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Ho scelto di iniziare il “mio” viaggio di degustazione di sapori e non solo, dalla bottega Mariani che dagli anni ’50 è aperta a Roma in Viale del Vignola107, vi spiego perché.
Avendo da qualche anno cambiato identità, la Bottega rispecchia oggi ancora di più il senso del suo nome di origine greca “apotheca”. Il significato della parola è evoluto nel tempo valorizzando l’artefatto, il prodotto artigianale non seriale, concetto che la Bottega Mariani ben interpreta oggi trasformata in un laboratorio gastronomico multidimensionale, capace di coniugare in modo ottimale la cucina da asporto e la spesa di prodotti naturali del territorio con il pranzo e la cena servita sul posto, il tutto in un mix unico e vincente.
Questa sfida, non da poco, è superata grazie alla bontà dei piatti preparati con ingredienti di alta qualità dalla maestria di chef che in cucina “a vista” ogni giorno “mettono le mani in pasta “realizzando ricette legate alle stagioni personalizzate anche da sfumature di contrasti di gusto coniugati con competenza e creatività.
I prodotti venduti al banco o consumati al tavolo hanno il comune denominatore dell’eccellenza della materia prima con cui sono preparati.
Paste fresche fatte ogni giorno.
Formaggi di filiere del territorio secondo tradizione aggiornata nelle tecniche di produzione e stagionatura.
Mozzarella apprezzatissima dalla clientela proveniente dagli allevamenti incontaminati di Amaseno, preparata senza l’ausilio di macchinari.
Olio extravergine di zone limitrofe spremuto a freddo utilizzato sempre in ogni ricetta cruda o cotta.
Salumi dop come il Prosciutto di Langhirano stagionato 30 mesi.
Vino eccellente prodotto da piccole aziende a km 0
oltre che il top di altre regioni italiane.
Tra i piatti in menu vorrei evidenziare un primo semplicemente speciale: i ravioli fatti in casa, pardon, in bottega, con uova di fattoria. La pasta accuratamente lavorata nel giusto spessore racchiude un ripieno di parmigiano reggiano stagionato 24 mesi, coulis di basilico e salsa di datterini infornati, un amalgama delicato con abbinamenti che creano un sapore davvero piacevole.
Che dire poi della zuppetta fresca di melone con prosciutto di Langhirano croccante, menta e gamberi cotti al vapore.
Confesso la difficoltà di scelta visto la bontà generale, ma merita un 10 e lode il baccalà con babaganoush, lattuga arrostita e semi di zucca con cottura a bassa temperatura che consente di preservare i liquidi interni conferendo al baccalà morbidezza e consistenza e un taglio senza sbriciolature con succulenza nel gusto e nell’aroma.
Tra i dessert la mia preferenza è va al sapore racchiuso in una crema pasticciera ai frutti rossi equilibrato connubio di dolce e acidulo che ti cattura e ti fa chiudere il pranzo o la cena con i complimenti allo
chef Alessandro Russo.
Ma non è solo il savoir faire dello chef a rendere vincente il locale, determinante è la sapiente gestione di Roberto e Jacopo che dà alla Bottega una marcia in più
perché guarda all’innovazione non dimenticando il valore della tradizione. L’elevato livello di ristorazione si avvale di un ambiente curato, dall’atmosfera “Free”, con scelta di ordinazioni non condizionata da cliché, vincente per il cliente che si sente libero di degustare, secondo tempi e modi individuali, se desidera non seguire formalità nelle ordinazioni.
Valore ultimo ma non per importanza è il ruolo della comunicazione, sia dal punto di vista relazionale che dell’informazione sui prodotti.
Questo aspetto è rafforzato dalla presenza di personale che non cambia, disponibile e competente, merce rara oggi. Qualità che hanno contribuito alla costruzione di rapporti funzionali a dare continuità alla frequentazione dei clienti che con il loro passa parola hanno ampliato la rete di conoscenza della bottega Mariani in modo fisiologico, considerato anche l’indotto prodotto dal pubblico del Teatro Olimpico e di altre strutture vicine.
Il tutto ha dato vita ad un ambiente ristorativo molto frequentato, dove sai di potere fare diverse cose bene:
la spesa di prodotti di qualità, comprarli già preparati ogni giorno dallo chef ma anche degustarli nel locale in relax con un aperitivo oppure a pranzo o a cena il tutto ad un prezzo proporzionato, questo in Bottega Mariani ti fa sentire a casa.
Martellati dal tambureggiare mediatico conformisticamente osannante nei confronti di tutto ciò che attiene all’operato del papa e di Santa Madre Chiesa, ben pochi sono coloro che, credenti o meno, mossi da volontà di sapere e di capire, si vanno interrogando in merito a cosa veramente sia il Giubileo o Anno Santo, chiedendosi anche, magari, quanto questa istituzione sia autenticamente “cristiana”, ovvero quanto abbia a che vedere con il messaggio evangelico, quanto possa realisticamente fungere da elemento di concordia e di riunificazione con le altre chiese cristiane, quanto possa rappresentare una opportunità di affratellamento con i non credenti e con i credenti di altre Fedi.
