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“Un uomo ammattisce se non ha qualcuno. Non importa chi è con lui, purché ci sia. Vi so dire che si sta così soli che ci si ammala." (J. Steinbeck)
Il fine ultimo del teatro è la messa in scena di un testo, sia esso un classico, un’opera di attualità o di pura invenzione. La vera sfida, tuttavia, consiste nell'entrare in risonanza con il pubblico attraverso l’interpretazione, e nel riuscire a infondere sentimenti, emozioni e riflessioni.
Gli attori sono coloro che fungono da tramite emotivo (transfert); per loro non è sufficiente imparare la parte a memoria, ma devono far proprio il testo e riuscire a immergersi completamente (nella storia da condividere. È innegabile, d’altronde, che non tutti gli interpreti abbiano la capacità di conferire la massima autenticità alla rappresentazione vuoi per inesperienza, per inattitudine per insufficienza preparatoria.
L’Associazione “Giardini dell’arte” ha realizzato una trasposizione eccellente di “Uomini e topi” (Of Mice and Men, 1937), il celebre romanzo breve di John Steinbeck. Ogni interprete è riuscito in maniera mirabile a raggiungere la piena padronanza del proprio ruolo. L'allestimento ha catalizzato l’attenzione di un pubblico visibilmente coinvolto, che ha trattenuto il respiro per non perdere i dialoghi e l’interpretazione magistrale. Si è trattato di un dramma emozionante non solo per l'intensità della storia, ma soprattutto per la modalità interpretativa, che ha conferito al pubblico la rarissima sensazione di assistere a una realtà viva e non artefatta.Lo spettacolo, attraverso le gestualità, le voci, i respiri e il vibrante trasporto degli interpreti, ha conquistato pienamente il pubblico. Gli spettatori in sala hanno applaudito per lunghissimi minuti, soddisfatti di aver assistito a un’intensa trasposizione di una storia già di per sé fortemente impattante.Nei ricordi, rimarranno certamente impresse le figure di George e Lennie, interpretate con umanità e intensità uniche da Lorenzo Lombardi e Aldo Innocenti, una coppia di attori che ha dato nuova vita ai personaggi. Lo stesso Steinbeck avrebbe probabilmente gradito: fu lui, del resto, a portare in teatro la sua opera. Uomini e topi (una pièce in tre atti) debuttò a Broadway il 23 novembre 1937, lo stesso anno della pubblicazione del romanzo, a riprova della sua intrinseca vocazione scenica.Il plauso e il ringraziamento vanno dunque a coloro che, animati da una vera vocazione, sanno strappare le storie dalle pagine di un libro per dar loro corpo e respiro, restituendole vive alla comunità.
Uomini e topi -Teatro di Cestello
a cura di: Associazione Giardini dell’arte- regia di Marco Lombardi- versione italiana di Luigi Squarzina,
Lorenzo Lombardi, Aldo Innocenti, Marcello Sbigoli, Raffaele Totaro, Anna Serena, Lorenzo Bittini, Massimo Blaco, Gianfranco Onatziro’ Obinu.
Assistente alla regia Sandra Bonciani, musiche originali di Marco Simoni, costumi di Fiamma Mariscotti, disegno luci di Silvia Avigo, scenografia di Lorenzo Scelsi.
Sono passati due anni esatti dagli attentati che il 7 ottobre 2023 hanno colpito Israele, lasciando una scia di sangue e terrore difficile da dimenticare. Il mondo si è fermato, l’Europa ha osservato, spesso con il fiato corto e il coraggio dimezzato. Ma mentre la diplomazia ufficiale arrancava, la pace è arrivata, o almeno un fragile accordo, grazie ad un attore inaspettato: Donald Trump. È stato lui, con una mediazione silenziosa, ma decisa, a riportare le parti a un tavolo, spiazzando analisti e benpensanti. Una pace concreta, non imposta dalle piazze o dai proclami, ma costruita con la forza della realtà. E, intanto, in Italia, ci si è persi tra le macerie di una protesta senza visione. Mentre a Doha si firmavano accordi, qui si lanciavano slogan e sassi. Le vetrine rotte nelle città italiane non hanno fermato alcuna guerra, ma hanno messo a dura prova la convivenza civile.
La cosiddetta “Flottilla della pace”, i cortei antagonisti, e le dichiarazioni infiammate di Maurizio Landini hanno aggiunto rumore, ma non soluzioni ed invece di costruire ponti, si sono alzati muri. E a questo punto vale la pena ricordarlo chiaramente che il compito di un sindacato è quello di tutelare i lavoratori, difendere i diritti, migliorare le condizioni nei luoghi di lavoro e non trasformarsi in un partito mascherato, pronto a sindacare ogni mossa del Governo come se fosse un’opposizione politica alternativa. Un sindacato “vero” non si schiera nei giochi di potere, ma resta accanto ai lavoratori, senza agende ideologiche e senza incitare alla ribellione sociale fine a sé stessa. Ecco perché, oggi più che mai, le parole che Oriana Fallaci scrisse su Panorama il 18 aprile 2002 suonano come un colpo alla coscienza collettiva.
Parole che parlavano di libertà, di indifferenza e di pericoli che si annidano nel silenzio colpevole delle società democratiche. Allora molti le giudicarono estreme, ma oggi, a distanza di oltre vent’anni, si rivelano semplicemente lucide. Fallaci non si limitava a commentare, ma avvertiva. Ci chiamava a non ignorare ciò che stava cambiando sotto i nostri occhi. E se oggi l’Italia è attraversata da un senso di smarrimento, da una politica sempre più gridata e da un’informazione polarizzata, è proprio perché troppo spesso si è scelto di non ascoltare. Di ridicolizzare chi invitava alla vigilanza, di confondere la militanza con la rabbia, la protesta con il vandalismo e la critica con il sabotaggio. Oriana Fallaci ci ha lasciato una lezione scomoda, ma fondamentale, che la libertà non si difende con i cortei che devastano le città, né con i sindacati trasformati in tribune ideologiche, ma si difende con la coerenza, il pensiero critico e il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, e senza ambiguità, e senza paura. E se oggi il mondo è un po’ più vicino alla pace, non è merito di chi ha alzato la voce per farsi notare, ma di chi ha avuto la forza di agire in silenzio e con determinazione. Anche questo, in fondo, è un messaggio che la Fallaci avrebbe approvato.
