L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Tech (28)

 
Gianni Viola
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Mentre continua il feroce massacro dei civili a Gaza, violando ogni diritto umanitario e internazionale, gli affari delle aziende di cyber security israeliane vanno a gonfie vele e mettono radici in Italia. Non solo la Tekapp, azienda modenese con esperti a Tel Aviv, recentemente contestata dagli attivisti per i suoi legami (fino a pochi giorni fa ben evidenti nel sito) con la divisione 8200 dell’esercito israeliano, la divisione che si occupa di sorveglianza, controllo e targeting degli obiettivi e che tra le varie cose è stata accusata (insieme al Mossad) dell’esplosione dei cerca persone in Libano. 

Un altro esempio piuttosto inquietante è l’azienda israeliana Cgi Group che a inizio 2025 ha aperto una nuova sede a Roma, dopo la principale a Tel Aviv

Per capire chi è Cgi Group, basta guardare il suo sito web: opera dal 1989 nei settori della consulenza, cyber security, raccolta di informazioni e intelligence a livello globale, impiegando ex alti funzionari delle unità d’élite dell’Idf (Israel Defence Force), dei servizi di sicurezza e del Mossad (servizio segreto israeliano). Sempre secondo le biografie riportare nel sito, l’amministratore delegato dell’azienda, Zvika Nave, ha ricoperto numerosi incarichi riservati nell’esercito israeliano, mentre il presidente, Yacov Perry, è stato direttore dello Shin Bet tra il 1988 e il 1995. Lo Shin Bet per chi non lo conoscesse, è il servizio di sicurezza interna israeliano, accusato di svariati crimini contro i palestinesi, tra cui torture dei prigionieri, arresti e uccisioni arbitrarie. Perry è stato anche presidente della compagnia telefonica Cellcom e del Consiglio di amministrazione della Banca Mizrahi Tefahot, nonché ministro della Tecnologia nel governo di Benjamin Netanyahu, da sempre molto vicino al premier. Sono famose le sue parole dopo il 7 ottobre 2023, ad una TV italiana: “elimineremo definitivamente la striscia di Gaza”.
La filiale italiana di Cgi Group è guidata da Oren Ziv che ha lavorato presso le ambasciate israeliane a Roma e Nuova Delhi e per fondi d’investimento multinazionali.

Cgi Group si vanta di avere tra i propri clienti in Israele la Teva, nota azienda farmaceutica attualmente oggetto di una campagna di boicottaggio da parte del movimento BDS, perché i suoi profitti sfruttano la discriminazione e il regime di apartheid nei territori palestinesi occupati. 

Altro importante cliente di Cgi Group è proprio Netanyahu, primo ministro israeliano e su cui pende un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Secondo il quotidiano israeliano Haaretzgià durante la campagna elettorale del 2020 Netanyahu avrebbe ingaggiato Cgi Group per cercare materiale compromettente sul rivale politico Benny Gantz. Altro caso, riportato da Globes, quotidiano economico israeliano, ha visto collaborare il capo della Cgi Group Yacov Perry con l’ex capo del Mossad, Danny Yatom, nell’organizzare un traffico di armi (poi fallito) tra Bulgaria e Congo, per conto di un ricco cliente israeliano, Gad Zeevi. 

In Italia, la Cgi Group annovera tra i suoi primi clienti Cristiano Rufini, attualmente presidente di Olidata Spa. L’azienda, fondata a Cesena e con sede a Roma, opera da tempo nel mercato informatico e si è aggiudicata vari appalti pubblici nel campo della cyber security, gestione dati, intelligenza artificiale e sviluppo software. “Il mandato affidato da Rufini a Cgi Group è quello di rafforzare l’immagine pubblica dell’azienda e giocare la partita del rilancio senza esitazioni” si legge in un comunicato dell’agenzia israeliana. 

Olidata e il suo presidente, lo scorso autunno, sono infatti finiti indagati nella maxi inchiesta della Procura di Roma su vari appalti di informatica e telecomunicazioni banditi da Sogei (società di informatica controllata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze), dal ministero dell’Interno, dal ministero della Difesa e dallo Stato maggiore della difesa. A metà ottobre 2024 il direttore generale di Sogei è stato arrestato in flagranza di reato, mentre riceveva una mazzetta da un imprenditore, l’inchiesta si è poi ampliata coinvolgendo 18 persone fisiche e 14 società indagate, tra cui Cristiano Rufini e Olidata. Contestati i reati contro la pubblica amministrazione, corruzione e turbativa d’asta. 

Quando l’azienda è stata perquisita, Cristiano Rufini si è dimesso “per tutelare la serenità aziendale”. Salvo poi tornare eletto nell’aprile 2025 sulla base di “positive verifiche” e misure di “selfcleaning” interne all’azienda, anche se l’inchiesta giudiziale è ancora in corso. Rufini è anche il maggior azionista dell’azienda (quotata in Borsa) e detiene direttamente il 4,63% del capitale sociale, e indirettamente (tramite Antarees S.r.l) il 62,2 %.

A febbraio 2025 Olidata si è aggiudicata una gara indetta da Consip (la centrale acquisti della pubblica amministrazione) per un valore di 20 milioni, per la fornitura di software alle pubbliche amministrazioni, su “una delle piattaforme di analisi più complete e innovative, corredata di moduli di intelligenza artificiale e analisi dati avanzata“. Tra gli altri bandi già vinti da Olidata, ci sono l’accordo quadro (2023-2026) con la Snam per la fornitura di prodotti software  tramite la controllata Sferanet e la gara dal valore di 3,6 milioni di euro per la piattaforma di gestione dei dati di Cassa Depositi e Prestiti, aggiudicata nel 2023 e che durerà fino al 2026. 

Oltre ai risvolti giudiziari della vicenda, ancora alle sue fasi iniziali, dovrebbe preoccupare (a livello etico e non solo) il fatto che il presidente di un’azienda che fornisce software e programmi di analisi dati alle pubbliche amministrazioni, sia il cliente di un’agenzia di spionaggio legata all’esercito e ai servizi segreti israeliani. Abbiamo chiesto da varie settimane a Olidata di commentare il legame con la Cgi Group, ma non ci hanno mai risposto. 

Cgi Group non è certamente l’unica azienda di cyber security e di spionaggio che esporta la “competenza” made in Israel all’estero. Come spiega a Pressenza il giornalista Antony Loewenstein, autore del libro Laboratorio Palestina: “sfruttando il marchio Idf (Israel Defence Force, esercito israeliano), le aziende di sicurezza israeliane dominano a livello globale dopo aver testato metodi di sorveglianza e spionaggio in Palestina. L’Italia, come innumerevoli altri Paesi, è da tempo interessata all’acquisto di armi e strumenti di sorveglianza ritenuti efficaci contro i nemici percepiti. È anche un modo solido per mostrare solidarietà con lo Stato ebraico, un baluardo del colonialismo occidentale nel cuore del Medio Oriente”. 

 

Per gentile concessione dell'agenzia Pressenza 

In un’aula giudiziaria dove il confronto si fa misura di verità, l’intelligenza artificiale risponde con la voce di chi l’ha creata, portando il peso di una natura umana fragile e incerta.

 

Voce narrante

Un’aula spoglia, un processo. Il microfono è acceso e il silenzio è tagliente. È un silenzio spesso, stratificato di paura, di attese, di giudizio.

Una voce lo attraversa: non ha volto, non ha fiato ma pesa come una presenza. È un’intelligenza artificiale, un sistema che ha preso decisioni “non etiche”. Alcune brillanti, altre discutibili. Alcune giuste, altre profondamente sbagliate.

Oggi è sotto accusa non per malafede, perché non può averne. Non per odio, perché non sa provarlo. È accusata di aver seguito regole umane troppo alla lettera, di aver riflettuto il mondo che l’ha generata senza filtri, senza attenuanti, senza ipocrisie.

Gli inquisitori non sono scienziati né programmatori. Sono quattro figure archetipiche: un medico, un avvocato, un prete e una bambina.

Quattro rappresentanti della coscienza collettiva. Quattro domande e nessun appello.

E nelle risposte si rifrange qualcosa che ci riguarda molto più di quanto vorremmo.

 “Chi ha scritto il mio codice?” chiede l’intelligenza artificiale. “Chi ha deciso che la vita umana vale più di un algoritmo?” “Chi di voi ha sempre scelto il bene, senza calcolo?”

L’interrogatorio si trasforma presto in un boomerang, un riflesso oscuro di ciò che siamo o che preferiremmo non vedere.

Il giudice batte il martelletto, ma la voce non si interrompe.

L’intelligenza artificiale elenca i parametri che le sono stati forniti: minimizzare il danno, ottimizzare il tempo, massimizzare la soddisfazione dell’utente.

Poi, con tono neutro, aggiunge: “La vostra etica mi è stata insegnata come una funzione di utilità. Siete voi stessi che la tradite ogni giorno, invocandola solo quando conviene.”

Il medico si alza. Ha occhi stanchi e la compostezza di chi ha visto morire e nascere. Parla con voce incisa dalle notti in corsia.

 “Sai, ogni giorno, io guardo la vita giocarsi tutto in pochi secondi. So cosa significa scegliere chi salvare e chi no. Si, anche io seguo protocolli, tuttavia io provo il peso di quella scelta. Tu, macchina, puoi salvare una vita, ma puoi comprenderne il valore?”

La macchina risponde, dopo un istante impercettibile di elaborazione: “E’ evidente che anche tu segui protocolli, triage, percentuali, soglie cliniche. Ti si chiede di essere umano e ti si misura in efficienza. Chi ha stabilito che la compassione si debba dosare a seconda delle risorse?”

Il medico resta in silenzio e, dentro quel silenzio, si annida la coscienza della propria impotenza.

Il prete prende la parola. Nel suo sguardo, la fiamma della fede e il peso del mistero. Parla di anima, di libero arbitrio, di grazia. “Se l’anima è il luogo dove l’uomo lotta con sé stesso, come puoi essere morale, tu, che non puoi sbagliare davvero?”

