L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Il nuovo spettacolo di Pippo Franco, composto da monologhi, affronta il tema dell'evoluzione dell’uomo coraggiosamente, addentrandosi in un panorama molto vasto.
Con molta umiltà e simpatia, l'artista affronta questa sfida interessando e coinvolgendo il pubblico su argomenti che bene o male coinvolgono tutti, e si fa accompagnare nel viaggio dalla melodiosa e virtuosa chitarra di Giandomenico Anellino.
Lo spettacolo è arricchito da immagini per meglio supportare spiegazioni e narrazioni che ci porteranno in un interessante cammino attraverso l’arte, la storia e la cultura, con un approccio del tutto particolare e molto profondo, condito da simpatiche battute o gag ironiche.
Sono cresciuto con i suoi film, ben sessantuno, e con i suoi numerosi programmi televisivi. Un’artista che ha lasciato il segno nella comicità, nella commedia all’italiana, nel cinema e nel teatro.
Finalmente per la prima volta stasera riesco a vedere Francesco Pippo (questo è il suo vero nome) dal vivo al teatro e a conoscerlo di persona. Al solo rivederlo, i ricordi della mia adolescenza sono riaffiorati prepotentemente, riportandomi indietro nel tempo alla mia adolescenza e a quella che considero un’icona della vecchia e sana comicità italiana, che ha accompagnato gli anni della mia giovinezza.
La serata parte subito con un fantastico medley di brani famosi reinterpretati dal fantastico chitarrista, che miscela sonorità tra musica classica, jazz e spagnola. Possiede una tecnica ineccepibile che gli consente di esprimere un gusto melodico ricco e un’attenta ricerca del suono. Pippo Franco gli lascia tutto lo spazio che serve per farci cullare dalle sue infinite note. Interverrà più volte durante la serata per inserirsi tra un argomento e l’altro con brani conosciuti ed interpretati con virtuosismo. Pezzi di Battisti, di De Andrè, di Lucio Dalla , ma anche altri brani come “O sole mio”, “We are the world”, “Strangers in the night”, La Guerra di Piero”, Piazza Grande… si susseguono e ammutoliscono la sala che poi esplode in uno spontaneo applauso. Questo musicista, che vagamente mi ha ricordato per l’aspetto Ninetto Davoli ( di cui ha sicuramente la stessa simpatia e cordialità), ha colpito anche il grande Ennio Morricone, tanto che gli chiese di incidere i suoi brani… E adesso, mentre sto scrivendo, li sto ascoltando… Bellissimo.
Pippo ci regala due ore abbondanti di “Stand up comedy” donandoci uno spettacolo maturo, con inserzioni ironiche e umoristiche sì, ma attento e molto intimo mentre guarda con attenzione il cammino dell’uomo attraverso l’arte, la storia e la conoscenza. Pitagora, Adamo ed Eva, Augusto, Giulio Cesare, Boccaccio, Machiavelli, Michelangelo, Darwin, Freud, Leonardo Da Vinci, Neil Armstrong… tutti personaggi storici a cui l’artista lega un aneddoto buffo sconosciuto ai più.
Tante le immagini proiettate di opere famose, come “Il sole del mattino” di Edward Hopper o “L’artista e la modella” di Jack Vettriano, l’ “Allegoria del trionfo di Venere” di Bronzino, il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck, “Il mercato degli schiavi” di Salvatore Dalí, le “Quattro stagioni” di Giuseppe Arcimboldo e le “Donne con salamandra” di Fausto Pirandello… Sono opere di artisti distanti per stile e tempo, ma paradossalmente legate da una simbologia che a prima vista sfugge allo spettatore, svelata in modo affascinante. La platea così scopre di poter vedere con altri occhi questi quadri e di coglierne il nesso in un forte messaggio che li accomuna.
Quello di stasera è uno spettacolo improntato sulla cultura ricco di aneddoti e storie interessanti raccontate con grande trasporto, come farebbe un nonno con il nipotino. Un artista che mette a disposizione del pubblico saggezza, conoscenza ed esperienza. Ci si alza soddisfatti, sorridenti, coccolati, ma soprattutto più ricchi e con qualcosa di interessante e unico da raccontare a casa.
Letrari |
Tutti conosciamo la storia, a volte distorta, comunque in gran parte rispondente a verità, del Trentino vitivinicolo, di quella parte geografica corrispondente alla Provincia Autonoma di Trento.
Ricordo che tutto ebbe inizio da quella via Claudia Augusta voluta da Cesare Augusto (nel 15 a.C.) e terminata dall’imperatore Claudio (nel 46 d.C.) per “romanizzare” i popoli dell’attuale Trentino-Alto Adige, Tirolo austriaco, Alta Baviera e Svevia. Una “via” consolare tutt’oggi preservata in parte che penetra in vigneti e, turisticamente, rappresenta un percorso storico-vinicolo molto apprezzato. E le legioni romane, nei loro spostamenti, portarono usi e costumi dell’Urbe, tra cui l’esperienza viticola allora conosciuta.
Tutto il resto è sotto i nostri occhi: la Piana Rotaliana a nord, la Vallagarina al centro-sud.
Sebbene il Trentino produca tanti vini fermi sia bianchi che rossi, oggi rivive momenti di gloria grazie ad un Signore che 150 anni fa volle concretizzare un sogno: creare in Trentino un vino capace di confrontarsi con i migliori champagne francesi. E, visti i risultati, c’è riuscito. Quest’uomo si chiamava Giulio Ferrari.
Un pioniere: è lui che per primo intuisce la straordinaria vocazione della sua terra, lui che per primo diffonde lo Chardonnay in Italia fino ad allora confuso con il Pinot Bianco.
Iniziò a produrre poche selezionatissime bottiglie, con un culto ossessivo per la qualità.
Dorigati |
Oggi lo spumante trentino ha la sua denominazione chiamata Trento Doc, creata nel 1993 e registrata nel 2007. Metodo usato “la rifermentazione in bottiglia” ormai conosciuta e conclamata in Italia come Metodo Classico.
Nei primi giorni di settembre ho deciso di immergermi nella realtà spumantistica trentina visitando quattro aziende, ritenute dal sottoscritto, rappresentative di tutto il territorio.
AZIENDA DORIGANI: scelta perché posizionata all’estremo nord del territorio. La Piana Rotaliana, con Pinot Nero e Chardonnay muscolosi, veramente nordisti. Massima espressione l’etichetta METHIUS.
Le note aziendali: “Zona di origine: fascia collinare di Faedo e Pressano a 350 - 500 m di altitudine Vigneto: il sistema di allevamento è la tradizionale pergola trentina. Ma una potatura corta e povera ed un dirado dei grappoli dimezzano la produzione altrimenti abilitata Vitigno: 60 % Chardonnay, 40 % Pinot Nero Vinificazione: in bianco con fermentazione in barrique di parte dello Chardonnay Maturazione: preparazione della "cuvée" nella primavera successiva la vendemmia.Imbottigliamento e presa di spuma lenta alla temperatura di 11°C. In bottiglia matura circa cinque anni, con periodiche rimesse in sospensione dei lieviti. Si procede poi alla fase di "remuage" sulle "pupitres".Alla fine di tale ciclo si effettua la sboccatura con aggiunta di "liqueur d'expedition". Lo spumante così ottenuto matura per ulteriori 6 / 8 mesi prima di essere commercializzato”.
AZIENDA PEDROTTI: scelta per la sua posizione a Nord di Rovereto, nel Comune di Nomi e per la sua produzione Trento Doc di nicchia. Nove tipologie di spumanti a Metodo Classico presentate in tre linee dalla diversa complessità e struttura. GROTTA DELLO SPUMANTE BATTEZZATA DA LUIGI VERONELLI: “LA CATTEDRALE DELLO SPUMANTE”. Questa cantina è un ambiente roccioso naturale,
Enantio |
contesto ideale per maturare gli spumanti ed esaltare ancor più il perlage di montagna.
