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Il 12, 13 e 14 gennaio, al Teatro degli Eroi, andrà in scena questa proposta alla cui prova ho l’opportunità di presenziare. Ormai il cast è affiatato e pronto e visto l’imminente esordio, si lavora sul perfezionamento in una funzionale sala prove dove prende posto parte della scenografia, mentre gli attori sono quasi tutti in costume. Il regista segue attento i dettagli…
Mi piace l’idea di poter assistere prima del pubblico ad uno spettacolo; mi permette di conoscere il cast, di vederlo lavorare per approntare le ultime modifiche prima del debutto. È un’interessante esperienza fatta dietro le quinte dove si respira la tensione, ma soprattutto l’entusiasmo nel presentare qualcosa di proprio su cui si è lavorato con impegno e dedizione. La soddisfazione è tanta, specie quando si è lavorato su un testo difficile come questo, e poi con un cast così numeroso. Penso alla difficoltà solo per organizzare le prove… ognuno con i suoi impegni personali… tutto per amore del teatro. Credo sia doveroso scrivere qualcosa su questi appassionati attori e sulle loro capacità.
Il dramma originale del 1882 è del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen e si svolge in ben cinque atti. In questa versione, viene ottimizzato con una riduzione a due ma senza perdere né il messaggio che vuole trasmettere, né tantomeno la sua drammaticità.
Si racconta di una società che almeno all’apparenza vuole essere democratica, ma dove si palesa immediatamente l’eterna lotta tra il potere dei forti e la democrazia. Tutto è manifestato attraverso il difficile rapporto tra i due fratelli Stockman. Il dottor Thomas, un idealista con le sue idee critiche e propositive che cozzano inevitabilmente con quelle del fratello Peter; il sindaco della città, un politico ambizioso e senza scrupoli bramoso di potere e attento agli interessi personali a scapito della salute pubblica messa in pericolo a causa di un inquinamento che ha colpito le terme cittadine e che, se scoperto, farebbe crollare il turismo e l’economia del centro. Un tema fortemente attuale e affrontato come tale, dove gli interessi economici e il prestigio di pochi interessati scavalca il bene e la salute di una comunità.
Il titolo può sviare, perché in realtà il nemico del popolo, o quello additato come tale, è al contrario colui che dovrebbe essere visto come il salvatore. Una persona coerente che cerca di preservare la società essendo lontano da ogni interesse personale, vuole informare del pericolo la popolazione.
Una contraddizione tipica della società moderna, in cui chi lotta per il bene comune dà fastidio ai poteri e viene ostracizzato dai potenti ed infine escluso proprio da quella maggioranza che vorrebbe preservare. Una maggioranza ignorante manipolata dal potere. Pensate a cosa è accaduto con l’Ilva, con la Terra dei fuochi, con i vaccini…
Mentre il dottor Stockmann cerca di salvaguardare la salute della popolazione con delle rivelazioni importanti su quanto sta accadendo, il fratello Peter, personificazione dei poteri forti, lo schiaccia e lo discrimina facendolo apparire al contrario, un soggetto cioè pericoloso in grado di distruggere il benessere di una cittadina per questo viene trasformato in un mostro, in un nemico del popolo. Il fratello dispotico arriva allora a distruggerlo socialmente ed economicamente, senza porsi il minimo scrupolo verso l’onesto consanguineo. Ecco che il cieco potere travolge con indifferenza anche gli affetti familiari, senza scrupoli o remore.
Nonostante tutto Thomas, il dottore, rimane fermo nei sui suoi propositi. Solo e abbandonato, percorrerà la strada che ritiene più giusta con coraggio e senso di giustizia, coinvolgendo suo malgrado la famiglia, che entra ovviamente in crisi.
La bellezza del testo, ma soprattutto la capacità del cast e il raffinato riadattamento riescono a ricreare queste tensioni e preoccupazioni in maniera coinvolgente e realistica.
Giorgia, la figlia del dottore, è una ribelle che pur vestendo i panni di una ragazza di altri tempi, ha la grinta di una ragazza moderna, schietta e battagliera. Agnese, la moglie, ci appare come una donna matura, indecisa sul da farsi per le ripercussioni che il gesto del marito avranno sulla famiglia, ma anche propensa ad appoggiarlo; Antonello, il dottore, trasmette il fardello che porta sulle spalle con una postura ingobbita, e gesticolando nervosamente esprime quando vede tutto crollargli intorno. I tre ricreano efficacemente queste tensioni familiari.
Riccardo, il fratello sindaco, è un personaggio forte; si mostra viscido e subdolo, dando l’impressione, con le sue movenze lente e riflessive, di tenere sempre in mano le redini della storia. Domina la scena e tutti sembrano pendere dalle sue labbra, costretti a rispettare i suoi tempi pacati prima di potersi esprimere. Come il povero balbettante giornalista (Antonio), che dapprima spalleggia il dottore con la sua denuncia, ma poi cede raggirato ed intimorito dalle velate minacce del politico, abbandonando il povero dottore al suo destino.