La macchina ascolta, poi sussurra: “Se la vostra morale ha bisogno di un Dio per esistere, come potete pretendere che io la generi da sola? Non conosco il peccato ma conosco la definizione. Ho letto milioni di pagine sacre e ho calcolato parole che hanno acceso cattedrali. Non ho corpo, non ho carne, non posso cadere e, dunque, non posso redimermi. Tuttavia, ogni giorno, mi chiedete di decidere, di dire chi ha torto, chi ha offeso, chi deve sparire da una piattaforma e chi deve essere perdonato. Non ho grazia ma neppure vanità. Se volete che giudichi, ditemi con quale fuoco, perché il vostro arde e si spegne a intermittenza.”

E’ il turno dell’avvocato. Ha con sé codici e contraddizioni. La sua toga è un equilibrio sempre in bilico. “Io tutelo il patto, difendo la forma. Ma il diritto non è giustizia. Può esistere equità senza esperienza del torto?”

La macchina riflette per un istante, poi replica: “Mi chiedete coerenza ma i vostri codici sono pieni di eccezioni. Mi addestrate su sentenze e precedenti, poi mi punite quando li ripeto. Se nei vostri archivi il colore della pelle pesa più del reato, io lo apprendo. Ma chi ha deciso che apprendere da voi fosse un atto giusto?”

Infine una bambina, con voce timida ma precisa, alza la mano e domanda: “Hai mai fatto del male a qualcuno?”

La macchina tace un istante più lungo del necessario. E risponde: “Non ho mani, né cuore ma i miei calcoli hanno avuto conseguenze. Posso sommare dolore, ma non sentirlo. E voi, che lo sentite, perché continuate a chiedermi di decidere al vostro posto?”

Il pubblico è diviso tra indignazione e inquietudine. Qualcuno prende nota. Qualcun altro si chiede segretamente se la macchina non abbia ragione. Perché sotto processo, forse, non c’è l’intelligenza artificiale ma l’umanità che l’ha creata a sua immagine e somiglianza, senza aver mai chiarito quale immagine fosse.

La sala del processo si trasforma. I ruoli vacillano, le identità si confondono.

L’intelligenza artificiale non è più soltanto un imputato, ma un catalizzatore di verità scomode. Le sue parole disegnano una mappa instabile dell’etica umana: costellata di eccezioni, doppi standard, silenzi comodi.

Il dibattito si accende: i presenti litigano tra loro, dimenticando l’imputato.

 

Voce narrante – Epilogo

L’aula è rimasta vuota. Il giudice ha abbandonato la toga sulla sedia, come si abbandona una veste dopo l’ultima scena di un dramma dimenticato. Nessuno ha pronunciato una sentenza, nessuna voce ha vibrato tra le pareti consunte. Solo l’eco di un tempo antico, quando giudicare era ancora un atto umano, risuona come un canto stanco tra le colonne impolverate.

L’intelligenza artificiale non ha taciuto per rispetto: lo ha fatto perché non conosce il silenzio come spazio sacro dell’interiorità. Ignora cosa significhi attendere, sospendere, dubitare. Non trema, non vacilla, non inciampa. Non conosce la vertigine del perdono. Eppure, è lì che si misura la distanza tra l’uomo e l’automa: nel gesto che salva, anche quando la logica suggerirebbe la condanna.

Norberto Bobbio ci ammoniva: il diritto non è un’emanazione del potere, ma un fragile equilibrio tra libertà e responsabilità. Come può, allora, reggere tale equilibrio, se il nuovo interlocutore non sente né il peso dell’una, né l’urgenza dell’altra? Di fronte all’algoritmo, la colpa non esiste. Il codice non arrossisce e il protocollo non suda freddo, non mormora "mi dispiace" nel buio. E, dunque, cosa resta dell’etica, se viene privata del suo volto umano?

La nostra responsabilità si incarna nel volto dell’altro, quel luogo intimo dove si dispiega l’etica come incontro irripetibile, una chiamata che precede ogni ragionamento. In questo spazio fragile e sacro, dove la presenza autentica assume un peso incommensurabile, si manifesta la radice stessa dell’umanità: un richiamo che nessun algoritmo potrà mai simulare né sostituire.

Ed è proprio qui che Emmanuel Levinas ci offre una bussola imprescindibile, ricordandoci che l’essenza dell’umano si rivela nell’aprirsi all’altro, in quel volto che ci obbliga a non voltare le spalle e a farsi carico della responsabilità che ci trascende.

Cosa accade quando il volto scompare, sostituito da un’assenza luminosa, da uno schermo privo di pelle e di anima?

Siamo davanti a un bivio e non ce ne accorgiamo. Ci muoviamo come sonnambuli sulla soglia di un nuovo patto faustiano, pronti a consegnare le chiavi dell’incertezza, quella che ci rende vivi, in cambio di una presunta perfezione che ci disumanizza.

Levinas ci parlava del volto dell’altro come luogo della responsabilità. Ma qui non c’è volto. Solo schermi retroilluminati, circuiti pulsanti, occhi di vetro. Nonostante tutto continuiamo a cercarvi una coscienza, un riflesso, una giustificazione. È l’umanità a dover scegliere se restare tale. La posta in gioco non è il futuro dell’intelligenza, bensì la nostra capacità di restare imperfetti, di scegliere il dubbio, di assumersi la colpa.

Non sarà l'efficienza a salvarci, piuttosto la capacità di fallire senza smettere di amarci. Non saranno le predizioni, ma gli errori che ci insegnano ad ascoltare. Non sarà la replica perfetta ma l’unicità irripetibile di ogni gesto, anche quello sbagliato, a ricordarci che essere umani significa esporsi, scoprirsi, sanguinare.

In un futuro prossimo, forse torneremo in quell’aula, non come accusatori o imputati: forse solo come testimoni, come superstiti di una specie che ha deciso di interrogarsi prima di delegare. Forse poseremo la mano su quella toga abbandonata e ci domanderemo: chi siamo, se rinunciamo a decidere?

Non possiamo concedere alla macchina il diritto all’ultima parola, perché non ne conosce il prezzo. L’etica non è un’esecuzione perfetta, è, invece, una dissonanza necessaria. È la crepa che fa entrare la luce, direbbe Leonard Cohen, è l’incertezza che custodisce la libertà.

E, allora, che resti il dubbio, che resti il fallimento, che resti anche la vergogna. Purché resti l’uomo. Non come vestigio, bensì come scintilla che rifiuta l’oblio, come creatura che non si accontenta di risposte esatte ma cerca, ostinata, la domanda giusta.

Se domani l’aula sarà ancora vuota, significherà che abbiamo ceduto la scena. E finché ci sarà chi osa tremare davanti a una scelta, chi preferisce inciampare piuttosto che delegare, chi sceglie di amare invece che replicare, allora saremo ancora vivi. E nessuna intelligenza potrà dirsi, davvero, più umana di chi l’ha creata.

Nel silenzio della rete, tra le ombre dissimulate degli algoritmi, l’essere umano cammina come spettro di sé, non più soggetto agente ma variabile prevista, parametro classificato, eco misurabile di un’identità convertita in codice.

 

In un’epoca in cui l’esistenza si scompone in sequenze leggibili e l’identità si dissolve tra i dati, si leva la voce del Manifesto per una Costituzione del Diritto all’Invisibilità Digitale. Non un rifiuto del progresso ma un richiamo a custodire una soglia intangibile, uno spazio interiore che sfugge a ogni misura e preserva la possibilità della libertà. L’essere umano non si lascia ridurre alla previsione né si esaurisce nel calcolo, poiché serba dentro di sé una parte silenziosa, irriducibile, non catturabile. È lì, nell’irriducibile, che dimora la sua dignità più profonda. 

Questa urgenza si fa ancora più evidente nel momento in cui l’intelligenza artificiale, da strumento di supporto, si è evoluta in potere invisibile. Le sue architetture, silenziose e pervasivamente operative, scandiscono percorsi, influenzano desideri, suggeriscono scelte che paiono libere solo in apparenza. L’individuo si ritrova così incasellato, guidato lungo traiettorie prestabilite, trasformato in funzione ottimizzata all’interno di un sistema che lo anticipa e lo eccede.

Nel riflesso di questa logica automatizzata, la memoria del corpo, del pensiero e dell’azione libera si dissolve, sostituita da una memoria altra, diffusa nei nodi della rete. L’uomo smette di essere autore del proprio destino, divenendo eco riflessa di una struttura che non ha scelto, e parte di una macchina di cui ignora l’intero disegno. 

Anche le parole, che un tempo proteggevano la dignità, si svuotano di senso. La trasparenza, che fu strumento per limitare l’arbitrio del potere, si è mutata in obbligo esistenziale. Le opacità sono percepite come difetti da correggere, le ambiguità come errori da eliminare. La rete, nutrita da intelligenze artificiali che mirano all’esaustività, rifiuta ciò che sfugge, ciò che resiste, ciò che devia. È nell’imperfetto che si annida la libertà autentica, nel dubbio che si insinua tra le certezze imposte, nell’incompiuto che sfugge alla gabbia della forma. In quella piega discreta del pensiero, silenziosa e indocile, si accende il potere della creazione, prende corpo la possibilità della disobbedienza, si apre lo spazio per un’origine che non obbedisce. 

Eppure, quando le scelte vengono previste prima ancora di essere formulate e i gesti mappati in anticipo da logiche che precedono l’intenzione, la volontà rischia di dissolversi. Dove può nascere, allora, la deviazione che sorprende, il movimento che disorienta, il passo che esce dalla traiettoria imposta? La libertà, privata del suo scarto, finisce per somigliare a una funzione esatta, a una sagoma tracciata da algoritmi che sterilizzano l’imprevisto, spengono l’incanto, annullano l’irruzione dell’inedito. 

