaro che in 5 anni, in un paese con un enorme bagaglio sovietico alle spalle, con una vera guerra in casa, con le casse dello stato lasciate vuote dal presidente fuggiasco Yanukovich nel 2014, non si poteva costruire nè la Svizzera nè la Germania, ma nemmeno la Polonia. I polacchi ci hanno messo oltre 20 anni per arrivare dove sono adesso, subendo le dolorose riforme e l'inflazione galoppante, per l'Ucraina ci vorranno altri 30 per avere il livello della Polonia di oggi.
Ci vogliono le riforme, iniziate dal governo precedente, tanto sudore, la responsabilità civile, la consapevolezza del sacrificio richiesto. Evidentemente il 44% dei cittadini non era pronto a tali sacrifici, la pazienza e la voglia di andare avanti, strigendo i denti si sono esaurite abbastanza in fretta.
Aggiungiamo anche la guerra, ogni giorno ci sono funerali, ogni giorno feriti e morti, tutto questo, sicuramente, è stato un altro fattore deprimente. Tutte queste debolezze, inerenti a qualsiasi persona, sono state sfruttate alla perfezione dai mass media che con l'aiuto della manipolazione e delle false notizie trasmesse 24 ore su 24 sono riusciti a convincere molti ucraini che la situazione economica e politica del paese è decisamente peggiore rispetto a quella che viene dichiarata dal presidente, dal governo e dalle istituzioni finanziarie mondiali. Sono riusciti a far credere che la guerra possa essere finita nell'arco di pochi giorni, ma non finisce perché "A Poroshenko conviene". Dimenticando che non è stato Poroshenko a dichiarare la guerra alla Russia e annettere i suoi territori. Si sa che la guerra la puo' finire soltanto chi l'ha iniziata. L'altra parte puo' solo combattere e cercare di vincerla oppure arrendersi.
Tutti i problemi del paese sono stati appositamente ingigantiti, tutti i cambiamenti positivi sono stati sminuiti, i deputati del Parlamento mostrati come un branco di incompetenti, le persone stimate e conosciute sono state infangate. Tutto questo ha potuto succedere in quanto quasi tutti i canali televisivi ucraini appartengono agli oligarchi. Molti di loro sono legati alla Russia per vari motivi, per di più quelli economici e del business, per questo la direzione verso l'Occidente intrapresa dall'Ucraina non coincide con i loro interessi. Alcuni di questi oligarchi, anche non essendo particolarmente filorussi, hanno deciso lo stesso di unirsi agli altri per avere profitti personali.
Perché Zelenskiy? La scelta è stata studiata a tavolino, quando, circa tre anni fa, il canale televisivo 1+1, appartenente all'oligarca Igor Kolomoyskiy, che viene considerato quasi il padrino del presidente Zelenskiy, ha iniziato a mandare in onda in prima serata le puntate della serie "Il servo del popolo", dove Vladimir Zelenskiy ha interpretato il ruolo di un semplice insegnante che improvvisamente diventa il presidente e inizia a lottare con il sistema del paese completamente corrotto per costruire uno stato prosperoso dove regna la giustizia: un presidente onesto, che va al lavoro in bicicletta, "uno di noi" insomma, uno del popolo.
Tale serie, con tantissime puntate, è diventata talmente famosa in Ucraina che la gente involontariamente ha attribuito il carattere e le capacità del "presidente" televisivo interpretato da Zelenskiy a Zelenskiy stesso. E' stata un'operazione ammirevole e sarebbe curioso osservare come andrà a finire se non si trattasse del paese in guerra che potrebbe non sopravvivere a tale "esperimento".
Insieme a Zelenskiy nella sua amministrazione sono entrati i suoi colleghi attori e compagni del business (Zelenskiy è molto ricco, è proprietario di molti beni immobiliari, anche all'estero, in Italia e in Gran Bretagna), ha il business, anche in Russia.
Ma a parte i colleghi e amici del presidente, a mano a mano stanno tornando anche le persone vicine all'ex presidente fuggiasco Yanukovich. Di sicuro non sono quelle "facce nuove" promesse durante la campagna elettorale. La prima visita del presidente Zelenskiy è stata a Bruxelles dove lui ha rassicurato i partner europei della continuazione del percorso ucraino intrapreso dal presidente precedente, con l'obiettivo finale della membership nelle strutture europee. E' ancora molto presto per valutare l'operato e trarre le conclusioni, ma sta di fatto che attualmente abbiamo una situazione interna assai difficile, con una crisi istituzionale tra presidente e parlamento.
Gli ultimi 5 anni sono stati molto intensi per la storia dell'Ucraina. Nel bene e nel male, che scenari prevedi, o speri, per il futuro del paese?
Prevedere qualcosa per l'Ucraina è una cosa molto difficile. Dipende molto dalle azioni del nuovo presidente e del nuovo parlamento. Vorrei credere che il punto di non ritorno nei confronti della Russia è già stato passato, vorrei credere che il paese dopo tanti sacrifici, tanti morti a Maidan e successivamente nel Donbass non cada nella trappola del populismo sfrenato e non ceda la propria indipendenza in cambio di promesse che non potranno essere mantenute. Vorrei credere che una parte della società civile sia abbastanza matura e attiva per controllare scrupolosamente ogni passo e ogni legge del governo, intervenendo prontamente se è necessario. L'Ucraina è l'Europa, il futuro dell'Ucraina si trova all'ovest e non all'est.
Di fronte a una Cina che sembra pronta a mettere in discussione la supremazia mondiale statunitense, diversi analisti hanno recentemente chiamato in causa la cosiddetta trappola di Tucidide;un insieme di processi che nell'arco di qualche decennio può sfociare in un conflitto armato maggiore
Iniziata dopo il crollo dell'Unione sovietica (URSS) e prolungatasi per tutti gli anni '90 con la diffusione globale del neoliberalismo e la proiezione militare lungo assi strategici con il pretesto dell'intervento umanitario, l'era della superpotenza USA viene messa in discussione ormai da circa un decennio da almeno due rivali. In primo luogo, c'è la Russia di Vladimir Putin, che dai primi anni 2000 basa la sua strategia di ascesa geopolitica su due cardini contemporaneamente: il controllo territoriale di aree strategiche, in particolare nei Balcani, in Medio Oriente – Mediterraneo orientale, in Asia centrale e nell'Artico, e il distacco dalla rete Internet mondiale sotto il controllo statunitense. Questi due cardini sono entrambi orientati (almeno finora) al contenimento delle potenze rivali attraverso una retorica centrata sul pluralismo, ossia su una nozione di coesistenza pacifica, fondata sul principio di non ingerenza di ciascuna potenza nella sfera di influenza delle altre. Si tratta di una logica analoga a quella cui ricorre il Giappone per arginare l'espansionismo cinese nell'Oceano Pacifico, soprattutto di fronte ai ripetuti tentativi di Pechino di conquistare più o meno direttamente il controllo degli stretti. Tanto più che a insidiare più da vicino la supremazia USA sembra proprio la Cina, che, a differenza della Russia, punta su ricerca e sviluppo nel settore delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, dell'intelligenza artificiale e dell'internet delle cose, secondo quanto programmato dal presidente Xi Jinping nel piano Made in China 2025. Un progresso graduale, che si affianca a quello delle nuove vie della seta, la Belt and Road Initiative (BRI), che attraverso il controllo delle rotte commerciali di Europa, Asia e Africa dovrebbe assicurare con infrastrutture reali un eventuale futuro dominio cinese del cyberspazio.
