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Dopo la prima giornata, sabato 25 novembre, che ha visto il passaggio dal Forum per la indipendenza italiana alla fondazione del nuovo movimento Indipendenza, con tanto di presentazione di simbolo e di statuto, oltre il discorso programmatico di Gianni Alemanno, i lavori dell’assemblea si sono conclusi ieri, domenica 26 novembre, con la elezione dei dirigenti nazionali e dei vicesegretari della nuova formazione che appare non solo molto agguerrita ma anche intenzionata a costituire una forte opposizione al sistema destra/sinistra e al governo neoliberista e iperatlantista di Giorgia Meloni.
L’elezione della Direzione Nazionale è stata però preceduta dall’attesa tavola rotonda coordinata da Francesco Borgonovo e che ha visto gli interventi di Francesco Toscano, esponente di Democrazia sovrana popolare, del sindaco di Betlemme, Hanna Hanania, di Raymond Bondin, Consulente UNESCO per l’antichità e il turismo della Palestina, di Marco Rizzo e di Gianni Alemanno. Dopo le lucide considerazioni di Francesco Toscano sui nuovi assetti geopolitici mondiali e sul declino morale di un Occidente ormai senz’anima, come già oltre un secolo fa ebbe ad annunciare un gigante del pensiero come Oswald Spengler, ha preso la parola il sindaco di Betlemme che ha denunciato non solo le atrocità commesse dall’esercito israeliano a Gaza ma ha espresso con parole forti e toccanti l’indignazione di fronte ai governi del mondo che, succubi del sionismo, hanno abbandonato il popolo palestinese ai carnefici mostrando una indifferenza ed una vigliaccheria senza pari. Così pure Raymond Bondin, mostrando un vasto repertorio fotografico, ha denunciato la distruzione a Gaza da parte degli israeliani di più della metà dei 95 siti archeologici cristiani. Davanti ad una sala attonita e commossa, che ha voluto scandire a gran voce PALESTINA LIBERA, Bondin ha denunciato come l’esercito israeliano non solo umilia da sempre i civili palestinesi costringendoli a sostare per ore nudi ai valichi di passaggio, ma con grande disprezzo e volontà di distruzione, arriva a parcheggiare i propri carri armati sugli antichi mosaici. Bondin, come già aveva fatto il sindaco di Betlemme, ha evidenziato con argomenti inoppugnabili come Israele non si limiti solo a rubare la terra ai palestinesi, ma conduca una sistematica guerra contro i cristiani per sradicarli dai territori occupati. Tanti in sala con le lagrime agli occhi quando è stato ricordato che i bambini palestinesi scrivono sul proprio corpo il loro nome per essere identificati dopo la loro morte per mano degli aguzzini della stella di David. Giunto il momento dell’intervento di Marco Rizzo, la sala lo ha accolto con una grande ovazione a premiare il coraggio del leader di Democrazia sovrana popolare che non si è lasciato condizionare dalle pressioni perché rinunciasse a parlare insieme a Gianni Alemanno. Rizzo ha sottolineato come le pressioni ricevute stiano ad attestare che il sistema ha paura nel vedere annientato il suo “giocattolo” delle contrapposizioni e dei vecchi schemi ormai desueti di cui si è servito finora per il suo tornaconto. Nel rivendicare la vera identità di una sinistra che ormai invece è rappresentata solo dai “fighetti” radical chic, Rizzo, nel fare sue le considerazioni di Toscano, ha sottolineato il ruolo nefasto della stampa che ormai fa solo gli interessi dell’alta finanza e dei suoi poteri occulti. Così pure, nel riconoscere come in Italia si stia saldando un forte collegamento tra i ceti medi e quelli popolari, cosa che potrà avere in futuro un effetto dirompente, nell’esaltare il nuovo mondo multipolare che si annuncia con il potenziamento dei Paesi del Brics, ha voluto augurare buon lavoro alla nuova formazione cui ha riconosciuto il forte potenziale nello sconvolgere i vecchi equilibri di un sistema che vede i cittadini sempre più esclusi dalle scelte politiche ed economiche dei governi liberali che si sono succeduti. La seduta è stata conclusa da Gianni Alemanno che, dopo aver ringraziato i partecipanti, ha ribadito i punti fondamentali della nuova formazione riassunti nella necessità di rilanciare il nostro Paese in una nuova politica mediterranea che porti a nuove relazioni con i paesi africani che rendano inutili i flussi migratori, una nuova politica che tenga conto dei nuovi assetti geopolitici di un mondo multipolare e più giusto, che si batta per l’autodeterminazione dei popoli e che sappia ritrovare in Italia la giusta via per la salvaguardia dell’ identità culturale fondata sull’appartenenza comunitaria, sulla dottrina sociale e sulla riscoperta dei valori spirituali e tradizionali.
Nuove e affascinanti battaglie dunque si annunciano per una formazione che se saprà bene agire, non mancherà di attrarre come una calamita tutte le energie, e sono tante, che ancora in sonno, aspettano di essere risvegliate.
Non so se Claudia sia consapevole di avere in mano un gioiello. Ha creato uno spettacolo perfetto sotto ogni aspetto. Musiche, luci, scenografia, stacchi, recitazione, idea, scrittura… tutto si fonde insieme dando vita ad un’opera di grande valore artistico.
Un’ora e mezza intensa in cui si ride e ci si commuove, trasportati in un’ atmosfera onirica e irreale, mentre quello che si racconta invece è realistico, concreto, ha i piedi ben piantati per terra. Questa fusione tra reale ed immaginario è sublime, un matrimonio perfetto frutto dell’estro creativo e fantasioso di un’ ispirata ed attenta Claudia.
Tutto è chiaramente studiato nei minimi dettagli, come la particolare disposizione delle sedie nella sala, che stasera sono posizionate per obliquo rispetto al solito, permettendo di vedere il palcoscenico che stasera è sfruttato per intero. Qui allo Spazio, infatti, ha una forma insolita ad angolo retto, solitamente non usata completamente come in questa occasione.
Claudia ha deciso di rompere gli schemi anche in questo ed inghiottire così il pubblico nella sua storia con questo singolare “abbraccio” virtuale, dimostrando peraltro una grande presenza scenica senza mai una minima incertezza ed esitazione.
Già entrando ci si trova immersi in un’atmosfera surreale, la sala è pronta per questo viaggio nel fantastico mondo di una ragazza dall’insolito nome di battesimo, Minerva, che nella mitologia è considerata la divinità vergine della guerra giusta (quella che combatterà con la vita), della saggezza (che in fondo matura), dell'ingegno, delle arti utili (il suo approccio con le vicissitudini si rivela dopo un iniziale difficoltà tutta umano e alquanto ingegnoso). Anche nella scelta di questo nome c’è dunque una rispondenza al personaggio (Omen nomen), che solo apparentemente ci appare sciocchino, infantile, ingenuo e a tratti sprovveduto perché molto timido, ma tenerissimo e dolcissimo.
Si prepara a spiccare il volo e seguire, non senza difficoltà, la sua strada che percorreremo per mano con lei.
La scenografia è vivace e colorata, ricca di vestiti appesi e disseminati ovunque, come a rappresentare un percorso esistenziale. Credo siano la manifestazione delle varie tappe che sviluppano la personalità di Minerva che comincia dalla prima infanzia fino ad arrivare alla vecchia.
La scorsa stagione questo monologo ha ricevuto notevoli consensi da parte del pubblico e ha vinto il concorso “Idee nello Spazio 2022”, scritto, diretto e interpretato da Claudia che si cala egregiamente nei panni di questa dolcissima ragazza un po’ paranoica, insicura e con qualche fisima rappresentata in maniera buffa ma efficace. Strattonata continuamente dalle scelte che la vita le pone davanti e che dovrà prendere.
E’ una storia in cui ogni donna può ritrovarsi e rispecchiarsi, condita di momenti felici e di altri più tristi, attraverso ansie, paure, errori, non detti e qualche rimorso…
Il monologo ripercorre le varie fasi della crescita di questa ragazza, che alla fine prenderà in mano le sorti della sua vita, affrontando le sue paure e trovando in sé stessa il coraggio per scegliere, forse non sempre correttamente , ma almeno ci proverà.
