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E’ stata, lo confesso, una scoperta veramente al di là di qualsiasi aspettativa l’essermi imbattuto nel capitolo XI del Gesuita Moderno di Vincenzo Gioberti (1801-1852), intitolato Della religione e civiltà dei Buddisti *, capitolo in cui l’abate torinese aspira, prima di ogni altra cosa, a dimostrare l’infondatezza della tesi secondo cui il Buddhismo sarebbe una religione “atea”. La mia grande quanto gradita sorpresa non è stata soltanto per il carattere insolito della tematica, bensì soprattutto per il modo acuto e anticonformista con cui essa viene trattata, a dimostrazione dell’ampiezza degli interessi culturali del Gioberti e della sua spiccata autonomia di giudizio, che, per alcuni aspetti, potremmo definire pionieristica.
Egli, infatti, sul piano metodologico, si rifiuta subito di lasciare la questione in mano esclusivamente ai filologi, sostenendo che, su problemi di “dogmatica religiosa e di filosofemi”, lo “speculativo” costituisce un “miglior giudice del filologista”, e che non sia tanto il caso di cimentarsi in disquisizioni e tecnicismi per raffinati “addetti ai lavori”, ma che si tratti, invece, di penetrare, con buon occhio filosofico, nel cuore profondo dell’essenza degli
Gioberti |
insegnamenti dottrinali.
A tal fine, come prima cosa, all’interno del Buddhismo, viene proposta la distinzione fra la cosiddetta “parte essoterica” e quella “acroamatica”, ovvero fra religione popolare e religione filosofica.
In merito alla prima, ritiene, senza alcuna incertezza, che si debba necessariamente parlare di “un teismo misto più o meno di politeismo”, mentre, in merito alla seconda, ritiene che si debbano adeguatamente distinguere le scuole considerate “ortodosse dalle eterodosse”, prendendo in considerazione esclusivamente le prime, perché, altrimenti, si potrebbe arrivare all’assurda conclusione di poter considerare atea qualsiasi “religione al mondo, professata da un popolo culto”. Se, infatti, ci si volesse basare sulle tesi sostenute dalle correnti eretico-scismatiche, si potrebbero ravvisare presenze “atee” anche all’interno del Brahmanesimo quanto dello stesso Cristianesimo.
Gioberti, quindi, ritiene che anche in seno al Buddhismo, gli “atei son tenuti per eretici dagli altri, non meno che da noi i nostri”, e che, di conseguenza, le posizioni di carattere radicalmente e coerentemente atee riguarderebbero esclusivamente circoscritte minoranze ereticali.
Al fine di avvalorare la sua tesi, si concentra, a questo punto, sul concetto di Nirvana, riferendosi ad esso come concetto basilare sia per le scuole ortodosse sia per quelle eterodosse, e da lui considerato “il cardine panteistico di tutte le meditazioni orientali” .
Constatato che “Alcuni dei pensatori eterodossi intendono per Nirvana il nulla assoluto”, ritiene che, in questi casi, sarebbe possibile applicare la definizione di atei, anche se ancora meglio risulterebbe quella di “nullisti”.
Ma siccome la maggior parte delle scuole e, in particolar modo, quelle ortodosse, conferiscono al Nirvana “una significazione positiva”, intesa come assai simile al “non ente” platonico e “all’ àpeiron o all’infinito dei Pitagorici, di Anassimandro e di quasi tutti gli antichi filosofi italo greci”, non sarebbe possibile parlare di ateismo, bensì soltanto di panteismo.
Molto bella è, a questo punto, la definizione di ateismo che viene proposta, indubbiamente lontana dai tradizionali stereotipi di carattere confessionale (del tipo: ateo è chi non crede nel dio in cui noi crediamo e/o nel modo in cui noi crediamo).
“Per ateo – scrive – s’intende nel comune linguaggio chi nega la realtà eterna di un principio assoluto e sovrasensibile produttivo per creazione o emanazione o per altro modo dei fenomeni di natura.” Di conseguenza, i cosiddetti buddhisti ortodossi, che, a suo parere, ammetterebbero l’esistenza di tale principio assoluto, non potrebbero essere considerati atei.
Il pensatore torinese afferma, inoltre, che apparirebbe alquanto difficile comprendere come una religione veramente “innestata sull’ateismo”, avrebbe potuto, oltre che venire abbracciata da milioni di seguaci, dimostrarsi “durante e fiorente almeno da ventiquattro secoli”. E ancora più incomprensibile risulterebbe, a suo giudizio, dover accettare, su un piano strettamente pratico, che un culto ateo possa essersi dimostrato “più umano, più mansueto, più civile di altre credenze fondate nel monoteismo, nel panteismo, nel politeismo”, tanto da risultare, nell’ambito delle religioni orientali, moralmente superiore, nei suoi effetti, sia all’islamismo che al brahmanesimo.
Gioberti, pur ammettendo che la componente “ipermistica” presente nel Buddhismo abbia finito, nel tempo, per allontanare i popoli che lo hanno accolto dall’agire nel mondo, attribuisce al credo buddhista una encomiabile inclinazione “favorevole alle imprese civili negli ordini della pace”, nonché il merito di aver dato vita a meravigliose opere architettoniche e ad innumerevoli e preziosi luoghi di culto.
“Questo senso incivilito - dichiara - fu infuso nel Buddismo dal dogma della salute universale, che tempera e modifica le ascetiche intemperanze dell’istinto contemplativo, ed è atto a promuovere naturalmente quei sensi benefici e pietosi, onde mossero le celebri riforme di re Asoco (= Ashoka)”.
A tale proposito, fa riferimento a quanto testimoniato dal padre gesuita Daniello Bartoli (“gran detrattore dei bonzi e perciò tanto più autorevole”), in merito alle popolazioni del “Tunchin” (regione del Tonchino, nell’Indocina francese), le quali “si occupavano a cercare ‘in che opere di virtù acquistar nuovo merito per la vita avvenire, massimamente operando in beneficio del pubblico: come a dire, aprir novi sentieri, con che accorciar la via lunga o spianare qualche erta fatichevole a’ viandanti; voltare archi e gittar ponti sopra fosse, fiumi, torrenti perigliosi a guadare; aprire alberghi, dove gratuitamente ricogliere i pellegrini; e somiglianti, per cui mettere in effetto non mancava loro danaio tra del proprio e del contributo in limosina da’ divoti’ ”.
