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“Poesia semplicemente poesia” è un libro dove traspare fortemente la sensibilità dell’anima dell’autore. Enzo Casagni negli ultimi nove anni ha scritto tre libri autobiografici, cinque quaderni poetici e con quest’ ultimo libro è arrivato a cinque libri di poesie. Diverse negli anni sono le sue partecipazioni a concorsi letterari dove ha ricevuto molte menzioni di merito, targhe e medaglie.
Enzo ha sempre mostrato fin da giovane, una predilezione per la poesia, dal momento che amava Catullo, Saffo e D’Annunzio, proprio con “la pioggia nel pineto” apprese la musicalità del verso. Nel libro precedente “il deserto dipinge la mia anima” le poesie risentivano molto di due realtà molto molto aggressive e dolorose: il Covid e la Guerra in Ucraina.. Le strofe di “Poesia semplicemente poesia” invece sono intime e spirituali scritte prima d quelle gravi problematiche e colpiscono come un canto liberatorio. Alcuni prose sono frutto di meditazioni avvenute dopo incontri spirituali, altre sono espressioni esclusive del sentire dell’autore, dal momento che la sua anima aveva necessità di esprimersi. Tutti i versi di “Poesia semplicemente poesia” non sono frutto di una ricerca intellettuale, ma di espressioni spontanee che rivelano immediatezza e spontaneità. Il Poeta in alcuni versi con una semplicità intrinseca, descrive la bellezza del creato e si commuove alla vista di un tramonto e dell’alba..
La prefazione di “Poesia semplicemente poesia” è a cura di Cinzia Baldazzi, critico letterario di fama internazionale, l’edizione grafica è elaborata alla perfezione da Maria Grazia Vai di Immagine ed Arte e la pubblicazione è stata resa possibile grazie alla Iucant Print.
Abbiamo incontrato Enzo Casagni per conoscere le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere il suo nuovo libro.
Cosa provi Enzo dopo l’uscita del tuo libro?
Sento in fondo al mio animo una gioia profonda per essere riuscito a manifestare quello che io realmente sento e provo. Ho partecipato recentemente ad una esposizione di libri alla Prima Book festival una interessante manifestazione che si è svolta a Roma nel quartiere della Bufalotta a Roma .E’ stata grande la mia soddisfazione quando Cinzia Baldazzi ha presentato il mio libro. Quello che mi ha colpito soprattutto è quando ha affermato che la distanza fra l’uomo e Dio per quanto mi riguarda è stata accorciata dalla mia esperienza con Cristina, la mia adorata moglie che ho perso alcuni anni fa. Per me lei è sempre stata la mia musa ispiratrice, senza fare un paragone eccessivo, quello che è stato Beatrice per Dante e quello che è stato Laura per Petrarca.
Cristina è sempre stata un punto fondamentale della tua vita e non la dimenticherai mai.
Si infatti nel libro c’è molto di Cristina. Nella prefazione c’è una lettera che io ho scritto a lei che sta lassù e le dico “ti prego leggi questi versi lassù tra le nuvole e le stelle” e poi nell’epilogo del libro c’è un poesia che io ho scritto nel ricordare il nostro primo incontro avvenuto a Monte Follonico in Toscana. Ricordo anche il giorno ed era il 24 luglio del 1962 quando ci incontrammo per la prima volta in una pensione che si chiamava Anna. Quando entrai e vidi Cristina seduta su una sedia la invitai ballare, era una canzone di Gino Paoli, Sapore di Sale. In quel momento è come se intorno a noi non esisteva più niente, soltanto noi due, poi da quel giorno, non ci siamo più lasciati..
Nelle poesie del tuo ultimo libro traspare ottimismo, sei d’accordo?
Non lo chiamerei ottimismo, piuttosto realismo perché la vita esiste e nessuno può distruggerla. La vita è una forte realtà che si rivela con la venuta di Gesù Cristo che poi con il suo sacrificio si rivolge all’uomo “non vi dovete preoccupare perché la vita è con Voi e vi seguirà sempre”. La morte è solo un riposo temporaneo, perché poi lo spirito e l’anima riprenderà il corpo in cui è vissuta. Dobbiamo sempre tener presente chi è l’autore di questi doni ed io dico che bisogna ringraziare ogni momento che noi respiriamo e bisogna rivalutare quello che noi abbiamo. Oggi siamo abituati a dare tutto per scontato, ma non è assolutamente così.
Sorge spontanea una domanda, ma tu quando stavi con Cristina, già scrivevi?
Io ho sempre avuto un grande amore per le poesia e fin da ragazzo già scrivevo. Mi ricordi di aver scritto un piccolo libro dove c’erano annotate diverse mie poesie ma poi smisi di scriverle quando conobbi Cristina. Quel libricino che poi lo regalai si chiamava “sentieri” perché attraverso questi sentieri io vedevo una piccola luce che era la nostra speranza. Con il tempo continuai a scrivere soltanto qualche meditazione a livello spirituale, perché ho sempre frequentato gruppi spirituali. Quando stavo con Cristina ritenevo di avere tutto e quindi non avevo bisogno di scrivere, nel momento in cui lei se ne è andata alla vigilia dei nostri cinquanta anni di matrimonio, una parte di me si è dissolta e la poesia si è improvvisamente rifatta viva. Ha cercato di aiutare a esprimermi e mi aiuta a manifestare tutto il mio amore nella solitudine. Il mio dolore come scrivo in una poesia non è fine a se stesso è anche calore, perché ha come origine, l’amore.
C’è vita oltre la morte, cosa ti ha spinto a scrivere questa poesia ?