Una cosa appare più che evidente: il fiume di retorica proveniente dalla cittadella vaticana inonda ogni canale televisivo e impregna ogni momento di comunicazione dedicato a tale evento, non favorendo in alcun modo qualcosa che assomigli ad un aperto confronto di opinioni, anzi, facendo in modo che non si venga minimamente sfiorati dal pensiero che potrebbero (addirittura!) esistere, sia dentro che fuori della cristianità, diverse opinioni in merito. E che, perché no, potrebbe risultare di un qualche interesse discuterne insieme.
Tutto è orrendamente ridotto a spettacolo, a statistiche, a mercato, a sensazionalismo, a palpiti di cuore, a gesti teatrali ed emozioni forti. Raffinate discussioni dottrinali e polemiche laicheggianti sono relegate aprioristicamente nelle polverose soffitte del passato.
La cosa che sconcerta ed amareggia maggiormente è che la Chiesa Cattolica continui a comportarsi come se, all’interno della cristianità, non si fosse dibattuto per secoli, anche assai aspramente, su questioni come quelle del valore della “grazia” (e delle sue differenti tipologie), della fede in rapporto alle opere, delle reali competenze e dei reali poteri attribuibili alla figura del papa, delle effettive possibilità, dunque, di un intervento papale che possa modificare i decreti del Giudizio divino nell’aldiquà ed anche nell’aldilà, ecc.
E sconcerta immensamente il fatto che la Chiesa di Roma, dopo tante critiche e polemiche, dopo secoli e secoli di grandi controversie, concili, anatemi, roghi, scomuniche e scismi (vedi, in particolare, la Riforma di Martin Lutero), insista nel promuovere e nell’ esaltare credenze e pratiche religiose nate nel cuore del periodo medioevale, tanto lontane dall’autentico spirito evangelico e tanto poco condivise dalle numerose comunità cristiane che, nel tempo, hanno messo in discussione l’autorità assoluta dell’istituzione papale e le numerose forme di culto presenti nella tradizione cattolica, considerate imbevute di logica e sensibilità superstiziose e paganeggianti. Fra cui, sia la possibilità di “cancellare” i peccati attraverso il sacramento della Confessione o della Penitenza e Riconciliazione, sia quella di “cancellare” quanto resterebbe impresso sull’anima del peccatore dopo l’avvenuta assoluzione, nonché le pene purificatrici a cui essa dovrebbe, di conseguenza, essere sottoposta nell’aldilà secondo il divino volere. Proprio a ciò, infatti, si riferisce il concetto di “indulgenza” in generale e di “indulgenza plenaria” in particolare.
Quando, nell’anno 1300, da parte di Bonifacio VIII (pontefice fra i più criminali della storia della Chiesa) venne indetto il primo Giubileo, folle di pellegrini giunsero a Roma con il preciso e agognatissimo
Bonifacio VIII |
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obiettivo di poter “lucrare”, per pietosa concessione papale, l’indulgenza plenaria, ovvero una indulgenza intesa nella sua massima estensione, superiore, quindi, a tutte le altre forme di indulgenza (parziale) esistenti, caratterizzate da una efficacia circoscritta, più o meno ampia.
E parlare di indulgenza ha senso perché, come ci spiega papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo, secondo la dottrina cattolica, “il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza …” (cap. 23)
L’indulgenza, quindi, ci spiega sempre Bergoglio, permetterebbe “di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio”, in quanto l’”indulgenza del Padre”, “attraverso la Sposa di Cristo” raggiungerebbe il peccatore perdonato, liberandolo da ogni residuo peccaminoso.
Illimitata misericordia divina o - chiediamoci - illimitata presunzione del Sommo Pontefice e della sua Chiesa?!
Fatte queste brevi premesse, non dovrebbe risultare troppo difficoltoso intravedere nel Giubileo un vero concentrato di pratiche tipicamente cattoliche, in evidente antitesi con i princìpi etici del messaggio evangelico, incentrato sui valori della purezza della fede libera da calcoli mercantilistici e dell’amore altruisticamente sincero e disinteressato.
Giubilei, indulgenze, assoluzioni, pellegrinaggi, culto delle reliquie e dei luoghi sacri, ecc., mentre esaltano trionfalisticamente il potere dell’istituzione ecclesiastica e della sua casta sacerdotale, attaccano gravemente il senso di responsabilità individuale, fornendo accomodanti e rassicuranti strumenti di facilitazione dell’impegno etico di autopurificazione e autoredenzione.
Ricorrendo a simili strategie, è stata generata (nei paesi cattolici e diffusa poi in tutto il mondo, attraverso l’opera missionaria) una religiosità meschina che ha inquinato la moralità e la psicologia di intere società, dando vita ad un’umanità priva di fiducia nelle proprie facoltà spirituali e, di conseguenza, dotata di bassissimo senso di consapevole rigore morale, sempre certa di poter ottenere, grazie all’opera infinitamente misericordiosa dell’intercessione di Santa Madre Chiesa, un bel perdono a buon mercato per qualsiasi colpa, per qualsiasi peccato, per qualsiasi crimine.