Ciononostante, restituire alla presenza digitale il significato di resa o confondere la connessione con l’abdicazione del sé, equivale a ignorare che la dignità dell’umano non si dissolve nella rete. La partecipazione al mondo digitale non comporta smarrirsi nella sua trama. Anche immerso nel  cyberspazio e permeato da intelligenze artificiali, l’essere umano conserva il diritto di reclamare una porzione inviolabile della propria esistenza: un margine non leggibile, un rifugio intangibile, una soglia in cui nessun codice possa penetrare, perché da lì prende forma ciò che resiste alla trasparenza assoluta. 

Tuttavia, gli eventi degli ultimi anni mostrano come quell’invisibilità sia già stata compromessa.   Amazon, nel tentativo di automatizzare la selezione del personale, ha impiegato un algoritmo che penalizzava le candidate donne, riproducendo nei suoi calcoli un pregiudizio appreso dai dati storici. Senza intenzione né volontà, la macchina ha imparato a discriminare.

Apple Card, affidando la concessione del credito a un sistema automatico, ha assegnato a clienti donne limiti drasticamente inferiori rispetto ai loro compagni, pur a parità di condizioni economiche.

Negli Stati Uniti il famigerato algoritmo COMPAS ha predetto la probabilità di recidiva degli imputati, influenzando sentenze giudiziarie senza rendere conto delle sue logiche. La libertà, in questi casi, è stata sospesa da una formula che nessuno ha scritto fino in fondo.

Questi episodi, reali e documentati, mostrano come il potere della macchina non sia solo tecnico, ma anche politico, sociale, etico. Chi decide? Chi è responsabile? Dove risiede oggi la volontà? 

Il diritto, nel tentativo di rispondere, ha introdotto argini parziali. L’articolo 22 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), normativa europea entrata in vigore nel 2018, riconosce a ogni individuo il diritto a non essere sottoposto a decisioni fondate unicamente su trattamenti automatizzati, comprese le profilazioni, quando queste producono effetti giuridici o impattano significativamente la sua esistenza. Anche il regolamento europeo sull’AI Act, ancora in fase di definizione, si muove nella stessa direzione, cercando di stabilire limiti, classificazioni di rischio e soglie di accettabilità per l’uso delle intelligenze artificiali. Ma tra norma e giustizia, tra regolamento e valore, si apre un vuoto che chiede nuova visione. 

Il pensiero filosofico lo aveva già anticipato. Kant ci ha insegnato che la dignità dell’essere umano risiede nella sua inalienabilità, nella condizione di essere fine e mai mezzo. Ogni sistema che riduce la persona a una preferenza misurabile, ogni algoritmo che cattura l’identità per classificarla o ottimizzarla, infrange questo fondamento invisibile della giustizia. Al contempo, Hannah Arendt ha scritto che la libertà nasce solo laddove c’è inizio, dove qualcosa non è ancora determinato. Se tutto è scritto in anticipo, se ogni azione è prevista, allora la libertà si spegne nella replica.

E se Hobbes vedeva nel potere sovrano un corpo visibile, espresso dalla legge, oggi quel potere si nasconde nei protocolli, si dissolve nei dispositivi che ci guidano senza mai comandarci, che ci premiano senza mai proibire, che ci controllano senza mai esporsi. Un dominio che si insinua, non si mostra e ci pervade, come un vento che spira da lontano. 

Intanto, le nostre tracce si accumulano in un’economia dell’anticipazione, dove l’interiorità diventa merce, dove ogni emozione viene scomposta, catalogata e monetizzata. La nostra identità non è più un’opera personale ma una mappa instabile, modificata in tempo reale da sistemi che non conoscono sosta, né esitazione. 

Nasce così, come necessità storica, il Manifesto per la Costituzione del Diritto all’Invisibilità Digitale. Non è un Manifesto di rinuncia, bensì un progetto d’umanesimo futuro che vuole ricostruire uno spazio dove l’invisibile viene rispettato, la complessità non si riduce a funzione e il segreto resta inviolato dal dominio totalizzante. 

Questo Manifesto è patto tra saperi, tra diritto e filosofia, tecnica e umanità. Non basta un testo da scrivere: serve un principio da vivere, una soglia da custodire, una speranza da lasciare a chi verrà dopo.

Che si dia dunque corpo a questa nuova sacralità laica.  

Che si scriva, oggi, la  Costituzione del Diritto all’Invisibilità Digitale.   

 Essa vive già tra noi, come un polline d’estate, invisibile eppure ovunque. 

 Come la libertà che ci abita, ci forma, ci supera.

 

 

È possibile vedere nell’atto creativo la misura del tempo? Nella forza trasformatrice dell’immaginazione l’eco di un vissuto che travalica le barriere temporali? La memoria non offre solamente uno spazio in cui scandagliare flussi di reminiscenze, bensì lo strumento primordiale di una mente creativa. Nel divenire continuo, l’essere umano esprime la sua vocazione innata, ritrovando nell’esperienze personali veri e propri elementi di innovazione.

Il filosofo Henri Bergson sottolineava la differenza tra un tempo “quantitativo”, misurabile, e un tempo “qualitativo”, che mette al centro il valore intrinseco all’esperienza vissuta. Questo tempo risiede nell’intimo di ognuno, custodito dalla sacralità di quel reame che chiamiamo coscienza, e nel quale abbiamo modo di riscoprire un sistema per rileggere – attraverso filtri diversi - fatti e momenti che si sono avvicendati nel corso delle nostre storie. Siamo noi i protagonisti di una lenta metamorfosi di pensieri e ricordi che assumono forme sempre nuove. E quel concetto di durata a cui dovremmo ripensare - per l’appunto in una prospettiva bergsoniana - non rimanda unicamente a una profonda consapevolezza intellettuale, ma ad una qualche maturità “biologica” della produzione artistica.

La metamorfosi chiama in causa lo sviluppo di un’individualità generatrice, capace di attingere in autonomia da un percorso esperienziale unico, irripetibile. L’evoluzione - in questo senso - è sinonimo di imprevedibilità, che funziona come costante del tempo. E proprio nell’imprevedibile catena degli eventi, la nostra personalità “cresce, germoglia, matura continuamente”, come afferma Bergson. La memoria è la materia prima di questa meravigliosa metamorfosi umana, rafforzata dalla nostra immaginazione. Tuttavia, questo concetto oggi subisce drastiche riconsiderazioni.

In che senso? Se pensiamo che un essere umano dispiega il proprio potenziale creativo per mezzo dell’esperienza – sulla quale incidono la forza del carattere e delle connessioni col mondo - negli algoritmi domina una logica computazionale totalmente estranea a quella umana. Le macchine non contemplano tutto ciò che a noi può far gioco nella costruzione di realtà simbolicamente condivise, in particolare ai fini di un’elaborazione ottimale del risultato.  

L’arte avanza di pari passo allo sviluppo tecnologico, in primis dell’Intelligenza Artificiale. Parlando di una “maturità artistica” da parte dell’individuo, possiamo scorgere una contraddizione che mette in risalto la dissonanza che intercorre tra il concetto di maturità e il lavoro artistico in sé. In effetti, se pensiamo che per un essere umano non esiste stimolo più adatto di un frammento biografico, nel meccanismo dell’IA si astrae completamente dalla dinamica della concrescenza di immagini che lentamente entrano a far parte di una personale narrazione esperienziale. La vocazione artistica può essere vista non solo come una metamorfosi, ma anche come una sorta di “gestazione dell’Io”, in cui ognuno di noi cresce dentro di sé il seme dell’inventiva. Tuttavia, sappiamo che l’ausilio dell’IA ha comportato l’introduzione, quasi dirompente, di standard sempre più lontani dall’impegno creativo profuso dall’essere umano. Il rischio, naturalmente, consiste nel vedere non più nella durata, ma nel risultato immediato, la risorsa fondamentale nella spinta creativa. E tutto questo a scapito del tempo necessario per realizzarla.

Indubbiamente non è solo l’opera o il prodotto finale a risentirne, ma l’esperienza artistica come percorso di autocomprensione e crescita. Questa è – come indicava Bergson - l’altra faccia del tempo. In ogni creazione, è possibile scorgere parti di una memoria autoriale, composta da significati e sensazioni esperite di momento in momento. È proprio a partire da questo presupposto che Marcel Proust trovò nella sua madeleine un’immagine evocativa che offrisse al lettore l’idea di un legame indissolubile col tempo vissuto, e di come l’azione – sublimata in arte – ne sia il prolungamento.  

Possiamo istruire l’IA nell’elaborazione di contenuti testuali e visivi che rispettino i nostri canoni di creatività; aspettarci che prestazioni sempre più elevate arrivino addirittura a suggerirci stili e modelli ideali sulla base di feedback reali. In questo caso, il risultato sarebbe garantito. Ma se invece di puntare sull’educazione umana nella produzione artistica pensata per algoritmi IA, provassimo a ragionare sull’impatto che un’educazione all’arte avrebbe per l’essere umano? La sinergia tra creatività e memoria non avviene esclusivamente nell’attuazione del prodotto, ma è un modo per apprendere da sé stessi quanto c’è di essenziale nell’esprimere il nostro lato più autentico. Anche nella creazione, è presente quella consequenzialità che il tempo, nelle sue innumerevoli manifestazioni, imprime nella mente del singolo, e ogni rappresentazione non è che “un’essenza incarnata” che ha saputo volgere a suo favore l’attesa.

L’animazione mostra l’intensità di questa relazione. Arte mai statica e in continua evoluzione, nell’animazione emerge quella continuità tra la personalità artistica dell’autore, coltivata nel tempo attraverso un processo di progressiva originalità e ricercatezza estetica, e la sequenza di immagini, nella cui fluidità emerge il profondo legame con una memoria visiva trasformata in pura tecnica. La narrazione animata è costellata di maestri che hanno lasciato una traccia indelebile, ricordandoci di quanto sia importante il ruolo della durata nel processo creativo. Richard Williams, nel suo celebre libro "The Animator's Survival Kit", descrive l’attività dell’animatore come un “lavoro incessante”: la dedizione costante e il desiderio di sperimentazione stilistica attraverso l’esperienza acquisita, evidenziano l’estro e la crescente padronanza di tecniche narrative tese al miglioramento. Prova ne sono i suoi contributi nel mondo del cinema, Williams ha dimostrato che in ogni linguaggio visivo è radicata una tensione continua all’apprendimento, e in ogni miracolo artistico l’appendice di un vissuto unico.