Questa conflittualità latente si realizza in una miriade di conflitti civili e regionali che innescano concatenazioni di eventi disastrose e molto difficilmente reversibili. Gran parte di queste guerre affonda le sue radici nella strategia attuata dagli Stati Uniti dopo l'implosione del blocco sovietico: assumere gradualmente il controllo economico, culturale e, laddove sia più vantaggioso, militare sulle regioni un tempo parte della sfera di influenza dell'URSS, soprattutto nella fascia compresa tra i Balcani, il Caucaso e l'Asia Centrale. Territori sui quali si estende la BRI di Pechino e le operazioni delle fondazioni statunitensi come quella di Donald Rumsfeld, ex segretario di Stato alla Difesa degli Stati Uniti, che nel 2014 ha istituito il Forum regionale CAMCA (Asia Centrale, Mongolia, Caucaso e Afghanistan), per mantenere contatti continui tra imprenditori e personaggi politici su temi come la democrazia e il mercato libero (in sintesi, la versione neoliberale della democrazia moderna). All'interno di queste due reti di relazioni, uno dei punti deboli di Washington è il Medio Oriente per come si è configurato in conseguenza della politica estera statunitense degli ultimi decenni: in modo più evidente a partire dalla guerra Iran-Iraq, durata per quasi tutti gli anni '80, ma nella sostanza già dal 1953, anno dell'operazione Ajax, un colpo di Stato ordito dai servizi segreti britannico e statunitense, che rovesciò l'allora primo ministro iraniano Mohammad Mossadeq (colpevole di aver nazionalizzato l'industria petrolifera) e restaurò il regime autocratico di Mohammad Reza shah Pahlavi, il cui sistema repressivo ridusse ai minimi termini l'opposizione socialista e, in generale, laica. Nondimeno, le cause profonde della situazione odierna risalgono per lo più agli anni '90, il decennio della globalizzazione, immediatamente successivo al crollo dell'URSS, durante il quale Washington ha utilizzato alcuni satelliti per puntellare la sua strategia di espansione, quindi di affermazione di sé quale unica potenza mondiale. Tra questi, oltre al Giappone, alla Turchia (per i suoi legami storici con l'islam balcanico, caucasico e centro-asiatico) e a Israele, ci sono le petromonarchie del Golfo, in particolare Arabia Saudita (per la sua influenza storico-culturale sull'islam sunnita arabo) ed Emirati Arabi Uniti.
È questa la principale ragione per cui il periodo tra il 1990 e il 2001 (anno nel quale il terrorismo islamico di al-Qaida ha avuto significative ripercussioni sugli equilibri geopolitici mondiali) è stato denso di conflitti etnici, confessionali e tribali: per citare gli esempi più significativi, dai Balcani, con la dissoluzione sanguinosa della ex-Jugoslavia e la guerra civile in Albania; al Caucaso, con le guerre in Nagorno-Karabakh, Ossezia, Abkhazia, Georgia, Cecenia e Daghestan; fino all'Asia Centrale, con le guerre civili in Afghanistan e Tajikistan. Una conflittualità per certi aspetti analoga, sia pure con le dovute differenze di contesto, a quella che ha interessato nello stesso periodo il Medio Oriente e l'Africa: sempre per citare alcuni esempi, la guerra del Golfo (1990-91), la rivolta curda in Iraq, il decennio nero in Algeria, la guerra civile in Yemen (quella del 1994) e le ribellioni dei Tuareg in Mali e in Niger. In tutte queste guerre, in modo più o meno diretto e talvolta con il pretesto dell'intervento umanitario, gli Stati Uniti e l'Alleanza atlantica (NATO) sono intervenuti a sostegno di una o più parti coinvolte, provocando squilibri che rendono estremamente difficile stabilire negoziati e colloqui di pace risolutivi. Attualmente, sotto l'amministrazione del presidente Donald Trump, la politica mediorientale è materia di competenza di Jared Kushner, suo genero e consigliere speciale responsabile per il Medio Oriente, pur senza una specifica conoscenza della regione. Inoltre, l'ex segretario di Stato Rex Tillerson, sostituito dopo una breve transizione da Mike Pompeo, ha recentemente affermato davanti al Congresso che Kushner, talvolta assieme all'ex consigliere di Trump Steve Bannon, lo ha tenuto all'oscuro di importanti informazioni, escludendolo dalle sue iniziative diplomatiche. Un esempio è certamente la decisione di buona parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo di isolare il Qatar, della quale Kushner e Bannon erano stati informati da rappresentanti sauditi ed emiratini nel corso di un incontro di cui Tillerson non sapeva alcunché.
Malgrado i suoi metodi, o forse grazie ad essi, Kushner rappresenta l'alleato ideale dell'Arabia Saudita del principe ereditario Mohamed bin Salman (MBS) e degli Emirati Arabi Uniti del principe ereditario Mohamed bin Zayed (MBZ), le due petromonarchie del Golfo su cui gli Stati Uniti puntano da decenni, assieme a Israele, per controllare il Medio Oriente arabo-islamico. Questi due paesi acquistano ingenti quantità di armamenti da Washington, una scelta particolarmente apprezzata dagli USA di Trump, come dimostra l'ostentazione da parte di quest'ultimo dei contratti multimiliardari siglati con Riyadh. Uno spettacolo che si è svolto nel primo viaggio diplomatico di Trump come presidente, a maggio 2017. Peraltro, una simile concezione mercantilistica della diplomazia che caratterizza Trump, si può considerare una delle forme in cui si realizza il modello dello Stato-azienda, inaugurato da Silvio Berlusconi negli anni '90 (si veda a tal proposito l'articolo https://www.monde-diplomatique.fr/2019/05/MUSSO/59844). Due sono le conseguenze di questa strategia. Anzitutto, Mohamed bin Salman e Mohamed bin Zayed contano sul sostegno statunitense per attuare una politica aggressiva nei confronti dell'Iran, che considerano una “minaccia in comune” con Washington, e per assicurarsi un controllo stabile sui rispettivi paesi. Emblematico è a tal proposito quanto avvenuto a seguito dell'uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi (che peraltro era nipote di Adnan Khashoggi, coinvolto a suo tempo nello scandalo Irangate). In secondo luogo, ha creato poli di potere che rischiano in futuro di generare nuovi conflitti. Un esempio fra tutti, il crescendo di intraprendenza espansionistica della Turchia, manifestazione del progetto neo-ottomano del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Quest'ultimo, infatti, intende estendere l'influenza turca all'islam politico arabo, ragion per cui, a differenza dell'Arabia Saudita, sostiene i Fratelli Musulmani e le formazioni politiche ad esso legate, come Hamas in Palestina. La rivalità latente tra Ankara da un lato e Riyadh e Tel Aviv dall'altro, è emersa in parte proprio con l'uccisione di Khashoggi, avvenuta nel consolato saudita di Istanbul: il presidente israeliano Benjamin Netanyahu ha esplicitamente affermato che un simile episodio, per quanto orribile, non intacca l'importanza strategica dell'Arabia Saudita e di Mohamed bin Salman. Una linea assai simile a quella del presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sissi.
In un simile contesto, l'Europa rischia di essere ridotta a territorio di conquista, a teatro di scontro, e di perdere l'ennesima occasione di rivendicare un proprio ruolo geopolitico. Un ruolo che potrebbe essere conquistato sia impedendo, o almeno ostacolando, futuri conflitti maggiori (ad esempio, con una linea più decisamente favorevole alla tenuta dell'accordo sul nucleare iraniano), in particolare nei Balcani e in Medio Oriente, sia investendo nelle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che costituisce il nodo strutturale dell'attuale rivalità tra potenze. Magari partendo da progetti come quello del sistema di posizionamento Galileo.
Nel segno dell’eresia, dunque.
Ritorna oggi, 23 giugno 2019, presso il comune di Motta d’Affermo, l’ormai celebre “Rito della Luce”, giunto alla sua nona edizione, su iniziativa del mecenate dell’arte, il siciliano Antonio Presti.
Dopo la breve pausa dell’anno scorso, a causa dei lutti che hanno segnato il percorso del creatore della Fondazione “Fiumara d’Arte”, oggi un “popolo in bianco”, “eretico” per l’occasione, affluito da ogni parte della Sicilia e non, ha preso parte a questo laico pellegrinaggio che celebra la Bellezza e la sua eresia (possibile).
Ai piedi della titanica Piramide di Mauro Staccioli, realizzata in acciaio corten e inaugurata il 21 marzo 2010, monumento mistico ed alchemico, pregno di simbologia umana e trascendente, fisico e metafisico, dispensatore di geometrica conoscenza, su una leggera altura del territorio di Motta d’Affermo, avamposto sul mare, scelto per le sue coordinate geografiche, lungo il tracciato dell’antico fiume Halesus, alle 15:00 del pomeriggio, prende inizio la celebrazione del rito.
Più di 300 gli artisti che, nel suggestivo spazio messo loro a disposizione, hanno avuto modo di esprimere il proprio credo artistico e non solo.
Spazio d’arte per l’arte!
Lungo un percorso che si snoda su un’ampia area di collina, il visitatore viene accolto dalle oniriche installazioni in bianco e oro e immerso in uno spazio d’arte totale dove i versi di poeti, filosofi, cantastorie fanno da colonna sonora a questo cammino dell’eresia.