Grande successo per l’undicesima edizione della Ragunanza di poesia, narrativa, pittura e fotografia. Si è conclusa il 5 ottobre nell’antica Vaccheria di Villa Pamphilj, nel parco più grande di Roma, la cerimonia di premiazione del noto concorso letterario artistico internazionale,
promosso dall’associazione Le Ragunanze di Roma. Il premio, dedicato dal 2018 ad Anastasia Sciuto, giovane regista diplomata all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico, ha avuto i patrocini morali del Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia a Roma, Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, Vivere D’Arte, Leggere Tutti, LATIUM di Madrid, ACTAS Tuscania, WikiPoesia, Brainstorming Culturale e Punto Zip la cultura in un piccolo spazio. La Giuria composta da Virgilio Violo (Presidente di Giuria), Michela Zanarella (Presidente del Premio), Giuseppe Lorin (Vice Presidente del Premio Le Ragunanze), Elisabetta Bagli (Presidente Latium), Antonio Corona (Vivere D’Arte), Fiorella Cappelli (Leggere Tutti), Lorenzo Spurio, Luciana Raggi, Serena Maffia ha decretato i vincitori che per l’occasione hanno raggiunto la Capitale. Ad aprire l’evento la soprano Anna Zilli che ha interpretato dei brani a cappella. Sono seguiti gli interventi di Silvio Parrello, “er Pecetto”, tra i protagonisti del romanzo “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, che ha recitato un estratto da “Il romanzo delle stragi”. Memoria storica di Pasolini e artista di riferimento nel quartiere Monteverde, Parrello è presenza immancabile alle Ragunanze. Quest’anno preziosa è stata la partecipazione del musicista Stefano Refolo che oltre ad essere tra i premiati, ha interpretato alcuni brani storici della musica italiana coinvolgendo il pubblico. L’attrice Chiara Pavoni ha letto i testi delle opere vincitrici. È intervenuto anche l’assessore alle politiche sociali del Municipio Roma XII Fabio Bomarsi che ha sottolineato l’importanza del lavoro delle associazioni nel territorio per promuovere e valorizzare i talenti. L’assessore ha portato i saluti del Presidente del Municipio Roma XII Elio Tomassetti.
La Presidente del Premio Michela Zanarella ha poi dato il via alla premiazione annunciando i vincitori delle cinque sezioni. Per la sezione poesia a tema natura il primo posto è stato assegnato a Luciano Giovannini di Roma con la poesia “Back in Villa Pamphilj”, secondo classificato Danilo Poggiogalli di Roma con “Nella valle dell’Aniene”, terza classificata Manuela Magi di Tolentino, Macerata, con “Intrecciata radice”. Menzioni d’onore per Antonella Ariosto, Giovanni Battista Quinto, Isabella Petrucci, Alberto Baroni, Rossana Bonadonna, Lucia Izzo,
Carla Abenante, Romano D’Alliegro, Sara D’Angelo. Per la sezione libro edito poesia sul podio Paolo Parrini di Castelfiorentino con la raccolta “Un lunghissimo addio”, seconda classificata Monica Martinelli di Roma con “Taming Time”, terzo classificato Michele Sabatini di Montefalco con “Una bellezza asciutta”. Menzione d’onore per Niculina Oprea, Elisabetta Biondi Della Sdriscia, Stefano Baldinu, Rosaria Di Donato, Patrizia Marzillo, Francesca Romana Rotella, Gioacchino Di Bella, Massimo Monteduro, Mirko Gloriani, Tarana Turan Rahimli. Per la narrativa ha vinto Roberto Maggi di Roma con “Gli accordi spezzati”, secondo classificato Gian Stefano Spoto di Roma con “Il cappello vuoto e altri racconti”, terzo classificato Alessandro Bellomarini di Roma con “Fottuta borghesia”. Menzioni d’onore a Michele Manna, Gabriella Cinti, Sabrina Tonin, Elvira Delmonaco Roll, Jolanda Anna Tirotta, Loredana Manciati, Alberto Umbrella. Per la sezione pittura sul podio al primo posto Giuseppe Galati di Vibo Valentia, a seguire Bruna Milani di Roma e Adriano Ruzzene di Treviso. Menzione d’onore a Stefany Pepe di Roma. Per la sezione fotografia ha trionfato Alessandro Porri di Roma, secondo classificato Adriano Geracitano di Roma, terza classificata Chiara Novelli di Roma. La Targa Anastasia Sciuto 2025 è stata assegnata all’attore Massimo Odierna, rappresentato dalle attrici Sofia Taglioni e Sara Putignano. Targa Latium dell’associazione Latium di Madrid a Domenico Guida di Roma, la Targa Vivere D’Arte dell’associazione Vivere D’Arte di Torino a Daniele Ricci di Pesaro Urbino, Targa Speciale Le Ragunanze a Stefano Refolo di Roma per il racconto della canzone italiana “A tempo di Refolo”, Targa Speciale Le Ragunanze a Selene Pascasi di L’Aquila, Targa Actas Tuscania a Roberto Costantini di Roma. Targa alla carriera ad Athina Cenci, da anni madrina dell’evento, consegnata dal giornalista di Repubblica Giacomo Galanti insieme all’attrice Sara Putignano. L’evento si conferma un appuntamento significativo per il quartiere Monteverde che riesce ogni volta ad accogliere artisti dall’Italia e dall’estero.