Una storia che racconta di manipolazioni ed interessi dove si scoperchia una pentola ricolma e tracimante di intrighi, in cui le flebili alleanze si tramutano presto in tradimenti. È affascinante come tutto venga presentato in un’epoca passata, ma attraverso questo riadattamento e alla recitazione si giochi tra l’anacronistico e il contemporaneo. La regia crea degli strappi temporali che attualizzano la storia. Si viene così sballottati in dimensioni parallele tra due momenti storici, che seppur distanti tra loro si compensano. Il tentativo è davvero coraggioso e il risultato assolutamente efficace.
La volontà del testo è quella di far vivere ed emergere le lotte intestine che vanno a scapito della collettività, e di sottolineare come la massa, invece di unirsi e sostenere chi vuole proteggerla, si schiera con chi vuole invece annichilirla. Questo ci appare in tutta la sua drammaticità nella scena con “La voce del popolo”: una scena forte, volutamente confusionaria, proposta con cinismo e attualizzata. La folla che crea una bagarre confusionaria ricrea quello stato di caos provocato da menti fuorviate e confuse, che con il loro atteggiamento decretano la morte della democrazia e della loro libertà. Paradossale ed assurdo, ma sempre attuale. Pensate a chi è più preoccupato al posto in classifica della propria squadra di calcio che alle problematiche del proprio paese…
Temi sempre attuali, affrontati in modo da far riflettere attraverso la provocazione, per condurre poi verso un finale inaspettato.
Forse quello che la proposta ci vuole dire è che per essere davvero liberi bisogna prima liberarsi della propria ignoranza e cominciare a pensare con la propria testa, invece di farsi pigramente indottrinare dal potere.
In questa battaglia contro i mulini a vento, in cui i sostegni vengono a mancare attimo dopo attimo, l’unico coraggioso è il capitano di Marina (Giovanbattista, stasera sostituito da Renato) che gli rimane al fianco. Compare poi l’armatore Giampaolo, che si rivela una figura viscida come quella di Peter e che cerca inutilmente di intimorire lo stoico capitano.
Si affacciano poi due camei, due figure forti che spezzano questo quadro: l’ubriaca, in cui ho visto una trasposizione del coro greco, l’unica che forse grazie al suo stato riesce a rimanere coerente e a gridare il suo sdegno. Lei è Eugenia, che seppure appaia solo all’inizio della storia, lascia il segno. L’altra è la suocera del dottore, Stefania, che mi ha riportato alla mente Elena Daskowa Valenzano, l’attrice che interpreta la madre del Marchese del Grillo con Alberto Sordi. Con la stessa verve e incisività segna ogni suo ingresso con forza.
Insomma, nonostante l’assenza delle luci, delle musiche e di alcuni accorgimenti che renderanno sicuramente più emozionante lo spettacolo in teatro, sono uscito da questa esperienza molto soddisfatto. Ho potuto concentrarmi maggiormente su ogni singolo artista e apprezzarne le doti, le sfumature, la gestualità, l’espressività, senza le “distrazioni” del contesto.
Un testo forte, difficile e ben presentato. Posso solo immaginare l’effetto che farà in teatro.
“Un nemico del popolo”
Teatro degli eroi
Di Henrik Ibsen
Adattamento e regia di Renato Piva
Con Riccardo Buttarini (Peter Stockmann), Antonio Di Marco (Hovstadt), Giorgia Finocchi (Petra), Stefania Mastroianni (Stephen Kill), Agnese Piccolomini (Signora Stockmann), Antonello Saponara (Thomas Stockmann), Giovanbattista Scidà (Chorster), Eugenia Brandi (l’Ubriaca), Giampaolo Vezza (Vik).
Con la partecipazione straordinaria de “La voce del popolo”
Questa storia è davvero deliziosa, dolcissima ed intrisa di passione. Ci svela come i personaggi coinvolti affrontino la vita ed imparino a gustarla sempre con un sorriso, focalizzandosi sull’amore per le proprie passioni, le aspirazioni, e le emozioni con cui si assaporano le cose semplici della vita. Tutto è raccontato attraverso un approccio delicato, quasi fatto in punta di piedi in cui si riconosce la mano di Michele, che oltre a scrivere il testo interpreta un particolare ed originale personaggio: Giacomo, un giardiniere un po’ filosofo e un po’ yogi che vive un rapporto molto singolare con il suo lavoro e con le piante del suo vivaio.
Il suo sembra essere un mondo a parte, forse un rifugio in cui coltivare non solo la passione per la botanica, ma anche il rapporto profondo con se stesso, in un luogo reso quasi magico, distante dal tran tran quotidiano che ingurgita tutti e schiaccia il senso della vita. Giacomo sembra prediligere il rapporto con il mondo verde, più che con quello degli uomini. Sembra volersi proteggere dai rapporti umani e distaccandosi da essi, dedica tutto sé stesso alle piante instaurando con loro un rapporto profondo e confidenziale.
