Non sembra abbastanza diffusa fra gli italiani la sensazione che le riforme costituzionali, destinate, secondo i promotori del SÌ, ad agevolare e semplificare le procedure di piena attuazione di uno Stato democratico, produrranno precisamente l’effetto opposto. Non occorre essere allarmisti, per convincersi che la vittoria dei “SÌ” al Referendum del 4 dicembre, con le conseguenze a latere, non certo evidenziate nella legge Renzi-Boschi, permetterà la concentrazione di ulteriori, rilevanti poteri nell’Esecutivo, limiterà l’esclusiva facoltà di rappresentanza popolare del Parlamento, consentendo di operare facilmente, in breve tempo, la prevista svolta autoritaria del governo nel nostro Paese.
Preoccupazione legittima e giustificata da fatti che evidenziano, sul piano formale e sostanziale, l’intento propagandistico di un governo, alla ricerca del consenso popolare e della legittimazione di una riforma della Costituzione, che gli consentirà di acquisire un’autorità aggiunta, assolutamente contraria alle fondamentali norme, contenute nella Carta del 1948. Infatti, se osserviamo il testo del quesito referendario, che così recita:
« Approvate il testo della legge costituzionale concernente“disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016? »
ci rendiamo immediatamente conto dell’intento demagogico dell’estensore di un quesito referendario, che definire disomogeneo sembra troppo garbato. In modo tutt’altro che imparziale, questo non si limita a formulare una domanda, ma invita l’elettore ad approvare “la legge costituzionale, con il “SÌ”, perché così potrà “beneficiare” del “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”e della “soppressione del CNEL” (nelle sedi opportune è stata accertata l’esistenza dei presupposti per considerare ingannevole il testo del quesito e illegittimo il conseguente, implicito invito a votare “SÌ”, contenuto nella pubblicità trasmessa dalle emittenti TV nazionali).
Fatta questa doverosa premessa, si dovrebbe presumere che l’elettore medio conosca non solo il testo della legge costituzionale che dovrebbe approvare, con un SÌ, oppure respingere, con un NO, ma sia anche consapevole dei motivi che hanno indotto 126 deputati a richiedere di sottoporre a Referendum la legge di riforma costituzionale “Renzi – Boschi”, approvata con la maggioranza assoluta delle due Camere, ma non con la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti della Camera e del Senato, cosa che ha reso possibile il Referendum stesso (come disposto dall’articolo 87 della Costituzione). Se così non fosse, la formulazione e il contenuto del quesito referendario, in cui si chiede all’elettore di approvare il testo di una legge costituzionale, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, risulterebbero senza dubbio imprecisi e fuorvianti per l’uomo comune, non sufficientemente edotto in materia, e potrebbero indurre lo stesso elettore, disattento e disinformato, ad optare per il “SÌ”, perché ignora che il Parlamento, cui si fa riferimento nel quesito, è stato eletto, secondo i criteri di una legge elettorale (il “Porcellum”), dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza 1/2014. La “porcata” (così ha definito questa legge, proprio colui che ne fu estensore e proponente, cioè, l’onorevole Calderola), ha continuato tuttavia a rilasciare i suoi sconcertanti effetti, derivanti dall’accertata impossibilità di stabilire il giusto rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, in un Parlamento, per questa ragione, illegittimo, eppure ancora in grado di svolgere il suo ruolo “istituzionale”, con l’approvazione della stessa Consulta, in virtù dell’applicazione del principio di “continuità dello Stato”, che ha permesso alla maggioranza di governo, cui fu concessa la fiducia da un Parlamento illegittimo, di trasformarsi in “maggioranza costituente”, per elaborare il progetto di riforma della Costituzione.
Per meglio chiarire, osserviamo quanto dispone la legge elettorale ordinaria 270/2005, detta anche “Porcellum” (grazie all’ironico e vano eufemismo di Giovanni Sartori):
- questa legge aveva disposto che l’elezione dei Deputati alla Camera doveva avvenire secondo il sistema proporzionale, a “liste bloccate” (all’elettore è negata la libertà di esprimere preferenze per i candidati), e che alla coalizione che avesse ottenuto il maggior numero di voti sarebbe stato attribuito il premio di maggioranza (non essendo previsto dalla legge “Porcellum” il raggiungimento di una soglia minima della percentuale dei voti)
- mentre l’elezione del Senato doveva avvenire secondo il sistema a base regionale, con un premio di maggioranza, non legato ad una soglia minima della percentuale dei voti, da attribuirsi su base regionale.