Sulla base di questa elogiativa descrizione, Vincenzo Gioberti approda, portando a termine le sue riflessioni, a due importantissime conclusioni:
Questi, riassumendo, gli aspetti più significativi presenti nell’analisi giobertiana del Buddhismo:
1.Necessità di distinguere nettamente religione popolare da pensiero filosofico.
2.Necessità di distinguere, all’interno di quest’ultimo, le posizioni ortodosse e maggioritarie da quelle cosiddette eretico-scismatiche.
Particolarmente degni di nota appaiono, a mio avviso, i punti 5-6-7, che denotano la presenza in Gioberti (filosofo, teologo, letterato, politico, ma non certamente orientalista, né storico delle religioni) di una indubbia profondità di analisi, accompagnata da coraggiosa originalità di giudizio. Intorno alla vera natura del pensiero buddhista, infatti, prevalevano, all’epoca, visioni fortemente etnocentriche tendenti alla svalutazione (e, sovente, alla deformazione) di ogni produzione culturale estranea all’Occidente. Assai ricorrente, in particolare, l’uso di una chiave di lettura basata sulla contrapposizione stereotipata fra civiltà cristiano-occidentale, proiettata sul piano della concretezza del fare e dell’agire, e civiltà buddhistico-orientale, immersa in una sorta di torpore ascetico, rinunciatario e antivitale.
Intorno alla vera natura della condizione del Nirvana, in particolare, risultavano dominanti orientamenti interpretativi di carattere nichilista, volti a vedere nell’aspirazione al Nirvana la manifestazione estrema del rifiuto radicale (peculiare della spiritualità indiana) non soltanto della mondana oggettività, bensì anche di ogni forma di esistenza soggettiva.
Lo stesso Vincenzo Gioberti, probabilmente influenzato dal Burnouf, non molti anni prima, aveva sostenuto che “Il fine ultimo che il buddhismo attribuisce a tutte le realtà esistenti coincide con il loro annientamento, il Nirvana, «a cui come scopo supremo anela il creato» nel tentativo di porre fine alla sofferenza della propria esistenza, ottenendo un riposo eterno nella beatitudine del nulla”. **
Ora, tenendo presente che ancora per tutto il XIX secolo, fino ai primi decenni del XX, numerosi orientalisti propenderanno, come ben spiega Radhakrishnan*** , nel considerare il Nirvana come “la notte del nulla, l’oscurità dove ogni luce viene estinta” , decisamente apprezzabile e lucida risulta la posizione giobertiana che sottolinea la presenza di “una significazione positiva” di tale concezione all’interno della maggior parte delle scuole “ortodosse” dell’universo buddhista. Ed anche indubbiamente apprezzabile risulta l’aver inteso che, optando per la tesi di una condizione nirvanica di carattere positivo, risulterebbe impossibile non approdare, poi, all’affermazione dell’esistenza di un principio permanente, paragonabile al concetto di arché proprio delle prime speculazioni onto-cosmologiche elleniche. Cosa questa che consente al nostro abate di parlare di panteismo, riuscendo pertanto a sollevare il pensiero buddhista dall’accusa infamante (almeno dal suo punto di vista di filosofo cristiano) di “ateismo”.
In pratica, la prospettiva giobertiana sembrerebbe armonizzarsi con le parole attribuite al Buddha in persona, che, pur rifiutandosi di ammettere qualsiasi speculazione in merito alla condizione di colui che consegue il Nirvana, si trovò costretto ad ammettere, sul piano del rispetto rigoroso della pura logica, la realtà di “un essere al di là di ogni vita, che è incondizionato, al di sopra di tutte le categorie empiriche”****:
“Vi è, o discepoli, un qualche cosa che non è generato, né prodotto, né creato, né composto. Se non vi fosse, o discepoli, questo qualche cosa di non generato … non vi sarebbe alcuna possibile via di uscita per ciò che è stato generato.” (Udana, VIII 3, e Itivuttaka, 43)
Insomma, considerando che Vincenzo Gioberti scrive circa trent’anni prima dell’ apparizione di un’opera come Iside Svelata (New York 1877), in cui Helena Petrovna Blavatsky (fondatrice della Società Teosofica) contrasterà e smaschererà in maniera magistralmente competente le varie inesattezze insite nelle occidentali concezioni relative all’autentica filosofia buddhista, ritenendo “un fatto incontestabile” che ad essa non appartenga l’insegnamento della finale nirvanica “annichilazione”, non possiamo che riconoscere, nel nostro abate teologo e aspirante orientalista, la presenza di due virtù autenticamente filosofiche:
una particolare brillantezza di intuizione e una robusta capacità di pensiero anticonformista.
*da Il Gesuita moderno, vol. V, cap. XI, Losanna 1847, p. 76: poche paginette, in realtà, all’interno di un’opera di ben cinque volumi.
** https://www.pensierofilosofico.it/articolo/LINTERPRETAZIONE-FILOSOFICA-DI-VINCENZO-GIOBERTI-SULLE-RELIGIONI-ORIENTALI/204/, a firma di Paolo Gava.
*** S. Radhakrishnan, La filosofia indiana, Einaudi, Torino 1974, p. 455.
****ibidem.
Albergo diffuso - Sotto le Stelle - Picinisco foto di Roberto Barile |
C’era una volta, in un borgo della Ciociaria, un manipolo di giovani volenterosi e pieni di sogni che, all’inizio del secolo scorso, partirono per la Scozia in cerca di fortuna.
La storia di Cesidio di Ciacca potrebbe iniziare proprio così. Nato nel 1954 a Cockenzie, villaggio di pescatori fuori Edimburgo, da una famiglia originaria di Picinisco (FR), nella Valle di Comino, terra alla quale è sempre rimasto legato dai ricordi di un’infanzia passata con in nonni tra le dolci campagne natie.