Passerà attraverso i vari stadi evolutivi che ogni persona ha affrontato: la vergogna infantile per l’apparecchio ai denti, il rapporto conflittuale con le amichette dispettose e quello profondo con l’amica del cuore, la palpabile armonia con i genitori, i primi maldestri approcci amorosi, la convivenza e il matrimonio, ma anche lo studio, il lavoro, la famiglia che vuole creare e la vecchiaia. Un percorso perfetto raccontato attraverso una recitazione sublime che non tralascia nulla, soprattutto l’intento di emozionare e travolgere lo spettatore.
Claudia si trasforma continuamente, modulando la voce ed adeguandola alle varie fasi della vita; contorce le dita delle mani nei momenti più drammatici o soffocando il suo urlo di dolore in una smorfia che fa più male a vedersi che a sentirsi. Ripropone quegli atteggiamenti e quelle movenze tipiche dell’adolescenza e poi della maturità in maniera eccelsa, e questo avviene sempre, in ogni passaggio o cambiamento della ragazza su cui Claudia si sofferma; cambia pelle ma porta sempre con sé le sue fisime e i suoi piccoli disturbi psicosomatici.
Si ride e ci si commuove, tanto che ho dovuto calare un velo di protezione per staccarmi da quello stato empatico che Claudia riesce a creare con il pubblico, per cercare di essere più obbiettivo, meno di pancia e concentrarmi anche sul contorno; ma questo stato è durato poco perché questa talentuosa e portentosa artista è talmente trascinante da generare un virtuale cordone ombelicale con lo spettatore da cui è impossibile staccarsi.
Lo stesso cordone ombelicale è rappresentato dai pomodori col riso, inseriti in ogni battuta per spezzare la tensione e descritti come pietanza evitata fin da bambina per tutta la vita. Ecco, quei pomodori sono la rappresentazione di quel piatto che tutti abbiamo odiato da piccoli e da cui abbiamo cercato di scappare solo per scoprire che in realtà sono un importante simbolo del cordone ombelicale che ci lega alla famiglia e ai suoi ricordi, dai quali non solo non si può sfuggire, ma che alla fine sono sempre nostro rifugio e sicurezza.
Ci si affeziona inevitabilmente al personaggio interpretato da Claudia, con cui si condividono le ansie e le difficoltà tipiche di ogni essere umano.
Il viaggio in Australia, poi, altro non è che una grande scelta di vita: affrontare l’ignoto e le sue paure portandole inevitabilmente dietro con sé come una compagnia di cui non si può fare a meno e che paradossalmente diventano una sicurezza, una presenza su cui fare paradossalmente affidamento. Tutte le insicurezze che bisogna imparare ad affrontare o con cui convivere sono rappresentate da una valigia onnipresente sul palco che la protagonista porta sempre con sé, un fardello a volte pesante come il piombo, altre leggero come una piuma, a simboleggiare vittorie e sconfitte. Perché la vita è così, come ce la presenta questa splendida e profonda artista.
Non sembra di assistere ad un monologo ma ad un dialogo, perché la Genolini riesce con la sua bravura a far sentire quella voce muta a cui si rivolge, rispondere attraverso di lei grazie alle sue incredibili espressioni, movenze e smorfie. I vestiti intorno a lei si illuminano e lei, sfiorandoli, ci avverte così di un suo cambiamento in atto, di un momento particolare della sua vita che vuole condividere con noi.
Insomma, che Claudia Genolini fosse un’artista di valore lo avevo capito quando la vidi al fianco di Elda Alvigini in “Bomba”, fantastica nei panni di una trapper, ma qui, con questo suo lavoro raggiunge l’apoteosi. Siamo davanti ad un livello artistico altissimo. È un vero peccato perdersi questo spettacolo!
“Come l’Australia”
Scritto, diretto e interpretato
da Claudia Genolini
Disegno luci Pietro Sperduti
Regista Assistente Maria Cristina Gionta
Aiuto Regia Veronica Ceci De Carli
Le relazioni pericolose di Pierre-Ambroise-Francois Choderlos de Laclos a teatro con la regia di Francesco Branchetti
“Nessuno può prevedere fin dove arriverà un desiderio contrastato.” — ( CIT. Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos)
"Le relazioni pericolose" è un romanzo epistolare di ben 175 lettere scritto da de Laclos del 1782, considerato un capolavoro della letteratura francese. Una narrazione sulle avventure libertine di due nobili francesi; la marchesa Merteuil e il visconte di Valmont.
Sabato 18 e domenica 19 novembre al Teatro di Cestello di Firenze, è stato portato in scena questo dramma molto difficile da eseguire in teatro poiché rendere lo scambio delle missive fra i due nobili scena visiva, è possibile solo se gli attori sanno ben interpretare i loro ruoli. In questo caso la rappresentazione è stata superiore alle aspettative. Un Branchetti che ha interpretato magistralmente il visconte di
Francesco Branchetti e Corinne Clery |
Valmont riuscendo a dare forza, carisma e carattere ad un personaggio difficile e controverso. Il modulare la tonalità di voce, le pause, il respiro, l'empatia attraverso la lettura è quanto di più difficile e complicato ci sia nel lavoro teatrale; Francesco Branchetti ha espresso con energia e maestria un ruolo che va oltre il dicitore riuscendo a convincere per tutto lo spettacolo lo spettatore attento e coinvolto fino alla fine. Una Corinne Clery meravigliosa che grazie al suo accento naturalmente francese, ha reso realistico ancor più il suo ruolo di marchesa Merteuil, maliziosa, induttrice, astuta, insinuante e femminile. Un'attrice di grande spessore e di immane qualità artistiche.
Altre due voci narranti sono quelle della presidentessa Madame de Tourvel e di Cecile Volanges interpretate con grande passione e trasporto da Isabella Giannone e da Claudia Tortora. Una Giannone che non solo, ha doti espressive interpretative vocali ma pur restando immobile nel suo status attoriale di scena, pare ovunque tanta è la sua forza mimica facciale. Una storia fatta di gelosie, rabbie, imposizioni, sotterfugi e tradimenti dove ogni forma d'amore non è mai solo sentimento reale ma manovra infima con una conclusione amara per chiunque.
Corinne Clery, Marzia Carocci e Francesco Branchetti |
Il teatro è una rappresentazione dei riflessi umani, la difficoltà dell'attore è riuscire a renderli reali spesso soffocando momentaneamente se stessi lasciando entrare nel proprio corpo il personaggio da interpretare. Francesco Branchetti e Corinne Clery per un'ora e mezzo, hanno lasciato parlare un visconte e una marchesa da ricordare con i loro difetti, le loro gelosie, i loro inganni e le loro interminabili lettere al veleno.
"Le relazioni pericolose"con Corinne Clery, Francesco Branchetti, traduzione e adattamento di David Conati con Isabella Giannone e Claudia Tortora e Elisa Carta con Paolo Sangiorgio. Musiche di Pino Cangialosi.
Regia di Francesco Branchetti
Quali sono le macro-dinamiche che influenzano le relazioni internazionali? E quale profilo assumono i Paesi che si muovono nel tempestoso oceano della realtà geopolitica odierna? Queste sono le domande che fanno da sfondo all’incontro organizzato da Advant NCTM e che vengono sagacemente poste dal giornalista Federico Giuliani.
Lo stesso afferma che oggettivamente è difficile seguire il corso degli eventi e farsi un’idea chiara sugli equilibri sempre in mutamento, ma ciò non significa che non esistano dei punti di partenza tramite cui sviluppare un’analisi interpretativa. Nel caso del meeting in questione, i fulcri sarebbero ambiente ed economia, giustificati dal fatto che entrambi riguardano e coinvolgono ogni singolo individuo, ergo ciascuno di noi. La chiave di lettura, necessaria a collegare i due punti, risiederebbe nella cooperazione, in particolare quella tra Unione Europea e Cina, perché parlare di economia ed ambiente conduce in maniera abbastanza logica alle problematiche incentrate sul clima e sulla sostenibilità.