Tra le numerose etichette ho scelto di riportare EXTRA BRUT RISERVA SPECIALE 1988 un prodotto raro, quasi unico, che deve la sue affascinanti caratteristiche non solo a se stesso e alla sua straordinaria longevità. Queste le note aziendali che riporto fedelmente: “ Alla sua eccezionalità hanno contribuito infatti protagonisti che ora ne fanno parte e dai quali non è possibile prescindere per capirlo e gustarlo. In primo luogo ci sono le uve, Chardonnay e Pinot Noir di eccellente qualità, provenienti da vigneti coltivati a metà montagna, con le caratteristiche di acidità e maturazione ideali per il Trentodoc. La grotta, che ha donato negli anni alle 17mila bottiglie prodotte nel 1988, e di cui ora rimane una piccolissima riserva, una temperatura costante di 13 gradi, un silenzio e un buio quasi irreali. Alla sua essenza hanno contribuito le mani di chi, con competenza e passione, ha movimentato dapprima ogni 6 mesi, e poi ogni 3 anni tutte le bottiglie, per riportare i lieviti in sospensione. E infine sopra tutti il tempo”.
AZIENDA LETRARI: scelta per la sua posizione nella piana Vallagarina e per la produzione che predilige dosaggi bassissimi. Azienda che affonda le radici nella storia del vino trentino. coltivando le uve nelle zone più altamente vocate della valle. Riporto dalle note aziendali di presentazione: “Noi elaboriamo con naturalezza, grazie ad un'esperienza maturata in oltre mezzo secolo di vendemmie. Papà Leonello è considerato un fondatore della spumantistica trentina, le sue prime bottiglie di risalgono infatti al 1961. Non è un vino della consuetudine: nasce dalla caparbietà e dall'autorevolezza del cantiniere abbinata alla sapienza del vignaiolo. Noi possiamo vantarle entrambe”.
Pedrotti |
Sulla base di queste affermazioni come non ricordare la Riserva del Fondatore. “E’ il vanto della nostra ‘maison’, una riserva che vuole essere decisamente esclusiva. Oro lucente, che alla vista onora subito la sua classe, con una gamma di fragranze di rara eleganza, note di nocciole mature a percepire l’essenza delle mele di montagna, pure della pesca, arachidi tostate e zenzero. Il sorso è cremoso, un mix di rotondo equilibrio tra sapori agrumati e l’incontenibile ampiezza della crema pasticcera, con il limone candito che mitiga e rilancia tutta la finale, interminabile complessità organolettiche”. AFFINAMENTO SUI LIEVITI 120 mesi. Vini base in barriques e conversione malolattica avvenuta.
AZIENDA ROENO: perché la sua scelta. Ci troviamo sul confine con la Regione Veneto. L’azienda e la cantina si trovano oltre il confine (Veneto), mentre i vigneti “spumantistici” in Trentino, zona Trento. Terroir diverso e maturazioni posticipate. Leggo e faccio proprio: “La famiglia Fugatti rappresenta una somma di sentimenti che la memoria ha tramandato, oltre il legame del sangue. Un albero i cui tanti rami hanno indicato la strada da seguire, in cui rispetto e umiltà rappresentano i valori da non dimenticare. Più a Nord invece, raggiungono la provincia di Trento, rientrando quindi nel disciplinare del Trentino Doc”.
Interessanti i due aspetti: la scoperta di “certi” vini fermi unici (Enantio in particolare) e gli spumanti dalla veste interiore unica. E di questi spumanti ricordo DÈKATOS, metodo classico millesimato 2012, 100% chardonnay. Spumante di sostanza e ispirazione, trasformato in identità di territorio. Lunga permanenza sui lieviti (100 mesi) per connotare e cesellare uno stile unico. “Dekatos respira l’arte e il vento delle latitudini trentine, dove la vocazione per i grandi Metodi Classici ha permesso di scrivere pagine importanti all’interno della storia enologica italiana”.
Prendo a prestito quest’ultimo pensiero trasmessomi da Cristina Fugatti, titolare dell’azienda Roero, per chiudere questo mio viaggio in Trentino, terra di spumanti.
Ops, dimenticavo: delle quattro visite ben tre sono gestite da imprenditrici femminili (Pedrotti, Letrari, Roero). Forse il Trento Doc è diverso anche per questo? Chapeau!!!
Urano Cupisti
L’Elettra è un piccolo, minuscolo e delizioso teatro a due passi dal Colosseo, che stasera ospita la storia di tre donne.
Hanno età diverse ed estrazione sociale ed esperienze di vita molto lontane, ma anche qualcosa in comune: il carcere per aver compiuto lo stesso reato. La prigionia allora le obbliga ad una condizione di stretta “vicinanza”, da cui il titolo.
Entrano in sala e si dispongono davanti al sipario chiuso, di fronte al pubblico, con spavalderia, come se dovessimo giudicarle noi, e con molta onestà e sfrontatezza si confessano.
Sono vestite di nero, impettite e con aria di sfida. In un monologo ci spiegano chi sono e cosa hanno fatto, come dovessero sostenere un interrogatorio davanti ad un’autorità giudiziaria. Lo spettatore viene allora trasformato in giudice mentre le ascolta, sobbarcandosi l’onere di giudicarle. Forse sperano di ricevere quella comprensione che non hanno avuto, e un giudizio diverso da quello della legge e dela società.
I tre monologhi sono molto intensi, già dopo poche parole abbiamo un quadro completo delle donne.
Tiziana è una prostituta che ha ucciso un cliente da cui si sentiva minacciata; Franca ha ammazzato il marito che la tradiva e sfruttava; Giovanna si è macchiata di omicidio nei confronti di uno sconosciuto che voleva abusare di lei.
La proposta sembra andare controcorrente in questi giorni in cui non si fa altro che parlare di femminicidio e della triste e cruenta fine di Giulia Cecchettin, da cui continuano ad emergere particolari sempre più raccapriccianti. In ognuna delle storie l'orco, almeno in apparenza, sembra essere la donna, ma in realtà è una vittima. Le tre hanno reagito istintivamente per proteggersi, seppur attraverso un atto riprovevole.
Nel trascorrere dello spettacolo realizziamo che Tiziana è una donna temprata dalla vita, calma, posata, in parte rassegnata, che ha maturato una certa stabilità espressa con i suoi atteggiamenti comprensivi e materni. La gestualità, l’espressività e soprattutto la cadenza della voce risultano sempre pacate e controllate.
Franca è la più fragile ed instabile; soffre di attacchi di epilessia che si manifestano quando è sottoposta a forti stress emotivi. È molto ansiosa ed insicura e lo dimostra con atteggiamenti infantili, nascondendosi dietro alla sua immaginazione e cercandovi rifugio. Interroga i tarocchi per conoscere il suo e l’altrui futuro. Vive così una vita parallela in cui si rifugia rifiutando il suo passato.
Giovanna si dimostra ancora sociopatica, scontrosa, apparentemente dura e coriacea. Nasconde però una fragilità e una profonda sensibilità che probabilmente avverte come punto debole, perciò vi costruisce sopra una corazza impenetrabile da cui però trasuda la sua vera natura.
Tutte e tre le donne hanno anche questo in comune: un grande e profondo trauma. Come degli animali selvatici, messe con le spalle al muro, alle angherie di un uomo hanno reagito nel peggiore dei modi: l’omicidio. Paradossale e stridente soluzione, se si pensa che la donna è quella votata a donare e preservare la vita…
Le tre, terminata la loro arringa-confessione, si girano di spalle come per chiudere il rapporto con lo spettatore, che evidentemente rappresenta la sorda ed insensibile società giudicante che le ha ostracizzate. La regia le fa spogliare dei loro abiti civili come fossero una divisa che integra nella società, e glieli fa lasciare a terra proprio davanti ai nostri piedi, piedi come quelli che ne hanno calpestato i diritti. Le loro scarpe, nere e non rosse, vengono ben allineate vicino a quella “pelle sociale” dismessa, riconducendoci al simbolo della violenza sulle donne. Forse attraverso il colore nero vogliono alludere lutto, alla morte sociale. Nel carcere infatti si viene dimenticati, ci si trasforma in un numero della statistica e si perde il diritto ad esistere come membro della società. Questo rito di iniziazione spoglia l’essere umano della sua personalità per poi abbandonarla in uno stato subumano senza diritto di replica.
