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Il X Agosto, la 14esima edizione della Notte coi Poeti della Letture d’estate a Villa Edera, ha registrato un altro grande successo.
Un incontro annuale di Poeti, tra i piú sensibili della Sardegna, ma anche di oltremare. Un appuntamento fisso, coordinato da Neria De Giovanni , tra poesia e musica. Quest’anno, come le passate edizioni, ha aperto e puntellato la serata con brani musicali Antonello Colledanchise in duo con Susanna Carboni e Saphira Cabula alle percussioni, davanti ad un pubblico di Poeti, musicisti, pittori e amici degli artisti.
Lo scrittore algherese Antoni Canu ("un ragazzo di 97 anni"…) ha aperto la carovana di poeti che, presentati da Neria De Giovanni, si sono avvicendati al microfono mixato da Ivan Perella: Margherita Lendini, Laura Cannas, Maria Piras, Rosanna Fadda, Sandra Manca, Maria Antonietta Manca, Antonio Maria Masia, Maria Teresa Tedde, Teresa Anna Coni, Bianca Maria Ginesu,Tiziana Meloni, Gianfranca Piras, Raffaele Ciminelli, Giuseppina Palo, Roberto Barbieri, Maria Antonietta Pirigheddu e Monica Tronci.
L’intera serata è stata dedicata al ricordo di Sergio Bolgeri, a cinque anni dalla sua scomparsa. Artista poliedrico aveva sempre partecipato alla Notte coi poeti, autore anche di due preziose sillogi con Nemapress edizioni. Al centro dell’evento un ritratto di Bolgeri opera della pittrice Maria Filomena Mura, sua grande amica che ha letto alcune poesie inedite. Anche Giovanni Corbia, curatore dell’ultima mostra internazionale di Sergio Bolgeri, ha letto alcuni brevi versi inediti dell’artista e a sorpresa come Presidente della Biennale del Mediterraneo ha fatto un importante annuncio. A Sergio Bolgeri è stato assegnato il Premio Biennale Paolo Pulina nella sez. Artisti storicizzati, manifestazione che fa parte degli eventi della Biennale d’Arte di Roma e del Mediterraneo, Premio alla Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il premio verrà consegnato nel mese di ottobre in occasione di una mostra antologica delle opere di Sergio Bolgeri che si terrà ad Alghero sempre a cura di Giovanni Corbia.
A pochi chilometri dalle spiagge assolate della Versilia, al fresco di un cielo stellato di alcune notti di mezza estate, nella splendida cornice delle Alpi Apuane, il Festival che, negli anni, ha saputo affascinare e
Locandina |
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rapire la fantasia ed il palato di migliaia di visitatori. Visitatori che hanno trovato in questo delizioso borgo un’atmosfera unica, fiabesca e surreale, facendone ben presto un appuntamento imperdibile nelle sere dell’estate versiliese.
Un Festival particolare dove la festa popolare, con musiche, balli, luminarie abbraccia e si unisce in matrimon
Manifesto |
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io con manifestazioni di arte, cultura, folclore.
Ed ecco allora che a Levigliani compaiono dodici punti gastronomici, dodici spazi per spettacoli ed esibizioni, animati da oltre cento artisti nei quattro giorni del festival.
Festival arricchito da un concorso e una mostra fotografica, dall’angolo culturale con la presentazione del libro “Le Radici dell’Elleboro” da parte dell’autrice Alessandra Pozzi (romanzo d’esordio) e dall’esposizione del Maestro Oronzo Ricci.
Levigliani Wine Art Festival |
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Oronzo Ricci, il genio, colui che descrive su tela la “pigheologia”, cioè l’interpretazione della personalità di una donna partendo dall’osservazione della forma delle natiche.
Nell’ambito di un festival simile non può mancare la componente del Wine Art, rappresentata da oltre cento etichette con i rispettivi produttori.
Wine Art nel contesto generale del festival si riferisce all'idea che il vino, oltre ad essere una bevanda, può essere considerato un'espressione artistica, una forma di narrazione, un'esperienza culturale. La produzione del vino, spesso vista come un atto creativo, Il vino come linguaggio, le etichette d'arte comunicative, come esperienza e le manifestazioni come celebrazione dell’espressione artistica, come mostre d’arte.
