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Dalla città universale della pace, Assisi, giunge un segno di rinnovata responsabilità etica: l’Avvocato Fabrizio Abbate entra a far parte del Comitato Scientifico del Forum per la Pace, per riaffermare la centralità della coscienza nell’era dell’Intelligenza Artificiale.
Ad Assisi, dove ogni pietra parla di dialogo e ogni silenzio custodisce una preghiera, il pensiero ritrova la sua voce più autentica.
Tra le mura che da secoli accolgono il linguaggio universale della pace, Fabrizio Abbate, giurista, autore della Saga NeoEvo e studioso dei diritti nell’età digitale, entra nel Comitato Tecnico Scientifico (CTS) dell’Assisi Strategic Forum per la Pace, un luogo dove l’Etica diventa la radice viva del futuro.
Viviamo un tempo fragile e complesso, in cui la tecnologia avanza a un passo più rapido della riflessione che dovrebbe accompagnarla.
Mentre l’Intelligenza Artificiale ridisegna il confine dell’umano, cresce l’esigenza di voci capaci di restituire al progresso una direzione di senso. Tra queste si colloca la nomina di Fabrizio Abbate, interprete di un pensiero etico che intende orientare la trasformazione globale con misura e consapevolezza.
La sua figura si lega a questo percorso con coerenza, frutto di un impegno che unisce il rigore del diritto alla visione etica del pensiero umanista.
Già alla guida di Assodiritti e del Salotto Letterario di ENIA, Abbate affida al Forum la profondità della sua duplice vocazione: il diritto come architettura della giustizia e l’etica come respiro della speranza.
Il Prof. Giannone, Presidente del CTS e dell’Associazione Umanesimo ed Etica per la Società Digitale, ha sostenuto con convinzione la nomina, riconoscendo in Abbate una voce capace di unire cultura, diritti e responsabilità. La sua presenza nel Comitato rappresenta la volontà di riportare l’essere umano al centro del dialogo mondiale e di costruire una pace che nasca dalla consapevolezza.
“L’Etica è la Pace”: un Manifesto per il nuovo tempo.
Per Fabrizio Abbate, entrare nel CTS non è un traguardo, ma la naturale prosecuzione di un cammino. La sua visione parte da un principio semplice e radicale: “L’Etica è la Pace.”
Una verità che diventa promessa e direzione. Nelle sue parole, l’etica non si limita a regolare l’agire umano: lo eleva, lo riporta al suo nucleo di responsabilità e dignità. Così, la tecnologia ritrova la propria misura e la conoscenza diventa ponte tra libertà e solidarietà.
Abbate invita a un nuovo Umanesimo, in cui scienza e spirito avanzano insieme, riconoscendo nella cooperazione la forma più alta dell’intelligenza.
Dal disarmo materiale al risveglio morale.
Lo stesso spirito anima il Comitato Scientifico di Assisi, laboratorio di idee e di rinascita, dove la pace si costruisce attraverso gesti concreti.
Le armi si trasformano in energia civile, la paura in fiducia, la competizione in collaborazione.
La visione della Conversione Nucleare traduce il sogno in progetto: convertire la potenza distruttiva in forza generativa, inaugurando una nuova stagione di speranza.
In questa prospettiva si inserisce anche l’opera letteraria di Abbate.
Con la saga del NeoEvo, l’autore ha costruito un universo narrativo in cui l’Intelligenza Artificiale diventa la lente attraverso cui leggere i dilemmi dell’età contemporanea. Titoli come Astrolìa e il mistero delle Tre Cattedrali ed Extrafallaces: Astrolìa e l’Intelligenza Artificiale nel NeoEvo intrecciano simbolismo, arte, diritti e tecnologia in un racconto che esplora il rapporto tra verità e illusione, libertà e potere. Nelle opere, l’IA non è solo presenza tecnologica, ma protagonista morale che interroga l’uomo sul senso del suo stesso destino.
Il percorso creativo e civile di Abbate trova così la sua naturale continuità ad Assisi, dove arte, pensiero e diritto si incontrano per dare voce a un nuovo paradigma etico, fondato sulla pace e sulla dignità umana.
L’Uomo, cuore della rivoluzione digitale.
Il cammino di Fabrizio Abbate nasce nel solco luminoso di Pacem in Terris, raccogliendo l’eredità di un pensiero che pone i diritti e la dignità dell’uomo al centro del progresso.
Da questa radice si leva la sua voce, chiara e necessaria, ad Assisi: l'intelligenza autentica risiede nella coscienza viva, capace di orientare la rivoluzione tecnologica verso il bene comune.
Quando la tecnica si allontana dall’etica, perde la sua vocazione creativa e genera smarrimento.
Solo la pace, nutrita di dialogo e fondata sul diritto, restituisce all’Uomo la sua grandezza originaria: quella di essere custode, non padrone, del mondo che crea.
E da Assisi, grazie anche alla visione del Prof. Giannone, la nomina di Fabrizio Abbate si trasforma in un segno vivo di speranza: un ponte tra Intelligenza Artificiale e umanità, tra conoscenza e coscienza nel nome della pace.
Diffondere la cultura della prevenzione e i corretti stili di vita saranno al centro delle attività dell’Associazione.
Bergamo, 29 ottobre 2025 – Con il chiaro intento di diffondere la cultura della prevenzione, della promozione dei corretti stili di vita e del benessere psico-fisico e della preservazione dello stato di salute dell'individuo, del suo nucleo famigliare e delle comunità in genere, nasce l’Associazione SIBU APS – Società Italiana Benessere Uomo APS.