Sono delle sopravvissute ad una società maschilista e con il loro gesto di ribellione estrema hanno infranto non solo la legge, ma anche la morale comune, quella che vuole la donna succube e silenziosa.
Il tribunale le ha condannate, come è giusto che sia, ma nessuno ha tenuto conto che il loro tremendo errore è stato dettato dal disperato tentativo di rompere gli schemi precostituiti e di rifiutare il ruolo di vittime sacrificali e capri espiatori della società maschilista.
Nonostante la loro diversità, hanno in comune una profonda solitudine esistenziale e manifestano il bisogno di comprensione, e chi può capirle meglio se non loro stesse? Riescono così a creare una forte unione, e anche se non mancano dissidi e crisi, rimangono un gruppo compatto. Nel loro rapporto si palesano ancora di più i ruoli: Tiziana, privata dei figli, si comporta come una madre comprensiva soprattutto con Franca, delicata e un po’ svampita, sempre con i calzini spaiati, persa dietro a inutili e strane congetture; è invece comprensiva con Giovanna, che come una pecora nera rifiuta per non essere rifiutata e tiene tutti a distanza con fare rabbioso e scostante.
La scenografia ricostruisce una cella in maniera molto realistica, donandole un immagine sciatta e trasandata di contenitore di vite sprecate. Ci sono pochi oggetti che le tre condividono rivelandone il potere di catalizzatore e collante. Ci troveremo immersi nei loro bisticci, negli scherzi, nelle crisi, condividendone le speranze e gli sfoghi.
Quello che emerge è che a dover essere incarcerato è tutto il sistema che hanno avuto intorno, che non ha saputo proteggerle costringendolo a difendersi da sole nel peggiore dei modi e a precludersi ogni speranza di comprensione e redenzione.
Le attrici spingono molto sui loro personaggi per marcarne le differenze e farne spiccare il carattere, le debolezze e le speranze. Una musica ripetitiva e ossessiva le accompagnerà sempre, soprattutto per sottolineare momenti salienti o spezzare le scene. Suggestivo l’uso delle luci che crea pathos e tensione, in special modo quando escludono tutto l'ambiente circostante ed immortalano i personaggi per esaltarne la coscienza messa a nudo.
Un’accurata regia dirige le attrici che si muovono dinamicamente sfruttando ogni minima parte del palco, e le spinge a esternare tutte le loro capacità recitative.
La storia è drammatica, ma non manca di tenerezza e di qualche sorriso, l’epilogo invece è assolutamente inaspettato.
“Vicinanze”
Di Massimo Cardinali
Regia di Ines Le Breton
Luci e suoni di Alberto Buccolini
Con Maria Adelaide Terribili (Tiziana), Nicoletta Conti (Franca), Violetta Rogai (Giovanna).
Cinquantaquattresimo notiziario settimanale di lunedì 4 dicembre 2023 degli italiani di Russia. Siamo alla settimana del 4–10 dicembre 2023. Buon ascolto e buona visione.
Il 27 novembre 2023 ad un forum internazionale a Mosca, “Letture di Primakov”, Sergej Lavrov aveva concluso il suo intervento con una frase piuttosto emblematica da una nota canzone sovietica: «и вновь продолжается бой». Tradotta letteralmente in italiano, la rendo con “E la lotta continua”.
Che voleva dire? Lo si è capito appena tre giorni dopo, quando, a Skopje, in Macedonia, è intervenuto al Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
In Russia è stato arrestato in contumacia l’addetto stampa della società americana Meta. “Le forze dell’ordine hanno scelto una misura preventiva sotto forma di detenzione nei confronti di Andy Stone, accusato di facilitare attività terroristiche sfruttando la sua posizione ufficiale. Rischia fino a 20 anni di carcere. E’ già stato inserito nella lista dei ricercati internazionali.
L’FSB della Russia ha arrestato un cittadino della Russia e dell’Italia coinvolto in atti di sabotaggio terrorista ai danni di infrastrutture militari e di trasporto della regione di Rjazan’. Nato nel 1988, ha reso testimonianza per cui nel febbraio 2023 a Istanbul (Turchia) fu reclutato da un dipendente della principale direzione dell’intelligence del Ministero della Difesa dell’Ucraina, dopo di che seguito una formazione di sabotaggio nella città di Yekabpils (Lettonia) con la partecipazione diretta dei servizi speciali lettoni ed è tornato nel marzo 2023 nella città di Rjazan’.
La settimana scorsa ho riportato una serie di considerazioni su argomenti che non sospettavo avrebbero suscitato tanto clamore, con financo sterili delazioni in perfetto stile del ventennio fascista.
Esistono in Russia, compresa quella illegalmente occupata dai nazifascisti ucraini finanziati ed addestrati dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dall’Unione Europea, varie città che hanno lo status di città-eroe, per avere resistito all’occupazione nazifascista tedesca, lasciando sul campo 27 milioni di morti sovietici. A ridosso del Cremlino, nei giardini Alessandrini, da allora, davanti al fuoco eterno al milite ignoto, esiste il picchetto d’onore.
Stavolta, tanto per far imbufalire ulteriormente gli haters, gli odiatori da salotto e i delatori da divano, vi propongo una canzone di un secolo fa, molto in voga durante la guerra civile del 1919-1922, si chiama «Красная Армия всех сильней», “L’Armata Rossa è la più forte di tutti”. L’esecuzione però è di un gruppo contemporaneo molto noto in Russia, Ljube, dieci anni fa. E’ un’esecuzione dal vivo in piazza Rossa, attraggo la vostra attenzione su quanta gente vi si sia radunata.
Nell’estrema periferia romana, sulla Salaria vicino all’aeroporto dell’Urbe troviamo, lontano dalle mete abituali, questo originale centro. Si tratta di una ex cartiera trasformata in polo culturale. Siamo accolti da uno staff sorridente ed ospitale che ha preparato in un angolino qualcosa di caldo da bere per gli ospiti. Un ampio corridoio e una sala enorme sono utilizzati per una mostra temporanea di quadri.
Nella sala che ospita il teatro ogni fila è posta su un piano superiore in maniera da permettere una buona visione dello spettacolo ad ognuno.
Stasera avrò modo di vedere una replica rodata, visto che lo spettacolo è già proposto da tempo su questo stesso palco.
Del Riccardo III di Shakespeare va in scena la stesura originale, con qualche taglio per renderla più fruibile e scorrevole e un’ambientazione alquanto originale.
Non amo particolarmente le riproposizioni di originali storici in ambientazioni e costumi fuori epoca, preferisco solitamente la fedeltà all’originale con costumi coevi. Quindi lo ammetto, sono venuto con i piedi di piombo, ma ho lasciato comunque sulla soglia dell’entrata ogni mio preconcetto per cercare di essere oltremodo obiettivo.
Pur stridendo con i miei gusti, questa serata si presenta invece assolutamente interessante. Troviamo un’atmosfera onirica e surreale grazie all’uso di pareti di un bianco accecante. L’iniziale aspetto asettico si trasforma con un’illuminazione che via via è sempre più suggestiva, con l’inserimento a volte di colori tenui, a volte più forti a sottolineare la tensione delle scene.
Il tutto è amplificato da una colonna sonora per lo più fatta da musica classica con inserzioni di brani più moderni.