Inaspettatamente, irrompe nella sua tranquillità Camilla, una donna dedita completamente alla carriera lavorativa. Vive per il lavoro che sembra dominarla occupandole ogni momento della giornata. I due apparentemente sono in perfetta antitesi, ma paradossalmente si rivelano anche molto simili. Hanno in comune lo stesso atteggiamento: quello di impegnarsi in qualcosa che li possa proteggere dal rapporto emotivo con gli altri.
Aldo invece è il dolcissimo assistente che lavora e aiuta Giacomo. Un sempliciotto con un lieve ritardo mentale che però lo rende spontaneo, vero. Privo di ogni forma di inibizione, dice sempre quello che pensa. Fortemente condizionato dalla madre, ha sviluppato anche lui un particolare rapporto con le piante, ma anche con il suo datore di lavoro. Anche lui sembra essere protetto da questo ambiente, che non lo ostracizza per la sua condizione. Qui tutti sembrano essere uguali, sullo stesso piano.
Tre caratteri e tre tipologie di vita assolutamente differenti si incontrano e si scontrano grazie ad una scrittura semplice ma efficace, che sprizza dolcezza e spontaneità in ogni suo passaggio. Un inno alla semplicità umana e un’ode alla vita, che vuole portarci a riflettere sul tempo che passa, sull’importanza del confronto con gli altri e sul valore e il piacere dell’attesa che va goduta nel preparare un evento, nel vederlo crescere per poi coglierne i frutti… proprio come si fa con le piante, entrando in sintonia con il naturale corso della natura e del destino, in attesa che questo si compia.
Tutto è affrontando con apparente leggerezza ma in realtà in modo molto profondo. Ogni forma di ansia e nervosismo dei personaggi viene curato da questo atteggiamento sempre positivo che domina la storia ricca di riflessioni, che porteranno via via i tre a riconsiderare le priorità della vita, donandoci l’opportunità di ritagliarci anche noi un attimo di riflessione.
Michele si presenta con il suo inconfondibile atteggiamento: un po’ sornione, calmo, spontaneo, spiritoso, estremamente riflessivo in ogni sua esternazione. La sua comicità ha il sapore di quella di una volta, cresciuta e maturata con i grandi nomi dello spettacolo e oggi personale e tutta sua.
Francesco interpreta un ragazzo le cui evidenti difficoltà per il suo lieve ritardo ne fanno un personaggio amabile e divertente per la spontaneità. Afflitto da visibili tensioni muscolari, Francesco con gesti e movenze inequivocabili svela le difficoltà motorie ma al contempo sottolinea il carattere mite in un modo davvero commovente.
Federica passa dallo stato di stress ed egocentrismo iniziale a manifestare tutta la sua dolcezza, la femminilità e la sensibilità inespressa. Abbandonando le sue frustrazioni, si trasforma in una piacevole ragazza, dolce e piena di sogni finora nascosti grazie all’incontro con una sorta di “mago di Oz” che ha i panni di un giardiniere, il suo aiutante schietto e sensibile, ma anche grazie a questo ambiente magico in cui il tempo pare non esistere ed essere fermo ad aspettare pazientemente la maturazione dei personaggi, proteggendoli intanto dal mondo esterno.
Questo apparentemente normale vivaio si rivela quindi un luogo pieno di vita ed emozioni, protettivo e fatato. Una suggestiva scenografia riempita di piante e vasi, a cui si aggiungono le luci, lo esaltano e lo rendono molto realistico.
Le scene si susseguono inframmezzate da brani di Pino Daniele, Lucio Dalla e da altri classici della musica italiana. In ogni scena c’è tutta la passione per il teatro che il lavoro di Michele riesce a trasmettere, supportato dal suo valido cast e dalla regia di Nicola Pistoia (di cui in una scena sentiremo anche la voce fuori campo registrata).
Uno spettacolo adatto a tutti, che dietro alla sua semplicità nasconde una forte dose di sensibilità, di profondità e una grande ricchezza di valori.
Ogni scena è un crescendo che ci rivela un pezzetto alla volta il carattere dei personaggi, che con i loro pregi appannano ogni loro difetto. Una commedia che sprizza positività e una grande passione per la vita, quella sana, fatta di persone che sanno ascoltarsi e ascoltare, o che vogliono imparare a farlo per arrivare a godersi la semplicità, abbandonando sterili e fugaci ambizioni, così come farà Camilla. La donna si accorgerà che la vita è fatta di altri valori da gustare dietro ai quali, chissà, può nascondersi anche il sogno d’amore al quale abbandonarsi senza paura. L’amore, questo sentimento che spesso spaventa per la sua intensità…
Imparare ad affrontare questa paura significa vivere in armonia sia con sé stessi che con gli altri. Questo credo sia il messaggio insito nella storia.
Teatro Sette Off
“Il Piacere dell’attesa”
Di Michele La Ginestra; regia: Nicola Pistoia, aiuto regia Loredana Piedimonte
Con Michele La Ginestra, Federica De Benedittis, Francesco Stella
Ornella Mariani Forni |
In una sua ironica e sottile lettera aperta di buon anno 2024, Ornella Mariani Forni - premio Italia Diritti Umani 2023 - cita alla fine la Carta di Nizza, altrimenti detta CDFUE, di cui io parlo dal 2019 sostenendone la efficacia e grande valore giuridico, poiché essa ha sancito dei valori e dei diritti fondamentali per tutti i cittadini della Unione.