Lungi dall’essere, questo, un incontro in cui trattare dell’impatto antropico sulla biosfera, l’obiettivo è invece quello di sensibilizzare alle immense opportunità offerte dalla Belt and Road Initiative cinese (lanciata dall’attuale Presidente Xi Jinping nel 2013) analizzate alla luce degli sforzi europei in tema di decarbonizzazione e transizione energetica; non a caso un tema che racchiude proprio economia (in particolare del settore energetico) ed ambiente.
Il Dragone dispone, infatti, di un potenziale esplosivo per contribuire a ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera, manifestando al tempo stesso un sincero interesse per l’Europa ed un’altrettanta sincera volontà di cooperare al fine di costruire un sistema integrato che crei benessere sostenibile proprio attraverso la “Nuova Via della Seta”.
Enrico Toti, consulente legale presso Advant NCTM, esperto e docente di diritto cinese presso l’Università Roma Tre e visiting professor presso la School of Law della Shanghai International Studies University, afferma che è la passione nei confronti della Cina a doverci spingere verso una più solida cooperazione, la quale, in realtà, sarebbe già florida, ma bisognosa di nuovi stimoli e spinte per crescere ancora, vista la complessità della realtà contemporanea.
Cooperazione e diplomazia giocano un ruolo vitale, perché solo se si riesce a intessere legami e relazioni in grado di soddisfare le esigenze di tutti si possono fronteggiare le sfide globali che minacciano le comunità che abitano il pianeta.
Siccità, inquinamento delle acque e dell’atmosfera, riscaldamento globale e perdita di biodiversità sono una realtà dovuta in parte anche all’attività dell’uomo, ed è qui che subentra la necessità di costruire un meccanismo che unisca le forze e generi sostenibilità a livello collettivo.
“Da soli non si può fare nulla, le sfide di oggi rappresentano un puzzle interconnesso che richiede uno sforzo di tutti”. Così esordisce il Presidente dell’Istituto Diplomatico Internazionale Paolo Giordani.
Secondo il relatore, alla diplomazia spetta l’arduo compito di costruire ponti atti a legare tra loro i paesi e le comunità. Come? Ad esempio attraverso il diritto internazionale. Gli accordi di Parigi del 2015, negoziati dai rappresentanti di 196 Stati, sedimentano un framework importantissimo per la lotta internazionale contro le emissioni di gas serra e la promozione di percorsi di sviluppo sostenibile che si smarchino il più possibile dall’utilizzo dei combustibili fossili. L’accordo vede anche Pechino firmataria, a dimostrazione del fatto che non si può ignorare l’impellenza di evitare un aumento delle temperature globali oltre la soglia dell’1,5° Celsius rispetto ai livelli preindustriali.
Checché se ne dica, è innegabile che la Cina si stia adoperando, come l’Unione Europea, per incrementare sia la sostenibilità della sua economia, sia quella globale. Lo dimostra la serietà con cui affronta gli SDGs (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030.
Trattasi di un programma molto ambizioso, approvato nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, avente in programma una serie di obiettivi (con scadenza il 2030) per rimodulare le vie di sviluppo affinché esse si rendano sostenibili, promuovano il benessere umano e rispettino l’ambiente. L’Agenda si compone di 17 elementi essenziali, ciascuno equivalente ad un obiettivo preciso.
Ciò su cui merita concentrarsi nel nostro caso sono, in particolare, l’obiettivo 7, volto ad assicurare a tutti un accesso all’energia che sia sicuro, affidabile e sostenibile, e l’obiettivo 13, finalizzato, invece, a promuovere azioni di ogni tipologia che siano funzionali a combattere il cambiamento climatico. Soffermarci un attimo sui suddetti ci permette di osservare le policies cinesi attuate proprio per ottemperare agli obiettivi delle Nazioni Unite. la vertiginosa velocità con cui Pechino è riuscita a crescere fino ad oggi le ha permesso non solo di rendere l’energia disponibile a tutti i suoi cittadini, ma anche di ottenere rilevantissimi risultati nel campo della transizione energetica.
Nel tentativo di giustificare tali affermazioni, e volendo arricchire l’incontro con qualche numero, Demostenes Floros, responsabile della sezione Energia presso il Centro Europa Ricerche, interviene lanciando una dovuta ed obbligatoria premessa: quando analisi statistiche vengono pubblicate in materia di emissioni di CO2, spesso si considera la sola quota immessa nell’atmosfera da parte di coloro che producono, trascurando invece quella introdotta da coloro che consumano. In poche parole, rientra nel conto finale la quantità di emissioni di gas serra che vengono registrate durante i processi di lavorazione dei produttori, ma non quelle che si potrebbero registrare dal lato dei consumatori.
Un tale bias metodologico comporta una distorsione anche della percezione dei vari Paesi, specialmente quando a questo indicatore si affianca il peso relativo in termini, appunto, di produzione e manifattura. Pechino, da sola, detiene il 30% della manifattura a livello globale, spiega Floros, mentre la locomotiva d’Europa (aka Berlino) appena il 4%. Sarebbe logico, per quanto affrettato, accusare la Cina di essere il Paese più inquinante al mondo, ma ciò sarebbe fondato solo se non si contassero le emissioni al consumo.
Correggendo il tiro, non a caso, emerge che la Cina non copre il primo posto per la quantità di CO2 immessa nell’atmosfera; anzi, Stati Uniti e Unione Europea presenterebbero numeri ben più alti.
Per tornare, invece, all’ affair “sostenibilità” occorre fare un’analisi comparativa mettendo a confronto il paniere energetico cinese (quale percentuale spetta ad ogni fonte nel produrre energia in uno Stato) per come appariva prima nel 2012, e poi nel 2022. Stando ai dati, nel 2012 la Cina dipendeva dal carbone per circa il 69%, mentre le fonti rinnovabili contavano un timidissimo 1%. Il trascorrere di un decennio, invece, rivela grosse sorprese: Pechino ha ridotto di 14 punti percentuali la dipendenza dal carbone (scesa al 55%), aumentando dell’800% la rilevanza delle fonti rinnovabili (salite all’8%).
Aprendo una piccola parentesi, sempre sulla questione, ad eccezio ne dell’anno 2021 (particolarmente influenzato dalla pandemia da Covid-19) la Cina non ha mai mutato il proprio valore di dipendenza energetica dall’estero (già molto basso per se), potendo quindi attuare la trasformazione in maniera quasi completamente autonoma.
I fatti rivelano, quindi, una non celata sensibilità sul tema della transizione energetica, contrariamente a quanto alcune testate giornalistiche vorrebbero far credere.
Pechino avrebbe, a tal proposito, un proprio approccio e una vera ideologia in materia, al punto da divenire “un argomento al centro del dibattito ai massimi livelli del Partito Comunista e della società”, come afferma il giornalista e scrittore Thomas Fazi.
Non solo con i fatti, ma anche a “parole” l’amministrazione di Xi Jinping sembrerebbe voler dare la giusta rilevanza al tema ambientale e alla transizione green: Il tristemente noto 2020 è stato anche l’anno di pubblicazione di un libro bianco intitolato “l’energia nella nuova era della Cina”, in cui si dà spazio ad innumerevoli iniziative ed investimenti finalizzati a favorire una crescita tecnologica in grado di far
progredire il potenziale sostenibile cinese.
Tralasciando gli sforzi politico-amministrativi, il dibattito pubblico sul tema rivela una peculiarità tutta cinese: Fazi, per l’appunto, spiega come la sfida venga affrontata dal Dragone con una mentalità tanto razionale quanto olistica. Facendo un paragone con l’approccio euro-occidentale, Pechino cerca di sfruttare le proprie risorse al fine di individuare soluzioni pragmatiche, le quali si integrano a loro volta con tutte le altre esigenze economiche e sociali tipiche di un paese emergente; la risposta del quadrante Atlantico Settentrionale appare, invece, per certi versi isterica, catastrofica e piena di appelli carenti di un serio approccio scientifico e sistemico. La narrativa tipica occidentale tratta la sfida del cambiamento climatico proponendo soluzioni ad un unico problema che sì, riguarda tutti i cittadini, ma che difficilmente riesce ad essere valutato includendo altre questioni imprescindibili e legate a doppio filo all’energia e all’ambiente.
