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“Sento che ora non è più il tempo di fare dell’Arte per l’Arte, ma dell’Arte per l’Umanità”.
Pellizza da Volpedo
Sono davvero pochi gli artisti la cui immagine e il cui destino risultino, all’interno della memoria collettiva, indissolubilmente legati ad un’unica loro creatura, e che, pertanto, siano noti al grosso pubblico, quasi soltanto grazie ad essa.
Tutti, infatti, conosciamo il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, capolavoro ultracitato e in mille modi utilizzato, e da molti amatissimo per il fatto di saperci parlare, forse come nessun’altra opera d’arte, di lotte di popolo, di movimenti sindacali, di proteste di piazza, di gente umile che lotta per i propri diritti, di figli e figlie del popolo stanchi e stanche di chinare il capo e fermamente determinati/e a cambiare la storia, di masse di oppressi dignitosissimamente marcianti contro tutti i muri e i fili spinati di tutte le tirannie.
| Il Quarto stato |
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Ma pochi, però, sono coloro che hanno una qualche familiarità con la variegata produzione del pittore piemontese, e pochi sono anche probabilmente coloro che hanno piena consapevolezza della sua
| Lo specchio della vita |
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importanza nella storia dell’arte italiana ed europea. Cosa questa dovuta soprattutto a due fattori:
le sue opere sono sparse in diverse gallerie e musei italiani, oppure fanno parte di collezioni private;
prima di quella attualmente in corso a Milano, l’unica mostra dedicata alla sua produzione risale all’oramai lontanissimo 1921.
E’ quindi da salutare con gioia e sincera gratitudine la mostra monografica ottimamente curata da Aurora Scotti e Paola Zatti, e co-prodotta dal Comune di Milano GAM - Galleria d'Arte Moderna in collaborazione con METS Percorsi d'Arte (associazione culturale da anni impegnata nella promozione dell'arte italiana dell'Ottocento in particolare dei pittori divisionisti), allestita presso i locali della Galleria d’Arte Moderna di Milano, indubbiamente il sito maggiormente idoneo per una simile iniziativa, ospitando già la grande tela del Quarto Stato, nonché quadri importanti di artisti vicini a Pellizza e da lui molto amati, come Giovanni Segantini e Angelo Morbelli.
L'esposizione, composta da una quarantina di opere tra dipinti e disegni, è articolata nelle cinque sale al pianoterra della Villa Reale riservate alle mostre temporanee di GAM e nella sala del Quarto Stato al primo piano del museo, e documenta con efficacia l'intero percorso dell'artista, dagli anni della formazione fino all’approdo alla pionieristica sperimentazione divisionista, della quale è stato, senza alcun dubbio, uno dei massimi protagonisti.
Certamente assai apprezzabile è che, al fine di facilitare la comprensione della genesi del Quarto Stato ed anche mettere in luce i rapporti dell'artista con la ricca eredità del passato (vedi, in particolare, il Raffaello della Scuola di Atene), sia stata fatta la saggia scelta di esporre anche alcuni dei grandi cartoni preparatori pervenutici, ed una serie di studi, bozzetti preparatori e disegni finiti di singole figure.
Pur essendo lo sguardo di Pellizza rivolto costantemente al mondo degli umili e, in particolar modo, al dramma dell’umana esistenza, percepito e rappresentato nelle sue varie manifestazioni (Sul fienile, Speranze deluse, Fiore reciso), a dominare, nella maggior parte dei lavori esposti, è la presenza della natura che abbraccia, accarezza e sospinge oltre i confini della solitudine e della sofferenza (vedi, in particolar modo, L’idillio di primavera, La passeggiata amorosa e L’amore nella vita): la “bella natura” che, come ebbe a scrivere all’amico Occhini nell’aprile del 1903, “assorbe l’uomo e lo annienta per campeggiare essa stessa sfolgorando la sua immortale bellezza”.
| Autoritratto |
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Numerosi i quadri carichi di valenze simbolistiche che meriterebbero di diventare oggetto di attenta indagine esegetica. Vedi, ad esempio, Lo specchio della vita, frutto di ben quattro anni di lavoro e presentato alla Promotrice di Torino del 1898. Qui, con una raffinatissima tecnica divisionistica, ci viene proposta una scena agreste ingannevolmente poco significativa, ambientata sul greto del torrente Curone, nei pressi dell’abitazione di famiglia:
| Passeggiata amorosa |
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un semplice gregge in cammino, immerso nel sole e parzialmente riflettentesi nelle acque palustri. Ma quel gregge proviene da lontano, dalla lettura del Purgatorio dantesco, laddove, nel canto III, si parla delle “pecorelle” che avanzano “timidette”, “semplici e quete” e che
“ciò che fa la prima, e l’altre fanno”.
Di che si tratta, quindi? Di una amara denuncia? Di una rassegnata descrizione dell’impossibilità di cambiamento sociale? Di una severa rampogna nei confronti della secolare sottomissione ignava delle masse contadine?
Credo che nella poetica pellizziana non ci sia posto per annunciazioni nicciane e tronfie posture dannunziane. Il cuore del pittore palpita all’unisono con quello degli umili e degli oppressi, e dalle sue pennellate trasuda un compassionevole consentimento empatico che gli impedisce di ergersi a giudice e tantomeno a tribuno.
Di lì a poco, dalla pietas di cui è imbevuta quest’opera, nascerà il capolavoro del Quarto Stato. E quelle pecorelle “timidette”, prive di identità ed incapaci di ardire, si trasformeranno nelle nobili figure, emananti arcaica fierezza e consapevolezza nitidissima della propria dignità e dei propri diritti che, nel suo massimo capolavoro, avanzano (e continuano ad avanzare) per conquistarsi un legittimo posto nella Storia.
“Bisogna infine volgersi a Pellizza da Volpedo per sentirsi illuminati da un sole che sembri davvero quello dell’avvenire”
Primo Levi
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Pellizza da Volpedo. I capolavori
26 settembre 2025 - 25 gennaio 2026
A più di un secolo dall’ultima e unica mostra monografica dedicata all’artista piemontese, realizzata nel 1920 alla Galleria Pesaro, Milano ripercorre la vicenda artistica e biografica di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) in un’esposizione ideata dalla Galleria d’Arte Moderna che di lui conserva, oltre al suo capolavoro, il Quarto Stato, alcune opere altrettanto significative della sua produzione artistica.