L’intento è soprattutto quello di sensibilizzare in modo positivo, e propositivo, la popolazione maschile nell’abbracciare a 360° la cura della propria salute e del proprio benessere, sia in un’ottica di tipo “One Health” che in un’ottica prettamente olistica, sfatando così il pensiero comune che “gli uomini sono meno attenti alla propria salute rispetto alle donne”.
Con l’aspirazione di divenire in futuro una vera e propria Società Scientifica, SIBU opererà principalmente mediante studi di ricerca clinici e osservazionali, sessioni formative, eventi e campagne informative, nonché nella partecipazione attiva in programmi di screening.
Primo Presidente designato è il Prof. Gian Luigi de’ Angelis, Ordinario di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva e già Direttore del dipartimento Materno-infantile e della struttura complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Ad affiancarlo, un nutrito gruppo di professionisti formato non solo da medici e personale sanitario, ma anche da accademici, ricercatori, e figure specializzate nei settori nutrizione, farmaceutica, fitness e divulgazione scientifica.
“La nascita di questa Associazione scientifica è dovuta ad una brillante intuizione dell’amico e collega Prof. Francesco Greco, che, come già sottolineato, ha voluto riunire un numeroso gruppo di specialisti che si occupino di benessere inteso in primis come mantenimento di un ottimale stato di salute degli uomini. Infatti per motivi biologici, sociali, culturali, storici ed altri ancora, gli uomini da sempre sono stati meno attenti alla propria salute rispetto alle donne. Questa differenza è diventata ancora più importante da quando la donna è stata giustamente oggetto di tante campagne di sensibilizzazione e di prevenzione. Basti pensare a quanto è stato fatto per prevenire e trattare il tumore al seno. In quest’ottica si colloca la nostra associazione che si propone di valorizzare non solo gli screening di enorme importanza, quali ad esempio quello del tumore della prostata e del tumore del colon retto, ma anche tutto quell’insieme di fattori che possono incidere in maniera significativa sul concetto di benessere dell’uomo. La vita media si è allungata molto negli ultimi decenni. L’impegno adesso è quello di conservare la qualità del vivere più a lungo possibile attraverso tutta una serie di trattamenti preventivi che passino dalla quotidianità del vivere, ai giusti stili di vita, alla cura tempestiva delle varie patologie”, ha sottolineato il Prof. de’ Angelis.
SIBU – Società Italiana Benessere Uomo
Via Palma il Vecchio, 4A - 24122 Bergamo
www.sibuitalia.it
Viviamo in un tempo di passaggio. Le certezze dell’Occidente — progresso, stabilità, sicurezza — sembrano essersi incrinate, mentre l’Oriente, vasto e giovane, torna a rivendicare un ruolo centrale nella storia del mondo. È questo il cuore del “Ritorno d’Oriente”, una riflessione geopolitica che interpreta il XXI secolo come l’epoca del grande riequilibrio tra Europa e Asia.
Le cinque ferite del nuovo millennio
Il secolo si è aperto con cinque shock simbolici che hanno scosso l’ordine globale:
l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, la crisi finanziaria del 2008, la pandemia del 2019, la guerra in Ucraina del 2022 e il conflitto in Medio Oriente del 2023.
Cinque eventi che hanno incrinato il mito della globalizzazione e mostrato la fragilità del sistema occidentale. L’illusione di un mondo unito dal commercio e dalla tecnologia ha lasciato spazio a un’epoca di incertezze e di ritorno alla storia.
Europa e Asia: due visioni del mondo
L’Europa è il continente della memoria: culla della filosofia, del diritto e della politica moderna, ma oggi segnata da un senso di stanchezza.
È anziana non solo per età demografica, ma per spirito. Amministra il presente più che costruire il futuro.
L’Asia, al contrario, è giovane, demograficamente viva e animata da un desiderio di affermazione.
Mentre l’Europa difende ciò che ha, l’Asia insegue ciò che vuole — e la storia, da sempre, appartiene a chi desidera di più.
Potere, istituzioni e nuove alleanze.
L’Europa ha scelto la stabilità, l’Asia il movimento.
Il Vecchio Continente si affida a un sistema di istituzioni rigide — Unione Europea, NATO, OSCE — che garantiscono pace ma non visione.
In Oriente, invece, il potere è fluido e pragmatico: nascono e si intrecciano nuove alleanze come i BRICS, l’ASEAN e la Comunità di Shanghai.
Nessuno è alleato per sempre, nessuno nemico per sempre: l’era delle “transazioni mobili” ha sostituito quella dei blocchi ideologici.
Religione e identità
Se l’Europa si è secolarizzata fino a perdere il linguaggio del sacro, l’Asia vive ancora di spiritualità.
In Russia, l’ortodossia è tornata a fondamento dello Stato; in Iran, l’Islam sciita guida la vita politica; in India, l’induismo si è trasformato in ideologia nazionale; in Turchia, l’Islam politico è tornato al centro con Erdoğan.
La Cina riscopre il confucianesimo sotto la superficie del comunismo, mentre il Giappone continua a fondere shintoismo e modernità.
L’Europa crede nei diritti, l’Asia nei doveri. È il contrasto tra l’individuo e la comunità, tra la libertà e il destino.
Economia e tecnologia: il nuovo potere
Il mondo non si divide più solo per confini o eserciti, ma per infrastrutture e dati.
Oggi chi controlla i flussi — di energia, informazioni, rotte marittime e connessioni digitali — controlla il futuro.
La Cina costruisce la Nuova Via della Seta, collegando Asia, Africa ed Europa; l’India diventa il laboratorio digitale più grande del pianeta; la Turchia si afferma come ponte energetico tra continenti; l’Iran domina lo stretto di Hormuz, da cui passa un terzo del petrolio mondiale.