La Weltanschauung cinese non ignora, dunque, che il clima e l’ambiente siano questioni estremamente importanti: La celebre e pessima qualità dell’aria è un argomento sensibile agli occhi dell’opinione pubblica, e ciò ha portato ad una grande consapevolezza, da intrecciare con la già olistica e collettivista mentalità del Dragone, la quale vuole ogni aspetto della realtà legato l’uno all’altro indissolubilmente.
In conclusione, se si scava in profondità, si osserva come Cina e Unione Europea siano in simbiosi e perfettamente allineati quanto ad obiettivi green, e su questo punto torna ancora una volta Paolo Giordani, ricordandoci che è proprio grazie alla diplomazia ed al dialogo che si possono “costruire ponti tra obiettivi e settori affinché le soluzioni siano sostenibili”.
Ecco l’opportunità per sfruttare la Belt and Road Initiative (in quanto progetto destinato ad interconnettere Asia, Europa e Africa) e intavolare un negoziato che porti il risultato finale a raggiungere l’obiettivo connettivo senza perdere di vista il criterio della sostenibilità.
La speranza è quella di riuscire ad inserire la BRI nel framework degli SDGs, garantendo la possibilità a tutti gli stakeholders di prendere parte attiva alla sua ultimazione; potendo dunque plasmarla riducendo le emissioni, azzerando l’impatto ambientale, e, infine, apportando benefici a tutte le comunità coinvolte.
Per gentile concesione di Vision & Global Trends. (International Institute for Global Analyses)
Il Bagna Cauda Day è l'evento più grande al mondo dedicato alla bagna cauda, che si terrà in oltre 150 locali in Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria, nonché in diverse parti del mondo come Cina, Giappone e New York. Questo evento, promosso per l'undicesimo anno dall'Associazione culturale Astigiani, si svolgerà in due fine settimane a novembre e dicembre. Una novità di quest'anno è l'adesione di Slow Food e l'Alleanza dei Cuochi che utilizzano prodotti locali per preparare questo piatto tradizionale. Inoltre, l'evento promuove la pace attraverso il dialogo e l'incontro tra diverse culture a tavola.
«La pace è dialogo, il dialogo avviene seduti intorno a un tavolo – ha detto Marco Prastaro, vescovo di Asti - La bagna cauda mette insieme ingredienti che insieme non stanno: la pace si fa anche nella possibilità di ciò che appare inconciliabile invece diventa possibile. L'incontrarsi a tavola genera qualcosa di positivo dove la pace è possibile».
«Abbiamo coinvolto un gruppo di giovani che serviranno ai tavoli e caratterizzeranno la serata a tema pace in un clima di convivialità» anticipa Beppe Amico, presidente Caritas Asti.
BAGNA BIKE
Torna anche il Bagna Bike, un’uscita in bicicletta per godersi il panorama del foliage autunnale, organizzato da EbikeOne, negozio di vendita, assistenza e noleggio di bici da strada ed e-bike aperto a Quarto Inferiore da Corrado Mancini.
Nelle due domeniche, 26 novembre e 3 dicembre, prima di sedersi a tavola a rinnovare il rito della Bagna Cauda, gli amanti delle due ruote potranno raccogliere l’invito a pedalare sulle colline del Ruché. Ebikeone mette a disposizione le sue ebike a noleggio.
Il costo del tour: 15 euro; noleggio ebike: 45 euro; menu bagna cauda: 28 euro.
Info e prenotazioni: 335 7573 794, This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
ATTENTI AL SEMAFORO
Il Bagna Cauda Day mantiene il prezzo del piatto a 28 euro in tutti i locali e offre diverse versioni della Bagna Cauda contrassegnate da un semaforo: "Come dio comanda" (rosso), "eretica" (giallo) o "atea senz’aglio" (verde). È disponibile anche il "Finale in gloria con tartufo," mentre il vino è venduto a 12 euro a bottiglia. L'evento è sostenuto da quattro importanti cantine vinicole astigiane e contribuisce a iniziative di solidarietà sociale e tutela ambientale, come la creazione del "Bosco degli Astigiani."
Il Bagna Cauda Day ha una mascotte chiamata "Acciù" in stoffa e promuove la ricerca nelle scuole sul tema dei cambiamenti nell'alimentazione tra le generazioni. Inoltre, viene assegnato il premio "Testa d’aj" a persone che hanno seguito percorsi controcorrente nella loro vita.
BAGNA CAUDA REEL, IL CONTEST INSTAGRAM CON CONSORZIO DELL’ASTI E ICCOM
Durante il Bagna Cauda Day, si svolge un contest su Instagram chiamato "Bagna Cauda Reel," in collaborazione con il Consorzio dell’Asti Docg e ICCOM. Invece di foto, si chiedono brevi video (reel) di massimo un minuto, realizzati con smartphone, che esprimano cosa rappresenta la bagna cauda per i partecipanti. Sono invitati a documentare i momenti prima, durante e dopo la bagna cauda con creatività e ironia. Saranno premiati i 12 reels più divertenti con un magnum di Asti Spumante, e ICCOM offrirà un anno di servizio Internet come premio per il reel con il maggior numero di visualizzazioni. I premi saranno inviati ai vincitori entro Natale.
I video saranno valutati da una giuria di esperti dell’Associazione Astigiani e del Consorzio dell’Asti.
BAGNA PAX
Il "Bagna Pax" è un evento speciale organizzato dalla Caritas di Asti in collaborazione con l'Associazione Astigiani per promuovere i valori della pace attraverso la condivisione di una cena basata sulla bagna cauda.
Questo evento si svolge in due serate, il 1° e il 2 dicembre, presso il cantinone del Foyer delle Famiglie di via Milliavacca ad Asti. Durante queste serate, la bagna cauda, chiamata "cibo della pace," è offerta in due versioni: la tradizionale "Come Dio comanda" e la senza aglio "atea", accompagnata da verdure e cardi: Un appuntamento assai speciale che prevede l’incontro in cucina tra una cuoca palestinese e una ebrea che prepareranno insieme la bagna cauda.
"METTETE CARDI NEI VOSTRI CANNONI".
Questo è lo slogan dell'iniziativa della Caritas e dell'Associazione Astigiani che include l'omaggio di bavaglioloni e verdure. Inoltre, l'organizzazione professionale agricola Cia di Asti contribuisce fornendo cardi e altre verdure per il menu.
L’evento mira a promuovere la pace attraverso la condivisione di un pasto e a sostenere azioni concrete di solidarietà sociale.
La ricetta della Bagna cauda
Ecco come si prepara la bagna cauda, secondo la ricetta tradizionale. La Delegazione di Asti dell’Accademia Italiana della Cucina, in data 7 febbraio 2005, ha registrato questa ricetta come quella “da ritenersi la più affidabile e tramandabile”. Depositata a Costigliole d’Asti con registrazione sottoscritta dal notaio Marzia Krieg, è stata scelta dalla commissione di studio che si è più volte riunita per assaggi e confronti.
Ingredienti per 12 persone: 12 teste di aglio, 6 bicchieri da vino di olio d’oliva extravergine e, se possibile, un bicchierino di olio di noci, 6 etti di acciughe rosse di Spagna.
#bagnacaudaday
#bagnacaudaday2023
#siamotuttinellabagna
Facebook e Instagram: @bagnacaudaday
Per informazioni e prenotazioni:
“Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto!” (Eduardo De Filippo)
Marco Predieri, classe '77 attore, drammaturgo, giornalista, produttore, esperienza in radio e in politica.
Formatosi giovanissimo all’Accademia dei Piccoli con il maestro Dino Paretti
Oltre a lavorare in teatro dal 2007 partecipa alla registrazione di fiction radiofoniche e docu-fiction per Radio Tre Rai e Rai International . Ricopre anche incarichi come dirigente provinciale Acli, Consigliere d'Amministrazione Firenze dei Teatri, Direttore Artistico associazione culturale Altrove e Direttore artistico del Premio Stelle delle Spettacolo.