Ora, riassumendo, il Giubileo ha senso in funzione dell’Indulgenza plenaria, la quale presuppone la convinzione che la Chiesa abbia il potere di operare una oggettiva azione catartica sull’anima del credente, sia in terra che nell’oltretomba. Per fare ciò, l’autorità ecclesiastica verrebbe ad attingere “al tesoro della Chiesa, costituito dai meriti satisfattori di Gesù Cristo, ai quali vanno aggiunti quelli della Vergine e dei Santi.” (Enciclopedia Cattolica)
Ovviamente, cosa che sfugge ai più, tutto l’ingranaggio presuppone alcune credenze dottrinali irrinunciabili, assai ardue da accogliere su un piano serenamente razionale:
Quanti, viene da chiedersi, fra coloro che partecipano festosamente ai riti giubilari, e quanti, fra coloro che contribuiscono alla loro narrazione apologetica, hanno reale consapevolezza del significato teologico di tali credenze e pratiche (e delle relative implicazioni etico-culturali), e magari anche una qualche minima conoscenza dei complessi processi storici che le hanno prodotte?
“Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Matteo, 5,6)
La Moda è stile, forma, creatività innovazione,sono le idee che prendono forma e diventano realtà. Rebel Art,è il coraggio di fare Arte fuori dagli schemi e dall'ordinario,è una filosofia di vita rapportata alla Moda. Questa è l'idea che è nella collezione Serena Pizzo, opere pittoriche dipinte su giacche di eco pelle,vestiti,accessori,scarpe, ha creato un nuovo modo di fare tendenza.
Il progetto Rebel non è solo un concetto di libertà emozionale,ma una necessità di condividere tali sentimenti attraverso un look d'arte glamour,ma allo stesso tempo affascinante e irriverente. La fashion blogger designer Donna Serena Pizzo ha creato, a giugno, un evento di Arte e Moda “Rebel Art Exhibition” allo spazio arte Plus Arte Puls Roma, che a Settembre diventerà anche il suo showroom d'arte
e moda,che si distinguerà per essere innovativo.
L'evento “Rebel” apprezzato dal pubblico presente, per i quadri che spiccavano sulle pareti circostanti e dalle modelle che sfilavano con gli abiti dipinti a mano dalla creatrice.
Presenta l'evento la curatrice d'arte e giornalista Sabina Fattibene,in programma tre sfilate accompagnate da note musicali di canzoni di successo. La prima sfilata inizia sulle note di “Psycho Killer”(Talking Haeds) con la linea Chic Chic Bon Bon Art Collection. Tra le modelle la bravissima ballerina Special Guest Eleonora Pedini da vita ad una coreografia, sulle note dei Doors “Love me two Times” che affascina il pubblico con un balletto che riflette la passione e l'energia della Musica.
Prima della seconda sfilata Serena Pizzo vuole evidenziare come il progetto Rebel sia un modo di essere una forma di ribellione, al sistema condizionante verso il pensare la creatività, per non uniformarsi al sistema, ma venirne fuori con la propria personalità e un bisogno di libertà individuale.
Si parte con la seconda sfilata dove le modelle si muovono e ballano sulle note di un medley musicale da “Mio fratello è figlio unico” di Rino Gaetano a “In Italia “ di Fabri Fibra. Eleonora Pedrini crea un una coreografia sulla musica di Rino Gaetano,che rappresenti l'idea di individualità e ribellione. Si giunge ad un momento magico di riflessione con l'esibizione dell'attrice Chiara Pavoni, mentre Donna Serena Pizzo da vita al live Painting, performance pittorica su un giubetto Rebel, in una cornice onirica e metafisica in cui si fondano colori,suoni,movimenti e parole.
Nell'evento Rebel è inserito un artista storico, Paolo Dorazio, nipote di Piero Dorazio grande artista del XX secolo ,astrattista che si distingue per l'uso attento del colore seguendo la scia di artisti come Isaac Newton. Detentore delle opere di Dorazio è l'avvocato Paolo Melchionna che è presidente della Fondazione Paolo Dorazio. Le opere del maestro sono state esposte nella sala della mostra,insieme alle opere della Serena Pizzo.
Si conclude la manifestazione con la terza sfilata che parte con le modelle che sfilano gli abiti personalizzati stile Rebel e Chic Chic Bon Bon,sulle note di “Per Elisa” di Battiato, mentre la coreografa Eleonora Bedini chiude interpretando Per Elisa con movimenti fluidi che esprimono l'atmosfera malinconica della canzone.
a sn. la prof Sabina Fattibene e Donna Serena Pizzo |
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Nell'ultimo defilè con abiti da sposa sulle note di “Huricane” di Bob Dylan Si ringraziano gli ospiti e chi è stato protagonista dell'evento,l'Agenzia di modelle e spettacolo di Stefania Appugliese, il giornalista Virgilio Violo, il musicista Umberto Mori per aver recitato una delle sue splendide poesie.