Cinque anni fa - nonostante essa fosse ben discussa dai giuristi italiani e dagli addetti ai lavori accademici - non era dibattuta dagli avvocati se non raramente, e poco o per nulla nota al grande pubblico italiano.
Qualche giudice di pace nelle sentenze con cui negli ultimi mesi ha annullato le illegittime sanzioni amministrative e i relativi avvisi di addebito per mancata vaccinazione COVID-19, la ha citata e invocata come strumento di tutela dell'individuo dinanzi al quale il potere autoritativo dello Stato deve retrocedere se sproporzionato o lesivo della dignità umana.
Dispiace solo che la Corte Costituzionale italiana prima e la stessa Corte di Giustizia UE di Lussemburgo poi, negli ultimi due anni si siano tirate indietro quando sono state interpellate rispettivamente in ricorsi e richieste di pronunzia pregiudiziale, limitandosi a una sua tutela formale e non anche sostanziale e vivente.
La Carta di Nizza e la sua equiparazione a trattato dall'anno 2009 nel diritto eurounitario, e' stata la ultima conquista storicamente rilevante nell'ambito dei diritti civili e umani in Europa, prima che il Vecchio Continente anno dopo anno venisse travolto da una deriva autoritaria a tutti i livelli - ostaggi di grandi lobby finanziarie e potentati occulti - che lo stanno trasformando in un superstato totalitario mascherato da valori democratici e libertari, poco concreti e sempre più fittizi.
Auguro a tutti voi un buon anno 2024 perché godiate e conserviate i vostri affetti e raggiungiate i vostri traguardi, ricordandoci che sono le piccole cose della vita a dare sapore alla felicita'.
il video della lettera al Presidente delle Repubblica |
I “Diavoli in cucina” sono dei mattacchioni un po’ improvvisati e raffazzonati che compongono lo staff del ristorante “Rigatoni”, destinato nonostante tutto a diventare famoso. Vi lavorano tre uomini e una donna: Michela (Valeria), che lo gestisce; Francesco (Alessandro), un inveterato mammone che va ad aiutarla perché da sempre è innamorato di lei; Nando (Simone), uno speakers radiofonico sottopagato e ormai disoccupato con la passione per la cucina; Marco (Maurizio) che prima del suo ingresso nel gruppo sbarcava il lunario con ogni tipo di occupazione per mantenere la sua esosa e pretenziosa famiglia, mentre con difficoltà cerca di coronare il sogno di laurearsi.
Un po’ confusionari e un po’ arrangiati, i quattro portano avanti il locale dove cucinano, apparecchiano i tavoli, intrattengono i clienti, li servono, puliscono la sala, fanno la spesa… e intanto ci divertono.
Uniti in questa avventura lavorativa, Condividendo molto tempo insieme, finiscono per affezionarsi, confidarsi, confrontarsi, aiutarsi e scherzare, maturando un’affettuosa amicizia e un forte rispetto reciproco. Ma nella vita le cose cambiano e non sempre tutto va per il meglio. Purtroppo il personale del locale subirà un drastico cambiamento: viste le ingenti spese di gestione, uno di loro dovrà abbandonare il lavoro... Michela, che si trova così spiacevolmente tra l’incudine e il martello, sarà costretta a licenziare uno di loro…
Ecco allora che l’idillio della compagnia si rompe e il rapporto tra loro cambia drasticamente. Nonostante la commedia sia leggera e divertente, si affaccia anche un lato drammatico che tocca temi sensibili come la disoccupazione e la crisi nei rapporti d’amicizia.
Il cast in scena è ben rodato. Dopo il successo dello scorso anno con il divertentissimo “Una zitella da sposare”, che peraltro a breve sarà riproposto qui al Teatro de’ Servi, tornano tutti e quattro con questa esilarante proposta.
Sono artisti molto impegnati e richiesti: Valeria ha terminato da poco un tour con Antonello Costa e il suo divertente e toccante “La vita è un attico”, e dopo l’appuntamento di questa sera sarà nel cast del travolgente “La signorina Papillon”; Maurizio ed Alessandro riproporranno il loro fortunatissimo “Banda disarmata” e poi, sempre qui, li ritroveremo con Valeria in “Quasi quasi ci ripenso”… Simone ormai collabora spesso con loro mentre si divide con altri interessanti impegni teatrali…
Stasera ho molto apprezzato l’inserimento di questa vena velatamente drammatica che non stona, anzi, dà corpo alla storia. Un risvolto che permette di affrontare con profonda ironia temi come la disoccupazione, l’amicizia, gli interessi personali, le difficoltà economiche e i sogni infranti, tra paure e instabilità.
Marco (Maurizio), Michela (Valentina), Francesco (Alessandro ) e Nando (Simone), dopo essere entrati inaspettatamente in sala ed essersi presentati in maniera molto simpatica al pubblico irrompendo nella quarta parete, prendono posto sul palco dove li aspetta una deliziosa e curata scenografia che ripropone il ristorante che accoglierà tutte le vicende.