Gli attori e gli spettatori si trovano così inghiottiti in una scena innovativa, composta da pannelli mobili e scorrevoli movimentati con grande perizia, atti ad ingrandire o rimpicciolire suggestivamente l’ambiente che ricorda la scenografia di “2001 Odissea nello spazio”, o che si ispira ai quadri metafisici di Giorgio De Chirico.
Lo spettatore è suggestionato da questa mirabile scenografia che racchiude il palco in una sorta di scrigno sospeso in un non tempo e lo trasforma in testimone dell’ascesa al potere di Riccardo, duca di Gloucester, ultimo sovrano inglese della casata degli York.
Il monarca regnò dal 1483 al 1485, quando morì ucciso in battaglia da Enrico Tudor.
Dai ritrovamenti archeologici risulta che fosse deforme, e infatti era soprannominato “Il fermo” per la disabilità che lo impediva nei movimenti. L’immagine di questo monarca è tuttora controversa, Shakespeare lo presenta sotto le vesti di un grande maestro dell’inganno.
Pietro Faiella si adegua a questa visione restituendoci un re che fa il verso al Roy Batty, l’androide di “Blade Runner interpretato dall’ indimenticabile Rutgher Hauer, e a Grima Vermilinguo, l’ispido consigliere del re Theoden nel “ il Signore degli anelli” interpretato da un magistrale Brad Dourif. Il costume che indossa ricorda quello del comandante Ed Straker interpretato da un insolito ed androgino Ed Bishop nella serie fantascientifica “UFO” degli anni ’70.
Tutti i costumi degli attori si rifanno ad un'immagine per lo più fantascientifica inquinati da inserti che rimandano al periodo classico. Sono di fantasia, ma di indubbia qualità e particolarmente evocativi. Tutti in tinta unita, scarpe comprese. I loro colori sembrano voler esternare l’essenza di ogni personaggio, senza donargli volutamente delle sfumature caratteriali.
Insieme al protagonista si muove tutta una pletora di personaggi sviliti e umanamente discutibili, corrotti dal potere e dall’ ambizione.
L’ambientazione gioca un ruolo determinante trasmettendo efficacemente forti sensazioni.
Il mix tra suoni e colori serve a disorientare ed infastidire continuamente il pubblico, e anche la recitazione cerca di indurre una forma di repulsione nello spettatore, la stessa che emanano la maggior parte dei personaggi con le loro vicende.
Riccardo III viene rappresentato in tre fasi: ascesa, elezione e caduta, in cui Pietro si trasforma camaleonticamente rappresentandosi sempre come emblema della più decaduta corruzione morale, che ben si sposa con la sua spiacevole presenza fisica. Profondamente bieco e manipolatore, nella prima fase è un subdolo e viscido arrivista; nella seconda uno sprezzante monarca; nella terza scivola nella più profonda viltà e codardia.
Pietro veste talmente bene i panni di questo personaggio così meschino, opportunista, falso, fastidioso e vigliacco da arrivare ad infastidire con la sua bravura.
Con lui sul palco orbitano ben sedici figure che si muovono tra inganni e tranelli, interpretati da altri otto validi attori e attrici.
Interessante è il divario creato tra le figure maschili e femminili. Gli uomini cercano di prevaricare e di imporsi tra loro, rendendosi servili e ruffiani, e interpretano più personaggi. Questa scelta registica forse vuole sottolineare l’ambiguità maschile nella storia. Le donne interpretano invece un unico personaggio che rende così la figura femminile più stabile e naturale mentre cerca di preservare i propri amati e di piangerne i destini.
A dispetto del gruppo maschile, quello femminile crea una particolare e compatta uniformità da cui sprizzano speranza e disperazione ma anche una grande forza d’animo. Appaiono struggenti, romantiche e passionali e il loro fascino, seppur costantemente schiacciato dalle vicissitudini, traspare timidamente nei gesti e nelle esternazioni.
Luca Ariano si rivela un regista attento, che volge lo sguardo all’avanguardia portando il suo Riccardo III nel futuro, ambientandolo in uno spazio vuoto ma dinamico anche se privo di oggetti. Muove magnificamente i suoi attori in questa dimensione claustrofobica ed asettica che pare voler imprigionare i personaggi che, come un demiurgo, sposta per sfruttare ogni angolo e creare dei suggestivi quadri sulla scena.
Faiella è il protagonista indiscusso, ha la parte del leone, è il burattinaio che muove i fili del destino di tutti. Con gesti altezzosi, nonostante la mano storpia, si muove con eleganza dirigendo a suo piacimento luci, personaggi e scenografia.
Il resto del cast non è da meno e crea con lui un magico e drammatico contorno, fatto di perfette interazioni. Uno spettacolo ricco di fascino con un cast preparato e perfettamente affiatato.
Spazio Citylab 972m,“Riccardo III” - Progetto di Luca Ariano e Pietro Faiella
Regia di Luca Ariano
Adattamento e aiuto regia Natalia Magni Scenografia Luca Ariano con la collaborazione di
Alessandra Solimene Costumi Elisa Leclè Luci Luca Ariano
Assistente alla regia
Tessa Perrone
Responsabile di Produzione Romina Delmonte
Ufficio Stampa Viola Sbragia
Produzione Officina Teatrale di Massimo Venturiello
Con: Pietro Faiella (Riccardo III), Roberto Baldassari (Clarence, Hastings, Sindaco) Gilda Deianira Ciao (Elisabetta), Romina Delmonte (Margherita), Luca Di Capua ( Catsby, sicario)
Lucia Fiocco (Lady Anna), Mirko Lorusso (Rivers, Stanley), Liliana Massari (Duchessa), Alessandro Moser (Buckingham, sicario)
Tiziana Raciti |
Tiziana Raciti è una cantante professionista di Priolo Gargallo della provincia di Siracusa. Canta dall’età di sei anni, e i suoi genitori, dopo aver notato la sua predisposizione artistica, acconsentirono che partecipasse alle manifestazioni nelle varie località della sua provincia. A 12 anni Tiziana si presentò al festival degli sconosciuti patrocinato da Teddy Reno e Rita Pavone, i quali dopo aver visto le qualità della giovane cantante, le consigliarono di rimanere a Roma.
Nella capitale Tiziana avrebbe avuto sicuramente maggiori opportunità per crescere sia professionalmente che vocalmente, ma i suoi genitori vista la sua giovane età rimasero irremovibili e non acconsentirono. A 18 anni Tiziana sostenne un provino alla Rai per il programma “Non è la Rai”, riscuotendo consensi dallo staff e da parte di Boncompagni, ma anche in questo caso i suoi genitori non se la sentirono di lasciarla da sola a Roma.
Una volta ritornata in Sicilia, Tiziana proseguì negli studi e poi partecipò a Messina alle selezioni regionali, “una voce per Sanremo”, che si svolgevano in quattro serate. Sul podio salirono cinque, sei ragazze su 200 partecipanti, Tiziana riuscì nell’impresa, così a vent’anni conquistò l’Ariston e partecipò a “una Voce per Sanremo”. Ritornata a casa, Tiziana proseguì con impegno la sua carriera artistica, si guadagnò una meritata notorietà e ricevette tante proposte per ospitate in tv.
Un autore dopo averla sentita, le propose di cantare un suo inedito, “la favola di Arianna” che la fece definitivamente conoscere al grande pubblico e si rivelò una bellissima esperienza.
Grazie ai suoi brani pubblicati sul web e in particolare su digital store, ricevette grande visibilità a livello nazionale ed internazionale. Abbiamo incontrato Tiziana per conoscerla più da vicino ed è sorta una piacevole conversazione.
Tiziana nell’arco della tua carriera hai avuto delle meritate gratificazioni, ce le puoi parlare?