D-Buongiorno Marco, la tua attività di attore è ormai consolidata da tempo. Il Teatro è una tua grande passione fin dagli esordi.
Vuoi parlarci di questi?
R: Rispondere a questa domanda è semplice in apparenza. Potrei dire che da oltre 25 anni ormai calco il palcoscenico, con alterne vicende all'inizio, come tutti, e come tutti i teatranti sempre in cerca di nuove occasioni. Non so come sia nata in me questa passione, nel senso che, da che ho memoria di me stesso, c'è sempre stata. Io la sento come una vocazione, che poi è quella di raccontare, attraverso le mie possibilità; corpo, voce, sensibilità, la nostra storia umana, il nostro essere animali sociali nel bene e nel male, il nostro scorrere nel tempo. Questo fa sostanzialmente il teatro e infatti è qui che la risposta si complicherebbe. Ma per restare su un binario lineare e più personale posso raccontarvi di quando da bambino facevo la messa in salotto per mia nonna, che non usciva più. Lei pensava forse tipo di vocazione più "canonica", ma io sapevo già che stavo facendo teatro, la mia prima recita. Può apparire blasfemo, anche se è normale che un bambino non distingua, ma a guardare bene non lo è neppure da adulti. Il teatro rappresenta la sacralità della vita; per secoli è stato inteso proprio come un atto religioso collettivo, e anche in epoca cristiana le sacre rappresentazioni, per esempio, hanno svolto un ruolo apicale nella formazione popolare. Oggi mi considero in viaggio, nel senso che ogni nuovo spettacolo è una nuova prima volta, un nuovo tassello nel mio studiare da attore e in questa scuola spero di essere sempre un ripetente.
D Hai lavorato con tanti attori e con numerosi registi. Nonostante la tua giovane età, hai avuto moltissime esperienze teatrali e non solo. Cosa ti ha entusiasmato di più e perché?
R: Grazie per la giovane età ... anche se tanto giovane ormai non sono più. Beh come detto mi entusiasma la possibilità di imparare sempre qualcosa di più, di giocare con me stesso e i miei strumenti, sperimentarli in nuove esperienze, siano nuovi ruoli o nuovi colleghi con i quali condividere la scena o da dirigere da regista, o dai quali farmi dirigere. Una delle cose meravigliose del teatro e dello spettacolo dal vivo è che non esiste una routine che ti invecchia nello svolgere il mestiere e se mai questa dovesse sopraggiungere allora vorrebbe dire che è arrivato il momento di mollare, perché non si potrebbe trasmettere più nulla di vero al pubblico. Mi entusiasmano gli incontri umani che questa vita un po' randagia ti pone di fronte, certo possono non essere sempre positivi, ma anche in quei rari casi offrono elementi di conoscenza e di crescita. Mi entusiasma poi, questo veramente tantissimo, ora che appunto non sono più di primo pelo, incontrare i ragazzi, lavorare con i giovani e giovanissimi e se ne ho modo, diventare io un po' sostegno per le loro gambe all'inizio del cammino. Personalmente non ne ho trovato molto quanto ho cominciato, per questo è per me un egoistico atto di amore, se e quando posso, mettere a disposizione quel poco di esperienza che ho, professionale e umana, per chi sta iniziando a percorrere questo sentiero. Poi dai ragazzi anche noi un po' più agè abbiamo sempre tantissimo da imparare o da ricordare di noi stessi.
D Molti giovani vorrebbero approcciarsi al teatro; tu che consigli gli daresti?
R: Avere pazienza, costanza, nessuna fretta di arrivare, essere curiosi della vita, oltre la scena, e di tutto sulla scena, senza porsi pregiudizi o preclusioni di generi (cosa che spesso le scuole, mediocri, ti inducono a fare). Essere prima di tutto spettatori avidi e attenti, perché il più si impara osservando, carpendo e rubando dalle emozioni, ma anche dalla noia, che può trasmetterci un attore o lo spettacolo che stiamo vivendo dalla platea. Ricercare il passato, i grandi attori che sono scomparsi, anche nel bianco e nero, dove ancora si trovano i maestri da cui poi noi, contemporanei, abbiamo copiato e stiamo copiando tutto. Non farsi scoraggiare né da chi non li capisce, per esempio a scuola dove spesso chi ha interessi e orizzonti diversi dal branco, rischia di trovarsi di fronte a episodi spiacevoli di bullismo, né dalle prime porte sbattute in faccia, perché tante se ne incontrano su questa strada. Il tempo alla fine è galantuomo e quello che non si considera mai da giovani, è che in realtà è il nostro primo alleato, perché davanti se ne ha tantissimo, per imparare, per sbagliare, per correggere il tiro e formarsi, costruire basi solide che sono fondamentali. Ovviamente tentare la strada delle scuole, ma di quelle serie e accreditate, che possono offrire anche possibilità di lavoro. Non ricercare mai il successo last minute o immediato, concetto oggi, nel mondo social assai complicato. La gavetta in sostanza resta il pane più nutriente di questo mestiere. Poi vorrei dire sia ai ragazzi che ai loro genitori di parlarsi apertamente, perché molti genitori vivono la vocazione allo spettacolo con preoccupazione e hanno ragione, è un mestiere instabile, ma se un ragazzo ce l'ha dentro di sé, non ci puoi fare nulla: cercare di impedirgli la strada non lo indurrà a cercare altro, anzi. Oggi tra l'altro la stabilità non esiste spesso neppure tra i lavori "canonici", pertanto, se ci sono i mezzi, il mio consiglio è sostenere sempre, se sincere e fondanti, le aspirazioni artistiche dei figli e a questi dico di parlare sempre molto apertamente con i loro genitori in tale senso, senza timori.
D Quali sono le difficoltà nel portare la gente a teatro? Quali difficoltà si incontrano a livello organizzativo nell'ambiente artistico/teatrale?
R: Ho visto i dati Agis recenti e sinceramente sono molto preoccupanti. Lo spettacolo dal vivo dalla ripresa post pandemica ha perso il 25% del pubblico, un quarto di quella platea, già minoritaria, che andava a teatro. Questo non è preoccupante solo per gli addetti ai lavori, che ovviamente vivono di questo, ma anche per la società in generale. Il teatro è un momento di socialità pulita, una forma di comunicazione che stimola le emozioni, anche collettivamente, oltre che del singolo spettatore, induce a riflessioni, apre la mente e aiuta a consolidare o a formare l'indipendenza del pensiero e delle opinioni in chi ne usufruisce. In teatro ogni spettatore è allo stesso tempo regista di ciò che vede e partecipe di un'azione reale, che avviene lì tra esseri umani. Questo non è sostituibile da Netflix o dalla realtà virtuale, da internet, da quelle forme di intrattenimento che impigriscono e atrofizzano muscoli e mente. Non che siano negative a prescindere, per carità non dico questo, danno lavoro a loro modo, raccontano storie, ma non sono sostitutive e non lo saranno mai. Il covid ha mutato molto la mentalità del pubblico, lo ha reso sedentario, se si esce lo si fa per andare a mangiare, poi si rientra a casa a vedere un film in salotto: Oggi il teatro lotta anche contro questa nuova abitudine. Bisogna anche ammettere che non sempre nelle ultime stagioni la qualità dell'offerta è stata eccelsa, a livello generale, il che non aiuta, ma questo va anche di pari passo a una contrazione delle risorse economiche o a un loro spreco, in certi casi evidente. A livello organizzativo non si sfugge da ciò che che complica ogni libero professionista o esercente di qualsivoglia genere, la burocrazia, a cui vanno aggiunti i costi di esercizio. nel caso di uno spettacolo i costi di tournée che non sono pochi, trasporti, alberghi, facchini. E' tutto aumentato, tranne le paghe degli attori e dei tecnici e, giustamente, per non scoraggiare il pubblico, i prezzi medi dei biglietti, che sono rimasti ai livelli del 2019/2020. Ma non voglio essere pessimista, Albertazzi diceva sempre che il teatro è un eterno moribondo da che è nato ma che non è mai morto perché non può morire. Io la penso come lui.