INFOLINE E UFFICIO GRUPPI:
Per informazioni e prenotazioni gruppi e scuole
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02 87159711 (dal lunedì al venerdì, dalle 9:30 alle 13:00)
| Pinus pinea iniezione pini |
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In una città già provata da anni di scelte discutibili e da una gestione spesso incerta, il lento e doloroso declino dei Pinus pinea di Roma rappresenta l’ennesimo simbolo di una politica miope, distratta e sorprendentemente indifferente al proprio patrimonio naturale, un patrimonio che non è solo estetica ma salute pubblica, identità urbana e qualità della vita. È incredibile che ancora oggi molti cittadini non siano pienamente consapevoli di ciò che sta accadendo, mentre da ormai diversi anni questi alberi meravigliosi, veri e propri guardiani silenziosi delle nostre strade e dei nostri quartieri, combattono contro un parassita arrivato da lontano, la Toumeyella parvicornis, una cocciniglia insidiosa che si attacca alla base degli aghi e succhia voracemente la linfa, indebolendo progressivamente ogni pino fino a condannarlo a una lenta agonia. Dal 2018 la sua diffusione è stata evidente, eppure la risposta istituzionale è apparsa goffamente tardiva, timida, insufficiente, quasi come se il problema fosse irrilevante o come se gli alberi, a differenza dei voti, non meritassero attenzione immediata.
Eppure un rimedio esisteva, ed era noto: l’endoterapia, un trattamento fitosanitario concreto e relativamente semplice, che consiste nel praticare piccoli fori nel tronco e iniettare una sostanza attiva, l’abamectina, insieme a nutrienti capaci di aiutare l’albero a difendersi. La sostanza, veicolata dalla linfa, raggiunge la chioma e colpisce la Toumeyella laddove prolifera, salvando l’albero quando il trattamento è applicato in modo corretto e tempestivo. Nel 2021 lo stesso Ministero dell’Agricoltura ha reso obbligatoria questa pratica per le amministrazioni, proprio per impedire il diffondersi dell’infestazione e per evitare l’abbattimento di migliaia di pini; un’indicazione chiara, diretta, difficile da interpretare in altro modo. Ma a Roma, secondo moltissimi cittadini e associazioni che da anni denunciano il problema, la cura non è stata applicata in modo sistematico né capillare, lasciando intere file di alberi senza protezione, esposti a un destino prevedibile e tristemente annunciato. Oggi il risultato è drammaticamente sotto gli occhi di tutti: pini ormai morti in piedi, scheletri silenziosi che invece di essere curati devono essere abbattuti, con un costo economico enormemente superiore alla spesa che sarebbe stata necessaria per salvarli.
L’endoterapia, peraltro, sarebbe costata appena 50 o 70 euro per albero, mentre l’abbattimento ne costa dieci, quindici, persino venti volte tanto, arrivando a cifre tra i 1000 e i 1500 euro ad albero. Una spesa pubblica assurda, evitabile, che pesa sulle casse comunali e dunque sulle tasche dei cittadini, e che si somma alla già evidente perdita ambientale. Perché ogni albero che cade non è solo un tronco in meno: è una fetta di ombra che scompare nelle torride estati romane, è un filtro naturale per le polveri sottili che viene meno, è un alleato nella gestione delle acque piovane e nella mitigazione dei cambiamenti climatici che viene sacrificato senza un’alternativa pronta. Roma perderà dunque non solo verde ma benessere, qualità dell’aria, protezione, identità; e perderà tutto questo non per fatalità, ma per una gestione superficiale e confusamente burocratica, incapace di percepire l’urgenza del problema e di agire con coraggio e competenza. E, perciò, la domanda sorge spontanea cosa cosa possiamo fare per aiutare questi alberi meravigliosi, e con essi noi stessi? La risposta potrebbe cominciare da una cittadinanza più informata, più vigile, più esigente, una cittadinanza che non accetta più che decisioni lente e incerte compromettano ciò che resta del nostro patrimonio verde. Perché gli alberi non votano, è vero, ma fanno respirare chi vota. E, soprattutto, fanno respirare Roma.
Casa Barnekow in via Vittorio Emanuele 83 ad Anagni, in provincia di Frosinone, ospiterà una produzione di rara intensità: “Il dolore” di Marguerite Duras, nell’adattamento curato da Medusa Teatro con la regia di Ivano Capocciama.
L'opera ("La douleur" in francese) è tratta dal romanzo autobiografico omonimo di Marguerite Duras, pubblicato nel 1985. Sebbene sia nato come testo letterario, è stato poi spesso adattato e messo in scena come monologo teatrale.
| Foto: Eleonora Di Ruscio |
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Il testo deriva da due quaderni-diario che Marguerite Duras affermò di aver ritrovato anni dopo, dimenticati in una casa di campagna, e di non ricordare di averli scritti. E’ un resoconto viscerale e in prima persona di un periodo traumatico della sua vita.
L'azione si svolge a Parigi tra il 1944 e il 1945, durante gli ultimi giorni dell'occupazione tedesca e subito dopo la Liberazione.
La parte centrale e più toccante della storia è incentrata sull'angosciosa attesa della scrittrice.
Il dolore non è solo il titolo, ma la sostanza dell'opera. È il dolore dell'attesa, della guerra interiore ed esteriore, della vista dell'orrore. Sul palco la bravissima attrice Giulia Germani, giovane promessa per il teatro, darà voce e corpo a uno dei testi più strazianti della letteratura del Novecento. Per la natura confessionale e introspettiva, l’opera è intesa come un monologo intenso, interpretato da grandi attrici (come Mariangela Melato in Italia o Dominique Blanc in Francia), in cui l'attrice incarna la scrittrice sola sul palco, a tu per tu con il suo tormento.
È una confessione intima che si fonde con la grande storia della guerra, offrendo una testimonianza viscerale della tragedia dei campi di concentramento attraverso gli occhi di chi è rimasto ad aspettare.
L'opera focalizza l'attenzione sulla guerra delle donne che, inermi, aspettano. Il loro dolore individuale si fa universale, un destino di sofferenza e attesa.
L'amore per Robert è il motore della sua resistenza e della sua sofferenza, ma l'orrore della guerra distrugge l'uomo e, di conseguenza, la relazione che era.
Il marito della Duras, Robert Antelme (nella finzione Robert L.), importante figura della Resistenza francese, è stato deportato nel campo di concentramento di Dachau.
Marguerite, che faceva parte della Resistenza, vive in un perenne stato di sospensione e disperazione. Non sa se Robert sia vivo o morto. Questa incertezza diventa una tortura fisica ed emotiva, un "dolore" che la consuma.