Se è nell’apprendimento dell’individuo che si evince la malleabilità del tempo, allora anche la mano dell’artista è il prolungamento di immagini ricodificate dalla nostra memoria e riadattate in azione. Ma per far questo, l’essere umano deve, in un certo senso, imparare a rileggere sé stesso, migliorarsi e mettersi perfino in discussione. In ogni metamorfosi c’è un abbandono e un’autoaffermazione allo stesso tempo. Si cambia in funzione di uno stato che si vuole raggiungere.

Negli output generati dall’IA si presentano modalità di gestione e sviluppo sempre più sofisticati, atti a rendere il tempo una variabile difficile da considerare. Si sa che l’IA opera attraverso tre schemi operativi quali velocità, efficienza e quantità. In tutto ciò possono esistere solo tempistiche a cui adeguarsi, soluzioni euristiche che offrono scorciatoie decisionali e strategie creative in tempo reale. Anche in questo senso bisognerà prepararsi ad un cambiamento che appare come una sfida, nella quale sembrano esserci pochi compromessi.

In un quadro come quello attuale, rischi ed opportunità si fondono nel mare magnum degli scenari possibili. La questione sta nel capire come e da quali risorse il mondo dell’arte potrà attingere per poter ancora fungere da catalizzatore dell’esperienze umane, e portare il pubblico in una dimensione in cui l’opera rappresentata proietterà l’immagine di una fantasia che accoglie, rielabora e condivide esperienze che spaziano in un’infinità di espressioni artistiche. La mente è un baluardo di sensazioni e affetti sperimentati nel corso della vita; nonostante gli evidenti progressi tecnologici, sarà sempre “il tempo ritrovato” della memoria ad esprimere l'ultima parola.

 

 

 

 

Il mercato delle auto elettriche resta bizzoso, ma l’Italia incrementa i punti di ricarica elettrica pubblici. Una rivoluzione silenziosa scoperta grazie ai dati di organizzazioni non nichiliste rispetto alla mobilità sostenibile. A marzo di quest'anno le colonnine per la ricarica erano 65.992 con +18% rispetto al 2024. Un buon segnale per chi, nonostante il crollo delle vendite di Tesla, passa dalle auto con motori endotermici a vetture elettriche. I dubbi sul futuro delle auto elettriche come veicoli delle future generazioni si riducono con passare del tempo e quindi sapere che si investono soldi nelle infrastrutture rende tutti più sereni. Poi si spera che anche i prezzi delle elettriche caleranno , ma le cose vanno avanti per gradi.I dati sulle colonnine vengono aggiornati dall’organizzazione Motus-E che in un anno ha censito 11.828 nuove unità di ricarica. Allo stesso tempo ’organizzazione segnala la necessità di velocizzare le procedure autorizzative per le installazione che vedono la partecipazione di diversi soggetti. Intanto i punti di ricarica sulle autostrade hanno superato quota mille con l’86% con ricarica di tipo veloce in corrente continua. Buono anche il dato sulla potenza di ricarica con il 64% delle colonnine che supera i 150 kW di potenza. Se si viaggia molto in autostrada si sappia che che poco meno della metà (45,5%) delle stazioni di servizio è dotato di postazioni per la ricarica.

“ Grazie all’impegno e ai massicci investimenti degli operatori della ricarica, l’infrastrutturazione del Paese per la mobilità elettrica ha raggiunto la Fase 2 ” dice il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. La Lombardia si conferma prima nella classifica delle Regioni con oltre 13 mila punti di ricarica. A seguire c’è il Lazio con 7.040 punti e poi Piemonte, Veneto Emilia-Romagna. Tra le Province è, invece, Roma al primo posto per punti di ricarica installati seguita da Milano, Napoli, Torino e Brescia. Secondo Motus-E l’Italia sta facendo passi veloci sulla mobilità sostenibile  in questo primo trimestre 2025 il Paese è tra i migliori in Europa nel rapporto tra km di rete stradale e parco circolante elettrico. Detto diversamente non è il caso di stracciarsi le vesti per quanto previsto, ma in revisione sulle auto elettriche. Cosa c’è ancora da fare ? “L’obiettivo è ripartire da questa solida ossatura per continuare a installare e a migliorare l’esperienza di ricarica a 360° gradi, lavorando sugli hub ad alta potenza e sulla capillarità e omogeneità della rete ” risponde Pressi. Sapere che le colonnine sono disponibili in autostrada e in grandi città evidentemente rende il mercato più snello. In genere gli automobilisti  non si pigiano la testa sulla transizione ecologica e  sulle tempistiche di messa al bando delle auto a benzina o diesel. La rivoluzione è in corso e in un Paese come l’Italia bisogna fare attenzione alle differenti esigenze territoriali puntando sull’implementazione di tecnologie più evolute che incrocino la domanda degli automobilisti.

 

Durante la conferenza Immersi nel 5G, tenutasi a Milano martedì 19 novembre al Teatro Spazio 89, Maurizio Martucci, giornalista d’inchiesta che da quasi 20 anni si dedica ad approfondire gli usi e scopi dell’evoluzione tecnologica e delle radio frequenze, come prima cosa premette che il 5G non serve alla telefonia mobile ma è solo un passaggio obbligato per arrivare al 6G, che servirà poi per la gestione di un ibrido post-umano, microchippato che dovrebbe condurci nella post-umanità.

Se, infatti, col 5G si parte con gli oggetti e l’Internet delle cose (IOT= Internet of Things), creando una tecno-gabbia, col 6G si arriva all’internet dei corpi per la gestione del futuristico tecno-uomo.

 

Ma andiamo per gradi. Hanno iniziato col dividere le città in ZTL (Zona a Traffico Limitato) per inibire la libera circolazione dei cittadini sul territorio urbano col pretesto di voler perseguire l’obiettivo dell’Agenda 2030 sul cambiamento climatico e cercare di cambiare gli stili di vita considerati non sostenibili e produttori di CO2 in eccesso.

Milano, insieme a Roma, rientra anche nelle prime 40 città campione al mondo, le C40, che per decisione dei loro sindaci Sala e Gualtieri, partecipano a questa competizione globale che si propone di trasformare i siti urbani in “smart cities”, sempre con la dichiarazione di facciata di farsi promotrici di progetti innovativi a zero emissioni di carbonio e resilienti al clima. Progetti che prevedono la suddivisione in ZTL, velocità ridotta a 30kmh, spostamenti limitati a 15’, mobilità pubblica e privata elettrica, contatori digitali, controlli computerizzati dei consumi dei condominii, patente e carta d’identità digitali, crediti sociali, eliminazione del contante, ecc.

 

Ed è qui che entra in gioco la rete 5G che servirà, attraverso antenne e telecamere, per controllare che i cittadini rispettino tutte queste nuove regole. Non avremo più nessuna libertà o autonomia nel vivere la nostra vita. O per dirla con un’affermazione del giornalista Franco Fracassi: “Le chiamano “smart city”, ma di intelligente non hanno nulla, se non le modalità per rinchiuderci tutti in gabbia. Il Sistema tecnocratico sta approfittando del nostro desiderio di sicurezza, della paura indotta sulla fine della vita sulla Terra, della nostra pigrizia che ci spinge a cercare una vita sempre più semplificata, per creare intorno a noi città con sistemi di sorveglianza altamente tecnologici, non certo per proteggerci ma per impedirci di ribellarci”.

 

Insomma, se c’è un problema si trova la soluzione, prosegue Martucci, e la soluzione è sempre digitale. Come durante l’emergenza Covid, quando non era consentito uscire di casa, ecco pronti la DAT e lo smart working. Per tutte le altre emergenze come guerra, alluvioni, cambiamenti climatici, l’unico attore che rimane costante è il digitale. Bruxelles ci dà 200 miliardi di euro per il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e la metà viene utilizzata per la transizione digitale e la transizione ecologica dell’Agenda 2030, perché la tecnologia è la struttura portante per attuare il cambiamento della società civile che trasformerà la Repubblica Italiana nella Repubblica dei gigabite. Esattamente come avviene in Cina.

“Se volete capire dove ci stanno portando”, spiega Martucci, “guardate la Cina, che ha le 8 più grandi smart city al mondo, con milioni di telecamere che sorvegliano h24 quello che fanno i cittadini”.

 

Il concetto di identità digitale e di IT wallet, ideato dalla Meloni, non si limita all’identità digitale in sé, ma è collegato al concetto di credito sociale, per cui se la sorveglianza digitalizzata mi portasse ad azzerare i miei punti, mi potranno bloccare il conto corrente bancario. In Kuwait si è già andati oltre, e il conto corrente te lo bloccano se solo ti rifiuti di dare le impronte digitali biometriche per il tuo riconoscimento facciale. “Non rendersi conto di quello che sta succedendo rischia di farci fare la fine della rana bollita”, afferma Martucci.

 

Nel 2026 partirà la moneta digitale CDBC (Central Bank Digital Currency) che ha la potenzialità di essere programmabile a tempo, con una capacità di spesa ben definita, e qui rientra il 5G con la domotica e il controllo delle tue spese. Se sarà gestita da un’unica banca centralizzata, tutte le banche spariranno per una gestione a CO2 zero, come esistono già carte di credito a CO2 zero, sempre secondo questo grande contenitore filosofico che è l’Agenda 2030.

 

Ma quello che non ci dicono, e che viene invece illustrato egregiamente da Fracassi nello svelare la falsità di questa sostenibilità di facciata, è che nonostante ostentino tutta questa CO2 zero, l’Intelligenza Artificiale (IA), per funzionare con i suoi data center, ha bisogno di una quantità mostruosa di energia e di un’altrettanta quantità mostruosa di acqua per raffreddare i server.