D Hai interpretato numerosi personaggi, spesso per farlo dobbiamo entrare in simbiosi con chi dobbiamo interpretare. A quale sei più legato? Perché?
R: Quei pochi che mi conoscono hanno già risposto ... Cyrano. Un personaggio in cui mi rispecchio anche come essere umano, nella vita di tutti i giorni. Perché? Io purtroppo sono così, e lo sono da prima di aver letto il libro e poi di aver visto l'opera da ragazzo. La prima volta che l'ho incontrato, ed ero ben lungi dal fare l'attore, ci siamo capiti subito benissimo e siamo diventati ottimi amici, era destino che poi un giorno lo portassi in scena. Ma ogni personaggio ha il suo fascino, permette a chi lo veste di ricercarne dentro di sé gli aspetti più profondi, le pulsioni che lo spingono ad agire. Di un personaggio devi comprenderne il percorso umano per poterlo trasmettere in modo credibile al pubblico e in questo è molto utile il vissuto stesso di chi lo interpreta, per questo penso che ogni età abbia il suo personaggio giusto. Da giovani per esempio non si potrebbe mai interpretare Frate Lorenzo ma Romeo si, per fare un esempio concreto. Poi ci sono i cattivi, che sono forse i ruoli più belli anche se io non ne ho
Marco Predieri |
interpretato nessuno, non vedo l'ora che accada, magari Iago ...
D Come in tutti gli ambienti artistici vi è spesso una difficoltà nel farsi conoscere, amare, approvare. Hai mai avuto personalmente momenti critici a causa anche di incomprensioni, di ostacoli anche a livello burocratico o organizzativo?
R: Momenti critici? Continuamente. Ultimamente non passa settimana in cui non pensi di smettere, credo sia la prima volta che lo confesso apertamente. Sono sempre molte le delusioni, sia professionali, lavori che saltano o non arrivano, difficoltà a intercettare il pubblico, che delusioni a livello umano, magari con collaboratori o colleghi; non sempre è facile farsi capire o comprendersi a vicenda, forse però è così in ogni ambito, quello che le aggrava in questo è la totale precarietà e incertezza economica e non si può prescindere dalle necessità materiali della sopravvivenza. Però quando il tuo non è un lavoro ma una vocazione diventa difficile, se non impossibile, persino mollare, alla volontà si contrappone una forze più prepotente che ti induce ad andare comunque avanti, ma è una lotta faticosa, che spesso sfianca e serve equilibro in certi momenti per non "dare di matto", per usare un termine colloquiale. Come già detto la burocrazia sì ... ci si mette anche quella. Attenzione però, mi rendo conto che può sembrare mi contraddica, rispetto al consiglio di non ostacolare il percorso di un giovane che vuole fare questo mestiere. Non è così. Quello che racconto fa parte del bagaglio. Sono momenti, e quella forza prepotente che ti spinge è poi anche quella che ti salva e ti fa trovare le soluzioni. Fa tutto parte del gioco, se lo accetti non c'è ragione per non farlo il viaggio. Che poi qui, in questo contesto, rispondo a una domanda sulle delusioni, ma ci sono anche le soddisfazioni e magari sulla bilancia a conti fatti pesano di più e ci sono anche gli angeli che poi incontri e ti ritirano su.
D Qual è il pubblico migliore? sembra una domanda retorica e me ne rendo conto ma in realtà penso che un pubblico non sia mai come un altro...
R: Il pubblico non è mai uguale, non lo è nella stessa città e lo è ancora meno viaggiando. Non esiste però un pubblico migliore e un pubblico peggiore, purché sia un pubblico educato. Lo spettacolo si fa sempre in due, chi sta sopra il palco e chi davanti, è uno scambio simbiotico, l'attore prende molto anche da ciò che gli trasmette la platea e lo usa, lo condiziona, nell'atto di recitare. E' sempre un incontro unico. Poi ovviamente oggi capita, neppure tanto di rado purtroppo, di trovare qualcuno che anziché guardati ti riprende, perché poi vallo a sapere, oppure che durante lo spettacolo risponde ai messaggi WhatsApp mentre l'attore sputa l'anima in scena e parlo anche da spettatore, oltre che da attore in questo caso, poi ci sono quelli che scartano caramelle di continuo... Sono atteggiamenti irrispettosi, sia di chi è in sala, che di chi sta lavorando, non solo disturbano ma sono indicatori di un diffuso malcostume, incapace ormai di distinguere l'uso privato del telecomando nel proprio salotto, dall'assistere un momento unico dal vivo insieme ad altre persone e potendo avere di fronte il professionista che dona se stesso nel fare di tutto per provare a darti emozioni. Che poi, svelo un segreto ... chi sta in scena la luce del cellulare che illumina il muso da ciuco, mi si consenta la battuta, di chi si fa i cavoli suoi col cellulare, lo vede eccome, pure se miope!
D- A cosa stai lavorando in questo momento? Vuoi dircelo?
R: Ho tre spettacoli che si intrecciano. Sto per debuttare in un nuovo lavoro, con musica dal vivo e una compagna di scena formidabile, una grande artista, a livello internazionale, Donatella Alamprese, per la quale ho scritto un copione dove avrò anche l'onore di dirigerla, "E la musica va", la storia di un vecchio locale che sta per chiudere definitivamente, perché il gestore non c'è più e il suo erede, che in scena interpreterò io, è decisamente più interessato a vendere le mura che a proseguire l'attività. Mentre si stanno facendo gli scatoloni e si valutano le offerte, la cantante del nightclub proverà a convincere il nuovo proprietario che non è affatto necessario tagliare i ponti con il passato. Ovviamente non posso raccontare di più, se non che in scena ci sarà un band live e le musiche sono molto molto belle. Poi con Francesca Nunzi, altra straordinaria collega (quest'anno mi sono circondato di dive, ma sopratutto di persone bellissime), sto portando in giro "La governante di Cavour", una brillantissima farsa che racconta un Camillo Benso decisamente inedito, alle prese con il progetto dell'Unità d'Italia, tra stress, vizi e pasticci, dove poi sarà l'intervento di Mena, la sua Tata a sbrogliare le carte e portare a destinazione la nave dell'irredentismo. Uno spettacolo dove si ride moltissimo, con il contributo anche di un giovanissimo artista, a cui tengo molto, che ci ha prestato la voce e ci sostiene in molti modi, Giorgio Andolfatto, con una Nunzi pazzesca e dove però c'è anche tutta la storia, per come poteva andare e per come realmente è andata. Sempre con Francesca, con la sua regia, riprendo "Il Costruttore di valigie", un testo molto più personale che sta andando molto bene, due stagioni a Roma, dove si ritrovano molte tematiche che affronto in questa intervista, raccontando di teatro, aneddoti, di tenacia ma anche di figure delle grandi opere, come lo stesso Cyrano, accostate a me e alla nostra contemporaneità. Ci sono poi piccole cose che sto facendo per la tv ... e altri impegni in via di definizione. Chi vorrà potrà trovarmi in giro per teatri, un po' meno a Firenze quest'anno però, ma è bene non inflazionarsi troppo, altrimenti si rischia di venire a noia, che per un attore è sempre la cosa peggiore.
Lascio sempre uno spazio "bianco" ad ogni mio intervistato; uno spazio dove non vi è una mia domanda ma dove c'è la possibilità di comunicare, spiegare, annunciare tutto ciò che l'artista desidera.
Inizia da qui...