Contro ogni previsione, Robert viene ritrovato e riportato a casa. Non è l'uomo che lei ha conosciuto e amato, ma un "rifiuto" distrutto nel fisico (pesa pochissimo, è malato di tifo) e nell'anima. La Duras
| Foto: Eleonora Di Ruscio |
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descrive con una lucidità brutale lo strazio di vedere l'uomo amato ridotto a un fantasma.
| Foto: Eleonora Di Ruscio |
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Segue il racconto dei 17 giorni in cui Robert lotta tra la vita e la morte, e l'impegno della Duras e dei compagni per salvarlo, nutrendolo lentamente. Nonostante la sopravvivenza fisica, l'uomo conosciuto è irrimediabilmente perduto. La narrazione si conclude con il distacco finale.



In scena a
Casa Barnekow, via Vittorio Emanuele 83 Anagni (FR)
Sabato 22 novembre ore 18:30
Per info e prenotazioni 3288350889
Luca Ward è un nome che non si limita a essere letto; si sente. La sua presenza, pur restando spesso celata dietro il sipario di una cabina di doppiaggio, risiede indiscutibilmente nel DNA emotivo e culturale di ognuno di noi. Nato a Roma, Ward è molto più di un artista; è il custode sonoro dei nostri ricordi cinematografici, un attore, doppiatore, direttore del doppiaggio e conduttore radiofonico la cui carriera è una fusione perfetta tra l'arte dell'interpretazione visiva e la magia della trasformazione vocale. È la sua inconfondibile voce, dal timbro caldo, grave e capace di accarezzare l'anima, ad averlo consacrato come il "Re del Doppiaggio" italiano. Quella voce, che sentiamo come familiare, ha donato profondità e carisma a eroi e antieroi che hanno segnato la nostra vita. È lui il coraggio tonante di Russell Crowe in Il Gladiatore, l'uomo che, con il suo "Al mio segnale, scatenate l'inferno!", ci ha fatto vibrare il cuore. È la fredda determinazione di Keanu Reeves (in Matrix e John Wick), la saggezza tagliente di Samuel L. Jackson (Pulp Fiction) e l'eleganza seducente di Pierce Brosnan (James Bond). Ward non ha solo tradotto parole, ha vestito le emozioni di questi personaggi.Oltre a questi trionfi vocali, Ward è un apprezzato volto del piccolo schermo, capace di emozionare in ruoli come quello in Elisa di Rivombrosa, ed è la voce rassicurante e autorevole che ci guida attraverso le meraviglie della storia e della scienza con Ulisse - Il piacere della scoperta. La sua è la storia affascinante di un artista che ha reso il suo strumento un ponte diretto tra l'azione sullo schermo e la risposta emotiva del pubblico, facendoci credere, ridere e piangere, rendendosi per sempre sinonimo dei più grandi miti di Hollywood.
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E’ un piacere dare il benvenuto a un volto e una voce molto noti e amati dal pubblico italiano: Corrado Tedeschi. Attore poliedrico e conduttore televisivo di grande esperienza, Corrado Tedeschi ha saputo spaziare con successo tra diversi generi, conquistando il pubblico con la sua eleganza e la sua verve. La sua carriera televisiva è indissolubilmente legata alla conduzione di programmi storici che hanno segnato un'epoca. Negli ultimi anni, si è distinto per la sua intensa e brillante attività in teatro, dove ha dimostrato una profonda sensibilità e una grande padronanza della scena, recitando in commedie e spettacoli di successo. Ha inoltre partecipato a diverse fiction televisive, confermando la sua versatilità come attore. Un professionista che ha saputo mantenere vivo il legame con il suo pubblico attraverso il piccolo schermo e il palcoscenico.
La sua gentilezza si è dimostrata anche nel fatto di avere accettato di rispondere alle domande.
D- Lei è figlio di un Ufficiale della Marina Militare e ha trascorso i primi anni della sua vita spostandosi. Quanto crede che queste esperienze giovanili e il costante cambiamento abbiano influito sulla sua versatilità come artista e conduttore?
R-Quando si è figli di un marinaio si sa che si deve “partire”. Anche ora continuo a viaggiare come facevo da bambino, fare la valigie mi sembra così naturale che se per qualche giorno non le faccio per raggiungere i teatri, mi sento a disagio.
D- Prima della recitazione, ha tentato la carriera di calciatore nelle giovanili della Sampdoria. C'è un insegnamento o una mentalità appresa sui campi da gioco che ha poi ritrovato utile sul palco o in studio televisivo?
R-sono le due ultime forme di espressione “vive”, in un’epoca dove tutto è virtuale, quindi un po’ si assomigliano.Il suono dell’applauso a
| Corrado Tedeschi |
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teatro e l’emozione del gol provocano la stessa meravigliosa e violentissima sensazione.
D- Nel corso degli anni ha toccato tutti i generi, dai quiz allo sport (Studio Sport, Italia 1 Sport) fino all'intrattenimento leggero (Buona Domenica, Stranamore). Quale ambito della televisione le ha dato la maggiore soddisfazione professionale e perché?
R-ogni cosa che ho fatto in tv mi ha arricchito e completato.
Essere eclettici in tv “dovrebbe” essere una grande ricchezza ….
D- il teatro è diventato sempre più la sua principale occupazione, culminando nel 1999 con il ruolo di primo attore al Teatro Franco Parenti di Milano. Cosa le offre il palcoscenico che lo schermo televisivo non può dare?
R- a teatro non si può sbagliare e si è circondati di persone che, chi più , chi meno, conosce il proprio mestiere .
La televisione invece è diventata una immensa palestra per dilettanti….
D- Parlando sempre di teatro, nel 2013 ha portato in scena Trappola mortale e in tempi più recenti è tornato in televisione con il programma Top Secret su Business 24. Quali sono le sue sfide e i suoi obiettivi attuali, e c'è un progetto (teatrale o televisivo) che sogna di realizzare in futuro?
Se si quale? Vuole parlarcene?
R- i progetti ci sono ma non si rivelano (gli attori sono superstiziosi…)
D- Prima di salutarla, le lasciamo un momento e uno spazio completamente libero per poter comunicare un messaggio, un ringraziamento o un pensiero finale al suo pubblico e ai nostri lettori/telespettatori. A lei la parola.
R- in un ambiente dove impazzano i raccomandati e gli agenti potenti etc.., io devo ringraziare il mio unico “sponsor”, il pubblico, con il quale ho un meraviglioso rapporto d’amore e di fiducia.
Il pubblico va sempre rispettato e mai tradito.