L’Arte dell’”hic et nunc” quindi, arte che esce dai Musei, dai suoi stessi limiti e dai confini cui è stata relegata, per interagire con lo spettatore che diventa, esso stesso, parte integrante dell’opera d’arte totale. Immerso in quell’infinito eretico, in quel salvifico labirinto che è principio e fine di ogni umana e sovrumana vicenda.
Celebrazione dell’Arte e della Bellezza come valori della differenza, perché l’arte, nella sua eresia, inevitabilmente segna un confine, ineludibile forse, fra l’iniziato e il profano.
Un’arte alla ricerca dei suoi adepti su cui edificare se stessa e un mondo superiore, fra chi è alla ricerca della conoscenza libero da convenzioni e coefficienti sociali.
Un’arte liberatrice di quella “samsara” alla quale si è altrimenti, inevitabilmente destinati ma un’arte che non può e non deve essere per tutti.
E lo sa bene questo il mecenate-filosofo, l’ideatore di questa magia che si è scontrato sempre con un sistema amministrativo che combatte chi si spende per la Bellezza, “lato sensu” intesa e non con chi deturpa la propria terra con bruttezze e brutture di ogni tipo.
“Guai ad essere riconosciuti dal sistema”, questo il monito di Presti che ha pagato e continua a pagare il prezzo della non uniformazione ad un sistema becero e corrotto.
Eresia e ortodossia dunque si affrontano ma non per combattersi bensì per distinguersi. Perché l’eresia nasce dal santo e quindi ogni santo, ogni dogma sono necessari per far sì che qualcuno possa essere altro da sé.
Libero da quell’inconsistente liturgia di essere sempre uguale a se stesso.
E nella coralità del rito l’antidoto all’anestesia sociale.
Nel tempo dell’uniformità totale, dei centri commerciali, dei rumori assordanti, del nuovo ordine mondiale un’alternativa possibile, nel tempo in cui l’”ossimoro permanente” fondato da Montale è diventato la caratteristica peculiare che connota e denota un sistema dominato dagli aspetti più banali della quotidianità, la sospensione del giudizio non è certo l’unica possibilità di sopravvivenza.
Rito della Luce che è Luce della conoscenza contro l’oscurantismo e le tenebre dell’ignoranza.
RECENSIONE – LA TRAPPOLA DEL FORMAGGIO
Neal D. Barnard, The cheese trap, 2017. Traduzione italiana: La trappola del formaggio, come liberarsi dalla dipendenza, perdere peso e stare finalmente bene. Sonda, Milano, 2019.
Quando una persona, diventando vegetariana, abbandona la carne, spesso prende a consumare maggiori quantità di formaggio. Ma, come ci spiega il dottor Barnard in questo libro, il rimedio potrebbe essere peggiore del male! Infatti il formaggio fa ingrassare, perché è fatto con il latte, che contiene grasso; ma nel formaggio il grasso è molto concentrato rispetto al latte. Molti evitano lo zucchero ritenendo che esso faccia ingrassare; invece lo zucchero viene in gran parte bruciato, mentre il grasso, compreso quello del formaggio, si deposita nel tessuto adiposo. Infatti il grasso si insinua nelle cellule muscolari riducendo il numero di mitocondri, e così rallenta il metabolismo.
Inoltre, il consumo di formaggio causa assuefazione. Infatti la caseina (la proteina principale del latte e del formaggio) è formata da una catena di “mattoni” chiamati aminoacidi, e durante la digestione rilascia delle catene brevi, chiamate “caseomorfine”, che si attaccano agli stessi recettori cerebrali dell’eroina ed altri narcotici, rilasciando dopamina e causando gratificazione e piacere. Ciò ha una funzione nello stabilire e rinforzare il legame del piccolo con la madre, ma rende difficile ad un adulto rinunciare al formaggio, che quindi si comporta come una vera e propria droga.
C’è di più. Il latte è prodotto da mucche gravide, e quindi contiene ormoni. Nel corso della gravidanza di una mucca, l’estradiolo nel latte aumenta di 17 volte, e l’estrone aumenta di 45 volte. Naturalmente, anche il formaggio, essendo fatto con il latte, sarà pieno di ormoni; ed infatti, le donne che consumano latticini ad alto contenuto di grassi hanno maggiori probabilità di morire di cancro al seno, rispetto a quelle che non li consumano. E gli uomini che consumano più formaggio hanno una minore concentrazione di spermatozoi rispetto a quelli che ne consumano meno. Gli uomini che consumano molti latticini hanno inoltre maggiori probabilità di sviluppare il cancro alla prostata. Ancora, chi consuma molti latticini assume più calcio di quanto l’organismo abbia bisogno; ma il calcio rallenta l’attivazione della vitamina D, che protegge dallo sviluppo di tumori; per conseguenza, il rischio di cancro aumenta.
Altri danni provocati dal latte e dal formaggio sono: favorire l’asma ed altri problemi respiratori; scatenare l’emicrania; causare dolori articolari; causare tendinite; causare l’acne; rendere difficile la digestione; favorire il diabete di tipo 1. Inoltre il grasso (incluso quello del latte e del formaggio) ostacola il funzionamento dell’insulina, causando il diabete di tipo 2, nonché malattie cardiovascolari, incluso l’infarto.
Negli allevamenti vengono separate precocemente le mucche dai vitelli, causando sofferenza per le une e per gli altri; inoltre non è vero che le mucche da latte non vengano uccise, come l’industria casearia vorrebbe far credere.
Infine, vi è il danno ambientale. Produrre formaggio significa consumare un’enorme quantità di acqua (un bene sempre più raro) per irrigare le colture di mangime, in modo che le mucche producano latte, che viene poi concentrato nel formaggio. Tali colture richiedono anche l’utilizzo di fertilizzanti, contenenti azoto e fosforo, che si riversano nei fiumi e nel mare: nel Golfo del Messico c’è una zona morta di 13.000 chilometri quadrati, causata dal deflusso di fertilizzanti dal Mississippi, in gran parte per coltivare i mangimi. E le mucche ruttano enormi quantità di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica, e quindi contribuiscono in maniera importante al riscaldamento globale. Quasi metà del libro è dedicata alle ricette, tutte strettamente vegane.
Quando si visitano i Musei Vaticani si viene sopraffatti dalla bellezza e dal numero dei capolavori. Alla fine gli occhi non sanno più dove e cosa guardare.
All’uscita dalla Sistina, si arriva alla cappella di S. Pietro Martire, dove sono conservati alcune suppellettili liturgiche provenienti dal Sancta Sanctorum di S. Giovanni in Laterano.
Poi si accede alla Sala degli Indirizzi, così chiamata per via degli “indirizzi” d’omaggio a Leone XIII e Pio X, qui conservati insieme alle raccolte di arte applicata della Biblioteca. Si tratta soprattutto di suppellettile liturgica: calici, ostensori, reliquiari.
Si passa accanto alle vetrine, gli oggetti scorrono per lo più inosservati, l’attenzione è attirata soprattutto dalla bellezza e dalla preziosità di alcuni pezzi, ma ne sfugge il reale significato liturgico e la storia a questo associata.
Fino al 7 settembre, in una saletta della Pinacoteca Vaticana, è visibile la mostra Plečnik e il sacro, che offre l’opportunità di vedere lo sviluppo del design degli oggetti liturgici tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Jože Plečnik è stato un architetto e designer sloveno, che ha lasciato testimonianza del suo lavoro soprattutto a Vienna (palazzo Zacherl), Praga (ristrutturazione del Castello) e Lubiana. La mostra del 1986 al Centre Georges Pompidou a Parigi ha sancito la sua affermazione pubblica come architetto, urbanista e designer, diffusore delle forme eterne dell’arte classica.
Sono in tutto 33 gli oggetti in mostra: calici, ostensori, cibori, custodie liturgiche. Un video contestualizza gli oggetti mostrando le chiese costruite da Plečnik.
Il Calice di Andrej (1913) e il Calice di Hut (1931) mostrano una forma e una decorazione di sapore medievale. Il metallo è associato a pietre semi-preziose lavorate per lo più a cabochon, richiamando la levigatezza del metallo.
Il Calice di Salvator (1930) affida la cromia al bordo dorato e alla pietra incastonata nello stelo, unica deroga alla purezza lineare delle forme.