- Produzione come atto creativo: dalla scelta delle uve alla vinificazione, dove il vignaiolo esprime la sua visione e il suo talento, proprio come un artista con la sua opera;
Foto Vino e Arte |
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- Il vino come linguaggio comunicando sensazioni, emozioni e storie, proprio come un'opera d'arte;
- Manifestazioni che celebrano il vino come espressione artistica, come mostre d'arte;
- Etichette spesso illustrate o dipinte, che possono essere considerate opere d'arte a sé stanti, spesso collezionabili;
- Il vino come esperienza. La degustazione che può essere vissuta come un'esperienza sensoriale e culturale, paragonabile al “godimento” di un'opera d'arte.
"Wine art", concetto che riconosce al vino un valore artistico, sottolineando il suo potenziale come espressione culturale e creativa.
Urano Cupisti |
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Al sottoscritto è stata riservata una stanza dove, nei giorni del festival, in collaborazione con le aziende vinicole presenti, ho parlato di vino, spiegando i concetti base delle produzioni degli stessi, guidando diverse degustazioni, comunicando con il linguaggio le sensazioni, emozioni e storie, proprio come un'opera d'arte. Levigliani Wine Art Festival. Chapeau!
Festival nei giorni 31 luglio, 1-2-3 agosto 2025.
vista dello studiolo di Francesco I° De' Medici |
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“Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo.”- Voltaire
Firenze, la culla del Rinascimento, è un libro di storia a cielo aperto dove ogni vicolo, ogni piazza e ogni palazzo racconta una storia. Ma cosa succede quando si va oltre la facciata splendente, oltre le opere d'arte che tutti conosciamo? Se si gratta la superficie dorata, si scopre una Firenze più segreta, fatta di passaggi nascosti, simboli esoterici e intrighi che hanno segnato la vita dei suoi abitanti più potenti.
È qui, tra le mura del maestoso Palazzo Vecchio, che si nasconde una delle curiosità più affascinanti e misteriose della città: il passaggio segreto di Francesco I de' Medici, un tunnel che sembra uscito da una spy-story rinascimentale.
Francesco I de' Medici (1541-1587), secondo Granduca di Toscana, non aveva l'animo del politico né la tempra del condottiero. A differenza del padre, Cosimo I, che governò con pugno di ferro, Francesco era un uomo solitario e introverso, un intellettuale affascinato dall'alchimia e dalle scienze naturali. Mentre il mondo si aspettava che governasse, lui passava invece le sue giornate a Palazzo Vecchio, non nei saloni di rappresentanza, dove in realtà doveva essere, ma in un luogo intimo e riservato. Questo luogo, al quale si accedeva attraverso un percorso segreto, era il suo Studiolo, il cuore pulsante delle sue passioni, la zona dove poteva in libertà lavorare ai propri interessi e piaceri.
Progettato da Giorgio Vasari, lo Studiolo non era un semplice ufficio, ma una vera e propria "camera delle meraviglie" rinascimentale. Era un piccolo ambiente rettangolare e senza finestre, le cui pareti erano decorate con dipinti che nascondevano un profondo significato simbolico, con riferimenti ai quattro elementi: Terra, Aria, Acqua e Fuoco. Sotto ciascun dipinto, si trovavano armadietti che custodivano gli oggetti più rari e preziosi della sua collezione: minerali rari, gemme preziose, strumenti scientifici e ampolle da alchimista.
Il Granduca fece realizzare quel passaggio segreto proprio per accedere a quel tempio della conoscenza. Più che un semplice corridoio, era lo specchio della sua anima, la confort zone dove si sentiva se stesso, un modo per isolarsi dalla corte e dedicarsi indisturbato alle proprie passioni. Questo passaggio gli garantiva la riservatezza assoluta e gli permetteva di muoversi tra i suoi appartamenti e il laboratorio senza essere visto, proteggendo così i suoi esperimenti di alchimia, una disciplina che all'epoca era vista con sospetto e circondata da un alone di mistero.
Si racconta che questo percorso venisse utilizzato anche per ricevere ospiti particolari o per incontri privati, evitando le rigide formalità di corte, e forse anche per i suoi incontri amorosi prima con la sua amante, e poi seconda moglie, Bianca Cappello.
La storia di questo passaggio non è solo un aneddoto affascinante, ma una chiave per comprendere un Granduca che, pur essendo al centro del potere, cercava la solitudine e preferiva il silenzio di un laboratorio al clamore di una sala del trono.
Francesco I de' Medici era un uomo di passioni, che viveva per i suoi interessi più che per il potere. Nonostante abbia promosso grandi progetti per Firenze, come l'ampliamento del porto di Livorno e la creazione della Galleria degli Uffizi, non riuscì a farsi amare mai dal popolo. Rimase nella memoria dei suoi sudditi soprattutto per la sua natura schiva, solitaria, per le sue manie e per essere ossessionato dai suoi studi di alchimia, piuttosto che per le sue opere da mecenate.
