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(foto Milady) Inaugurazione Padiglione Venezia
con il Curatore alla presenza delle Autorità, tra le quali il Ministro della Cultura Sangiuliano e il Sindaco di Venezia Brugnaro |
La 60a biennale d'arte di Venezia, dal titolo "stranieri ovunque" a cura di Adriano Pedrosa, si è aperta sabato 20 aprile e chiuderà domenica 24 novembre 2024.
Orari di apertura dal 20 aprile al 30 settembre dalle 11 alle 19 e dal 1°
ottobre al 24 novembre dalle 10 alle 18, lunedì è la giornata prevista di
chiusura, salvo eccezioni.
La 60ª biennale d'arte in numeri
Le sedi principali sono le consuete due, i Giardini che ospitano gli storici 30 padiglioni nazionali, nonché il padiglione centrale e il padiglione Venezia, inaugurato nel pomeriggio di venerdì 19 aprile alla presenza delle autorità cittadine e del Ministro della Cultura.
Nella sede dei Giardini c’è anche l’edificio Russia, chiuso, anche in questa edizione non è stata invitata a esporre, stessa sorte per il padiglione Israele, vuoto e chiuso, presidiato dall’esercito, all’esterno del quale si sono svolte diverse manifestazioni e proteste.
L’altra sede è l’Arsenale, che ospita 23 padiglioni nazionali lungo le Corderie, Artiglierie, Padiglione Arti applicate e Sale d’armi, Tesa delle Vergini dove ha sede anche il padiglione Italia.
36 Nazioni sono ospitate in sedi distaccate dalla Biennale, in vari luoghi nel centro di Venezia, nell'isola della Certosa e nella Giudecca.
30 gli eventi collaterali alla Biennale si snodano nei sestrieri veneziani e nell’isola di San Giorgio.
125 sono invece gli eventi denominati “non solo Biennale” che ampliano l’offerta di visite e incontri nel centro città, nelle isole di San Giorgio, Murano, San Giacomo in Paludo, San Clemente e fino alla vicina Mestre. “Stranieri ovunque” è presente anche a Forte Marghera.
Ingresso all’Arsenale (foto Milady) |
Nella prima giornata di apertura al pubblico si sono registrati quasi 9000 visitatori.
Rispetto alla scorsa edizione svoltasi nel 2022 gli accreditati nei giorni di pre-apertura al pubblico sono aumentati del 19% registrando poco meno di 27.000 persone; 4.315 giornalisti accreditati, 67% della stampa internazionale.
60a Biennale Arte Venezia
20 aprile - 24 novembre 2024
Giardini e Arsenale di Venezia
www.labiennale.org
Prima di andare al Vinitaly ha visitato le cantine galluresi
Sassari Da quattro decenni Shigeru Hayashi è la voce del vino italiano in Giappone. Ambasciatore dei nettari tricolore, dagli anni Ottanta tesse culture e calici con antica gentilezza. Nel 1995 diventa il primo sommelier giapponese riconosciuto dall’associazione italiana sommelier. Presidente di Eataly Japan, dal 2005 con la sua azienda di consulenza “Solo Italia” fa da ponte tra i produttori italiani e il mercato del Sol levante. Ospite del Vinitaly, di cui è affezionato frequentatore da 27 anni, ha scelto il nord Sardegna per una indagine sui vini sardi. Base di studio per un libro in cui calici e cibo locale diventano sapori complementari. A supportare il tour del guru del vino tra le star enologiche di Gallura, la Sardinia Yacht service, da 20 anni attenta alla promozione del territorio e alla valorizzazione delle eccellenze locali.
È appena rientrato dal Vinitaly. Come le è sembrata questa edizione?
«Partecipo al Vinitaly ormai da 27 anni. Credo sia un importante punto di incontro per i produttori, ma anche per i giornalisti del settore. Per me che vengo dal Giappone un’occasione unica per visitare tante cantine in così poco tempo. In quattro giorni ho avuto contatti con almeno 40 produttori. Posso dire che il livello e la qualità del vino italiano è sicuramente molto alto. Rispetto al passato anche le nuove aziende riescono a fare un prodotto buono. Diciamo che oggi il vino lo può produrre anche un bambino. Ciò che è importante è comunicare bene il prodotto. Oggi il marketing fa davvero la differenza. Non dico che sia tutto perché non è così, ma ogni produttore deve avere ben chiaro l’obiettivo, il target di riferimento, il messaggio che vuole trasmettere e il canale attraverso cui distribuirlo. Non può funzionare il ragionamento: abbiamo della terra, facciamo del vino».
Qual è il rapporto tra il Giappone e il vino italiano?
«Con una esperienza di 42 anni come ristoratore, importatore e venditore oltre che come giornalista, conosco molto bene il business del vino tra i due paesi. In Giappone ancora oggi quasi il 50% dei vini importati è francese, quelli italiani si attestano tra il 19-20%. Questo è dovuto in parte a motivi storici. La Francia ha cominciato a esportare il vino più 200 anni fa, l’Italia è partita in ritardo, diciamo negli anni Ottanta. Ma soprattutto i francesi hanno una grande capacità di spiegare i loro prodotti, oltre che presentarsi con una immagine unitaria di vini e territori, che ne rendono più semplice la comprensione. Il mondo del vino in Italia è molto individualista. Ognuno fa qualcosa, ma non si riesce a costruire un unico brand italiano. Io credo che l’Italia debba imparare a promuovere il vino insieme alle sue eccellenze come il cibo, famoso in tutto il mondo, e la moda. Messaggi chiari, pubblico mirato, brand unico».
Deve quindi essere ancora più complicato parlare di vini sardi in Giappone.
«Esattamente. Come Giappone, paese fuori dall’Europa, non abbiamo emigrati italiani, quindi ancora oggi è molto difficile spiegare dove sia la Sardegna. Potrebbe essere in Spagna come in Francia, geograficamente non sanno localizzarla. Conoscono invece la Sicilia, famosa per la mafia. La Costa Smeralda. Ma dove sia la Sardegna, quali siano i suoi vini e i suoi formaggi non lo sa quasi nessuno».
Per questo ha deciso di colmare questo vuoto di conoscenza scrivendo un libro?
«Per adesso sto studiando le cantine sarde. Come ho fatto in passato con altri miei libri i vini saranno abbinati al cibo locale. In passato sono venuto in Sardegna, ho visitato grandi cantine come Capichera e Sella&Mosca, l’area di Cagliari. La scorsa settimana ho visitato nove cantine nel nord Sardegna. In autunno tornerò e andrò nel nuorese. Il libro che intendo scrivere sarà di itinerari di vino, cibo, storia, curiosità. Perché è importante incuriosire il popolo giapponese e creare interesse. Ma per farlo bisogna trovare dettagli che catturino l’attenzione. Ad esempio sulla bottarga. Abbiamo un prodotto simile in Giappone che chiamiamo karasumi. La lavorazione è stata importata dai portoghesi 500 anni fa».
