L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Fino al 7 aprile 2024, Firenze (città come pochissime altre già immensamente straripante di bellezza artistica) offrirà la possibilità di entrare in contatto con la particolare sensibilità estetica di Alphonse Mucha, considerato uno dei grandi padri dell’Art Nouveau.
La Mostra, allestita in maniera intelligente e suggestiva, presenta un percorso tematico e cronologico abbracciante oltre 170 opere, tra manifesti, libri, disegni, olii e acquarelli, nonché fotografie, gioielli e opere decorative, in modo tale da consentire di assaporare efficacemente la variegata sinfonia della raffinata iconografia di uno dei pittori più originali di fine Ottocento e di inizio Novecento.
Pur essendo prevalentemente dedicata alla produzione destinata al mondo dello spettacolo e a quello pubblicitario, l’esposizione permette anche di intravedere il grande lavoro di riflessione teorica e di sperimentazione pratica che caratterizza un cammino artistico improntato alla ricerca della Bellezza, ma anche della Verità e dell’Amore. Mucha, infatti, come tanti altri artisti dell’epoca (da Kandisky a Balla, da Malevic a Mondrian), ha coltivato forti e sinceri interessi nel campo della filosofia spiritualistica, avvicinandosi, in particolare, alla cultura teosofica e finendo poi per abbracciare il pensiero e l’opera della Massoneria. La sua arte, di conseguenza, nonostante l’apparente leggerezza che potrebbe, a volte, apparire sconfinante nell’effimero, è animata e sorretta da un sincero anelito verso un mondo valoriale alternativo a quello della forza e del potere che divide e separa, che aggredisce ed opprime.
“Lo scopo del mio lavoro - ci rivela - era costruire, creare ponti; perché dobbiamo tutti nutrire la speranza che l’umanità si unisca”.
In lui, quindi, accanto all’appassionato amore verso la sua terra e la sua gente (che lo porterà a creare l’immenso ciclo della Epopea slava, senza alcun dubbio una delle vette più alte dell’intera arte contemporanea), incontriamo, in maniera analoga a quanto accaduto nei nostri Mazzini e Garibaldi, un indomito desiderio di affratellamento fra tutti i popoli in vista del raggiungimento di una agapica era di Pace.
L’Arte secondo Mucha è, pertanto, non solamente gioia sensoriale e sognante festosità, ma anche invito a colorare di allegrezza il vivere quotidiano, un invito rivolto indistintamente a tutti e non più alle cerchie ristrette ed esclusive delle élites dominanti. “Sono stato felice - potrà dire, operando una sorta di bilancio della sua produzione - di essere coinvolto in un’arte per il popolo e non per salotti privati. E’ stata poco costosa, accessibile al pubblico e ha trovato casa in famiglie povere, così come nei circoli più ricchi.”
Ed è forse questo l’aspetto della sua personalità che meglio emerge dalla Mostra fiorentina: il suo desiderio di coltivare un’ Arte capace di far entrare qualche raggio di delicata bellezza nelle case di tutti, rendendo le singole esistenze più ricche di colore, di gentilezza e di armonia.
ALPHONSE MUCHA. LA SEDUZIONE DELL’ART NOUVEAU
Museo degli Innocenti, Firenze
Fino al 7 aprile 2024
Informazioni: TEL. 0550981881
Il premio a Carmen Lasorella |
Nello splendido Teatro Civico di Alghero si è svolta sabato 16 dicembre la cerimonia di premiazione dell’edizione 2023 del Premio Nazionale Alghero donna di letteratura e giornalismo: vincitrici Carmen Lasorella nella sezione Prosa per il romanzo “Vera e i gli schiavi del terzo millennio” (Marietti1820); Antonetta Carrabs per la sezione Poesia con “La casa della poesia di Monza”; per il giornalismo sportivo Novella Calligaris e la prof.ssa Giuseppa Tanda Premio Speciale della Giuria per il progetto Domus de Janas da presentare all’UNESCO.
Apertura e chiusura musicale affidate al cantautore Antonello Colledanchise, in lingua algherese con il suo cuatro venezolano accompagnato dalle maestre di flauto traverso Isa Sanna e Elisa Ceravola .
I saluti istituzionali sono stati portati da sindaco di Alghero Mario Conoci, dal presidente del Consiglio Regionale della Sardegna on. Michele Pais e dall’assessore alla cultura della città di Alghero, Alessandro Cocco.
Come sempre la serata è stata condotta da Neria De Giovanni, ideatrice del Premio, che ha intervistato sul palco le premiate.
Della Giuria presente soltanto Giuditta Sireus, direttrice artistica del Club Jane Austen Sardegna, poiché i giurati Antonio Casu e Massimo Milza non sono interventi perché bloccati a Roma dai mali di stagione e Antonio Maria Masia per un concomitante evento del Gremio dei sardi di cui è presidente.
Proprio la Sireus ha aperto la serata con la motivazione al premio di Carmen Lasorella, Neria De Giovanni ha letto quella per la poesia mentre Speranza Piredda, presidente della Rete della Donne e Silvana Pinna della FIDAPA e UNICEF hanno letto rispettivamente le motivazioni per il giornalismo e il Premio speciale.
Media partner La Fiera Letteraria e portaleletterario.net
Con Maurizio Mattioli (Cardinal Moletti), Marco Fiorini (Gioachino Belli), Chiara Fiorelli (Cencia), Erika Marozzi (Maria), Riccardo Rendina (Nando), Dario Panichi (Gigi), Matteo Stasi (Gaudenzio Belli), Fernando Calicchia (Tonino), Demetra Fiorini (voce).
Gioachino Belli, vestito di un bianco sgargiante come il colore del marmo di una statua o forse come quello di un fantasma, si stacca e scende da un’irreale è sorprendente riproposizione di un suo famoso monumento, prendendo vita. Sogna o immagina, in questa realtà alternativa, l’incontro con la popolana Cencia e con l’ austero e vendicativo Cardinale Moletti.
Durante questo viaggio onirico ed introspettivo, si rivede da fanciullo e intanto riflette su come scrivere i suoi sonetti in uno stile nuovo, utilizzando la lingua del popolo per arrivare a tutti e parlare così dei pregi e dei difetti di Roma, la sua città, quella con cui ha un cordone ombelicale inscindibile.
