L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Giovedì 11 giugno, nella sala Santa Maria in Aquiro, presso il Senato della Repubblica si è tenuto il Convegno Ambiente, Alimentazione, Salute e Benessere organizzato da Forza Italia e l'Unione degli Osteopati Italiani. 

Il convegno, condotto dal Senatore Domenico Scilipoti Isgrò, ha riunito relatori e partecipanti di spicco, da sempre impegnati nella promozione delle buone prassi in materia di salute, benessere, alimentazione ed ambiente.

È stato un invito a riflettere ma anche un richiamo alle armi per combattere pratiche e leggi che non tutelano abbastanza i cittadini e l'ambiente. Tanto più, il convegno si è concluso con la formazione di un gruppo di lavoro che vuole richiamare l'attenzione pubblica e politica sulle tematiche discusse. 

Il discorso di apertura è stato di Salvatore Oliverio, rappresentante dell'Unione Osteopati Italiani. Oliverio ha esposto alcuni principi generali sulle cure olistiche, sull'alimentazione e sul funzionamento del metabolismo umano. La sua presentazione è stata rafforzata da quella di sua figlia, Nausicaa Oliverio che ha presentato l'attività degli osteopati, come supporto alle cure tradizionali o come una medicina alternativa volta al ripristino dello stato di equilibrio psicofisico.

Ci sono stati anche alcuni interventi di Luca Sardella, il giornalista Rai con il pollice verde, che ci ha ricordato che non basta essere approssimativi nella scelta degli alimenti sani, ma ben informati, in quanto al giorno d’oggi è molto facile farsi confondere dalle informazioni contrastanti che girano in rete.

In seguito l’Avv. Angela Violi, di Reggio Calabria, ha parlato delle battaglie legali ambientaliste e in particolar modo della battaglia vinta contro la costruzione di una centrale a carbone a Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria.

Silvia Laudoni, del centro benessere Olisticamente, ha tenuto una presentazione sull’antica medicina ayurveda e sui benefici che essa porta.

La Dott.ssa Francesca Ferri, ricercatrice e fondatrice di EffeggiLab, ha illustrato i benefici per la salute della fitomelatonina, assunta come integratore alimentare e non solo. Nel suo discorso la dott.ssa ha voluto porre l’accento anche sull’industria della cosmetica e della cura per il corpo, un’industria in cui sono usati molti ingredienti tossici senza controllo. Inoltre un campo dove la legislatura attuale è carente di norme di tutela.

La Dott.ssa Rosangela M. A. de Bassi, dell’Università Federal do Paranà, del Brasile ha trattato l’argomento dell’inquinamento dell’acqua ed ha raccontato alcune particolarità sulla lotta brasiliana contro il disboscamento e l’inquinamento delle acque.

In seguito il Prof. Dott. Giuseppe Forte ci ha parlato di nutraceutica e di nutrigenomica. Un campo di ricerca che unisce e integra due dimensioni della terapia medica: la nutrizione e la farmacologiadefinendo un nutriente da utilizzare, per prevenire e curare le malattie. Ricerca mirata ad offrire soluzioni terapeutiche innovative, soprattutto nella prevenzione e nelle fasi iniziali di malattia.

La Dott.ssa Iolanda Baldino ha presentato una relazione sul quadro legislativo e giurisprudenziale, italiano ed europeo, in materia di ambiente, salute ed alimentazione. Una relazione che fa riflettere su quanta strada c’è ancora da percorrere per salvaguardare la salute dei cittadini.

L’Arch. Matteo Sernesi ha tirato un campanello di allarme sui materiali utilizzati nella costruzione degli edifici e delle abitazioni. Un campo tutto da rivoluzionare nel camino verso un futuro ecosostenibile.

In chiusura, il maestro reiki Giuseppe Zanella,  persona portata a qualunque ricerca scientifica e paranormale, sensitivo, telepatico e tant’altro, ha ricordato a tutti i presenti in aula che la vita può essere molto di più di quel che la società contemporanea percepisce  essa sia. 

Il convegno si è concluso evidenziando la consapevolezza che tra di noi ci sono esseri superiori, in diretto contatto con la divinità e che il nostro destino è molto di più del semplice vivere, ma è un continuo evolversi, ricercando stati di coscienza migliori per avvicinarsi all’energia divina e creatrice.

Biagio Laponte ama la sperimentazione e la ricerca sonora. Sound engineer nel mondo della musica classica e della world music, vanta produzioni con Giovanni Sollima, Giuseppe Ettorre, Filarmonica della Scala, Orchestra Rai di Torino, e altri.

E' produttore e compositore di musica contemporanea elettronica.

Molti singoli e remix lo avvicinano ad un pubblico di ascoltatori interessati a questo genere. Nel 2014 entra a far parte del mondo teatrale, dove trova ispirazione per il suo ultimo progetto musicale Khaos, che sarà pubblicato da Drummond DSP.

 

Sei un produttore di musica elettronica, ambient, come sei entrato nel mondo della musica e perchè hai scelto questo genere?