Conclusione personale:
"Ogni uomo e donna ha nel cuore sogni e desideri. In alcuni periodi storici, luoghi o contesti familiari non era permessa la libertà individuale. Tuttavia, se veramente desiderata, questa libertà emerge in qualche modo, perché è un bene sacro per ogni essere umano."
Martin Lutero |
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“ 20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
21. Sbagliano pertanto quei predicatori d'indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l'uomo è sciolto e salvato da ogni pena.
24. È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.”
Martin Lutero (da le 95 Tesi)
L’articolo apparso il 10 luglio* ha suscitato in numerosi lettori un sincero interesse e alcuni di loro hanno avvertito anche il desiderio di esprimere personali commenti in merito alle questioni ivi sollevate.
Ne riportiamo alcuni fra i più stimolanti, con alcune mie ulteriori riflessioni di approfondimento, miranti a mettere meglio in luce quelli che considero gli aspetti maggiormente problematici del pensiero e della prassi giubilari.
“Le cose su cui ci inviti alla riflessione sono importanti e da approfondire senz’altro. Secondo me, il Giubileo è sostanzialmente un business, però, d’altra parte, la grande fiducia riposta da moltitudini in papa Francesco (incluse le proposte giubilari), e mi sembra anche in papa Leone, credo risponda ad un bisogno di leadership positiva, in un mondo che, purtroppo, attualmente non ha più leader degni di questo nome, ma solo governanti che fanno scelte di guerra infinitamente lontane dal cuore della gente …
E, poi, il bisogno di ritualità (vera, profonda) credo sia innato in ognuno/a, ma, purtroppo, non trova spazio nella nostra società consumistica … E, allora, penso che ci siano tantissimi che si aggrappano anche all’Anno santo, nel tentativo di dare spazio a questo bisogno di ritualità, di sacro, di spiritualità …
Ovviamente, concordo con te che questo bisogno dovrebbe trovare risposte più significative e profonde e meno appariscenti!”
CRISTIANA G.
“Mi ritrovo in totale sintonia con te e, non so bene per quale motivo, mi hai fatto pensare a Giovanni Franzoni che, se fosse ancora vivo, ti applaudirebbe (lui, forse, avrebbe usato
Papa Leone XIV |
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espressioni meno garbate delle tue).
Il filo logico che deve portarci a una linea di comportamenti, ad una direzione “umana”, non può che nascere dal Vangelo che ci indicherebbe di agire con atti concreti e non “acquistando” meriti grazie ad una “lavatrice a gettoni (ovvero a moneta)” che, esageratamente sofisticata, ha programmi in grado di restituirci coscienze pulite anzi immacolate e capace di cancellare anche il passato. Insomma, capace di restituirci, come fossimo ab initio della nostra venuta al mondo, moralmente puri! Sarebbe una immensa pietà da parte del Padre darci una simile opportunità, ma non aver memoria del male fatto in passato è la premessa a reiterare quel male.
Perché arrivare ad una “indulgenza pro business”? No, non credo sia nello spirito del Vangelo.”
CARLO C.
Ha certamente ragione Cristiana nel sottolineare come, per comprendere un fenomeno di massa come quello giubilare, sarebbe necessario far riferimento al grande vuoto culturale della nostra epoca e al grande bisogno di punti di riferimento e di figure carismatiche.
Ma, più che condurre un’analisi di tipo socio-antropologico, a me premeva (e preme tuttora), più di ogni altra cosa, evidenziare il fondamento dottrinale del Giubileo (da molti ignorato) e il suo imprescindibile legame con la questione filosofico-teologica della possibilità-accettabilità della tesi e della prassi delle indulgenze. Ciò nella convinzione che a molti possa sfuggire il fatto che tesi e prassi giubilari (come, d’altronde, tanti dogmi, credenze, cerimonie e tradizionali forme di culto) siano sorte nel corso dei secoli, in base a valutazioni ed obiettivi contingenti (non sempre nobilissimi) e in modo del tutto svincolato dall’insegnamento evangelico incentrato sulla purezza della fede e sulla sincera operosità caritatevole.
E la cosa che continuo a trovare particolarmente fastidiosa è il fatto che la Chiesa di oggi (immersa come quella di ieri nella sua presunzione di assoluta autorità di origine soprannaturale) non appaia minimamente sfiorata da una questione come quella della ammissibilità delle indulgenze, questione a lungo dibattuta e che ha rappresentato una delle cause principali della frantumazione dell’unità cristiana.