Mazzucco lo propone con una veste più introspettiva e riflessiva. Vuole rappresentarne la parte meno conosciuta, quella più umana del poeta, palesando i suoi dubbi, i timori, le aspirazioni.
L’indomani, una volta ridestato da questo sogno premonitore, mentre percorre i vicoli di Trastevere incontra davvero Cencia. Ne fa la conoscenza e ne rimane ammaliato. Questo incontro fatale lo porterà a ritrovarsi invischiato nelle beghe politiche tra il sordido potere papale e la Carboneria.
Coinvolto suo malgrado nelle attività dei carbonari, ne abbraccerà le idee rivoluzionarie, ma da buon osservatore e uomo di mondo ne evidenzierà pregi, difetti e illusioni.
La proposta di Mazzucco si ispira agli scritti del grande poeta capitolino e attraverso la sua immaginazione crea delle situazioni che ne svelano la parte più intima, trattata anche con una vena umoristica.
Così, “L’ultimo sogno di Gioachino” diviene un modo per conoscere e scoprire il pensiero del grande personaggio della letteratura italiana, impelagato nel clima di delazioni, cospirazioni, speranze, tradimenti, conflitti e grandi imminenti cambiamenti che coinvolgono e sconvolgono romani, papato, Roma e l’Italia tutta dell’Ottocento.
Ben nove attori si alternano sul palco. Marco, impersonando il Belli, gli dona un taglio umoristico e profondamente umano. Apprezzo molto questo versatile attore e il suo aplomb. Sempre cordiale, pacato, ponderato e discreto, sembra voler nascondere ogni volta tutto il suo talento e la professionalità dietro un’ innata modestia che lo contraddistingue. Un grande professionista.
L’antipatico e perfido cardinale è impersonato da Maurizio, che ci restituisce una perfetta immagine del peggior esempio di odioso religioso arrivista, sprezzante, fastidioso e molesto senza scrupoli dell’epoca.
Il resto del cast funziona bene e si inserisce in scene che raccontano le tragedie del periodo. Troviamo i carbonari, un prelato, una buffa serva, la moglie del poeta e gente comune.
Il cast si alterna professionalmente ed efficacemente dando aria alle vicende che prendono vita, e movimentandole con gusto ed estrema attenzione.
Voglio sottolineare la bravura di Chiara Fiorelli, che impersona ben tre personaggi, tutti distinti da una spiccata personalità: Mena, la coriacea prostituta carbonara che Chiara ripropone con gestualità, atteggiamenti e approcci tipicamente trasteverini; Nina, la buffa serva ciociara, ignorante e spontanea; è infine la suggestiva personificazione di Roma.
Incantevole è Demetra, la figlia di Marco, che non conoscevo di persona, la cui voce di soprano, sublime e delicata, ci ha incantato. Elegante nelle movenze, apre suggestivamente lo spettacolo lasciando a bocca aperta con la sua performance.
Bella l’essenziale scenografia, assolutamente suggestiva, soprattutto nella ricostruzione del monumento del Belli, identico a quello che troviamo nei pressi di Piazza Sonnino, che prende vita in maniera evocativa.
All’inizio Marco, nei panni del Belli, sembra voler fare un tributo ad Alberto Sordi quando interpreta il povero carbonaro (questo però non è un sovversivo e vende solo il carbone). Con questo approccio il poeta viene svestito della sua aria austera e risulta subito simpatico, stravagante e un po’ spaesato.
Poi la storia prende il via e si fa più drammatica. Gioachino si ritrova ostaggio, suo malgrado, di un gruppo di carbonari giacobini pronti alla sommossa, è costretto a lasciare la sua quieta vita familiare, e così paradossalmente, scopre gli amari retroscena del suo matrimonio.
Lo spettacolo è conciso e veloce, dura poco più di un’ora ma è ben concentrato e diretto e non si perde dietro a frivolezze e futilità. Piacevoli le musiche e i costumi (un po’ meno coerente col periodo storico trattato sono le calzature). Suggestive le luci che donano la giusta dose di drammaticità e mistero alle vicende.
Uno spettacolo dal grande potenziale, che ci restituisce un Gioacchino Belli diverso da quello conosciuto a scuola e reso così più fruibile. Mi associo alle critiche positive ascoltate a fine spettacolo dai presenti in sala tra cui professionisti del settore, il regista e gli stessi attori. Anche io credo che lo spettacolo potrebbe essere ampliato, sviluppato ed impreziosito con altre scene, così da sfruttare di più questa brillante proposta e il suo preparato e capace cast.
Nonostante le difficoltà e gli imprevisti che una prima può incontrare e che saranno sicuramente risolti, come rumori di sottofondo, fruscii e antipatici ritorni di cuffia, devo dire che la prova mi ha soddisfatto appieno e che è superata a pieni voti.
Ottimi gli attori, così pure regia, scenografia e immagini. Il film ricalca il solito cliché dei film americani, dove chi finanzia detta modi e condizioni. Dopo gli eventi di Wonder, il bullo Julian è stato espulso dalla scuola e cerca di ambientarsi nel nuovo istituto. Sentendolo in difficoltà, la nonna lo sorprende, gli fa visita da Parigi e gli racconta la storia della sua infanzia. Di come lei, giovane ragazza ebrea nella Francia occupata dai nazisti, fu nascosta e protetta da un compagno di classe. Di come la sensibilità e il coraggio di questo ragazzo le abbiano salvato la vita. Di quanto può essere forte il potere della gentilezza, tale da cambiare il mondo. Amore, paura, morte, buoni e cattivi che di solito, se non sono i comunisti sono i nazisti, e finalmente arriva la luce, l’amore, la libertà, la grande America, gli esportatori di democrazia, oggi diremmo a suon di bombe. I più deboli e perseguitati, come al solito sono gli ebrei, e a Hollywood sanno bene che la formula, adottata da più di mezzo secolo, ha il potere di narcotizzare le masse e addomesticarle. Libertà contro tirannia. Si parla di un popolo perseguitato, ma mai di altri popoli perseguitati o annullati per la sola colpa di esistere. Si gioca con il sangue e le disgrazie di un popolo che, guarda caso, è sempre lo stesso. Se pur a fini educativi questa messa in scena a senso unico puzza molto di propaganda. Comunque sia, l’altro messaggio che vuole veicolare il film, il potere della gentilezza, principio universale, qualora fosse adottato da tutti, potrebbe veramente cambiare il mondo. Il film da modo allo spettatore di riflettere sul potere del cinema e degli interessi economici che ci sono dietro.