A tu per tu con Corrado Tedeschi. Presto di nuovo in teatro con:
“L'uomo che amava le donne" (titolo originale L'Homme qui aimait les femmes) di François Truffaut, del 1977 –
Ecoteatro di Milano il 21 e il 23 Novembre 2025
“Siamo stati alberi, piante, erbe, minerali, scoiattoli, cervi, scimmie e animali unicellulari, e tutte queste generazioni di antenati sono presenti in ogni cellula del nostro corpo come in ogni cellula della nostra mente. Noi siamo la continuazione di questa corrente di vita.”
Thich Nhat Hanh
In questi ultimi anni, il tema della Natura, della sua devastazione in corso e della crescente consapevolezza relativa alle irrimarginabili ferite che l’idiozia umana le sta infliggendo, si va sempre più imponendo, in maniera più o meno sentita e sincera, all’attenzione generale. Ma il concetto di Natura, al di là delle mere apparenze che ce lo possono far sembrare come uno dei concetti massimamente evidenti e di comune condivisione, ad uno sguardo attento, non può che risultare di assai difficile definizione.
Il soggetto umano, infatti, risultando impossibilitato dalla propria limitata e limitante struttura cognitiva a penetrare nella sua intima essenza, non è in grado di andare oltre la veste fenomenica di ciò che comunemente chiamiamo Natura, in quella che, kantianamente, possiamo ritenere la realtà noumenica o realtà in sé. Per cui, potremmo dire che ognuno di noi percepisce, elabora e si costruisce una propria rappresentazione della Natura, e che ogni scuola di pensiero ha finito per costruirsene una peculiare immagine concettuale.
Con il risultato che, ad invocare ed evocare la Natura, incontriamo sia coloro che, come Erasmo da Rotterdam, sostengono la “naturale” bontà dell’essere umano, sia quelli che, come Thomas Hobbes, si fanno teorizzatori della condizione del “bellum omnium contra omnes” e dell’ “homo homini lupus”. E al magistero della Natura si ritengono autorizzati ad appellarsi sia gli irenici teorizzatori della nonviolenza, sia i
| Giordano Bruno |
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teorizzatori della “lotta per la vita” e della guerra come suprema “igiene del mondo”.
Nicola Abbagnano, nel suo insuperabile Dizionario di Filosofia, ci fornisce elementi di conoscenza preziosi per provare a prendere consapevolezza delle varie concezioni della Natura che si sono sviluppate nell’ambito della storia del pensiero occidentale, aiutandoci a comprendere come, inevitabilmente, ci troviamo di fronte non certo ad una visione omogenea e monolitica, bensì ad un grande serbatoio di concetti diversamente allacciati fra di loro, a volte in stretta correlazione, a volte in radicale contrapposizione.
Ci spiega, infatti, come la Natura sia stata intesa, nel corso del tempo, come “il principio del movimento o la sostanza”; come “l’ordine necessario o la connessione causale”; come “l’esteriorità, in quanto contrapposta alla interiorità della coscienza”; come “il campo d’incontro o di unificazione di certe tecniche d’indagine.”
Nel primo caso, la Natura viene ad essere interpretata come principio di vita e di movimento di tutto ciò che esiste: forma e sostanza, intesa sia come causa efficiente e sia come causa finale della totalità delle cose; natura naturante e, nello stesso tempo, natura naturata. E sarà soprattutto la cultura umanistico-rinascimentale ad approdare a questo tipo di sfolgorante esaltazione speculativa: Nicolò Cusano affermerà che la Natura “E’ lo Spirito diffuso e contratto per tutto l’universo e per tutte le sue singole parti”, mentre Giordano Bruno arriverà a dirci che la Natura “o è Dio stesso o è la virtù divina che si manifesta nelle cose”. In questa prospettiva, la Natura appare come un principio inesauribilmente dinamico, perennemente e infinitamente creatore.
Nel secondo caso, invece, la Natura viene ad essere intesa come ordine e necessità, ovvero come l’insieme della connessione dei vari fenomeni secondo regole necessarie o leggi. La necessità – afferma Leonardo – è “inventrice della Natura, e freno e regola eterna”, mentre Galileo la considera come l’ordine matematico ed immutabile dell’universo.
Nel primo caso, ci veniamo a trovare in una prospettiva dinamica che possiamo definire di carattere organicistico-vitalistico, in cui possiamo fare rientrare sia le tendenze ilozoistiche dei filosofi presofisti, sia lo “slancio vitale” e l’Evoluzione creatrice” di un Henri Bergson.
Nel secondo caso, riscontrabile già nel pensiero di un Democrito o di un Epicuro, ma peculiare, in particolar modo, del pensiero scientifico moderno, prevale invece l’immagine di un cosmo rigidamente
| Thich Nhat Hanh |
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meccanicistico, retto da leggi oggettive che tutto regolano secondo criteri fissi e necessari, e perciò senza alcun orientamento finalistico.
Nel tempo, queste due concezioni sono apparse, perlopiù, ideologicamente inconciliabili: da una parte, una natura viva e pulsante, attraversata da un’inesauribile spinta evolutiva; dall’altra una natura dominata da una rigorosa architettura geometrica, eternamente guidata da un ordine di carattere ciclico.
| Helena P. Blavatsky |
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A dire il vero, dal pitagorismo alla fisica quantistica, non sono mancati geniali tentativi di sposare le due opposte visioni, sostenendone l’intrinseca convergenza e complementarietà. Quello certamente più riuscito, vero punto di approdo delle scuole esoteriche del passato e, al contempo, fonte di illuminata ispirazione per le più ardite aperture biofisiche e astrofisiche dei nostri giorni, è, a mio avviso, quello realizzato dalla costruzione cosmologica de La Dottrina Segreta di Helena Petrovna Blavatsky. In essa, l’intero Cosmo è definito vivo e cosciente in ogni sua singola parte: la Divinità, intesa come un Principio assolutamente impersonale, è ritenuta essere presente in ogni singolo atomo e il Tutto appare come intimamente progettato, generato e retto da una Forza intelligente: “Le radici, il tronco ed i suoi numerosi rami sono tre oggetti distinti, ma un solo albero.” * Nello stesso tempo, è ferma la convinzione che esista “un piano” anche “nell’azione delle forze apparentemente più cieche” e che, quindi, “Tutto l’ordine della Natura” manifesti “un cammino progressivo verso una vita superiore”. ** Secondo il pensiero teosofico, “il mondo è il prodotto di un’evoluzione che parte dal principio eterno” e questo principio (“inconoscibile” nella sua intima essenza) “è presente in tutte le cose ed in tutti gli esseri; esso è tutte queste cose e tutti questi esseri. Nell’eternità dei tempi, le manifestazioni che periodicamente appaiono e scompaiono, emanano da questo principio. In questo flusso e riflusso, l’evoluzione avanza ed essa costituisce il progresso della manifestazione.” ***
Ovvero: c’è vita pulsante ed infinita all’interno di una struttura matematicamente ordinata e c’è logicità e regolarità all’interno di un processo evolutivo perennemente in divenire. La Natura, teosoficamente intesa, assomma in sé l’esistenza di leggi fisse e immodificabili accanto all’inarrestabile esuberanza di una plotiniana “sovrabbondanza d’essere”, che la sospinge a rigenerarsi all’infinito, in un inesausto cammino evolutivo di autoperfezionamento.