Qual è la difficoltà nel vendere i vini sardi in Giappone?
«Oltre al non sapere dove viene prodotto, il vino sardo è difficile da spiegare al popolo giapponese, che ama le cose semplici. Se parliamo ad esempio di cannonau si deve scegliere quale si vuole proporre: superiore, riserva. Se diciamo barolo, quello è unico, si capisce facilmente. Il cannonau è invece complesso. Bisognerebbe puntare su due vini sardi, rappresentativi dei territori, un po’ come fanno i francesi. E spiegarne bene le qualità. Facendo i giusti abbinamenti con il cibo».
Per gentile concessione della testata “La nuovasardegna.it”
Settantaquattresimo notiziario settimanale di lunedì 22 aprile 2024 degli italiani di Russia. Buon 25 aprile, buon ascolto e buona visione.
Gli USA hanno approvato aiuti finanziari all’estero. Sono stati votati separatamente i tre pacchetti finanziari, più nuove sanzioni all’Iran.
Il 19 aprile 2024 sono stato invitato ad intervenire ad un dibattito a Torino di “Democrazia Sovrana e Popolare”, dopo la proiezione del film sul Donbass “Il testimone”. Facciamo un esempio italiano di un secolo fa. Il fascismo si affermò perché pochi vi si opposero, come non si opposero alle truppe naziste tedesche, finché restarono alleate di Mussolini. La Resistenza quella vera, di massa, iniziò quando, nel 1943, gli alleati si trasformarono in invasori. Vi ricordo tutto questo perché tale reazione tipica di qualunque popolo è quel che ora provano i russi, dopo trent’anni di avvicinamento della NATO ai confini russi, nonostante le reiterate promesse del contrario, “non un palmo verso est”, dopo il colpo di Stato in Ucraina, dopo che un popolo fratello, con cui assieme combatterono contro l’invasore nazista, si è trasformato esso stesso in un Paese nazista, e ricordare il 2 maggio 2014 a Odessa non è superfluo, con 48 antifascisti bruciati vivi al Palazzo dei Sindacati. E più l’Occidente collettivo insiste con le forniture di armi, soldi e sanzioni, più i russi serrano le file, si sentono coesi, senza se e senza ma.
Per una volta, niente politica o sociale. O forse sì. Perché è una canzone d’amore, e non importa se per i fidanzati, i coniugi, i genitori o i figli. D’amore e forse anche alla primavera incombente, perché qui le mezzestagioni esistono ancora. Anche questo è politica. La canzone è Вместе и навсегда, “Insieme e per sempre”. Non so nemmeno a quando risalga, ma sospetto ad appena una decina di anni fa.
Il benessere psicologico sul lavoro. Strategia per promuovere la salute mentale dei dipendenti. Questo articolo affronta il costrutto di benessere psicologico a partire dall’analisi del contesto lavorativo. La Psicologia Positiva consente una visione diversa della realtà lavorativa, cercando di enfatizzare gli aspetti positivi del lavoro quotidiano e rafforzare le risorse a disposizione dei lavoratori per affrontare situazioni conflittuali.
A nessuno sembra strano sentire che il mondo del lavoro oggi attraversa una profonda crisi. Negli ultimi anni, e non solo nel nostro Paese, abbiamo acquisito familiarità con concetti come disoccupazione, condizioni di lavoro precarie, instabilità del lavoro, sottoccupazione, ecc., indicatori che ci portano a caratterizzare il mondo del lavoro come conflittuale. Questo nuovo scenario lavorativo, percepito e vissuto come stressante, ha un forte impatto sulla psicologia dei lavoratori. Alcuni riescono ad affrontare o affrontare queste situazioni conflittuali meglio di altri, il che dipende da alcune caratteristiche (sesso, età, livello di istruzione, anzianità, ecc.) ma anche da altri fattori psicosociali come lo stile di coping e le strategie sviluppate per affrontare i problemi. Nello studio della psicologia come scienza possiamo individuare due prospettive. La prima corrisponde alla linea tradizionale, il cui approccio si basa su un problema identificato, ad esempio, dal contesto lavorativo, potrebbe essere lo studio dello stress o del burnout , delle malattie psicosomatiche o dei disturbi mentali . Una seconda prospettiva si basa sulla psicologia positiva e mira alla ricerca del benessere dei soggetti. Ciò dirige l’attenzione sulle forze umane, su quegli aspetti che ci permettono di imparare, divertirci, essere felici, generosi, sereni, solidali e ottimisti. Una delle linee di ricerca della psicologia positiva è il “benessere psicologico”, il cui obiettivo è la ricerca della realizzazione personale.
Benessere sul posto di lavoro
Il benessere è più della salute fisica, trascende le responsabilità quotidiane, le aspettative, le relazioni, la gestione dei livelli di stress e della felicità generale e il modo in cui le persone si sentono riguardo a se stesse.
Secondo la psicologia positiva il benessere emotivo sul lavoro si divide in 5 livelli: Benessere psicologico: avere accesso a uno stipendio dignitoso e a un ambiente igienico in cui lavorare.
Sicurezza fisica e psicologica: che il lavoratore si senta sicuro nel potersi esprimere così come è.
Benessere sociale: ritrovare il senso di appartenenza all’organizzazione.
Stima: che il lavoratore si sente apprezzato dagli altri e ha la capacità di valorizzare gli altri allo stesso modo.
Realizzazione personale: avere la capacità di identificarsi con lo scopo del lavoro e dell’organizzazione. Il benessere emotivo negli affari non è vantaggioso solo per il dipendente e il datore di lavoro, ma è positivo anche per le comunità, la società e l’economia. Presenta molti vantaggi oltre all’interazione tra dipendente e datore di lavoro.
Promuovere un ambiente di lavoro accogliente e inclusivo aiuta i lavoratori a provare un senso di appartenenza e contribuisce a una sana cultura del lavoro.
Cosa posso fare per migliorare il benessere lavorativo dei collaboratori?
1. Evitare giornate faticose e prevedere spazi per il riposo, è fondamentale saper delegare, porre limiti e stabilire orari e carichi di lavoro giusti. Fornisce inoltre spazi per la dispersione e il riposo. Molte volte prendersi due minuti per respirare, allungare i muscoli o riposare gli occhi è di grande aiuto per mantenere la concentrazione e il giusto umore.