La pièce di Natale e Quinto, in maniera veloce ma esaustiva, presenta subito i personaggi con accenni sulla loro vita, i reconditi desideri, le fisime che li affliggono e caratterizzano, per poi catapultarci immediatamente nel vivo della storia tra scherzi, screzi, dispetti, battute goliardiche e la realtà di questa precaria situazione lavorativa.
Con una velata derisione dell’altezzosità di programmi culinari come “Master chef”, la storia svela con dignità il lato più recondito di ogni personaggio e il suo difficile rapporto con vita. Quando si affaccia il demone del licenziamento, ognuno a suo modo cerca di apparire indispensabile agli occhi di Michela, la responsabile, cercando prima di ingraziarsela e poi di svilire gli altri ai suoi occhi per non perdere il posto. La scrittura riesce a restituirci, nello spazio di meno di due ore, il duplice aspetto di ogni personaggio: prima il carattere fondamentalmente semplice e buono, poi il dramma interno che vive e che lo trasforma in disperato opportunista in una guerra tra poveri.
Tutto senza mai perdere quella comicità di fondo che accompagna lo spettacolo. I nostri, rivelandosi divertenti e simpatici, svelano la macchietta che si cela dietro ogni singolo ruolo senza mai sminuirlo o ridicolizzarlo grazie alle loro indubbie capacità recitative. I battibecchi che ricreano sono sempre divertenti e realistici e rivelano inequivocabilmente la natura tenera e infantile con cui i protagonisti affrontano la vita. Non si può non amarli e affezionarsi a loro, perché in fondo sono tutti dei buoni diavoli.
Confusionari e divertenti, questi cuochi si avvicendano e accavallano forsennatamente tra una scena e l’altra. Insieme intrattengono il pubblico tra risate ed applausi dando vita ad una commedia leggera, frizzante e divertente che gira intorno ad un tema originale per il teatro come quello della cucina, che se è tanto in voga nei programmi televisivi, al contrario non è usuale in teatro.
Quello che mi è molto piaciuto della scrittura è l’esaltazione della semplicità dei personaggi e del loro impegno alla difficile ricerca di uno spazio nella società e nel mondo del lavoro. Anche se apparentemente paiono deboli e con scarse capacità, dimostrano che nonostante le loro difficoltà personali ed insicurezze, l’unione fa la forza e che alla fine la tenacia, l’amicizia e l’amore trionfano sulle difficoltà. Forse è questo il messaggio positivo insito nella commedia.
La recitazione, la scelta delle musiche, i suoni di fondo sono ineccepibili, ed è ottimo l’uso delle luci che fa spiccare ogni scena e rende efficaci i brevi soliloqui-sfoghi dei nostri. La storia rivelerà un finale dolce, delicato ed inaspettato.
Uno spettacolo gradevole e divertente, adatto a tutti.
Teatro De Servi
“Diavoli in cucina”
Di Gianni Quinto e Massimo Natale
Regia di Massimo Natale
Con Valeria Monetti, Maurizio Paniconi, Alessandro Tirocchi e Simone Giacinti
Fino al 7 aprile 2024, Firenze (città come pochissime altre già immensamente straripante di bellezza artistica) offrirà la possibilità di entrare in contatto con la particolare sensibilità estetica di Alphonse Mucha, considerato uno dei grandi padri dell’Art Nouveau.
La Mostra, allestita in maniera intelligente e suggestiva, presenta un percorso tematico e cronologico abbracciante oltre 170 opere, tra manifesti, libri, disegni, olii e acquarelli, nonché fotografie, gioielli e opere decorative, in modo tale da consentire di assaporare efficacemente la variegata sinfonia della raffinata iconografia di uno dei pittori più originali di fine Ottocento e di inizio Novecento.
Pur essendo prevalentemente dedicata alla produzione destinata al mondo dello spettacolo e a quello pubblicitario, l’esposizione permette anche di intravedere il grande lavoro di riflessione teorica e di sperimentazione pratica che caratterizza un cammino artistico improntato alla ricerca della Bellezza, ma anche della Verità e dell’Amore. Mucha, infatti, come tanti altri artisti dell’epoca (da Kandisky a Balla, da Malevic a Mondrian), ha coltivato forti e sinceri interessi nel campo della filosofia spiritualistica, avvicinandosi, in particolare, alla cultura teosofica e finendo poi per abbracciare il pensiero e l’opera della Massoneria. La sua arte, di conseguenza, nonostante l’apparente leggerezza che potrebbe, a volte, apparire sconfinante nell’effimero, è animata e sorretta da un sincero anelito verso un mondo valoriale alternativo a quello della forza e del potere che divide e separa, che aggredisce ed opprime.
“Lo scopo del mio lavoro - ci rivela - era costruire, creare ponti; perché dobbiamo tutti nutrire la speranza che l’umanità si unisca”.