Come successivamente dirà il monaco zen Thich Nhat Hanh, ogni atomo di un granello di polvere “è dotato di intelligenza ed è una realtà vivente” , e la Natura non è soltanto intorno a noi, ma noi stessi “siamo LEI”: la nostra esistenza, pertanto, è indissolubilmente intrecciata con quella di un’unica immensa realtà vivente, tanto che, a ben guardare, potremmo scorgere (e percepire) l’esistenza di una sorta di “cordone ombelicale” che ci lega alla “nuvola che fluttua nel cielo”.
Da una simile prospettiva unitaria e unificante, se ben compresa e ben assimilata, potrebbe (e dovrebbe) emergere una felice risposta ai tanti mali del tempo presente:
una consapevolezza generatrice di pensieri e azioni armoniosamente rispettosi e responsabili, in grado di indurci a rinnegare ogni forma di rapporto inquinato dalla separatività e dalla prevaricazione, e capace di farci assaporare ed amare l’incommensurabile meraviglia dell’Essere in cui “Tutto è un miracolo”, e in cui tutti “inter-siamo”.
“Il sorriso della Terra,
la nostra Madre dai capelli verdi,
porta uccelli e farfalle alle foglie e ai fiori. (…)
Il giorno che trafiggerai l’illusione
troverai anche tu quel sorriso.
Niente resta e niente va perduto. …”
Thich Nhat Hanh
NOTE
*La Dottrina Segreta I, Cosmogenesi, ETI, Vicenza 2010, p.111.
**Ivi, p.287.
***William Quan Judge, Princìpi generali della Teosofia,Lucifer, dicembre 1893.
Torna in scena questo fantastico spettacolo che tanto mi piacque ed emozionò quando lo vidi nel lontano 2021, al Teatro Sette.
Si tratta di una bella storia di amicizia che prende vita in piena guerra, sotto l’occupazione tedesca, e in cui fa da sfondo un fatto storico poco conosciuto. Sul palco due grandi interpreti, due giganti che insieme vi coinvolgeranno divertendovi ed emozionandovi.
L’idea nasce dalla mente di Stefano Reali, che scrive una bella commedia dedicata alla Resistenza romana e in special modo a Ugo Forno, un ragazzino di dodici anni immolatosi, il 5 giugno del 1944, per salvare il Ponte Di Ferro sull’ Aniene. Ultima vittima dei partigiani romani che ha meritato una Medaglia d’oro al Valore civile. Morendo con i suoi compagni coetanei, impedì ai genieri tedeschi di distruggere il ponte ferroviario. I tedeschi però uccisero lui e gli altri con dei colpi di mortaio. Oggi quel ponte porta ancora il suo nome.
Otello e Tazio, uno “stagnaro” e un orologiaio, sono amici. Il primo più titubante, il secondo più determinato, grazie alla loro grande amicizia trovano insieme quel coraggio per riscattarsi da una vita passata senza esporsi mai troppo. Due cuori grandi, due caratteri diversi che però si compensano e unendosi trovano la forza di compiere qualcosa che cambierà le loro vite.
Decidono di tagliare i fili delle mine tedesche posizionate per far saltare questo ponte, che attraversa l’ Aniene e che, se abbattuto, rallenterebbe l’avanzata degli Alleati.
I due stupendi personaggi a cui danno vita Massimo Wertmuller e Rodolfo Laganà riportano inequivocabilmente alla mente i grandi Alberto Sordi e Vittorio Gassman ne “La Grande Guerra”. Forse, chissà, Reali ha voluto fare un tributo a questi interpreti con altri due mostri sacri dello spettacolo, ma con una storia completamente diversa.
La sceneggiatura inserisce i due anonimi personaggi nella storia di Ugo Forno dando voce a tutti quegli eroi rimasti sconosciuti alla storia e che si sono immolati per la libertà e per la patria. Chissà quante storie come queste sono accadute e di cui non sappiamo né sapremo mai nulla...
La coppia Wertmuller - Laganà è fantastica, più che credibile nel ruolo, vincente ed avvincente, ci dimostra che in ognuno di noi può nascondersi un eroe che inaspettatamente si può ridestare davanti ad un sopruso o ad una violenza. In un’ora abbondante i due artisti ci riportano indietro nel tempo, a quell’infausto '44 in piena guerra civile, con gli Alleati ormai alle porte di Roma. Abiti, dialetto, atteggiamenti
sono proprio quelli dei romani di quei giorni. Chi mi segue, sa che adoro il timbro di voce di Massimo e Rodolfo, inconfondibili e molto personali, ma che evocano, con la loro romanità, i grandi attori della vecchia generazione come il nostro Albertone. Anche se gli anni passano, i nostri sono inossidabili; una recitazione, la loro, che entra nel cuore, lo tocca, lo solletica, lo emoziona. Battute semplici, veraci, naturali e sempre efficaci in cui ogni romano si riconosce. I loro atteggiamenti, le espressioni e le movenze sono il trampolino di lancio verso una risata liberatoria che smorza i toni del dramma che stanno vivendo. Perché in fondo di questo si parla, del dramma dei tanti civili morti a Roma dopo l’8 settembre del 1943.
Grazie alla vecchia scuola del cinema e del teatro romano, che attinge alla romanità più pura e profonda, tutto si muove in un’atmosfera realistica pregna dell’ umorismo che caratterizza il romano. Si ride, ma non mancano i momenti drammatici, che ben si incastrano con quelli più leggeri e danno sapore alla storia. I nostri litigano, discutono, si aiutano, si sfottono, ma di fondo si vogliono bene e questo risulta sempre ben chiaro. È una storia di amicizia con alti e bassi che ci viene presentata con ironia, simpatia e drammaticità. Uno spaccato di vita di un momento tragico della nostra storia, sempre affrontata con tatto e delicatezza. Loro sono semplicemente eccezionali, non vorresti che smettessero mai di recitare, che quella atmosfera surreale ma così concretamente reale non si interrompesse mai.