Dopo una brillante carriera come avvocato in Gran Bretagna, Cesidio, con la moglie Selina e i figli Sofia e Giovanni, si è trasferito dove lo ha portato il cuore, a Picinisco, con la voglia di far rinascere questo borgo ricco di valori e di storia. Non sono gli unici ad aver ascoltato il
Cesidio Di Ciacca - Foto di Roberto Barile |
richiamo di questi territori: la sera in piazza, si sente parlare inglese come se fosse la lingua locale e non è raro trovare chi suona e balla musica scozzese nelle fresche serate estive. Una curiosità, a Picinisco è vissuto David Herbert Lawrence, autore di L’amante di Lady Chatterley; Casa Lawrence è una Dimora Storica del Lazio, trasformata in agriturismo da Loreto Pacitti, abile casaro, che ha adibito parte della villa a ristorante, una zona a museo e un’altra dedicata all’accoglienza.
Piano, piano Cesidio ha ricostruito tutta la storia delle sue origini, ha ritrovato e ristrutturato il borgo della sua famiglia, chiamato I Ciacca, dove vivevano circa 60 persone. Secondo i registri dei battesimi della Chiesa di San Lorenzo, i Ciacca hanno vissuto lì circa dal 1500 per poi abbandonarlo nel secolo scorso.
La passione per la storia di Cesidio lo ha portato a ricostruire anche la storia del Maturano, vitigno locale da sempre presente sulle tavole dei contadini. Gli studi Arsial – Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio, che ha condotto ricerche approfondite, hanno stabilito che il Maturano è un vitigno unico a livello genetico, non riconducibile ad alcuno conosciuto.
Il progetto di Cesidio diventa così ancora più ambizioso. Con pazienza e indiscutibile tenacia, acquista da ben 140 proprietari diversi circa 220 piccolissimi appezzamenti di terreno, appartenenti ad oltre 11 famiglie, come i suoi nonni emigrate in tutto il mondo. Il Borgo dei Ciacca torna a prendere vita e nasce l’azienda biologica che attualmente produce vino, miele e olio d’oliva.
I primi reimpianti sono stati eseguiti nel 2013 con barbatelle recuperate da contadini che da sempre le consideravano Maturano autentico. Dai primi reimpianti alla prima vendemmia nel 2017, tutto è stato sperimentazione e constatazione empirica: dal potare, al diradare e raccogliere l'antica varietà non più coltivata nei tempi moderni. Un vitigno storico ma nuovo, come ama chiamarlo Cesidio. Test eseguiti in laboratorio, hanno evidenziato la presenza di due uve morfologicamente differenti seppure con lo stesso DNA e quindi sono state catalogate come maschio e femmina dello stesso vitigno.
Anticamente, il Maturano veniva allevato alla maniera etrusca in viti maritate (la vite è “sposata” all'albero a cui s'avvinghia) alcuni esempi si trovano ancora nel Trebbiano Spoletino in Umbria, nell’Asprinio in Campania e in altre piccole realtà in varie regioni. Non è da escludere che nei prossimi anni, Cesidio riservi una parte dell’azienda ad un frutteto con viti maritate proprio come si facevano i contadini di un tempo, per utilizzare il terreno sottostante per la coltivazione o il pascolo, ottimizzando gli spazi.
Cesidio porta avanti il suo progetto insieme all’enologo Alberto Antonini, conosciuto ad Edimburgo. Attualmente l’azienda produce una linea di vini rossi “Valle Oscura” con le uve conferite da viticoltori locali che hanno appezzamenti nell’omonima valle. In questa linea troviamo il Cabernet d’Atina DOC.
In cantina troviamo delle splendide tulipe di cemento non vetrificato. L’uso del legno è limitato ai rossi e al vitigno Giulia con il quale si stanno portando avanti diverse sperimentazioni. Il Maturano viene declinato in tre versioni: Sotto le Stelle, Nostalgia e l’ultimo arrivato macerato Filosofia. Essenza è il passito con grande piacevolezza e aromaticità senza troppa dolcezza. Dagli assaggi in cantina, il Maturano ha dimostrato grandi doti di longevità ed espressioni molto diverse regalando sempre sorsi interessanti e di struttura. Nelle degustazioni si è distinta l’annata 2017 in tutte le etichette.
Nel Borgo I Ciacca sono in fermento diversi progetti come la scuola di cucina di Nonna Selina, i liquori preparati con la loro frutta, saponi e creme derivati dall’olio e dalle vinacce del vino e molto altro ancora. Tutta l’azienda punta alla sostenibilità e ad essere ecofriendly tanto da prevedere anche delle stazioni di ricarica per auto elettriche. Inoltre, Giovanni Di Ciacca, il media star della famiglia, accoglie tutti virtualmente o di persona. I suoi doni speciali hanno fatto nascere il progetto “Orto”, un polo didattico con il quale si vogliono coinvolgere altri giovani disabili a lavorare e partecipare divertendosi nella realizzazione di un orto comune.
In paese, Cesidio e la sua famiglia hanno realizzato un albergo diffuso, Sotto le Stelle, un boutique hotel, curatissimo in ogni particolare e perfettamente incastonato nel contesto architettonico locale. Ogni suite è dotata di tutti i confort e dalle finestre si può godere di una vista mozzafiato sulla valle, come quadri che donano continua e mutevole bellezza.
Cesidio ha trasmesso la sua energia a molte persone del paese che si sono sentite coinvolte nel voler valorizzare le risorse locali. Ma non solo! Ben Hirst e sua moglie Gaynor Moynihan gestiscono Villa Inglese, un ristorante e un boutique B&B che celebra gli inimitabili prodotti della montagna appenninica. Qui si possono incontrare i produttori e assaporare i prodotti raccolti nella stessa giornata preparati dallo chef che si ispira alla tradizione appenninica con un vezzo britannico. Ben è in
Villa Inglese - Picinisco - foto di Roberto Barile |
Italia da più di 25 anni e ha lavorato nelle cucine di alcuni dei più grandi chef europei, è un appassionato sostenitore del mangiare “dal muso alla coda” nel massimo rispetto dell’animale. Non ha radici a Picinisco ma qui pensa di aver trovato il posto ideale dove potersi esprimere al meglio.
Nella bella Ciociaria, tra le montagne di Valle di Comino, c’è una favola che sa di buono, ha il sapore delle cose antiche e la luce delle cose nuove. Un sogno che è partito dalla lontana Scozia e che si è concretizzato nel Borgo de I Ciacca, tra i tralci del Maturano.
I presentatori |
Si è svolta sabato 12 e domenica 13 agosto scorso presso i giardini di Vigna la Corte a San Felice Circeo (LT) la seconda edizione di "Bellezza e musica sotto le stelle".