Ora, per fare un po’ di chiarezza, è necessario ricordare che quando il monaco agostiniano Martin Lutero, all’inizio del Cinquecento, venne a Roma come semplice pellegrino, nella speranza di potersi immergere in una atmosfera intrisa di profonda cristianità, di contrizione e di voglia di purificazione penitenziale, rimase inorridito e disgustato dallo spettacolo di una Roma godereccia, grossolanamente dedita ad occupazioni terrene e dominata da una casta sacerdotale oltremodo viziosa e lussuriosa.
Ma la sua critica non si è limitata a fustigare la decadenza dei costumi. La sua analisi, infatti, va oltre, va a colpire il cuore dell’enorme macchina ecclesiastica ridotta, come ha ben scritto il nostro amico Carlo, a “lavanderia a gettone”. E Lutero non si è limitato a sottolineare l’aspetto aberrante dell’evidentissimo interesse economico legato alla elargizione delle indulgenze, ma ha messo in luce l’aspetto intrinsecamente immorale e “diabolico” di quella che potremmo definire la “filosofia delle indulgenze”, strettamente connessa a quella della istituzione sacramentale della Confessione dei peccati (altra cosa da lui rifiutata).
In pratica, Lutero ci dice: lo scopo che dovrebbe guidare la vita del vero cristiano non dovrebbe essere quello di cercare di “meritarsi-guadagnarsi-accaparrarsi” la salvezza, bensì quello di cercare di vivere nel modo più coerente possibile la propria scelta di fede, in maniera totalmente disinteressata, senza pensare minimamente ad eventuali vantaggi per il proprio destino terreno ed ultraterreno. La Chiesa romana, invece, con i suoi ingranaggi di assoluzione dei peccati (confessione da parte del prete) e cancellazione dei residui di peccato rimanenti sull’anima, con annesse pene da espiare in terra o nell’aldilà (indulgenza), favorisce una moralità opportunistica, calcolatrice, superficiale, accomodante, irresponsabile e lassista. Ovvero, un’ottica secondo cui, grazie all’intercessione dell’apparato ecclesiastico, sia possibile SEMPRE E IN OGNI CASO, ottenere un salvifico colpo di spugna che possa permetterci di accedere, dopo morti (il più rapidamente e comodamente possibile), alla gloria celeste, pur dopo aver vissuto in terra una vita antitetica ai valori del Vangelo.
Insomma, secondo Lutero, si tratterebbe di un sistema che avrebbe annacquato e intimamente banalizzato il sentimento della gravità della condizione peccaminosa dell’esistenza umana e, di conseguenza, corrotto il senso del dovere, del rigore e della coscienza dell’essere cristiani, creando una mentalità-moralità di orientamento volgarmente materialistico-mercantilistico, totalmente svuotata di autenticità evangelica.
Da questo tipo di analisi, e dal desiderio di recuperare un approccio alla fede liberato dai veleni delle anticristiane sovrastrutture createsi nella storia (la Chiesa di Roma, con le sue caste sacerdotali, apparati sacramentali, culti di Maria, di Santi, ecc., sempre disposti ad intercedere e a procurare “grazie” e miracoli a richiesta, ecc.), è nato il movimento della cosiddetta Riforma protestante che ha spaccato in due il mondo cristiano, dando vita ad un’ ampia gamma di chiese non cattoliche.
Ora, una delle cose che più sconcertano della Chiesa cattolica attuale, sistematicamente impegnata nello sfornare Giubilei, è il non tenere in alcunissima considerazione le posizioni (cristiane) emerse nel corso del tempo (anche prima dello stesso Lutero), divergenti da quelle da essa ribadite nel Concilio tridentino, e il fatto di continuare ad agire come se, dal corso della storia non le fosse minimamente giunto alcun insegnamento.
Insomma, ci si domanda:
come non capire ancora, dopo più di 500 anni di discussioni, dibattiti, scontri, scismi e sanguinose guerre di religione, che il desiderio di ottenere una “indulgenza plenaria” si basa psicologicamente su una prospettiva di tipo egocentrico ed utilitaristico, che presuppone la tesi aberrante, palesemente illogica e sacrilega, che le pene ultraterrene stabilite dal Giudizio divino siano annullabili grazie ad un potere (quello della Chiesa) capace di modificare qualcosa di decretato dall’infinita sapienza e dalla giustizia assoluta di Dio stesso?
E come non capire che questa filosofia dell’impunità portata irrazionalmente alle estreme conseguenze abbia comportato effetti moralmente e socialmente degradanti e devastanti sul modo di concepire la giustizia (terrena oltre che ultraterrena) e, soprattutto, sul senso di responsabilità individuale?