Bella, realistica ed accurata la scenografia che ricostruisce la parte inferiore del ponte, animato da suggestivi giochi di luce; piacevole e realistico anche il rumore dell’acqua del fiume che si sente scorrere in sottofondo per tutto lo spettacolo, i latrati dei cani lontani, i passi improvvisi, le voci dei tedeschi che si avvicinano, gli spari, il rumore dei cingoli dei carri armati… Tutto viene sottolineato da efficaci inserzioni musicali nei passaggi drammatici più intensi. Uno spettacolo ben scritto, con una bella regia e due icone del cinema e del teatro italiano a rappresentarlo Due grandi personaggi da vedere, gustare, assaporare e rivedere ancora.
Teatro Sette Off
“Amici per la pelle”
con Massimo Wertmuller e Rodolfo Laganà,
scritto e diretto da Stefano Reali
“Il futuro non è sempre avanti, a volte bisogna fermarsi e tornare indietro per raggiungerlo”.
Dopo aver assistito ad un'anteprima di Circo Paradiso nell'arena estiva del Teatro Tor Bella Monaca di Roma, lo spettacolo debutta ufficialmente (prima nazionale) al Teatro Metastasio di Prato dal 4 al 9 novembre, per poi approdare a Roma da al 13 al 30 novembre al Teatro Manzoni.
Cesare e Attilina sono due trapezisti in pensione. In passato, oltre che compagni di lavoro erano anche legati affettivamente.
Dopo tanti spettacoli ed una florida carriera, finalmente giunge per loro un riconoscimento: vengono chiamati ad esibirsi nuovamente in una serata in loro onore, dove riceveranno il meritato premio a cui anelano tutti i circensi: il “Trapezio d’oro”.
I due non si vedono ormai da oltre trent’anni, le loro strade si sono divise ma il destino ha deciso di ricongiungerli per questa serata. Le “lucciole del circo”, come venivano chiamati quando erano famosi, sono pronti a tornare insieme in scena.
Il racconto si fonde tra passato e presente attraverso emozionanti flashback. Le coppie rappresentate sono due, quella dei protagonisti piuttosto anziani, affaticati e provati, e l’altra dei due giovani e pieni di vita. La prima coppia anziana è dolcissima ed estremamente romantica nonostante il tempo, si lascia andare a piccoli e buffi diverbi, teneri battibecchi in cui conservano la loro fanciullezza, la spontaneità e la complicità che li accompagnerà per tutta la storia. È evidente che si amano ancora.
Nell’altra versione Agnese e Tiziano, da claudicanti ed affaticati anziani si trasformano in pochi istanti in due giovani aitanti, pieni di fiducia e speranza nel futuro da costruire. Voci squillanti e appassionate sostituiscono quelle borbottanti e dolcemente pungenti; impettiti e pulsanti perdono all’improvviso la postura affaticata e le movenze lente e incerte. Sembra di avere sul palco quattro attori, anziché due!
Attraverso i passaggi da un’età all’altra ci accompagnano nel loro percorso di vita, toccando con noi i momenti più significativi e belli.
Ancora bambini, lui figlio di un falegname sardo e ammaliato dal circo, lei di circensi con l’aspirazione di diventare trapezista, si incontrano, poi si perdono e di nuovo si rivedono dopo anni, cosicché quell’interesse speciale e palpabile che li aveva colpiti reciprocamente e che avevano lasciato in sospeso sfocia in un amore adolescenziale fino a maturare. Diventeranno due bravi trapezisti, anche se proprio al culmine della loro attività artistica ci sarà una dolorosa separazione…
All’interno della storia orbiteranno anche altri personaggi, interpretati anch’essi dai due artisti: il russo lanciatore di coltelli Dimitri e la veggente spagnola Fortuna; Mariuccio, padre di Tilina, e la madre di Cesare. Questi istrionici e camaleontici artisti si trasformano mutando pelle e passando da un personaggio all’altro. Il modo in cui riescono a dare a ciascuno una connotazione peculiare lascia a bocca aperta.
Agnese e Tiziano arrivano, con “Circo Paradiso”, al loro quarto stupendo spettacolo insieme. Propongono un prodotto confezionato con i soliti prelibati ingredienti con cui già ci hanno deliziato in passato. Il risultato è una commedia dolce, appassionante, romantica e nostalgica a cui si aggiunge una vena magica ed onirica. Non mancano gli spunti comici che fanno divertire con tenerezza.
Una commedia che ha lo stile del musical e il sapore dei dolcissimi cartoni di Walt Disney, con qualche spruzzata di quei vecchi bei film romantici in bianco e nero. Il tutto è sorretto da cura, sensibilità ed originalità eccezionali.
Vedere uno spettacolo di questi due talentuosi artisti è come vivere un sogno ad occhi aperti. Si resta incantati, estasiati, con il fiato sospeso. Si ride, ci si emoziona, ci si commuove immersi nelle loro coinvolgenti storie.
Diretti superbamente dalla regia del duo Evangelisti-Latagliata, si muovono elegantemente in una piacevole e curata scenografia di Andrea Coppi, che modificano di volta in volta per evocare stati d’animo e situazioni mutevoli. Le luci impeccabili sottolineano efficacemente i momenti più salienti, aggiungendo un forte pathos alle scene grazie all’attenta direzione di Valerio Di Tella. I costumi di Nicoletta Ceccolini sono semplicemente stupendi, ispirati a quelli del circo degli anni Venti; le musiche si evolvono nello stile per sottolineare i tempi che passano. Tutte le basi musicali sono state composte da Tiziano, che ne ha eseguito la maggior parte al pianoforte o alla chitarra mentre sul palco, insieme ad Agnese, cantano dal vivo divinamente. Sono musiche trascinanti, con le due voci melodiche che si alternano, si rincorrono, a volte procedono insieme su note diverse arricchendo di significati le scene che accompagnano. Con le musiche, i dialoghi e i movimenti sulla scena è come se i due aprissero un baule magico pieno di meraviglie, che a fine spettacolo ripongono delicatamente lasciando nel cuore dello spettatore l’essenza dell’umanità.
Anche lo stratagemma più paradossale si tramuta in qualcosa di reale, tangibile. È il sogno che si fa realtà. Un bellissimo sogno.
Un altro capolavoro che si aggiunge ai tre già proposti e che a distanza di anni continuano ad emozionare: “Letizia va alla guerra”, “Fino alle stelle”, “I Mezzalira, panni sporchi fritti in casa”. E ora “Circo Paradiso”.