WONDER - WHITE BIRD
un film di MARC FORSTER
con HELEN MIRREN, GILLIAN ANDERSON, BRYCE GHEISAR
Il nuovo spettacolo di Pippo Franco, composto da monologhi, affronta il tema dell'evoluzione dell’uomo coraggiosamente, addentrandosi in un panorama molto vasto.
Con molta umiltà e simpatia, l'artista affronta questa sfida interessando e coinvolgendo il pubblico su argomenti che bene o male coinvolgono tutti, e si fa accompagnare nel viaggio dalla melodiosa e virtuosa chitarra di Giandomenico Anellino.
Lo spettacolo è arricchito da immagini per meglio supportare spiegazioni e narrazioni che ci porteranno in un interessante cammino attraverso l’arte, la storia e la cultura, con un approccio del tutto particolare e molto profondo, condito da simpatiche battute o gag ironiche.
Sono cresciuto con i suoi film, ben sessantuno, e con i suoi numerosi programmi televisivi. Un’artista che ha lasciato il segno nella comicità, nella commedia all’italiana, nel cinema e nel teatro.
Finalmente per la prima volta stasera riesco a vedere Francesco Pippo (questo è il suo vero nome) dal vivo al teatro e a conoscerlo di persona. Al solo rivederlo, i ricordi della mia adolescenza sono riaffiorati prepotentemente, riportandomi indietro nel tempo alla mia adolescenza e a quella che considero un’icona della vecchia e sana comicità italiana, che ha accompagnato gli anni della mia giovinezza.
La serata parte subito con un fantastico medley di brani famosi reinterpretati dal fantastico chitarrista, che miscela sonorità tra musica classica, jazz e spagnola. Possiede una tecnica ineccepibile che gli consente di esprimere un gusto melodico ricco e un’attenta ricerca del suono. Pippo Franco gli lascia tutto lo spazio che serve per farci cullare dalle sue infinite note. Interverrà più volte durante la serata per inserirsi tra un argomento e l’altro con brani conosciuti ed interpretati con virtuosismo. Pezzi di Battisti, di De Andrè, di Lucio Dalla , ma anche altri brani come “O sole mio”, “We are the world”, “Strangers in the night”, La Guerra di Piero”, Piazza Grande… si susseguono e ammutoliscono la sala che poi esplode in uno spontaneo applauso. Questo musicista, che vagamente mi ha ricordato per l’aspetto Ninetto Davoli ( di cui ha sicuramente la stessa simpatia e cordialità), ha colpito anche il grande Ennio Morricone, tanto che gli chiese di incidere i suoi brani… E adesso, mentre sto scrivendo, li sto ascoltando… Bellissimo.
Pippo ci regala due ore abbondanti di “Stand up comedy” donandoci uno spettacolo maturo, con inserzioni ironiche e umoristiche sì, ma attento e molto intimo mentre guarda con attenzione il cammino dell’uomo attraverso l’arte, la storia e la conoscenza. Pitagora, Adamo ed Eva, Augusto, Giulio Cesare, Boccaccio, Machiavelli, Michelangelo, Darwin, Freud, Leonardo Da Vinci, Neil Armstrong… tutti personaggi storici a cui l’artista lega un aneddoto buffo sconosciuto ai più.
Tante le immagini proiettate di opere famose, come “Il sole del mattino” di Edward Hopper o “L’artista e la modella” di Jack Vettriano, l’ “Allegoria del trionfo di Venere” di Bronzino, il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck, “Il mercato degli schiavi” di Salvatore Dalí, le “Quattro stagioni” di Giuseppe Arcimboldo e le “Donne con salamandra” di Fausto Pirandello… Sono opere di artisti distanti per stile e tempo, ma paradossalmente legate da una simbologia che a prima vista sfugge allo spettatore, svelata in modo affascinante. La platea così scopre di poter vedere con altri occhi questi quadri e di coglierne il nesso in un forte messaggio che li accomuna.
Quello di stasera è uno spettacolo improntato sulla cultura ricco di aneddoti e storie interessanti raccontate con grande trasporto, come farebbe un nonno con il nipotino. Un artista che mette a disposizione del pubblico saggezza, conoscenza ed esperienza. Ci si alza soddisfatti, sorridenti, coccolati, ma soprattutto più ricchi e con qualcosa di interessante e unico da raccontare a casa.
Letrari |
Tutti conosciamo la storia, a volte distorta, comunque in gran parte rispondente a verità, del Trentino vitivinicolo, di quella parte geografica corrispondente alla Provincia Autonoma di Trento.
Ricordo che tutto ebbe inizio da quella via Claudia Augusta voluta da Cesare Augusto (nel 15 a.C.) e terminata dall’imperatore Claudio (nel 46 d.C.) per “romanizzare” i popoli dell’attuale Trentino-Alto Adige, Tirolo austriaco, Alta Baviera e Svevia. Una “via” consolare tutt’oggi preservata in parte che penetra in vigneti e, turisticamente, rappresenta un percorso storico-vinicolo molto apprezzato. E le legioni romane, nei loro spostamenti, portarono usi e costumi dell’Urbe, tra cui l’esperienza viticola allora conosciuta.
Tutto il resto è sotto i nostri occhi: la Piana Rotaliana a nord, la Vallagarina al centro-sud.
Sebbene il Trentino produca tanti vini fermi sia bianchi che rossi, oggi rivive momenti di gloria grazie ad un Signore che 150 anni fa volle concretizzare un sogno: creare in Trentino un vino capace di confrontarsi con i migliori champagne francesi. E, visti i risultati, c’è riuscito. Quest’uomo si chiamava Giulio Ferrari.
Un pioniere: è lui che per primo intuisce la straordinaria vocazione della sua terra, lui che per primo diffonde lo Chardonnay in Italia fino ad allora confuso con il Pinot Bianco.
Iniziò a produrre poche selezionatissime bottiglie, con un culto ossessivo per la qualità.