La solennità! Il Teatro merita e deve riguadagnare solennità. C’è troppo teatro irriverente mentre -di anno in anno e da ben 29 anni- il Maestro Marcello Amici -con La Bottega delle Arti- va a colmare un prezioso spazio di cielo con le Opere di Pirandello. E’ così che anche quest’anno la Prima della rassegna, che dura dal 1° al 26 luglio, ha avuto la sua solenne celebrazione. L’inestimabile fondale della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio con i due maestosissimi Pini marittimi hanno retto voce e
gesti di quel magico capocomico che è Marcello Amici. Il firmamento dell’Aventino, che a perdita d’occhio si spinge fino alle massime cupole romane, ha veicolato le voci degli attori narrando la magnificenza della parola teatrale d’Autore che è letteraria. Incipit della Rassegna l’Opera: “Tutto per bene”, e ne è valsa la pena! Le denunce che il Maestro Amici ha fatto in chiusura della serata, da vecchio nobile Padre del teatro e con la forza partorita dalla passione vivissima e indomita riguardo i ritardi e le disattenzioni della burocrazia verso la più alta forma di pedagogia sociale, sono arrivate al cuore dei tanti accorsi all’appuntamento annuale lacerando il loro profondo senso di riverenza e spingendosi anche oltre, a tutti gli italiani che tale senso nutrono verso la parola drammaturgica.
Tutto “non molto” per bene in questa nostra Nazione che pare attardarsi nel recupero della sua millenaria nobiltà. La serata è stata deliziosa, Roma adagiata e bella, le stelle, lo skyline mozzafiato, il profumo, il Tevere, il giardino, la pergola, i reperti, il pubblico e gli attori emozionati della sostanza che tutte le Prime iniettano-. Tutto e tutti sono stati meravigliosi, stupendi i costumi, bella la scenografia, la regia e le luci che, dipingendo sui volti, stigmatizzavano vieppiù i tratti della mimica. E se, come Proust anche Pirandello ha conferito sostanza drammatica al sentimento del tempo quando esso fa virar la tragedia in farsa…nel tempo eterno del cielo romano s’è potuto comprendere ancora una volta come il Tempo cambi gli spiriti e i destini. Essere, esistere! Beh, Pirandello seppe darne magistrale parola; la guerra dell’uomo con se stesso, quel difficile, acuto, spinoso rapporto di ogni uomo con se stesso, che Pirandello ha messo in scena e insegnato ai futuri, futuri drammaturghi, futuri attori, futuri spettatori, vale a spingerci a fare tutto per bene, a recuperare il fare ad arte; ed è proprio il Fare d’Opera d’Arte che vorrei sottolineare. Il Fare a Regola d’Arte che Marcello Amici con Maurizio Sparano, Francesca Di Gaetani, Marco Sicari, Emilia Guariglia, Luca Guido, Beatrice Picariello e Marco Bellizi hanno donato al cielo d’una sempre magnifica Roma perché continui ad eternare la parte migliore di sé.
Dal 20 al 29 giugno 2025, la Franciacorta è tornata protagonista in una delle mete più iconiche dell'estate italiana: la Versilia, regina indiscussa del consumo di perlage.
Per dieci giorni abbiamo assistito ad un vero e proprio wine district diffuso, che ha coinvolto ristoranti, locali e stabilimenti balneari.
il superbo risotto |
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E per raccontare il proprio territorio vitato unico nel suo genere con l’indiscussa vocazione al metodo classico, ancora una volta il Consorzio della Franciacorta ha scelto la Versilia, terra colta e divertente nota a molti per le cronache mondane.
Il 29 giugno il Gala Finale. Location scelta il Ristorante Principino sul lungomare di Viareggio, posto all’interno dello stabilimento balneare omonimo. Ristorante posizionato bordo-piscina con la possibilità di assistere al tramonto versiliese nel contesto di uno scenario dai colori multiformi.
La cena di Gala affidata allo chef Lorenzo De Vivo Martini.
“Amo la materia prima nella sua stagionalità e nel suo Territorio. Non pongo limiti alla conoscenza, soprattutto a quella culinaria poiché mi appresto a studiarne ogni singolo ingrediente affinché il mio percorso di crescita professionale e personale sia in continua evoluzione”.
Conoscenza della cucina italiana in genere, in particolare sulla pasticceria al cucchiaio e no. Premiato nel 2020 come “Miglior Giovane” dell’anno dalla Federazione Italiana Cuochi.
Per questo gran finale, nel tentativo di esaltare i Franciacorta selezionati e viceversa, un menù terra-mare (meglio dire mare con un po’ di terra) con il risultato sorprendente dato dalla particolare combination con il tartufo fornito da Selektia tartufi.
il menù |
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i Franciacorta |
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Ed allora il tortino con crema di pecorino, la tartare di scampi, il risotto (da applauso), il trancio di branzino e addirittura il semifreddo, rigorosamente serviti con abbondante presenza di tartufo, hanno duettato con il perlage della Franciacorta in modo impeccabile. Chapeau! Chapeau! Chapeau!
Come non ricordare l’artefice di questa manifestazione: l’amico Gianluca Domenici. Editore, giornalista, musicista, compositore, sommelier, gourmand nell’accezione di “goloso”, presentatore di eventi. Vero mattatore della serata senza retorica di circostanza. E i Franciacorta?