Questa poesia è il frutto di incontri spirituali, perché dobbiamo riflettere al sacrificio che Gesù ha fatto per noi, quando si è incarnato e ha detto all’uomo “guardate che la morte è stata sconfitta da me e quindi oltre la morte c’è la vita”. Questa è una realtà che molti non riconoscono, oltre la morte c’è sempre vita ed è anche una legge fisica perché siamo fonte di una energia che non si può distruggere. Questo è un esempio per chi ci vuole credere: la vita esiste oltre la morte e l’anima non può morire e continua a vivere.
Cosa ci puoi dire del tuo modio di intendere la poesia?
Oggi compio 82 anni e vorrei ringraziare chi ha creduto in me e mi ha concesso di vivere questa realtà che non avrei mai immaginato. La poesia io credo che aspettasse solo l’occasione giusta per manifestarsi. Quando ho un’idea, scrivo di getto la poesia, la lascio in un file e poi la riprendo dopo qualche tempo per vedere la sua musicalità, ma in genere non modifico quasi niente. C’è stato un periodo in cui scrivevo quasi esclusivamente di notte e quando sentivo un’emozione, andavo subito al computer a fissare l’idea. Tu sai che io per abitudine mi porto con me copie delle mie poesie e alcune volte le faccio leggere a persone che incontro occasionalmente, così la gente rimane sorpresa, si commuove e alcune volte mi abbraccia. E’ questo che apprezzo maggiormente, vedere nei loro volti la soddisfazione.
Grazie Enzo Casagni
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Debora Caprioglio veste i panni di Artemisia Gentileschi in un emozionate monologo che prenderà vita nel suo studio di pittura. Un luogo dove svolge l’attività che più ama, ma anche suo rifugio.
Il Teatro Arcobaleno è per me una sorpresa inaspettata, non c’ero mai stato. Ben tenuto e accogliente, in questa stagione propone spettacoli incentrati sui classici greci, latini e in generale storici, come quello di oggi.
Si entra nella sala e ci accoglie una delicata musica barocca in tema. Il palco è molto spazioso, il sipario è già aperto per lo spettatore che può saggiare subito l’atmosfera seicentesca, quasi fatata.
La scenografia è composta da cavalletti che sorreggono delle tele, al momento tutte coperte perché verranno svelate durante la storia. Due sedie e uno sgabello, pennelli e tavolozza completano la scena. Tutto è già suggestivamente illuminato.
Debora appare in scena con un bel costume, in linea con il periodo rappresentato. Si muove con dinamismo sfruttando tutto il palco e mentre si racconta nei panni della Gentileschi, scopre le sue tele una ad una rivelando e i capolavori e facendone stazioni che scandiscono il suo racconto.
L’ottima regia di Roberto D’Alessandro si avvale di questa bella scenografia e di un gioco di luci molto suggestivo che esalta il monologo. La recitazione è ricca di contrasti che sottolineano i vari passaggi della vita della pittrice.
Debora, attraverso un testo articolato e ben strutturato, racconta con passione tutta la vita di Artemisia: l’adolescenza, la famiglia, gli esordi nella pittura, i contrasti con il mondo artistico maschile, fino ad arrivare alla violenza subita e alle terribili conseguenze. Si prosegue con il racconto del suo matrimonio fallimentare che le darà la figlia Palmira e del suo lavoro che la porterà da Roma a Firenze, poi a Venezia, Genova, Napoli, fino a Londra.
Ogni passo è ben raccontato da Debora, che dona al personaggio tutte quelle sfumature che la rendono oltre che. viva, credibile, anche grazie al testo che si caratterizza per l’uso moderato ma funzionale di termini e inflessioni del parlato seicentesco. Ne esalta ogni sentimento, da quello più drammatico a quello più toccante, non senza qualche istante di ironia.
L’attrice si sofferma su alcune tecniche e materiali della Gentileschi usati per mescolare i colori e ne descrive opere e momenti di vita, mentre si muove nello studio impegnata nella pulizia dei pennelli o nella pittura. Questo approccio ci permette di conoscere la Gentileschi sia dal punto di vista artistico che umano.
Non ci dimentichiamo che Artemisia è una pioniera nel suo ambito, vive in un mondo che non le appartiene, è una figura scomoda ed insolita perché l’arte è appannaggio degli uomini. Anche se è figlia di Orazio Gentileschi, un artista di fama, troverà davanti sempre porte chiuse. Il padre, però intuendo il suo talento, cercherà lo stesso di avviarla nel campo della pittura. Nonostante sia molto portata, attenta, perspicace, alacre e dotata, si scontrerà con un mondo maschilista, chiuso e misogino.
Figlia d’arte, avrà l’opportunità di conoscere i grandi pittori del suo tempo, tra cui Caravaggio che molto la ispirerà. Il padre la affiderà alla bottega di un suo amico, Agostino Tassi perché ne curi le doti e possa fare con lui esperienza. Ma il Tassi abuserà di lei. Questo dramma segnerà inevitabilmente la vita e la pittura della donna, e sarà un trauma che porterà con sé insieme al peso di un lungo ed umiliante processo che la vedrà addirittura sotto accusa. Debora Caprioglio interpreta Artemisia con rabbia, amore, grande forza d’animo e forte tempra.
Le vicissitudini di Artemisia e lo studio dei grandi pittori contemporanei la porteranno a seguire il modello pittorico di Caravaggio, con cui peraltro ha in comune una vita travagliata. Riprenderà dal Merisi i suoi caratteristici chiaroscuri rotti dal raggio di luce, che forse per entrambi rivela la speranza o una particolare e profonda fede in Dio e nella sua giustizia. Questo aspetto artistico verrà riproposto sulla scena con un suggestivo uso delle luci laterali che conferiranno drammaticità al racconto.
Così Artemisia, come Caravaggio finirà per esorcizzare le sue paure e i suoi drammi attraverso la pittura, in cui sarà possibile ritrovare il loro mondo interiore.
