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L’Italia sta prendendo la giusta strada per la protezione dell’ambiente? A vedere il Rapporto sull’efficienza e la decarbonizzazione preparato dall’Ispra (Istituto per la protezione ambientale) si direbbe di sì: stiamo andando benone. E questo nonostante gli allarmi sull’inquinamento delle città che accusano sindaci ed amministratori di non fare ancora abbastanza. La polemica sollevata sul decoro urbano di Roma da Carlo Calenda contro il sindaco Roberto Gualtieri le rappresenta un po’ tutte.
Andiamo incontro ad un’altra estate di caldo ed afa, dicono i meteorologi, perché l'Italia resta uno dei Paesi più esposti alle variazioni climatiche. Ma secondo il Report dell'Istituto ambientale abbiamo raggiunto “un’elevata efficienza energetica ed economica”. Dal 2015 al 2021 le emissioni di gas serra sono scese del 27% a fronte di un consumo di corrente elettrica ridotto del 16%. Sono percentuali riferite ad unità per PIL che indicano che il nostro ambiente non solo migliora, ma produce anche risparmi. L‘”Efficiency and decarbonization indicators in Italy and in the biggest European countries” (questo il nome del documento Ispra) ha studiato tutti settori industriali che stanno passando alle rinnovabili. Va detto, tuttavia, che mentre gli investimenti pubblici non sono ancora ai livelli sperati, l'Italia è al secondo posto in Europa- dopo la Svezia- per la quota di consumo interno lordo: 19,4% contro una media del 17,7%. Anche in agricoltura le cose vanno piuttosto bene con le aziende che affrontano le rinnovabili con biometano o altre fonti green. Le performances nel terziario non sono buone. In un solo anno, da Bolzano a Trapani, abbiamo immesso in atmosfera 24 tonnellate di CO2 per ogni miliardo di valore aggiunto prodotto. In altre parole quando creiamo ricchezza ci sono parti della nostra economia che continuano ad inquinare. È lo stesso Ispra a dirci che « l’industria e l’agricoltura rappresentano un’assoluta eccellenza in Europa. Per settori come il residenziale, i servizi e i trasporti ci sono ancora ampi margini di miglioramento ».
Siamo al che fare? L’orizzonte è politico e industriale. Ma industriali e banchieri, in genere, non si muovono se la classe di governo ha idee confuse o è solo linguacciuta. Il governo di centrodestra da fine 2022 ha messo in campo alcune iniziative, diciamo trasversali, per andare avanti verso gli obiettivi ambientali al 2030. Il cammino, però, è lento e per questo due documenti non sono più rinviabili: il Piano integrato clima e ambiente e il Decreto Fer 2 sulle rinnovabili. Sul primo, il governo è in spaventoso ritardo, sebbene a cadenza più o meno mensile riceva proposte di aggiornamenti e integrazioni da parte di associazioni ambientaliste serie e responsabili. Orecchie tappate. Il secondo provvedimento è stato inviato alla Commisione europea a marzo e Giorgia Meloni e il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin farebbero bene a sollecitarne la valutazione.
Si tratta – conclude l’Ispra nel suo rapporto – di “risultati coerenti con la preoccupante distanza delle proiezioni italiane dall’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030, poiché gli obiettivi nazionali riguardano solo i settori disciplinati dal regolamento sulla condivisione degli sforzi di riduzione tra gli Stati europei”. Se l’Ispra dice che dal 1995 al 2021 le emissioni sono cresciute meno dell’economia, dobbiamo augurarci che l’economia continui a crescere e che le emissioni scendano ancora più velocemente rispetto ai sei anni passati. Bisogna mettersi al lavoro per investire su tutte le fonti rinnovabili e sulla ricerca, non compiacersi dei numeri dei report istituzionali, per quanto ben fatti. Lo scacchiere del clima, dell’ambiente e dell’energia è quello mondiale, dove Giorgia Meloni vuole avere più autorità. Fa bene perché rappresenta un grande Paese. Ma inizia a fare cose indispensabili in casa propria per il bene (tangibile) dei cittadini e per quelli che vogliono investire, ma sono in stand by .