Dorigati |
Oggi lo spumante trentino ha la sua denominazione chiamata Trento Doc, creata nel 1993 e registrata nel 2007. Metodo usato “la rifermentazione in bottiglia” ormai conosciuta e conclamata in Italia come Metodo Classico.
Nei primi giorni di settembre ho deciso di immergermi nella realtà spumantistica trentina visitando quattro aziende, ritenute dal sottoscritto, rappresentative di tutto il territorio.
AZIENDA DORIGANI: scelta perché posizionata all’estremo nord del territorio. La Piana Rotaliana, con Pinot Nero e Chardonnay muscolosi, veramente nordisti. Massima espressione l’etichetta METHIUS.
Le note aziendali: “Zona di origine: fascia collinare di Faedo e Pressano a 350 - 500 m di altitudine Vigneto: il sistema di allevamento è la tradizionale pergola trentina. Ma una potatura corta e povera ed un dirado dei grappoli dimezzano la produzione altrimenti abilitata Vitigno: 60 % Chardonnay, 40 % Pinot Nero Vinificazione: in bianco con fermentazione in barrique di parte dello Chardonnay Maturazione: preparazione della "cuvée" nella primavera successiva la vendemmia.Imbottigliamento e presa di spuma lenta alla temperatura di 11°C. In bottiglia matura circa cinque anni, con periodiche rimesse in sospensione dei lieviti. Si procede poi alla fase di "remuage" sulle "pupitres".Alla fine di tale ciclo si effettua la sboccatura con aggiunta di "liqueur d'expedition". Lo spumante così ottenuto matura per ulteriori 6 / 8 mesi prima di essere commercializzato”.
AZIENDA PEDROTTI: scelta per la sua posizione a Nord di Rovereto, nel Comune di Nomi e per la sua produzione Trento Doc di nicchia. Nove tipologie di spumanti a Metodo Classico presentate in tre linee dalla diversa complessità e struttura. GROTTA DELLO SPUMANTE BATTEZZATA DA LUIGI VERONELLI: “LA CATTEDRALE DELLO SPUMANTE”. Questa cantina è un ambiente roccioso naturale,
Enantio |
contesto ideale per maturare gli spumanti ed esaltare ancor più il perlage di montagna.
Tra le numerose etichette ho scelto di riportare EXTRA BRUT RISERVA SPECIALE 1988 un prodotto raro, quasi unico, che deve la sue affascinanti caratteristiche non solo a se stesso e alla sua straordinaria longevità. Queste le note aziendali che riporto fedelmente: “ Alla sua eccezionalità hanno contribuito infatti protagonisti che ora ne fanno parte e dai quali non è possibile prescindere per capirlo e gustarlo. In primo luogo ci sono le uve, Chardonnay e Pinot Noir di eccellente qualità, provenienti da vigneti coltivati a metà montagna, con le caratteristiche di acidità e maturazione ideali per il Trentodoc. La grotta, che ha donato negli anni alle 17mila bottiglie prodotte nel 1988, e di cui ora rimane una piccolissima riserva, una temperatura costante di 13 gradi, un silenzio e un buio quasi irreali. Alla sua essenza hanno contribuito le mani di chi, con competenza e passione, ha movimentato dapprima ogni 6 mesi, e poi ogni 3 anni tutte le bottiglie, per riportare i lieviti in sospensione. E infine sopra tutti il tempo”.
AZIENDA LETRARI: scelta per la sua posizione nella piana Vallagarina e per la produzione che predilige dosaggi bassissimi. Azienda che affonda le radici nella storia del vino trentino. coltivando le uve nelle zone più altamente vocate della valle. Riporto dalle note aziendali di presentazione: “Noi elaboriamo con naturalezza, grazie ad un'esperienza maturata in oltre mezzo secolo di vendemmie. Papà Leonello è considerato un fondatore della spumantistica trentina, le sue prime bottiglie di risalgono infatti al 1961. Non è un vino della consuetudine: nasce dalla caparbietà e dall'autorevolezza del cantiniere abbinata alla sapienza del vignaiolo. Noi possiamo vantarle entrambe”.
Pedrotti |
Sulla base di queste affermazioni come non ricordare la Riserva del Fondatore. “E’ il vanto della nostra ‘maison’, una riserva che vuole essere decisamente esclusiva. Oro lucente, che alla vista onora subito la sua classe, con una gamma di fragranze di rara eleganza, note di nocciole mature a percepire l’essenza delle mele di montagna, pure della pesca, arachidi tostate e zenzero. Il sorso è cremoso, un mix di rotondo equilibrio tra sapori agrumati e l’incontenibile ampiezza della crema pasticcera, con il limone candito che mitiga e rilancia tutta la finale, interminabile complessità organolettiche”. AFFINAMENTO SUI LIEVITI 120 mesi. Vini base in barriques e conversione malolattica avvenuta.
AZIENDA ROENO: perché la sua scelta. Ci troviamo sul confine con la Regione Veneto. L’azienda e la cantina si trovano oltre il confine (Veneto), mentre i vigneti “spumantistici” in Trentino, zona Trento. Terroir diverso e maturazioni posticipate. Leggo e faccio proprio: “La famiglia Fugatti rappresenta una somma di sentimenti che la memoria ha tramandato, oltre il legame del sangue. Un albero i cui tanti rami hanno indicato la strada da seguire, in cui rispetto e umiltà rappresentano i valori da non dimenticare. Più a Nord invece, raggiungono la provincia di Trento, rientrando quindi nel disciplinare del Trentino Doc”.
Interessanti i due aspetti: la scoperta di “certi” vini fermi unici (Enantio in particolare) e gli spumanti dalla veste interiore unica. E di questi spumanti ricordo DÈKATOS, metodo classico millesimato 2012, 100% chardonnay. Spumante di sostanza e ispirazione, trasformato in identità di territorio. Lunga permanenza sui lieviti (100 mesi) per connotare e cesellare uno stile unico. “Dekatos respira l’arte e il vento delle latitudini trentine, dove la vocazione per i grandi Metodi Classici ha permesso di scrivere pagine importanti all’interno della storia enologica italiana”.
Prendo a prestito quest’ultimo pensiero trasmessomi da Cristina Fugatti, titolare dell’azienda Roero, per chiudere questo mio viaggio in Trentino, terra di spumanti.