2. Motiva le tecniche di respirazione, lo stress si nutre di soffocamento e meno ossigeniamo il corpo peggiori saranno le decisioni o maggiori saranno gli errori. Situazioni come il superlavoro, la mancata comprensione di un’istruzione, la sensazione di demotivazione, la rabbia con i colleghi, tra le altre sensazioni, fanno sì che non respiriamo come dovremmo, poiché siamo sconvolti. Quindi è molto utile incoraggiare gli esercizi di respirazione, si tratta di tecniche utilizzate nello yoga per respirare profondamente, sentire come circola l’aria attraverso il corpo e porsi in uno stato di meditazione. 3. Generare attività di integrazione, lo stress lavorativo diminuisce poiché si hanno ambienti di lavoro positivi, sarà utile per voi sviluppare attività di integrazione in cui colleghi o membri del team si conoscono e si sentono apprezzati dall’azienda. Queste attività possono svolgersi all’interno o all’esterno dell’azienda e spaziano dal pasto, ai giochi interattivi, alle dinamiche di team building, alla convivenza con la propria famiglia e altro ancora. Diventa creativo e prendi nota delle attività che potrebbero interessare a tutti. Ricorda che non è necessario essere in ufficio per creare esperienze gratificanti con i tuoi collaboratori; creare una community durante il telelavoro potrebbe sembrare molto più difficile, ma non dimenticare che esistono molteplici dinamiche di integrazione virtuale. Promuovere attività ricreative nei propri spazi lavorativi migliorerà la comunicazione interna, il senso di appartenenza e il benessere emotivo di chi ne fruisce. . Effettuare una diagnosi sanitaria, le malattie sono causa di stress, quindi è consigliabile effettuare una diagnosi sanitaria nel proprio personale, in modo da poter adottare misure, realizzare campagne sanitarie, programmi benessere e qualsiasi azione che serva a contribuire a avere lavoratori equilibrati. Non dimenticare che i tuoi collaboratori sono individui al di fuori del lavoro, quindi di tanto in tanto è bene consentire loro di occuparsi di questioni personali o di salute, nonché rimanere in costante comunicazione con loro per sapere come stanno andando in altri ambiti della loro vita che possono avere un impatto indiretto nelle situazioni lavorative. Lo apprezzeranno
3. Conduci sondaggi tra i tuoi collaboratori.I sondaggi ti consentono di misurare gli atteggiamenti, le percezioni, la soddisfazione o le prestazioni dei lavoratori. Tra le opzioni per catturare la loro attenzione c’è la gamification dei questionari e aumentare così la loro motivazione. Con narrazioni accattivanti, la motivazione dei lavoratori può essere aumentata in base ai loro progressi. . Riorganizzare il lavoro con obiettivi chiari, a volte si teme processi di ristrutturazione su cui si lavora da tempo, ma solo perché lo si fa da anni non significa che sia il più efficiente. Ecco perché è bene fare un’analisi dei processi e delle attività per ristrutturare come organizzarsi in termini di tempistiche, responsabilità, controlli, metodologie e altro ancora.
4. Comunicare, formare e motivare i propri collaboratori, avere canali di comunicazione per ascoltare e ricevere feedback è fondamentale, aiuterà molto anche formare il personale non solo sulle attività della posizione, ma anche sulle buone pratiche per la gestione dello stress lavorativo e altro problemi. Infine, motivare i dipendenti e riconoscere il loro lavoro è uno dei modi migliori per evitare questo tipo di fenomeni che incidono sui luoghi di lavoro. L’essere umano è un insieme composto da mente, corpo e anima. In tutti gli aspetti della nostra vita dobbiamo tenere conto di questi fattori. La salute mentale e il benessere emotivo sul lavoro sono direttamente collegati alla produttività, all’impegno e alle prestazioni dei dipendenti.
L’equilibrio e il benessere psicologico dei lavoratori influenza direttamente i risultati aziendali e il buon funzionamento dell’organizzazione. Per ottenere risultati di successo dobbiamo prestare attenzione alle emozioni.
Settantatreesimo notiziario settimanale di lunedì 15 aprile 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Oddio, non è proprio attuale, è una risposta di Marija Zacharova di un mese fa. Un mio estimatore (agente all’Avana, come suol dirsi), qui in Russia (piuttosto altolocato e perciò anonimo), mi ha segnalato questo suo intervento. Essendo del 6 marzo, non aveva senso pubblicarlo come una primizia, ma lo inserisco qui, nel mio notiziario settimanale. Godibilissimo, riguarda i diplomatici europei. Sono appena dieci minuti.
Il 12 aprile 1961 fu compiuto il primo volo dell’uomo nello spazio. Nel 2014 fu girato un documentario, “Quando tornerà Gagarin”, a cui l’ambasciata russa a Roma ha messo i sottotitoli in italiano. Per questo ve lo faccio vedere per intero, e mi scuso per la lunghezza, dura 24 minuti, ma la mia generazione è cresciuta con questa convinzione, che presto saremmo stati su Venere, su Marte. Eravamo degli incorreggibili romantici. Sapete che in genere non lo faccio, ma stavolta, concedetemelo. Personalmente, mi sono commosso.
In un’epoca in cui in Occidente vige la cancellazione della cultura e la cultura della cancellazione, eccovi un brano di musica classica, senza parole. Chi l’ha detto che la classica sia una roba per parrucconi? Molti la conoscono come musica natalizia, pochi sanno che si tratta della “Danza della Fata Confetto” dal balletto “Schiaccianoci”, orchestrato da Pëtr Čajkovskij nel 1892, che soleva dire che “la musica è quel sacrario, quella fonte, quel patrimonio a cui ogni nazionalità, ogni etnia ci mette del suo per il bene comune”.
Settantaduesimo notiziario settimanale di lunedì 8 aprile 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
La settimana appena trascorsa cadeva il 75° anniversario dalla fondazione della NATO. Ecco una sintesi del commento di Marija Zacharova, rappresentante ufficiale del Ministero degli Esteri russo.
Alle elezioni presidenziali in Slovacchia ha vinto Peter Pellegrini, classe 1975. La Slovacchia è una repubblica parlamentare, come l’Italia, dove quindi ha più poteri il capo del governo, che è Robert Fico, classe 1964. I media italiani mainstream si sono subito sbracciati a pubblicare veline fotocopia, secondo le quali l’elezione di Pellegrini sarebbe la conferma della deriva nazionalista e populista di quel Paese, semplicemente perché è contrario all’invio di armi in Ucraina, dunque putiniano per antonomasia. Se non sei atlantista, cioè seguace di Biden e Von Der Leyen, sei automaticamente nazionalista e populista.
Sabato scorso sono stato invitato ad intervenire ad una conferenza di “Democrazia Sovrana e Popolare” del Veneto, il titolo era “La pace tra i popoli, i pericoli di una guerra nucleare”. E’ durata tre ore, ed anche il mio intervento si è protratto per mezzora, senza contare poi le domande e le risposte. Ecco perché vi riporto solo un sunto.
Davvero un’ultima chiosa. Lungi da me paragonarmi a Togliatti, però spesso, quando vengo intervistato dai media russi, ricordo che proprio Togliatti, dalle onde corte clandestine di Radio Mosca, dava indicazione ai partigiani italiani. Spero, più modestamente, di avere imparato qualcosa da lui.