Con un solo voto di scarto, il Parlamento Europeo ha deciso di mantenere l’immunità parlamentare a Ilaria Salis, eurodeputata accusata in Ungheria di gravi reati. Un voto risicato, ma dal peso politico enorme. Ancora una volta, Bruxelles invia un segnale che divide: quello di un’istituzione pronta a difendere la propria struttura più che i principi di giustizia che dice di rappresentare. La decisione arriva in un clima già teso, in cui la fiducia dei cittadini europei verso le istituzioni è ai minimi storici. Eppure, bastano sessanta secondi di votazione per far riaffiorare il sospetto che a prevalere non sia il diritto, ma la politica delle convenienze. Un solo voto, uno soltanto, ha salvato Salis dal rischio di dover rispondere subito davanti ai giudici ungheresi. E quel voto, simbolicamente, pesa come un macigno sull’immagine stessa del Parlamento di Strasburgo.
Certo, la questione non è semplice. Il caso Salis è delicato, intrecciato a diritti civili, garanzie processuali e rapporti complicati con il governo Orbán. Tuttavia ciò che lascia l’amaro in bocca è la sensazione che l’immunità sia diventata uno scudo politico, più che una tutela democratica. Una protezione concessa non per difendere un principio, ma per salvare un simbolo utile a certi equilibri di potere. Il Parlamento europeo appare sempre più come un luogo autoreferenziale, dove le decisioni vengono prese lontano dai cittadini, dai loro problemi reali e dalla loro idea di giustizia. Si parla di “Europa dei valori”, ma questi valori sembrano valere solo quando conviene. Peraltro, invece, di dare un segnale di fermezza, di trasparenza e di responsabilità, prevale il calcolo.
E la distanza tra Bruxelles e la gente comune cresce ancora di più. Molti in Italia, e non solo, si chiedono cosa resti oggi della sovranità morale di un’Europa che difende se stessa, ma non sempre difende i principi che proclama. La vicenda Salis non è solo un fatto giudiziario, ma un termometro politico e simbolico. Misura quanto le istituzioni europee siano ormai percepite come un sistema chiuso, poco disposto a rendere conto, protetto da privilegi e procedure. Non è un invito all’uscita dall’Unione, ma una richiesta di verità. Di trasparenza, di coerenza e di coraggio. Perché se l’Europa vuole restare credibile, deve saper dimostrare che nessuno, nemmeno un suo rappresentante, è al di sopra della Legge. Altrimenti, a furia di proteggere se stessa, rischia di perdere ciò che la fonda: la fiducia dei cittadini. Forse è arrivato il momento di dirlo con chiarezza che serve un’Europa con la schiena dritta e capace di guardare in faccia i propri errori. Perché un solo voto può salvare un politico, ma può anche condannare un’istituzione intera alla perdita della propria credibilità.
La dietista Veronica Pompili e il presidente onorario di NCR Ettore Pompili hanno rappresentato l’associazione dei Castelli Romani al Festival del Peperoncino organizzato da Ipse Dixit al Garden Tre Fontane di Roma.
La dietista Veronica Pompili e il presidente onorario di NCR Ettore Pompili hanno rappresentato l’associazione dei Castelli Romani alla VII edizione di Hottobre Piccante, Festival del Peperoncino organizzato da Ipse Dixit al Garden Tre Fontane di Roma. L'iniziativa ha riscosso un grande successo di pubblico, grazie ad un programma ricco di iniziative, sviluppato durante il primo fine setttimana di Ottobre. Durante il pomeriggio di Sabato 4 ottobre il Dottor Ettore Pompili ha presenziato all'inaugurazione della kermesse con il taglio del nastro da parte della madrina della manifestazione Marinella Sapienza, opinionista del Programma di Raidue "BellaMa", presso la Piazza degli stand che ha ospitato, grazie al Club Ferrari di Roma, alcune autovetture della Casa automobilista di Maranello.
Il presidente onorario di Nuovi Castelli Romani ha anche assistito alla gara amatoriale di mangiatori di peperoncino, condotta da Arturo Rentricca, pluricampione dei mangiatori di peperoncino, presso l'Area Palco Eventi. Una partecipazione sentita da parte dell'associazione castellana frutto di una collaborazione tra Ispe Dixit, delegazione romana dell'Accademia italiana del Peperoncino e l'associazione L'ORODICALABRIA che iniziata nel 2024, con la stipula di un patto di amicizia con queste realtà, continuerà con una serie di iniziative legate al Peperoncino nel territorio dei Castelli Romani, grazie alla disponibilità dei sindaci del territorio e delle amministrazioni comunali. Domenica 5 ottobre la dietista Veronica Pompili e il Presidente onorario di NCR Ettore Pompili hanno partecipato presso la Piazzetta del gusto al panel “Salotto Rosso - parlano gli imprenditori, gli artigiani e gli agricoltori del Peperoncino” moderato dal Presidente di Ipse Dixit Antonio Bartalotta, insieme a Tonino Miceli, Giancarlo Suriano, Alessandro Ciafrei e Daniele Berto. Presente anche la consigliera e socia fondatrice dell'associazione L'ORODICALABRIA Federica Dieni.