Prima da vedere, poi li amerete!
Teatro Manzoni
"Circo Paradiso” con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo
Regia Adriano Evangelisti e Raffaele Latagliata
Scritto da Agnese Fallongo
Musiche e liriche Tiziano Caputo
Scene Andrea Coppi
Costumi Nicoletta CeccoliniMovimenti coreografici Elisa Caramaschi
Direzione tecnica Valerio Di Tella
Editing musicale Fabio Breccia
Trucco Chiara Capocetti
Una Produzione Teatro De Gli Incamminati / Teatro Metastasio di Prato
Foto di scena Tommaso Le Pera
Dalla città universale della pace, Assisi, giunge un segno di rinnovata responsabilità etica: l’Avvocato Fabrizio Abbate entra a far parte del Comitato Scientifico del Forum per la Pace, per riaffermare la centralità della coscienza nell’era dell’Intelligenza Artificiale.
Ad Assisi, dove ogni pietra parla di dialogo e ogni silenzio custodisce una preghiera, il pensiero ritrova la sua voce più autentica.
Tra le mura che da secoli accolgono il linguaggio universale della pace, Fabrizio Abbate, giurista, autore della Saga NeoEvo e studioso dei diritti nell’età digitale, entra nel Comitato Tecnico Scientifico (CTS) dell’Assisi Strategic Forum per la Pace, un luogo dove l’Etica diventa la radice viva del futuro.
Viviamo un tempo fragile e complesso, in cui la tecnologia avanza a un passo più rapido della riflessione che dovrebbe accompagnarla.
Mentre l’Intelligenza Artificiale ridisegna il confine dell’umano, cresce l’esigenza di voci capaci di restituire al progresso una direzione di senso. Tra queste si colloca la nomina di Fabrizio Abbate, interprete di un pensiero etico che intende orientare la trasformazione globale con misura e consapevolezza.
La sua figura si lega a questo percorso con coerenza, frutto di un impegno che unisce il rigore del diritto alla visione etica del pensiero umanista.
Già alla guida di Assodiritti e del Salotto Letterario di ENIA, Abbate affida al Forum la profondità della sua duplice vocazione: il diritto come architettura della giustizia e l’etica come respiro della speranza.
Il Prof. Giannone, Presidente del CTS e dell’Associazione Umanesimo ed Etica per la Società Digitale, ha sostenuto con convinzione la nomina, riconoscendo in Abbate una voce capace di unire cultura, diritti e responsabilità. La sua presenza nel Comitato rappresenta la volontà di riportare l’essere umano al centro del dialogo mondiale e di costruire una pace che nasca dalla consapevolezza.
“L’Etica è la Pace”: un Manifesto per il nuovo tempo.
Per Fabrizio Abbate, entrare nel CTS non è un traguardo, ma la naturale prosecuzione di un cammino. La sua visione parte da un principio semplice e radicale: “L’Etica è la Pace.”
Una verità che diventa promessa e direzione. Nelle sue parole, l’etica non si limita a regolare l’agire umano: lo eleva, lo riporta al suo nucleo di responsabilità e dignità. Così, la tecnologia ritrova la propria misura e la conoscenza diventa ponte tra libertà e solidarietà.
Abbate invita a un nuovo Umanesimo, in cui scienza e spirito avanzano insieme, riconoscendo nella cooperazione la forma più alta dell’intelligenza.
Dal disarmo materiale al risveglio morale.
Lo stesso spirito anima il Comitato Scientifico di Assisi, laboratorio di idee e di rinascita, dove la pace si costruisce attraverso gesti concreti.
Le armi si trasformano in energia civile, la paura in fiducia, la competizione in collaborazione.
La visione della Conversione Nucleare traduce il sogno in progetto: convertire la potenza distruttiva in forza generativa, inaugurando una nuova stagione di speranza.
In questa prospettiva si inserisce anche l’opera letteraria di Abbate.
Con la saga del NeoEvo, l’autore ha costruito un universo narrativo in cui l’Intelligenza Artificiale diventa la lente attraverso cui leggere i dilemmi dell’età contemporanea. Titoli come Astrolìa e il mistero delle Tre Cattedrali ed Extrafallaces: Astrolìa e l’Intelligenza Artificiale nel NeoEvo intrecciano simbolismo, arte, diritti e tecnologia in un racconto che esplora il rapporto tra verità e illusione, libertà e potere. Nelle opere, l’IA non è solo presenza tecnologica, ma protagonista morale che interroga l’uomo sul senso del suo stesso destino.
Il percorso creativo e civile di Abbate trova così la sua naturale continuità ad Assisi, dove arte, pensiero e diritto si incontrano per dare voce a un nuovo paradigma etico, fondato sulla pace e sulla dignità umana.
L’Uomo, cuore della rivoluzione digitale.
Il cammino di Fabrizio Abbate nasce nel solco luminoso di Pacem in Terris, raccogliendo l’eredità di un pensiero che pone i diritti e la dignità dell’uomo al centro del progresso.
Da questa radice si leva la sua voce, chiara e necessaria, ad Assisi: l'intelligenza autentica risiede nella coscienza viva, capace di orientare la rivoluzione tecnologica verso il bene comune.
Quando la tecnica si allontana dall’etica, perde la sua vocazione creativa e genera smarrimento.
Solo la pace, nutrita di dialogo e fondata sul diritto, restituisce all’Uomo la sua grandezza originaria: quella di essere custode, non padrone, del mondo che crea.
E da Assisi, grazie anche alla visione del Prof. Giannone, la nomina di Fabrizio Abbate si trasforma in un segno vivo di speranza: un ponte tra Intelligenza Artificiale e umanità, tra conoscenza e coscienza nel nome della pace.
Diffondere la cultura della prevenzione e i corretti stili di vita saranno al centro delle attività dell’Associazione.
Bergamo, 29 ottobre 2025 – Con il chiaro intento di diffondere la cultura della prevenzione, della promozione dei corretti stili di vita e del benessere psico-fisico e della preservazione dello stato di salute dell'individuo, del suo nucleo famigliare e delle comunità in genere, nasce l’Associazione SIBU APS – Società Italiana Benessere Uomo APS.
L’intento è soprattutto quello di sensibilizzare in modo positivo, e propositivo, la popolazione maschile nell’abbracciare a 360° la cura della propria salute e del proprio benessere, sia in un’ottica di tipo “One Health” che in un’ottica prettamente olistica, sfatando così il pensiero comune che “gli uomini sono meno attenti alla propria salute rispetto alle donne”.