Una canzone della fine degli anni ‘80, dell’ultimo periodo sovietico: Родина моя, “La mia patria”. Sapete cos’è la patria? E’ la vostra terra natale, non necessariamente dove siete nati, ma dove siete cresciuti, vi siete formati.
Io, tu, lui, lei, insieme siamo un Paese intero,
Insieme: una famiglia amichevole, Nella parola “noi” ci sono centomila “io”.
http://markbernardini.blogspot.com/2024/04/072-italiani-di-russia.html
Gomma arabica |
“La gomma arabica è un ottimo stabilizzante e aiuta ad evitare nei vini: precipitazione di sostanze coloranti, di microcristalli di scaglie. Apporta anche rotondità e riduce l'astringenza nei vini rossi”.
Così mi fu detto durante una delle lezioni di quel Corso frequentato qualche lustro fa.
Ed ancora: “La gomma arabica è un colloide protettivo che si oppone alla precipitazione delle particelle in sospensione. Un vino torbido addizionato di gomma arabica difficilmente può essere chiarificato perché rende molto difficile la filtrazione. La gomma arabica va quindi utilizzata su vini appassiti: stabilizzati, affinati e limpidi”. Insegnamenti da far rabbrividire i seguaci dei vini naturali e vegani.
Facciamo un po’ di chiarezza e ricordiamo che la gomma arabica è una delle sostanze responsabili della struttura del vino avendo la capacità di arrotondarne il sapore impartendogli una sensazione di morbidezza.
Quando mettere la gomma arabica nel vino?
Morbidezza nel vino |
La scelta del prodotto deve essere fatta in base alle esigenze dell'enologo. L'aggiunta di gomma arabica in un vino va fatta prima dell'imbottigliamento,
Gli stabilizzanti consentono di preservare al meglio le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche dei vini. Per questo il loro utilizzo è fondamentale, specie nella fase di pre-imbottigliamento.
“La morbidezza del vino è una sensazione vellutata che ci fa percepire il vino come morbido al palato”.
Aggiungo che la morbidezza in un vino viene normalmente accompagnata dalla struttura, ossia da una corposità dovuta alla ricchezza in sostanze ed estratti e all’alcolicità, che determina una sensazione di calore che sappiamo manifestarsi nel cavo orale.
La morbidezza è dunque una componente sensoriale molto importante nel vino, fondamentale per il suo equilibrio
“ A parte il glicerolo, le sensazioni “rotonde” possono essere facilmente ottenute in cantina mediante l’aggiunta di additivi, tra i quali il più celebre è certamente la gomma arabica. Inoltre non dimentichiamo la cosiddetta fermentazione malolattica”.
Grazie caro amico enologo di questo tuo apporto per fare chiarezza.
Soluzione di gomma arabica |
A proposito: quando i cosiddetti docenti smetteranno d’insegnare che la malolattica nel vino rappresenta la seconda fermentazione? Forse non sarebbe meglio educare le masse di futuri sommeliers che trattasi di “conversione batterica”?
Ritorniamo al Vin Gommée.
“L’effetto della morbidezza dei vini continua anche con l’affinamento in piccole botti di legno, le barriques. Infatti, durante questo passaggio, come conseguenza della lenta ossidazione provocata dall’ingresso dell’aria attraverso i pori delle doghe e del tempo trascorso nelle botti, il carattere aggressivo e astringente delle sostanze polifenoliche si “arrotonda” con la polimerizzazione dei tannini e il vino acquista un carattere più “morbido“. (fonte Quattrocalici)
Se poi otteniamo dei capolavori enoici che delizieranno i nostri palati alla beva, qualche domanda su come siano stati ottenuti ce la dobbiamo fare.
Urano Cupisti
Storie e figure che rimangono nell’immaginario collettivo del mondo orientale.
Palazzo Braschi a Roma ospita una grande mostra: un viaggio nelle abitudini di una società prospera e pacifica fissato nelle centinaia di stampe che raccontano con lucida precisione la vita vissuta. Un occasione per immergersi in un Giappone prospero e borghese, a volte ironico e disincantato.
L’ eleganza dello stile dei vari artisti è coniugata con la modernità di un linguaggio che è diventato modello e archetipo di un periodo storico e di un rinnovamento sociale. Figure di dame e di gheishe di gentiluomini e di contadini, tutti colti con una grande dignità rappresentativa. Del tutto indipendente dalle funzioni che svolgono.
Molti di questi disegni sono simboli e tramite di un rinnovamento di alcune tematiche, che saranno modello anche per molte creazioni occidentali.
La mostra riguarda il periodo di pace creato dal governo militare dei Tokugawa. Un periodo legato a grandi cambiamenti sociali, economici ed artistici che portò alla riapertura del paese agli scambi con le potenze occidentali a partire dalla metà dell’Ottocento.
In mostra oltre trenta artisti, a partire dalle prime scuole Seicentesche come la Torii fino ai nomi più noti di Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, Tōshusai Sharaku, Keisai Eisen e alla grande scuola Utagawa con Toyokuni, Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi, Kunisada.
La tecnica dell’ukiyoe, importata dalla Cina, implementò la diffusione di immagini e libri permettendo una produzione in serie grazie anche al talento degli artisti ingaggiati. La produzione di stampe, infatti, rappresentò un vero e proprio mercato, tantissimi furono gli artisti e i professionisti, tra pittori, intagliatori, stampatori, calligrafi, che lavoravano in atelier sotto la direzione di un editore il quale sosteneva economicamente il progetto, sceglieva artisti e soggetti, e immetteva le opere sul mercato.
La classe cittadina emergente di Edo, composta da borghesi e mercanti, non avendo potere politico, scelse di vivere nel lusso. Ukiyo, che fino ad allora era stato inteso nel senso di attaccamento all’ illusorio mondo terreno da cui rifuggire, secondo l’ insegnamento buddhista, ora prendeva un senso opposto di godimento di tutto quello che era nell’attimo e nella moda.
La grande novità di queste immagini erano quindi anche i soggetti, completamente diversi dalla grande pittura aristocratica di Kyoto.
La grande mostra, dal titolo :“Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone”, sarà visibile fino al 23 giugno 2024 al Museo di Roma a Palazzo Braschi. Dal martedì al venerdì, l’orario di apertura sarà dalle 10.00 alle 19.00, con ultimo ingresso alle 18.00.
È promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, coprodotta e organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina e da MondoMostre, con il supporto di Zètema Progetto Cultura, curata da Rossella Menegazzo, presenta centocinquanta capolavori dell’arte giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento. L’Ukiyoe, vuol dire :“immagini del mondo fluttuante”, si tratta di un genere pittorico nato in epoca Edo (1603-1868) che include dipinti, rotoli da appendere e da srotolare tra le mani, ma anche paraventi e stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta.