- Franciacorta Brut Ugo Vezzoli;
lo chef insieme a Gianluca Domenici |
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- Franciacorta Brut Ronco Calino;
- Franciacorta Satén Brut Monte Rossa Sansevé;
- Franciacorta Satén Brut Fratus;
- Franciacorta Dosaggio Zero Antica Fratta Essence Nature 2020;
- Franciacorta Dosaggio Zero Terra Donata 2020;
- Franciacorta Brut Marcfhese Antinori Tenuta Montenisa Conte Aymo 2020;
- Franciacorta Brut Villa Franciacorta Emozione 2020.
A concludere la serata l’Amaro della Versilia Alpemare prodotto da Mr Liquor.
La Franciacorta Versilia Week continua, avrà un seguito. Parola di Gianluca Domenici. Arrivederci all’edizione 2026. Chapeau!
l'evento |
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Festa grande ieri pomeriggio presso la sede delle associazioni regionali di Roma (UnAR) in via Ulisse Aldrovandi. L’ occasione è stata data dal concerto tenuto dal
Maestro Massimo Cappello e dal Maestro Raul Dousset da Buenos Aires per la fine delle attività dell’UnAR con riferimento alla pausa estiva.
Il M° Massimo Cappello, salentino, straordinario pianista, mattatore indiscusso della serata, con i suoi irresistibili brani ha guidato gli ospiti in un affascinante viaggio musicale dal titolo Souvenirs de Voyage - Pianist’s Concert: un itinerario che ha spaziato da Mosca a New York, passando per Roma e Parigi, attraverso musiche che hanno segnato epoche e sentimenti in un intreccio di cinema, emozione e virtuosismo.
L’ampio repertorio ha ricompreso brani di varie epoche, stili e generi musicali fortemente coinvolgenti, molti dei quali noti al grande pubblico e capaci di risvegliare ricordi e rinnovare il rapporto empatico ed emotivo tra gli artisti e il pubblico. Dai grandi compositori del passato fino alle colonne sonore, alla musica tradizionale. Souvenir de Voyage è stato un ideale viaggio dal passato al presente.
Il concerto è stato organizzato dall’associazione musicale Mozart, il Gremio dei Sardi, l’Associazione dei Pugliesi, la Società Umanitaria, il Fogolar Furlan e il il CSS, finale con buffet e "scoppiettante" brindisi con la la simpatica e coinvolgente presentatrice, professoressa Irene Venturo, presidente dell’Associazione dei Pugliesi a Roma. Nutrita la presenza dei rappresentanti delle altre regioni italiane.
Bicycle Man è un thriller unico, gratis su Chili: un liquido verde ha riscritto il destino, trasformando l'ordinario in un incubo che si aggrappa all'anima. Sei pronto a guardare?
Se sei capitato qui non è un caso, forse qualcosa ti ha chiamato da lontano, una voce bassa, nascosta tra i giorni tutti uguali, sepolta nella polvere dei soliti racconti. Ora fermati un istante e respira, perchè voglio svelarti una storia che non ha chiesto il permesso di esistere: si chiama Bicycle Man e non assomiglia a nulla di già visto.
È una vicenda che nasce come certe piante testarde, quelle che spuntano in luoghi improbabili, tra le crepe dell'asfalto, sfidando l'indifferenza e il tempo. Non si nota subito ma, una volta vinta la soglia, resta.
È una serie, certo, ma prima ancora è un gesto, una dichiarazione d'esistenza, una poesia aspra, pedalata a fatica controvento, lungo le strade spigolose del Sud.
La serie
Bicycle Man si articola in sei episodi di circa mezz'ora ciascuno, disponibili gratuitamente su Chili. Sono frammenti densi, nervosi, pronti a esplodere. Un thriller intimo, visionario, spietato e intriso di malinconia, che danza sul confine tra il crudo realismo e l'allucinazione più sottile, tra il sogno e la trama che plasma le esistenze. Inizia piano, quasi in sordina, e termina come una fitta che non ti abbandona più.
La trama
Tutto ha inizio in una piccola, appartata e silenziosa officina di biciclette. Qui, parlano le catene arrugginite, i copertoni appesi e gli attrezzi consumati dal tempo. È la bottega di Sam, un meccanico anziano e solitario, affiancato da Vania, una ragazza schiva e intelligente a cui vuole bene come a una figlia. Sam ripara ciò che non funziona più, aggiusta silenzi, conosce la pazienza e la pratica con il cuore, ormai abituato a rimanere ai margini. Tra lui e Vania c'è un legame profondo, fatto di gesti e sguardi, che non necessita di spiegazioni.
Poi, un giorno qualsiasi - perché tutto, nelle storie vere, accade in un giorno qualsiasi - la quiete viene squarciata. Nel laboratorio di Sam irrompe uno sconosciuto, braccato da due uomini senza scrupoli, con un contenitore in mano colmo di uno strano, brillante liquido verde. Nel panico più totale, cerca rifugio nel retrobottega e, in un gesto disperato quanto incomprensibile, versa quel fluido nel serbatoio della macchina del caffè, la stessa che Sam usa per offrire una tazza ai suoi clienti affezionati.