Il Calice di Sušnik invece esalta la lavorazione plastica del metallo.
La particolarità del Calice di Plečnik (1956 ca.) è costituita dall’inserzione di monete d’argento nello stelo.
A spirale è lo stelo del ciborio del 1938, che ritorna nei sostegni dell’elemento architettonico sommitale.
Nell’Ostensorio scarlatto (1930) trionfa il contrasto cromatico ottenuto anche con l’impiego di materiali e forme diverse. Il piede è liscio, dorato e quadrangolare. La superficie piatta dello stelo è movimentata da pietre cabochon. Nella lunula la pietra bianca centrale, richiama la sfera alla base della piccola croce gemmata sommitale. Il disco scarlatto è punteggiato da cerchi concentrici di piccole sfere e circondato da un anello dorato con pietre cabochon.
La mostra, con la collaborazione dei Musei Vaticani, dell’Ambasciata della Repubblica di Slovenia presso la Santa Sede, del Ministero della Repubblica di Slovenia per la Cultura e dell’Arcidiocesi di Lubiana, è stata realizzata dal Museo e Gallerie della Città di Lubiana.
L’esposizione dal 26 settembre si sposterà nella capitale slovena.
Plečnik e il sacro
28 giugno-7 settembre 2019
Musei Vaticani, Città del Vaticano
Info: www.museivaticani.va
"E' una necessità, al di la degli orpelli creati artificiosamente per interromperne il dialogo." Lo dice il senatore russo Aleksej Pushkov, a Roma per favorire il riavvicinamento.
"Rimarranno le sanzioni ma le relazioni miglioreranno" dice il senatore russo Aleksej Pushkov a Roma in questi giorni alla conferenza stampa organizzata dal centro della scienza e cultura russo. Aleksej Pushkov, oltre che senatore è giornalista e presidente della Commissione del Consiglio federale sulla politica dell'Informazione russa. “ La necessità è la madre della politica” per il senatore che ha preceduto di poco la la venuta sempre a Roma dello “Czar” (derivazione della parola Cesare dell’impero romano d’oriente, di cui gli zar si sentivano i continuatori) di Russia.
Riammessa, Mosca torna, dopo le sanzioni, al Consiglio d’Europa, con un vasto seguito di ministri, banchieri e uomini d’affari, per concludere una serie di accordi governativi e commerciali nei settori più disparati, dall’istruzione, al turismo ed altro ancora. Per superare le sanzioni il premier italiano, Giuseppe Conte, ha promesso che l’Italia lavorerà “per coinvolgere tutte le parti in un dialogo costruttivo”. Fitta l’agenda dei colloqui, soprattutto di quelli che tratteranno di economia, ma si parlerà anche di Ucraina, Iran di Libia, Siria. L’obiettivo è riportare l’interscambio tra i due Paesi ai livelli del 2013.
Pushkov giudica il rientro della Russia nell’organizzazione l’inizio della fine della contrapposizione fra Unione europea e Federazione Russa. L’Europa ormai è stanca di questa “contrapposizione politica voluta dagli Usa” che Pushkov definisce “artificiosa e inutile”. Tant’è che per questo motivo gli Stati membri dell’organismo che promuove la democrazia, i diritti umani e l'identità culturale europea, hanno deciso di riammettere la Russia nonostante l’ostruzionismo di Kiev. Se fino a qualche anno fa Il ripristino della sovranità Ucraina era fondamentale, ora anche le relazioni con la Russia lo sono. Questo vuol dire che stiamo andando verso un superamento della crisi. Il processo sarà lento, ma andrà in questa direzione, e questo indipendentemente da chi guiderà le istituzioni dell’Ue.
Le buone relazioni con Roma, infatti, non sono un caso isolato. Il governo russo ha contatti regolari anche con ministri e rappresentanti politici della Finlandia, dell’Ungheria, con il presidente Emmanuel Macron e con la cancelliera Merkel, rimarca il senatore.
Continua ik senatore che l’unico modo per arginare la concorrenza della Cina è un asse tra Europa e Russia, un mercato da 600 milioni di consumatori di cui però gli Stati Uniti ne sono spaventati. Per quanto riguarda la Siria, Puškov ha espresso tutte le sue perplessità nelle critiche ad Assad, il paese è un’avanguardia di civiltà nell’intera area mediorientale e rivendica il successo dell’intervento russo contro l’Isis, ormai quasi debellata: prima dell’intervento russo oltre il 45 per cento del territorio siriano era occupato da questo.
Per quanto attiene le sanzioni ne ha voluto sottolineare la totale inefficacia, anzi hanno prodotto l’effetto contrario rispetto a quello sperato e cioè hanno compattato la popolazione attorno al proprio leader. Il danno economico, inoltre, è stato più per l’Unione Europea, 240 miliardi, che per la Federazione Russa, 50 miliardi.
Apprezzamento è stato fatto per la posizione dell’Italia (nelle organizzazioni in cui è presente, Unione Europea e Nato), volta ad un cambiamento delle relazioni con Mosca, anche se ancora al momento, la svolta non sembra vicina. In un mondo caratterizzato dal triangolo Usa (una nazione che per sostenere il proprio deficit necessita di una egemonia mondiale e che per questo guarda con timore – cercandone l’impedimento – ad un rapporto privilegiato tra UE e Russia, soprattutto un potenziale asse Mosca-Berlino), Russia e Cina (che ha una cultura unica, peculiare e che insegue il primato mondiale), l’Europa dovrebbe vedere in Mosca una sua naturale estensione, perchè i russi si sentono europei e perchè insieme costituiscono una popolazione di 650 milioni di persone. Per concludere il senatore ha ribadito, ancora una volta, il desiderio di veder rimossa negli anni a venire una contrapposizione artificiosa, in quanto non fondata su un reale contrasto di interessi, oltrechè, numeri alla mano, per tutti dannosa.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
Vini Bio: una moda?
Aggiungiamoci pure vini biodinamici e generalmente quelli considerati e, in alcuni casi, etichettati come “naturali”. La moda impazza e la comunicazione ha fatto “centro”. Il dubbio: moda che rischia di “sgonfiarsi” o tendenza consolidata da parte di consumatori attenti e “informati”? Secondo una indagine condotta da Signorvino (gruppo Calzedonia) nella catena dei propri negozi-enoteche, il consumatore “chiede” in primis vino-bio (anche nella versione biodinamica), poi “bollicine” con prezzi medio-bassi ed infine rosé (l’altra moda che impazza dalle Alpi a Santa Maria di Leuca, isole comprese). Non importa con quali uve siano prodotti. Basta che “frizzino” e, nel caso dei rosé, siano ben tinti di rosa (devono fare pendant con il cibo). I nostri “poveri rossi”, secondo Signorvino, sono relegati all’ultimo posto. Barolo, Barbaresco, Amarone, Brunello, Taurasi, volete risorgere? Vestitevi di Bio!
Frammento n. 1
Ritorno del Frascati
Vino Frascati ovvero insieme di Malvasia Bianca di Candia, Trebbiano toscano, Malvasia del Lazio e Greco. 70 anni di vita di questo vino che rivive una nuova giovinezza. Considerato vino da fiasco o meglio da comprare in damigiana e infiascarlo per il consumo, ebbe un grande successo anche fuori dei confini italici, perché legato a canzoni intramontabili, ad abbinamenti (fave) che annunciavano la primavera e alle classiche “gite fuori porta”. Vini di facile beva imitati e abusati nella diffusione. Oggi ben 300 aziende riunitesi in un Consorzio di tutela vinificano ed imbottigliano con un fatturato che supera i15 milioni di Euro. Oggi registriamo le giuste soddisfazioni per il lavoro svolto in particolare negli ultimi cinque anni. Affermazione di una evoluzione qualitativa senza precedenti. Il ritorno del Frascati.
Frammento n. 2
Ruffino: tre nuovi vini BIO
Chianti, Prosecco e Pinot Grigio. Le tre sfide dell’americana Ruffino. Il nuovo importante messaggio: “naturalisti” ecco per voi ben 200 ettari convertiti all’agricoltura biologica. Prosecco Doc fa la parte del padrone con ben 126 ettari (Poderi Ducali). Il resto nel nuovo Chianti Bio Docg e Pinot Grigio delle Venezie Doc. E giù l’amore per il territorio, l’uso di pratiche sostenibili, limitare l’emissione di gas effetto serra, gestione dei rifiuti, insomma consegnare ai nostri figli “un mondo migliore”. Personalmente ritorno ai concetti della “riflessione”.