La Corte Costituzionale, con sentenza 1/2014, ha dichiarato anticostituzionale il Porcellum, con le seguenti motivazioni: legge che…(relativamente all’elezione della Camera)…”non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti” trasforma una minoranza in maggioranza con un meccanismo di attribuzione del premio “manifestamente irragionevole” e tale da costituire una grave alterazione della rappresentanza democratica” che è base e fondamento della Costituzione della Repubblica Italiana.
Relativamente all’elezione del Senato, la stessa Corte ha sentenziato l’anticostituzionalità della legge Porcellum, poiché: “stabilendo che l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento”.
Il criterio delle “liste bloccate” obbliga gli elettori a votare solo un partito e a non esprimere alcuna preferenza.
Risultano quindi eletti i candidati che venivano, dai partiti, posizionati nei primi posti della lista.
La Corte Costituzionale ha precisato che:
“il cittadino è chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito”.
Le condizioni indicate dal “Porcellum” sono state, dunque, dalla Corte definite:
“tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti”, condizioni che impediscono questo rapporto e “coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 della Costituzione”.
La Corte, tuttavia, ha sostenuto che gli atti di questo Parlamento sono validi e lo saranno anche in materia di leggi elettorali”, disponendo l’applicazione del “principio della continuità dello Stato” che consentirebbe all’attuale Parlamento di continuare a svolgere il suo ruolo “istituzionale” a condizione che ciò avvenga entro i limiti stabiliti dal principio stesso e si adottino soluzioni idonee alla creazione di un sistema elettorale che non sia, come il “Porcellum”, in contrasto con la Costituzione. Condizioni disattese, poiché questo Parlamento, creato per mezzo di una legge elettorale, dichiarata anticostituzionale, ha approvato il testo della legge costituzionale per la riforma della Costituzione (ben 47 articoli!) (vedi Gazzetta Ufficiale n.88 del 15 aprile 2016).
Evidenti le contraddizioni! Basterebbero queste a convincere il cittadino italiano, onesto e informato, a votare per un deciso NO, al Referendum del prossimo 4 dicembre!
Evitando così di essere vittima di un inganno ben congegnato e nascosto dalle troppe chiacchiere renziane, recitate ad arte dall’attuale premier, discepolo obbediente della potentissima e semi segreta “Accademia del Potere” made in USA, che si chiama Council On Foreign Relations, e pronto ad eseguire gli ordini che gli pervengono dall’altrettanto potente organismo bancario, JPMorgan, severo controllore degli sviluppi economici e politici dell’Unione Europea e in particolare dell’Italia.
Ma proseguiamo con la nostra analisi, osservando che l’articolo 138 della nostra Costituzione (la sfrontatezza dei “deformatori” non è giunta al punto di proporne la modifica, perché sarebbe risultata impopolare e …anticostituzionale) dispone quanto segue:
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art.72 c.4].
Le leggi stesse sono sottoposte areferendumpopolare [cfr. art.87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta areferendumnon è promulgata [cfr. artt.73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo areferendumse la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
Dunque il Referendum costituzionale (detto impropriamente “confermativo”, che è stato richiesto da un quinto dei componenti della Camera - 126 su 630 - entro i termini stabiliti, poiché nella seconda votazione la legge non è stata approvata da ciascuna Camera con la maggioranza, qualificata, di due terzi dei suoi componenti), offrirà al cittadino elettore la facoltà di scegliere tra l’inizio della fine della democrazia in Italia, con il suo SÌ, e il miglioramento delle garanzie costituzionali che tutelano il sacrosanto diritto di ogni elettore di essere ancora democraticamente rappresentato dai suoi eletti, votando NO.