In confronto, l’Europa appare fragile, priva di energia autonoma e di visione tecnologica comune.
Il nuovo equilibrio del mondo
Dalle steppe russe al Mar Cinese Meridionale, il pianeta è attraversato da linee di frizione.
Il futuro potrebbe decidersi a Taiwan, nel Caucaso o nel Medio Oriente.
Ma al di là delle tensioni, emerge una costante: la storia si sposta verso Est.
Non si tratta di un conflitto tra civiltà, ma di una transizione di civiltà, in cui il baricentro economico e culturale del mondo cambia posizione, come accadde già nei grandi cicli della storia.
Europa e Asia: memoria e futuro
L’Europa custodisce la memoria, l’Asia rappresenta il futuro.
L’una ricorda, l’altra sogna.
Il ritorno d’Oriente non è una minaccia, ma una possibilità: quella di un nuovo dialogo tra civiltà, di un mondo più multipolare e meno dipendente da un solo centro di potere.
Come ricorda una citazione che chiude il testo:
“Il mondo non torna indietro. Sta solo tornando verso Est.”
E forse, questo ritorno non è un tramonto dell’Occidente, ma l’alba di una nuova epoca della storia umana.
La fede non è certezza granitica, ma esercizio di ascolto radicale: la riflessione del Cardinale José Tolentino de Mendonça sull'immaginazione come unica via per abitare l'incompiutezza umana e ritrovare il reale originario.
Nell'aula magna della rassegna Bayram al Maxxi la sera del 4 ottobre, un silenzio denso si è fatto varco di luce. L'ambiente, avvolto in una profonda oscurità, era filtrato da una suggestione cromatica verde smeraldo che emanava dallo schermo, creando un'atmosfera sospesa e quasi liturgica.
Il panel, intitolato “Per una teologia dell’immaginazione”, ha visto la voce del Cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l'Educazione, poeta e teologo di profonda risonanza, dialogare con Fabrizia Sabbatini e Guglielmo Gallone.
L’atmosfera era un respiro sospeso e il pensiero sembrava aver assunto la forma di una preghiera collettiva. Il pubblico, raccolto nell’ombra, ha atteso il suono delle prime parole e, da quel momento, la parola si è fatta dimora.
La poesia si è presentata come la soglia, il punto d’ingresso imprescindibile per l’immaginazione e la fede. Tolentino ha parlato con tono pacato, lasciando che la sua voce seguisse il ritmo di una rivelazione interiore.
Per lui, la poesia rappresenta una forma radicale di attenzione, un esercizio di ascolto, un luogo di vuoto fertile.
Chi scrive, al pari di chi prega, accetta l’incompiutezza e vi riconosce la condizione stessa della verità. Il poeta, secondo il Cardinale, vive nell’intervallo tra la parola e il silenzio, nell'interstizio fecondo dove la domanda è più essenziale della risposta. Nella preghiera, questa attenzione si sublima in filiazione: pronunciare Abba significa riconoscere la propria origine, accogliere la vertigine di essere amati e custoditi.
La conversazione ha toccato il mistero della vocazione, intrecciando biografia e pura contemplazione. Tolentino ha evocato la sua infanzia in Angola, dove la vastità africana gli ha donato il senso dello spazio illimitato e del tempo primordiale. Quell’esperienza è divenuta la radice di un pensiero ampio, capace di scorgere nella vastità stessa la possibilità di Dio. Da quell'humus germinò il suo sguardo poetico, capace di abitare l'immaginazione quale supremo strumento di conoscenza.
Papa Francesco, nel riconoscerlo e chiamarlo a Roma, ne ha intercettato l’orizzonte vasto, l’anima che reca in sé la misura del deserto: un invito a vivere la fede come ininterrotto atto creativo.
In questo crocevia tematico, l’immaginazione è apparsa come una forza spirituale, una difesa contro la realtà fabbricata, una via per ritrovare il reale originario.
Il poeta-teologo ha evocato la distinzione di Carlo Michelstaedter tra retorica e persuasione: la prima costruisce mere apparenze, la seconda genera la verità vissuta. Vivere in prima persona, con piena consapevolezza, significa sottrarsi al dominio delle immagini imposte e ritrovare la profondità dell’esperienza.
L’immaginazione diventa allora atto di resistenza, modo per attraversare la superficie e toccare il nucleo stesso dell’essere.
Non stupisce che da tale visione si sia giunti a interrogare la Bibbia. Essa si manifesta, nel discorso, come una corteo infinito di domande e non un volume statico.
La parola biblica non è allora un codice immobile, ma un’onda d’urto che plasma la storia e genera ininterrotto linguaggio: è il gene sacro che ha ispirato letteratura, architettura, filosofia, scienza. In ogni epoca si manifesta come traccia viva, come rumore sacro che fende il silenzio.
Tolentino l’ha definita un “patrimonio diffuso”: una corrente che scorre anche là dove non la si attende, persino nella scrittura di autori come José Saramago, che ha fatto della Bibbia un laboratorio narrativo pur dichiarandosi lontano dalla fede.
Da questa prospettiva scaturisce la riflessione sulla necessità improrogabile di riconciliare la fede con l’immaginazione. Senza quest'ultima, ha ricordato il Cardinale, non è possibile comprendere né l’amore né il male, né la ferita né la grazia. L’immaginazione è la via attraverso la quale l’invisibile si rende visibile, il mistero si fa incarnazione. Gli scrittori, con un’attenzione minuziosa alla vita, esercitano questa vocazione, trasformando le piccole gestualità quotidiane in linguaggio dell’anima. L’arte, come la teologia più autentica, è una scuola dello spirito, una fessura che lascia filtrare la luce nel quotidiano distratto.