Frammento n. 3
Una Guida Bio (perché no?)
Nasce la guida Bio per valorizzare le scelte “green” del modo enologico italiano. Ne sentivamo il bisogno!!!
Partiamo dalle motivazioni. “ Il progetto nasce come una sfida declinata in due tempi: il presente e il futuro”. Traduco più semplicemente: analizzare raccontare i prodotti, le persone e tutto il movimento bio. Dicono loro: cogliere le sfumature, la bellezza, la gioia del bere “green”. Andrea Giuliano, Antonio Stanzione e Annacarla Tredici, tre eno-amici,colgono l’attimo del trend esistente per offrire quattro sezioni di ricerca: una Top 100, una Top 20 ad impatto zero, un’altra Top 20 per il miglior packaging(?) e una sezione dedicata “alle migliori Bolle Bio”. Inorridisco di fronte agli stupendi spumanti chiamati volgarmente, senza ritegno, Bolle.
Frammento n. 4
Io lo chiamo Nebbione
Vendemmia 2010. Partenza del progetto Nebbione ideato dall’enologo Sergio Molino. Procedimento di produzione dello spumante metodo classico da 100% uve nebbiolo provenienti da diverse regioni vocate alla sua coltivazione. Una sorta di Talento memoria. Produttori delle Langhe, Alto Piemonte, Valle d’Aosta insieme a presentare i loro rossi e l’equivalente spumante. E dai nomi presenti c’è da stare “allegri”. Rivetto, La Kiuva, Cascina Ballarin, Enzo Boglietti, Travaglini, Franco Conterno, Gerlotto. E che Nebbione sia. (per favore: non chiamatela bolla).
Frammento n. 5
Movimenti in Champagne
La Cooperativa Nicolas Feuillatte ha annunciato l’acquisizione dell’antica Maison Henri Abelé. Un memorandum d’intesa firmato in questi giorni a Parigi ha suggellato l’intesa. Cifre tenute segrete ma considerando che la Maison Henri Abelé risale al 1757, solo la storicità pone la trattativa su alti livelli finanziari. Per Nicolas Feuillatte si tratta di acquisire un nome per entrare nell’olimpo dei grandi prodotti esclusivi ad alto valore aggiunto.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Trevi (Pg), 15,16 giugno. Il filo conduttore dedicato alla scoperta delle “vie del Trebbiano Spoletino”, vitigno eclettico e poliedrico che ha dimostrato di adattarsi alle diverse tecniche di vinificazione: tradizionale, solo inox, solo legno, ambedue (i migliori), la versione Orange Wine, spumanti e varie altre visioni ed interpretazioni.
Di tutto questo si è parlato, discusso, assaggiato a Trevi (Pg), uno degli aerali maggiormente interpretativi del Trebbiano Spoletino.
Storia
Ne ha parlato lungamente la Prof.ssa Giuseppina Prosperi Valenti ricordando che il territorio di Spoleto non sarebbe il suo luogo di nascita ma bensì d’elezione. È un vitigno “regionale” con diffusione particolare nei Comuni di Spoleto, Trevi e Montefalco .
Il vitigno
Grappolo con acini di media taglia, con buccia pruinosa e un colore verdastro che vira all’ambrato nel momento della sua piena maturazione. La sua tipicità è di dare vini con apporto fruttato, acido al gusto. Recentemente interessante come base per spumanti.
Visite aziendali
Interessanti le due visite aziendali effettuate nella due giorni trevane.
La prima a Montefalco presso la Tenuta Antonelli, la seconda a Spoleto presso la Cantina Ninni. (delle due visite ne parlerò a parte).
Degustazioni guidate
Sono state quattro, una più significativa dell’altra:
- “Turbo spoletino”, I Trebbiano nella ricerca e nell’evoluzione stilistica. Dai tradizionali, ai macerati, agli spumanti.
- “Bollicine di Trebbiano”, la prima degustazione dedicata interamente agli spumanti ed ai frizzanti 100% Trebiano Spoletino.
- “Il Trebbiano macerato”, ritorno alle origini o semplicemente versione alla moda
- “Riconosci il Trebbiano Spoletino”, una degustazione alla cieca utilizzando bicchieri neri, magistralmente condotta da Davide Bonucci.
Stand e Banchi d’assaggio
Ritrovare i produttori, parlare con loro dei vini appena assaggiati, capire le loro filosofie di vita.
Aziende piccole, familiari, che vivono in vigna, senza sosta e credono nella “madre terra”. Aziende di media levatura che continuano ad investire nella progettualità, in nuove tecnologie, dare lavoro ad una terra che ne ha bisogno per non essere abbandonata ( l’aspetto sociale) per consegnarci vini diversi pronti ad affrontare i mercati.
Gli assaggi alla cieca
Ma il clou della manifestazione sono stati gli assaggi “alla cieca” dei 46 campioni presentati da 28 aziende interessate alla produzione di Trebbiano Spoletino.
Questi i miei migliori “Dieci” in ordine sparso:
- Colle Uncinano superiore non filtrato 2015
- Cantina Ninni Poggio del Vescovo 2016
- Castelgrosso superiore 2017
- Antonelli Tonda 2017
- Perticaia Spoleto 2018
- Dionigi Goccio 2018
- Mevante 2017
- Tenuta Bellafonte 2016
- Livon Colanto Cantaluce 2017
- Omero Moretti Montefalco 2018
Vinificazioni diverse, stili diversi, territori diversi; un unico vitigno che li contraddistingue.
La location, Trevi
Trevi è meritatamente uno dei Borghi più belli d’Italia. Dalla sottostante via Flaminia lo vedi come in una cartolina. Poi, piano piano si “apre” con le sue “porte” svelando i segreti millenari delle sue piazze, palazzi e Chiese.
In particolare quella chiesetta duecentesca di San Pietro a Pettine, luogo dell’anima, per il misticismo che ti sorprende appena varchi la sua soglia.
E visitarla di sera con le luci diffuse del colore del trebbiano maturo, seduto di fronte agli affreschi religiosi ben recuperati, mi ha percosso i sensi.
Anche questo è conoscere il territorio, le sue tradizioni ed apprezzare meglio quanto ti offre nella quotidianità.
“de Gusto”, non è stato solo vino. Chapeau!
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Finalmente abbiamo accettato la logica che parlare di vino “bianco” significhi parlare del vino che rosso non è, lasciando ai “saccenti vinicoli” disquisire sui colori e riferimenti di appartenenza.
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Raccolta a spalla al Giglio |
Qualcuno ha scritto: Orange Wines, l’altro colore del “bianco”. Ed allora il Pinot Gris più o meno ramato in quale categoria lo mettiamo?
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Senza stare tanto a ragionare, parlare, lasciamo ai “cesellatori dei colori” continuare a dibattere sul tema bianco sì, bianco no.
Personalmente la scelta l’ho fatta. Sposata la linea di pensiero che pone gli Orange Wines tra i vini che rossi non sono.
Le origini.
Qualcuno tenta di assegnarne la paternità ai nostri contadini. Prolungato contatto con le bucce sia con il mosto che con il vino o quasi vino, donando colori inusuali. Una classica vinificazione come si usa per i vini rossi: bucce che cedono le sostanze coloranti in esse contenute rendendo il vino molto complesso sia al naso che in bocca. Rientra in quella tradizione antica contadina superata nel secolo XX dai nuovi macchinari che eliminano le bucce.
Sappiamo invece che l’origine è di quelle terre che videro i natali dell’uva e del vino: Georgia ed Armenia. Ancora oggi, soprattutto in Georgia c’è continuità di produzione con tsinandali, ottenuto dalla miscela di uve rkatsiteli e mtsvane; il rkatsiteli, ottenuto dall’omonima uva; il pirosmani, vino semidolce dedicato all’omonimo pittore georgiano; il mtsvani, vino secco fatto con l’omonima
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I magnifici 9 |
uva.
Ed il nome inglese deriva dalla traduzione georgiana. Se poi registriamo i dati dei consumi di questa tipologia di vini a Londra il fenomeno dei “vini arancio” avoca a se il diritto di chiamarli Orange Wines.