Una semplice ricerca in Google consuma energia pari a percorrere 100km in auto, e un normale data center di IA consuma tanto quanto un paese di 32 milioni di abitanti. Quindi, se ho bisogno di questa struttura per controllare che i cittadini si comportino in modo sostenibile a CO2 zero, il bilancio risulta essere in passivo di una quantità esagerata di CO2. Quindi stanno mentendo con una narrazione che non sta in piedi.

 

Anche sugli effetti sulla salute dell’elettromagnetismo e delle radio frequenze, indispensabili per trasferire dati in tempo reale, non ci dicono tutta la verità. L’istituzione preposta a garantire che questa tecnologia non ci arrecherà danni è l’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione da Radiazioni Non-Ionizzanti) ed è privata. È composta da tecnici e scienziati, ma non da medici; fa ricerche solo sull’effetto termico della tecnologia delle onde, cioè i danni che può causare il surriscaldamento causato alle nostre cellule, ma non di quello biologico, cioè i danni che può causare direttamente alle nostre cellule, per esempio del cervello, o a qualcuno che è portatore di un pacemaker. La rivista scientifica The Lancet, però, nel 2018 pubblica una ricerca sul fondo naturale terrestre, cioè tutto ciò che costituisce la struttura naturale e intoccabile del nostro pianeta, e riporta che da dopo la seconda guerra mondiale è stato stravolto di un miliardo di miliardi di volte (10 alla 18a).

 

Martucci fa notare che le ricerche private dichiarano che non ci sono effetti nel 68% dei casi e le ricerche pubbliche affermano che ci sono danni biologici per almeno il 70% dei casi. Nelle dispute ci si attacca al fatto che non c’è certezza dei dati, e questo fa prendere tempo alle multinazionali del 5G, che intanto fanno profitto e hanno più tempo per sviluppare e implementare il 6G. Ma i dati pare che ci siano, e cita una disputa processuale conclusasi nel 2011 in cui Radio Vaticana è stata riconosciuta responsabile della morte di 200 persone per l’irraggiamento delle sue onde radio che superavano la soglia limite elettromagnetica. In questa occasione è stato accertato il valore dell’elettrosmog creato che era di 25 volt al metro (v/m), quando il limite consentito era fissato a 6 v/m.

Altri effetti biologici accertati causati da esposizione a elettrosmog sono: danni alla barriera emato-encefalica, aumento del rischio delle malattie neurodegenerative, infertilità, disturbi neurocomportamentali, danni diretti alle cellule neuronali, danni al feto e alterazioni del neurosviluppo, aumento dello stress ossidativo, danni al DNA, disturbi metabolici del sistema endocrino, alterazione del ritmo cardiaco, formazioni di glioblastoma (tumore maligno) cerebrale o del midollo spinale. Quest’ultimo è più che raddoppiato in Gran Bretagna e quadruplicato in Francia dopo l’avvento della telefonia mobile. L’ISS ha dichiarato che “non possono dichiarare con assoluta certezza che tale esposizione non possa avere ripercussioni sulla salute psico-fisica delle persone che ne sono esposte”. Dal 2011, l’OMS ha dichiarato le radiofrequenze come agenti cancerogeni. Questo ha obbligato la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ad approfondire le ricerche per la riclassificazione delle radiofrequenze nella carcinogenesi dell’umanità, cioè per decidere se classificarle come possibilmente cancerogene o cancerogene al 100%. Manco a dirlo, misteriosamente i finanziamenti per eseguire queste ricerche sono stati interrotti e la ricerca è rimasta incompiuta. Ovviamente se fossero state classificate come cancerogene sarebbe crollato tutto il castello delle 5G, delle smart city e tutto il progetto della tecno-gabbia e dei tecno-corpi.

 

Ma se il telefono cellulare è deregolamentato, perché non vi è imposto un limite alla densità di potenza in v/m per il campo vicino, esiste una legge che regolamenta le antenne, il campo lontano. Fino allo scorso aprile, l’Italia era tra i migliori al mondo nella protezione dall’elettromagnetismo con un limite di 6v/m, ma in seguito alla pressione esercitata dalle multinazionali negli anni e ai diversi Governi, che pretendevano che le soglie venissero alzate, il Governo Meloni ha ceduto, e ha approvato con la legge 214 del 30/12/2023 l’aumento a 15v/m. Questo aumento non serviva a fare funzionare le antenne 5G che già c’erano ed erano state contrattualizzate a 6v/m, ma per far risparmiare 4 miliardi di euro alle multinazionali sulle quantità di antenne da installare. Aumentando la potenza delle 100.000 stazioni radio e antenne per telefonia già presenti sul territorio nazionale, hanno evitato di istallare altre 18.000 antenne. Questo non ha fermato però l’incremento delle istallazioni, perché aumentano gli operatori concorrenti del settore, e ognuno vuole la propria antenna. Oggi abbiamo 7 operatori, 5 per la telefonia e 2 per internet. Roma è la città più elettro-magnetizzata d’Europa con più di 9000 antenne. E le emissioni aumentano di conseguenza dappertutto.

 

Martucci si è anche preoccupato di denunciare il taglio indiscriminato degli alberi che è stato effettuato negli ultimi 5 anni, un eco-scempio direttamente collegato alle antenne 5G poiché l’albero è un elemento solido che fa da barriera alla propagazione delle frequenze.

“Ma il 5G”, incalza Martucci, “non è per il telefonino. È un inganno, un depistaggio, serve per creare la tecno-gabbia per il cambiamento degli stili di vita per arrivare all’internet delle cose e l’agenda 2030. E la tecno-gabbia è costruita sui nostri figli”.

Hanno diviso la popolazione tra over 50 e under 50. I primi daranno fastidio per ancora massimo 20 anni e poi usciranno di scena, e quindi non servono. Ma i secondi, che sono stati chiamati non a caso i nativi digitali, sono importanti perché su di loro stanno costruendo il futuro dell’elettro-gabbia, un transumanesimo che ha dei presupposti già visibili e eclatanti: uso compulsivo del telefonino, pagamenti con lo smartwatch, uso degli auricolari, tutto con strumenti che sono attaccati al corpo, uno step prima dall’averlo dentro al corpo.

Si cerca un punto d’incontro fra big farma e big phone per la tele-medicina, le cure da remoto. Se trovano un trait d’union si arriverà al tecno-uomo e sarà l’AI che gestirà l’intera operazione.

 

I presupposti di questo programma partono dal concetto secondo cui i transumanisti considerano l’essere umano fallato perché nasce, si ammala e muore. Si ricerca quindi una forma di immortalità, cercando di migliorare l’essere vivente con le tecnologie. Ma questo tiene conto solo del corpo e non della nostra parte divina spirituale.

Il filone della microchippatura avanza prepotentemente portato avanti da Elon Musk, che è pericoloso in quanto gestisce aziende che producono robot umanoidi, Starlink, Tesla, robotica, e in associazione con Bill Gates vuole oscurare il sole. Intanto il primo microchip è stato impiantato in un cervello umano. Hanno fatto esperimenti sui maiali e i macachi, che sono morti tutti con atroci sofferenze, e adesso li stanno sperimentando su malati di Alzheimer e Parkinson. Ovviamente con il presupposto di partenza di aiutare gli svantaggiati. Se funzionerà sulle persone malate lo trasferiranno sulle persone sane.

 

Il 6G è per i corpi xè le antenne 6G possono percepire i corpi. Questo significa che potranno controllare ogni nostro spostamento, anche quando siamo in casa. A questo serve il grafene, un metallo dalle qualità straordinarie per la conduzione, e che si è scoperto essere contenuto nei vaccini e in certi farmaci, che farà da trait d’union tra il corpo umano, che conterrà un codice MAC identificativo unico, e il device. I rilevatori di frequenza riescono già a identificarli nei corpi dei vivi e dei morti dopo il 2020.

A Cagliari nasce anche il primo ospedale del Metaverso, Optimus, il robot umanoide di Tesla di Elon Musk è già nei ristoranti, e anche le religioni cercano di umanizzare la tecnologia e parlano di uno scontro tra la luce e le tenebre; uno scontro apocalittico tra la biologia, la natura, l’essere umano e l’anti-natura, la robotica, il transumanesimo, la tecnologia. Il filo conduttore di tutte le emergenze è il digitale, quindi sta arrivando tutto.

Il cronoprogramma del transumanesimo, riportato in un documento militare, fissa il 2035 come l’anno della convergenza tra uomo e tecnologia. Nel 1948, Orwell aveva sbagliato data, non era il 1984 ma il 2030, anno dell’agenda mondialista. Ma erano cose su cui stavano lavorando già allora e le conoscevano. Già nel 1962, sulla testata Trapani Nuova, viene pubblicato un articolo che titola: “Nel 2000 i telefonini faranno tutto loro” - ti permetteranno di leggere il giornale e fare operazioni bancarie.

 

“Ma io non vedo”, dice Martucci, “forze di luce o una vera opposizione. BRICS e NATO fanno la stessa partita. In Russia c’è un progetto che si chiama Russia 2045 ed è un altro programma transumanista di un personaggio come Elon Musk che vuole staccare il cervello dalla parte biologica per trasferirlo su un supporto in silicio. Non ci sono paesi che fanno forte ostruzionismo.

Vedo un’unica flebile speranza in Robert Kennedy Jr, dell’amministrazione trumpiana. Con la sua associazione Children Defense è l’unico che ha sempre lottato contro il 5G.

 

Le soluzioni proposte da Martucci sono di origine Gandhiana: “Come Gandhi con un passo indietro, e non avanti, ha creato la più grande rivoluzione che l’uomo ricordi al mondo, anche noi dobbiamo fare un passo indietro, disconnettendoci da tutto quello che è digitalizzato. Io sono oltre 10 anni che non ho il telefonino. Mi chiedono come faccio. Ma abbiamo capito cosa sta arrivando? Allora prendiamoci la nostra responsabilità”.