Ma, attenzione! Il Referemdum costituzionale non prevede alcun “quorum” (il raggiungimento della percentuale minima degli aventi diritto al voto), ma dà luogo alla promulgazione della legge, se è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
È dunque indispensabile la grande partecipazione al voto referendario di tutti i cittadini responsabili che intendano salvaguardare la Costituzione e i fondamentali diritti che ancora essa garantisce, votando NO. No alle riforme scriteriate e illiberali, no alla concentrazione dei poteri nel governo, no allo smantellamento del sistema bicamerale perfetto, no alla rinuncia alla piena partecipazione dei cittadini all’elezione del Parlamento.
Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti d’America, sosteneva che “The best government is that which governs least”. (Il miglior governo è quello che governa meno”).
Intendendo con questo che ogni limitazione del diritto del popolo di essere rappresentato attraverso l’organo istituzionale che lo garantisce, cioè il Parlamento, privilegiando la crescente autorità del potere Esecutivo, è chiara prova di un’azione tesa a creare, aldilà delle apparenze, un governo autoritario.
Ma procediamo nella nostra analisi, osservando che la nuova legge elettorale ordinaria n. 15/2015, in vigore dal 1 luglio 2016, detta anche “Italicum” è perfettamente funzionale ai meccanismi, previsti dalla legge di riforma della Costituzione, sottoposta al Referendum. Quanto al nome attribuito alla legge elettorale, “Italicum”, ci sarebbe da chiedersi se è solo casuale il fatto che i “Think Tank” nazionali, istruiti dai loro omologhi d’Oltreoceano, dopo l’evidente tentativo di “brain washing”, contenuto nel quesito referendario, hanno inteso risvegliare il patriottismo degli elettori, per convincerli, con giochetti tipicamente “yankee”, che il loro SÌ sarà per il bene della Nostra Italia.
Infatti, la legge di riforma costituzionale, sottoposta a Referendum, prevede, fra l’altro, “il superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei Parlamentari” e, qualora prevalessero i “SÌ”, l’Italicum dovrebbe quindi regolare l’elezione della Camera dei Deputati, che sarà la sola ad essere elettiva e ad avere facoltà di dare fiducia al governo, pur permanendo, nel nuovo schema costituzionale, il Parlamento bicamerale. Per il Senato non è prevista l’elezione diretta, poiché la legge costituzionale Boschi-Renzi dispone che i Senatori, il cui numero sarà ridotto da 315 a 100, saranno nominati dai consigli regionali e potranno in sostanza rappresentare soltanto le forze politiche che in questi prevalgono e non le istituzioni, né il popolo sovrano (vedi art. 67 e 121 della Costituzione, in merito al “vincolo di mandato” e ai limiti di rappresentanza dei Senatori).
Ma osserviamo quanto l’Italicum dispone per l’elezione della Camera. Esso prevede il sistema proporzionale e assegna il premio di maggioranza alla lista che raggiunge la soglia del 40% dei voti; qualora questa percentuale non sia raggiunta, si va al ballottaggio, che assegnerà il premio di maggioranza alla lista che prevale, cioè, in pratica, alla lista (non alla coalizione) che ha ottenuto un solo voto in più, rispetto alle altre. Nell’attuale quadro politico si prevede che il ricorso al ballottaggio sarà necessario nel novanta per cento dei casi. Ora, occorre ricordare che al ballottaggio, in cui non è previsto il raggiungimento di una soglia minima di voti (quorum), né una soglia di sbarramento, la percentuale dei votanti scende in modo rilevante. E può, quindi, facilmente accadere che una lista che rappresenta un’esigua parte dell’elettorato, ottenga la maggioranza dei seggi alla Camera (lo stesso paradosso creato dal Porcellum, dichiarato anticostituzionale). Da notare comunque che anche nel caso in cui una lista raggiunga, al primo turno, il 40% dei voti, otterrà il premio di maggioranza, pari a 340 seggi, che non saranno interamente occupati da Deputati, liberamente eletti dal popolo, poiché ben 109 di essi saranno “nominati” dalle forze politiche dei cento collegi plurinominali, con capolista bloccato e dei nove collegi uninominali delle province autonome. Per la stessa ragione, qualora un partito riuscisse ad ottenere 100 seggi, questi sarebbero assegnati ad altrettanti Deputati, non eletti, ma nominati.