"Ringrazio il Presidente Bartalotta e tutti gli organizzatori per avermi permesso di essere qui per il secondo anno consecutivo. Tra le varie proprietà nutrizionali del Peperoncino, lo riconosciamo anche come potenziale alleato per tutti coloro che vogliono perdere peso. Secondo degli studi pubblicati a livello internazionale, sarebbe infatti in grado di influire sul metabolismo dei grassi e sul dispendio energetico attraverso l'azione della Capsaicina (principio attivo). La riduzione di peso data del peperoncino sarebbe anche il risultato di un migliore controllo dell'insulina, con effetti positivi su malattie come obesità, diabete. Ricordiamo però che integrare il peperoncino nella nostra alimentazione non ha effetti miracolosi, ma non unitamente a una dieta ipocalorica e un a po’ di sano movimento può essere un prezioso alleato anche per chi desidera perdere peso ed è quindi tra i cibi che non dovrebbero mancare all’interno di un’alimentazione sana e bilanciata.
Ho approfittato di questo mio intervento, sollecitata dai professionisti intervenuti, per rassicurare sulle problematiche legate alla conservazione dei cibi legati ai casi di botulino che si sono verficiati negli ultimi mesi. Sono casi che non vanno sottovalutati, ma che al contempo non devono diventare protagonisti di vere e proprie psicosi propagate dai social network che sono sempre più teatro di fake news. Consiglio quindi di seguire sempre prassi igieniche rigorose durante la preparazione e conservazione degli alimenti, per scongiurare alcun pericolo di intossicazione alimentare. Lo dichiara la dietista Veronica Pompili.
La Calabria ha scelto la continuità. Con oltre il 57% dei voti, secondo le ultime proiezioni, Roberto Occhiuto si riconferma presidente della Regione, rafforzando la posizione di Forza Italia e dell’intera coalizione di centrodestra. Una vittoria netta, che va oltre le aspettative e che segna un punto fermo nel panorama politico del Sud Italia. Dalle prime ore successive allo spoglio, il clima nel quartier generale di Occhiuto è stato di entusiasmo e gratitudine. I vertici di Forza Italia parlano di un successo costruito “sulla concretezza e sulla vicinanza ai cittadini”. Per il partito fondato da Silvio Berlusconi, il risultato calabrese assume un valore simbolico e politico insieme: conferma la capacità di governare territori complessi con pragmatismo e continuità, in un momento in cui il centrodestra punta a consolidare il proprio radicamento nel Mezzogiorno. “È la vittoria di una Calabria che cresce, che guarda al futuro con fiducia”, ha dichiarato Occhiuto a caldo. “Abbiamo lavorato per risolvere problemi reali, dall’acqua alla sanità, e continueremo a farlo con serietà e senso di responsabilità”. Parole che tracciano la linea per il nuovo mandato: stabilità, infrastrutture, sviluppo e dialogo con le istituzioni nazionali ed europee.
Nel campo opposto, il centrosinistra riconosce il verdetto delle urne ma apre una riflessione profonda. “Il risultato di Occhiuto è chiaro e va rispettato,” affermano alcuni esponenti del Partito Democratico, “ma non possiamo ignorare il dato dell’astensione.” L’affluenza, ancora una volta bassa, conferma una distanza crescente tra cittadini e politica. È su questo terreno, dicono, che l’opposizione dovrà ricostruire la propria credibilità, puntando su proposte concrete e su un linguaggio più vicino alle persone. Il tema dell’unità del centrosinistra torna così al centro del dibattito. Le divisioni interne, la difficoltà nel presentare un fronte coeso e una leadership riconosciuta hanno pesato in maniera evidente sulla campagna elettorale.
Alcuni osservatori sottolineano come la Calabria, regione spesso laboratorio politico, abbia invece ribadito l’importanza del radicamento territoriale e della presenza costante tra la gente, elementi che hanno favorito la riconferma del governatore uscente. Sul piano nazionale, la vittoria di Occhiuto viene letta come un segnale positivo per il centrodestra, che rafforza la propria posizione nelle regioni meridionali e può rivendicare la stabilità dei propri amministratori locali. Forza Italia, in particolare, esce da questa tornata elettorale con un rinnovato slancio: un segnale incoraggiante in vista dei prossimi appuntamenti politici, a partire dalle europee. La Calabria, dunque, resta terreno di confronto ma anche di speranza. Dietro i numeri e le percentuali, resta la sfida più grande: trasformare la fiducia degli elettori in risultati concreti, mantenendo fede alle promesse di sviluppo, lavoro e servizi. Perché, al di là dei colori politici, ciò che i calabresi chiedono è semplice: una regione che funzioni, che ascolti e che finalmente cresca.
La ludopatia, o disturbo da gioco d’azzardo, è una forma di dipendenza patologica, in cui la persona sviluppa un bisogno incontrollabile di giocare, spesso con denaro, nonostante le gravi conseguenze negative che questo comporta. Non si tratta semplicemente di “giocare troppo”, ma di un vero e proprio disturbo comportamentale riconosciuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La ludopatia può comprendere anche attività minori come gratta e vinci, scommesse sportive, slot machine, fino ad arrivare ad attività maggiori come poker online e giochi da casinò con dispendio di elevate somme di denaro. Purtroppo con l’avvento del gioco online, l’accesso è diventato ancora più semplice e la dipendenza nei giovani può svilupparsi in modo rapido e silente. I segnali di allarme si manifestano in modo graduale includono: un pensiero costante legato al gioco e alle sue strategie, la necessità di dire continue bugie per mascherare l’attività di gioco e non si riesce a controllarsi o smettere, nonostante si tenti di farlo. In questa fase, i problemi economici, familiari o lavorativi si amplificano, aumentando l’ansia, la depressione e l’irritabilità quando si prova ad interrompere. Le cause della ludopatia possono essere molteplici tra cui fattori psicologici e sociali.