Da ieri in Italia è scattata l’ora legale, a Mosca no, quindi per sei mesi noi qui avremo una sola ora in più rispetto a voi. Inoltre, state celebrando la festività della Pasqua, che in Russia invece quest’anno cade il 5 di maggio, poiché tutte le festività religiose seguono il calendario giuliano anziché quello gregoriano, e la Pasqua viene calcolata dalle fasi lunari. Buon ascolto e buona visione. Il 22 marzo 2024, un barbaro attacco terroristico avvenuto nella sala concerti del “Crocus City Hall” di Mosca ha sconvolto la Russia e il mondo intero. Diciamo Spasibo a ciascuna delle oltre 15.000 persone che ci hanno inviato messaggi e ci hanno telefonato, a quelle che sono venute all’Ambasciata russa e hanno lasciato fiori, biglietti, candele, giocattoli e che hanno espresso personalmente parole di vicinanza e solidarietà, spesso senza riuscire a trattenere la propria commozione. In questi giorni ricorre il 210° anniversario della vittoriosa conclusione della campagna estera dell’esercito russo del 1813-1814. Dopo aver sconfitto la Grande Armata di Napoleone durante la Guerra Patriottica del 1812, le truppe russe dalle mura di Mosca bruciata, portando sulle loro bandiere la libertà per i Paesi e i popoli d’Europa dall’oppressione napoleonica, marciarono per migliaia di chilometri con pesanti combattimenti verso la capitale francese, che si arrese alla mercé dei vincitori il 31 marzo 1814. Il portavoce del Pentagono John Kirby: “Mio zio diceva che i migliori venditori di letame spesso portano dei campioni in bocca. I funzionari russi sembrano essere degli ottimi venditori di letame”. Questa settimana, in un media che non nomino, sono stato censurato per avere ricordato la tossicodipendenza di Zelenskij. Da due anni, Biden da del macellaio a Putin. Non è tanto originale, prima di lui lo fece quel gran genio dell’allora ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio. Questo, secondo i media italiani, è lecito, mentre parlare della propensione alla cocaina di Zelenskij è lesa maestà. In ben altra epoca, in un mondo parallelo, ci fu un giovane cantante statunitense di origine italiana che in un film, It Happened in Brooklyn, del 1947, si esibì cantando dei brani russi, in una sorta di pot-pourri. Sono proprio curioso di vedere se lo riconoscete. Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot. Tutti i video (senza testo) si trovano in: Rutube, Youtube e Flip News. Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo). Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in rubli: 4211 7045 8356 7049 (Banca Intesa Russia) 2202 2023 9503 8031 (Sberbank) Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in euro: Correspondent bank: INTESA SANPAOLO SPA, MILAN Swift: BCITITMM Beneficiary Bank: 100100004730 BANCA INTESA 101000 MOSCOW RUSSIAN FEDERATION SWIFT: KMBBRUMM Beneficiary’s account number: 40817978800004524011 Beneficiary’s name: Bernardini Mark
Ebbene sì, siamo arrivati al quarto episodio di questa divertentissima sagra, che ad ogni episodio si arricchisce inesorabilmente in un crescendo di idee sempre più geniali e divertenti. In questo capitolo, in realtà più sobrio e ponderato del solito, oltre i video con Massimiliano Bruno, Pasquale Petroli e Claudio Gregori nei panni dei mariti delle Stremate, si inserisce per la prima volta nel cast tutto al femminile, una vera e propria novità: un maschietto, che risponde al nome di Vito Buchicchio. L’attore veste u panni di un buffo, ma anche ambiguo maggiordomo. Dopo la classica apertura di Stremate a base di rimproveri reciproci e lamentele personali, è Vito che si inserito come ciliegina sulla torta nella storia da quel tocco di originalità alla storia e un po’ di pepe.
Devo dire però, che ho assistito a questo nuovo episodio con una certa amarezza di fondo, questo perché alla fine della programmazione di “Tre stremate e un maggiordomo”, la serie verrà interrotta. Peccato, perché oltre ad essere molto divertente, ben fatta e ben recitata, la proposta è un unicum. È infatti al momento, una vera e propria novità nell’ambito teatrale, cioè la prima e unica serie ad episodi mai proposta in teatro e che ha riscosso anche un bel successo di pubblico… peccato davvero.
Sinceramente mi auguro ci sia un ripensamento, perché questo prodotto artistico merita veramente molto. Giulia Ricciardi come Patrizio Cigliano, ma come anche tutto il resto del cast, hanno messo il cuore in questa proposta, che merita di raggiungere platee sempre più numerose e non certo di rimanere congelata…
Marisa, per il suo compleanno, stanca della vita coniugale, ha lasciato suo marito ed ora vive in un mini appartamento da sola. Come al solito le due eterne ed immancabili amiche per starle vicino la vanno a trovare, per sondare il suo stato d’animo e per vedere la sua nuova sistemazione. Si tratta di una casa un po’ arrangiata e raffazzonata, che strapperà da subito i sorrisi del pubblico, che si troverà immerso in una semplice scenografia formata da scatoloni che testimoniano il recente trasloco e da una essenziale e misera mobilia.
Le amiche ascoltano il suo sfogo, in cui la donna accusa il marito di essere pigro ed indolente nella gestione familiare che è sempre ricaduta sulle sue spalle. Dunque si è trovata costretta sotto la costante pressione del marito, a lasciare il suo lavoro di arredatrice di interni per dedicarsi alla casa.
Ovviamente, per non smentire la serie, si gioca subito sul provocatorio ed ironicamente indolente carattere delle donne, ormai ben conosciuto dai fedelissimi di questa serie. Si parte con un iniziale sfogo di Maria a cui uniscono quelli di Elvira e Mirella in cui le donne liberano le loro frustrazioni e delusioni nei confronti dei rispettivi mariti. Uomini che pretendono che la propria moglie sia sempre efficiente, determinata e presente, ma soprattutto relegata ad un ruolo subordinato e dipendente dal maschio. In questo si evidenzia ironicamente l’inefficienza dei tre uomini che avremo modo di conoscere attraverso le video chiamate dirette alle rispettive mogli e in cui ascolteremo le loro puerili lamentele.
Questi simpatici video vengono inseriti dalla pièce e dalla regia nella storia in maniera molto efficace, non solo per spezzare le scene, ma anche per dare modo alle tre protagoniste di spostare gli oggetti in scena per nuove situazioni e per cambiarsi gli abiti, peraltro davvero belli ed eleganti che ne esaltano la femminilità. I costumi sono stati forniti dall’elegante e raffinata RS Boutique dell’estroso Raffaele Marchese, che oltre stilista si rivela inaspettatamente anche un valido costumista.