 

E’stato il percorso che mi ha portato al mio fare oggi. Ho iniziato a suonare un po’di strumenti acustici, e più scoprivo gli svariati timbri esistenti, più volevo conoscerli e praticarli. Ma è impossibile suonarli tutti, così ho intrapreso il percorso per conoscere la fisica acustica da vicino. Ho messo piede nel primo studio di registrazione in qualità di tecnico del suono, registrando molti album di musica classica e world per poi passare alla produzione e alla composizione elettronica. Non ho proprio scelto questo genere avendo le idee chiare su cosa fare, ma potrei dire che ci sono arrivato. La musica ambient ha una varietà timbrica e una possibilità di modulazione che riesce a penetrare dritta a stimolare l’immaginazione di chi ascolta, evoca paesaggi e ricordi, per alcuni aspetti la definirei astratta, ma il beat elettronico le dà quella pulsazione che ti fa sentire ancora sveglio e tiene vigile l’attenzione sul presente.

 

KhaosHai concluso da poco il tuo primo progetto discografico "Khaos", come nasce questo album e qual è la sua particolarità?

 

L’album nasce a stretto contatto con le mie esperienze con il teatro di ricerca. Praticando nuove forme per immaginare e creare, accostando il mondo dell’arte a quello urbano, nasce uno scambio tra i due, una magia che mi ha molto ispirato a comporre questa musica.

La sua particolarità oltre che concettuale sta nelle sonorità, c’è uno zoom sull’ambiente urbano della metropoli registrato da me in alcune città d’Italia che fa da sfondo alla musica. Questo ambiente accoglie i ritmi a volte frenetici e a volte lenti ed echeggiati, in base al punto d’ascolto che si ha nei confronti della città. Nel senso che se ci vivo dentro ho a che fare col suono dei motori, le sirene e segnali acustici di tutti i tipi che senza dubbio disturbano il mio udito, ma allontanandosi sempre di più quei suoni diventano prima echi e poi rumore di fondo. Il percorso musicale si muove su questi livelli di presa di coscienza dell’attimo in cui ci troviamo e su cosa stiamo ascoltando.

 

Ci dai qualche breve cenno delle dieci tracce contenute in Khaos?

 

Per questo vi invito ad avere un po’ di pazienza, sarebbe impossibile trovare le parole per eguagliare le sonorità create. Ma posso dire che la sincronicità, il tempo e lo spazio, la deriva urbana, la ricerca del silenzio e l’oltrepassare i confini del rumore cittadino sono temi che ho voluto trasformare in suoni e in musica. Spero di esserci in qualche modo riuscito, lo scopo dell’album è portare alla riflessione di queste tematiche tramite la piacevole sensazione di ascoltare musica. Mi piace vederlo come un dipinto esposto in galleria, dove tramite i suoi colori e le sue forme ci si immerge in un mondo interiore che potrebbe migliorare ciò che ci circonda.

 

Qual è il punto di forza della tua musica? Perchè la gente ti dovrebbe ascoltare e scegliere tra le tante proposte del mercato discografico?

 

Bella domanda. Non ci ho mai pensato a dir la verità, ma sicuramente c’è dentro una grande fetta del mio essere, del mio pensiero e in parte anche quello di qualsiasi persona che vive il nostro tempo. La musica che compongo prova ad essere un riflesso della realtà che viviamo, un doppio filtrato dalle mie percezioni che trasformo in suoni. Non so cosa dire riguardo al mercato discografico se non che è oggi è arrivato ad essere una macchina schiaccia sassi e spesso solo per poter vendere il prodotto mette a rischio la qualità della musica stessa. Per fortuna che ancora esistono case discografiche indipendenti che appoggiano e valorizzano le tue idee, tra queste Drummond Records, che mi ha accolto con molto interesse.

 

Esiste un collegamento con il termine greco antico "Chaos" con la scelta del titolo del tuo lavoro?

 

Si. Khaos è il nome che più rappresenta il percorso musicale dell’album. “Nelle antiche cosmologie greche, il complesso degli elementi materiali senza ordine che preesiste all’universo ordinato.” Queste sono le parole che mi hanno colpito, perché oggi, nel mondo, i movimenti in atto sono molto caotici e la speranza è quella di trovare, dopo il caos, una forma adeguata al benessere comune per tutti.

 

Cosa porta un artista ad autoprodursi? Una tua riflessione.

 

Mi collego alla domanda precedente sul mercato discografico. Il motivo per cui oggi tanti artisti si autoproducono è soprattuto per avere la piena libertà di esprimersi, per comunicare tramite l’arte, perché si vuole dire qualcosa, perché il mondo viaggia verso direzioni opposte e in qualche modo è un buon compromesso per salvaguardare la cultura contemporanea, anche se i guadagni non sono elevati e a volte minimi, anche se non sforniamo prodotti per la massa, ci teniamo alla sincera espressione artistica per lasciare un segno originale ed un segnale di risveglio a chi ci ascolta.