Alcuni fattori di rischio si possono ricercare nell’ impulsività, il desiderio costante di provare emozioni forti, stress, solitudine o difficoltà personali. A volte può derivare anche da altre dipendenze, quali alcol, droghe, ecc. o dall’ influenza dell’ambiente sociale e familiare. Le conseguenze della ludopatia possono essere molto gravi e colpire diversi aspetti della vita: sia al livello economico come perdita di risparmi o di beni fino ad arrivare all’ indebitamento; sia al livello relazionale come crisi familiari, isolamento sociale, separazioni; sia a livello psicologico ansia, depressione, senso di colpa, pensieri suicidari; sia dal punto di vista legale furti, frodi o comportamenti illeciti per ottenere denaro. Fortunatamente ci sono cure e percorsi di sostegno per guarire. Il primo passo come tutte le dipendenze è riconoscere il problema e non avere paura di chiedere aiuto il prima possibile, fondamentale è il supporto di familiari e amici. I trattamenti possono includere terapie psicologiche individuali e di gruppo (come la terapia cognitivo-comportamentale) o dedicarsi ad un’arte, come il teatro.E proprio su questo punto, il teatro, vorrei concentrare la mia attenzione. L’arte di fare teatro, può essere uno strumento profondamente terapeutico nel percorso di recupero dalla dipendenza da gioco d’azzardo. Non si tratta di una “cura” in senso medico, ma di un potente complemento al trattamento psicologico e/o farmacologico. Quale è il rapporto tra Teatro e Ludopatia? Molte persone con dipendenza da gioco faticano a riconoscere o esprimere le proprie emozioni. Il teatro, permette di mettersi in gioco in modo sicuro, dare voce al dolore, alla vergogna, alla rabbia, dare espressione alle emozioni represse. Raccontarsi attraverso un personaggio, facilita l’elaborazione emotiva. In terapia, si dice spesso che “è più facile dire la verità dietro una maschera” e il primo passo è la ricostruzione dell’identità. Il gioco compulsivo può “cancellare” l’identità della persona, che si definisce solo come “giocatore” o “dipendente”. Attraverso il teatro, può invece, scoprire nuovi ruoli, nuove parti di sé, ricostruire la propria autostima, allenare la capacità di stare nel presente, molto importante nella guarigione. Molti laboratori teatrali usano testi o creano scene che parlano di dipendenza, desiderio, fallimento e rinascita. Questo aiuta la persona alla riflessione e alla consapevolezza di sé stessa e del proprio percorso, vedere la propria storia da fuori, aiuta a ritrovare il proprio io. Il teatro è, per natura, relazionale.
Nei gruppi teatrali si lavora insieme, si collabora, si ascolta, si è complici, si sperimenta l’appartenenza, spesso assente nella vita del dipendente e il lavoro di gruppo aiuta a stabilire relazioni sane al fine di rompere quei meccanismi di isolamento, tipici della ludopatia. Il teatro è anche gioco, ma quello creativo, costruttivo, non compulsivo, aiutando così a riscoprire il piacere del gioco sano e libero contrapposto al gioco d’azzardo distruttivo. In Italia e nel mondo esistono programmi di teatro-terapia per le dipendenze comportamentali, inclusa la ludopatia. Alcuni esempi: laboratori teatrali nei SER.D. (Servizi per le Dipendenze); progetti con Giocatori Anonimi o altre comunità terapeutiche e drammaterapia: una disciplina psicoterapeutica riconosciuta, che unisce psicologia e teatro. La ludopatia è una malattia seria, ma si può guarire e con il giusto supporto e un percorso di cura adeguato, è possibile uscire da questa dipendenza e tornare a vivere una vita libera e consapevole. La prevenzione, l’informazione e il sostegno, sono strumenti fondamentali per proteggere le persone più vulnerabili, in particolare giovani e anziani, dal rischio del gioco patologico. Il teatro, quindi come altre forme d’arte (scrittura, pittura e musica), non cura da solo la ludopatia, ma è uno strumento prezioso per esplorare il proprio mondo interiore, ritrovare se stesso, riconnettersi con gli altri e la realtà quotidiana. L’arte può dare voce a chi si sente muto, e luce dove c’è buio.
Roma sta cambiando volto, ma non nel modo che molti cittadini speravano. Le nuove politiche urbane del Campidoglio, tra “città a 15 minuti”, ZTL ampliate e parcheggi sempre più cari, vengono presentate come passi avanti verso una metropoli moderna e sostenibile. Tuttavia, dietro la facciata ecologista, cresce la sensazione che la Capitale stia imboccando una strada che rischia di comprimere la libertà individuale invece di ampliarla. Le recenti scelte della Giunta comunale mostrano una visione che, più che liberare, tende a imbrigliare. Le strisce blu si moltiplicano, le zone a traffico limitato si estendono, i progetti “green” proliferano, ma la domanda nasce spontanea: chi ne trae davvero beneficio? Non sembra il cittadino comune, quello che ogni giorno attraversa la città per lavorare, accompagnare i figli a scuola o raggiungere un parente anziano. La tanto celebrata “città a 15 minuti” promette prossimità e servizi a portata di mano, ma nella pratica rischia di trasformarsi in una gabbia urbana. L’idea che ogni abitante debba vivere e lavorare entro confini prestabiliti, spostandosi il meno possibile, contrasta con la natura stessa di Roma: una città aperta, vasta, storicamente legata alla mobilità e agli scambi. E dietro il linguaggio della sostenibilità si intravede una forma di controllo sociale mascherata da innovazione ecologica. Limitare la circolazione, aumentare i costi di sosta, restringere gli accessi e tutto questo non favorisce la vita cittadina, ma la complica. Le conseguenze si vedono già.