Ho avuto tantissimi consensi tra i quali posso ricordare il premio “Cartagine” e il “Premio eccellenza artisti”. Un’altra grande soddisfazione è stata quando ho ricevuto il Premio Colosseo d’Oro. Nell’ambito di quell’evento ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere Gisela Lopez Montilla che oltre ad essere una bravissima cantautrice è un’artista completa a 360 gradi. Ci siamo trovate subito in sintonia ed è nata una bellissima collaborazione dal momento che mi ha fatto interpretare il suo capolavoro. Si tratta del brano musicale “Run, run, run “ che ho inciso e si trova su tutte le piattaforme. Questo pezzo musicale è stato poi proposto a Sanremo Senior e il destino ci ha consentito di superare le selezioni. Siamo riusciti ad arrivare in finale, tra i primi venticinque finalisti, scavalcando più di 900 concorrenti.
Purtroppo è successo qualcosa di imprevedibile come il decesso di tua madre e non sei riuscita a presentarti a Sanremo vero?
Il caso ha voluto che mia madre nei giorni precedenti la partenza per Sanremo si è aggravata e questa circostanza oltre al fatto che è venuta anche a mancare, mi ha impedito di poter partire. Giustamente ho informato i componenti della Direzione del Sanremo Senior che sono stati comprensivi e mi hanno garantito che dal momento che è una giusta causa, mi hanno conservato la finale per l’anno prossimo. La perdita di mia mamma ha lasciato in me un vuoto incolmabile, però io avverto in un certo senso la sua presenza, con una forza dietro, che non mi permette di lasciarmi andare. I miei genitori mi hanno cresciuta con la musica ed è grazie a loro che ho acquisito la forza per andare avanti.
Adesso c’è un nuovo singolo alle porte da mettere sotto l’albero di Natale per questo fine 2023 e che allieterà i tuoi fans. Ce ne puoi parlare?
Il nuovo pezzo musicale è Melody nasce dalla collaborazione tra l’autore di testi palermitano Fabrizio Clemente e Loris Federici (musicista e compositore) che ha curato l’arrangiamento musicale del brano. Fabrizio sono anni che mi segue e mi apprezza. Precedentemente mi aveva inviato tanti brani, in modo che io li esaminassi, il destino ha voluto che quando ho sentito questo suo ennesimo pezzo musicale, ho captato subito che era quello giusto da poter proporre. Melody tratta un tema introspettivo che riguarda l’amore verso la melodia, le note e la musica in genere. Sono sicura che piacerà e lo dedico a tutti i miei fans e a tutte le persone che hanno creduta in me.
Grazie Tiziana Raciti
Che i soldati ucraini morti in guerra siano centomila o trecentomila o cinquecentomila non lo so ed e' difficile appurarlo poiche' sinora non ci sono cifre ufficiali.
Così come non vi sono cifre ufficiali per i russi caduti al fronte (stimati fra cento e oltre duecentomila).
Per non parlare dei feriti e mutilati, e delle migliaia di vittime civili nel Donbass ucraino di etnia russa morti dal 2014 sotto il fuoco di Kiev, e delle centinaia o migliaia di vittime civili ucraine a causa del fuoco missilistico e di artiglieria russo sin dal 2022.
Se la UE e la NATO e gli USA non avessero sostenuto il regime di Kiev ma avessero cercato di mediare nel conflitto - invece di inviare armi e sanzionare - il conflitto non sarebbe mai iniziato - forse - e quasi certamente sarebbe già finito.
Oltre duecentomila giovani e uomini - fra i 18 e 50 anni di età - sono morti nella guerra fra Russia e Ucraina in poco più di due anni di guerra. Questo mi rattrista, sia per il popolo ucraino sia per quello russo.
Una cifra incredibile, se si pensa che nella guerra del Vietnam i soldati americani che caddero al fronte furono poco meno di settantamila (a fronte di oltre un milione di vittime militari e civili nel Vietnam, ma in quasi dieci anni).
Che dire?
Che i Mass media e le classi dirigenti europee - non solo quelle americane - sono corresponsabili di questa carneficina Per la manipolazione mediatica, per la omissione storica degli avvenimenti e la censura praticata sin dal 2016, per il clima di russofobia creato ad arte contro la cultura russa (mai nulla di simile di e' visto contro la cultura americana ad esempio, nella guerra del Vietnam o in quella dell'Iraq) e per la mancanza di rispetto per la diplomazia e le regole e il diritto internazionali, e il totale disprezzo e ignoranza del più autentico significato del primo comma dell'art 11 Cost. e dell'art 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Contrariamente a quanto sbandierato da giornali e televisioni, non tutti i giuristi sono concordi sul fatto che inviare armi alla Ucraina sia costituzionalmente legittimo.
Fra chi è critico vi è la costituzionalista prof.ssa Lorenza Carlassare, Professore emerito di Diritto Costituzionale a Padova.
Riguardo all'intervento militare speciale iniziato da Mosca nel febbraio 2022, esso e' stato giustificato dalla Federazione Russa invocando proprio l'art 51 della Carta delle Nazioni Unite, per la protezione di interessi vitali per la sicurezza della propria integrità territoriale e sicurezza dei propri cittadini (minacciati dal progressivo allargamento dei membri NATO nelle ultime due decadi e delle continue provocazioni delle esercitazioni militari NATO condotte a poca distanza dai confini russi), e di quelli di etnia russa residenti nel Donbass ucraino, vittime a migliaia nel corso della guerra civile con il governo ucraino, di fronte alla quasi indifferenza della comunità internazionale sin dal 2014.
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali(...)"
Art 11 Cost.
"Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale."
Art 51, Carta delle Nazioni Unite 1945
Dopo la prima giornata, sabato 25 novembre, che ha visto il passaggio dal Forum per la indipendenza italiana alla fondazione del nuovo movimento Indipendenza, con tanto di presentazione di simbolo e di statuto, oltre il discorso programmatico di Gianni Alemanno, i lavori dell’assemblea si sono conclusi ieri, domenica 26 novembre, con la elezione dei dirigenti nazionali e dei vicesegretari della nuova formazione che appare non solo molto agguerrita ma anche intenzionata a costituire una forte opposizione al sistema destra/sinistra e al governo neoliberista e iperatlantista di Giorgia Meloni.