Ops, dimenticavo: delle quattro visite ben tre sono gestite da imprenditrici femminili (Pedrotti, Letrari, Roero). Forse il Trento Doc è diverso anche per questo? Chapeau!!!
Urano Cupisti
L’Elettra è un piccolo, minuscolo e delizioso teatro a due passi dal Colosseo, che stasera ospita la storia di tre donne.
Hanno età diverse ed estrazione sociale ed esperienze di vita molto lontane, ma anche qualcosa in comune: il carcere per aver compiuto lo stesso reato. La prigionia allora le obbliga ad una condizione di stretta “vicinanza”, da cui il titolo.
Entrano in sala e si dispongono davanti al sipario chiuso, di fronte al pubblico, con spavalderia, come se dovessimo giudicarle noi, e con molta onestà e sfrontatezza si confessano.
Sono vestite di nero, impettite e con aria di sfida. In un monologo ci spiegano chi sono e cosa hanno fatto, come dovessero sostenere un interrogatorio davanti ad un’autorità giudiziaria. Lo spettatore viene allora trasformato in giudice mentre le ascolta, sobbarcandosi l’onere di giudicarle. Forse sperano di ricevere quella comprensione che non hanno avuto, e un giudizio diverso da quello della legge e dela società.
I tre monologhi sono molto intensi, già dopo poche parole abbiamo un quadro completo delle donne.
Tiziana è una prostituta che ha ucciso un cliente da cui si sentiva minacciata; Franca ha ammazzato il marito che la tradiva e sfruttava; Giovanna si è macchiata di omicidio nei confronti di uno sconosciuto che voleva abusare di lei.
La proposta sembra andare controcorrente in questi giorni in cui non si fa altro che parlare di femminicidio e della triste e cruenta fine di Giulia Cecchettin, da cui continuano ad emergere particolari sempre più raccapriccianti. In ognuna delle storie l'orco, almeno in apparenza, sembra essere la donna, ma in realtà è una vittima. Le tre hanno reagito istintivamente per proteggersi, seppur attraverso un atto riprovevole.
Nel trascorrere dello spettacolo realizziamo che Tiziana è una donna temprata dalla vita, calma, posata, in parte rassegnata, che ha maturato una certa stabilità espressa con i suoi atteggiamenti comprensivi e materni. La gestualità, l’espressività e soprattutto la cadenza della voce risultano sempre pacate e controllate.
Franca è la più fragile ed instabile; soffre di attacchi di epilessia che si manifestano quando è sottoposta a forti stress emotivi. È molto ansiosa ed insicura e lo dimostra con atteggiamenti infantili, nascondendosi dietro alla sua immaginazione e cercandovi rifugio. Interroga i tarocchi per conoscere il suo e l’altrui futuro. Vive così una vita parallela in cui si rifugia rifiutando il suo passato.
Giovanna si dimostra ancora sociopatica, scontrosa, apparentemente dura e coriacea. Nasconde però una fragilità e una profonda sensibilità che probabilmente avverte come punto debole, perciò vi costruisce sopra una corazza impenetrabile da cui però trasuda la sua vera natura.
Tutte e tre le donne hanno anche questo in comune: un grande e profondo trauma. Come degli animali selvatici, messe con le spalle al muro, alle angherie di un uomo hanno reagito nel peggiore dei modi: l’omicidio. Paradossale e stridente soluzione, se si pensa che la donna è quella votata a donare e preservare la vita…
Le tre, terminata la loro arringa-confessione, si girano di spalle come per chiudere il rapporto con lo spettatore, che evidentemente rappresenta la sorda ed insensibile società giudicante che le ha ostracizzate. La regia le fa spogliare dei loro abiti civili come fossero una divisa che integra nella società, e glieli fa lasciare a terra proprio davanti ai nostri piedi, piedi come quelli che ne hanno calpestato i diritti. Le loro scarpe, nere e non rosse, vengono ben allineate vicino a quella “pelle sociale” dismessa, riconducendoci al simbolo della violenza sulle donne. Forse attraverso il colore nero vogliono alludere lutto, alla morte sociale. Nel carcere infatti si viene dimenticati, ci si trasforma in un numero della statistica e si perde il diritto ad esistere come membro della società. Questo rito di iniziazione spoglia l’essere umano della sua personalità per poi abbandonarla in uno stato subumano senza diritto di replica.
Sono delle sopravvissute ad una società maschilista e con il loro gesto di ribellione estrema hanno infranto non solo la legge, ma anche la morale comune, quella che vuole la donna succube e silenziosa.
Il tribunale le ha condannate, come è giusto che sia, ma nessuno ha tenuto conto che il loro tremendo errore è stato dettato dal disperato tentativo di rompere gli schemi precostituiti e di rifiutare il ruolo di vittime sacrificali e capri espiatori della società maschilista.
Nonostante la loro diversità, hanno in comune una profonda solitudine esistenziale e manifestano il bisogno di comprensione, e chi può capirle meglio se non loro stesse? Riescono così a creare una forte unione, e anche se non mancano dissidi e crisi, rimangono un gruppo compatto. Nel loro rapporto si palesano ancora di più i ruoli: Tiziana, privata dei figli, si comporta come una madre comprensiva soprattutto con Franca, delicata e un po’ svampita, sempre con i calzini spaiati, persa dietro a inutili e strane congetture; è invece comprensiva con Giovanna, che come una pecora nera rifiuta per non essere rifiutata e tiene tutti a distanza con fare rabbioso e scostante.
La scenografia ricostruisce una cella in maniera molto realistica, donandole un immagine sciatta e trasandata di contenitore di vite sprecate. Ci sono pochi oggetti che le tre condividono rivelandone il potere di catalizzatore e collante. Ci troveremo immersi nei loro bisticci, negli scherzi, nelle crisi, condividendone le speranze e gli sfoghi.
Quello che emerge è che a dover essere incarcerato è tutto il sistema che hanno avuto intorno, che non ha saputo proteggerle costringendolo a difendersi da sole nel peggiore dei modi e a precludersi ogni speranza di comprensione e redenzione.