Non dovrebbe, forse, un sincero spirito cristiano, onestamente conscio della propria peccaminosa inadeguatezza, limitarsi ad affidarsi incondizionatamente all’autorità del giudizio divino, confidando, senza alcuna incertezza, nella sua assoluta bontà ed equanimità, senza nulla pretendere, semplicemente con il cuore colmo di pentimento e di speranza?
“Ora dico questo: chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente;
e chi semina abbondantemente mieterà altresì abbondantemente”
SAN PAOLO (Seconda lettera ai Corinzi 9:6)
“Non vi ingannate, non ci si può beffare di Dio;
perché quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà.”
SAN PAOLO (Lettera ai Galati 6:7)
La galleria |
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Nasce all'estremità orientale delle Landes de Gascogne, forma le gole del Ciron di Préchac a Villandraut, poi si getta nella Garonne a Barsac, a valle di Langon.
Etichetta Chateau d'Yquem |
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La lunghezza del suo corso, dalla sorgente allo sfocio nella Garonna, è di 97 km. Ha nove affluenti, piccoli ruscelli con sorgenti, più o meno polle d’acqua in un territorio lacustre, come lo stesso Ciron, che lo alimentano nella sua limitata portata.
grappolo attaccato dalla Botrytis Cinerea |
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Descritto così sembrerebbe un corso d’acqua insignificante, senza storia. Non è così.
Il Ciron è un fiume “magico”. Sotto le fronde del bosco che formano una galleria, l'acqua rimane fresca e protetta dal sole, favorendo la formazione di una nebbia mattutina in autunno, che deposita sull'uva un microscopico fungo, la Botrytis Cinerea, o "muffa nobile". Questo fenomeno naturale viene accolto con gioia, poiché aumenta il contenuto di zucchero del frutto e conferisce ai Sauternes, i vini bianchi dolci più famosi al mondo, la loro miracolosa dolcezza.
Ecco svelato il segreto del Ciron, un fiume che sa di vino!
Il nome Ciron trae la sua origine dal latino Sirio, Sirione, Cirone, Ciron (in guascone).
L'umidità portata dal fiume determina la comparsa di brume mattutine, che favoriscono lo sviluppo sulle vigne del Botrytis cinerea. È grazie a questo fungo che i vigneti del Sauternes e del Barsac devono la loro qualità e la loro reputazione.
Un microclima e idroclima perfetti che avvolgono non solo i vigneti di Sauternes e Barsac ma anche Fargues e Preignac tutti facenti parte dell’AOC Sautèrnes.
La Botrytis cinerea, agendo sugli acini maturi, ne perfora la buccia, favorendo l’evaporazione dell’acqua e la concentrazione di zuccheri, acidità e aromi.
I vini prodotti in questa zona sono ricavati principalmente da Sémillon (che dona rotondità e struttura), Sauvignon blanc (che conferisce freschezza e nervatura acida) e una piccola percentuale di Muscadelle (che arricchisce il bouquet floreale). Il mosto ottenuto è estremamente ricco e viene vinificato lentamente, spesso in barrique nuove, con affinamenti che possono durare anni.
Fiume Ciron |
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Il risultato è un vino di una complessità straordinaria: miele, albicocca secca, zafferano, arancia candita, fiori bianchi e spezie dolci convivono in un equilibrio perfetto tra dolcezza e acidità. Il vertice qualitativo è rappresentato dal leggendario Château d’Yquem, unico Sauternes classificato come Premier Cru Supérieur nel 1855.
Chateau d'Yquem |
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Accanto al Sauternes AOC troviamo Barsac AOC, che condivide terroir e vitigni ma può anche etichettare i propri vini come Sauternes. In genere,
E pensare che a me avevano insegnato, qualche lustro fa, che la botrytis cinerea altro non era che il marciume grigio, che si verificava in corrispondenza alla maturazione in condizioni di un elevato grado di umidità atmosferica, nel caso del Sauternes, dovuta dalla vicinanza dell’Oceano Atlantico. Insegnanti (o docenti come amavano definirsi) da rimandare immediatamente a scuola!
Poi, il calpestare le vigne, mi ha portato nel territorio del Sautèrnes nel mese di novembre ad assistere al mattino al fenomeno della bruma avvolgente sui vigneti ed attendere i raggi solari del mezzogiorno, dello zenit, ed assistere all’asciugamento ovvero evaporazione dell’umidità. Tutto dovuto alla presenza del Ciron, il fiume che sa di muffa!