R: Ehhh il futuro di un artista è sempre un libro bianco, mentre il passato una catena di romanzi. Io mi considero un viaggiatore e davanti spero di avere tanti nuovi bagagli da riportare con me. Tanti sono i desideri, uno l'ho detto e lo rilancio come appello: interpretare un grande cattivo in teatro, mentre in cinema o in una fiction, vorrei interpretare il ruolo di una professore, che è la mia carriera mancata, se non avessi tentato la strada dell'arte. Poi mi servirebbero alcune cose si, altro appello, se qualcuno magari può "soccorrermi" ne sarei felice: mi manca un agente, ne avevo uno ma purtroppo non c'è più ... e non è facile trovarne di validi, vorrei mettere a disposizione la mia esperienza per aiutare i più giovani a camminare, se a qualcuno servisse un docente mi chiami, ne sarei molto felice, perché non credo riuscirò mai ad aprire una mia scuola, per altro troppe ce ne sono e non tutte troppo serie, poi non saprei da che parte cominciare anche solo burocraticamente. A molti artisti mancano spesso le figure tecniche di rifermento, commercialisti, organizzatori, chi si occupa di bandi e comunicazione ... produttori, ma anche solo esecutivi, non necessariamente che mettano i soldi, poi ovviamente anche quelli, dei mecenati. Ecco io concluderei con questo appello. Diciamo che i miei desiderati non sono successo, gloria, fama, ma possibilità di lavoro in serenità e sicurezza, il resto è fuffa, per carità se arriva si prende, purché arrivi però con l'amore del pubblico.
Per arrivare al Teatro di Villa Lazzaroni bisogna immergersi nel suo verde, attraversare i vialetti cosparsi di brecciolino che segnano ogni passo con un delicato e rilassante scricchiolio. Il teatro sembra volutamente nascosto in questa atmosfera bucolica. Uno staff gentile e cortese accoglie gli spettatori prima che entrino in una bella, confortevole e moderna sala.
Una volta varcata la soglia, si viene accolti da una musica che crea una strana atmosfera e che lascia in sospeso fino all’inizio dello spettacolo, quando incontreremo tre donne che ci racconteranno le loro vite.
Sara (Patrizia Casagrande) è una donna gentile e piena di interessi; sempre disponibile con gli altri si dedica al volontariato. Suo marito è un uomo piuttosto premuroso, ossessivo ed eccessivamente geloso e possessivo.
Rebecca (Valeria Zazzaretta) invece è una giovane e gradevole donna. Ha da poco tempo chiuso una relazione con un ragazzo gentile ma alquanto introverso, forse troppo, di quelli che non accettano la fine di una storia…
Romina (Jaqueline Ferry) è la più grande delle tre, è indipendente, una capace donna separata e in carriera. Per lenire la solitudine, ma anche per rimettersi in gioco e sconfiggere l’apatia, ha iniziato una relazione con un uomo più giovane che scoprirà essere dipendente della cocaina e avere un carattere alquanto mutevole ed altalenante.
Le tre donne hanno in comune il peso di un rapporto malato di cui, per amore o per timore, diventano succubi fino a subire mortificazioni, ferite nell’animo e maltrattamenti fisici. Si tratta di un’escalation graduale, un circolo vizioso di cui diventano inconsapevoli vittime a al contempo passive testimoni della loro ineluttabile fine. Camminano incapaci di reagire sul bordo di questo perverso baratro, dove l’amore è uno sbiadito ricordo. È come una flebile e tremolante luce di una candela che non riesce ad illuminare i pericoli insiti nelle loro esistenze. Una luce talmente tenue pronta a spegnersi, come la loro vita, da un momento all’altro. Pongono inconsapevoli la loro esistenza sul filo di un rasoio, accecate dall’illusione. Prendono degli orchi, uomini disadattati, e ne fanno dei compagni ideali che pian piano svelano la loro vera essenza gettando la maschera.
È però ormai troppo tardi per tornare indietro, sono già cadute nella tela del ragno, stritolate dai loro tentacoli.
Il testo è molto complesso e volutamente contorto, ciò dimostra le capacità e l’adattabilità delle tre attrici sul palco, che si avvicendano nei loro racconti con brevi ed intensi monologhi ricchi di pathos, spezzati da dialoghi tra che le uniscono e le dividono.
Prendono poi, come fossero possedute, le sembianze caratteriali e fonetiche dei loro aguzzini, alternandosi freneticamente nelle parti e rendendo ancora più duro e crudo sia il testo che l’argomento.
Ci appaiono come bloccate in un luogo imprecisato e in un tempo indeterminato. Una sorta di purgatorio che non meritano, se non per la superficiale ma umana, anzi femminile mancanza di riguardo e attenzione per loro stesse. Un sacrificio altruistico che sentono di dover fare ma con l’uomo sbagliato.
Sembrano qui per attendere gli eventi, sospese nel tempo mentre con una forte espressività
comunicano rabbia, paura, sofferenza. Indiscutibilmente brave.
Le luci e la musica creano un’atmosfera lugubre, pesante, tetra e pesante, spezzata da luci improvvise che illuminano le tre donne facendone risaltare le espressioni, gli stati d’animo e la recitazione.
La scenografia è inesistente, è e deve essere fatta solo del buio, quello che le circonda e le inghiotte, insieme alle loro storie. Sono scalze, forse per rappresentare il loro stato di donne indifese, di capri espiatori, di vittime sacrificali designate.
Solo più avanti compariranno tre paia di scarpe, che accoppiate e non indossate rappresentano la violenza sulle donne, anche se non sono rosse ma nere, come il colore della morte che le insidia costantemente. Ognuna di loro porta con sé una valigia, che sembra simboleggiare la loro vita, il fardello che portano dietro, la loro condanna, o anche la loro esistenza, le esperienze e il dolore. Sembrano legate alle valigie, le trattano con cura e le portano sempre con loro come con un invisibile cordone ombelicale. Ne estraggono poi degli indumenti che sembrano la pelle che hanno cambiato, la rigenerazione. Ma ne estraggono anche dei capi maschili con cui costruiscono dei feticci, rappresentazioni dei loro uomini, vuoti e sgonfi, inoffensivi con cui parlano, si confidano, si sfogano, condannano, ma che ancora temono.
Alla fine, verso il triste l’epilogo, svuoteranno con rabbia queste valigie come un solenne atto di liberazione. Un grido silenzioso, una sorta di ribellione e senso di rivalsa se non fisica quanto meno psicologica sui loro persecutori.
Un bel testo, intenso, profondo, complesso e difficile, duro, diretto ma anche rispettoso ed attento a non degenerare. La confusione che si avverte in alcuni passaggi è voluta e serve per ricreare lo stato d’animo delle protagoniste, reso chiari dalle capacità delle artiste che raggiungono empaticamente lo spettatore. Le attrici si rivelano all’altezza del testo e ne restituiscono una proposta teatrale emozionante e toccante che lascia letteralmente inchiodati e col fiato sospeso sulle poltrone.
“Tutte le notti sono una”
di Massimo Natale, Ennio Speranza, Mary Griffo
regia di Fabio di Gesto
collaborazione artistica di Massimo Natale
con Patrizia Casagrande, Jacqueline Ferry, Valeria Zazzaretta
musiche di Massimiliano Lazzaretti
E' POSSIBILE VEDERE IL NOTIZIARIO N°50 DEGLI ITALIANI DI RUSSIA AL SEGUENTE LINK
https://markbernardini.blogspot.com/2023/11/050-italiani-di-russia.html
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Teatro Roma:“La setta dei romani estinti” - Il varietà della romanità - Da Trilussa a Califano - Da un’idea originale di Fabrizio Giannini
Con Fabrizio Giannini, Stefano Ambrogi, Federica Cifola, Fabrizio Gaetani, Christian Generosi, Barbara Boscolo E con la partecipazione dell’ensemble musicale “Montanari e Targhini” e la direzione musicale di Gabriele Berretin. E ancora Adriano Giannini, Denise Alfonsi, Elisa Olivieri, Luigi Martini
Ci ritroviamo al Teatro Roma, a distanza di un mese dalla loro ultima apparizione, con la “Setta dei romani estinti”, in verità più redivivi che mai. C’è stato un piccolo accomodamento del cast e della programmazione, dovuto per lo più agli impegni professionali di alcuni artisti. Ma la carica comica e soprattutto la verace romanità non ne hanno minimamente risentito.
La platea è piena. Complici un'ottima organizzazione, la riuscita promozione, il valido e simpatico cast e soprattutto la brillante idea che Giannini ha avuto nel proporre uno spettacolo atto a risvegliare la romanità sopita in noi, riempiendolo la serata con aneddoti che riguardano la storia di Roma.