Le attrici spingono molto sui loro personaggi per marcarne le differenze e farne spiccare il carattere, le debolezze e le speranze. Una musica ripetitiva e ossessiva le accompagnerà sempre, soprattutto per sottolineare momenti salienti o spezzare le scene. Suggestivo l’uso delle luci che crea pathos e tensione, in special modo quando escludono tutto l'ambiente circostante ed immortalano i personaggi per esaltarne la coscienza messa a nudo.
Un’accurata regia dirige le attrici che si muovono dinamicamente sfruttando ogni minima parte del palco, e le spinge a esternare tutte le loro capacità recitative.
La storia è drammatica, ma non manca di tenerezza e di qualche sorriso, l’epilogo invece è assolutamente inaspettato.
“Vicinanze”
Di Massimo Cardinali
Regia di Ines Le Breton
Luci e suoni di Alberto Buccolini
Con Maria Adelaide Terribili (Tiziana), Nicoletta Conti (Franca), Violetta Rogai (Giovanna).
Cinquantaquattresimo notiziario settimanale di lunedì 4 dicembre 2023 degli italiani di Russia. Siamo alla settimana del 4–10 dicembre 2023. Buon ascolto e buona visione.
Il 27 novembre 2023 ad un forum internazionale a Mosca, “Letture di Primakov”, Sergej Lavrov aveva concluso il suo intervento con una frase piuttosto emblematica da una nota canzone sovietica: «и вновь продолжается бой». Tradotta letteralmente in italiano, la rendo con “E la lotta continua”.
Che voleva dire? Lo si è capito appena tre giorni dopo, quando, a Skopje, in Macedonia, è intervenuto al Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
In Russia è stato arrestato in contumacia l’addetto stampa della società americana Meta. “Le forze dell’ordine hanno scelto una misura preventiva sotto forma di detenzione nei confronti di Andy Stone, accusato di facilitare attività terroristiche sfruttando la sua posizione ufficiale. Rischia fino a 20 anni di carcere. E’ già stato inserito nella lista dei ricercati internazionali.
L’FSB della Russia ha arrestato un cittadino della Russia e dell’Italia coinvolto in atti di sabotaggio terrorista ai danni di infrastrutture militari e di trasporto della regione di Rjazan’. Nato nel 1988, ha reso testimonianza per cui nel febbraio 2023 a Istanbul (Turchia) fu reclutato da un dipendente della principale direzione dell’intelligence del Ministero della Difesa dell’Ucraina, dopo di che seguito una formazione di sabotaggio nella città di Yekabpils (Lettonia) con la partecipazione diretta dei servizi speciali lettoni ed è tornato nel marzo 2023 nella città di Rjazan’.
La settimana scorsa ho riportato una serie di considerazioni su argomenti che non sospettavo avrebbero suscitato tanto clamore, con financo sterili delazioni in perfetto stile del ventennio fascista.
Esistono in Russia, compresa quella illegalmente occupata dai nazifascisti ucraini finanziati ed addestrati dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dall’Unione Europea, varie città che hanno lo status di città-eroe, per avere resistito all’occupazione nazifascista tedesca, lasciando sul campo 27 milioni di morti sovietici. A ridosso del Cremlino, nei giardini Alessandrini, da allora, davanti al fuoco eterno al milite ignoto, esiste il picchetto d’onore.
Stavolta, tanto per far imbufalire ulteriormente gli haters, gli odiatori da salotto e i delatori da divano, vi propongo una canzone di un secolo fa, molto in voga durante la guerra civile del 1919-1922, si chiama «Красная Армия всех сильней», “L’Armata Rossa è la più forte di tutti”. L’esecuzione però è di un gruppo contemporaneo molto noto in Russia, Ljube, dieci anni fa. E’ un’esecuzione dal vivo in piazza Rossa, attraggo la vostra attenzione su quanta gente vi si sia radunata.
Nell’estrema periferia romana, sulla Salaria vicino all’aeroporto dell’Urbe troviamo, lontano dalle mete abituali, questo originale centro. Si tratta di una ex cartiera trasformata in polo culturale. Siamo accolti da uno staff sorridente ed ospitale che ha preparato in un angolino qualcosa di caldo da bere per gli ospiti. Un ampio corridoio e una sala enorme sono utilizzati per una mostra temporanea di quadri.
Nella sala che ospita il teatro ogni fila è posta su un piano superiore in maniera da permettere una buona visione dello spettacolo ad ognuno.
Stasera avrò modo di vedere una replica rodata, visto che lo spettacolo è già proposto da tempo su questo stesso palco.
Del Riccardo III di Shakespeare va in scena la stesura originale, con qualche taglio per renderla più fruibile e scorrevole e un’ambientazione alquanto originale.
Non amo particolarmente le riproposizioni di originali storici in ambientazioni e costumi fuori epoca, preferisco solitamente la fedeltà all’originale con costumi coevi. Quindi lo ammetto, sono venuto con i piedi di piombo, ma ho lasciato comunque sulla soglia dell’entrata ogni mio preconcetto per cercare di essere oltremodo obiettivo.
Pur stridendo con i miei gusti, questa serata si presenta invece assolutamente interessante. Troviamo un’atmosfera onirica e surreale grazie all’uso di pareti di un bianco accecante. L’iniziale aspetto asettico si trasforma con un’illuminazione che via via è sempre più suggestiva, con l’inserimento a volte di colori tenui, a volte più forti a sottolineare la tensione delle scene.
Il tutto è amplificato da una colonna sonora per lo più fatta da musica classica con inserzioni di brani più moderni.
Gli attori e gli spettatori si trovano così inghiottiti in una scena innovativa, composta da pannelli mobili e scorrevoli movimentati con grande perizia, atti ad ingrandire o rimpicciolire suggestivamente l’ambiente che ricorda la scenografia di “2001 Odissea nello spazio”, o che si ispira ai quadri metafisici di Giorgio De Chirico.
Lo spettatore è suggestionato da questa mirabile scenografia che racchiude il palco in una sorta di scrigno sospeso in un non tempo e lo trasforma in testimone dell’ascesa al potere di Riccardo, duca di Gloucester, ultimo sovrano inglese della casata degli York.
Il monarca regnò dal 1483 al 1485, quando morì ucciso in battaglia da Enrico Tudor.
Dai ritrovamenti archeologici risulta che fosse deforme, e infatti era soprannominato “Il fermo” per la disabilità che lo impediva nei movimenti. L’immagine di questo monarca è tuttora controversa, Shakespeare lo presenta sotto le vesti di un grande maestro dell’inganno.