Nel cuore del Sannio, tra le colline che custodiscono la spiritualità di Padre Pio e l’autenticità della cultura contadina, Pietrelcina si conferma, per il ventunesimo anno, come capitale campana del jazz. Il Jazz Sotto le Stelle Pietrelcina Festival 2025, in programma dal 28 al 31 luglio, nella suggestiva cornice del Parco Colesanti (in caso di pioggia, concerti al Palavetro), non è solo il più importante appuntamento jazzistico della Regione, ma è ormai un simbolo di resistenza culturale, bellezza condivisa e musica che unisce. Organizzato dalla Pro Loco di Pietrelcina con il patrocinio del Comune, della Regione Campania e la direzione artistica di Giovanni Russo, il festival si conferma punto di riferimento nazionale per la musica jazz e le contaminazioni artistiche. L’edizione 2025, dedicata al tema “Bellezze Connesse”, pone l’accento sulla necessità di riconnettere persone e territori attraverso la musica dal vivo e la bellezza condivisa, suona come un invito esplicito a ricucire i fili delle relazioni umane, troppo spesso smarrite nei ritmi scomposti del nostro presente.
In un’epoca di legami digitali e di contatti liquidi, tali espressioni si riferiscono alla condizione in cui le relazioni umane, sia online che offline, tendono a diventare più fluide, instabili e meno durature rispetto al passato. Il filosofo britannico-polacco, Zygmunt Bauman, usa l’aggettivo “liquido” per descrivere la società contemporanea, che è caratterizzata da rapidi cambiamenti, incertezza e precarietà in tutti gli ambiti della vita, compresi i rapporti interpersonali, il festival sceglie la via opposta: musica dal vivo, silenzio rispettoso, incontro reale, comunità fisica. La direzione artistica di Giovanni Russo, costruisce un cartellone che unisce qualità e apertura popolare. Dai virtuosismi di Danilo Rea alla forza narrativa di Peppe Lanzetta, passando per l’energia del progetto Transleit 2.0 delle Ebbanesis, ogni serata è un viaggio tra poesia, jazz econtaminazioni. Peraltro, Jazz Sotto le Stelle è anche altro: è identità territoriale, grazie agli stand enogastronomici che raccontano il Sannio con sapori e profumi veri; è memoria visiva, con la celebrazione del lavoro del fotografo Angelo Masone e la pubblicazione del volume “PHOTO JAZZ”; è riconoscimentosimbolico a personalità di spicco del panorama musicale italiano, con il “Premio Pietrelcina In Jazz”, l’opera in ceramica è firmata dall’artista Sabrina de Ieso di Pesco Sannita, la rassegna artistica ogni anno omaggia artisti distintisi per passione e qualità. In un’Italia che spesso si affida alla musica come semplice intrattenimento, Pietrelcina fa un passo in più: trasforma il jazz in linguaggio civile, in pedagogia collettiva, in atto culturale e politico. Senza clamori, sponsor invasivi, biglietterie chiuse: i concerti sono gratuiti, i luoghi sono aperti, il pubblico è partecipe e misto, tra turisti curiosi, residenti affezionati e appassionati, venuti da ogni angolo del Mezzogiorno. In un momento storico in cui i festival e le rassegne vengono spesso sacrificati sull’altare dei tagli o ridotti a vetrine commerciali, Jazz Sotto le Stelle è un esempio virtuoso di come si possa fare cultura senza perdere l’anima, anzi, valorizzando le radici e coltivando il futuro. Peraltro, Pietrelcina non è solo terra di devozione: è anche una terra di visione. E da vent’anni a questa parte, ogni fine luglio e qualche volta inizio di agosto, accende sotto le stelle una musica che non consola, ma interroga, eleva e connette.
Se l’illuminazione è uno stato che è raggiunto da pochi studiosi e ricercatori dello spirito, considerati privilegiati nella loro elevazione, la possibilità di entrare in contatto con un’atmosfera che predisponga al raggiungimento di stati evoluti della propria coscienza, ognuno con il proprio punto di partenza e la propria gradualità di percorso, può essere offerta a tutti.
E il film IL MONACO CHE VINSE L’APOCALISSE, che affronta coraggiosamente l’interpretazione della visione profetica di Gioacchino da Fiore, abate e teologo, filosofo, pensatore rivoluzionario e visionario tra le menti più influenti del Medioevo, fa proprio questo. Con la sapiente regia di Jordan River, da sempre affezionato testimone di introspezione animica, la pellicola accompagna lo spettatore in un viaggio storico e spirituale che accarezza i presupposti per cambiamenti epocali, auspicabili anche per i nostri tempi.