L’evento era composto da due fantastiche serate: la prima con discoteca all’aperto ha visto coinvolti circa 1500 giovani che hanno ballato con la musica offerta dagli OFF LIMITS. E’ stato uno spettacolo mozzafiato che ha offerto, un palco sputa fuoco, spara coriandoli e lancia fumo e musica a manetta.
Nella seconda serata si è svolta una selezione ufficiale del Concorso Nazionale progetto di inclusione sociale, bellezza e talento "Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo" IV° edizione 2023 (concorso diretto a bambini fino ai 13 anni, ragazze e ragazzi dai 14 ai 30 anni, over donne e uomini dai 31 ai 60 anni, curvi e soprattutto persone con disabilità varie). La a conduzione dell’evento è stata affidata al bravissimo show man Antonio Delle Donne affiancato dalla bellissima e bravissima modella e fotomodella Martina Di Prospero.
Il Concorso Nazionale di integrazione sociale, bellezza e talento “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” è un concorso nel suo settore che offre realmente ai concorrenti opportunità di crescita professionale nei vari settori dello spettacolo. Grazie alle collaborazioni che si stanno stringendo in ambito del mondo dello spettacolo, il concorso concretizza le ambizioni di tutti i partecipanti.
“ Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” - Concorso Nazionale di inclusione sociale, si differenzia da ogni altro Concorso perché è uno dei pochissimi concorsi che nasce, come appunto dice il nome, con lo scopo di includere socialmente tutte le persone che vogliono avvicinarsi a questo mondo ed in particolare a tutte quelle persone con problemi di handicap fisici e/o psico fisici che vorrebbero
la modella Eddy |
mettersi in gioco ma invece sono sempre esclusi dagli altri contest.
Questo contest non punta alla ricerca esclusiva della bellezza dei concorrenti, ma tende ad individuare attraverso le numerose selezioni, elementi nuovi dotati di talento e personalità. Una serie di precise caratteristiche professionali che poi devono essere proposte nel mondo dello Spettacolo, della Moda, del Cinema, della Pubblicità e della Televisione.
Alla luce di quanto sopra il Sindaco Monia Di Cosimo e l'amministrazione comunale, hanno fortemente voluto lo svolgimento del concorso e con grande sensibilità hanno inteso evidenziare che proprio la disabilità ed il sociale dovevano essere al centro della serata. Proprio per questa ragione è stata creata una fascia speciale, ovvero la fascia di Ragazza Solidale San Felice Circeo.
Prima di iniziare le varie fasi del concorso, sono state effettuate delle riprese video da parte del regista Michele Conidi, a cui hanno partecipato tutti i concorrenti che desiderano essere inserito nella sua parodia musicale di prossima uscita.
i giurati della serata presenti erano: il cantautore neomelodico Nello Fiorillo, l'Hair Stylis Giorgia Calisi, l'imprenditrice titolare del negozio “Il Baule di Circe” Antonella Meo, l’imprenditrice titolare dell'Agenzia Immobiliare Express Antonella Legge, il fotografo Maurizio Perria, il cantautore Giorgio Spinelli in arte Shard, il giornalista Rino Sortino. e per chiudere il Presidente di giuria Marco Di Prospero ovvero il Presidente del Consiglio Comunale di San Felice Circeo. Questi ha portato a tutti i presenti, i saluti del Sindaco Monia Di Cosimo, il Vice Sindaco Luigi Di Somma e dell'amministrazione comunale tutta.
Così, dopo i dovuti ringraziamenti si sono svolte le tre uscite dei concorrenti, in abito casual elegante e costume.
Durante i vari cambi si sono esibiti vari ospiti tra cui il cantautore Shard, il cantautore neomelodico Nello Fiorillo, la cantante Azzurra Egidi prima da sola e poi in duetto con il cantante Alessio Lizzino (in arte Confuso), l’atleta Michel Zanoboli con una esibizione di bodybuilding e per concludere l'esibizione dello stesso Antonio Delle Donne. Quest’ultimo ha esaltato il pubblico presente con la sua grande impronta comica.
Si è poi proceduto alla premiazione finale, non prima di aver distribuito alcuni omaggi (da parte dell'organizzazione), a tutti i partecipanti tra i quali un attestato di partecipazione ed un peluche a loro scelta.
Per quanto riguarda la categoria Ragazze le 4 fasce di accesso alla finale regionale Lazio di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” (offerte dalla Profumeria Lucci, dalla ditta T.D.F. Costruzioni, dal beach restaurant Il Veliero e dalla Mttm Events) sono andate a Viola Palombo, Aurora Subiaco, Jasmine Favoriti ed Aurora Rossi, quella di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” - LADY (offerta dall negozio Cogli l’Attimo) è andata a Luana Gentili,
quella di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” – OVER (offerta dalla farmacia Litoranea) è andata ad Adele Petronio, quella di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” – SPECIAL (offerta dalla Mtm Events) è andata ad Aurora Gavillucci, quella di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” – CURVY offerta dalla Circeo Music School) è andata a Luana Gentili, quella di Ragazza Assicurazioni Martina Di Prospero (offerta dalla stessa Martina Di Prospero) è andata a Martina Amelia Lucente,
quella di Ragazza Frenesia Rock (offerta dal pub che ha anche omaggiato la vincitrice della fascia di una cena gratuita presso il pub stesso) è andata a Chiara Corbanese, quella di ragazza Cafagna Prodotti Ittici (offerta dalla ditta stessa) è andata a Chiara Stasi e quella di ragazza Solidale San Felice Circeo (voluta dal Comune di San Felice Circeo) insieme alla coroncina è andata a Sofia Trifella ovvero la ragazza più votata della serata, a cui è andato anche uno shooting fotografico gratuito offerto dai fotografi Maurizio Perria, Luca Blasco e Marco Di Trocchio.
Per quanto riguarda i ragazzi la fascia di accesso alla finale regionale Lazio di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” (offerta dalla Mtm Events) è andata a Cristiano Fedeli, quella di Ragazzo Si' Rent Point (offerta dalla ditta stessa) è andata ad Angelo Vastola e quella di Ragazzo Itop Officine Ortopediche (offerta dalla ditta stessa) a Nicolo’ Perticone.