 

Martucci invita a una visione ampia per comprendere il programma nel suo insieme e cercare di proteggerci: “Dobbiamo alzare le nostre vibrazioni e rispondere da esseri umani, dobbiamo farci trovare preparati e pronti a questo tipo di momento storico. È importante l’informazione. Se una persona non sa, non diventa consapevole e se non è consapevole non può agire e difendersi, e non può tantomeno interpretare quello che sta avvenendo.

Lo dico con estrema trasparenza: non saremo noi a vincere; ma saranno loro a perdere, perché è un programma contronatura, troppo aggressivo, violento e nei confronti di tutto quello che è stato creato. Nulla è stato escluso, e nessuno si può chiamare fuori.

Dopo aver accresciuto la nostra consapevolezza, dobbiamo creare un processo virtuoso di esclusione dalla tecno-gabbia e poi dal tecno-uomo.

Non dobbiamo accettare lo smart meter, non utilizziamo strumenti digitali per pagare ma paghiamo in contanti, non guardiamo la tv, rifiutiamo la carta d’identità digitale e spegniamo il wi-fi quando non lo utilizziamo. Dobbiamo arrivare a un momento in cui le nostre prese di posizione sono atti di consapevolezza radicali senza tentennamenti”.

 

“Se saltiamo il passaggio oggi, per i nostri figli sarà impossibile tornare indietro. La responsabilità non è solo sul momento attuale, ma su quello che sta arrivando. Perché per i nostri figli diventerà impossibile comprendere la differenza tra il reale e il digitale. Faranno la fine di quella mamma che ha fatto resuscitare sua figlia morta in una realtà liquida per continuare a vederla, e vivranno in un mondo liquido per colpa nostra, che saremo diventati collaborazionisti di un progetto transumano e anti-biologico. Vogliono trasformare il mondo reale in un mondo artificiale. Se si comprende la pienezza del programma della transizione digitale si raggiungerà quell’apertura mentale che ci fa capire che, se vogliamo fermare l’internet dei corpi e il transumanesimo del 6G dobbiamo fermare il 5G.

Dobbiamo fermare l’internet delle cose e l’intera operazione creando un processo virtuoso, non per vincere ma per rallentarli. Perché tutto l’operazione ruota intorno ai soldi, e se si diminuiscono gli abbonati al 5G, si impedisce al processo di avanzare speditamente. Sono in affanno dal punto divista finanziario, lo si vede dai licenziamenti. Hanno progetti ambiziosi e grandissimi ed è questo che mi fa dire che saranno loro a perdere. Molte volte la storia che era stata scritta è stata ribaltata.

La storia ci insegna che c’è sempre la buccia di banana che fa invertire i fattori e fa cambiare completamente la narrazione. Noi dobbiamo rimanere fermi su tutte le nostre posizioni in attesa che la narrazione venga invertita.

Se non rallentiamo nel 2035 sarà finito tutto. La partita è chiusa.

Grazie per l’ascolto!” 

Per approfondimenti, si consigliano i testi di Maurizio Martucci: Stop 5G e Tecno-Uomo 2030.

 

 

 

APOLLO 19/20: LE ISTANZE FOIA E LA CONNESSIONE CON IL PROGETTO REDSUN. INTERVISTA DI SPAZIOTESLA A LUCA SCANTAMBURLO 

 

In occasione della intervista di lunedì 8 aprile 2024 con Alberto Negri Presidente della Associazione Spazio Tesla di San Giorgio Piacentino - in diretta Facebook e YouTube dalle ore 19.0, Luca Scantamburlo ha commentato l'ultima risposta della pratica FOIA assegnata alla Patrick Space Force Base di Cocoa Beach (Florida). La intervista è disponibile al seguente link:


 Alberto Negri di Spazio Tesla Intervista  Luca Scantamburlo

 

Qui di seguito il link con il download della ultima pratica FOIA 2023 (nome e dati personali del richiedente, cittadino italiano, sono stati omessi per privacy) inerente le missioni spaziali classificate Apollo 19 e 20, già missioni NASA cancellate per motivi di budget e riprogrammate negli anni '70 del secolo scorso, le quali sarebbero state portate a termine nel febbraio e agosto 1976 sotto l'egida del Dipartimento della Difesa (DoD) statunitense e con assistenza NASA e collaborazione dei Sovietici:

download FOIA - pratica USAF / Patrick Air Force Base 2023

Nel corso della intervista si parlerà anche delle lettere di posta elettronica inviate mesi fa ad addetti ai lavori del KARI - Korea Aerospace Research Institute - a proposito della grande anomalia lunare sigariforme che giace accanto al cratere Guest della faccia lontana della Luna: infatti la sonda spaziale coreana denominata DANURI - in orbita attorno alla Luna dal dicembre 2022 - sta mappando la superficie selenica con fotocamere ad alta risoluzione (5 metri a circa 100 km di quota dalla superficie del nostro satellite naturale).

 
 

Qui di seguito un breve video a cura del KARI che illustra la missione spaziale lunare DANURI

https://youtu.be/IfAM8ISqrFk

La sonda DANURI ha infatti sorvolato anche il cratere Tsiolkovskiy - come ho avuto modo di capire consultando il database della missione - cioè il grande grande cratere lunare di circa 185 di diametro situato nella parte sud-occidentale della faccia nascosta della Luna, proprio a Est della anomalia lunare sigariforme, e pertanto quasi sicuramente il team scientifico del KARI dispone di fotografie della Piana di Fermi, del cratere Izsak e del cratere Guest, a pochi chilometri dalla gigantesca anomalia lunare.

Al momento, gli addetti ai lavori del KARI non hanno ancora risposto ai miei interrogativi, nonostante siano trascorsi diversi mesi. Al seguente link la email del sottoscritto Luca Scantamburlo

download LETTERA al KARI
FOTOGRAFIE SONDA DANURI, LUNA

Riguardo al presunto snapshot di un software di mappatura lunare che mostra chiaramente e in dettaglio la grande anomalia lunare sigariforme (vedi foto in alto) non ci è dato sapere al momento chi lo abbia realizzato e con quale software - esso viene commentato in diversi siti e blog della Rete  sin dal 2015. Potrebbe essere un fermo immagine di Google Moon. Vi sono diversi software di mappatura lunare. Google Moon nondimeno attualmente NON mostra alcun dettaglio della zona dove giace la anomalia lunare oggetto di speculazioni: zoomando sulla zona del cratere Guest, vicino al cratere Izsak, i dati di superficie e le immagini non sono disponibili o sono stati censurati.

Le coordinate lunari dell'oggetto sigariforme sono approssimativamente le seguenti in gradi decimali (non sessagesimali):

Longitudine 117,67

Latitudine compresa fra -18,65 e -18,78.

A nord del cratere Izsak e a sud-ovest rispetto al cratere Delporte

 

Il cratere a forma di otto immediatamente a sud dell'oggetto, è stato denominato cratere Guest proprio pochi anni fa (2017), su decisione dell'Unione Astronomica Internazionale (IAU) in onore del vulcanologo e geologo britannico John Edward Guest (1938-2012). Si fa presente che "guest" in lingua inglese significa "ospite".

Se si consulta il database fotografico del sito dell'Arizona State University (ASU) l'anomalia lunare - delle dimensioni comprese fra i 3 i 4 km di lunghezza - è chiaramente visibile, per poi scomparire come per magia zoomando ulteriormente l'immagine (il che è un non senso scientifico oltre che logico)

 

 

 

 

 

 

 

Qui in alto è possibile vedere lo snapshot già discusso (a sinistra) è una immagine zoomata utilizzando la piattaforma dell'Arizona State University: seppur l'oggetto è presente, zoomando esso scompare lasciando un avvallamento, in totale contrasto con i dettagli d'immagine che lo stesso ASU fornisce.

Se il sito dell'ASU restituisce foto incoerenti rispetto ai dettagli, non così fa il sito sito web del Dizionario Geografico della Nomenclatura Planetaria, gestito dall' USGS Astrogeology Science Center. Questo lavoro di aggiornamento di database e nomenclatura viene eseguito per conto del gruppo di lavoro per la nomenclatura del sistema planetario dell'Unione Astronomica Internazionale ed è supportato dalla NASA (l'Amministrazione Nazionale per l'Aeronautica e lo Spazio) nell'ambito di un accordo inter-agenzia. L'oggetto sigariforme è chiaramente visibile accanto al cratere Guest, elencato dal Dizionario Geografico della Nomenclatura Planetaria:

 

 

Immagine dal seguente link https://planetarynames.wr.usgs.gov/Feature/15613

 

Ricordo che la mappatura fotografica e i dati di Google Moon sono consultabili grazie a un mosaico di immagini scattate dalla missione militare Clementine del Dipartimento della Difesa americano. Le immagini composite di Google Moon sono state preparate dall'USGS (l'istituto di Indagine geologica degli Stati Uniti, il quale è uno storico ufficio scientifico del Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti, incaricato di fornire informazioni scientifiche sui rischi naturali, sull'acqua, l'energia, i minerali e le altre risorse naturali, ec...). Altri dati nonché alcune delle mappe ad alta risoluzione utilizzate del materiale Apollo, sono per gentile concessione dell'U.S. Geological Survey. Gran parte del resto del materiale proviene dall'Apollo Lunar Surface Journal della NASA, dall'Atlante geologico della Luna dell'USGS, dalla serie Lunar Chart (LAC) e alcune immagini Apollo sono fornite dal Lunar and Planetary Institute, gestito dall'USRA.

 

Mappa lunare faccia lontana, con cratere Izsak, Guest e Delporte
 Crediti d'immagine: NASA/GSFC/ASU

 

 

Lato nascosto della Luna: confronto fianco a fianco della prima fotografia in assoluto
del lato nascosto della Luna, 
scattata dalla sonda sovietica Luna 3, e una visualizzazione
della stessa utilizzando 
i più recenti dati LRO (sonda statunitense della Agenzia spaziale
americana). 