La nuova location di Marisa (Milena Miconi), si rivelerà un ottimo escamotage per le altre due donne (Beatrice Fazi e Giulia Ricciardi). Permetterà loro di dare vita ad una sorta rivincita sui loro mariti, allontanandosi dalle loro famiglie per trasferisi nell’appartamento di Marisa, li obbligheranno ad autogestirsi e potranno respirare e disintossicarsi dall’ombra prevaricatrice e nefasta degli strampalati ed inetti mariti.
Neanche a dirlo Lillo, Greg e Massimiliano ci appariranno sempre più smarriti, esauriti ed incapaci di autogestirsi e con le loro gag ci faranno sbellicare dalle risate.
Ma non è tutto, Marisa decide per sfizio, di assumere un maggiordomo, ovviamente uomo, forse per cercare di prevalere almeno figurativamente sulla figura maschile e godersi quello che almeno all’inizio sembra una rivalsa sul sesso forte. Intanto ogni marito dovrà impegnarsi e dimostrare di sapersela cavare da solo e accettare poi di essere disposto a servire con attenzione e cura la propria consorte.
Le Stremate daranno vita come di consueto a tutta una serie di divertenti battibecchi, dispetti reciproci e toccanti confessioni, tutto con ritmi veloci ma anche molto realistici, arricchiti di simpatiche trovate partorite dalla prolifica mente di Giulia, coadiuvata dall’inconfondibile regia di Patrizio Cigliano che esalta ogni scena.
Ormai le tre veterane attrici del mondo spettacolo, sono più che affiatate, si direbbero una cosa sola. Ognuna di loro porta avanti il suo personaggio esaltandone pregi e difetti evidenziando una palpabile passione e indiscutibile professionalità e capacità personali, frutto di un profondo lavoro artistico e una evidente maturazione artistica, di cui giova sia il gruppo che lo spettacolo.
Non vanno però dimenticati anche tutti coloro che hanno collaborato alla riuscita di questa proposta, come la regia, l’ aiuto regia, la fonia e le luci, che hanno creato questa magica e professionale sinergia.
Speriamo che la serie venga ripresa, me lo auguro profondamente.
Teatro Golden
“Tre Stremate e un maggiordomo”
di Giulia Ricciardi
Con Giulia Ricciardi, Milena Miconi, Beatrice Fazi e Vito Buchicchio
regia Patrizio Cigliano
aiuto regia Claudia Genolini
special video guest Massimiliano Bruno, Greg, Lillloscene Fabiana Di Marco
luci e fonica Elisa Martini
Ecco cosa avevo detto a caldo, quella maledetta sera.
Sono le 23:30 locali, finora ci sono quaranta morti ed oltre un centinaio di feriti. Un gruppetto di una decina di terroristi fascisti armati di mitra sono entrati in un centro commerciale ed hanno sparato a casaccio a tutti quelli che gli capitavano a tiro.
Il sottoscritto è stato egli stesso, nel 1979, vittima di un attentato terroristico a Roma, da 45 anni mi porto in corpo quattro schegge di granata fascista. Mi scuserete se non vado per il sottile. Evito di oscurare ipocritamente le scene più cruente, con i cadaveri. Dovete sapere cos’è un attentato, prima di fare i soliti commenti imbecilli dal divano di casa a migliaia di chilometri.
Si dice che fossero barbuti, e di aspetto non slavo. Non lo so, non lo sappiamo, è troppo presto. Per certo, che siano ucraini o caucasici, spero che li prendano vivi, se possibile: è importantissimo conoscere i mandanti, non gli esecutori. Anche perché quattro giorni fa le ambasciate britannica e statunitense a Mosca avvisavano dell’alta probabilità di attentati, ma rifiutando di fornire dettagli alle autorità russe.
Come si diceva ai miei tempi, compagni, non accettiamo le provocazioni. Io ricordo il teatro Nord Ost a Mosca nel 2002 e la scuola a Beslan, in Ossezia, nel 2004. E anche la Puškinskaja, la Rižskaja, la Lubjanka, il Park Kul’tury. Ricordo però anche Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Ustica, l’Italicus, la stazione di Bologna, il treno di Natale.
(La superficialità m’inquieta ma il profondo mi uccide - Alda Merini)
Alda Merini in un periodo storico di quasi totale incompetenza verso la malattia mentale fu definita bipolare ma ebbe sicuramente trattamenti non adeguati per una forma psichiatrica che adesso si curerebbe con una farmacologia e non certamente con terapie coercitive e con gli elettroshock che la Merini subì negli anni manicomiali.
Una donna dalle grandi capacità espressive che seppe trasformare il dolore in parola da condividere ma soprattutto le sue poesie servirono anche a conoscersi in una sorta di rilettura di un sé affossato da un'inadeguatezza medica. In questa intervista cara Barbara, non vorrei porle domande per le quali gli amanti e proseliti di Alda conoscono ampliamene le risposte. Vorrei se lei me lo permette, chiederle dei ricordi che lei ha di una mamma sicuramente particolare ma con un mondo dentro che pochi hanno potuto indossare.
D_Carissima Barbara, mi piacerebbe potesse descriverci un momento, un giorno, un ricordo di sua madre. Non saranno forse tutti ricordi piacevoli, è inevitabile ma il sentimento figliare può raccontare meglio di qualsiasi critico, intenditore, studioso, della nostra meravigliosa ed eccelsa poetessa.
R- I ricordi con mamma sono diversi poiché le famiglie affidatarie dove il comune di Milano mi mandava erano tutte nell’hinterland e questo mi dava la possibilità di andare dai miei genitori ogni fine settimana oppure ricevevo visite da loro. Abbiamo fatto anche le vacanze insieme a Omegna dove risiede mia sorella maggiore. Descrivere un momento particolare sarebbe molto riduttivo.Mia mamma era una donna estremamente empatica; è capitato per esempio che diventata già adulta, non le raccontassi tante cose, soprattutto per non metterla in pena e farla preoccupare. Quando mi chiedeva come stessi, le rispondevo che andava sempre tutto bene, facevo questo perché non volevo che lei avesse sensi di colpa per non essermi stata vicino a causa delle sue problematiche. Un fatto però molto particolare che vorrei farvi conoscere, è quando con me faceva un gioco particolare del quale non ricordo il nome ma era di attinenza fra le parole come ad esempio: legno-albero-foglia-frutto, frutto seme ecc… Non so come lei facesse ma con questo gioco arrivava a comprendere quale fosse il mio disagio facendomi sentire completamente scoperta. Aveva un’intuizione unica.
D- Alda venne ricoverata per la prima volta quando aveva già due figlie; accadde dopo la morte della madre, in un periodo di particolare stanchezza che aveva già espresso al marito. Non era facile comprendere quello che Alda passasse e quando il marito chiamò un'ambulanza dopo l'ennesima crisi di sua mamma, non pensava certamente che la portassero in ospedale psichiatrico. Da lì un escalation di torture, abbandono, shock per vederne le reazioni e tanto altro fu inflitto a Alda.