Con l’aspirazione di divenire in futuro una vera e propria Società Scientifica, SIBU opererà principalmente mediante studi di ricerca clinici e osservazionali, sessioni formative, eventi e campagne informative, nonché nella partecipazione attiva in programmi di screening.
Primo Presidente designato è il Prof. Gian Luigi de’ Angelis, Ordinario di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva e già Direttore del dipartimento Materno-infantile e della struttura complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Ad affiancarlo, un nutrito gruppo di professionisti formato non solo da medici e personale sanitario, ma anche da accademici, ricercatori, e figure specializzate nei settori nutrizione, farmaceutica, fitness e divulgazione scientifica.
“La nascita di questa Associazione scientifica è dovuta ad una brillante intuizione dell’amico e collega Prof. Francesco Greco, che, come già sottolineato, ha voluto riunire un numeroso gruppo di specialisti che si occupino di benessere inteso in primis come mantenimento di un ottimale stato di salute degli uomini. Infatti per motivi biologici, sociali, culturali, storici ed altri ancora, gli uomini da sempre sono stati meno attenti alla propria salute rispetto alle donne. Questa differenza è diventata ancora più importante da quando la donna è stata giustamente oggetto di tante campagne di sensibilizzazione e di prevenzione. Basti pensare a quanto è stato fatto per prevenire e trattare il tumore al seno. In quest’ottica si colloca la nostra associazione che si propone di valorizzare non solo gli screening di enorme importanza, quali ad esempio quello del tumore della prostata e del tumore del colon retto, ma anche tutto quell’insieme di fattori che possono incidere in maniera significativa sul concetto di benessere dell’uomo. La vita media si è allungata molto negli ultimi decenni. L’impegno adesso è quello di conservare la qualità del vivere più a lungo possibile attraverso tutta una serie di trattamenti preventivi che passino dalla quotidianità del vivere, ai giusti stili di vita, alla cura tempestiva delle varie patologie”, ha sottolineato il Prof. de’ Angelis.
SIBU – Società Italiana Benessere Uomo
Via Palma il Vecchio, 4A - 24122 Bergamo
www.sibuitalia.it
Viviamo in un tempo di passaggio. Le certezze dell’Occidente — progresso, stabilità, sicurezza — sembrano essersi incrinate, mentre l’Oriente, vasto e giovane, torna a rivendicare un ruolo centrale nella storia del mondo. È questo il cuore del “Ritorno d’Oriente”, una riflessione geopolitica che interpreta il XXI secolo come l’epoca del grande riequilibrio tra Europa e Asia.
Le cinque ferite del nuovo millennio
Il secolo si è aperto con cinque shock simbolici che hanno scosso l’ordine globale:
l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, la crisi finanziaria del 2008, la pandemia del 2019, la guerra in Ucraina del 2022 e il conflitto in Medio Oriente del 2023.
Cinque eventi che hanno incrinato il mito della globalizzazione e mostrato la fragilità del sistema occidentale. L’illusione di un mondo unito dal commercio e dalla tecnologia ha lasciato spazio a un’epoca di incertezze e di ritorno alla storia.
Europa e Asia: due visioni del mondo
L’Europa è il continente della memoria: culla della filosofia, del diritto e della politica moderna, ma oggi segnata da un senso di stanchezza.
È anziana non solo per età demografica, ma per spirito. Amministra il presente più che costruire il futuro.
L’Asia, al contrario, è giovane, demograficamente viva e animata da un desiderio di affermazione.
Mentre l’Europa difende ciò che ha, l’Asia insegue ciò che vuole — e la storia, da sempre, appartiene a chi desidera di più.
Potere, istituzioni e nuove alleanze.
L’Europa ha scelto la stabilità, l’Asia il movimento.
Il Vecchio Continente si affida a un sistema di istituzioni rigide — Unione Europea, NATO, OSCE — che garantiscono pace ma non visione.
In Oriente, invece, il potere è fluido e pragmatico: nascono e si intrecciano nuove alleanze come i BRICS, l’ASEAN e la Comunità di Shanghai.
Nessuno è alleato per sempre, nessuno nemico per sempre: l’era delle “transazioni mobili” ha sostituito quella dei blocchi ideologici.
Religione e identità
Se l’Europa si è secolarizzata fino a perdere il linguaggio del sacro, l’Asia vive ancora di spiritualità.
In Russia, l’ortodossia è tornata a fondamento dello Stato; in Iran, l’Islam sciita guida la vita politica; in India, l’induismo si è trasformato in ideologia nazionale; in Turchia, l’Islam politico è tornato al centro con Erdoğan.
La Cina riscopre il confucianesimo sotto la superficie del comunismo, mentre il Giappone continua a fondere shintoismo e modernità.
L’Europa crede nei diritti, l’Asia nei doveri. È il contrasto tra l’individuo e la comunità, tra la libertà e il destino.
Economia e tecnologia: il nuovo potere
Il mondo non si divide più solo per confini o eserciti, ma per infrastrutture e dati.
Oggi chi controlla i flussi — di energia, informazioni, rotte marittime e connessioni digitali — controlla il futuro.
La Cina costruisce la Nuova Via della Seta, collegando Asia, Africa ed Europa; l’India diventa il laboratorio digitale più grande del pianeta; la Turchia si afferma come ponte energetico tra continenti; l’Iran domina lo stretto di Hormuz, da cui passa un terzo del petrolio mondiale.
In confronto, l’Europa appare fragile, priva di energia autonoma e di visione tecnologica comune.
Il nuovo equilibrio del mondo
Dalle steppe russe al Mar Cinese Meridionale, il pianeta è attraversato da linee di frizione.
Il futuro potrebbe decidersi a Taiwan, nel Caucaso o nel Medio Oriente.
Ma al di là delle tensioni, emerge una costante: la storia si sposta verso Est.
Non si tratta di un conflitto tra civiltà, ma di una transizione di civiltà, in cui il baricentro economico e culturale del mondo cambia posizione, come accadde già nei grandi cicli della storia.
Europa e Asia: memoria e futuro
L’Europa custodisce la memoria, l’Asia rappresenta il futuro.
L’una ricorda, l’altra sogna.
Il ritorno d’Oriente non è una minaccia, ma una possibilità: quella di un nuovo dialogo tra civiltà, di un mondo più multipolare e meno dipendente da un solo centro di potere.
Come ricorda una citazione che chiude il testo:
“Il mondo non torna indietro. Sta solo tornando verso Est.”
E forse, questo ritorno non è un tramonto dell’Occidente, ma l’alba di una nuova epoca della storia umana.