Pietro Faiella si adegua a questa visione restituendoci un re che fa il verso al Roy Batty, l’androide di “Blade Runner interpretato dall’ indimenticabile Rutgher Hauer, e a Grima Vermilinguo, l’ispido consigliere del re Theoden nel “ il Signore degli anelli” interpretato da un magistrale Brad Dourif. Il costume che indossa ricorda quello del comandante Ed Straker interpretato da un insolito ed androgino Ed Bishop nella serie fantascientifica “UFO” degli anni ’70.
Tutti i costumi degli attori si rifanno ad un'immagine per lo più fantascientifica inquinati da inserti che rimandano al periodo classico. Sono di fantasia, ma di indubbia qualità e particolarmente evocativi. Tutti in tinta unita, scarpe comprese. I loro colori sembrano voler esternare l’essenza di ogni personaggio, senza donargli volutamente delle sfumature caratteriali.
Insieme al protagonista si muove tutta una pletora di personaggi sviliti e umanamente discutibili, corrotti dal potere e dall’ ambizione.
L’ambientazione gioca un ruolo determinante trasmettendo efficacemente forti sensazioni.
Il mix tra suoni e colori serve a disorientare ed infastidire continuamente il pubblico, e anche la recitazione cerca di indurre una forma di repulsione nello spettatore, la stessa che emanano la maggior parte dei personaggi con le loro vicende.
Riccardo III viene rappresentato in tre fasi: ascesa, elezione e caduta, in cui Pietro si trasforma camaleonticamente rappresentandosi sempre come emblema della più decaduta corruzione morale, che ben si sposa con la sua spiacevole presenza fisica. Profondamente bieco e manipolatore, nella prima fase è un subdolo e viscido arrivista; nella seconda uno sprezzante monarca; nella terza scivola nella più profonda viltà e codardia.
Pietro veste talmente bene i panni di questo personaggio così meschino, opportunista, falso, fastidioso e vigliacco da arrivare ad infastidire con la sua bravura.
Con lui sul palco orbitano ben sedici figure che si muovono tra inganni e tranelli, interpretati da altri otto validi attori e attrici.
Interessante è il divario creato tra le figure maschili e femminili. Gli uomini cercano di prevaricare e di imporsi tra loro, rendendosi servili e ruffiani, e interpretano più personaggi. Questa scelta registica forse vuole sottolineare l’ambiguità maschile nella storia. Le donne interpretano invece un unico personaggio che rende così la figura femminile più stabile e naturale mentre cerca di preservare i propri amati e di piangerne i destini.
A dispetto del gruppo maschile, quello femminile crea una particolare e compatta uniformità da cui sprizzano speranza e disperazione ma anche una grande forza d’animo. Appaiono struggenti, romantiche e passionali e il loro fascino, seppur costantemente schiacciato dalle vicissitudini, traspare timidamente nei gesti e nelle esternazioni.
Luca Ariano si rivela un regista attento, che volge lo sguardo all’avanguardia portando il suo Riccardo III nel futuro, ambientandolo in uno spazio vuoto ma dinamico anche se privo di oggetti. Muove magnificamente i suoi attori in questa dimensione claustrofobica ed asettica che pare voler imprigionare i personaggi che, come un demiurgo, sposta per sfruttare ogni angolo e creare dei suggestivi quadri sulla scena.
Faiella è il protagonista indiscusso, ha la parte del leone, è il burattinaio che muove i fili del destino di tutti. Con gesti altezzosi, nonostante la mano storpia, si muove con eleganza dirigendo a suo piacimento luci, personaggi e scenografia.
Il resto del cast non è da meno e crea con lui un magico e drammatico contorno, fatto di perfette interazioni. Uno spettacolo ricco di fascino con un cast preparato e perfettamente affiatato.
Spazio Citylab 972m,“Riccardo III” - Progetto di Luca Ariano e Pietro Faiella
Regia di Luca Ariano
Adattamento e aiuto regia Natalia Magni Scenografia Luca Ariano con la collaborazione di
Alessandra Solimene Costumi Elisa Leclè Luci Luca Ariano
Assistente alla regia
Tessa Perrone
Responsabile di Produzione Romina Delmonte
Ufficio Stampa Viola Sbragia
Produzione Officina Teatrale di Massimo Venturiello
Con: Pietro Faiella (Riccardo III), Roberto Baldassari (Clarence, Hastings, Sindaco) Gilda Deianira Ciao (Elisabetta), Romina Delmonte (Margherita), Luca Di Capua ( Catsby, sicario)
Lucia Fiocco (Lady Anna), Mirko Lorusso (Rivers, Stanley), Liliana Massari (Duchessa), Alessandro Moser (Buckingham, sicario)
Tiziana Raciti |
Tiziana Raciti è una cantante professionista di Priolo Gargallo della provincia di Siracusa. Canta dall’età di sei anni, e i suoi genitori, dopo aver notato la sua predisposizione artistica, acconsentirono che partecipasse alle manifestazioni nelle varie località della sua provincia. A 12 anni Tiziana si presentò al festival degli sconosciuti patrocinato da Teddy Reno e Rita Pavone, i quali dopo aver visto le qualità della giovane cantante, le consigliarono di rimanere a Roma.
Nella capitale Tiziana avrebbe avuto sicuramente maggiori opportunità per crescere sia professionalmente che vocalmente, ma i suoi genitori vista la sua giovane età rimasero irremovibili e non acconsentirono. A 18 anni Tiziana sostenne un provino alla Rai per il programma “Non è la Rai”, riscuotendo consensi dallo staff e da parte di Boncompagni, ma anche in questo caso i suoi genitori non se la sentirono di lasciarla da sola a Roma.
Una volta ritornata in Sicilia, Tiziana proseguì negli studi e poi partecipò a Messina alle selezioni regionali, “una voce per Sanremo”, che si svolgevano in quattro serate. Sul podio salirono cinque, sei ragazze su 200 partecipanti, Tiziana riuscì nell’impresa, così a vent’anni conquistò l’Ariston e partecipò a “una Voce per Sanremo”. Ritornata a casa, Tiziana proseguì con impegno la sua carriera artistica, si guadagnò una meritata notorietà e ricevette tante proposte per ospitate in tv.