Per quanto riguarda invece i bambini, le 5 fasce di accesso alla finale regionale Lazio di “Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo” (offerte dalla gelateria Casa del Dolce, dalla Pizzeria L’Arte del Pane, dalla pasticceria Peccati di Gola e 2 dalla Mtm Events) sono andate a Davide Zordan, Alessandro Mattei, Aurora Zordan, Sofia Ruggiero e Alessandro Lucci, quella da Bambina Over Sea Risto Pub e pizzeria (offerta dalla ditta stessa che ha anche offerto da mangiare gratuitamente a tutti i concorrenti ed ai membri della giuria)
a Rebecca Congiu, quella di Bambino Pro Loco di San Felice Circeo (offerta dalla Pro Loco stessa) a Mattia Georgian Lucente, quella di Bambina Agenzia Immobiliare Express (offerta dalla ditta stessa) ad Aurora Marrocco, quella di Bambina Il Baule di Circe (offerta dalla ditta stessa) a Penelope Serrapiglio, quella di Bambina Accademia L’Arte nel cuore (offerta dall’accademia stessa) a Cecilia Monacelli e quella di Bambina 3B Production Film (offerta dalla ditta stessa) a Dalila Izzo.
La regia audio è stata affidata alla Off Limits ed il suo staff, fotografo ufficiale della serata Ramon Carusi insieme agli altri fotografi ospiti della serata Marco Di Trocchio e Luca Blasco, riprese video a cura di Ramon Carusi, coordinamento e regia dei concorrenti Michele Conidi, la supervisione ovviamente affidata al Patron Massimo Meschino.
"I nostri ringraziamenti personali vanno in primis all'Amministrazione Comunale di San Felice Circeo, al Sindaco Monia Di Cosimo, al Vice Sindaco Luigi Di Somma, al Presidente del Consiglio Comunale Marco Di Prospero, al Presidente della Pro Loco di San Felice Circeo Manuel Attardo, a tutti i concorrenti della serata, ai loro genitori ed accompagnatori, ai cantanti Nello Fiorillo, Shard, Azzurra Egidi e Alessio Lizzino, all’atleta Michel Zanoboli, al presentatore Antonio Delle Donne, al folto pubblico presente, a tutti i giurati, a tutti i partner regionali, a tutti gli sponsor ed a tutte quelle persone che hanno permesso l'enorme successo dell’evento”
queste le parole finali degli organizzatori Massimo Meschino e Martina Di Prospero, a cui si sono aggiunte quelle del solo Patron del concorso Massimo Meschino “vorrei ringraziare particolarmente la persona che per il secondo anno consecutivo ha veramente creduto tanto nell'evento e si è data da fare notte e giorno instancabilmente per circa 2 mesi, ed è la persona che più di tutte ha il merito di questo grande successo, ovvero Martina Di Prospero".
In conclusione ricordiamo che si cercano Agenti regionali e/o territoriali per tante aree ancora scoperte sul territorio italiano.
Chi volesse partecipare alle prossime selezioni o volesse altre informazioni, può rivolgersi al Patron Massimo Meschino al numero 328/8954226, visitare il sito internet www.agenziamtmevents.it dove troverete tutte le info sia dell'Agenzia che del concorso stesso oppure visitare la pagina Facebook Una Ragazza, un Ragazzo e un Bambino per lo Spettacolo.
Da una quindicina d'anni a questa parte, alla cittadinanza italiana, ai turisti e soprattutto alla popolazione capitolina, è impedito passeggiare liberamente in Piazza Montecitorio e Piazza Colonna. Motivo di questo impedimento fisico? Transenne di ferro, anzi: orride strutture di ferro amovibili e vasi dozzinali di cemento divenuti contenitori di cicche di sigarette e lattine che oltre ad impedire a cittadini e turisti di passeggiare su suolo pubblico, cozzano tremendamente con la fastosità circostante. Un ripugnante quanto squallido abuso di potere ulteriore, venne messo in atto col governicchio messo in piedi sempre da Napolitano, uno dei tanti di allora; mi riferisco a quello compreso tra Monti e Renzi. Si disse che piazzare ostacoli fisici sarebbe stata una misura per contenere atti violenti come quella specie di sparatoria del 28 Aprile 2013 sulla quale - in certi ambienti - si avanzano sospetti sulle dinamiche e sul movente e che la vera motivazione dell'escalation di tensione si diceva fosse dovuta al fatto che "I POLITICI TIRANO TROPPO LA CORDA" come riportava il virgolettato de "Il fatto quotidiano". Elucubrazioni complottiste a parte, oggi, 2023, un pezzo del centro di Roma non può essere gustato a piedi e nemmeno con altri mezzi perché è stato relegato ad uso esclusivo dei parlamentari non eletti dal popolo ma dalle segreterie di partito: esattamente quelli che a seguito della chiusura dell'Ospedale San Giacomo di via Ripetta si sono fatti costruire una sala di rianimazione all'interno di Montecitorio, tanto per capirci o, se preferite, quelli che con meno di dieci euro s'ingozzano di prelibatezze nella splendida cornice del prestigioso ristorante “buvette” presso cui nessun plebeo è ammesso.
Nella città dell'immondizia a cielo aperto e del meretricio con le chiappe al sole, va bene anche questo...
Napoli nel 600, 700 e 800 è stata una capitale dal passato storico europeo importante, dove vi transitavano artisti di ogni genere: musicisti, parolieri e grandi interpreti.
Questa è stata la ragione principale che poi nell’indotto si è potuto fare della grande musica. Con il passare del tempo i più importanti pezzi musicali sono stati riproposti nell’ambito di un repertorio più moderno e strutturato.
I grandi artisti di allora aprirono due strade: l’interpretazione lirica e la canzone cosiddetta più confidenziale, più da salotto. In ogni caso la musica popolare napoletana proviene da tempi ancora più antichi: si può fare cenno al canto delle lavandaie del Vomero, una allegoria del 1200 che era un canto di protesta contro la dominazione aragonese, in cui il fazzoletto assume il significato di terra.
Negli anni a cavallo tra l’800 e il 900, l’incisione fonografica era ancora inesistente per cui si stampavano gli spartiti esclusivamente attraverso le cosiddette “copielle”.
Queste canzoni che si rivolgevamo ad un pubblico borghese, vendevano centinaia di migliaia di copie ed altri musicisti avevano la possibilità di riproporle a casa attraverso un pianoforte.