Ma non è tutto. Qualcuno ha riscontrato varie affinità tra la legge Italicum e le due leggi del ventennio fascista, una del 1923, nota come legge Acerbo, voluta da Mussolini per assicurare la maggioranza parlamentare al PNF. Questa legge assegnava un premio di maggioranza, pari a 2/3 dei seggi, al partito che avesse superato il quorum del 25%. L’altra legge è la n. 2263 del 24 dicembre 1925, che definendo le prerogative del Capo del Partito, lo trasformava automaticamente, una volta eletto, in Capo del Governo. Leggi che, in seguito, aprirono la strada alle cosiddette leggi fascistissime. Analogamente, l’Italicum dispone che le forze politiche, nel momento in cui presentano il loro programma e le liste devono indicare il “capo (sic) della forza politica”. Il giurista Zagrebelksky ci fa notare che l’Italia e l’Ungheria, in questo momento sono i soli paesi dell’Unione Europea che possono attribuire la maggioranza assoluta a un unico partito. Una legge elettorale ordinaria (l’Italicum), favorendo la concentrazione di poteri nell’Esecutivo, sta dunque trasformando l’Italia in una Repubblica Presidenziale o in un governo con poteri illimitati. L’esempio viene dagli Stati Uniti, dove il potere legislativo del Congresso continua a venir meno, poiché le decisioni politiche si prendono alla Casa Bianca, in cui opera da tempo la marionetta, cioè il Presidente USA, manovrata dall’Alto. Il signor Renzi non è stato in grado di spiegare come mai gli è sfuggita, nel suo disegno riformistico, la modifica dell’articolo 92 della Costituzione che attribuisce al Presidente della Repubblica l’esclusiva facoltà di nominare il Presidente del Consiglio.
Dunque:
“Prima ancora che incostituzionale l’Italicum è una legge irrazionale, insensata, contraddittoria e, essendo una legge elettorale e quindi fondamentale per gli equilibri democratici, intrinsecamente pericolosa, del tutto in linea con il disegno di accentramento al potere esecutivo e di depotenziamento del sistema parlamentare”.
La tanto propagandata riforma della Costituzione che il signor Renzi continua a dichiarare essenziale per il rinnovamento del nostro Paese, è quella che dovrebbe realizzare la semplificazione della funzione legislativa del nuovo Parlamento.
Ma se osserviamo le disposizioni in materia, previste dalla legge di riforma costituzionale, possiamo trarre, senza ombra di dubbio, le seguenti conclusioni: la legge di riforma Renzi – Boschi non semplifica un bel niente, ma complica l’iter legislativo in modo assai rilevante, rispetto a quanto prevede, in modo chiaro e forma concisa, la Costituzione del 1948; una verifica che ci consente di mettere in guardia l’elettore, ancora indeciso, invitandolo a non correre il rischio di cadere vittima dell’ennesimo raggiro. Rischio che può evitare, soltanto votando NO.
Entriamo brevemente nei dettagli e vediamo che cosa accadrebbe tra Montecitorio e Palazzo Madama, nel malaugurato caso in cui al Referendum prevalessero i “SÌ”.
Operato il superamento del bicameralismo paritario e ridotto il numero dei parlamentari,e dunque limitata sensibilmente la facoltà del Parlamento di svolgere il suo compito istituzionale, che è quello di rappresentare gli elettori e di estendere le possibilità della democrazia partecipativa, si beneficia dell’irrisorio contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni.
Deputati e Senatori si trovano di fronte all’articolo n. 70 riscritto nella Costituzione riformata che “semplifica” la funzione legislativa del nuovo Parlamento, disponendo ben quattro procedure diverse, cioè quattro modi diversi di fare le leggi (La costituzione del 1948 ne prevede uno solo, quello che risulta dalla funzione legislativa esercitata collettivamente dalle due camere, come recita l’articolo 70 non riscritto).