Ciò che segue è una metamorfosi agghiacciante: quel fluido, concepito per scatenare la ferocia nei cani da combattimento, negli esseri umani libera impulsi omicidi, visioni distorte, rabbie primordiali. E Sam, ignaro, ne diventa la prima, involontaria vittima.
Dalle ombre della città, emerge Norma, detta "la Rossa", una cliente abituale di Sam. Inconsapevolmente, anche lei assapora quel caffè contaminato e si trasforma, divenendo una killer imprevedibile, una figura inquietante. Norma è la carne e il sangue della diffusione del contagio, un passo ulteriore verso l'abisso in cui questa sostanza trascina chiunque ne venga toccato.
Nel frattempo, il detective Frank Loria, uomo risoluto e pragmatico, si trova a indagare sull'omicidio di Samantha Kilk, avvenuto sulla spiaggia, sorella della spagnola Marcela. Per una coincidenza che appare solo tale, Loria verrà trascinato in questo nuovo mistero, che cresce e si ramifica come una macchia d'olio, estendendo senza sosta il suo perimetro. I fili si annodano, le strade si incrociano e Bicycle Man pedala nel mezzo di questa tormenta, con le mani sporche di sangue e un cuore colmo di verità.
La Calabria: il cuore pulsante della serie
La Calabria in Bicycle Man non è mero sfondo: è una presenza viva, tangibile, che plasma e dà sostanza a ogni respiro narrativo. Con la sua luce cruda che accarezza i borghi antichi e le case dai muri segnati dal tempo, i suoi silenzi sospesi che vibrano nell'aria salmastra, la regione guida lo sguardo e imprime un senso profondo a ogni fotogramma.
La serie è stata girata tra Rossano e la Piana di Sibari, attraversando ben cinquantaquattro location reali, senza set ricostruiti né scorci alterati.
I cortili assolati, i vicoli tortuosi che profumano di storia, le case che si aggrappano alle colline, appartengono a un mondo autentico, scelto e abitato per la sua forza evocativa. Le spiagge della Calabria, ampie e selvagge, con la sabbia che si fonde con le rocce e il mare che sussurra antiche storie, diventano non solo scenario, ma complici silenziosi dei drammi che si consumano, luoghi dove la bellezza può celare l'orrore più inaspettato. Qui, la realtà non accompagna: la realtà domina il racconto.
La visione di Renato Pagliuso
Renato Pagliuso, penna già nota per opere come Racconto Calabrese (con il volto americano di Robert Woods), Solitudine di un regista, Malena 2021 e Film Onirico, firma con Bicycle Man uno dei suoi progetti più arditi.
Un racconto che affonda le radici nella Calabria, non limitandosi a descriverla, ma facendola vibrare nell'anima stessa della narrazione, con la tensione del reale e la forza inesorabile della memoria.
Pagliuso non ha cercato fondi pubblici né reti di sicurezza, ma aveva solo un'idea che lo teneva sveglio la notte. E così ha riunito attorno a quella visione mani, volti, accenti e amici, trasformando l'ostinazione nella forza motrice del progetto.
Con cura meticolosa e determinazione inflessibile, ha edificato questa serie, dedicandole un impegno silenzioso e costante, come si fa con ciò che è destinato a sfidare il tempo, rifuggendo sprechi e clamori, guidato da un amore feroce per la sua arte.
Non ha mai inseguito il guadagno, solo l'imperiosa necessità di raccontare. Per questo, ama ripetere una frase che sente cucita addosso, come una seconda pelle: "Io non faccio cinema per fare soldi. I soldi li faccio per fare cinema." (Walt Disney).
Un realismo visionario a pedali
C'è qualcosa di antico in Bicycle Man, non tanto nel tema, che anzi si muove con leggerezza tra visioni futuribili e derive allucinate, quanto nel modo in cui decide di raccontarsi.
La narrazione abbraccia una lentezza intenzionale, che non teme il silenzio e offre spazio alla presenza concreta degli oggetti, alla gravità dei gesti, all'eloquenza dei volti. Ogni dettaglio è accolto con reverenza, senza mai cedere alla fretta, preferendo suggerire piuttosto che spiegare.
Ed è in quell’equilibrio sottile che affiora un forma delicata di realismo visionario, capace di insinuarsi tra le pieghe del quotidiano, come un sogno inaspettato che prende corpo in una stanza disordinata alle tre del pomeriggio.
Un atto di fede per il cinema indipendente
Bicycle Man è una serie piccola solo se la si misura con il metro sbagliato. In realtà, è un grandioso atto d'amore per il cinema indipendente.
È nata da una visione ostinata, da un'urgenza creativa che non ha tollerato attese. È una domanda lanciata nel vento, una sfida allo status quo: cosa accade quando un regista decide di non attendere il "permesso"? Quando sceglie di girare comunque, di dare voce a ciò che pulsa dentro, anche se nessuno, apparentemente, lo ha chiesto?