Ad esempio la celebre “funicoli funicolà” pare che abbia venduto centinaia di migliaia di copie non di dischi ma di spartiti, per cui si può immaginare l’enorme successo nazionale ed internazionale di questo celebre brano.
Con l’uscita sul mercato in Italia del primo fonografo, venne inciso il primo disco nel 1895 – 15 anni dopo l’uscita di Funiculì funiculà – con una canzone di Bernardo Cantalamessa dal titolo ‘A risa”(la risata).
Per conoscere più profondamente il percorso di un interprete della meravigliosa musica napoletana, abbiamo incontrato Mimmo Di Francesco, un artista che da anni, (da solista e in gruppo), interpreta le celebri melodie partenopee accompagnandosi con la chitarra.
Mimmo parlaci di te e della tua passione per la musica partenopea
La passione musicale mi venne verso i 16, 17 anni quando abitavo a Napoli. In seguito iniziai a suonare la chitarra e come spesso succede, si finisce per imbattersi in qualche canzone napoletana, perché è il patrimonio culturale della città. Iniziai a suonarle e provai una grande passione anche a cantarle.
Dopo qualche tempo volli provare un’altra esperienza e iniziai a collaborare per una compagnia teatrale, dove si faceva teatro classico dialettale, con le relative musiche delle canzoni che sottolineavano alcuni momenti della trama della commedia.
Cosa c’è di magico nella città di Napoli che riesce a creare tanti artisti?
E’ un qualcosa che risiede nel DNA di tutti i napoletani. Un noto verso di una canzone napoletana “O surdate” cita: “Io sono napulitano e si non canto, moro”. E questa frase la dice tutta. Napoli è una città molto musicale perché è legata alla leggenda della “sirena partenope” che fondò la città e le sirene è risaputo che cantano. Il mito racconta la Sirena Partenope che con il suo bellissimo canto cercava di sedurre il giovane Cimone, ma questi rifiutò. Partenope allora per il dolore, si gettò dalla roccia più alta. Le onde portarono il suo corpo fino al golfo di Napoli, precisamente sull’isolotto di Megaride.
Mimmo qual è la denominazione del gruppo nel quale ti esibisci?
Gruppi musicali in realtà ne ho diversi e sono almeno dieci anni che giriamo soprattutto il Lazio per fare concerti. Il gruppo più noto è il “Cuore napoletano”, poi ho un progetto aperto che si chiama “Partenope In-Canto”. In questo ambito, mi avvalgo della collaborazione di altri musicisti, quindi può essere un duo, un trio, un quartetto, o un sestetto. C’è infine il gruppo dei “latinapoli” della nostra città, con i quali recentemente ci siamo esibiti il 31 luglio a Cori (per la festa del Corace).
Noi proponiamo la canzone classica napoletana con degli arrangiamenti diversi che tendiamo a vestirla in maniera più moderna. Questo genere ci permette di fare delle elaborazioni e degli arrangiamenti personalizzati.
Quali sono i pezzi musicali che normalmente suoni con il gruppo durante le serate?
A noi piace proporre brani più celebri tra i quali: Reginella, Malafemmina, O Surdato ‘nnamurato, Tammurriata nera. Nel nostro repertorio inoltre, cerchiamo di aggiungere anche pezzi musicali meno noti per fare un’opera di divulgazione, perché questo è uno dei nostri scopi.
Che strumenti utilizzate nel gruppo?
Oltre a chitarre di vario tipo, utilizziamo anche strumenti a percussione come classici tamburi a cornice della tradizione, abbiamo anche la fisarmonica e il clarinetto. Sono tutti strumenti tradizionali e non vi sono strumenti elettronici. E’ proprio una nostra precisa scelta di identità.
Progetti futuri?
Abbiamo già qualche data per dei prossimi concerti, ma non abbiamo l’ufficialità. C’è soprattutto l’intenzione di fare un disco insieme, ma dobbiamo reperire le risorse per realizzare questo progetto. Sarò un disco dove proponiamo il classico napoletano rivisitato.
Nella città di Latina dove viviamo, vedo che quando vi esibite, siete accolti da tanto entusiasmo.
A Latina siamo avvolti dall’affetto di tanta gente che ci segue nei nostri spettacoli. C’è ancora tanta gente però che confonde il genere musicale che proponiamo, con il neomelodico.
Di certo la canzone napoletana rappresenta la musica italiana nel mondo e infatti tanti stranieri ne sono attratti. La mia speranza è che questo genere musicale possa essere apprezzato sempre più anche dalle giovani generazioni, per conoscere la nostra vera tradizione e identità.
Mimmo Di Francesco nel tuo percorso musicale, ti senti di essere grato a qualcuno?
In particolare vorrei ringraziare il maestro Enzo Alvino, il regista che mi ha introdotto nel mondo musicale napoletano e poi tutti i grandi interpreti della canzone napoletana che mi hanno ispirato. Invito ad andare ad ascoltare tra i tanti, i dischi di Roberto Murolo, di Renato Carusone, di Angela Luce e di Sergio Bruni.
Nelle vecchie incisioni storiche degli anni 50 agli anni 70, c’è tutto quello che si deve sapere sulla musica napoletana, che è sempre stata fonte di gioia, di bellezza e di soddisfazione.
Per concludere, cosa ci puoi dire del tuo modo di interpretare un genere musicale così importante?
Io cerco di metterci la mia personalità, però prima di affrontare qualsiasi brano napoletano, vado a vedere se lo ha inciso Roberto Murolo che a mio parere è stato il più grande interprete della canzone napoletana. Roberto Murolo è l’essenzialità sotto forma di chitarra e voce ed è veramente enciclopedico perché credo che le canzoni più belle le abbia incise tutte o quasi. Renato Carusone può essere considerato un grande innovatore e negli anni 50 e dopo essersi recato in America, ebbe la grande intuizione di mettere insieme il jazz americano con la tradizione napoletana, fondendo il tutto con la sua grande ironia. L’ultima grande artista napoletano a mio parere è stato Pino Daniele, un artista apprezzato in tutto il mondo, per essere riuscito a riunire la tradizione partenopea, con il jazz il blues e la musica pop.