E la moda oltremanica fa tendenza e moda anche in Italia. Ai casi isolati di Gravner e Radikon si sono aggiunti, negli ultimi tempi, una moltitudine di piccoli produttori autodefinitisi “artigiani del vino” che si avventurano in questa particolare produzione. Nella buona e cattiva sorte. Alcuni ci riescono, altri meno. A noi l’arduo compito di saper scegliere.
Venerdì 7 giugno, presso il Podere Sapaio a Bolgheri, occasione per assaggiare Orange Wines. La batteria, tutta proveniente dalla
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Si discute |
collezione privata del patron Massimo Piccin, era formata da tre francesi e sei italiani provenienti quest'ultimi da diverse regioni e territori. Una possibilità unica per contrapporre vitigni e vini d’oltralpe con quelli “nostrali. È andata così:
- Savagnin Amphore 2016. Da Arbois, zona precollinare dei Jura. Vitigno di riferimento il Savagnin che ha affinità con il gewurztraminer. Meglio conosciuto come vitigno dal quale si produce il vin de paille, il vin jaune e il vin fou. L’Amphore ha fatto discutere i presenti alla degustazione. Personalmente l’ho posto sul podio al secondo posto. Eccellente, Chapeau!
- Melon de Bourgogne 2014. Proveniente dalla zona posta vicino all’inizio del grande estuario della Loira: Muscadet, il vino amato dalle ostriche (ne vanno pazze. Loro o i degustatori di bivalve?).
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I macerati |
Ottimo, ma non da podio
- Tellus 2016, anfora. Proveniente sempre dalla Valle della Loira ma non alla fine del percorso del grande fiume ma prima della grande ansa di Orleans. Là dove si produce uno dei vini più complessi ed aromatici del mondo: Sauvignon Blanc di Sancerre e/o Pouilly-sur-Loire, quest’ultimo meglio conosciuto come Pouilly-Fumé. Il produttore di Tellus si trova nella denominazione AOC Sancerre e il suo bio-dinamico Orange Wine raccoglie tutto il fascinoso bouquet minerale della zona di appartenenza. Ottimo, ad un passo dal podio.
- Gravner, Ribolla Gialla 2010. Che dire se non rappresentante ai massimi livelli degli Orange Wies o meglio l’Orange Wine per antonomasia? Bello, bello, bello. Senza stare tanto a discutere. Primo assoluto per tutti. Chapeau!
- Vodopivec 2016. Vitovska. “Vitovska è la regina del Carso. Regna su vigneti terreno-rocciosi e fazzoletti di terra rossa che la mano dell’uomo coltiva rispettosa, guidata da un profondo amore per la natura” (Paolo Vodopivec). Dalle terre vocate per gli Orange Wines questo fantastico prodotto che ha nobilitato tutta la batteria. Eccellente.
- Anphoreus Malvasia 2015, dalla zona collinare di Gorizia. Ancora un vitigno diverso, la Malvasia istriana o del Carso, adatta a macerazioni lunghe. Ha fatto gruppo, lasciando dolci note rievocative della zona di origine.
- Munjebel Bianco 2016. Grecanico 60% e Carricante 40%. Etna lato nord. “Il Munjebel Bianco è una spremuta dell'Etna nata da un blend di uve Grecanico e Carricante che derivano da viti di otre 40 anni radicate sul terreno lavico del grande vulcano. Si tratta di un vino bianco macerato sulle bucce per 4 giorni”. Vino Artigianale fatto come una volta, Senza solfiti aggiunti o minimi, Macerato sulle bucce, Lieviti indigeni. Vino meritevolmente sul podio all’unanimità. Chapeau!
- Trebbiano d’Abruzzo Cirelli 2017. Non poteva mancare la versione macerata di questo particolare vitigno. Ottimo, meritevole d’attenzione.
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Felice e appagato |
Ed infine, ultimo ma non ultimo, il macerato di casa Sapaio: Paradiso dei Conigli 2017. Massimo Piccin premette da subito, prima dell’assaggio, che si tratta di un progetto per valorizzare al meglio l’Ansonica dell’Isola del Giglio. Un mix di percorso storico, di micro-clima, di diversità.
Tutto particolare ad iniziare dal nome: Paradiso dei Conigli, un omaggio un po’ provocatorio ai molti conigli che ivivono in libertà sull’Isola. Tremila metri di vigneto in località Le Secche, vicino al Faro del Fenaio. Viticoltura eroica su terrazzamenti e trasporto a spalla fino al centro raccolta e via verso Bolgheri con il primo traghetto. Utilizzo delle anfore per la macerazione e affinamento. Un gran bel progetto che ha già raggiunto ottimi livelli di gradimento. Creativo, sauvage!
Una cosa è certa: abbiamo assaggiato il meglio dei meglio esistenti sul mercato e alla fine il risultato non poteva che essere eccellente. Il Vino, prima di tutto, deve essere buono. Poi arriva tutto il resto. Chapeau!
Sono iniziate lunedì 17 giugno in Puglia le riprese del nuovo film con Aldo Giovanni e Giacomo, per poi proseguire in Lombardia. Da nord a sud dello stivale per svelare le regole per una vacanza perfetta, ovvero: non si parte senza il canotto, non si parte senza il cane, ma soprattutto non si prenota la stessa casa.
Aldo Giovanni e Giacomo in viaggio per le vacanze estive, non si conoscono e non potrebbero avere delle famiglie e delle vite più diverse: il precisetto organizzatissimo, ma con un’attività in proprio fallimentare; il medico di successo alle prese con un figlio in piena crisi preadolescenziale; l’ipocondriaco nullafacente con un cane di nome Brian e la passione per Massimo Ranieri.
Tre vite lontanissime che si incontrano accidentalmente in una piccola isola della costa italiana: stessa spiaggia, stesso mare, ma soprattutto stessa casa in affitto.
Lo scontro è inevitabile e spassosissimo: abitudini diverse, due figli che si innamorano, tre mogli che partono col piede sbagliato, ma finiscono per ballare insieme in una sera d’estate, e tre nuovi amici alla ricerca di un figlio in fuga.
Aldo Giovanni e Giacomo ci raccontano una storia di amicizia e sentimenti , con la solita spassosa ironia, come nella loro tradizione cinematografica più amata.
ODIO L’ESTATE è diretto da Massimo Venier e, oltre ai tre protagonisti (Aldo, Giovanni e Giacomo), vede tra gli interpreti: Lucia Mascino, Carlotta Natoli, Maria Di Biase e la partecipazione straordinaria di Massimo Ranieri e Michele Placido. Il soggetto e la sceneggiatura sono firmati da Davide Lantieri, Michele Pellegrini, Massimo Venier, Aldo, Giovanni e Giacomo. La pellicola è una produzione Paolo Guerra per Agidi Due, sostenuto dalla Fondazione Apulia Film Commission e distribuito da Medusa Film.
Intervista a Patricio Mery Bell, giornalista, attivista cileno ed ex consigliere di Rafael Correa.
Cristina Mirra: Puoi raccontarci il lavoro di Assange e di Wikileaks?
Patricio Mary Bell: Julian Assange è un eroe della libertà di espressione e del diritto di ricevere informazioni veritiere. Wikileaks segna un prima e un dopo nel modo di fare giornalismo. Ci ha mostrato lo stato profondo dei governi assetati di sangue *Deep State*.
La società ha il diritto di conoscere la verità con la minor manipolazione possibile delle informazioni. I grandi media dipendono e fanno parte del potere finanziario, sono strumenti di difesa e di attacco di un modello iniquo e ingiusto, che mantiene nella povertà metà della popolazione del pianeta, o anche di più, vittima di flagranti crimini contro i diritti umani. Dietro tutto questo c’è il sistema di concentrazione del potere e della ricchezza. Il volto più selvaggio del sistema che è protetto dal giornalismo corporativo. Trafficanti di pseudo verità.
In questo contesto Julian Assange e Wikileaks sono l’altra faccia della medaglia. Un giornalismo coraggioso, impegnato solo a favore della verità e di una vera società dell’informazione.
Quanto sapremmo di meno della guerra in Afghanistan e in Iraq e degli altri scenari, senza di loro?
Non sapremmo niente. Ricordate che queste guerre hanno avuto l’incoraggiamento e l’addolcimento dei media che hanno portato i nostri popoli a vivere amando l’oppressore e odiando gli oppressi.