Nel cuore della meditazione, la parola comunità è risuonata come profezia. L'epoca attuale vive una frammentazione profonda: gli individui si credono connessi, ma sono isole. La comunità, invece, è la possibilità di condividere un immaginario, di riscoprire una storia comune.
| Il Cardinale José Tolentino de Mendonça |
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Ha citato Sant’Agostino: “Voglio che tu sia”, perché nell’amore più puro si cela il desiderio che l'altro esista. In questo desiderio si fonda la vera comunione, quella che salva dal rischio dell’individualismo e restituisce alla vita la sua misura plurale.
La conclusione del dialogo è stata affidata all’evocazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia, allestito nel carcere femminile della Giudecca. Lì, la poesia è stata seminata tra le mura, sotto l’unica finestra senza sbarre. Le parole scritte dalle detenute, accanto ai versi dei poeti di ogni tempo, hanno testimoniato che la poesia è l’unica cosa capace di entrare e uscire liberamente da ogni prigione. Questa scelta, ha detto Tolentino, è un atto di immaginazione incarnata: la fede che si fa visione e la visione che si fa spazio di libertà.
La serata si è congedata con la lettura di Attraverso la terra, un testo lirico che il Cardinale ha estratto dalla sua raccolta poetica Estranei alla terra.
Le sue parole hanno dato forma a una certezza che, infine, non ha avuto bisogno di risposte dogmatiche, ma che è rimasta sospesa, palpabile, nell’aria: l’immaginazione è la forma più alta e umana del coraggio, la forza che scioglie gli opposti e unisce conoscenza e tenerezza, pensiero e rivelazione. E così, in quella vibrazione lenta e profonda, la teologia si è fatta sussurro poetico, e la poesia, svincolata dal suo stesso rito, è tornata a essere, finalmente, pura preghiera.
C’è voluta la voce della dr.ssa Maria Rita Gismondo, microbiologa e direttrice del laboratorio di microbiologia clinica dell’Ospedale Sacco di Milano, perché nel silenzio ovattato dei palazzi del potere risuonasse, finalmente, una domanda che nessuno aveva più il coraggio di porre: che cosa è davvero accaduto negli ospedali italiani durante la pandemia da Covid-19? Un interrogativo che, dopo anni di narrazione univoca, è tornato a scuotere le fondamenta del Senato, dove la Gismondo ha portato una testimonianza destinata a lasciare il segno. Perché non è una voce marginale o improvvisata, ma una scienziata che per anni ha diretto una delle strutture di riferimento nazionali per le emergenze infettive, in collaborazione con l’ospedale di Bergamo e lo Spallanzani di Roma. La sua audizione nella Commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid-19 ha avuto il sapore di una resa dei conti con la storia recente. Senza alzare la voce, Gismondo ha raccontato con precisione chirurgica la confusione che regnava nei primi mesi del 2020: decisioni prese “nel panico”, mancanza di un piano pandemico aggiornato, protocolli contraddittori, ordini che cambiavano di ora in ora. Un mosaico di incertezze che, a suo dire, costò caro al Paese. E qui emergono i nomi come Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio e Roberto Speranza, ministro della Salute con un intero apparato tecnico-politico incapace di gestire con lucidità una crisi che avrebbe richiesto scienza, coordinamento e sangue freddo. Non si tratta di crocifiggere, ma di pretendere responsabilità storica, perché le scelte, o le non scelte, di quei mesi hanno inciso sulla vita e sulla morte di migliaia di persone.
Gismondo ha ricordato che in molti ospedali, dal Sacco di Milano al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, fino al Policlinico di Roma, le autopsie sui pazienti deceduti furono scoraggiate, ritardate e, talvolta, ostacolate. Eppure, in medicina, quando una patologia sconosciuta si presenta, è proprio l’autopsia lo strumento fondamentale per comprenderne la natura. “Solo più tardi, ha detto, con le autopsie fatte di nascosto, abbiamo scoperto che molti pazienti morivano per gravi processi trombotici e infiammatori, non solo per insufficienza respiratoria”. Parole che bruciano, non per lo scandalo, ma per la consapevolezza del tempo e delle persone care perdute. Nel racconto della microbiologa emerge l’immagine di un sistema paralizzato dalla paura, dove la politica cercava rifugio nella burocrazia. “Ho parlato con il ministro Speranza, ha ricordato, e l’ho trovato nel panico, mi diceva di rivolgermi ai tecnici, ma il piano pandemico non c’era”. Ecco l’immagine simbolica di quell’Italia smarrita con un ministro senza piano di emergenza sanitaria, un governo che rincorreva gli eventi e medici lasciati soli a improvvisare protocolli di emergenza. Molte delle decisioni prese allora, come l’intubazione sistematica dei pazienti in fasi non appropriate della malattia, oggi vengono rilette con amarezza.