L’elezione della Direzione Nazionale è stata però preceduta dall’attesa tavola rotonda coordinata da Francesco Borgonovo e che ha visto gli interventi di Francesco Toscano, esponente di Democrazia sovrana popolare, del sindaco di Betlemme, Hanna Hanania, di Raymond Bondin, Consulente UNESCO per l’antichità e il turismo della Palestina, di Marco Rizzo e di Gianni Alemanno. Dopo le lucide considerazioni di Francesco Toscano sui nuovi assetti geopolitici mondiali e sul declino morale di un Occidente ormai senz’anima, come già oltre un secolo fa ebbe ad annunciare un gigante del pensiero come Oswald Spengler, ha preso la parola il sindaco di Betlemme che ha denunciato non solo le atrocità commesse dall’esercito israeliano a Gaza ma ha espresso con parole forti e toccanti l’indignazione di fronte ai governi del mondo che, succubi del sionismo, hanno abbandonato il popolo palestinese ai carnefici mostrando una indifferenza ed una vigliaccheria senza pari. Così pure Raymond Bondin, mostrando un vasto repertorio fotografico, ha denunciato la distruzione a Gaza da parte degli israeliani di più della metà dei 95 siti archeologici cristiani. Davanti ad una sala attonita e commossa, che ha voluto scandire a gran voce PALESTINA LIBERA, Bondin ha denunciato come l’esercito israeliano non solo umilia da sempre i civili palestinesi costringendoli a sostare per ore nudi ai valichi di passaggio, ma con grande disprezzo e volontà di distruzione, arriva a parcheggiare i propri carri armati sugli antichi mosaici. Bondin, come già aveva fatto il sindaco di Betlemme, ha evidenziato con argomenti inoppugnabili come Israele non si limiti solo a rubare la terra ai palestinesi, ma conduca una sistematica guerra contro i cristiani per sradicarli dai territori occupati. Tanti in sala con le lagrime agli occhi quando è stato ricordato che i bambini palestinesi scrivono sul proprio corpo il loro nome per essere identificati dopo la loro morte per mano degli aguzzini della stella di David. Giunto il momento dell’intervento di Marco Rizzo, la sala lo ha accolto con una grande ovazione a premiare il coraggio del leader di Democrazia sovrana popolare che non si è lasciato condizionare dalle pressioni perché rinunciasse a parlare insieme a Gianni Alemanno. Rizzo ha sottolineato come le pressioni ricevute stiano ad attestare che il sistema ha paura nel vedere annientato il suo “giocattolo” delle contrapposizioni e dei vecchi schemi ormai desueti di cui si è servito finora per il suo tornaconto. Nel rivendicare la vera identità di una sinistra che ormai invece è rappresentata solo dai “fighetti” radical chic, Rizzo, nel fare sue le considerazioni di Toscano, ha sottolineato il ruolo nefasto della stampa che ormai fa solo gli interessi dell’alta finanza e dei suoi poteri occulti. Così pure, nel riconoscere come in Italia si stia saldando un forte collegamento tra i ceti medi e quelli popolari, cosa che potrà avere in futuro un effetto dirompente, nell’esaltare il nuovo mondo multipolare che si annuncia con il potenziamento dei Paesi del Brics, ha voluto augurare buon lavoro alla nuova formazione cui ha riconosciuto il forte potenziale nello sconvolgere i vecchi equilibri di un sistema che vede i cittadini sempre più esclusi dalle scelte politiche ed economiche dei governi liberali che si sono succeduti. La seduta è stata conclusa da Gianni Alemanno che, dopo aver ringraziato i partecipanti, ha ribadito i punti fondamentali della nuova formazione riassunti nella necessità di rilanciare il nostro Paese in una nuova politica mediterranea che porti a nuove relazioni con i paesi africani che rendano inutili i flussi migratori, una nuova politica che tenga conto dei nuovi assetti geopolitici di un mondo multipolare e più giusto, che si batta per l’autodeterminazione dei popoli e che sappia ritrovare in Italia la giusta via per la salvaguardia dell’ identità culturale fondata sull’appartenenza comunitaria, sulla dottrina sociale e sulla riscoperta dei valori spirituali e tradizionali.
Nuove e affascinanti battaglie dunque si annunciano per una formazione che se saprà bene agire, non mancherà di attrarre come una calamita tutte le energie, e sono tante, che ancora in sonno, aspettano di essere risvegliate.
Non so se Claudia sia consapevole di avere in mano un gioiello. Ha creato uno spettacolo perfetto sotto ogni aspetto. Musiche, luci, scenografia, stacchi, recitazione, idea, scrittura… tutto si fonde insieme dando vita ad un’opera di grande valore artistico.
Un’ora e mezza intensa in cui si ride e ci si commuove, trasportati in un’ atmosfera onirica e irreale, mentre quello che si racconta invece è realistico, concreto, ha i piedi ben piantati per terra. Questa fusione tra reale ed immaginario è sublime, un matrimonio perfetto frutto dell’estro creativo e fantasioso di un’ ispirata ed attenta Claudia.
Tutto è chiaramente studiato nei minimi dettagli, come la particolare disposizione delle sedie nella sala, che stasera sono posizionate per obliquo rispetto al solito, permettendo di vedere il palcoscenico che stasera è sfruttato per intero. Qui allo Spazio, infatti, ha una forma insolita ad angolo retto, solitamente non usata completamente come in questa occasione.
Claudia ha deciso di rompere gli schemi anche in questo ed inghiottire così il pubblico nella sua storia con questo singolare “abbraccio” virtuale, dimostrando peraltro una grande presenza scenica senza mai una minima incertezza ed esitazione.
Già entrando ci si trova immersi in un’atmosfera surreale, la sala è pronta per questo viaggio nel fantastico mondo di una ragazza dall’insolito nome di battesimo, Minerva, che nella mitologia è considerata la divinità vergine della guerra giusta (quella che combatterà con la vita), della saggezza (che in fondo matura), dell'ingegno, delle arti utili (il suo approccio con le vicissitudini si rivela dopo un iniziale difficoltà tutta umano e alquanto ingegnoso). Anche nella scelta di questo nome c’è dunque una rispondenza al personaggio (Omen nomen), che solo apparentemente ci appare sciocchino, infantile, ingenuo e a tratti sprovveduto perché molto timido, ma tenerissimo e dolcissimo.
Si prepara a spiccare il volo e seguire, non senza difficoltà, la sua strada che percorreremo per mano con lei.
La scenografia è vivace e colorata, ricca di vestiti appesi e disseminati ovunque, come a rappresentare un percorso esistenziale. Credo siano la manifestazione delle varie tappe che sviluppano la personalità di Minerva che comincia dalla prima infanzia fino ad arrivare alla vecchia.
La scorsa stagione questo monologo ha ricevuto notevoli consensi da parte del pubblico e ha vinto il concorso “Idee nello Spazio 2022”, scritto, diretto e interpretato da Claudia che si cala egregiamente nei panni di questa dolcissima ragazza un po’ paranoica, insicura e con qualche fisima rappresentata in maniera buffa ma efficace. Strattonata continuamente dalle scelte che la vita le pone davanti e che dovrà prendere.
E’ una storia in cui ogni donna può ritrovarsi e rispecchiarsi, condita di momenti felici e di altri più tristi, attraverso ansie, paure, errori, non detti e qualche rimorso…
Il monologo ripercorre le varie fasi della crescita di questa ragazza, che alla fine prenderà in mano le sorti della sua vita, affrontando le sue paure e trovando in sé stessa il coraggio per scegliere, forse non sempre correttamente , ma almeno ci proverà.
Passerà attraverso i vari stadi evolutivi che ogni persona ha affrontato: la vergogna infantile per l’apparecchio ai denti, il rapporto conflittuale con le amichette dispettose e quello profondo con l’amica del cuore, la palpabile armonia con i genitori, i primi maldestri approcci amorosi, la convivenza e il matrimonio, ma anche lo studio, il lavoro, la famiglia che vuole creare e la vecchiaia. Un percorso perfetto raccontato attraverso una recitazione sublime che non tralascia nulla, soprattutto l’intento di emozionare e travolgere lo spettatore.
Claudia si trasforma continuamente, modulando la voce ed adeguandola alle varie fasi della vita; contorce le dita delle mani nei momenti più drammatici o soffocando il suo urlo di dolore in una smorfia che fa più male a vedersi che a sentirsi. Ripropone quegli atteggiamenti e quelle movenze tipiche dell’adolescenza e poi della maturità in maniera eccelsa, e questo avviene sempre, in ogni passaggio o cambiamento della ragazza su cui Claudia si sofferma; cambia pelle ma porta sempre con sé le sue fisime e i suoi piccoli disturbi psicosomatici.
Si ride e ci si commuove, tanto che ho dovuto calare un velo di protezione per staccarmi da quello stato empatico che Claudia riesce a creare con il pubblico, per cercare di essere più obbiettivo, meno di pancia e concentrarmi anche sul contorno; ma questo stato è durato poco perché questa talentuosa e portentosa artista è talmente trascinante da generare un virtuale cordone ombelicale con lo spettatore da cui è impossibile staccarsi.
Lo stesso cordone ombelicale è rappresentato dai pomodori col riso, inseriti in ogni battuta per spezzare la tensione e descritti come pietanza evitata fin da bambina per tutta la vita. Ecco, quei pomodori sono la rappresentazione di quel piatto che tutti abbiamo odiato da piccoli e da cui abbiamo cercato di scappare solo per scoprire che in realtà sono un importante simbolo del cordone ombelicale che ci lega alla famiglia e ai suoi ricordi, dai quali non solo non si può sfuggire, ma che alla fine sono sempre nostro rifugio e sicurezza.