In lui, quindi, accanto all’appassionato amore verso la sua terra e la sua gente (che lo porterà a creare l’immenso ciclo della Epopea slava, senza alcun dubbio una delle vette più alte dell’intera arte contemporanea), incontriamo, in maniera analoga a quanto accaduto nei nostri Mazzini e Garibaldi, un indomito desiderio di affratellamento fra tutti i popoli in vista del raggiungimento di una agapica era di Pace.
L’Arte secondo Mucha è, pertanto, non solamente gioia sensoriale e sognante festosità, ma anche invito a colorare di allegrezza il vivere quotidiano, un invito rivolto indistintamente a tutti e non più alle cerchie ristrette ed esclusive delle élites dominanti. “Sono stato felice - potrà dire, operando una sorta di bilancio della sua produzione - di essere coinvolto in un’arte per il popolo e non per salotti privati. E’ stata poco costosa, accessibile al pubblico e ha trovato casa in famiglie povere, così come nei circoli più ricchi.”
Ed è forse questo l’aspetto della sua personalità che meglio emerge dalla Mostra fiorentina: il suo desiderio di coltivare un’ Arte capace di far entrare qualche raggio di delicata bellezza nelle case di tutti, rendendo le singole esistenze più ricche di colore, di gentilezza e di armonia.
ALPHONSE MUCHA. LA SEDUZIONE DELL’ART NOUVEAU
Museo degli Innocenti, Firenze
Fino al 7 aprile 2024
Informazioni: TEL. 0550981881
Il premio a Carmen Lasorella |
Nello splendido Teatro Civico di Alghero si è svolta sabato 16 dicembre la cerimonia di premiazione dell’edizione 2023 del Premio Nazionale Alghero donna di letteratura e giornalismo: vincitrici Carmen Lasorella nella sezione Prosa per il romanzo “Vera e i gli schiavi del terzo millennio” (Marietti1820); Antonetta Carrabs per la sezione Poesia con “La casa della poesia di Monza”; per il giornalismo sportivo Novella Calligaris e la prof.ssa Giuseppa Tanda Premio Speciale della Giuria per il progetto Domus de Janas da presentare all’UNESCO.
Apertura e chiusura musicale affidate al cantautore Antonello Colledanchise, in lingua algherese con il suo cuatro venezolano accompagnato dalle maestre di flauto traverso Isa Sanna e Elisa Ceravola .
I saluti istituzionali sono stati portati da sindaco di Alghero Mario Conoci, dal presidente del Consiglio Regionale della Sardegna on. Michele Pais e dall’assessore alla cultura della città di Alghero, Alessandro Cocco.
Come sempre la serata è stata condotta da Neria De Giovanni, ideatrice del Premio, che ha intervistato sul palco le premiate.
Della Giuria presente soltanto Giuditta Sireus, direttrice artistica del Club Jane Austen Sardegna, poiché i giurati Antonio Casu e Massimo Milza non sono interventi perché bloccati a Roma dai mali di stagione e Antonio Maria Masia per un concomitante evento del Gremio dei sardi di cui è presidente.
Proprio la Sireus ha aperto la serata con la motivazione al premio di Carmen Lasorella, Neria De Giovanni ha letto quella per la poesia mentre Speranza Piredda, presidente della Rete della Donne e Silvana Pinna della FIDAPA e UNICEF hanno letto rispettivamente le motivazioni per il giornalismo e il Premio speciale.
Media partner La Fiera Letteraria e portaleletterario.net
Con Maurizio Mattioli (Cardinal Moletti), Marco Fiorini (Gioachino Belli), Chiara Fiorelli (Cencia), Erika Marozzi (Maria), Riccardo Rendina (Nando), Dario Panichi (Gigi), Matteo Stasi (Gaudenzio Belli), Fernando Calicchia (Tonino), Demetra Fiorini (voce).
Gioachino Belli, vestito di un bianco sgargiante come il colore del marmo di una statua o forse come quello di un fantasma, si stacca e scende da un’irreale è sorprendente riproposizione di un suo famoso monumento, prendendo vita. Sogna o immagina, in questa realtà alternativa, l’incontro con la popolana Cencia e con l’ austero e vendicativo Cardinale Moletti.
Durante questo viaggio onirico ed introspettivo, si rivede da fanciullo e intanto riflette su come scrivere i suoi sonetti in uno stile nuovo, utilizzando la lingua del popolo per arrivare a tutti e parlare così dei pregi e dei difetti di Roma, la sua città, quella con cui ha un cordone ombelicale inscindibile.
Mazzucco lo propone con una veste più introspettiva e riflessiva. Vuole rappresentarne la parte meno conosciuta, quella più umana del poeta, palesando i suoi dubbi, i timori, le aspirazioni.
L’indomani, una volta ridestato da questo sogno premonitore, mentre percorre i vicoli di Trastevere incontra davvero Cencia. Ne fa la conoscenza e ne rimane ammaliato. Questo incontro fatale lo porterà a ritrovarsi invischiato nelle beghe politiche tra il sordido potere papale e la Carboneria.
Coinvolto suo malgrado nelle attività dei carbonari, ne abbraccerà le idee rivoluzionarie, ma da buon osservatore e uomo di mondo ne evidenzierà pregi, difetti e illusioni.