Non per accusare chi, in buona fede, combatteva in trincea, ma per denunciare l’assenza di guida, di chiarezza e di una visione unitaria. Gli ospedali italiani si trasformarono in isole scollegate e ciascuna a interpretare ordini confusi provenienti da Roma. Nel frattempo, i cittadini morivano soli, senza conforto, spesso classificati come “casi Covid” anche quando la causa effettiva del decesso non era chiaramente accertata. Qui non si parla di falsificazioni, ma di un errore collettivo di metodo, di comunicazione e di trasparenza. L’Italia, nei momenti più difficili, ha preferito la narrazione alla verità. Ha costruito rassicurazioni a breve termine invece di affrontare la complessità dei dati. Oggi, a distanza di anni, il coraggio della Gismondo non serve a dividere, ma a ricordare. Ricordare chi ha perso la vita, pazienti, medici ed infermieri, travolti da una gestione emergenziale che troppo spesso ha sacrificato il rigore scientifico sull’altare della politica. Onorare i caduti non significa alimentare sospetti, ma chiedere verità, trasparenza e memoria. Perché nessuna democrazia può permettersi di archiviare la più grande emergenza sanitaria della sua storia come un capitolo chiuso. Se davvero la Commissione d’inchiesta avrà il coraggio di guardare in faccia la realtà, dovrà ascoltare le voci come quella di Gismondo, ma anche quelle di chi, giorno dopo giorno, ha visto con i propri occhi il prezzo dell’improvvisazione. Il tempo dei silenzi è finito e, forse, dopo questa audizione, anche nei corridoi del Potere qualcuno ha cominciato a tremare.
A Roma, nel quartiere Monteverde incomincia a farsi sentire il “Comitato per la pace”, un gruppo di circa 20 persone attive più altre 50 collegate tramite mail che fanno riferimento a questo. Ieri, 24 ottobre, si è svolta una fiaccolata a favore della pace che ha attraversato uno dei quartieri più popolosi di Roma.
“La nostra principale caratteristica è che siamo persone di diversa esperienza e provenienza politica, di diversa provenienza religiosa, insomma un misto di diverse culture e posizioni ma con l'intento di impegnarci in iniziative che siano significative e importanti per tutti noi”, dice la signora Serenella Svariati, uno dei promotori della fiaccolata,“la nostra attività è parlare con la gente del quartiere facendo volantinaggio ed promuovendo eventi che sono occasione di confronto diretto. In questo modo speriamo di poter essere un punto di informazione e di riferimento per le persone del nostro quartiere che desiderano confrontarsi, sostenersi e continuare a credere nella possibilità di incidere in un mondo che sembra sordo e disincantato.” Continua la signora, “le persone del gruppo hanno iniziato ad incontrarsi circa due anni fa e si sono dedicate soprattutto alla situazione della Palestina in quanto le notizie che arrivavano da quella terra richiedevano una narrazione giusta e una ribellione per la situazione disumana.”
Gli obiettivi del comitato sono: la pace, la cultura di questa e del disarmo, la messa al bando delle armi nucleari, una pace giusta nel rispetto del diritto internazionale, “siamo ben consapevoli che in Palestina non si sia ancora concluso lo sterminio per mezzo di fame e sete” afferma la signora, altro scopo del comitato sono il rispetto delle minoranze emarginate, in particolare dei migranti.
“Siamo qui anche perché crediamo fermamente che se ci uniamo tutti noi, che vogliamo continuare a credere nei valori dell'essere umano, possiamo fare la differenza, e speriamo di diventare una marea di persone vigili, unite, decise a farsi sentire.”
La signora Serenella lancia lancia un appello affinché sempre più persone di buona volontà del quartiere e non raccolgano il suo messaggio e partecipino al suo comitato perché si vada avanti tutti insieme e si decida le azioni da intraprendere perché la gente possa sempre più prendere coscienza della mostruosità delle
guerre. Il gruppo si incontra presso la sede della Tela in piazza della Trasfigurazione, sempre nel quartiere Monteverde, e cioè da dove è partito il corteo della fiaccolata che ha coinvolto tantissime persone. “Abbiamo una mail a cui inviare un semplice messaggio per essere inseriti nella lista ed essere avvisati di tutte le nostre riunioni e delle nostre iniziative. Vi aspettiamo” Conclude la signora: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Su questo argomento, ovvero banche speculative, aste speculative, cittadini deprivati addirittura della loro prima casa, in barba alla Costutuzione, mi ha instradato un caro amico, che si chiama Alfredo Belluco, anche lui Veneto. Per chiunque abbia un mutuo e debiti speculativi con le banche (sioniste?) vi invito a consultarlo. Egli ha vinto anche cause su mutui/aste speculative contro potenti banche.... Lui è esperto in mutui fasulli, banche speculative, cavilli che possono smontare mutui scorretti e prestiti immorali, aste giudiziarie speculative, cartolarizzazioni di deprezzamento dei beni primari e di terreni agricoli e quindi foriere di tragedie familiari che possono portare all'episodio di morte che abbiamo visto il 14 ottobre 2025, nel veronese, presso il paesino di Castel d'Azzano; protagonista è stata la famiglia dei fratelli Ramponi, allevatori-agricoltori e 3 poveri carabinieri. Essi sono morti per difendere uno Stato in declino morale assoluto che non ha provveduto ancora, dall'inizio degli anni 2000 e soprattutto dal 2008 - quando hanno scoperto i mutui subprime delle banche sioniste americane - a cambiare le leggi che riguardino la prima casa, l'immorale cartolarizzazione da parte delle banche con il deprezzamento di case, casali, terreni e poderi con l'uso di aste speculative. Sono gli stessi agricoltori, contadini, proprietari di masserie, casali e terreni che ci nutrono, a noi Popolo Sovrano, le stesse terre e gli stessi casali che poi, con la EU,vera, piovra che sta polverizzando l'agricoltura europea e soprattutto quella italiana, vanno invece nelle mani di società immobiliari-piovre, legate alle stesse banche, che si sono curate dei prestiti - spesso usurai dice il Belluco e le sue sentenze - ai poveri cittadini. CORNUTI E MAZZIATI SONO! Un valzer mortale a circuito chiuso, con cui soprattutto i sionisti sperano di comprare il mondo e creare il loro Grande Israele... fino a Cipro dove stanno comprando "a 4 ganasce" con i soldi sporchi di sangue, come in Sardegna, come in Toscana, in Puglia.