Apre nei panni di portabandiera, presentatore, e showman lo stesso Fabrizio Giannini che si rivelerà un ottimo padrone di casa esibendosi in sketch, canzoni e duettando a turno con il resto del cast. Viene subito raggiunto dall’insostituibile e romano fino all’osso Fabrizio Gaetani, seguito a ruota da Federica Cifola, Barbara Boscolo, Christian Generosi e Stefano Ambrogi, in una sorta di animata presentazione in cui tutti discutono con Giannini proponendo il loro asso da inserire nella formazione storico calcistica in rappresentanza della capitale. Ovviamente questa virtuale squadra sarà composta da personaggi storici e di artisti legati all’Urbe come Romolo, Nerone, Sisto V, Fabrizi, Sordi…
Appare dunque dalle quinte in una bella e riuscita imitazione di Aldo Fabrizi: è il grande Gaetani. Magistrale la sua esecuzione. Atteggiamenti, fonetica e postura riportano immediatamente alla mente l’amato artista romano. Quello di Gaetani è un vero e proprio tributo ottimamente riuscito che diverte e strappa applausi a tutti.
C’è spazio poi per una gag tra la Cifola e Giannini, che raccontano una versione rimaneggiata e tutta loro della famosa canzone “Te la ricordi Lella”, storico brano di Lando Fiorini, raccontata proprio dalla Cifola, che rivede tutto il testo in maniera davvero esilarante. Federica ha una carica notevole, spiritosa e grintosa, e rivelerà di avere anche una bella voce e di saperla usare egregiamente.
È il momento di Ambrogi e Gaetani che duettano insieme sciorinando una serie di detti romani che hanno come tema il cibo. Ambrogi, con la sua inimitabile e profonda voce, proseguirà la sua brillante performance interpretando un testo di Califano in maniera sublime.
Christian e Barbara sono una coppia inossidabile; propongono come tema l’eterna rivalità a suon di battute tra Roma e Milano, una gag assolutamente efficace e divertente. I due insieme si spalleggiano e si provocano suscitando l’ilarità dei presenti.
Apre il secondo atto il trio musicale “Montanari e Targhini”, preparati musicisti che accompagnano tutta la serata con una colonna sonora delicata e piacevole. Arriva Luigi Martini, un giovane e promettente attore che ormai fa parte di questo cast e che stasera ha uno spazio maggiore per farci conoscere le sue doti artistiche. Ci presenta il suo libro “A me gli gnocchi please”, parafrasando simpaticamente il titolo di uno spettacolo del grande Gigi Proietti. I suoi aforismi sono tutti ispirati alla cucina romana, assai divertenti.
Gaetani rientra nei panni di Aldo Fabrizi in un improbabile versione vegana. Con la Sora Lella erano rinomati per la passione per la buona cucina. Ve lo immaginate a combattere oggi con queste nuove tendenze culinarie?
Giannini ci espone altri aneddoti sui Borgia, i re di Roma e Nerone, passando così la palla a Christian che si propone in una versione buffissima di questo imperatore nella conosciuta ma antistorica versione di maniaco piromane. Barbara invece impersona una divertente versione di Poppea. Trascinanti e sempre estremamente comici, si rivelano inequivocabilmente una coppia molto affiatata.
La “voce di Roma” stasera è impersonata da una deliziosa Elisa Olivieri, che con un approccio nostalgico presta la sua voce alla nostra Roma permettendosi di raccontarsi. Giannini poi ci canterà “Roma non fa la stupida stasera” in coppia con una travolgente e toccante Cifola che rivela di nuovo tutte le sue doti canore.
Ma non è finita: ritorna Gaetani per raccontarci aneddoti divertenti su sua nonna, portando sul palco una serie di oggetti legati agli anni Ottanta, che arricchiranno il suo riuscito monologo. È semplicemente un grande! Sia da solo che al fianco di altri artisti si rivela sempre una succulenta ciliegina sulla torta.
Arriva ora un omaggio al poeta Trilussa attraverso la calda e profonda recitazione di Ambrogi, che darà vita alle sue deliziose favole dedicate agli animali. La sua non è una voce, è una vibrazione che attraversa come un fremito lo spettatore e produce una sensazione paragonabile all’ “Om” pronunciato in coro dai monaci tibetani. Travolge, conquista, ammalia, seduce…
Giannini poi, insieme a Denise Alfonsi, canta una suggestiva e toccante ninna nanna.
La serata giunge al termine e l’esuberante e camaleontico onnipresente Giannini fa salire sul palco un bambino dall’aspetto furbetto e scanzonato; è Adriano, il figlio di Fabrizio che il conduttore punzecchierà interrogandolo sulla cultura romana, dandogli modo di esternare riusciti aforismi perfettamente in tema con la serata.
Lo spettacolo sembra finito, ma lascia ancora un piccolo spazio per coinvolgere il pubblico, con il quale declamare insieme la formazione finale vincente pseudo calcistico-storico-artistica, che coinvolge l’intera platea con tanto di cori da stadio. Così Ciceruacchio, Sisto V, Adriano e Cesare, Fabrizi e Sordi appariranno su delle slide con la divisa calcistica di questa virtuale ed imbattibile formazione.
La piece è una trovata intelligente, nostalgica e romantica che risveglia l’interesse verso le nostre origini, verso quelle radici che ci legano alla nostra fantastica città.
Teatro Roma
“La setta dei romani estinti”
-Il varietà della romanità-
-Da Trilussa a Califano-
Partendo dal Mugello e dai suoi produttori con lo sguardo che va ben oltre questi confini. “Montagna minore per molti ma in realtà terra “preziosa” da riscoprire, riconquistare, da vivere pienamente”.
Proprio da quest’ultimo pensiero la mia riflessione.
Terra preziosa da riscoprire: Il Mugello, identificabile sostanzialmente con l'antico lago di origine marina che era sbarrato verso valle, attraversato in buona parte dal fiume Sieve, terra preziosa per la sua Storia che si perde nella notte dei tempi. Preziosa anche per le sue tradizioni legate al mondo contadino oggi da riscoprire;
Terra da riconquistare: valorizzare, sviluppare viste le sue potenzialità;
Terra da vivere pienamente: dal Passo della Futa al Passo del Giogo di Scarperia al Passo della Colla di Casaglia al Passo del Muraglione.
“L’idea di ‘Appenninia Wine Festival’ – ha spiegato il Sindaco di Vicchio, Filippo Carlà Campa – è nata per celebrare quella che per molti è una montagna minore, ma che in realtà è una terra preziosa da riscoprire, riconquistare e vivere pienamente. Un luogo di radici lontane, di identità perdute, di partenze e di abbandoni, ma al tempo stesso una montagna dove per secoli si sono conservati il sapere, la cultura, la spiritualità. Da qualche tempo, per fortuna e grazie all’impegno di molte persone che credono in questo territorio così particolare, l’Appennino è anche terra di ritorni, di nuovi sogni, di vigne e vini. Un nuovo Appennino sta nascendo e noi vogliamo dargli voce”.
“Appenninia nasce per essere un meta-brand ovvero un progettare luoghi, territori e contesti, ha spiegato Gianluca Lisi, City Branding Consultant del Comune di Vicchio. Una realtà identitaria che nasce da un luogo specifico, in questo caso Vicchio, per valorizzare un territorio più ampio, l’Appennino, al quale Vicchio stesso appartiene. Vogliamo costruire qualcosa che sia utile per tutte le realtà appenniniche: perché soltanto uniti alle altre realtà possiamo pienamente valorizzare la nostra.”
Vicchio |
In questi due interventi la sintesi di una iniziativa alla sua prima edizione che è voluta partire dai nuovi sogni, dalle vigne e dai vini.
Ed ecco quella che per il sottoscritto e non solo, è un’idea intelligente. Un’occasione per far conoscere, apprezzare la coltivazione delle vigne con l’introduzione di nuovi vitigni. Il tutto finalizzato ad una produzione di vini dai profumi intensi, di notevole struttura.
Appenninia: originalità, proposta, economia dei territori montani. Chapeau!