Barbara, che rapporto aveva con sua madre? quanto Alda nonostante il dolore, la malattia, gli stati bordelaine sapeva dimostrarsi mamma? Le era possibile?
R- Intanto ti ringrazio per avere messo in evidenza che mio padre quando chiamò l’ambulanza non aveva sentore che rinchiudessero mamma in ospedale psichiatrico. Negli anni 50/60 bastava avere una depressione, un attacco d’ira o addirittura essere una ragazza madre o avere altri tipi di disabilità che si apriva la porta del manicomio, sono convinta che mio padre chiamasse l’ambulanza per ridurre una situazione di crisi che lui non poteva e non riusciva a placare. Mi fa male sentire tutte le chiacchiere su mio padre come se fosse stato lui l’artefice della vita in manicomio di mia mamma. La sua unica preoccupazione era che fosse curata per poter tornare a casa dalla sua famiglia ristabilita. Io vedevo mamma solo nei fine settimana. Fra i quattro anni e mezzo e i sei anni, fui affidata all’Istituto Buon Pastore di Milano, mamma veniva a trovarmi con mio padre e durante le lezioni di ballo, si metteva al pianoforte. Per quel periodo il rapporto era bastevole. Lei ha provato in tutti modi ad essere una madre, passava momenti di estrema dolcezza non facendomi mancare nulla, dalla pulizia del corpo, all’alimentazione e altri momenti nei quali aveva paura e in quel caso ergeva un muro fra me e lei. Da piccola e da ragazzina non comprendevo tutto ciò, ma da adulta chiaramente ho compreso tutto il suo disagio legato proprio ad un bipolarismo che non poteva combattere. Ricordo a volte che mio padre, mi lasciava con lei qualche ora mentre andava al bar vicino casa. Ho memoria di lei che si metteva al piano suonando musiche struggenti e che piangeva, piangeva a dirotto rendendo l’impossibilità da parte mia ad avvicinarmi perché di quella cosa ero terrorizzata. Era il suo modo per estraniarsi ma anche per dire che non ce la faceva ad essere madre in quel momento. Non l’ho mai giudicata
D- QUELLA CROCE SENZA GIUSTIZIA CHE E' STATO IL MIO MANICOMIO NON HA FATTO CHE RIVELARMI LA GRANDE POTENZA DELLA VITA- Questa è un'affermazione di Alda Merini; lei pensa che se sua mamma non avesse subito la grande sofferenza interiore, la malattia avrebbe mai scritto poesia e prosa ai suoi altissimi livelli?
R- La poesia a lei si è rivelata da giovanissima, negli anni antecedenti alla chiusura in ospedale psichiatrico. Credo che mamma sia nata con la vocazione della poesia. E’ stata chiamata e non poteva scindere Alda Merini dalla scrittura poetica. Era il suo modo di parlare e di esprimersi al mondo. Sicuramente l’esperienza drammatica, la sofferenza della malattia hanno acuito quella forma letteraria che parla di delirio e di situazioni legate all’ambiente ma la poesia è nata con lei.
D- Se posso permettermi Barbara, quanto è stato difficile e complicata la vostra vita di figlie? Quanto adesso che siete adulte è cambiato il pensiero, l'accettazione, la mancanza di domande non poste?
R-Chiaramente posso parlare solo del mio rapporto personale con mamma; ogni sorella avrà il suo unico ed esclusivo. E normale che la carenza di un affetto così importante come quello genitoriale rende la vita di un bambino difficile e complicata, nel mio caso il ruolo è cambiato da figlia a madre. Ciò non ha permesso una vita sana dove l’autostima è inesistente, ho vissuto ovviamente tante incertezze e le difficoltà che si possono immaginare in una situazione così particolare. Una volta cresciuta e divenuta a mia volta madre, ho potuto in qualche modo comprendere molte cose come la manchevolezza involontaria di mia madre nei miei confronti. Parlo di mancanza non materiale perché mia madre non mi ha fatto mancare nulla ma solo la non capacità di dimostrare il sentimento materno stereotipato. Non cambierei mai mia mamma con nessuno, non vorrei mai avere avuto una madre diversa. In qualche modo lei mi ha spronata ad essere più esigente e mai superficiale. Mi manca il rapporto con lei, il confrontarsi, i dialoghi. Mi ha insegnato a vedere le cose da altre angolazioni. Ho del vissuto con lei soprattuto negli anni da adulta, momenti di grande valore affettivo e emozionale
D- Se fosse possibile chiedere qualcosa alla sua mamma, cosa le domanderebbe? Cosa invece eviterebbe di chiederle?
R- Cosa chiederei a mia madre: credo che in qualche modo mia mamma abbia sempre risposto alle mie domande. Alcune le ho volutamente tacitate come domandare se era proprio necessario affidarmi a un’altra famiglia, poi riflettendo penso che ai quei tempi forse l’assistente sociale non sapeva supportare in modo adeguato alcuni casi difficili. Avrei anche voluto chiederle se era il caso di esternare il suo dolore difronte a me in maniera totale da farmi male e sentirmi totalmente impotente all’aiuto. Ma la domanda che avrei dovuto chiederle era se sapeva quello che passavo nelle varie famiglie affidatarie, al dolore, al disagio ai trattamenti decisamente sbagliati nei miei confronti. Ho scoperto che lei sapeva tutto così come sapeva tutto mio padre. L’ho saputo solo dopo la sua morte. Questo mi ha fatto tanto male e sono stata arrabbiata, molto arrabbiata con loro. Ho sofferto per questo.
D- Quanto Alda ha messo in primo piano la poesia? Quanto ha preferito questa attività a tutto il resto?
R-Mamma ha sempre messo in primo piano la poesia, la poesia l’ha ammaliata, scelta, voluta. Avremmo tutti dovuto capirlo e comprenderla senza volere altro da lei perché è stata una vocazione la poesia per mamma; era il suo modo di esprimersi con gli altri. Volere che fosse prima moglie, madre o altro era volerla snaturalizzare, io non ho mai preteso questo, è capitato a volte da bambina quando andavamo in campagna e lei batteva sulla sua macchina da scrivere che non riuscissi a prendere sonno e mio padre diceva invece a me di fare silenzio per non disturbare mamma che scriveva poesie. Lui è sempre stato orgoglioso di questa sua passione.
D- Ha una poesia di sua madre che sente più vicina? Quale?