I negozi di quartiere soffrono, gli artigiani faticano, le famiglie con redditi medi o bassi si trovano sempre più isolate. Peraltro, molti anziani, che dipendono dall’auto per spostarsi, sono di fatto esclusi da intere aree urbane. E a guadagnarci, spesso, sono solo le grandi catene e i progetti immobiliari che si adattano con facilità alle nuove regole. Nessuno mette in dubbio l’importanza dell’ambiente o della riduzione dell’inquinamento (peraltro, ci sarà sempre), ma una politica ecologica efficace deve partire dalle persone, non dai divieti. Servono trasporti pubblici efficienti e non solo restrizioni, ma incentivi concreti per chi adotta comportamenti sostenibili, e non sanzioni continue. Roma non ha bisogno di nuove tasse travestite da “scelte verdi”, ma di un piano urbano che coniughi libertà e responsabilità. La Capitale merita un modello di mobilità equo e realistico, che tenga conto della complessità sociale e territoriale del suo tessuto. La sostenibilità non può significare esclusione ed innovazione non può coincidere con le imposizioni. Roma deve tornare a essere una città per tutti, non solo per chi può permettersi di adattarsi alle nuove regole. Una città viva, libera, accessibile e dove l’ecologia non sia un pretesto, ma una scelta condivisa.
Perché Roma, più di ogni altra, ha bisogno di respirare e non solo in senso ambientale. Ha bisogno di tornare libera!
La fine della CGIL, o quantomeno la fine della sua funzione storica, sembra ormai un fatto compiuto. Il sindacato che un tempo incarnava la voce del lavoro e dei lavoratori italiani, oggi appare come un attore politico smarrito, impegnato più a lanciare proclami che a difendere concretamente i diritti di chi lavora. Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha abbandonato il terreno economico e contrattuale per spostarsi su quello ideologico e simbolico, trasformando il sindacato in un soggetto politico di opposizione al governo, più che in uno strumento di rappresentanza sociale. Il recente sciopero “per Gaza” ne è l’ennesima dimostrazione: un gesto tanto mediatico quanto sterile, che penalizza milioni di lavoratori e cittadini senza produrre alcun effetto reale sulla drammatica situazione in Medio Oriente. Dietro la facciata della solidarietà internazionale, si nasconde l’incapacità di affrontare le vere emergenze del lavoro italiano nella precarietà cronica, nel lavoro nero, nella mancanza di tutele nelle piccole imprese e nella desertificazione industriale. È difficile non vedere, in questa metamorfosi, il segno di una crisi strutturale. La CGIL è ormai un sindacato di pensionati, con un corpo militante sempre più anziano e sempre meno presente nei luoghi dove il conflitto sociale è più acceso.
I giovani, i precari, gli autonomi, i lavoratori della logistica e dei servizi digitali, non si riconoscono più in una struttura novecentesca che parla un linguaggio distante dalla realtà contemporanea. La contrattazione collettiva si indebolisce, mentre il sindacato preferisce lo scontro politico alle soluzioni pragmatiche. Landini, da tempo, cerca visibilità attraverso battaglie simboliche e dichiarazioni roboanti. Ha recentemente accusato il presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni di non portare rispetto “a chi paga le tasse e lavora”. Ma il rispetto, semmai, dovrebbe pretenderlo chi, quei lavoratori, li rappresenta con onestà e coerenza, non chi, ne piega la causa a fini di propaganda.
La retorica del “noi contro loro”, governo contro popolo, padroni contro operai, appartiene ai nostalgici di un’altra epoca. Oggi servirebbero strumenti nuovi, idee nuove ed una vera politica del lavoro capace di interpretare la complessità del mercato globale. Invece, la CGIL continua a inseguire fantasmi ideologici e piazze rabbiose, strizzando l’occhio ai soliti facinorosi che trasformano ogni manifestazione in una prova di forza. E a pagare, puntualmente, sono i cittadini: pendolari bloccati, scuole chiuse, servizi paralizzati. Il tutto in nome di un internazionalismo d’accatto che non aiuta né i lavoratori italiani né la popolazione di Gaza. Così muore un sindacato: non per mancanza di iscritti, ma per mancanza di senso. La CGIL, ridotta ad una eco lontana di se stessa, sembra ormai più interessata a fare opposizione politica che a negoziare contratti. E mentre Landini arringa le piazze, il mondo del lavoro reale, frammentato, precario ed invisibile, resta senza voce.
Erano dicono 300.000 persone oggi 3 ottobre 2025, in piazza, partendo dal presidio eroico di Piazza Gaza, rinominata così la Stazione Termini a Roma, in uno sciopero paradossalmente indetto anche dalla CGIL sulla questione Palestina-Gaza; ovvero una CGIL che quando gli fa comodo si accoda al piccolo e coraggioso sindacato USB (Unione Sindacato di Base), soprattutto perché solo quest'ultimo sembra che avesse rispettato i tempi per indire lo sciopero stesso, mentre la CGIL non lo aveva fatto. E questa cariatide di sinistra, spesso silente sui veri temi costituzionali, si è accodata in cerca di giovani consensi, soprattutto avendo capito che i ragazzi di "sinistra" in piazza, per la maggior parte, certo non votano più PD e quindi la CGIL ha bisogno di rifocillare le proprie file ormai anziane con dei nuovi ragazzi e ragazze giovani. Si, i giovani... spesso anche loro silenti quando è stata violata la Costituzione in tempi recenti! Ne ho già parlato in un altro articolo (https://www.flipnews.org/index.php/life-styles-2/technology-3/item/4591-ma-tutti-questi-ragazzetti-progressisti-giusti-su-gaza-dove-erano-e-sono-sui-vaccini-killer-o-sul-5g-una-cronaca-dalla-festa-de-il-fatto-quotidiano-a-roma.html ).
Si sono però ora "messi in gioco" i ragazzi e per la prima volta ho apprezzato oggi le parole di Monica Maggioni a #farwest, su Rai 3 in serata, che ha proprio detto: "... questi ragazzi si sono messi in gioco...non sono rimasti a casa...".