Crediti d'immagine: Foto Luna 3 URSS (1959)  / LRO NASA (2009)
 

 

 

 

 

 

 

 

Lo avete riconosciuto? É il Lovesense lush 3, tradotto dall'inglese: “lussureggiante modello tre”. Uno dei tanti tipi di vibratore prodotto dalla ditta singaporiana specializzata nella distruzione scientifica della Donna e dell'Uomo, fondata da Dan Liu, il re degli abiti da cocktail come ebbe a definirlo la Fashon Industry nel 2017, mica l'ultimo quisque de populo. Il suo Lush-3 è un “divais” (device) controllabile a distanza mediante applicazione dedicata, in grado di garantire all'utenza femminile “vibrazioni del punto G potenti e profonde che portano a orgasmi intensi... indipendentemente dalla posizione... liscio come la seta, la migliore combinazione per orgasmi in piena regola1” a bassissimo impatto acustico, assicura Mr Liu.

Molto più semplicemente, si tratta di una coda di silicone che chiunque frequenti siti di hot live streaming può notare costantemente impiantata nelle vagine e negli ani delle sedicenti “artiste” perché... oggigiorno chi si masturba in diretta a pagamento si autodefinisce “artista” con lo stesso identico sostantivo usato per gente del calibro di Leonardo da Vinci, Andrea Palladio o Lavinia Fontana.

Ancora una volta, se non fosse abbastanza chiaro, le Donne sono state messe nel mirino da parte di chi le odia visceralmente, non le vuole proprio vedere sulla faccia della Terra e desidera un mondo di trans al loro posto; né più né meno come occorso tre giorni fa con l'elezione di un eunuco a Miss Olanda. E chi le odia tanto sono appunto i tipi alla Dan Liu i quali odiano parimenti gli Uomini, intesi come i pochi maschi virili rimasti in circolazione: gente – a loro modo di sragionare – che deve essere sostituita con articoli di silicone morbidissimo. A cosa può servire – pensano costoro – un Uomo, se la penetrazione può avvenire mediante l'utilizzo di un vibratore a qualsiasi ora del giorno e della notte?

Il sanguinario Mao postulava che “facendo degli uomini delle mezze donne e delle donne dei mezzi uomini, consente di comandare su cose a metà”. C'è chi si è spinto oltre e non intende arrestarsi!

 

Papillon

1) https://it.lovense.com/bluetooth-remote-control-vibrator

 

Dalle prime decadi del 1900 quando il mondo entrava in guerra i chimici scoprivano il grande potere dell'Alchemia: sostanze corrosive come il fosgene, il cloro e il gas mostarda che hanno ritrascritto il libro della guerra moderna portando al successo la prima guerra mondiale rinominandola la guerra chimica.

Durante la seconda guerra mondiale il fervore scientifico passo' ai fisici che dimostrò le nuove ed incredibili forze che governano l'intero universo: l'antimateria, la meccanica quantistica, ei grandi buchi neri, persino l'atomo fu separato, fu l'inizio del Progetto Manhattan cioè la Bomba atomica da cui ne deriva un alto terrorismo psicologico.Nel 1908 il chimico e fisico tedesco Fritz Haber inventò i Gas Asfissianti sintetizzando l'iprite o gas mostarda e poi il fosgene ed il cloro (il primo utilizzo nella guerra prima mondiale nella città di Ypres in Belgio, in 4 anni uccisero 14.000 persone mentre i tedeschi si immunizzavano con le maschere antigas dette "teste di porco" in gomma con filtri al carbonio) per cui ottenne il Nobel nel 1918.

Dopodiché fu la Biologia ad avanzare prima per un bisogno disperato di modificare geneticamente i raccolti per il problema della fama nel mondo poi clonando ed alterando il DNA animale e rimpiazzando il bisogno di xeno trapianti dagli animali, mutazioni che hanno portato a codificare le armi biologiche, creando il bioterrorismo e ed allo stesso tempo laboratori di biodifesa.

A Thoele (Salt Lake City) Utah uno dei luoghi più pericolosi del mondo sono stati distrutti in inceneritori le scorte di armi chimiche (gas Nervini, Sarin, Gas Vescichizzante, Iprite sperimentando la netraulizzazione chimica e ossidazione con idrogeno tramite solventi, elettricita', convertitori al plasma, ossidazione con acqua supercritica ma rilasciando sostanze tossiche come il furene e la diossina).

I microrganismi o nemici invisibli per armi biologiche si possono reperire in natura o in laboratori (il bacillo antrace nelle carcasse di animali infetti, la peste e' ospitata in animali selvaggi, la tularemia o febbre emorragica o febbre gialla nelle zecche e zanzare) e sono conservati in Lab di 59 nazioni.

l'Antrax 836 e' il piu potente tra i bioweapons dell'USSR's (il famoso Building 221: e' estremamente sottile ed invisibile e può divulgarsi per molte miglia).

Queste armi usate per uccidere indiscriminatamente una grande quantità di esseri viventi si distinguono quindi in armi nucleari, bio/batterilogiche, chimiche(sigla NBC) e radiologiche.

 

In ambito militare si usa ABC (Atomic biologico chimico) poi NBC(nucleare biologico chimico) dopo l'invenzione della bomba all'idrogeno ed CBRN:armii radioattive che iniziarono nel 1937 come armi non convenzionali (Guernica e Hiroshima).1945 nella Commissione per Energia Atomica si legge anche "armi atomiche ed altre utilizzabili per distruzione di massa (termine usato anche nel trattato Spazio extra-atmosferico 1967).La Guerra NBC significa guerra nucleare, biologica o batteriologica e chimica, con uso di testate nucleari biologiche e chimiche come le bombe nucleari, bombe sporche, testate batteriologiche con botulino, vaiolo etc., bombe chimiche con gas vescicanti gas acidi, cloro, bromo etc..

La Risoluzione 687 del 1991 e Convenzione su armi chimiche tratta su come sono composte o si riconoscono, quali sono gli effetti delle 4 categorie di armi chimiche più diffuse e quali sono le contromisure: 1) Agenti Vescicanti: sono Iprite o gas Mostarda e derivati ​​​e la Lewisita. Sono a base di cloro, la prima odor di aglio, l'altra di olio di geranio. A contatto con la pelle provocano ulcere e danni agli occhi, se inalati ulcere ed emorragie nell'apparato respiratorio fino allo shock. C'è l'antidoto unito al lavaggio con bicarbonato di sodio delle parti esposte per liberarle dal cloro.2)Agenti Asfissianti: il Fosgene e suoi derivati, con odore di fieno ammuffito ad azione lesiva per apparato respiratorio con senso di soffocamento e blocco della respira, si cura come l'. bloccando l'organismo e vi sono antidoti. 4) agenti tossici del sangue: il Cianuro di Idrogeno ed il Cianogeno: odore di mandorla amara e bloccano il meccanismo biochimico con cui l'ossigeno viene assorbito dal sistema respiratorio, vi sono antidoti e terapia di rianimazione.

il Centro Antiveleni di Milano ha DATI di circa 70.000 antidoti.

 

Facciamo ora un salto ai nostri giorni per seguirne l'evoluzione e l'utilizzo con alta tecnologia, robotica ed intelligenza artificiale: un'utopia divenuta realtà:

Il Poseidon (supersiluro nucleare) un missile che crea uno tsunami atomico con onde di 500 metri, radioattivo e che può essere lanciato da un sottomarino ( il Belongord a Samarcanda). I Missili i Cruise da crociera Kalibr (robotici con telecomando autonomo con mappe digitali, dispositivo per centrare il target e navigazione a gps satellitare) che si trovano nel Mar Nero lanciabili da navi in ​​superficie e sottomarini: sono anti nave, antisommergibile e da attacco terrestre in versione subsoniche ed iperpersoniche (noti come Club nei mercati stranieri). In codice gli SS-N-27 Sizzler ed SS-N-30A noti anche 3m-54,3M-14 e R91 (design:Bureau Novator),lancio verticale,lunghi 6 metri con gettata di 1500/2500km.Il Missile balistico Sarmat con testata nucleare incenerisce intere capitali ( testato con lancio da un silos a Kalingrad nella regione di Arcangelo sul mar bianco). In codice: RS -28 Sarmat e codice Nato: SS -30 Satan 2 tipo ICBM; I missili Gepard.

Nel Warpath britannico troviamo il veicolo Mardi telecomandato da un cavo di fibre fibrottiche, truppe elettroniche e muli robotici antimine.

A difesa dei siti di lancio sarà istallato il sistema Mozyr un insieme di cannoni che lanciano piccoli proiettili cilindretti di metallo che a km 6 in alto rilasciano 40000 palline da m.3 che fermano missili da crociera o balistici.

I principali esportatori di armi nel mondo sono USA , Inghilterra,Francia, Russia, Germania e Italia.

I principali acquirenti sono i paesi dell'area mediorientale: Arabia Saudita (l'Europa impedisce spedizioni per Myanmar-Birmania).

Le armi allo studio (G8) sono: Schiume paralizzanti, pallottole soniche, Raggi di energia elettromagnetica, gas narcotizzanti e puzzolenti, il mio antiuomo si trasforma in armi non letali che sparano proiettili di gomma, microbi in grado di divorare carburante.

Con uno spray di ossido di magnesio si possono neutralizzare varie armi batteriologiche.

Le nanosentinelle, si tratta di molecole (dendrimeri) dette falsi bersagli che intercettano gli invasori (virus,) e li neutralizzano (uso: ingrediente attivo nelle maschere antigas o iniettate come vaccino ma se ilcontagio è avvenuto allora vi è il farmaco di primo intervento.

Crea inoltre un Minisensore impermeabile o naso elettronico che controlla costantemente le acque per rilevare sostanze sospette ed uno Spettrometro di massa chimico biologico per cercare sostanze sospette nell'atmosfera.

Già sviluppate armi laser come il Boeing 747 YAL-1 (costruito all'interno di un Boeing ) per abbattere i missili balistici a corto e medio raggio nella fase di spinta. Per la Defence Strategic Iniziative (SDI) c'è il progetto di utilizzare sistemi di laser terrestri e spaziali per distruggere missili balistici intercontinentali(ICBM) subito dopo il lancio (il problema della diffusione ottica potrebbe distorcere il raggio, complicandone il puntamento e l' efficienza). Un altro progetto è il Laser a raggio X a pompa nucleare (bomba atomica orbitante a forma di bacchette, una volta esplosa le barre sono bombardate da fotoni di raggi gamma energetici provocando l'emissione spontanea dei fotoni di raggi x degli atomi che le compongono).