Grazie Mimmo Di Francesco e buona fortuna
Lo spettacolo è scritto, diretto ed interpretato con molta sensibilità da Alessio Chiodini, anche nella veste della Bestia, proprio quella ispirata alla famosa favola. Al suo fianco Alessio ha voluto la deliziosa e bravissima Valentina Corti nel ruolo di Belle (la Bella) e Giovanni Pelliccia nelle vesti di narratore.
Questi bravi artisti ci porteranno virtualmente nella sala di un castello, riproposto in questo suggestivo teatro, per raccontarci una loro versione della famosa favola che alcune fonti fanno risalire alla metà del XVI secolo e alla penna dello scrittore italiano Giovanni Francesco Straparola, anche se comunemente viene attribuita a Jeanne-Marie Leprince de Beaumont che la propose nel 1740.
La storia potrebbe essere stata ispirata da un fatto reale.
Nel 1537 a Tenerife nacque Pedro Gonzales, afflitto da ipertricosi, una rara e particolare malattia genetica che ricopre di peli tutto il corpo, viso compreso. È questa disfunzione che forse ha ispirato anche l’ideazione di Chewbacca, lo strano peloso personaggio di Guerre stellari, come può aver ispirato le credenze popolari sull’esistenza dei lupi mannari…
Pedro arrivò ad essere “adottato” dal re francese Enrico II, che lo educò e ne fece un nobile istruito a tutti gli effetti. Nonostante la sua particolarità, la giovane Caterina di innamorò di lui sposandolo e dandogli ben sette figli, di cui cinque afflitti dallo stesso disturbo.
Dopo le repliche romane, lo spettacolo sarà ospitato in alcuni castelli italiani, a partire dal Castello Fittipaldi Antinori di Brindisi Montagna, e percorrerà varie tappe nello stivale fino ad arrivare in Trentino Alto Adige in estate, dove terminerà il tour.
Il Teatro dei Documenti si presta molto bene a questa proposta. A ridosso del Monte dei Cocci di Testaccio, è una sorta di labirinto pieno di sale con un loro particolare fascino, che permettono una realizzazione scenica molto suggestiva. Credo unico nel suo genere, alcune sale mi hanno ricordato i mitrei romani o le tombe precristiane. L’ambientazione dunque è perfetta, grazie anche alla sapiente illuminazione che gioca con dei bellissimi effetti creando un’atmosfera surreale. Qui i personaggi si muovono in quella che sembra la sala da pranzo di un castello, con tanto di pianoforte parlante. In questo ambiente irrompono facilmente ed immediatamente la quarta parete, sfruttando l’idea del metateatro.
Il primo ad apparire è il narratore menestrello Giovanni che presenta la storia, ben sviluppata e concentrata in cinquanta minuti. La recitazione, come la voce di Giovanni, sono perfette per questo ruolo, così come la sua gestualità. Ci apparirà anche nei panni del padre di Belle e presterà la voce, oltre che come narratore, anche al pianoforte parlante, rendendolo simpatico con i suoi discorsi e con un caratteristico accento francese con cui dialoga con i personaggi.
Alessio, che ho apprezzato pochi giorni fa in “L’amico ritrovato” e tempo addietro in “L’acqua e la farina”, indossa una maschera che ricorda il dio celtico dei boschi Cernunno. Eclissato dalla maschera, non puoi contare sulla sua particolare espressività, dunque si riscatta con un’ elegante gestualità e l’uso di toni di voce profondi o suadenti, alternando modi bruschi a più dolci per caratterizzare la Bestia. Ci riserverà poi un momento davvero toccante, alla fine dello spettacolo, quando apparirà con le sue fattezze umane ad incantesimo spezzato.
Valentina mi stupisce. Esprime una dolcezza, una delicatezza ed un’ espressività che incantano. Ho avuto modo di apprezzarla poco tempo fa in un bellissimo spettacolo dal titolo “Più vera del vero”, in cui impersonava un androide. Semplicemente fantastica! Valentina sa giocare bene con la voce e la gestualità, ma soprattutto con la sua inesauribile gamma espressiva. I suoi sguardi sempre profondi, che passano dal malinconico al gioioso, sono in grado di trasmettere forti emozioni che colpiscono inevitabilmente lo spettatore. Stasera sembra davvero uscita dalle pagine di questa favola. Insieme ad Alessio e a Giovanni ci porta per mano in questo mondo incantato attraverso un dramma fino al suo toccante, commovente e delicato epilogo che mi ha particolarmente commosso con il loro bellissimo abbraccio finale e le romantiche frasi che si sono scambiate, complici anche la belle parole di alcune poesie di Prevert inserite nella sceneggiatura da Alessio.
Una bella favola che tra suoni, luci e una buona regia, riesce a lasciare il segno.
Produzione: Produzione spettacoli teatrali
Sulla luna non siamo mai andati, cioè gli amerikani non sono mai andati; la terra non è tonda (così come il quadro di Leporello); Barbra Streisand non è mai stata bella; Guccini è un grande cantante. Verità e menzogne che odorano o puzzano di verità che non sono platonicamente opinioni ma appunto essenze e per ciò stesso innate in quanto ben altra cosa dalle “cose del mondo” sensibile. E innate sono le colpe dei fascisti venute al mondo con loro stessi che com’è noto non hanno storia, innate quelle dei fascisti storici (che pur una ragion d’essere l’ebbero, tra crisi dello Stato liberale e misero fallimento dei socialismi), innate quelle dei neo-fascisti che tentarono di buttar giù uno Stato disarmato, con l’aiutino (“Mara un aiutino”) dei servizi segreti, di pochi militari e di una o più logge massoniche. Non ce la fecero. Guai ai vinti.
C’è una barzelletta che gira sui fascisti. La riassumo. Un domatore salva un bambino, in un circo, da morte sicura perché un leone sta per sbranarlo. Il giorno dopo si scopre che il domatore è “fascista” e allora tutti si schierano dalla parte del povero leone che quel disgraziato domatore voleva far morire di fame… Francesco Cossiga, cattolico e liberale, indicò per la strage di Bologna una pista palestinese, vari altri intellettuali e giornalisti di sinistra (oggi sulle pagine dei giornali) avanzano dubbi sulle certezze delle sentenze e sulla colpevolezza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Se ne può discutere, se ne discusse. Quando Marcello de Angelis dirigeva “Area”, quel mensile pubblicò servizi e speciali “revisionando” gli esiti del processo, dubitando dunque della reale colpevolezza dei colpevoli. Perfino in quel caso se ne poteva discutere.