R- Molte poesie di mamma me le sento addosso, credo che sia quello che molti provano nella lettura dei suoi versi. C’è un episodio però che vorrei condividere con voi. Fu in occasione di uno degli ultimi periodi di ricovero a causa del suo tumore quando fu operata all’addome; chissà perché ho sempre pensato che mamma fosse eterna, ma quella volta andai a trovarla in ospedale come se mi sentissi una strana sensazione e le chiesi espressamente di dedicarmi un’ aforisma. Iniziò a dettarmene tanti mai io cercavo di farle capire che io ne volevo uno che fosse scritto espressamente per me. Mi guardò e mi disse: “chi brucia d’amore, non si consumerà mai” Quell’aforisma l’ho tatuato sul collo. Fa parte di me. Una poesia che mi ha fatto capire invece quanto fosse poeta mia mamma e quanto la sua sofferenza fosse grande è “la mia prima trafugazione di madre” una poesia che esprime con forza emozionale il concepimento all’interno delle mura manicomiali; penso che parli del parto della mia ultima sorella. In quella poesia ho respirato tutto il suo dolore, tutto il suo desiderio di volere amare e di non poterlo fare perché le era impedito. Forte la simbologia di quanto una cosa bella possa essere sbocciata all’interno di mura terribili.
Carissima Barbara, dopo ogni intervista, lascio uno spazio libero per dare la possibilità di espressione per qualsiasi cosa vogliate dire.
Questo è il suo:
Sono fiera di avere avuto per madre una persona che amava la vita, una donna che sapeva amare, uno tsunami d’amore, una donna che passava dalle invettive all’ironia. Certamente una persona complicata da gestire ma poi, chi siamo noi che vogliamo gestire le persone?Lei doveva essere lasciata libera; un suo aforisma dice. “Non cercate di prendere i poeti perché vi sfuggiranno fra le dita” e questo suo pensiero doveva bastarci per comprendere che la sua libertà era oltre. Avrei voluto comprenderla di più e avere vissuto con lei di più la sua poesia. Ricordo che quando usciva una sua nuova pubblicazione me la faceva vedere, ero contenta per lei ma a me interessava più il rapporto fra madre e figlia. Forse ho sbagliato e solo adesso ho capito. L’ho capito attraverso la gente che l’ama, che legge le sue poesie, che chiedono le interviste per conoscerla meglio, chi organizza spettacoli teatrali, televisivi. Adesso ho capito con gli occhi degli altri quello che per ricerca d’amore materno non riuscivo a vedere. Mia mamma era poesia.
Sessantanovesimo notiziario settimanale di lunedì 18 marzo 2024 degli italiani di Russia. Come promesso, oggi molto materiale sulle elezioni presidenziali russe appena concluse. Buon ascolto e buona visione.
Come potrebbe un Presidente eletto dal suo popolo indebolire la posizione del suo Paese o il suo stesso ruolo? Mi riferisco a un qualunque Paese del mondo. Gli elettori votano sempre a favore di chi, secondo loro, è in grado di portare benessere e prosperità al loro Paese, e di garantire che il suo sviluppo avvenga in maniera indipendente e sovrana.
L’opportunità per i cittadini russi in Italia di partecipare alle votazioni per le elezioni del Presidente della Federazione Russa è molto importante. Ciò soddisfa il desiderio di essere coinvolti sia nel destino della Russia che nella scelta del percorso del suo sviluppo. Ciò è tanto più rilevante ora che la situazione internazionale è caratterizzata da turbolenze e la Russia è sottoposta a una pressione esterna colossale senza precedenti. L’elezione del Presidente della Federazione Russa rappresenta un fattore potente per unire il popolo russo e tutti i nostri connazionali all’estero.
Se le persone in fila all’estero per votare alle elezioni presidenziali in Russia avessero preso parte all’azione di “mezzogiorno”, si sarebbero disperse tutte dopo mezzogiorno. Ma no. Erano in fila venerdì, sabato e domenica. Non sono andate via nemmeno la domenica dopo le 13:00. Non si sono sciolti fino a tarda sera.
Nei media italiani ne ho lette, sentite e viste di ogni. Grandi eroine quelle che hanno gettato le molotov e una presunta vernice verde nei seggi e nelle urne elettorali. E poi gli elettori erano costretti a votare, prova ne sia che ai seggi c’erano i militari. E le elezioni non erano democratiche perché le urne erano in plexiglass trasparente. E anche perché c’è stato un 74% di affluenza. E perché l’87% ha votato per Putin. Proviamo ad analizzare punto per punto.
Questa volta le elezioni presidenziali hanno suscitato un’eccitazione senza precedenti all’estero. Enormi code in fila ai seggi elettorali di tutto il mondo. Inoltre, in Paesi sia amichevoli che non così amichevoli. Ho raccontato cosa ha potuto causare un così forte risveglio dei russi.
Come sapete, collaboro con varie testate italiane. Da venerdì scorso, ce n’è una in meno, e non certo per mia volontà. Il motivo? Ecco quanto ho spiegato qualche giorno fa.
Stavolta vi puppate Pupo! Perché? Perché Enzo Ghinazzi è venuto qui a Mosca e ha cantato al Cremlino. Vi faccio ascoltare le sue ragioni in conferenza stampa, che non posso riportare per intero, essendo durata più di un’ora, e, a seguire, uno dei suoi brani, in entrambe le lingue.
Dopo i grossi numeri collezionati nel finale dell’anno 2023, Tiziana Raciti torna con un nuovo brano innovativo e intrigante dal titolo “Pick me up” (Prendimi). Questa canzone caratterizzata dal forte impatto musicale, ancora una volta scritta dall’autore palermitano Fabrizio Clementi è già destinata alla parte alta delle classifiche.
L’ennesima hit dal ritmo travolgente si appresta a a diventare il tormentone della stagione. E’ un sound dai toni dance in grado di mantenere o indurre una variazione dello stato emotivo, ma anche fisico dell’ascoltatore. La conseguenza è quella che l’effetto benefico del pezzo musicale si propaga in ogni particella del tessuto umano.
La musica ci rivela che nulla è impossibile e anche nei momenti di tristezza e di perdita di controllo, ci indica la cosa più giusta e importante da fare.
L’ autore Fabrizio Clementi si è superato ancora una volta, nel puntare su nuove sonorità, ed ha pensato di far interpretare il brano alla bravissima cantante Tiziana Raciti. La pluripremiata cantante siciliana di Priolo Gargallo, a causa della sua grinta e vocalità è ormai definita e conosciuta come “la Tina Turner della Sicilia”. La data ufficiale di uscita di “Pick me up” è fissata per Venerdì 22 Marzo su tutte le piattaforme musicali ed i Digital stores.
Il video del brano si potrà inoltre visualizzare su YouTube nel canale di Tiziana. Ma per chi non vuole perdersi neanche un giorno, potrà ascoltare il brano in anticipo il 21 Marzo in onda su All Music Digital Radio, tra le ore 10,45 e le 11,20.
Il brano “Pick me up” sarà presente nel format MYCHANCE ON AIR sul canale 50 radio, nell’ambito dell’edizione discografica di “Artisti online”.