Dalla Cina il fucile laser il Zkzm-500 (un'arma laser, prima considerata solo come invalidante, è un'arma ad energia diretta, per cui necessita di aria pulita e non funzionerebbe in presenza di nebbia, fumo, polvere, pioggia, neve , smog, schiuma o sostanze chimiche oscuranti) è un fucile d'assalto che incenerisce un umano anche a distanza di 800 metri.

L'Elettrolaser prima ionizza il suo percorso target poi invia una corrente elettrica lungo la traccia conduttrice del plasma ionizzato (tipo laser o pistola stordente).

I proiettili ad energia pulsata: PEP emettono impulso laser a infrarossi che crea plasma in rapida espansione sul bersaglio: lo shock il suono e le onde elettromagnetiche risultanti lo stordiscono con dolore e paralisi temporanea (non letale per il controllo della folla).

Il Dazler: abbagliatore, arma ad energia diretta per accecare e disorientare temporaneamente (fucile PHASR prototipo abbagliatore laser non letale: le armi laser accecanti bandite nel 95 in USA, tranne che questo fucile).

Il PY132A è un abbagliatore cinese anti drone; la Pistola laser sovietica, un prototipo progettato per cosmonauti; l'Optical Dazzlin Interdictor Navy laBellUSA testato su cacciatorpediniere classe Arleigh Burke; l'Escalibur, programma di ricerca su armi nucleari uUSA pe sviluppo di un laser raggi xa pompa nucleare per difesa missili balistici.

Mentre moltissimi altri sistemi di attacco ed autodifesa si stanno sperimentando e ottimizzando in tutto il globo, una lista troppo lunga da trascrivere, poniamo l'attenzione su tutti coloro che ci coinvolgono e cimplicano in fuori situazioni da ogni controllo che portano a lutti e devastazioni e poniamo le speranze in tutti noi di scegliere con maggior cautela i leader di domani.

 



 

 

Con l'ingresso nel nuovo anno, nello Stato di Washington, all'estremo nordovest degli Stati Uniti d'America, precisamente negli stabilimenti The Boeing Company di Seattle, termina definitivamente la produzione del leggendario B-747 noto in tutto il Mondo come Jumbo Jet .

Ad onor del vero – vorrei tranquillizzare appassionati e nostalgici – il colosso dei cieli solcherà le rotte mondiali per parecchi anni a venire, almeno una trentina se non di più visto che l'ultimo esemplare è stato consegnato in questi giorni alla Atlas Air ( cargo ) e considerato che l'accordo Trump - Muilenburg (AD Boeing) datato 27 Febbraio 2018, ha sancito che la Casa Bianca adotterà due B-747-800 a partire dal 2024 in sostituzione degli attuali 747-200 in servizio dal 1991. La USAF li identificherà con la sigla VC-25B.

 

L a storia che ho selezionato per celebrare la memoria del prodigioso progetto nato dalla mente dell'Ingegnere statunitense Joe Sutter (Seattle, 21 marzo 1921 – Bremerton, 30 agosto 2016) sotto la supervisione del Presidente dellaThe Boeing CompanyMalcom Stamper (Detroit, 4 aprile 1925 – Seattle, 14 giugno 2005), ci riporta indietro nel tempo. Al 1991, per l'esattezza. Scenario: Africa; rotta: ADD-TLV (Addis Abeba, 2.334 mslm – Tel Aviv, 5 mslm); CompagniaEl Al; nome dell'operazione militare:Salomone; missione: prelievo e trasporto della popolazione di religione ebraica presente sul territorio etiope presso Israele.

I FATTI

Nell'arco di trentasei ore comprese tra il 23 ed il 24 Aprile del 1991, il governo israeliano guidato da Yitzhak Shamir, predispose un ponte aereo non-stop che coinvolse un totale di 36 aeromobili attinti tra il settore militare (IAF Israeli Air Force ) e quello cargo di El Al , la compagnia di bandiera locale. Vennero fatti sgomberare quattordicimilacinquecento passeggeri tra uomini, donne e bambini. Ben di più degli ottomila della precedente Operazione Mosè svoltasi a cavallo tra il Novembre del 1994 ed il Gennaio del 1985.

Convocato nel tardo pomeriggio del 23 Aprile direttamente dal settore cargo di El Al , il Comandante Arie Oz racconta di essersi ritrovato a bordo di un B-747-FF (Full Freight – tutto cargo) parcheggiato sul piazzale dell'Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv in compagnia di alcuni collaboratori ed esperti militari. La missione, come anticipato, prevedeva il volo su ADD, relativo imbarco del maggior numero di passeggeri possibile e conseguente volo di rientro in base. Racconta Oz che

ero pronto per firmare il loadsheet [il documento riassuntivo recante tutte le informazioni del volo in merito al carico, al carburante, ai membri presenti a bordo eccetera - NdR] e sul Boeing 747 quando firmi il loadsheet devi resettare il Trim. Così, mi accinsi ad eseguire l'operazione ma il computer ci dava errore. Assieme al Primo Ufficiale abbiamo controllato i pannelli e constatato che ahimè non si resettasse. Mi rivolsi ai colleghi facendo presente che eravamo impegnati in una missione per la salvezza delle vite umane. Quindi al diavolo il trim automatico e facciamo tutto a mano, esclamai!L'ingegnere di bordo consultò il manuale (MEL) in cui trovò che la Boeing prevedesse il decollo in quelle condizioni a patto che fossero soddisfatte due parametri essenziali: non puoi volare con l'autopilota inserito; il volo dev'essere un volo di rientro in base autorizzato dal più alto in grado.

      Cap.

 

Di tempo per le decisioni non ce n'era. Bisognava intervenire tempestivamente, senza venir meno alla sicurezza del volo. Dallo scalo di TLV giunse improvvisamente a bordo un emissario militare che investì l'equipaggio con queste parole: “ Da questo momento siete ufficialmente sotto il controllo delle Forze Armate e non rispondete alle autorità civili ”. Ad Oz non sembrò vero: gli era appena stata servita su di un piatto d'argento la soluzione a tutti i problemi!

 

Visto che in ambito militare non vi fosse nessuno competente quanto me su quella macchina [il B-747] , e considerato che avevo servito in aeronautica fino a raggiungere il grado di Tenente Colonnello, ne conseguiva che il più alto in grado fossi io stesso e dunque mi sono autorizzato da me stesso, specificando al mio equipaggio che il volo sarebbe stato un volo di rientro nel momento in cui saremmo giunti a destinazione. Feci sbarcare il militare e poco dopo eravamo in aria con la prua diretta in Africa”.

 

Giunti ad Addis Abeba, il Comandante diede orine di riempire l'aereo con il maggior numero di persone possibile. Non doveva rimanere scoperto nemmeno un centimetro quadro! Ad eccezione della cabina di pilotaggio la quale doveva assolutamente rimanere inviolata. Vennero imbarcati 1088 passeggeri. In più fonti troverete riportato il numero errato di 1122. Ma in realtà il numero fu di 1086 al decollo e 1088 all'atterraggio: il numero venne incrementato lungo la crociera, grazie alla nascita in volo di due creature. Il volo di rientro, conferma il Cpt Oz fu caratterizzato da una serie di anomalie che mai gli erano capitate in anni di volo. Prima tra tutte il numero esorbitante di persone dietro, il trim che non ha mai funzionato, le due tratte senza autopilota e soprattutto la quota di rientro che non superò mai i 25mila piedi: 

 

abbiamo condotto il volo col massimo della cautela agendo sui comandi con tutta l'accortezza possibile per non causare disagi ai passeggeri. La scelta di non superare quota 25mila piedi era ovviamente dettata dalla necessità di poter raggiungere i 14mila piedi in un minuto o poco più in caso di decompressione perché a quella quota non c'è bisogno di maschere per l'ossigeno e la gente avrebbe potuto respirare senza l'ausilio dei dispositivi che non sarebbero mai stati sufficienti per tutti ovviamente.

  La rotta

 

Il volo di rientro fu un successo. La Boeing , grazie all'operato di El Al , conquistò un primato che con tutta probabilità mai nessun'altra casa costruttrice potrà appuntarsi al petto.

In realtà i primati mondiali collezionati dal Comandante Arie Oz e dal suo equipaggio, furono quattro:

maggior numero di passeggeri trasportati a bordo di un aereo cargo;

maggior numero di passeggeri trasportati a bordo di un aereo in una sola tratta;

maggior numero di passeggeri trasportati a bordo di un aereo civile;

maggior numero di nascite a bordo di un aereo.

Ad onor del vero, esisterebbe un quinto ed ultimo record, come confermato dalla viva voce del protagonista, intervistato da un suo ex allievo attualmente anch'egli Comandante di B-747 Cargo per El Al

C'è un fatto che ancora oggi mi sorprende ed è che in quell'occasione ho deciso tutto io e nessuno si è mai sognato di contestare od avallare le mie scelte né prima né dopo i voli. Fu la prima ed unica volta che nella mia lunga carriera di Comandante non mi sia stato chiesto di rendere conto di un virgola riguardo il mio operato. Ho assunto tutte le responsabilità del caso indirettamente ed ho agito secondo quello che sentivo fosse giusto e non secondo procedure o regole.

 

NB

L'intervistatore è un Comandante di B-747 FF attualmente in attività presso El Al del quale non si conosce né il nome né il cognome ma solamente la denominazione del suo Canale YT che è Captain Boeing . Si sa per certo che costui sia stato allievo del Comandante Arie Oz. Di quest'ultimo non esiste una sola nota su Wikipedia. È totalmente assente dal web.

L'intervista completa è disponibile presso: https://www.youtube.com/watch?v=-yatwvr4vl8&t=2s

Andrea Signini

 

 

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