Muovendosi tra i sovrani Riccardo I° d’Inghilterra (Nikolay Moss) e Costanza d’Altavilla (Elisabetta Pellini), l’abate florense (Francesco Turbanti), mantiene un’autorità che i poteri temporali non possono scalfire, e che diventa una pratica da mantenere per affrontare anche i mostruosi controllori dell’aldilà, una volta superato il guardiano della soglia (Yoon C. Joyce).
Lontano dal voler essere una pellicola di stampo religioso, tutti gli aspetti che concorrono alla realizzazione dell’opera, dall’uso delle sfumature della cromoterapia nelle immagini, all’altissima definizione a 12k, e l’uso di onde Theta gestite da Bruno Gioffrè nella colonna sonora di Michele Josia, che stimolano le frequenze creative e intuitive del cervello, trasportano la sala in una dimensione che invita a un approfondimento spirituale per qualsiasi provenienza. Al di là di barriere ideologiche, si è portati a una riflessione interiore attraverso il percorso di esplorazione della teoria gioachimita della Trinità: “Ognuno dei tre cerchi attraversa gli altri due; come la Trinità”, che sembra ti dica che la risposta va cercata nell’annullamento della dualità, verso una terza via che è quella che lui definisce dello Spirito Santo.
“Si dice che i film debbano lasciare delle domande”, afferma il regista Jordan River, “ma io ho cercato anche di dare delle risposte. L’illusione e il male si annidano dentro di noi e impediscono l’evoluzione umana. Non è la persona che bisogna colpire ma il male che c’è nelle persone. Tutto nasce da un’idea che si muove; e se si riesce a superare quell’idea, si arriva al divino”. Come ci insegna Gioacchino quando tratta il tema del Terzo Tempo della Storia della Salvezza: “La prima fu l’età della paura; La seconda è stata l’età della fede; La terza, dovrà essere l’età dell’Amore”.
Staccatosi dalle linee tradizionali della Chiesa e degli ordini monastici del suo tempo, fonda con pochi suoi compagni l’ordine florense in un eremo concepito come il “fiore”; non come traguardo ultimo, ma come presupposto di speranza della ricerca da cui dovrà nascere il frutto. La sua missione è di identificare i nemici degli imminenti tempi apocalittici finali descritti nella Bibbia, e risvegliare il popolo cristiano addormentato verso la salvezza.
Sembra di ascoltare una cronaca odierna che denuncia l’inerzia passiva degli animi dei cittadini, ma sopraggiunto dal XII° secolo, Gioacchino ci dice che i passi della Bibbia devono essere compresi e interpretati:
“Il libro dell’apocalisse di Giovanni è stato fatto come una ruota interna che si protende fino alla fine dei tempi, e che attraversando la fine rivela la profondità dei misteri”, così detta a un suo discepolo nel film. E se il destino degli uomini, risiede tra due mondi paralleli, quello umano e quello trascendentale, comunque ci svela che tale destino può essere cambiato.
Oltre ad essere definito da Dante “il gran calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato”, e collocato dal padre dei poeti nel quarto cielo del Paradiso, riservato alle anime sapienti, il suo pensiero ha ispirato artisti e filosofi come Montaigne, Hegel, Joyce e Michelangelo nel dipingere il Giudizio Universale e la Cappella Sistina.
Certamente non conosciuto come meriterebbe, la pellicola fa giustizia al fondatore dell’Ordine florense inducendo a una riflessione sulla vita oltre la vita, e la possibilità di creare una realtà di luce e pace interiore anche in questa dimensione umana. “Ognuno di noi ha tante vite”, spiega River. “Ho voluto raccontare una grande storia che mancava, e questa è la storia della nostra salvezza, non della sua”.
Ognuno è accolto dal film in una frequenza fatta di luce, suoni e spunti di riflessione che predispone all’ampliamento della coscienza. Ma al di là dell’aspetto trascendente, anche la dimensione umana apprezzerà l’atmosfera ammaliante delle riprese, la bellezza inevitabilmente contagiosa delle scene, della musica e dello stato d’essere che crea e dalla quale non si può uscire senza esserne contaminati.
Jordan River lo esprime così: “Ho pensato di fare qualcosa di positivo e lasciarlo ai quattro venti. Se lo spettatore è distratto potrebbe perdersi il senso; ma se è attento coglie il messaggio ed esce dalla sala che ha una forza, perché il monaco vince l’Apocalisse!”.