Per non parlare degli "espropri coatti di pubblica utilità" cosiddetta, per sviluppare i campi di agro-voltaico e i campi di pale eoliche, assolutamente del tutto inutili ai fini dell'abbattimento del presunto cambiamento climatico di natura industriale: sempre considerando che il vero cambiamento climatico è soprattutto naturale o dovuto a geo-ingegneria.
Quindi tutte le "cose" che si sono svelate nella Apocalisse Mondiale degli ultimi 5 anni sono molto collegate fra loro: I) la Big Pharma che ha fatto impoverire i cittadini/agricoltori/imprenditori/allevatori, tenendoli chiusi per mesi/anni SENZA PRODURRE e inoculati con un siero-genico-sperimentale-militare, ora sotto processo; II) lo strapotere del capitale delle banche sioniste che si sono organizzate quando scoperte nel 2008; III) la lobby delle armi/BIO-LAB4, che hanno fatto dirottare fondi pubblici verso questi, e quindi hanno impoverito le famiglie lasciandole senza investimenti, costringendole alla bancarotta e a non poter mandare avanti le proprie aziende, anche a causa della devastante bolletta elettrica. Peraltro questa è aumentata a dismisura a causa delle rinnovabili speculative, volute soprattutto da questa Europa assassina.
E a questo punto - molto in avanti verso il disastro TOTALE, ben oltre quello del 2008 - chi ci va a rimettere sono soprattutto i cittadini/imprenditori impoveriti gradualmente negli ultimi 25 anni, destinati a rimanere senza casa/terra, magari ad opera finale di sfortunati carabinieri, ovvero agricoltori/allevatori che sono arrivati al gesto estremo, fino alla tragedia della morte dei poveri 3 carabinieri recentemente e addirittura con 25 feriti del tutto innocenti. Migliaia di cittadini stanno in queste condizioni... attenzione!
A questo punto dell'evoluzione mondiale di tipo nazi-sionista-finanziaria speculativa, ho già detto in un precedente articolo quello che bisogna fare: una legge universale che impegni sia i ragazzi di destra che di sinistra a creare un nuovo mondo più giusto, equilibrato e meno genocida.
Ed intanto che questa rivoluzione va avanti, nell'immediato si può risolvere la situazione innanzitutto non comprando i loro prodotti, togliendo i soldi dalle LORO BANCHE con la nascita di rinnovate casse rurali etiche, attivando un monitoraggio attento delle aste giudiziarie, con l'abolizione di queste nel giro di breve tramite un'apposito Decreto Legge urgente, per fare in modo che un bene/terreno da 100.000 € non venga deprezzato addirittura di 5 volte per essere venduto agli "amici degli amici" magari a 20.000 €, tramite società immobiliari bancarie, che con una mano tolgono i prestiti agli agricoltori/imprenditori e con l'altra ricomprano il bene dietro l'angolo a prezzi irrisori, speculativi, immorali e lo rivendono al loro prezzo originale.... maggiorato.
E questo avviene soprattutto in Italia...il BEL PAESE nel mondo: monitoreremo tutto questo.
Da qualche giorno, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha intrapreso una crociata mediatica contro la Regione Lazio, accusandola di voler bloccare la circolazione dei veicoli nel Comune di Roma. Un messaggio ripetuto ovunque, dai comunicati alle interviste, come se la Regione fosse il nuovo “nemico del popolo”. Ma, al netto degli slogan, la verità è un’altra: nessuno in Regione vuole bloccare la città. Gualtieri, invece di governare, ha preferito costruire un comodo capro espiatorio per coprire le proprie mancanze. È la solita storia: quando mancano i risultati, si cerca un colpevole altrove.
E così il sindaco della Capitale, invece di affrontare con serietà il problema della mobilità, racconta bugie, e lo fa con quella disinvoltura che ormai è diventata cifra stilistica della sua amministrazione. Nel vecchio Piano della qualità dell’aria, firmato da Zingaretti e applicato da Gualtieri, l’articolo 21 prevedeva la possibilità di istituire nuove ZTL e introdurre il sistema “Move-In”, un pedaggio urbano che avrebbe obbligato i cittadini a pagare per circolare nella propria città. Con l’arrivo della giunta Rocca, quella impostazione è stata completamente ribaltata: il nuovo piano vieta qualsiasi forma di pagamento per la circolazione. All’articolo 24, invece, si prevedeva un blocco totale dei veicoli fino a Euro 4 benzina ed Euro 5 diesel, senza proroghe oltre novembre 2025. Anche qui, la Regione è intervenuta per aprire la possibilità di rinvii, dando fiato ai cittadini. E allora perché Gualtieri continua a gridare al complotto? Perché gli serve un nemico politico da usare come scudo mediatico.