Ci si affeziona inevitabilmente al personaggio interpretato da Claudia, con cui si condividono le ansie e le difficoltà tipiche di ogni essere umano.
Il viaggio in Australia, poi, altro non è che una grande scelta di vita: affrontare l’ignoto e le sue paure portandole inevitabilmente dietro con sé come una compagnia di cui non si può fare a meno e che paradossalmente diventano una sicurezza, una presenza su cui fare paradossalmente affidamento. Tutte le insicurezze che bisogna imparare ad affrontare o con cui convivere sono rappresentate da una valigia onnipresente sul palco che la protagonista porta sempre con sé, un fardello a volte pesante come il piombo, altre leggero come una piuma, a simboleggiare vittorie e sconfitte. Perché la vita è così, come ce la presenta questa splendida e profonda artista.
Non sembra di assistere ad un monologo ma ad un dialogo, perché la Genolini riesce con la sua bravura a far sentire quella voce muta a cui si rivolge, rispondere attraverso di lei grazie alle sue incredibili espressioni, movenze e smorfie. I vestiti intorno a lei si illuminano e lei, sfiorandoli, ci avverte così di un suo cambiamento in atto, di un momento particolare della sua vita che vuole condividere con noi.
Insomma, che Claudia Genolini fosse un’artista di valore lo avevo capito quando la vidi al fianco di Elda Alvigini in “Bomba”, fantastica nei panni di una trapper, ma qui, con questo suo lavoro raggiunge l’apoteosi. Siamo davanti ad un livello artistico altissimo. È un vero peccato perdersi questo spettacolo!
“Come l’Australia”
Scritto, diretto e interpretato
da Claudia Genolini
Disegno luci Pietro Sperduti
Regista Assistente Maria Cristina Gionta
Aiuto Regia Veronica Ceci De Carli
Le relazioni pericolose di Pierre-Ambroise-Francois Choderlos de Laclos a teatro con la regia di Francesco Branchetti
“Nessuno può prevedere fin dove arriverà un desiderio contrastato.” — ( CIT. Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos)
"Le relazioni pericolose" è un romanzo epistolare di ben 175 lettere scritto da de Laclos del 1782, considerato un capolavoro della letteratura francese. Una narrazione sulle avventure libertine di due nobili francesi; la marchesa Merteuil e il visconte di Valmont.
Sabato 18 e domenica 19 novembre al Teatro di Cestello di Firenze, è stato portato in scena questo dramma molto difficile da eseguire in teatro poiché rendere lo scambio delle missive fra i due nobili scena visiva, è possibile solo se gli attori sanno ben interpretare i loro ruoli. In questo caso la rappresentazione è stata superiore alle aspettative. Un Branchetti che ha interpretato magistralmente il visconte di
Francesco Branchetti e Corinne Clery |
Valmont riuscendo a dare forza, carisma e carattere ad un personaggio difficile e controverso. Il modulare la tonalità di voce, le pause, il respiro, l'empatia attraverso la lettura è quanto di più difficile e complicato ci sia nel lavoro teatrale; Francesco Branchetti ha espresso con energia e maestria un ruolo che va oltre il dicitore riuscendo a convincere per tutto lo spettacolo lo spettatore attento e coinvolto fino alla fine. Una Corinne Clery meravigliosa che grazie al suo accento naturalmente francese, ha reso realistico ancor più il suo ruolo di marchesa Merteuil, maliziosa, induttrice, astuta, insinuante e femminile. Un'attrice di grande spessore e di immane qualità artistiche.
Altre due voci narranti sono quelle della presidentessa Madame de Tourvel e di Cecile Volanges interpretate con grande passione e trasporto da Isabella Giannone e da Claudia Tortora. Una Giannone che non solo, ha doti espressive interpretative vocali ma pur restando immobile nel suo status attoriale di scena, pare ovunque tanta è la sua forza mimica facciale. Una storia fatta di gelosie, rabbie, imposizioni, sotterfugi e tradimenti dove ogni forma d'amore non è mai solo sentimento reale ma manovra infima con una conclusione amara per chiunque.
Corinne Clery, Marzia Carocci e Francesco Branchetti |
Il teatro è una rappresentazione dei riflessi umani, la difficoltà dell'attore è riuscire a renderli reali spesso soffocando momentaneamente se stessi lasciando entrare nel proprio corpo il personaggio da interpretare. Francesco Branchetti e Corinne Clery per un'ora e mezzo, hanno lasciato parlare un visconte e una marchesa da ricordare con i loro difetti, le loro gelosie, i loro inganni e le loro interminabili lettere al veleno.
"Le relazioni pericolose"con Corinne Clery, Francesco Branchetti, traduzione e adattamento di David Conati con Isabella Giannone e Claudia Tortora e Elisa Carta con Paolo Sangiorgio. Musiche di Pino Cangialosi.
Regia di Francesco Branchetti
Quali sono le macro-dinamiche che influenzano le relazioni internazionali? E quale profilo assumono i Paesi che si muovono nel tempestoso oceano della realtà geopolitica odierna? Queste sono le domande che fanno da sfondo all’incontro organizzato da Advant NCTM e che vengono sagacemente poste dal giornalista Federico Giuliani.
Lo stesso afferma che oggettivamente è difficile seguire il corso degli eventi e farsi un’idea chiara sugli equilibri sempre in mutamento, ma ciò non significa che non esistano dei punti di partenza tramite cui sviluppare un’analisi interpretativa. Nel caso del meeting in questione, i fulcri sarebbero ambiente ed economia, giustificati dal fatto che entrambi riguardano e coinvolgono ogni singolo individuo, ergo ciascuno di noi. La chiave di lettura, necessaria a collegare i due punti, risiederebbe nella cooperazione, in particolare quella tra Unione Europea e Cina, perché parlare di economia ed ambiente conduce in maniera abbastanza logica alle problematiche incentrate sul clima e sulla sostenibilità.
Lungi dall’essere, questo, un incontro in cui trattare dell’impatto antropico sulla biosfera, l’obiettivo è invece quello di sensibilizzare alle immense opportunità offerte dalla Belt and Road Initiative cinese (lanciata dall’attuale Presidente Xi Jinping nel 2013) analizzate alla luce degli sforzi europei in tema di decarbonizzazione e transizione energetica; non a caso un tema che racchiude proprio economia (in particolare del settore energetico) ed ambiente.
Il Dragone dispone, infatti, di un potenziale esplosivo per contribuire a ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera, manifestando al tempo stesso un sincero interesse per l’Europa ed un’altrettanta sincera volontà di cooperare al fine di costruire un sistema integrato che crei benessere sostenibile proprio attraverso la “Nuova Via della Seta”.
Enrico Toti, consulente legale presso Advant NCTM, esperto e docente di diritto cinese presso l’Università Roma Tre e visiting professor presso la School of Law della Shanghai International Studies University, afferma che è la passione nei confronti della Cina a doverci spingere verso una più solida cooperazione, la quale, in realtà, sarebbe già florida, ma bisognosa di nuovi stimoli e spinte per crescere ancora, vista la complessità della realtà contemporanea.
Cooperazione e diplomazia giocano un ruolo vitale, perché solo se si riesce a intessere legami e relazioni in grado di soddisfare le esigenze di tutti si possono fronteggiare le sfide globali che minacciano le comunità che abitano il pianeta.
Siccità, inquinamento delle acque e dell’atmosfera, riscaldamento globale e perdita di biodiversità sono una realtà dovuta in parte anche all’attività dell’uomo, ed è qui che subentra la necessità di costruire un meccanismo che unisca le forze e generi sostenibilità a livello collettivo.
“Da soli non si può fare nulla, le sfide di oggi rappresentano un puzzle interconnesso che richiede uno sforzo di tutti”. Così esordisce il Presidente dell’Istituto Diplomatico Internazionale Paolo Giordani.