Ma la semplificazione si… complica, perché, secondo le quattro procedure, si fanno quattro leggi diverse, che nell’ordine sono:
1) leggi bicamerali;
2) leggi approvate dalla sola Camera, con possibile esame del
Senato entro dieci giorni;
3) leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del
Senato entro dieci giorni;
4) leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del
Senato entro quindici giorni.
Sentiamo in proposito il commento di Luca Benci, giurista, “Laboratorio politico - Per un’altra città” - Firenze:
Leggi bicamerali
“È la stessa procedura che da sempre conosciamo: stesso testo approvato da Camera e Senato. L’elenco delle leggi bicamerali è lungo ed è suddiviso per materia. Riguardano le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sulle minoranze linguistiche, sui referendum, su comuni e città metropolitane, sulla partecipazione e all’attuazione delle norme sull’unione europea, sull’eleggibilità dei senatori, sulla legge elettorale del senato, sulla ratifica dei trattati dell’unione europea, sull’ordinamento di Roma, sul regionalismo differenziato, sulla partecipazione delle regioni speciali alla formazione e all’attuazione di norme Ue, sulle intese internazionali delle regioni, sul patrimonio degli enti territoriali, sui principi della legge elettorali delle regioni ordinarie, sul passaggio di un comune da una regione all’altra”.
Leggi approvate dalla sola Camera, con possibile esame del Senato entro dieci giorni
“Il Senato, per tutte le leggi approvate dalla Camera e che non sono riportate nell’elenco delle leggi bicamerali (su cui ha piena potestà, come abbiamo visto), entro dieci giorni su richiesta di un terzo dei senatori, può esaminarle e proporre modifiche nel testo entro un termine di trenta giorni. Successivamente la Camera deciderà se accogliere o meno le modifiche”.
Leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro dieci giorni
“Ipotesi che si verifica quando la Camera vota sulle materie previste dall’articolo 117 della Costituzione che sono riservate alle Regioni e di cui lo Stato decide di intervenire scavalcando le competenze regionali: c.d. “clausola di supremazia statale”.
Lo Stato, cioè, invade le competenze regionali quando, su “proposta del Governo”, interviene su materie riservate alle Regioni.
La motivazione di detta invasione è relativa alla “tutela dell’unità giuridica o economica della repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Lo chiede il Governo, la Camera approva la legge, ma in questo caso il Senato deve necessariamente esaminare la legge e la Camera – se sono proposte delle modifiche da parte del Senato – può disattendere le richieste del Senato solo pronunciandosi nella votazione finale a “maggioranza assoluta dei propri componenti”.
Leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro quindici giorni
“Questa ipotesi riguarda le leggi di bilancio e la legge di stabilità.
La più importante legge dello stato sarebbe quindi approvata dalla Camera, trasmessa obbligatoriamente al Senato che entro quindici giorni delibera le proposte di modifica. Su queste deciderà in via definitiva la Camera senza maggioranze particolari.
In sintesi quindi esisterebbero leggi approvate da entrambe le camere, leggi di cui il senato può chiedere le modifiche, leggi in cui il senato deve chiedere le modifiche.
Oltre a questi procedimenti – che potremo definire generali – vi sono altri sottoprocedimenti che rendono ancora più complicato il processo di produzione normativa. Ad esempio sulle leggi elettorali di camera e senato può essere chiesto il controllo preventivo di costituzionalità da parte di un quarto dei deputati e un terzo dei senatori. Il tutto entro dieci giorni dall’approvazione. Questa disposizione costituzionale appare, oggi, del tutto ragionevole visto quello che è successo con il Porcellum, ma con un legislatore assennato che non piega le leggi elettorali ai sondaggi del momento appare eccessiva. Procedimenti speciali ci sono per le leggi che sono state avviate prima in senato, per le leggi che il Governo dichiara essenziali all’attuazione del programma, le leggi dichiarate urgenti, le conversioni dei decreti legge, le leggi di iniziativa popolare. Alla fine si contano – tra procedimenti e sottoprocedimenti – dieci modi diversi di produrre atti normativi primari.