La proposta di Mazzucco si ispira agli scritti del grande poeta capitolino e attraverso la sua immaginazione crea delle situazioni che ne svelano la parte più intima, trattata anche con una vena umoristica.
Così, “L’ultimo sogno di Gioachino” diviene un modo per conoscere e scoprire il pensiero del grande personaggio della letteratura italiana, impelagato nel clima di delazioni, cospirazioni, speranze, tradimenti, conflitti e grandi imminenti cambiamenti che coinvolgono e sconvolgono romani, papato, Roma e l’Italia tutta dell’Ottocento.
Ben nove attori si alternano sul palco. Marco, impersonando il Belli, gli dona un taglio umoristico e profondamente umano. Apprezzo molto questo versatile attore e il suo aplomb. Sempre cordiale, pacato, ponderato e discreto, sembra voler nascondere ogni volta tutto il suo talento e la professionalità dietro un’ innata modestia che lo contraddistingue. Un grande professionista.
L’antipatico e perfido cardinale è impersonato da Maurizio, che ci restituisce una perfetta immagine del peggior esempio di odioso religioso arrivista, sprezzante, fastidioso e molesto senza scrupoli dell’epoca.
Il resto del cast funziona bene e si inserisce in scene che raccontano le tragedie del periodo. Troviamo i carbonari, un prelato, una buffa serva, la moglie del poeta e gente comune.
Il cast si alterna professionalmente ed efficacemente dando aria alle vicende che prendono vita, e movimentandole con gusto ed estrema attenzione.
Voglio sottolineare la bravura di Chiara Fiorelli, che impersona ben tre personaggi, tutti distinti da una spiccata personalità: Mena, la coriacea prostituta carbonara che Chiara ripropone con gestualità, atteggiamenti e approcci tipicamente trasteverini; Nina, la buffa serva ciociara, ignorante e spontanea; è infine la suggestiva personificazione di Roma.
Incantevole è Demetra, la figlia di Marco, che non conoscevo di persona, la cui voce di soprano, sublime e delicata, ci ha incantato. Elegante nelle movenze, apre suggestivamente lo spettacolo lasciando a bocca aperta con la sua performance.
Bella l’essenziale scenografia, assolutamente suggestiva, soprattutto nella ricostruzione del monumento del Belli, identico a quello che troviamo nei pressi di Piazza Sonnino, che prende vita in maniera evocativa.
All’inizio Marco, nei panni del Belli, sembra voler fare un tributo ad Alberto Sordi quando interpreta il povero carbonaro (questo però non è un sovversivo e vende solo il carbone). Con questo approccio il poeta viene svestito della sua aria austera e risulta subito simpatico, stravagante e un po’ spaesato.
Poi la storia prende il via e si fa più drammatica. Gioachino si ritrova ostaggio, suo malgrado, di un gruppo di carbonari giacobini pronti alla sommossa, è costretto a lasciare la sua quieta vita familiare, e così paradossalmente, scopre gli amari retroscena del suo matrimonio.
Lo spettacolo è conciso e veloce, dura poco più di un’ora ma è ben concentrato e diretto e non si perde dietro a frivolezze e futilità. Piacevoli le musiche e i costumi (un po’ meno coerente col periodo storico trattato sono le calzature). Suggestive le luci che donano la giusta dose di drammaticità e mistero alle vicende.
Uno spettacolo dal grande potenziale, che ci restituisce un Gioacchino Belli diverso da quello conosciuto a scuola e reso così più fruibile. Mi associo alle critiche positive ascoltate a fine spettacolo dai presenti in sala tra cui professionisti del settore, il regista e gli stessi attori. Anche io credo che lo spettacolo potrebbe essere ampliato, sviluppato ed impreziosito con altre scene, così da sfruttare di più questa brillante proposta e il suo preparato e capace cast.
Nonostante le difficoltà e gli imprevisti che una prima può incontrare e che saranno sicuramente risolti, come rumori di sottofondo, fruscii e antipatici ritorni di cuffia, devo dire che la prova mi ha soddisfatto appieno e che è superata a pieni voti.
Ottimi gli attori, così pure regia, scenografia e immagini. Il film ricalca il solito cliché dei film americani, dove chi finanzia detta modi e condizioni. Dopo gli eventi di Wonder, il bullo Julian è stato espulso dalla scuola e cerca di ambientarsi nel nuovo istituto. Sentendolo in difficoltà, la nonna lo sorprende, gli fa visita da Parigi e gli racconta la storia della sua infanzia. Di come lei, giovane ragazza ebrea nella Francia occupata dai nazisti, fu nascosta e protetta da un compagno di classe. Di come la sensibilità e il coraggio di questo ragazzo le abbiano salvato la vita. Di quanto può essere forte il potere della gentilezza, tale da cambiare il mondo. Amore, paura, morte, buoni e cattivi che di solito, se non sono i comunisti sono i nazisti, e finalmente arriva la luce, l’amore, la libertà, la grande America, gli esportatori di democrazia, oggi diremmo a suon di bombe. I più deboli e perseguitati, come al solito sono gli ebrei, e a Hollywood sanno bene che la formula, adottata da più di mezzo secolo, ha il potere di narcotizzare le masse e addomesticarle. Libertà contro tirannia. Si parla di un popolo perseguitato, ma mai di altri popoli perseguitati o annullati per la sola colpa di esistere. Si gioca con il sangue e le disgrazie di un popolo che, guarda caso, è sempre lo stesso. Se pur a fini educativi questa messa in scena a senso unico puzza molto di propaganda. Comunque sia, l’altro messaggio che vuole veicolare il film, il potere della gentilezza, principio universale, qualora fosse adottato da tutti, potrebbe veramente cambiare il mondo. Il film da modo allo spettatore di riflettere sul potere del cinema e degli interessi economici che ci sono dietro.