Toccanti i momenti in cui Debora ci parla della violenza subita, così come la descrisse Artemisia; dell’umiliante e sofferto processo, del rapporto conflittuale con gli uomini e del tradimento subito dal padre, che per motivi lavorativi ritirerà la denuncia.
L’attrice evidentemente ama questo personaggio e vivendone gli stati d’animo, riesce ad ammaliarci con un testo profondo in cui mette tutta sé stessa. Ci intrattiene con grande impegno per quasi un’ora e mezza senza stancarci, regalandoci di continuo forti emozioni ma soprattutto facendoci conoscere un importante pezzo di storia dell’arte con le vicende della prima donna che con la sua tenacia è riuscita a scardinare le porte di un settore esclusivamente riservato agli uomini, entrandovi di prepotenza e lasciando il suo segno indelebile.
"Non fui gentile fui Gentileschi” -La vita “di Artemisia Gentileschi-
Di Roberto D’Alessandro e Federico Valdi
Regia Roberto D ’Alessandro
Con Debora Caprioglio
Mimmo Castellano |
Ormai è un evento riconosciuto. Il Premio di giornalismo "Mimmo Castellano" si svolge domani 20 ottobre a Pagani in provincia di Salerno.
E' organizzato per la XII volta dell'Assostampa Campania della Valle del Sarno. Mimmo Castellano è stato un autorevole giornalista della carta stampata, scomparso nel 2008. Per lunghi anni è stato Segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa e Vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti della Campania.
Il 20 ottobre con inizio alle ore 15,30, al Teatro S. Alfonso M. dei Liguori si ritroveranno giornalisti, personalità della cultura e delle istituzioni per ricordare il collega ma anche per riflettere sui mali della professione in Italia.
La libertà di informazione corre rischi molto seri, sia per gli effetti della crisi economica generale, che per errori strategici degli editori.
In questi due estremi si inserisce la qualità dell'informazione sempre più alla ricerca di scoop e con notizie prive di approfondimento.
E' noto che nelle redazioni dei giornali il clima non è sereno se solo si considera il ricorso a cassa integrazione, prepensionamenti, precariato, revisione di contratti di collaborazione. Più della metà dei giornalisti italiani, risulta iscritta all'INPS con l'altra metà stressata da vendite che calano, bilanci in rosso e proteste senza efficacia.
Dove si andrà a finire di questo passo? Si fanno i conti con le storiche battaglie per la libertà e la tutela della professione.
Anche una libera organizzazione come la FLIP contribuisce a difendere il prestigio di una professione fondamentale per la democrazia.
A Pagani si parlerà di tutto questo a partire dal ruolo della stampa locale. Il focus è dedicato a : " Il valore Il valore della stampa locale, attraverso l'etica e la deontologia del giornalismo in un mondo rivoluzionato dalla comunicazione-informazione. Due universi in contrasto".
L’evoluzione dei sistemi di comunicazione e delle tecnologie non può andare a danno della correttezza e della pluralità delle voci.
La stampa locale resta un presidio di civiltà e di cultura per chi vive il territorio.
In Campania ci sono testate giornalistiche regolarmente in edicola o on line da 40 anni.
La loro testimonianza farà da cornice al dibattito tra il tesoriere del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti, Gabriele Dossena, il presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli, il presidente del Movimento Unitario dei Giornalisti, Mimmo Falco.
Nel mondo pre-moderno, come già nei popoli di interesse etnologico e soprattutto nelle culture orientali, le espressioni di natura artistica sono indissolubilmente legate al sentimento del Sacro, alla volontà, cioè, di instaurare o rafforzare un contatto fra la dimensione del divenire e la dimensione dell’Essere. Il trionfo travolgente della rivoluzione scientifica, della civiltà industrializzata e della visione del mondo di credo positivistico ha finito, però, in particolar modo all’interno della cultura occidentale, per operare una radicale desacralizzazione, promuovendo un approccio etico-esistenziale di impronta ateistico-materialistica (sia sul piano teoretico che su quello pratico) e mettendo, di conseguenza, brutalmente in soffitta il concetto stesso di “anima”. A tutto questo, riprendendo istanze di derivazione romantica, si è opposta la cultura del cosiddetto Decadentismo, volta a riscoprire la dimensione celata del vivere e a dare voce alle voci sotterranee dell’io.
A tale processo culturale antipositivistico e antimaterialistico, nel corso dell’ultima parte del XIX secolo e dei primi anni del XX, offriranno un grande supporto due movimenti culturali (perlopiù ignorati dai manuali scolastici) dalle notevoli potenzialità rivoluzionarie: lo spiritismo prima e il movimento teosofico poi. Lo spiritismo, con la sua sconcertante casistica fenomenica, sarà salutato da milioni di persone come la dimostrazione oggettiva dell’esistenza dell’anima e della sua sopravvivenza, arrivando ad esercitare un’attrazione profonda sulle menti di letterati come Capuana e Conan Doyle, nonché di illustri scienziati come il chimico Crookes e l’astronomo Flammarion.
Ma sarà soprattutto l’entrata in scena di una donna straordinaria come Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica (1875) e autrice di opere monumentali dal fascino sconfinato come Iside Svelata (1877) e La Dottrina Segreta (1888), a fornire un ricchissimo potenziale di stimoli e di conoscenze a tutti coloro che desideravano opporsi al dominio sempre più inaridente dell’ideologia materialistica. Fondamentale è il fatto che la Teosofia o Religione-Saggezza diffusa dalla Blavatsky non venne da lei mai definita come qualcosa di “nuovo”, bensì come la presentazione sistematizzata di un insieme di conoscenze presenti da sempre all’interno delle varie tradizioni religiose, degli antichi sistemi filosofici e delle più genuine esperienze mistiche di ogni epoca.