Intanto, i dati dicono altro che la qualità dell’aria a Roma è migliorata da cinque anni consecutivi. E qui entra in gioco un punto spesso ignorato quello della CO₂, che non dipende solo dalle auto. Infatti, durante il giorno gli alberi, a foglia larga, con la fotosintesi clorofilliana, assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno, ma di notte, senza luce solare, il processo si inverte, e le piante rilasciano CO₂ nell’atmosfera. È un processo naturale, non industriale, e incide sensibilmente sulle rilevazioni ambientali, specialmente nelle ore serali. A questo va aggiunto un altro fattore, troppo spesso trascurato che in autunno, quando gli alberi perdono le foglie, la fotosintesi clorofilliana si riduce quasi del tutto. Peraltro, meno fotosintesi significa meno ossigeno prodotto e, di conseguenza, una concentrazione più elevata di CO₂ nell’aria, non per colpa del traffico, ma per effetto diretto dei cicli naturali. È infatti paradossale che proprio nei mesi autunnali, quando la vegetazione “riposa”, vengano pubblicati i dati più allarmistici sulla qualità dell’aria urbana. Bloccare i veicoli, peraltro, non è la soluzione esatta. Occorre una politica ambientale basata sui dati reali e stagionali, e non sulle ideologie. Servono trasporti pubblici che funzionino davvero e non nuove tasse mascherate da misure ecologiche. Roma non ha bisogno di divieti irrazionali, ma di una visione concreta e onesta con meno slogan, e più fatti. Perché la verità è semplice, l’aria di Roma migliora nonostante l’amministrazione e non grazie ad essa. E se il sindaco Gualtieri smettesse di suonare la grancassa della propaganda ed iniziasse veramente a lavorare, forse, Roma respirerebbe un’aria non solo più pulita, ma anche più libera.
Analizzarne il fenomeno della moda e la sua evoluzione significa guardare non solo a come sono cambiati gli abiti nel tempo, ma anche a come si sono sviluppati i concetti di stile, identità e comunicazione attraverso ciò che indossiamo. Pertanto questo continuo progredire culturale, riflette i cambiamenti della società, della tecnologia, dei costumi e delle mentalità, sia a livello culturale, sociale ed economico. Nasce nel tardo Medioevo, intorno al XIV secolo, nelle corti europee. In questo periodo, il modo di vestire comincia a essere usato per distinguere classi sociali e ruoli. Le corti di Francia e d’Italia (in particolare Firenze e Venezia) diventano centri di innovazione e tendenza.
Nel Rinascimento, la moda diventa espressione del potere e del prestigio delle corti. I tessuti sono ricchi di ricami, elaborati e le forme sontuose riflettono lo status sociale. Nel Barocco (XVII secolo), la teatralità e l’eccesso sono i segni distintivi caratterizzati da pizzi, parrucche, corsetti, gonne ampie che dominano la scena. Nel Settecento c’è la rivoluzione del gusto dove la moda francese regna sovrana. Maria Antonietta è una delle prime “icone di stile” moderne. Ma con la Rivoluzione Francese 1789, si afferma un nuovo ideale di sobrietà e razionalità.
I vestiti diventano meno pomposi, più pratici e accessibili. Il XIX secolo è l’epoca dell’industrializzazione e democratizzazione e con la rivoluzione industriale, nascono i primi capi prodotti in serie. Si diffondono le riviste di moda e simbolo di raffinatezza, diventa la sartoria su misura. Charles Frederick Worth è considerato il primo “stilista” della storia, fondatore dell’haute couture a Parigi. Il XX secolo si può considerare il secolo delle rivoluzioni stilistiche, il Novecento della moda come la conosciamo oggi, intesa come un fenomeno ciclico di cambiamento del gusto nel vestire. Analizzando la moda negli anni si possono fare delle distinzioni: anni ‘20 – gli elementi ben riconoscibili: la predilezione per le linee geometriche negli abiti, ma anche nel design e nella grafica, gli accostamenti di colori strong e i contrasti decisi, la nascita dello stile flapper (vestiti corti, capelli a caschetto) gli esordi di Coco Chanel introducono lo stile semplice, elegante e funzionale; anni ‘30 – la moda abbandona le linee dritte degli anni ’20 i per abbracciare silhouette più sinuose e femminili, con una vita segnata da cinture e gonne che si allungano. Elementi come spalline pronunciate, maniche a sbuffo, grandi colletti e scollature profonde nei vestiti da sera definiscono l’estetica dell’epoca, che predilige tessuti leggeri come il raso e lo chiffon e il taglio sbieco per abiti che si adattano al corpo; anni ’40 e ‘50 – subito dopo la guerra, preponderanti i tailleur divisa realizzati in tessuti poveri; gonne dritte al ginocchio; giacche dalle linee squadrate e strette in vita.
La fine della guerra portò, soprattutto nella seconda metà del decennio, a un ritorno a materiali più pregiati con la rinascita della moda elegante, ritorna la femminilità, con Christian Dior e il “New Look” e in America cresce l’influenza dello stile casual; anni ‘60 – caratterizzati dalla rivoluzione giovanile, la minigonna di Mary Quant, il pop, il rock. Protagonista indiscusso fu il denim, declinato negli iconici jeans a vita alta, hot pants, smanicati, salopette e camicie. Per un look un po’ più girly, gonne skater e crop top; anni ‘70 – la moda femminile divenne un’espressione di libertà caratterizzata da pantaloni a zampa, gonne lunghe e a balze, colori vivaci, stampe psichedeliche e floreali, e abbigliamento ampio e comodo.
Stili iconici includevano il look hippie, con frange e tessuti naturali, i jeans e gli stili etnici; anni ‘80 – eccessi, colori vivaci e forti, spalline imbottite, moda intesa come status symbol, dove prevalgono le grandi firme come Versace, Armani, Moschino e, peraltro, raggiungere gli anni ’90 con il minimalismo di Calvin Klein, grunge, look ribelle e anticonformista, streetwear e glam in epoca di contrasti. Il XXI secolo è il periodo della globalizzazione, sostenibilità e identità. Nel nuovo millennio, la moda è diventata globale, digitale e inclusiva. Le tendenze non nascono più solo dalle passerelle, ma anche dai social media, dagli influencer e dalla cultura urbana. E si iniziano ad usare temi chiave di oggi come la fast fashion contro la slow fashion, la velocità e accessibilità contro la sostenibilità e qualità.