WONDER - WHITE BIRD
un film di MARC FORSTER
con HELEN MIRREN, GILLIAN ANDERSON, BRYCE GHEISAR
Il nuovo spettacolo di Pippo Franco, composto da monologhi, affronta il tema dell'evoluzione dell’uomo coraggiosamente, addentrandosi in un panorama molto vasto.
Con molta umiltà e simpatia, l'artista affronta questa sfida interessando e coinvolgendo il pubblico su argomenti che bene o male coinvolgono tutti, e si fa accompagnare nel viaggio dalla melodiosa e virtuosa chitarra di Giandomenico Anellino.
Lo spettacolo è arricchito da immagini per meglio supportare spiegazioni e narrazioni che ci porteranno in un interessante cammino attraverso l’arte, la storia e la cultura, con un approccio del tutto particolare e molto profondo, condito da simpatiche battute o gag ironiche.
Sono cresciuto con i suoi film, ben sessantuno, e con i suoi numerosi programmi televisivi. Un’artista che ha lasciato il segno nella comicità, nella commedia all’italiana, nel cinema e nel teatro.
Finalmente per la prima volta stasera riesco a vedere Francesco Pippo (questo è il suo vero nome) dal vivo al teatro e a conoscerlo di persona. Al solo rivederlo, i ricordi della mia adolescenza sono riaffiorati prepotentemente, riportandomi indietro nel tempo alla mia adolescenza e a quella che considero un’icona della vecchia e sana comicità italiana, che ha accompagnato gli anni della mia giovinezza.
La serata parte subito con un fantastico medley di brani famosi reinterpretati dal fantastico chitarrista, che miscela sonorità tra musica classica, jazz e spagnola. Possiede una tecnica ineccepibile che gli consente di esprimere un gusto melodico ricco e un’attenta ricerca del suono. Pippo Franco gli lascia tutto lo spazio che serve per farci cullare dalle sue infinite note. Interverrà più volte durante la serata per inserirsi tra un argomento e l’altro con brani conosciuti ed interpretati con virtuosismo. Pezzi di Battisti, di De Andrè, di Lucio Dalla , ma anche altri brani come “O sole mio”, “We are the world”, “Strangers in the night”, La Guerra di Piero”, Piazza Grande… si susseguono e ammutoliscono la sala che poi esplode in uno spontaneo applauso. Questo musicista, che vagamente mi ha ricordato per l’aspetto Ninetto Davoli ( di cui ha sicuramente la stessa simpatia e cordialità), ha colpito anche il grande Ennio Morricone, tanto che gli chiese di incidere i suoi brani… E adesso, mentre sto scrivendo, li sto ascoltando… Bellissimo.
Pippo ci regala due ore abbondanti di “Stand up comedy” donandoci uno spettacolo maturo, con inserzioni ironiche e umoristiche sì, ma attento e molto intimo mentre guarda con attenzione il cammino dell’uomo attraverso l’arte, la storia e la conoscenza. Pitagora, Adamo ed Eva, Augusto, Giulio Cesare, Boccaccio, Machiavelli, Michelangelo, Darwin, Freud, Leonardo Da Vinci, Neil Armstrong… tutti personaggi storici a cui l’artista lega un aneddoto buffo sconosciuto ai più.
Tante le immagini proiettate di opere famose, come “Il sole del mattino” di Edward Hopper o “L’artista e la modella” di Jack Vettriano, l’ “Allegoria del trionfo di Venere” di Bronzino, il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck, “Il mercato degli schiavi” di Salvatore Dalí, le “Quattro stagioni” di Giuseppe Arcimboldo e le “Donne con salamandra” di Fausto Pirandello… Sono opere di artisti distanti per stile e tempo, ma paradossalmente legate da una simbologia che a prima vista sfugge allo spettatore, svelata in modo affascinante. La platea così scopre di poter vedere con altri occhi questi quadri e di coglierne il nesso in un forte messaggio che li accomuna.
Quello di stasera è uno spettacolo improntato sulla cultura ricco di aneddoti e storie interessanti raccontate con grande trasporto, come farebbe un nonno con il nipotino. Un artista che mette a disposizione del pubblico saggezza, conoscenza ed esperienza. Ci si alza soddisfatti, sorridenti, coccolati, ma soprattutto più ricchi e con qualcosa di interessante e unico da raccontare a casa.