Andrea Scanzi |
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Marzia Carocci con Marco Giallini |
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Ho scelto di iniziare il “mio” viaggio di degustazione di sapori e non solo, dalla bottega Mariani che dagli anni ’50 è aperta a Roma in Viale del Vignola107, vi spiego perché.
Avendo da qualche anno cambiato identità, la Bottega rispecchia oggi ancora di più il senso del suo nome di origine greca “apotheca”. Il significato della parola è evoluto nel tempo valorizzando l’artefatto, il prodotto artigianale non seriale, concetto che la Bottega Mariani ben interpreta oggi trasformata in un laboratorio gastronomico multidimensionale, capace di coniugare in modo ottimale la cucina da asporto e la spesa di prodotti naturali del territorio con il pranzo e la cena servita sul posto, il tutto in un mix unico e vincente.
Questa sfida, non da poco, è superata grazie alla bontà dei piatti preparati con ingredienti di alta qualità dalla maestria di chef che in cucina “a vista” ogni giorno “mettono le mani in pasta “realizzando ricette legate alle stagioni personalizzate anche da sfumature di contrasti di gusto coniugati con competenza e creatività.
I prodotti venduti al banco o consumati al tavolo hanno il comune denominatore dell’eccellenza della materia prima con cui sono preparati.
Paste fresche fatte ogni giorno.
Formaggi di filiere del territorio secondo tradizione aggiornata nelle tecniche di produzione e stagionatura.
Mozzarella apprezzatissima dalla clientela proveniente dagli allevamenti incontaminati di Amaseno, preparata senza l’ausilio di macchinari.
Olio extravergine di zone limitrofe spremuto a freddo utilizzato sempre in ogni ricetta cruda o cotta.
Salumi dop come il Prosciutto di Langhirano stagionato 30 mesi.
Vino eccellente prodotto da piccole aziende a km 0
oltre che il top di altre regioni italiane.
Tra i piatti in menu vorrei evidenziare un primo semplicemente speciale: i ravioli fatti in casa, pardon, in bottega, con uova di fattoria. La pasta accuratamente lavorata nel giusto spessore racchiude un ripieno di parmigiano reggiano stagionato 24 mesi, coulis di basilico e salsa di datterini infornati, un amalgama delicato con abbinamenti che creano un sapore davvero piacevole.
Che dire poi della zuppetta fresca di melone con prosciutto di Langhirano croccante, menta e gamberi cotti al vapore.
Confesso la difficoltà di scelta visto la bontà generale, ma merita un 10 e lode il baccalà con babaganoush, lattuga arrostita e semi di zucca con cottura a bassa temperatura che consente di preservare i liquidi interni conferendo al baccalà morbidezza e consistenza e un taglio senza sbriciolature con succulenza nel gusto e nell’aroma.
Tra i dessert la mia preferenza è va al sapore racchiuso in una crema pasticciera ai frutti rossi equilibrato connubio di dolce e acidulo che ti cattura e ti fa chiudere il pranzo o la cena con i complimenti allo
chef Alessandro Russo.
Ma non è solo il savoir faire dello chef a rendere vincente il locale, determinante è la sapiente gestione di Roberto e Jacopo che dà alla Bottega una marcia in più
perché guarda all’innovazione non dimenticando il valore della tradizione. L’elevato livello di ristorazione si avvale di un ambiente curato, dall’atmosfera “Free”, con scelta di ordinazioni non condizionata da cliché, vincente per il cliente che si sente libero di degustare, secondo tempi e modi individuali, se desidera non seguire formalità nelle ordinazioni.
Valore ultimo ma non per importanza è il ruolo della comunicazione, sia dal punto di vista relazionale che dell’informazione sui prodotti.
Questo aspetto è rafforzato dalla presenza di personale che non cambia, disponibile e competente, merce rara oggi. Qualità che hanno contribuito alla costruzione di rapporti funzionali a dare continuità alla frequentazione dei clienti che con il loro passa parola hanno ampliato la rete di conoscenza della bottega Mariani in modo fisiologico, considerato anche l’indotto prodotto dal pubblico del Teatro Olimpico e di altre strutture vicine.
Il tutto ha dato vita ad un ambiente ristorativo molto frequentato, dove sai di potere fare diverse cose bene:
la spesa di prodotti di qualità, comprarli già preparati ogni giorno dallo chef ma anche degustarli nel locale in relax con un aperitivo oppure a pranzo o a cena il tutto ad un prezzo proporzionato, questo in Bottega Mariani ti fa sentire a casa.
Apr 08, 2022 Rate: 5.00