La moda genderless con l’abbattimento dei confini tra abbigliamento maschile e femminile. L’inclusività con maggiore attenzione alle taglie, alle etnie e alla disabilità. La tecnologia con la moda digitale, con la realtà aumentata, ed abiti intelligenti. Ed infine con il riciclo e la sostenibilità con attenzione all’ambiente, ai tessuti riciclati e alle produzioni etiche. Perciò la moda è molto più di un semplice abbigliamento e si può considerare lo specchio della Società, con il linguaggio visivo e un mezzo di espressione attraverso il quale l’individuo si riconosce. Da simbolo di potere a strumento di libertà personale, da status quo a scelta consapevole, individuale, autentica e la sua evoluzione racconta la storia dell’umanità stessa.
Charlot nel cuore” è il prossimo film di Enio Drovandi prodotto da Asi Spettacolo. Il film verrà realizzato in due versioni distinte ma complementari: un cortometraggio della durata di 15 minuti, pensato per i festival internazionali, e una versione televisiva destinata alla distribuzione su piattaforme digitali e reti online.
La storia vuol evidenziare sentimenti ed emozioni, che un nonno cerca di trasmettere alla nipote, attraverso un loro mito: Charlot.
Il padre della ragazzina, somiglia così tanto alla maschera creata da Chaplin, che spesso in famiglia lo fanno vestire come il vagabondo.
All’interno di un “sogno” effettuato dal nonno, la piccola scoprirà una leggenda che permette di vedere Charlot, per chi ha il il cuore puro. Esattamente come il suo!
I due in modo onirico, partono cosi verso Vervey per omaggiare la tomba di Charlie Chaplin. E la leggenda si compie.
Ma non si saprà mai se ciò che vede la piccola, è il mito creato da Chaplin, oppure il padre.
Ciò che invece impara, sono il rispetto dei sentimenti e dei valori.
E il nonno risvegliatosi dal sogno, ci farà capire che le emozioni devono essere salvaguardate dalla possibile avanzata della Intelligenza Artificiale.
Il cast in via di definizione si compone dei seguenti nomi:
Angelica Bellucci: attrice, la nipotina,
Mariella Sapienza: attrice opinionista e influencer sostenibile che interpreta il ruolo della moglie di Ennio Drovandi
Guido Marini: attore e illusionista di fama mondiale,
Costantina Busignani: attrice
Roberta Perini: attrice, modella e organizzatrice eventi
Luisa Silvestri: attrice,
Sceneggiatura e Regia di Enio Drovandi
Produzione ASI Spettacolo
Organizzazione Emanuele Di Marino
Rino R. Sortino
Dopo quasi duemila anni di silenzio, il Passaggio di Commodo torna a raccontare la sua storia. Per la prima volta, il Parco archeologico del Colosseo apre al pubblico questo straordinario percorso sotterraneo, un corridoio a volta che collegava direttamente l’esterno dell’Anfiteatro Flavio al palco imperiale, il celebre pulvinar dove sedevano gli imperatori durante i giochi. Il passaggio risale a un periodo compreso tra la fine del regno di Domiziano (81-96 d.C.) e l’età di Traiano (98-117 d.C.), come testimoniano i timbri di produzione sui mattoni delle pareti. Era un’opera di grande complessità, con tre rami sotterranei, due brevi, orientati ad est-ovest ed un corridoio principale disposto in direzione nord-sud. A intervalli regolari, lucernari illuminavano e ventilavano l’ambiente, permettendo all’imperatore di raggiungere il suo posto in modo rapido e sicuro. Il ramo orientale, secondo alcune ipotesi, conduceva verso il Ludus Magnus, la palestra dove si allenavano i gladiatori. Le pareti e il soffitto erano riccamente decorati con cassettoni in stucco, pannelli marmorei, motivi vegetali ed animali, e scene mitologiche come Arianna abbandonata da Teseo o le nozze con Dioniso.
Il legame con l’imperatore Commodo non riguarda la costruzione, ma un episodio drammatico. Secondo la Storia Romana di Erodiano, proprio in questo passaggio l’imperatore fu vittima di un tentato assassinio, ordito dalla sorella Lucilla. Il complotto fallì, ma lasciò un’ombra leggendaria su quel luogo segreto. Il passaggio venne scoperto tra il 1810 e il 1814, quando Roma era sotto il dominio francese, infatti fu interamente scavato solo nel 1874, dopo l’Unità d’Italia. Oggi, grazie a un grande progetto di restauro avviato nel 2024, torna a nuova vita. Gli interventi hanno riguardato le pareti a volte, gli stucchi, le decorazioni crollate e le superfici marmoree. Il corridoio è ora stabilizzato e reso accessibile grazie a nuovi supporti metallici, passerelle sicure e un sistema di illuminazione moderna che valorizza i dettagli senza alterarne la suggestione. Dal 27 ottobre 2025, i visitatori potranno finalmente attraversare il Passaggio di Commodo e rivivere la Roma imperiale in un’esperienza unica con un incontro tra archeologia, storia ed emozione. In un’epoca in cui Roma cerca un equilibrio tra tutela e valorizzazione del patrimonio e quest’apertura è molto più di una semplice visita. È un segnale di rinascita culturale, un invito a riscoprire il fascino nascosto della Città Eterna, dove ogni pietra racconta un frammento della nostra identità.