Da questo serbatoio sterminato di pensiero, gli intelletti più aperti e assetati di verità autenticamente universali, non ingabbiate in involucri confessionali, si imbatterono nella serie seguente di concetti, dalle indubbie valenze esplosive soprattutto se riferiti al campo della produzione artistica:
Da questa vera e propria miniera filosofica, artisti come Gustave Moreau e Odilon Redon, in Francia, e Umberto Boccioni, Luigi Russolo e Giacomo Balla, in Italia, trassero innumerevoli sollecitazioni per dare vita ad un innovativo modo di fare arte, in cui (sia che si tratti di simbolismo o di futurismo) a dominare sarà la volontà di andare oltre la barriera ingannevole del piano sensoriale. E su questa strada, attingendo direttamente ai tesori della letteratura teosofica, altri artisti di genio quali Hilma af Klint, Wassily Kandinsky, Kazimir Malevic e Piet Mondrian (solo per citare i nomi di maggior peso) partoriranno modalità espressive sempre più sganciate dalla mera osservabilità empirica, per approdare a forme sempre più radicali di astrattismo, favorendo la nascita di innumerevoli percorsi di coraggiosa ricerca creativa, tutti accomunati dalla voglia di dilatare la percezione del reale, di costruire ponti fra micro e macrocosmo, di permettere alle insondabili energie sepolte nel nostro cuore di irrompere epifanicamente nel mondo del divenire e dell’impermanenza.
Ed è su questa stessa lunghezza d’onda che è stata pensata e allestita, presso il laboratorio artistico COSARTE di Garbatella (Roma), la Mostra intitolata Mystical and Interior, presentata dall’organizzatrice Simona Gloriani come un “viaggio introspettivo verso la propria interiorità”, e come “sentimento di contemplazione in una dimensione che può farci vedere la ‘trascendenza’ o riportare al proprio io e alla propria anima”, con il non facile obiettivo di provare a “mettere in evidenza l’importanza dell’introspezione” e di tentare di “esplorare le dinamiche della natura che raggiungono le profondità della nostra mente”.
La Mostra, che raccoglie lavori pittorici e fotografici frutto di sensibilità molto differenti, in cui prevalgono nettamente orientamenti di carattere surrealistico e simbolistico, ha ricevuto da parte dei primi visitatori un’ accoglienza gioiosa e sinceramente interessata, segno evidente che le opere esposte, efficacemente commentate dai loro autori, sono riuscite, almeno in parte, nell’ ambizioso intento di comunicare piccoli e grandi messaggi, piccole e grandi emozioni.
MYSTICAL & INTERIOR
MOSTRA COLLETTIVA DI ARTE CONTEMPORANEA
DOVE:
c/o COSARTE, via Nicolò da Pistoia, 18
Roma
QUANDO:
dal 13/10/2023 al 19/10/2023
Martedì e giovedì dalle 16.30 alle 19.00; lunedì, mercoledì, venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 18.30.
ARTISTI:
Gianluca Bellissimo, Maurizio Campitelli, Flavia Distefano, Roberto Fantini, Simona Gloriani, Mahroo Hemati, Alessio Masi, Roberto Pinetta, Stefania Spera, Gabriella Tiricanti.
Un borgo abbandonato è tornato in vita grazie alla tenacia e alla passione di due capaci architetti.
In Italia i borghi abbandonati sono oltre 6.000 e di questi pochissimi potranno essere salvati. Il Castello di Postignano è un forte esempio di resilienza e di come un’opera privata sia riuscita a realizzare un restauro impegnativo che si pensava fosse impossibile. Si trova in Umbria, abbarbicato sulle pendici del monte Puriggia e domina la valle del Vigi, vicino a Sellano.
La Storia
Il borgo fu fondato intorno all’anno mille ed ebbe il suo massimo splendore intorno al 1500 grazie al commercio della canapa e del ferro. Nel secolo scorso, ci fu una forte migrazione verso gli Stati Uniti fino al dopoguerra, in cui erano rimaste solamente pochissime famiglie. Nel 1966, il sindaco ne ordinò lo sgombero a causa di un cedimento di parte della collina e quindi fu definitivamente abbandonato.
Tra il 1992 -94, l’intero borgo venne acquistato dagli architetti Gennaro Matacena e Matteo Scaramella, che attraverso un’impegnativa ricerca dei rispettivi proprietari, stipularono circa 250 rogiti. Il borgo era in stato di abbandono ma gli architetti riuscirono a cogliere la magia di quel posto e si innamorarono del progetto di recupero del borgo.
Da un punto di vista architettonico, il borgo è un esempio di come può essere sfruttato il suolo in modo sostenibile e, in termini di impatto visivo, è perfettamente incastonato nel contesto naturalistico. Nato come “castrum” ovvero di postazione di controllo a cui è dovuto il nome di Castello, è composto da abitazioni costruite intorno alla torre di avvistamento e aveva un valore strategico, trovandosi al crocevia tra Spoleto, Norcia, Foligno e Assisi.
Gli spazi sono sfruttati al massimo e le case condividono le mura perimetrali, proprio come nei dipinti di Giotto.
Il progetto
Il borgo è un esempio di “Architettura senza architetti” - come venne definita dallo storico-architetto Bernard Rudofsky - costruito dagli abitanti in maniera spontanea, con materiali e tecniche tradizionali. Il celebre architetto e fotografo Norman Carver pubblicò un libro sulle architetture spontanee dell’arco collinare italiano “Italian Hilltowns”, e definì il Castello di Postignano l’archetipo dei borghi italiani tanto da utilizzare la sua foto per la copertina del libro.
Il 14 ottobre 1997, appena vennero iniziati i lavori di restauro, ci fu un terremoto terribile che danneggiò pesantemente la parte centrale del borgo. La scossa sismica fece crollare un edificio nella parte centrale che, come un domino, fece cadere i fabbricati limitrofi. Questo terremoto portò alla luce un prezioso affresco del Quattrocento dietro all’altare della Chiesta della S.S. Annunziata che fino a quel momento era stato celato.