Secondo il relatore, alla diplomazia spetta l’arduo compito di costruire ponti atti a legare tra loro i paesi e le comunità. Come? Ad esempio attraverso il diritto internazionale. Gli accordi di Parigi del 2015, negoziati dai rappresentanti di 196 Stati, sedimentano un framework importantissimo per la lotta internazionale contro le emissioni di gas serra e la promozione di percorsi di sviluppo sostenibile che si smarchino il più possibile dall’utilizzo dei combustibili fossili. L’accordo vede anche Pechino firmataria, a dimostrazione del fatto che non si può ignorare l’impellenza di evitare un aumento delle temperature globali oltre la soglia dell’1,5° Celsius rispetto ai livelli preindustriali.
Checché se ne dica, è innegabile che la Cina si stia adoperando, come l’Unione Europea, per incrementare sia la sostenibilità della sua economia, sia quella globale. Lo dimostra la serietà con cui affronta gli SDGs (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030.
Trattasi di un programma molto ambizioso, approvato nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, avente in programma una serie di obiettivi (con scadenza il 2030) per rimodulare le vie di sviluppo affinché esse si rendano sostenibili, promuovano il benessere umano e rispettino l’ambiente. L’Agenda si compone di 17 elementi essenziali, ciascuno equivalente ad un obiettivo preciso.
Ciò su cui merita concentrarsi nel nostro caso sono, in particolare, l’obiettivo 7, volto ad assicurare a tutti un accesso all’energia che sia sicuro, affidabile e sostenibile, e l’obiettivo 13, finalizzato, invece, a promuovere azioni di ogni tipologia che siano funzionali a combattere il cambiamento climatico. Soffermarci un attimo sui suddetti ci permette di osservare le policies cinesi attuate proprio per ottemperare agli obiettivi delle Nazioni Unite. la vertiginosa velocità con cui Pechino è riuscita a crescere fino ad oggi le ha permesso non solo di rendere l’energia disponibile a tutti i suoi cittadini, ma anche di ottenere rilevantissimi risultati nel campo della transizione energetica.
Nel tentativo di giustificare tali affermazioni, e volendo arricchire l’incontro con qualche numero, Demostenes Floros, responsabile della sezione Energia presso il Centro Europa Ricerche, interviene lanciando una dovuta ed obbligatoria premessa: quando analisi statistiche vengono pubblicate in materia di emissioni di CO2, spesso si considera la sola quota immessa nell’atmosfera da parte di coloro che producono, trascurando invece quella introdotta da coloro che consumano. In poche parole, rientra nel conto finale la quantità di emissioni di gas serra che vengono registrate durante i processi di lavorazione dei produttori, ma non quelle che si potrebbero registrare dal lato dei consumatori.
Un tale bias metodologico comporta una distorsione anche della percezione dei vari Paesi, specialmente quando a questo indicatore si affianca il peso relativo in termini, appunto, di produzione e manifattura. Pechino, da sola, detiene il 30% della manifattura a livello globale, spiega Floros, mentre la locomotiva d’Europa (aka Berlino) appena il 4%. Sarebbe logico, per quanto affrettato, accusare la Cina di essere il Paese più inquinante al mondo, ma ciò sarebbe fondato solo se non si contassero le emissioni al consumo.
Correggendo il tiro, non a caso, emerge che la Cina non copre il primo posto per la quantità di CO2 immessa nell’atmosfera; anzi, Stati Uniti e Unione Europea presenterebbero numeri ben più alti.
Per tornare, invece, all’ affair “sostenibilità” occorre fare un’analisi comparativa mettendo a confronto il paniere energetico cinese (quale percentuale spetta ad ogni fonte nel produrre energia in uno Stato) per come appariva prima nel 2012, e poi nel 2022. Stando ai dati, nel 2012 la Cina dipendeva dal carbone per circa il 69%, mentre le fonti rinnovabili contavano un timidissimo 1%. Il trascorrere di un decennio, invece, rivela grosse sorprese: Pechino ha ridotto di 14 punti percentuali la dipendenza dal carbone (scesa al 55%), aumentando dell’800% la rilevanza delle fonti rinnovabili (salite all’8%).
Aprendo una piccola parentesi, sempre sulla questione, ad eccezio ne dell’anno 2021 (particolarmente influenzato dalla pandemia da Covid-19) la Cina non ha mai mutato il proprio valore di dipendenza energetica dall’estero (già molto basso per se), potendo quindi attuare la trasformazione in maniera quasi completamente autonoma.
I fatti rivelano, quindi, una non celata sensibilità sul tema della transizione energetica, contrariamente a quanto alcune testate giornalistiche vorrebbero far credere.
Pechino avrebbe, a tal proposito, un proprio approccio e una vera ideologia in materia, al punto da divenire “un argomento al centro del dibattito ai massimi livelli del Partito Comunista e della società”, come afferma il giornalista e scrittore Thomas Fazi.
Non solo con i fatti, ma anche a “parole” l’amministrazione di Xi Jinping sembrerebbe voler dare la giusta rilevanza al tema ambientale e alla transizione green: Il tristemente noto 2020 è stato anche l’anno di pubblicazione di un libro bianco intitolato “l’energia nella nuova era della Cina”, in cui si dà spazio ad innumerevoli iniziative ed investimenti finalizzati a favorire una crescita tecnologica in grado di far
progredire il potenziale sostenibile cinese.
Tralasciando gli sforzi politico-amministrativi, il dibattito pubblico sul tema rivela una peculiarità tutta cinese: Fazi, per l’appunto, spiega come la sfida venga affrontata dal Dragone con una mentalità tanto razionale quanto olistica. Facendo un paragone con l’approccio euro-occidentale, Pechino cerca di sfruttare le proprie risorse al fine di individuare soluzioni pragmatiche, le quali si integrano a loro volta con tutte le altre esigenze economiche e sociali tipiche di un paese emergente; la risposta del quadrante Atlantico Settentrionale appare, invece, per certi versi isterica, catastrofica e piena di appelli carenti di un serio approccio scientifico e sistemico. La narrativa tipica occidentale tratta la sfida del cambiamento climatico proponendo soluzioni ad un unico problema che sì, riguarda tutti i cittadini, ma che difficilmente riesce ad essere valutato includendo altre questioni imprescindibili e legate a doppio filo all’energia e all’ambiente.
La Weltanschauung cinese non ignora, dunque, che il clima e l’ambiente siano questioni estremamente importanti: La celebre e pessima qualità dell’aria è un argomento sensibile agli occhi dell’opinione pubblica, e ciò ha portato ad una grande consapevolezza, da intrecciare con la già olistica e collettivista mentalità del Dragone, la quale vuole ogni aspetto della realtà legato l’uno all’altro indissolubilmente.
In conclusione, se si scava in profondità, si osserva come Cina e Unione Europea siano in simbiosi e perfettamente allineati quanto ad obiettivi green, e su questo punto torna ancora una volta Paolo Giordani, ricordandoci che è proprio grazie alla diplomazia ed al dialogo che si possono “costruire ponti tra obiettivi e settori affinché le soluzioni siano sostenibili”.
Ecco l’opportunità per sfruttare la Belt and Road Initiative (in quanto progetto destinato ad interconnettere Asia, Europa e Africa) e intavolare un negoziato che porti il risultato finale a raggiungere l’obiettivo connettivo senza perdere di vista il criterio della sostenibilità.
La speranza è quella di riuscire ad inserire la BRI nel framework degli SDGs, garantendo la possibilità a tutti gli stakeholders di prendere parte attiva alla sua ultimazione; potendo dunque plasmarla riducendo le emissioni, azzerando l’impatto ambientale, e, infine, apportando benefici a tutte le comunità coinvolte.
Per gentile concesione di Vision & Global Trends. (International Institute for Global Analyses)