 

Cosa pensi della musica etnica? La musica elettronica sarà la musica del futuro?

 

Penso che la musica etnica sia cultura, cultura dei popoli, un' impronta digitale sonora dei vari luoghi del mondo. Senza il ritmo dell’Africa non avrei mai formulato le strutture ritmiche che potrete ascoltare all’interno di Khaos. Come senza i mantra ipnotici indiani non avrei creato il senso di ripetizione minimale. Nella musica etnica e nelle sue culture secondo me c’è l’anima del mondo, ognuno di noi dovrebbe conoscere, approfondire, ricercare e praticare questo tipo di passione nella poesia, nel teatro, nei dipinti, nei linguaggi e nei suoni. Per quanto riguarda la musica elettronica, ti dà la possibilità di rendere il suono una materia malleabile e trasformabile in svariate forme. Tutto ciò è possibile grazie ai grandi progressi della tecnologia apportata alla musica ma non la definirei la musica del futuro. Esiste già e coesiste insieme a tutte le altre forme musicali come la musica barocca, l’opera lirica, il pop e il punk. Diventerebbe noioso andare tutti i giorni ad ascoltare i concerti di Tim Hecker o di Ryuichi Sakamoto se non fosse possibile anche ascoltare un concerto tra quelli dei Radiohead o di Bob Dylan, o perché no una bella sinfonia di L.V. Beethoven.

 

Silvia Pietrovanni

Le storie raccolte in questo libro sembrano nascere come sussurri antichi della terra.

Sono storie che l'autrice accoglie e raccoglie dalla tradizione contadina, intrecciando la voce antica della memoria ad uno stile evocativo e prezioso.

“La montagna mi ha chiamata” dice Isa quando parla dell'origine del libro.

La montagna, il colle del Montecchio, sceglie lei per farsi raccontare. 

Una antica leggenda parla delle Figlie della Luna, stirpi di donne che abitavano la montagna di Montecchio da tempo immemore, che si riunivano per ringraziare la terra con balli e canti attorno al fuoco, donne che sapevano volare cosparse di un unguento che lenisce ogni dolore. 

Le Figlie della Luna ritrovano voce attraverso la sensibilità artistica dell'autrice e attraverso di lei tornano a vivere anche quelle pietre misteriose, neolitiche, che scandiscono la salita al colle. Nelle pagine del libro, infatti, sono riportate le fotografie dei luoghi che fanno da cornice alle storie: la piana sacra, il masso della fertilità, la grotta dove si è consumato l'amore tra Bianca e Andrea, il trono della regina Isotta, il braciere, la tomba di Manul…   

Se la maggior parte di queste storie nasce dai racconti tramandati dalla tradizione popolare, o dalla memoria impressa nelle rocce antiche, a originare il penultimo racconto è un manoscritto datato 1347 nel quale si fa riferimento all'esecuzione sul rogo della strega Rita Angelutii con tanto di parcelle di compenso per chi ha partecipato attivamente alla punizione mortale.

Isa sale sul Montecchio, con l’intenzione di capire di più di quel foglio rinvenuto, e chiede a Rita di raccontarsi attraverso la sua penna. E così conosciamo la sua storia, la storia di una donna che per partenogenesi, in età avanzata, si scoprì incinta, ma la sua gioia inaspettata si trasformò in un dolore mai assopito, in anatema, in vendetta, in morte: in una delle prime documentate esecuzioni per stregoneria, nel 1347. 

Ero venuta qui solo per cercare le orme, le impronte degli antichi giganti della foresta, e invece ho scoperto che c’è qualcosa di molto più grande della notte e del giorno, del sole e delle stelle, perfino più grande e misterioso della vita e della morte. 

Intenso è lo stile che sostiene i racconti: i luoghi e i personaggi sono descritti con pennellate emotive, eco della prima espressione artistica di Isa, la pittura. Interessanti i riferimenti antropologici come le descrizioni dei riti, testimonianze di una tradizione secolare mai assopita, che si intrecciano alla narrazione rendendola ancora più viva. 

Pier Isa Dalla Rupe e l'editore Fefè organizzano delle passeggiate letterarie durante le quali “Le streghe di Montecchio” e “Il masso della fertilità” (due libri dell’autrice) vengono raccontati e fatti vivere nei luoghi che li hanno ispirati, ovvero il colle del Montecchio e il paese di Bagnaia, in provincia di Viterbo. 

La radice tiene l’albero piantato nella terra, ma è solo il vento che fa volare le foglie e i petali dei fiori; la radice rimarrà per sempre sepolta, nascosta sotto terra. Tu, figlio mio, sei il tronco di quella radice, sei l’albero vivo. Senza tronco non ci sarebbero rami, senza rami non crescerebbero le foglie, né i fiori, ma soprattutto, figlio mio, mai cadrebbero i succosi frutti sulla terra.

 

Pier Isa Della Rupe:
Le streghe di Montecchio
Fefè editore

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