Un autore dopo averla sentita, le propose di cantare un suo inedito, “la favola di Arianna” che la fece definitivamente conoscere al grande pubblico e si rivelò una bellissima esperienza.
Grazie ai suoi brani pubblicati sul web e in particolare su digital store, ricevette grande visibilità a livello nazionale ed internazionale. Abbiamo incontrato Tiziana per conoscerla più da vicino ed è sorta una piacevole conversazione.
Tiziana nell’arco della tua carriera hai avuto delle meritate gratificazioni, ce le puoi parlare?
Ho avuto tantissimi consensi tra i quali posso ricordare il premio “Cartagine” e il “Premio eccellenza artisti”. Un’altra grande soddisfazione è stata quando ho ricevuto il Premio Colosseo d’Oro. Nell’ambito di quell’evento ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere Gisela Lopez Montilla che oltre ad essere una bravissima cantautrice è un’artista completa a 360 gradi. Ci siamo trovate subito in sintonia ed è nata una bellissima collaborazione dal momento che mi ha fatto interpretare il suo capolavoro. Si tratta del brano musicale “Run, run, run “ che ho inciso e si trova su tutte le piattaforme. Questo pezzo musicale è stato poi proposto a Sanremo Senior e il destino ci ha consentito di superare le selezioni. Siamo riusciti ad arrivare in finale, tra i primi venticinque finalisti, scavalcando più di 900 concorrenti.
Purtroppo è successo qualcosa di imprevedibile come il decesso di tua madre e non sei riuscita a presentarti a Sanremo vero?
Il caso ha voluto che mia madre nei giorni precedenti la partenza per Sanremo si è aggravata e questa circostanza oltre al fatto che è venuta anche a mancare, mi ha impedito di poter partire. Giustamente ho informato i componenti della Direzione del Sanremo Senior che sono stati comprensivi e mi hanno garantito che dal momento che è una giusta causa, mi hanno conservato la finale per l’anno prossimo. La perdita di mia mamma ha lasciato in me un vuoto incolmabile, però io avverto in un certo senso la sua presenza, con una forza dietro, che non mi permette di lasciarmi andare. I miei genitori mi hanno cresciuta con la musica ed è grazie a loro che ho acquisito la forza per andare avanti.
Adesso c’è un nuovo singolo alle porte da mettere sotto l’albero di Natale per questo fine 2023 e che allieterà i tuoi fans. Ce ne puoi parlare?
Il nuovo pezzo musicale è Melody nasce dalla collaborazione tra l’autore di testi palermitano Fabrizio Clemente e Loris Federici (musicista e compositore) che ha curato l’arrangiamento musicale del brano. Fabrizio sono anni che mi segue e mi apprezza. Precedentemente mi aveva inviato tanti brani, in modo che io li esaminassi, il destino ha voluto che quando ho sentito questo suo ennesimo pezzo musicale, ho captato subito che era quello giusto da poter proporre. Melody tratta un tema introspettivo che riguarda l’amore verso la melodia, le note e la musica in genere. Sono sicura che piacerà e lo dedico a tutti i miei fans e a tutte le persone che hanno creduta in me.
Grazie Tiziana Raciti
Che i soldati ucraini morti in guerra siano centomila o trecentomila o cinquecentomila non lo so ed e' difficile appurarlo poiche' sinora non ci sono cifre ufficiali.
Così come non vi sono cifre ufficiali per i russi caduti al fronte (stimati fra cento e oltre duecentomila).
Per non parlare dei feriti e mutilati, e delle migliaia di vittime civili nel Donbass ucraino di etnia russa morti dal 2014 sotto il fuoco di Kiev, e delle centinaia o migliaia di vittime civili ucraine a causa del fuoco missilistico e di artiglieria russo sin dal 2022.
Se la UE e la NATO e gli USA non avessero sostenuto il regime di Kiev ma avessero cercato di mediare nel conflitto - invece di inviare armi e sanzionare - il conflitto non sarebbe mai iniziato - forse - e quasi certamente sarebbe già finito.
Oltre duecentomila giovani e uomini - fra i 18 e 50 anni di età - sono morti nella guerra fra Russia e Ucraina in poco più di due anni di guerra. Questo mi rattrista, sia per il popolo ucraino sia per quello russo.
Una cifra incredibile, se si pensa che nella guerra del Vietnam i soldati americani che caddero al fronte furono poco meno di settantamila (a fronte di oltre un milione di vittime militari e civili nel Vietnam, ma in quasi dieci anni).
Che dire?
Che i Mass media e le classi dirigenti europee - non solo quelle americane - sono corresponsabili di questa carneficina Per la manipolazione mediatica, per la omissione storica degli avvenimenti e la censura praticata sin dal 2016, per il clima di russofobia creato ad arte contro la cultura russa (mai nulla di simile di e' visto contro la cultura americana ad esempio, nella guerra del Vietnam o in quella dell'Iraq) e per la mancanza di rispetto per la diplomazia e le regole e il diritto internazionali, e il totale disprezzo e ignoranza del più autentico significato del primo comma dell'art 11 Cost. e dell'art 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Contrariamente a quanto sbandierato da giornali e televisioni, non tutti i giuristi sono concordi sul fatto che inviare armi alla Ucraina sia costituzionalmente legittimo.
Fra chi è critico vi è la costituzionalista prof.ssa Lorenza Carlassare, Professore emerito di Diritto Costituzionale a Padova.
Riguardo all'intervento militare speciale iniziato da Mosca nel febbraio 2022, esso e' stato giustificato dalla Federazione Russa invocando proprio l'art 51 della Carta delle Nazioni Unite, per la protezione di interessi vitali per la sicurezza della propria integrità territoriale e sicurezza dei propri cittadini (minacciati dal progressivo allargamento dei membri NATO nelle ultime due decadi e delle continue provocazioni delle esercitazioni militari NATO condotte a poca distanza dai confini russi), e di quelli di etnia russa residenti nel Donbass ucraino, vittime a migliaia nel corso della guerra civile con il governo ucraino, di fronte alla quasi indifferenza della comunità internazionale sin dal 2014.
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali(...)"
Art 11 Cost.
"Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale."
Art 51, Carta delle Nazioni Unite 1945