Dal terremoto alla ripresa dei lavori passarono 10 anni, sia per motivi burocratici sia perché ci si rese conto che occorreva reperire ingenti risorse economiche per riprogettare il restauro in base alle nuove esigenze antisismiche.
Per poter rendere le abitazioni sicure, è stato necessario un notevole lavoro di consolidamento strutturale con il rinforzo delle murature e delle fondamenta. Inoltre, si è provveduto ad impermeabilizzare ogni strada per evitare infiltrazioni d’acqua piovana. È stato ricostruito l’intero impianto fognario, ma anche quello elettrico, gli acquedotti ed è stata installata la fibra ottica.
In tutto il progetto c’è grande rigore filologico, per esempio, le pietre usate per la costruzione sono le stesse che erano crollate e sono state riutilizzate. Prima di iniziare i lavori sono state fotografate tutte le abitazioni e si è cercato di usare anche la memoria storica degli abitanti per poter ricostruire la vita in maniera autentica. Sono stati intervistati e si è cercato di recuperare lo spirito e l’essenza del modo di vivere nel borgo.
Si è cercato di recuperare molti elementi di dettaglio come, per esempio, lo zoccolino alto dipinto con colori pastello presente all’interno degli appartamenti. Proprio perché erano case costruite singolarmente e in tempi diversi, le strutture sono irregolari e diverse una dalle altre. La difformità è stata mantenuta sia nelle colorazioni che nelle forme delle porte e degli infissi.
La nuova vita
Attualmente il borgo è completamente ristrutturato e, camminando tra i vicoli del borgo, si viene pervasi da un senso di serenità e di stupore: ogni dettaglio è curato e ogni pietra è tornata al suo posto. Parte del borgo è destinato all’albergo diffuso mentre altre abitazioni ristrutturate sono state messe in vendita.
Gli appartamenti sono stati arredati con cura, creando degli ambienti accoglienti e autentici dove libri, quadri, tessuti artigianali danno un calore particolare.
Oltre ai circa 60 appartamenti ristrutturati, il borgo ha diversi luoghi per mostre e delle aree museo, una sala biliardo ed alcune botteghe artigianali. Ci sono spazi comuni per eventi e per concerti oltre ad un roseto da dove poter ammirare il paesaggio della valle.
In un relais deluxe, non poteva mancare la piscina con la spa e bagno turco, jacuzzi esterna, sala massaggi per potersi rilassare e usufruire di trattamenti benefici.
La Cucina
La gestione della ristorazione del borgo è curata dallo chef Vincenzo Guarino di Vico Equense che definisce la sua cucina “creativa mediterranea”. Le sue preparazioni sono sempre equilibrate, esteticamente accattivanti ed esaltano i prodotti locali. La sua esperienza lo ha portato a specializzarsi in cucina da alta hotellerie e ha acquisito abilità che gli consentono di gestire la proposta gastronomica dell’intero borgo. Tutto questo impegno richiede una rapidità di esecuzione, profonda conoscenza delle materie prime, capacità di adattamento e di relazionarsi con brigate piccole e grandi, con clienti dai gusti più disparati.
All’interno del borgo, si possono scegliere diverse location che garantiscono un ventaglio di proposte variegato. La tradizione e i prodotti umbri sono esaltati nel ristorante “La Casa Rosa”, la trattoria “La Terrazza” è un bistrot aperto dalla colazione alla cena, nella bottega- wine bar “Vino & Olio” si possono degustare ed acquistare prodotti locali.
Il fiore all’occhiello dello chef è la Tavola Rossa, un luogo speciale dove poter godere di vere esperienze gastronomiche. Di giorno, lo chef tiene delle lezioni di cucina per gli ospiti del borgo, mentre a cena la Tavola Rossa ospita non più di 12 persone che potranno cenare con lo chef, che spiega e termina i piatti a tavola creando un’atmosfera indimenticabile. La formula è innovativa e di grande appeal, si cena in una bellissima sala, con un unico tavolo incastonato tra mura antiche che flirtano con il meglio che la tecnologia possa offrire.
Il Castello di Postignano è un borgo vivo, inserito dal Ministero dei Beni Culturali nell’elenco dei monumenti di interesse storico-artistico e che in una nota ufficiale dell’UNESCO viene descritto il progetto come qualcosa che “interpreta con efficacia i valori dell’UNESCO afferenti alla salvaguardia del panorama e dell’ambiente”.
L'autunno è alle porte e la nuova collezione autunnale con puntualità ed eleganza ha fatto già la sua entrata.
Nonostante le alte temperature non accennino ad abbandonarci sarà opportuno non farci cogliere impreparati ed iniziare a pensare al cambio stagione e a rinnovare il nostro guardaroba.
Innanzitutto cominciamo con le calzature, alle scarpe sportive oramai irrinunciabili e disponibili in modelli sempre più colorati e fantasiosi, (messe da parte le sneakers bianche per l'imminente cambiamento del tempo ), ideali per coloro che amano gli outfit minimal e non solo.
Si affermano e si riconfermano le scarpe dècolletè a punta nere, un classico intramontabile da abbinare ai tailleur giacca e gonna, il nuovo protagonista delle collezioni autunno inverno 2023-2024.
Come di consueto, in fatto di colore, i capi autunnali si tingono di nero, marrone, senape con tutte le nuances derivate, tonalità delle foglie cadute dagli alberi, e saranno molte le vetrine allestite in tema autunnale. Ma non è solo così perché ci saranno nuovi colori di tendenza che ravviveranno il nostro guardaroba autunnale-invernale quali il giallo limone, il rosa confetto, il celeste ed anche il verde ed il rosso tipici del periodo natalizio. Costante saranno i vestiti di pelle-ecopelle, da sfoggiare sia di giorno e di sera.