Il senato depotenziato dalla riforma trova però i suoi poteri aumentati con la elezione dei membri della corte costituzionale.
Nella Carta costituzionale vigente i cinque membri spettanti al Parlamento vengono eletti in seduta comune tra Camera e Senato. Il Senato della riforma renziana ne eleggerebbe ben due con soli cento senatori (la camera gli altri tre con seicentotrenta deputati).
Non sono rilievi di poco conto tenuto conto della funzione di garanzia che esercita la corte costituzionale e della strana composizione del ‘Senato delle regioni’ renziano”.
4. I rapporti tra Governo e Parlamento
Se al Referendum del prossimo 4 dicembre prevalgono i SÌ, dovremo assistere ad un vistoso squilibrio fra le facoltà attribuite al potere legislativo e quelle attribuite al potere esecutivo, il Governo, a tutto vantaggio di quest’ultimo e a detrimento sostanziale del primo (il Parlamento), che vedrà, con l’approvazione della legge di riforma della Costituzione, ulteriormente limitato il suo compito istituzionale, che è quello di rappresentare i cittadini elettori della Repubblica Parlamentare Italiana, garantendo la piena realizzazione della democrazia rappresentativa.
La legge elettorale ordinaria, Italicum, come abbiamo ricordato nei precedenti commenti, sembra fatta apposta per dare luogo a questo pericoloso squilibrio, rivelandosi “complementare” all’applicazione del disposto della legge di riforma costituzionale, poiché, consentendo ad un partito, che non ha ottenuto la maggioranza dei voti espressi, di ottenere invece la maggioranza in Parlamento (alla sola Camera, visto che il Senato non sarà più elettivo) e l’automatica elezione a Capo del Governo del “capo della forza politica” dal partito indicato, nonché l’inedito “diritto” di condizionare i lavori parlamentari, con l’istituzione del cosiddetto “voto a data certa”, in virtù del quale il Parlamento avrebbe l’obbligo di iscrivere un disegno di legge all’ordine del giorno, entro il termine di cinque giorni dal ricevimento (vedi art. 72 della Costituzione, sottoposto a riforma) potrebbe, non solo facilitare la ratifica e la conversione in legge di ddl ritenuti essenziali per l’attuazione del programma di governo (quale?), ma anche, e soprattutto,
determinare
le condizioni per il graduale smantellamento del nostro sistema democratico, favorendo la (evidentemente prevista) svolta autoritaria del governo del nostro Paese.
(ricordiamo i vari espedienti, ai quali è ricorso l’Esecutivo, per modificare a proprio vantaggio il testo legislativo, come i maxiemendamenti e i “canguri” cosiddetti ghigliottine).
Riferiamoci anche all’elezione del Presidente della Repubblica. Nella riforma di Renzi, solo i parlamentari sono grandi elettori, che si riuniscono per eleggere il Presidente. Sono previsti quattro scrutini, con un quorum pari a 2/3 dei voti espressi nell’Assemblea riunita, fra i quali sono determinanti quelli della Camera, in cui, grazie all’Italicum, prevale la maggioranza di un solo partito. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei 3/5 dei votanti. Dunque il partito premiato dall’Italicum potrebbe da solo votare per eleggere il “suo” Presidente.
Osserviamo la riforma dello strumento di democrazia diretta, il Referendum, proposta con l’aumento a 800.000 firme di richiedenti, come soglia minima, affinché il Referendum possa essere indetto, invece delle 500.000 attualmente previste.
Nonché le proposte di legge di iniziativa popolare, previste dall’articolo 71 della Costituzione, che, riscritto, innalza il numero delle richieste da 50.000 a 150.000 quale soglia minima necessaria a sottoporre la proposta di legge popolare o petizione alla discussione e alla deliberazione parlamentare.
E infine, ricordiamo che la riforma permetterebbe ad un partito, minoritario nel Paese, e maggioritario alla Camera, grazie all’Italicum, di nominare oltre la metà dei membri della Corte Costituzionale.
Dunque, un NO forte e deciso, per garantire il rispetto del Nostro Popolo e salvaguardare quanto ancora rimane della Nostra Libertà.