Viviamo in un’epoca storica in cui la battaglia comunicativa è appena iniziata. Mai prima d’ora così tante persone hanno avuto accesso alle informazioni come ora. Oggi ogni cittadino può essere un canale di comunicazione, un meccanismo di controllo sociale, e ciò dispera il sistema che ha bisogno di mantenerci come degli idioti, manipolati e schiavi dei suoi interessi economici. La verità è la libertà e la menzogna è la schiavitù.
La lotta tra il governo degli Stati Uniti e la Huawei, la prigionia di Julian Assange, la censura e l’autocensura dei media sono battaglie dello stesso conflitto. Si confrontano due visioni culturali: il multilateralismo e la pace contro l’imperialismo e la violenza.
Julian Assange, come nel racconto di quel ragazzino che gridava a tutti che il Re camminava nudo, ha osato dimostrare che il “Re della Libertà” non era altro che un criminale assetato di sangue.
Perché Assange spaventa così tanto l’America?
Il sistema si sbaglia sempre, cerca di uccidere il messaggero per impedire che il messaggio raggiunga le persone. L’unica cosa che fa, ogni volta che ci prova, è ingrandire il messaggero e catapultarlo alla gloria. Julian Assange li ha già sconfitti, anche se per questo ha dovuto sacrificare la cosa più importante della vita, la libertà. Il suo modo di consegnarci la verità farà storia.
Cosa ne pensi della guerra in Iraq?
Penso che tutte le guerre siano brutte. Iran, Libia e Afghanistan sono la stessa cosa. Una strategia politica utilizzata a fini commerciali per appropriarsi del petrolio proveniente da quei paesi. Nessun paese che è stato invaso dagli Stati Uniti sta meglio di come stava prima.
Quali effetti ha avuto questo conflitto sull’Iraq?
Direttamente la generazione e il finanziamento di gruppi radicalizzati che hanno compiuto attentati terroristici in Europa. Il caos sociale in Iraq, la destabilizzazione del continente e la proliferazione della guerra come metodo di controllo.
Cosa ne pensi delle scuse di Blair, quando ha ammesso che c’era una mancanza di prove, vale a dire le armi di distruzione di massa?
Tardive e ipocrite. Queste scuse appaiono solo dopo che il mondo ha scoperto la verità.
La storia di Assange si riferisce alla libertà del giornalismo investigativo, che vuole informare il grande pubblico.
Perché ritieni che la figura di Assange sia particolarmente apprezzata in America Latina?
Perché sappiamo quanto danno può generare una menzogna, il piano Condor è stato promosso dalla cattiva stampa, giustificato da criminali che possedevano i media. Uno dei casi più emblematici lo abbiamo vissuto in Cile con la partecipazione di media come El Mercurio e il suo proprietario Agustín Edwards, a crimini contro l’umanità.
Anche perché Assange è stato accolto come rifugiato politico dall’ex presidente ecuadoriano Rafael Correa nell’ambasciata del suo paese nel Regno Unito. Ecuador e il Sud America si sono schierati a favore della verità e della libertà di espressione. Purtroppo, questa dignitosa posizione di fronte al mondo è stata gettata nella spazzatura dal governo di Lenin Moreno, che è un funzionario del sistema capitalista. Un giorno dovrà rispondere alla giustizia per aver consegnato Julian Assange e per aver violato le leggi e le convenzioni internazionali sui diritti umani.
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Open class di Yoga all’ambasciata Indiana di via XX Settembre
Duplice celebrazione con International yoga day a San Marino, cinema all’isola tiberina di Roma e cultura indiana a Zagarolo
iniziano le celebrazioni, dal 16 al 28 giugno , della common yoga protocol, settimana dello yoga con posture semplici accessibile a tutti. Una celebrazione giunta alla quinta edizione quella “della giornata internazionale dello yoga” (approvata nel 2014 con un consenso record di ben 177 paesi) e presentata presso l’Ambasciata indiana di via XX Settembre. Dunque il 21 giugno, solstizio d’estate, sotto la statua di Marco Aurelio in Campidoglio, dalle ore 18,30 happening di yoga alla ricerca dell’armonia e della pace e concerto di musica indiana alle 20,30 con il maestro Partho Sarathi Class.
Open class , conferenze e meditazione gratuite presso l’Ambasciata dell'India per appassionati e principianti sotto la guida of course di esperti insegnanti yoga e professionisti della meditazione.
Lo Yoga arriva grazie alla collaborazione con l’Ambasciata Indiana anche nella bellissima città di San Marino , una delle più antiche democrazia del mondo e patrimonio dell’Unesco , il 15 giugno, con incontri attivi dal pomeriggio fino all’imperdibile sunset. Ore 20.00 danza classica indiana Kathak.” La prima esperienza con lo yoga è partita l’anno scorzo , oggi siamo alla seconda edizione ed è giusto rilanciare una pratica di successo con le scuole e numerosi partecipanti. Questo interesse con l’Ambasciata indiana è nato per caso - spiega il diplomatico di San Marino Marina Emiliani – in collaborazione con il ministero culturale, turismo e affari esteri della Repubblica di San Marino.”
Per la giornata dello yoga arriva la duplice celebrazione con musica e danza , dal 21 giugno al 13 luglio, all made in India, da Roma a Zagarolo e altre città di Italia, la settima edizione del Summer Mela (festival di cultura e musica indiana organizzata da fondazione Find), in collaborazione con l’Accademia Filarmonica Romana, l’Istituto Palazzo Rospigliosi di Zagarolo, l’ISMEO (associazione internazionale di studi sul mediterraneo e l’oriente), Fabbrica Europa, River to River Florence Indian festival e l’Isola del cinema dell’isola Tiberina. “Abbiamo organizzato – racconta il direttore del Summer Mela Roma Finds India Riccardo Biadene – eventi da non perdere all’isola tiberina come il film “3storeys” tutto indiano di Arjun Mukerje su un condominio di Mumbai e un altro proiettato in anteprima al festival di Toronto 2018 in salsa tutta Bollywoo, a Zagarolo preview presso Palazzo Rospigliosi della danza indiana di Hemabharathy Palani e in scena altri artisti indiani come Partho Saroty, Supryo Dutta, Sabir Khan e Nihar Mehta“.
Lo yoga è una disciplina apprezzata e praticata in tutto il mondo, uno strumento utile riconosciuto anche dalle istituzioni. “ Il mio impegno – chiosa, la seconda donna eletta nel 2017 nella storia dell’India come ambasciatrice, Smt. Reenat Sandhu - sarà quello di intensificare con lo Stato Italiano la diffusione di questa antichissima pratica anche come materia di studio nelle scuole. In Sardegna dove sono stata recentemente ho trovato davvero un grande interesse per lo yoga come anche in Nord Italia”.
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la masterclass di sakè |
Il Sake
Lo dico subito: non sono un intenditore di Sake ne bevitore. Solo curioso di conoscerlo, entrare in questo mondo particolare, capire gli aspetti più importanti, da dove proviene, la preparazione, le tipologie e i semplici motivi per bere sake.
Riso, acqua, spore Koji e lievito Kobo.
Questi gli ingredienti per ottenere il sake dopo un processo di doppia-fermentazione.
Qualcuno, in occidente, lo chiama “vino di riso” e i giapponesi se la ridono. Non è vino di riso ne liquore ne distillato: è sake o meglio Nihon-shu perché in Giappone dire sake significa “bevanda alcolica”.
Occasione per conoscere un po’ il Sake è stata la MasterClass al Vinexpo di Bordeaux: Koji, le secret des boissons japonaise. Cosa è il Koji?
È un fungo, un microrganismo, una muffa che, insieme ad un lievito detto Kobo, permette la doppia fermentazione per arrivare al sake sviluppando un tenore alcolico che va dai 13 ai 18 gradi.
Sembrerebbe tutto facile e semplice ma non è così.
Esiste una vastissima gamma di sake vuoi per le qualità di riso adoperato, i metodi di raffinazione, le acque usate (non sono tutte uguali) e non ultimo le manualità dell’uomo ancora oggi indispensabili per ottenere eccellente qualità.
STORIA
Un po’ come il vino. Si parla di 12.000 anni a.C. Se i primi “scrittori di vino” furono i Sumeri 4.000 anni a,C. per il Sake troviamo il primo documento scritto nel 300 a.C.: il Gishiwajiden.