Se già da qualche anno la moda ha cambiato parvenza, si è evoluta nel proporre abiti indossati da modelle tutt' altro che magrissime come indossatrici over size o splendide modelle curvy;. La moda propone, ma ognuno di noi segue il suo stile libero di scegliere come farlo e budget permettendo. La nostra moda Italiana è considerata nel mondo una delle più importanti: made in Italy è sinonimo di qualità, fascino e bellezza.
A livello internazionale la moda del 2023-24 abbraccia concetti di diversità ed inclusione che stanno diventando punti estremamente fondamentali con la creazione di linee di abbigliamento dedicate anche ai disabili.
Diciamolo che la moda sta rinnovando il suo look... era ora!
Analisi sensoriali |
E pensare che l’ho vista nascere. Era l’anno 2011, Vinexpo di Bordeaux. Presentazione del plastico, dove doveva nascere e i tempi d’esecuzione.
Esproprio dei terreni, progettazione finale, prima pietra, costruzione ed infine l’inaugurazione nel 2016 (Cinque anni, tempi rispettati). IO C’ERO!!!
Nel 2022 ha accolto 391.000 visitatori di 93 nazionalità diverse. Il 2022 l’anno del ritorno post-Covid.
La Cité du Vin conferma il suo fascino e rimane una delle attrazioni imperdibili.
Dall’apertura ad oggi i visitatori hanno superato la cifra di 2.300.000 Chapeau!.
Ricordo che qualche “solone italiano” aveva sentenziato tre anni di vita.
Luogo dove esperienze commerciali e culturali sono combinate con laboratori di degustazione, mostre permanenti, auditorium ecc…
Il team della Fondazione per la Cultura e la Civiltà del Vino, Ente pubblico demandato alla gestione complessiva, pronto come sempre ad accogliere i visitatori ed indirizzarli alle sale da loro scelte.
E la Cité du Vin ha raggiunto, nel 2022, un nuovo traguardo ottenendo il Marchio “Intrattenimento sostenibile: emozione responsabile”. Riconosciuto l’impegno atto ad un miglioramento continuo della Responsabilità Sociale d’Impresa in riferimento alle strutture ricreative e culturali.
Il Decanter |
Marchio assegnato al livello Experience, il più alto livello dello standard definito dal Syndacat National des Expaces de Loisir, d’Attractions et Culturels (SNELAC).
Chi finanzia in concreto La Cité du Vin?
La regione Nouvelle-Aquitaine, Bordeaux Métropole, la Fondazione e tanti “mecenati” e senza le “concrete” donazioni di quest’ultimi, forse il Decanter (così chiamata l’avvenieristica Cité du Vin, risulterebbe ridimenzionata ad attrazione locale.
Esposizione del solo vino francese?
Una delle sale interne |
La Cité du Vin onora i vigneti di tutto il mondo attraverso le loro dimensioni culturali, di civiltà, di patrimonio e universali.
L’invito alla visita è rivolto a tutti: principianti, amanti del vino, professionisti, famiglie, giovani, aziende; a chi vuol intraprendere un viaggio spettacolare intorno al mondo vinicolo, attraverso i secoli, in tutte le culture. Chapeau!
Cosa ci riserverà nei prossimi anni?
Sono a conoscenza di un progetto che, se riusciranno ad attuare, sconvolgerà tutto il sistema delle visite nell’ampio territorio del Bordeaux.
Voli low cost diretti su Bordeaux, da varie città italiane, ci sono. Organizzare dei Week-End è possibile!
“Premio Italia diritti umani 2023” ®
Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Free Lance International Press Antonio Russo.
via Ulisse Aldovrandi 16 c/o Unar - ROMA
ROMA 14 Ottobre 2023
Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
In collaborazione con -
Modera e presenta il premio: Neria De Giovanni – Free Lance International Press
Presidente dell’associazione Internazionale Critici Letterari
Saluti del Pres. della Free Lance International Press Virgilio Violo e Antonio Masia Pres. dell’UnAR - Ore 15. 50
Interventi
Massimo Tomaselli –Coord. Resp. coop. “il Futuro Quadrifoglio” ore 16,00
L’assistenza domiciliare integrata nel trattamento delle dipendenze patologiche
video |
Patrizia Sterpetti – Presidente di Wilpf Italia – ore 16.20
"Diritti umani e militarismo"
video |
Ornella Mariani Forni – scrittrice - ore 16,40
“Informazione e diritti umani”
video |
Buffet ore 17.00
I vini offerti
Spumanti Corte Aura |
Vini Bianchi Moncaro Livon Scubla |
Ricasoli Elena Walch Masottina Pievalta La Scolca |
Vini Rossi Casale del Giglio Sannio Consorzio Tutela Vini Fontanavecchia La Guardiense
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Cantina di Solopaca Fattoria La Rivolta Cantine Tora Cantine Iannella 1920 La Miniera del Convento |
Serra degli Ilici Il Poggio Corte Normanna Elena Catalano Torre Varano Viticoltori San Martino |
Coordinatrice l’attrice Mariella Guarnera, consegnano i premi e leggono le motivazioni gli attori:
Annalena Lombardi, Patrizia Tapparelli, Alessandro Peccolo
PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI A MONICA LENTINI
legge la motivazione Alessandro Peccolo
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PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI A ANNA SELINI
legge la motivazione Annalena Lombardi
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PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI A ARNALDO VITANGELI
legge la motivazione Patrizia Tapparelli
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PREMIO ITALIA ALLA CARRIERA A SERGIO TIBERTI
legge la motivazione Mariella Guarnera
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PREMIO ITALIA ALLA CARRIERA A GIORGIO VITALI
legge la motivazione Virgilio Violo
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Galleria d’arte “Sempione” - Donate opere degli artisti:
Stefania Pinci, Sergio Saviantoni, Stefano Sesti
A sorpresa hanno concluso la serata gli amici della Guarner Bros
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foto di gruppo |
Un testo crudo, diretto, velenoso che in un'ora e qualche minuto mette a nudo dinamiche e mentalità del perverso mondo camorrista. Utilizzando il dialetto napoletano, perlopiù fruibile e comprensibile a tutti, la piece risulta ancora ancora più realistica.