Ciò che accade è proprio questo: nasce una serie che non ha precedenti. Una voce ruvida, forse volutamente stonata rispetto al coro dominante, ma profondamente intrisa di sincerità. È il suono autentico di chi sa che le storie, quelle che contano davvero, trovano sempre il modo di emergere. E la verità, quando trova la sua strada, arriva sempre. Anche a pedali.
Cast e produzione
Nel cast che dona vita a questa storia, troverai: Fernando Di Virgilio, Raffaella Reda, Paolo Mauro, Merixtell Laso, Valentina Savane, Carmelo Giordano, Emilia Brandi, Romy Costantino.
Le musiche, che tessono l'anima sonora, sono opera del duo Di Bona & Sangiovanni (The Villa Studios); la fotografia, che cattura la luce cruda e l'ombra, è di Jonathan Elia; il montaggio, che dà ritmo e respiro, è di Tony Perri. L'addetto stampa che ne amplifica la voce è Euristeo Ceraolo.
Pagliuso, presidente della casa di produzione Esterno Giorno Film Productions, iscritta al MIBAC tra le imprese cinematografiche autorizzate, ha segnato il suo debutto cinematografico con il lungometraggio Racconto Calabrese, uscito nelle sale italiane nel 2016.
Nel 2011, un prestigioso riconoscimento, il premio La Maschera d’Argento, onorificenza un tempo tributata a icone come Liz Taylor, Totò, Walter Chiari e Oreste Lionello, ha suggellato il suo talento.
Negli anni, ha dato vita a numerosi progetti, raccogliendo riconoscimenti importanti a livello nazionale e internazionale.
*Bicycle Man è un'opera consigliata a un pubblico adulto, data l'intensità dei suoi contenuti e la delicatezza dei temi affrontati.
La Nuova Destra Riformista Americana: Vermeule, Deneen, Rufo e gli Architetti della Rivoluzione Conservatrice di Trump
Mentre il mondo osserva con attenzione le evoluzioni della politica americana, un movimento profondo e coerente prende forma al di sotto della superficie mediatica. Si tratta della nuova destra riformista, un insieme di pensatori, strategisti e funzionari che — al seguito di Donald Trump — mirano a rifondare le basi morali, istituzionali e culturali degli Stati Uniti.
Non si tratta di un semplice ritorno al passato, ma di un progetto contro-rivoluzionario che vuole riprendersi lo Stato, ripensare la Costituzione e riaffermare valori tradizionali attraverso strumenti moderni. Alcuni nomi sono centrali in questa strategia: Adrian Vermeule, Patrick Deneen, Christopher Rufo, Kash Patel, Stephen Miller e Russ Vought. Sono loro i teorici e tecnici del trumpismo 2.0.
Adrian Vermeule: il giurista della sovranità morale
Professore ad Harvard, ex liberale convertito al cattolicesimo e poi al conservatorismo integrale, Adrian Vermeule è il pensatore più sofisticato del gruppo. La sua teoria del “common-good constitutionalism” propone una rilettura della Costituzione americana non come insieme di libertà individuali astratte, ma come strumento per realizzare il bene comune oggettivo, ancorato alla legge naturale.
Vermeule contesta la neutralità liberale e suggerisce che i giudici e lo Stato abbiano il dovere di promuovere ordine, moralità pubblica e gerarchia. In sintesi: meno diritti soggettivi, più autorità e valori condivisi. La sua visione offre a Trump un linguaggio giuridico per giustificare una presidenza forte, centralizzata e moraleggiante.
Patrick Deneen: il critico del liberalismo
Professore a Notre Dame, Patrick Deneen è l'autore del libro-manifesto Why Liberalism Failed, letto e apprezzato anche da Barack Obama. Ma la sua conclusione è radicale: il liberalismo ha distrutto le comunità, dissolto le virtù civiche e generato un individualismo decadente.
Deneen propone un populismo tradizionalista, basato su autorità locale, comunità religiose e virtù civiche. Il suo approccio ispira una destra post-liberale che non si accontenta di “vincere le elezioni”, ma mira a trasformare l’ethos americano. È la dottrina che giustifica l’offensiva trumpiana contro l’élite culturale, il wokismo e l’individualismo progressista.
Christopher Rufo: il guerrigliero culturale
Se Deneen e Vermeule forniscono la filosofia, Chris Rufo è il commando operativo nella guerra culturale. Giornalista, stratega, ex documentarista, Rufo è diventato celebre per aver portato all’attenzione pubblica l’insegnamento della Critical Race Theory nelle scuole, scatenando un’ondata di reazioni conservatrici.
Rufo è oggi uno degli architetti del progetto di controrivoluzione culturale trumpiana, che punta a ripulire agenzie pubbliche, scuole e università da ideologie progressiste. La sua strategia è semplice ma efficace: nominare, attaccare, polarizzare, con l’obiettivo di mobilitare l’elettorato e normalizzare un'agenda tradizionalista.
Kash Patel: l’uomo dei dossier
Kash Patel, ex funzionario del Dipartimento della Difesa e stretto collaboratore di Trump, è il volto tecnico e operativo della battaglia per il controllo dello Stato profondo. È stato coinvolto in numerose operazioni per smascherare il presunto abuso dell’intelligence contro Trump, e oggi è visto come un possibile alto funzionario in un secondo mandato.