Si dice, si mormora che il primo fermentato di riso sia stato prodotto in Cina. Non ditelo ai giapponesi, potrebbe scoppiare una terza guerra mondiale.
“Il Sake è giapponese, punto e basta”. Questo quanto esclamato dal Prof di Tokio che ha diretto la masterclass, un po’ stizzito alla domanda del sempre onnipresente informato sui fatti.
E giù numeri: 1.200 sakagura (aziende produttive) presenti in tutte le 47 prefetture (un mix di regioni/province)
RISO
La varietà utilizzata maggiormente è il sakamai che si coltiva in particolari aree del paese e richiede tecniche complesse. Negli ultimi tempi sono stati censiti ben 95 tipologie di riso sakamai.
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il Koji |
ACQUA
Non tutte le acque sono uguali: minerali, meno minerali, calcaree, dure, di sorgente, di pozzo e via, via. Come nel vino i minerali influiscono sul sapore. L’acqua che riporta media durezza è l’ideale per la produzione.
KOJI-KIN, LA MUFFA
Il Koji converte l’amido del riso in zucchero e il lievito Kobo procede a trasformare lo zucchero in alcool. Doppia fermentazione o meglio “fermentazione multipla in parallelo”.
Non riporto tutti i processi per arrivare al prodotto finale perché tra slide a ripetizione, difficoltosa traduzione dall’inglese (il nippo-inglese è una lingua a parte), l’unico risultato è stato l’inizio di un fastidioso mal di testa. Meno male che un filmato semplice, descrittivo e ben fatto è venuto in mio soccorso con il gentile e sempre amabile, signorile commento in lingua francese di una hostess.
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gli assaggi di sake e shochu |
PERCHÉ BERE SAKE NOI OCCIDENTALI?
“Perché è figo, va di moda”. E lo è ancora maggiormente se lo chiami Nihonshu.
E se uno vuol essere al top non deve utilizzare il bicchiere di vetro ma, alla maniera degli gli anziani giapponesi, una sorta di scatolina di cedro chiamata “masu”.
Al termine della masterclass si è parlato ed assaggiato anche alcuni distillati giapponesi:
Shochu prodotti sempre con il koji , Satsuma (con aggiunta di patate) e Barley, pur sempre novità.
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contenitori interrati di baijiu |
Di palo in frasca.
Del vino cinese, della sua qualità, diffusione, dati di produzione ne ho parlato in un recente articolo le vin chinoise.
Non dei distillati cinesi che negli ultimi anni hanno fatto progressi giganteschi.
A livello di superalcolici i cinesi bevono da sempre il Baijiu, detto anche Shaojiu , che è un'acquavite.
Il nome baijiu letteralmente significa "alcol bianco".
Nello specifico si tratta di un distillato che In genere ha una gradazione alcolica tra il 40% e il 60%.
Il baijiu viene distillato principalmente dal sorgo, dal riso glutinoso, a volte da frumento, orzo comune, miglio e talvolta con la lacrime di Giobbe (pianta tipica asiatica).
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le materie prime del Baijiu cinese |
Producendo quantità enormi di vino i viticoltori cinesi si sono posti il problema dello smaltimento delle vinacce. Da lì il passo è stato breve.
Il fiorire di distillerie per produrre grappe con gli occhi a mandorla, equivalenti di armagnac e cognac il passo è stato veramente breve.
La Jiangsu Yanghe Distillery (Sujiu Group) oggi rappresenta una delle realtà più rilevanti del mondo dei distillati cinesi.
Centro operativo a Nanjing (Nanchino), 179 filiali in tutta la Cina, 30.000 dipendenti, 10 chilometri quadrati di superficie totale nelle tre aree produttive: Yanghe, Shuanggou e Lai’an. Classificatasi al terzo posto in Brand Finance Spirits 50 nel 2017.
La corsa alla concorrenza sui distillati è cominciata (da tempo): a quando il lancio sul mercato cinese del “Chinois Cognac Grande Champagne”? Il vitigno Ugni Blanc già l’allevano da diversi anni.
Urano Cupisti
Cittadini e Amministrazione scelgono insieme come investire 20 milioni di euro - Le risorse verranno stanziate per progetti di decoro urbano
Roma, 10 giugno 2019 – I cittadini potranno decidere insieme all’Amministrazione capitolina come investire 20 milioni di euro del bilancio del Campidoglio, in progetti per il decoro urbano. Con #RomaDecide si dà avvio alla prima esperienza di bilancio partecipativo di livello cittadino, con il coinvolgimento di tutti i territori municipali, grazie al nuovo Regolamento votato dall’Assemblea Capitolina e alla successiva approvazione in Giunta della delibera attuativa.
“Oggi è un giorno importante nella storia dell’Amministrazione – dichiara la sindaca di Roma Virginia Raggi – perché Roma Capitale si dota di uno strumento che rende i cittadini coprotagonisti delle scelte che riguardano la loro città. Una parte dei fondi del bilancio sarà infatti destinata a progetti presentati da chi vive, studia o lavora nella Capitale. Progetti che, per quest’anno, riguarderanno il tema del decoro, ossia la cura dei quartieri in cui viviamo. Vogliamo così instaurare un meccanismo di cittadinanza attiva che non si limiti alla decisione su dove destinare le risorse dell’ente ma, attraverso la raccolta delle iniziative, spinga tutti a lavorare insieme per Roma”.
Il processo partecipativo si rivolge sia ai singoli cittadini, che potranno partecipare online attraverso il portale istituzionale, sia ai 15 Municipi che avranno la possibilità di presentare e sostenere progetti e organizzare incontri sul territorio con la cittadinanza.
Dal 10 giugno al 15 luglio i cittadini residenti e i city user, che svolgono nel territorio romano un'attività di studio o lavoro, possono pubblicare sul sito di Roma Capitale le loro proposte di intervento, mentre possono sostenere quelle di loro gradimento fino 21 luglio.
Le proposte che otterranno almeno il 5% dei sostegni complessivamente ricevuti da tutti i progetti che ricadono nello stesso territorio municipale passeranno alla fase successiva e verranno esaminate dal tavolo tecnico per una valutazione tecnico-finanziaria. Le proposte giudicate ammissibili saranno sottoposte a consultazione e voto online dal 12 al 21 ottobre.
La presentazione delle proposte da parte degli organi municipali è possibile fino al 15 settembre. A questi progetti è riservato circa il 20% dei fondi destinati per ogni territorio. Sono previste risorse specifiche premianti, finalizzate alla realizzazione dei progetti nei territori in cui è stata registrata una più alta partecipazione.
“Con la delibera di attuazione del regolamento sul bilancio partecipativo si apre una nuova fase della vita economica dell’ente. Il lavoro di costruzione di un documento così complesso e fondamentale come il bilancio di previsione viene ‘aperto’ ai cittadini che potranno far valere le loro esigenze attraverso un meccanismo di partecipazione e di premialità. Per ora abbiamo previsto lo stanziamento di 20 milioni di euro da destinare a proposte della cittadinanza e dei singoli municipi: un primo passo per una pianificazione condivisa delle risorse della città”, dichiara l’assessore al Bilancio Gianni Lemmetti.
“Il bilancio partecipativo rappresenta una tappa centrale all’interno di un percorso iniziato tre anni fa con l’obiettivo di rendere la partecipazione elemento identitario dell’amministrazione. È anche in quest’ottica che, oltre all’attivazione di processi partecipativi sul territorio, abbiamo dato alla città di Roma un nuovo portale al cui interno è prevista un’area dedicata alla partecipazione anche online, in continuo sviluppo sulla base delle esperienze maturate fino a ora” commenta l’assessora a Roma Semplice Flavia Marzano.
“Con il bilancio partecipativo la comunità cittadina e tutte le realtà territoriali e civiche potranno far sentire la loro voce e potranno scegliere gli interventi da realizzare per migliorare la qualità della vita e il decoro nella città. Attraverso l'approvazione del nuovo Statuto a gennaio 2018 e del primo Regolamento del Bilancio Partecipativo di Roma approvato ad aprile 2019, l'Assemblea Capitolina ha introdotto nella storia della città eterna forme di democrazia diretta e partecipata digitali innovative, portando Roma al livello delle altre capitali del mondo. Questo è il risultato di una rivoluzione portata avanti in questi tre anni” commenta il Presidente della Commissione Roma Capitale, Statuto e Innovazione Tecnologica Angelo Sturni.