“L’imparata” è traducibile come “la lezione”, che il povero venditore ambulante Matteo (Antonello Pascale) dovrà, suo malgrado, sorbire da Vincenzo (Antonio Grosso). Il malvivente è inspiegabilmente uscito di prigione prima di aver scontato tutta la sua condanna. L’uomo sembra inasprito dagli anni passati in carcere e rabbioso cerca qualcuno su cui sfogarsi, ma al contempo sembra anche roso da sensi di colpa o da chissà quale tarlo che lo ossessiona. Così, prende come capro espiatorio il povero venditore terrorizzato. Unica colpa del lavoratore, è quella di aver mancato di rispetto alla sua famiglia, ma come? Proponendo una vendita di biancheria a rate! Pretesto, questo, per scatenare l’ira del malvivente, che inspiegabilmente si sente offeso davanti a tutto il quartiere e alla comunità criminale che lo circonda perché non è in grado d pagare in un'unica soluzione...
Questo atteggiamento palesa la bieca mentalità di un malvivente, che cerca solo un pretesto per scaricare la sua frustrazione. Vincenzo sembra prepararsi per un viaggio, o forse una fuga, insieme ad un altro poco di buono, mal visto dalla famiglia anche perché particolarmente pericoloso. Con lui, quando è al telefono, cambia completamente atteggiamento, dimostrando una sudditanza psicologica ed emotiva che stona con la sua rudezza e prevaricazione contro il povero venditore.
Antonio, nei panni di questo malvivente, manifesta il peggio di sé: violento, provocatorio, frustrato, ma in lui traspaiono anche delle debolezze che cerca di nascondere.
Questo è ben sottolineato dalla regia, che si direbbe abbia voluto intrappolare l’uomo nella scenografia in una gabbia inesistente, quella mentale del protagonista. Impossibilitato ad uscirne, si muove come una tigre in gabbia o una mosca che sbatte continuamente sulla finestra chiusa, vomitando ansia, frustrazione, paura e sfogando tutto sull’altro. Attraverso questa “imparata” il malvivente vorrebbe insegnare al disgraziato il rispetto e come vivere, ma attraverso la lente distorta della malavita in cui è cresciuto e dove si è ritagliato uno spazio che ora però sembra essergli stretto, soffocarlo, fagocitarlo.
Il malavitoso sembra a volte rispecchiarsi in quel piccolo uomo in cui rivede le sue fragilità, e così lo aggredisce; in lui vede il suo alter ego dall’aspetto più umano e debole che deve distruggere, annichilire e soffocare. Una parte da disconoscere, una voce della coscienza diventata opprimente, il suo punto più debole e conflittuale.
Allora, per ritrovare quel potere ormai svilito in cui si è sempre rifugiato, cerca di soffocare questo stato d’animo attraverso il sopruso.
Il testo sottolinea la povertà d’animo e la vigliaccheria di un uomo armato che abusa di una persona semplice e indifesa, mettendo a nudo la difficile realtà di un pentito che ancora non si è staccato dalla mentalità criminale, che ora lo ostracizza e lo vede come traditore. Vincenzo ora vive nel terrore e mostra la paura per le inevitabili ripercussioni che si abbatteranno su lui e sulla sua famiglia. Così, tutto gli crolla addosso, perde la sua identità e il posto in quella parvenza di società malata di cui non fa più parte.
Subentreranno nella scena altre due importanti figure. La prima è la riuscitissima moglie (una bravissima Marika De Chiara), anche lei maltrattata dal marito seppure riesca a tenergli testa, tanto che l’uomo nel confronto manifesta le prime crepe con momenti di estrema fragilità.
La seconda figura è la fantastica Teresa Del Vecchio nei panni della madre. Con lei si svela un altro aspetto del malvivente, ancora più profondo. Lo troviamo rispettoso, si direbbe succube della figura materna, pur manifestando sempre il suo umore altalenante, insofferente, insicuro ed agitato. La madre ha ormai capito qual è il segreto che lo divora.
Antonio Grosso si rivela perfetto nella sua parte in bilico tra violenza, viltà e conflitto interiore. Antonello Pascale gli fa magistralmente da spalla in questo duetto iniziale ricco di forti emozioni che svelano l’intimo di entrambi i personaggi, fino all’epilogo.
Marika invece adotta magnificamente quegli stessi atteggiamenti delle donne della camorra. Si muove, parla e si atteggia rispecchiando magnificamente questa triste realtà. Anche i cambi di umore durante i confronti con il marito sono ben studiati, realistici ed emozionanti. Teresa del Vecchio, la madre, si rivela l’asso nella manica del dramma; espressioni, atteggiamenti, movenze, toni di voce, tutti sono assolutamente perfetti e chiudono questo malsano cerchio, questo circolo vizioso. Grandiosa.
Quattro bravissimi attori coadiuvati dall’attentissima regia di Felice Della Corte, in complicità con gli azzeccati costumi di Lucia Mirabile perfettamente in tema, esaltano personaggi e testo.
Alcune scene in penombra sembrano voler strizzare l’occhio ad opere artistiche di rilievo, una sorta di allegoria drammatica atta a sottolineare i sentimenti espressi dai personaggi, che mi hanno riportato alla mente opere di artisti famosi come Gustave Corbet, Caravaggio, Michelangelo, Francisco Goya, Perez Fabian… La scenografia e le luci giocano molto su effetti che esaltano momenti, situazioni ed espressioni che sembrano ispirarsi a questi autori.