Patel rappresenta il lato più militare e strategico della riforma trumpiana: sfoltire le agenzie, epurare i vertici ostili, riorganizzare il potere federale per garantire fedeltà all’esecutivo.
Stephen Miller: l’architetto della nuova sovranità
Noto per le sue posizioni dure sull’immigrazione, Stephen Miller è uno degli ideologi più fedeli a Trump. Fu lui a concepire il “Muslim Ban”, la separazione dei migranti al confine, e altre misure simboliche che miravano a riaffermare il controllo nazionale.
Miller crede in una visione etnopluralista e sovranista degli Stati Uniti: una nazione con confini chiari, identità forte e governo autoritario. È uno degli artefici dell’idea che lo Stato non sia neutrale, ma difensore attivo della cultura americana storica.
Russ Vought: il burocrate del rinnovamento
Ex direttore dell’Office of Management and Budget sotto Trump, Russ Vought guida oggi il Center for Renewing America, un think tank chiave nel progettare una futura amministrazione trumpiana. Il suo scopo? Costruire un governo populista conservatore che funzioni sul serio.
Vought si occupa di policy e istituzioni: selezione dei funzionari, riforma burocratica, tagli ai fondi delle agenzie ostili, incentivi alle famiglie tradizionali. È lui il tecnico della rivoluzione, colui che cerca di rendere operativa la visione teorica di Vermeule e Deneen.
Oltre Trump: verso una nuova forma di Stato
Questi sei uomini non sono semplici consiglieri o simpatizzanti: sono ingegneri politici, impegnati nella costruzione di una destra americana post-liberale, moralmente aggressiva, istituzionalmente trasformativa. La loro visione va oltre la figura carismatica di Trump: immaginano una nuova architettura dello Stato, fondata su autorità morale, efficienza esecutiva e identità nazionale.
Trump alla Casa Bianca, avrà costoro al suo fianco. Avrà con sé una squadra, una dottrina, una strategia di lungo termine. E l’America potrebbe entrare in una fase nuova, non più dominata dal liberalismo, ma da una destra organica, verticale e a suo modo restauratrice.
Sabato 14 giugno si è svolta la cerimonia di premiazione dell’XI edizione del Premio Internazionale Letterario e d’Arte Nuovi Occhi Sul Mugello. Questo prestigioso concorso, ideato e organizzato dalla Presidente Annamaria Pecoraro, nasce con l’obiettivo di valorizzare il territorio e le risorse della terra del Mugello, oltre a sostenere e aiutare alcune realtà locali particolarmente bisognose.
Quest’anno, il premio ha avuto il piacere di supportare la Casina Aps, un’associazione fondata nel 2023, composta da famiglie volontarie che accolgono persone con disabilità all’interno del proprio nucleo familiare.
Il Premio non si limita a essere un contenitore di racconti, poesie e dipinti da valutare, ma assume anche un forte valore sociale. L’instancabile Annamaria Pecoraro riesce ogni volta a rendere questa manifestazione un fiore all’occhiello del Mugello, attraverso iniziative benefiche e solidali che contribuiscono a rendere questa terra ancora più speciale.
Inoltre, fra tanti partecipanti alle varie arti presenti nel bando, sono stati premiati numerosi giovani under 18, dimostrando come il talento e la creatività possano essere coltivati fin dalla giovane età, portando avanti con entusiasmo e passione il patrimonio culturale e artistico del territorio.
Durante la cerimonia, è stato inoltre consegnato il Premio alla Carriera a Daniela Morozzi, attrice di televisione, cinema e teatro. Donna molto impegnata nel settore sociale, Daniela dà voce agli emarginati, affronta il problema dell’immigrazione, si dedica alle donne, agli anziani, alla legalità e ad altre tematiche di grande rilevanza. È anche testimonial per diverse campagne solidali. Inoltre, Daniela Morozzi, si impegna attivamente sul tema del fine vita. I suoi spettacoli sono rappresentazioni che invitano alla riflessione, all’attenzione e alla comprensione di quanto il nostro vivere quotidiano possa essere spesso sordo di fronte alle problematiche sociali.La giuria ha lavorato attentamente nel giudizio di tutte le sezioni: poesie, racconti, dipinti e tutto quanto è arrivato. Le opere presentate sono state valutate con cura, e sono state apprezzate poesie bellissime, racconti emozionali, disegni e dipinti molto interessanti. La presidente di giuria è stata la prof.ssa Marilisa Cantini, che da anni svolge questo incarico con grande attenzione e dedizione. Le poesie, i racconti e le chiamate sul palco del bellissimo Teatro Rossini sono state curate dalla conduttrice radiofonica Roberta Calce, che da 10 anni dà voce e professionalità a questo concorso. È stata una giornata ricca di valore, emozione e attenzione da parte di un pubblico che ha seguito con grande interesse fino all’ultimo momento. Un plauso va sopratutto a chi con amore e impegno costante continua a portare avanti un Premio che ha all’interno un cuore pulsante; quello di Annamaria Pecoraro.