Ora questi ragazzi, che supportano una flottiglia di circa 500 attivisti da circa 50 paesi in navigazione ed in arrivo a Gaza sono schermiti e definiti "terroristi" dallo squallido ministro israeliano Smotrich, che li ha illegalmente incarcerati, partendo da acque internazionali, che per il "diritto internazionale" (ormai morto per mano occidentale!) erano invece libere ed inviolabili.
Adesso questi ragazzi, prevalentemente etichettati "a sinistra", certo più a sinistra dell'"anziana CGIL", devono urgentemente sedersi a tavolino, in una serie di almeno 20 assemblee aperte a tema, con i ragazzi "di destra", ovvero quella simil-destra, tanto diversa da quella di potere, ovvero una "destra" giovanile sovranista e democratica. Ragazzi non etichettati "a sinistra", che invece sono scesi in piazza ben prima di loro, fin dal 2020, quando con tutta la pseudo-pandemia in corso, orchestrata dal Deep-State, presuntivamente con sede simil-sionista alla City di Londra, sono stati iniettati con un siero sperimentale ignoto, proveniente da un brevetto militare, prodotto in fretta per centinaia di milioni di persone nel mondo. Tra esse ancora dopo 5 anni, molte sono morte o con effetti collaterali devastanti o lentamente indebolite nel loro quadro immunitario.
Dove era allora la CGIL come sindacato mentre i lavoratori venivano sospesi dal posto di lavoro se non si inoculavano? Dov'era anche la USB? Noi del "gruppo di controllo incontaminato" resistente, in piazza, tra i sindacati abbiamo visto solo quelli della FISI, quelli del SINDACATO D'AZIONE (con sede principale a Parma) e quelli delle valorose forze dell'ordine del sindacato OSA "incontaminato", ora impegnati ad aiutare i colleghi "fregati" per eccesso di senso del dovere omertoso. Siano tutti risarciti!
Ora basta però! Si faccia amnistia sugli errori del passato ed i giovani "di destra" e "di sinistra", colorati, allegri, coraggiosi, vivi, etici, lungimiranti, dialoganti, critici, danzanti, festosi, si uniscano in un'unica forza democratica e sovranista, ovvero di una Italia libera ed in mano al Popolo Sovrano, come citato dalla Costituzione.
Non esiste più "destra" e "sinistra', ma esiste un "SOPRA" (Finanza speculativa, suprematismo, militarismo sionista contro ebrei-cristiani-palestinesi ecc..., giornalisti prezzolati, medici al soldo della Big-Pharma e quanto altro) ed esiste un "SOTTO" (giovani precari, donne sottopagate, pre-pensionati coraggiosi che perdono il lavoro per le denunce fatte nella pubblica amministrazione, come whistleblower, piccoli sindacati coraggiosi, partite IVA vessate, giornalisti non prezzolati, medici con in mente solo il Giuramento di Ippocrate, etc...).
Mai più si costruiscano decine di bio laboratori militari di livello 3 o 4 che producono la morte, con sieri sperimentali, zanzare killer, armi ad energia diretta, geoingegneria top-secret, 5G killer, alberi tagliati per far posto alle loro onde elettromagnetiche inutili alla telefonia o quant'altro: saranno tutti portati in galera o al silenzio come membri del mondo di "SOPRA" e prevarrà per sempre il Popolo Sovrano di "SOTTO", in un mondo multipolare in evoluzione rapida.
Basterà una sola nuova Legge Universale per tutti gli Stati aderenti all’ONU, compresa la neo-Palestina sovrana vicino al vecchio primordiale Israele laico e con veri ebrei pacifici, come prima del 1917.
Cari vecchi giornalisti a questi giovani di "destra" e di "sinistra" ormai non li fregate più: sono un fluido in ebollizione che scorre come una lava che seppellirà tutta la "vecchia rogna".
Marina Pizzi mi ha completamente spiazzato con questa sua nuova pièce. Forse perché ero rimasto fortemente colpito dalle sue ultime proposte drammaturgiche. Si rivela scrittrice poliedrica in grado di stimolare tutti i sensi dello spettatore commuovendolo, facendolo riflettere ed ora anche divertendolo.
Questa proposta strizza l’occhio alla commedia italiana con una storia leggera e molto piacevole adatta a tutti. A portarla in scena un cast assolutamente scoppiettante.
Alla regia c’è il tocco personale e brillante di Toni Fornari.
La vicenda si svolge in un soggiorno ben ricostruito che si affaccia su un incantevole panorama cittadino che muta durante le scene per sottolineare il passare delle ore, alternando tramonti mozzafiato, incantevoli scorci notturni e assolati momenti della giornata.
Le scene sono ben distinte, sottolineate da un buon effetto luci e accompagnate da una piacevole colonna sonora con brani ritmati e noti. Arriviamo ora alla storia.
Sasà (Enzo Casertano), all’anagrafe Salvatore Gargiulo, è una persona tranquilla ed accomodante che appare da subito inequivocabilmente succube sia delle asperità della vita che delle donne di casa.
Queste figure che orbitano intorno a lui rischiano di destabilizzare il suo equilibrio mentale ed emotivo. Si tratta della moglie Nora (Beatrice Fazi), donna volitiva e dal carattere forte e deciso, e la suocera (Mara Liuzzi), personaggio onnipresente, invadente, indiscreto e sarcastico. Infine, la giovane figlia Paola (Alessandra Merico), studentessa di medicina poco incline all’impegno. A parte Paola, l'unica che si esprime attraverso un chiaro accento romano, tutti i suoi familiari hanno un marcato accento partenopeo.
Se vivere contornato da ingombranti figure femminili può essere complicato e stressante, immaginiamo quanto possa essere destabilizzante trascorrere gli arresti domiciliari in un caustico ambiente in cui regna una dittatoriale supremazia femminile.