Ma oggi che il “fascismo” è di nuovo al potere (e la sinistra, di Schlein e Conte, è ancora più incapace), oggi che Carlo Ginzburg urla la sua preoccupazione sugli inganni della destra e sulla forza psicologica che essa mette in campo per imbrigliare e imbrogliare il povero elettorato, che de Angelis ripeta quel che ha sempre detto e che (da cittadino) avanzi dubbi sugli esiti processuali di quella dannatissima storia, oggi no!, oggi è tutto dannatamente pericoloso. Gli è che bisogna lottare con ogni energia per annullare il falso ordine democratico (la democrazia val sempre bene per noi non per gli altri) sul quale basa il proprio potere questa destra fascista o questo fascismo di destra.
Strano paese il nostro. Cattolico, campanilista e tradizionalista ma proprio non va l’idea di voler negare il progresso per affidarsi alla conservazione, a Panfilo Gentile, a Giovanni Gentile, a Giuseppe Prezzolini. E guai se hai il potere per scrivere finanche due righe. Prezzolini disse che l’Italia era un’invenzione letteraria ma se tornasse si rimangerebbe ogni parola perché la letteratura è morta e “quelle” invenzioni sono state derubricate a noie…
Per gentile concessione delle “Jene sicule”
La Torre del Castello |
“Venerdì 26 Maggio presso il Castello di Sonnino, via Volterrana Nord a Montespertoli i produttori di Castello di Sonnino e Fattoria La Leccia sono “felici” di invitarla alla scoperta dei Vin Santi di Montespertoli per partecipare ad una bellissima verticale”. Questo l’invito giuntomi qualche giorno prima. Ero già là!
Come farsi scappare un evento simile. Tutto faceva presupporre di trovarsi davanti a Vin Santi vecchia maniera. E così è stato.
i cinque campioni |
Il Castello di Sonnino, location quanto mai azzeccata. Palazzo storico del XVI secolo costruito intorno ad una torre risalente al XIII secolo, medievale, a sua volta edificata sul vecchio tracciato della via volterrana etrusca. Oggi la proprietà è frutto dell’impegno dei discendenti del barone Alessandro e della baronessa Caterina de Renzis Sonnino, ricoprendo il ruolo di principale produttore del Chianti Montespertoli Docg.
Non sono state le sale sontuose ricche di cimeli ad ospitarci per l’evento atteso. Bensì la grande Vinsantaia posta all’ultimo piano, ben esposta ai venti chiantigiani che perpetuano il rito della produzione del Buon Vin Santo.
Fattoria La Leccia, il luogo dove l’innovazione del pensiero agricolo si realizza attraverso l’artigianalità del lavoro quotidiano. Posta anch’essa nell’aerale del Montespertoli Docg. La famiglia Bagnoli ne è proprietaria dal lontano 1970. Ma è dalla vendemmia 2013 che la consapevolezza di una necessaria rigenerazione ha portato Paola e Lorenzo a prenderne le redini ed impegnarsi con passione, misura ed orgoglio.
Leone (Castello di Sonnino) e Lorenzo (Fattoria La Leccia) in cattedra a spiegare, con aneddoti, ricordi, la Storia mista a leggenda del Vin Santo, le difficoltà a produrlo oggi come allora, la passione necessaria dati i risultati economici assolutamente negativi e le problematicità d’inserimento nel mercato soprattutto quello nazionale.
La fatica a lottare contro ed aggredire lo stereotipo che vuole il Vin Santo solo come vino dolce da fine pasto accompagnando i cantucci di Prato e riuscire invece nell’intento di una educazione verso il consumatore, elevando questa vera chicca enoica al rango che si merita.
i campioni scelti per gli assaggi.
I colori |
- 1999 Castello di Sonnino. Trebbiano e Malvasia, caratelli di castagno. Dorato acceso con nuance ambra. Fichi disidratati, miele, mondorle, Al palato ricchissimo, sapido nel finale boisé. Quattro anni in caratello. Eccellente, voto 92/100;
la provocazione |
- 2005 La Leccia. Trebbiano e Malvasia. Tradizionale, 10 anni nei caratelli. Veste ambra scura di intensa luminosità. Naso ricchissimo e complesso: noci, fico secco, torroncino, caramello. Al palato notevoli ritorni olfattivi sostenuti da una vena fresca. Lunga persistenza. Eccellente, voto 93/100;
- 2008 Castello di Sonnino. Trebbiano in caratelli per 6 anni. Miele millefiori, agrumi canditi ed erbe aromatiche. Al palato la dolcezza ben sostenuta dalla vena fresco-sapida. Rientra nell’eccellenza ma con un voto più basso: 90/100;
- 2015 Castello di Sonnino. Molto giovane, un Vin Santo works in progress. Impronta olfattiva classica, elegantemente dolce. Riesce comunque a salire nella scala dell’Eccellenza guadagnandosi ora 90/100;
- 2016 La Leccia. Il nuovo che avanza. Lorenzo lo ha presentato come un Vin Santo che, partendo dalla tradizione, ha iniziato un percorso differente a partire dall’appassimento: quello che vuole i grappoli stramaturi di Trebbiano appesi al soffitto. Poi permanenza in barriques di rovere esauste, usate per il Chianti, Risultato al momento con un punteggio di 90/100. Serve capire l’evoluzione in bottiglia.
Al Castello di Sonnino si è parlato anche di abbinamenti per cacciar via i brutti pensieri ricorrenti dei cantuccini.
Leone e Lorenzo |
Pasticceria secca, cioccolato, formaggi anche erborinati. Una provocazione da consigliare?
Quella offerta a noi dallo chef del Ristorante Il Cibreo di Firenze: cioccolatini ripieni di patè di fegatini. Una delizia!
A proposito dello chef del Ristorante il Cibreo di Firenze. Siccome tutti i salmi finiscono in gloria, terminata la degustazione vuoi non spostarti in una delle sale del Castello di Sonnino elegantemente preparata a sala da pranzo e degustare piatti preparati dal figlio di Fabio Picchi, Giulio?
Urano Cupisti
Assaggi effettuati il 26 maggio 2023
Al castello di Sonnino – Montespertoli (Fi)