Insomma, il dramma si fa sempre più pesante, si comincia a realizzare che il malvivente ha fatto una scelta che metterà in pericolo tutta la famiglia, ma forse anche peggio, ne macchierà l’onore e la reputazione ed evidenzierà il fallimento dell’educazione ricevuta, tanto da far disperare prima e scatenare poi l’ira della madre, trascinando la storia verso un epilogo tragico ed inaspettato che rivelerà l’assurda ed inconcepibile mentalità camorristica.
Ben lontana, L’imparata, dal voler esaltare queste figure come nei vari Gomorra. Tutt’altro, qui questo sistema e i suoi personaggi sono sviliti, umiliati, mostrati nella loro pochezza e miseria d’animo attraverso il loro linguaggio e il pensiero, che ne mostrano l’essenza degradata e la sudditanza morale, senza inutili orpelli ed ipocriti abbellimenti.
Bell’idea, interessante proposta, ottimo cast e testo.
Teatro Manzoni - “L’imparata”
Di Roberto Iannucci
Regia Felice Della Corte
Compagnia Mania Teatro
Con Antonio Grosso, Teresa Del Vecchio, Antonello Pascale e Marika De Chiara
Aiuto Regia Andrea Goracci
Costumi Lucia Mirabile
Qual è l'oggetto più scrauso (di nullo valore) in assoluto da poter essere preso a noleggio? Monopattino; gommone; pedalò; pattini a rotelle; sci; racchette da sci; minicar?!? la risposta è: nessuno di questi! Nessun oggetto in elenco risulta essere il più economico in assoluto. Ma ce n'è uno, il più prezioso di tutti – che non è in elenco – ma guarda caso è quello che conta più di tutti in assoluto e non costa niente: l'Essere Umano Occidentale!
Proprio così! In parecchie Nazioni del blocco occidentale, prende sempre più piede il raccapricciante “reddito di cittadinanza” che – ovviamente – a seconda di quale sia l'aerea di riferimento, cambia definizione. È, in buona sostanza, il marchio di fabbrica di quei governi sedicenti progressisti, quelli che trasformano gli esseri umani in “risorse” i sordi in “non udenti”, i ciechi in “non vedenti” e gli aguzzini in “politici”. Sebbene la definizione possa assumere ora quel nome ora quell'altro nome, quella che non cambia mai è la sostanza: esseri umani a prezzi stracciati, pagati per restare inermi, mentre la vita scorre inesorabilmente per non tornare mai più indietro. Il dato agghiacciante è che costoro (i percettori di queste miserie) siano stati ipnotizzati al punto da essere felici e contenti di contare meno di un monopattino scassato e sono giunti a minacciare di morte chi abbia preso provvedimenti di alienazione dell'orrido strumento di rincoglionimento di massa.
Ma facciamo due conti, così da capirci meglio e senza fraintendimenti! E per farlo al meglio daremo un occhio esclusivamente a quelli che risultano essere i siti ufficiali reperibili on line ad oggi, Ottobre 2023. I prezzi indicati sono stati ricavati effettuando il calcolo della media su base minima di tre offerte attinte tra i valori minimi e massimi. L'importo si riferisce al costo netto l'ora:
monopattino: 13,20 €
gommone: 20,00 €
pedalò: 15,00 €
pattini a rotelle: 6,00 €
sci: 5,30 €
racchette da sci: 2,80 €
minicar: 2,08 €
ESSERE UMANO 1,00 €
Ci siete arrivati da soli o ve la devo spiegare, come commenterebbe il simpatico ed acuto Silver Nervuti?!?
come ci si arrivi a ad 1 euro è presto fatto: il RDC ha una forbice che si estende dai 480 sino ai 1300 euro mensili, a seconda del numero dei componenti famigliari. La maggioranza dei percettori del RDC riscuote una somma pari ad € 9360 annui che suddivisi per 12 mensilità fa 780 euro al mese. In un mese ci sono in media 732 ore. 780 / 732 ore dà 1,06 centesimi di euro, ecco fatto!
Cosa si può acquistare nel 2023 al costo di un euro? Vediamo un po': meno di mezzo litro di benzina; 0,70 cl di latte vaccino; circa un litro di vino bianco da tavola della qualità più infima possibile; mezz'ora a bordo di una minicar; un quarto d'ora di sci a noleggio; 3 minuti di gommone; 4 sigarette... o un ESSERE UMANO felicissimo di valere meno di mezzo litro di gasolio, fidelizzato e votante ad ogni tornata elettorale, ignorante come una bestia, sempre pronto a scatenare l'inferno pur di continuare ad adulare il o i politici di professione che beccano decine di migliaia di euro la mese alla faccia sua per mantenerlo nell'indigenza di Stato ed abbrutirlo confinandolo ai margini di una vita che più squallida sarebbe impossibile soltanto immaginarla.
Un tempo, quand'ero ancora un ingenuo ragazzo, sentivo parlare malissimo di un politico democristiano, tale Mastella da Ceppaloni, reo di aver raccomandato gli abitanti di un paese intero di oltre tremila anime in cui la disoccupazione era solo un dato snocciolato alla TV. Ebbene, oggigiorno mi chiedo ancora di cosa si lamentassero ai tempi. Il compito di un politico non dovrebbe essere proprio quello di ridurre a cifre da prefisso telefonico la disoccupazione e le sperequazioni sociali, sì o no? O forse dovrebbe essere quello di ridurre un essere umano allo stremo delle risorse e mantenerlo in esistenza senza offrirgli mai la possibilità di sentirsi un vero ESSERE UMANO?