Sasà è, infatti, agli arresti domiciliari perché invischiato in una situazione di cui si dice assolutamente innocente. Essendo un geometra del Comune, una sua firma lo inchioda come responsabile di un abuso edilizio. Nonostante le prove schiaccianti, afferma che la firma apposta sugli atti sia stata falsificata. In realtà, basta guardarlo per credere alla sua innocenza. È un bonaccione in balia di una famiglia che lo preferirebbe colpevole piuttosto che accettarne il suo temperamento mite e accondiscendente.
Lo spettatore diviene parte della scena e si trasforma in ospite di questa singolare famiglia, entrando nel vivo delle bizzarre dinamiche della convivenza forzata, forse per l’uomo peggiore del carcere.
La pièce dà ampio spazio ai caratteri dei personaggi che, nonostante i fastidiosi approcci e soprusi sul pover uomo, risultano paradossalmente simpatici.
Nora è una vegana crudista che prepara per il povero detenuto cibi per niente graditi che spingono Sasà a procurarsi di nascosto succulenti salsicce tramite la sua amante.
Quanto al rapporto con la moglie, i bisticci sono all'ordine del giorno e lasciano intuire una relazione ormai stagnante e pregna di insoddisfazione che sfocia in una sopportazione reciproca.
Paola, che si sta preparando per sostenere un esame di anatomia per il quale chiede un aiuto al padre, si dimostra negata per lo studio. Più che ad impegnarsi, sembra molto interessata a perdere tempo con i selfie da pubblicare sui social.
L’anziana madre è una vivacissima vedova sempre alle prese con creme ringiovanenti e ritocchini estetici che danno vita a gag esilaranti. La donna non disdegna di entrare costantemente in polemica con il genero, punzecchiandolo per farlo sentire costantemente un incapace.
Sulla scena c’è spesso Antonio (Andrea Mautone), agente di Polizia alquanto strambo, incaricato di controllare costantemente il recluso. Finirà, suo malgrado, per rimanere coinvolto nella vicenda perché infatuato della giovane Paola, con cui condivide una certa ingenuità e testa tra le nuvole.
Vicende e dialoghi sono ricchi di situazioni comiche. Battute incalzanti si rincorrono e intrecciano coinvolgendo tutti i personaggi in un cocktail dal sapore estremamente comico che accompagna piacevolmente per tutta la storia. Non manca il momento toccante, ben inserito, che efficacemente porta all’epilogo inaspettato.
Il ruolo centrale è retto indiscutibilmente da un grande Enzo Casertano, che sotto il mantello dell’uomo mediocre e remissivo nasconde una carica comica esplosiva dal forte gusto partenopeo.
Beatrice Fazi, pur apparendo arcigna e pungente, sfodera provocatorie battute divertentissime che si abbattono sul povero marito. La ricchezza di sfumature del suo personaggio ci conferma, se ce ne fosse bisogno, il talento di questa artista.
Nel suo continuo infierire sul marito viene spalleggiata da un’esuberante Mara Liuzzi, anche lei artista carica di comicità che entra sempre al momento giusto con le sue toccatine, alimentando il divertimento.
Alessandra si cala egregiamente nei panni della ragazza superficiale e frivola, a cui aggiunge una sua carica dirompente.
A completare l’opera Andrea Mautone, un improbabile tutore dell’ordine impacciato e assai poco marziale dal forte accento romagnolo. Dolcissimo, dall’aspetto spaesato e a volte inopportuno. In questa vicenda i maschi non la fanno certo da padrone!
Insieme alla triade Casertano – Merico – Fazi, treno inarrestabile collaudato e rodato, si aggiungono Mautone e Liuzzi a dare pepe alla storia e allo spettacolo, a beneficio del pubblico che ride divertito.
“Arresti molto… molto domiciliari”
Teatro Golden
Enzo Casertano, Beatrice Fazi, Alessandra Merico, Mara Liuzzi, Andrea Mautone
di Marina Pizzi
Regia Toni Fornari
una produzione Goldenstar AM srl
La PM Management Group Production Film Production SRLs di Piero Melissano, annuncia il prossimo progetto: " Fazenda - Una Terra, due Sogni".
Le riprese cinematografiche si terranno nel mese di febbraio 2026, a Torre Paduli- Ruffano, in provincia di Lecce.
La sceneggiatura è stata scritta dalla giornalista Francesca Currieri, originaria di Castelbuono, residente a Partinico in provincia di Palermo. La regia è stata affidata al regista palermitano Andrea Milici, le musiche al compositore Alfredo Gilè, anche lui siciliano, vive a Palermo. Il set vedrà la presenza di attori, capaci di interpretare la storia, rendendola ancora più autentica, emozionante e toccante: Antonella Salvucci, Fausto Morciano, Giuseppe Molonia, Matteo Tosi e Fabio Foglino.
Alla domanda, rivolta al produttore Piero Melissano, in merito al progetto filmico, lo stesso risponde: "questo progetto filmico, non è soltanto un racconto cinematografico ma, è un voler trasmettere un messaggio di speranza e resistenza. Questo progetto racconta la storia vera di chi, con coraggio e con i sogni in tasca, lascia la propria terra, affrontando sacrifici e disagi per poi ritornare e costruire il proprio futuro. questa storia, continua Melissano, ci ricorda quanto sia importante e fondamentale, non arrendersi dinanzi le difficoltà che la vita ci pone e quanto l'amore per la propria terra e le proprie radici, possa simboleggiare un punto di forza, un rifugio sicuro e una spinta verso un futuro sconosciuto, ma che fa sperare in una vita migliore.
Buon lavoro a tutta la troupe con la certezza che il film sarà un successo.