L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1293)

Free Lance International Press

This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

 

  Rabbi Lynn Gottlieb

Di fronte al nostro mondo insanguinato che, giorno dopo giorno, ci appare sempre più infernale, ci ritroviamo ad  interrogarci sovente (pur nella consapevolezza che tutto quello che potremmo fare noi, umili donne di lettere e di intelletto, inciderà sempre  ben poco sul  divenire doloroso degli eventi)  in merito a  come contrastare le quotidiane celebrazioni della violenza nelle sue varie declinazioni, prime fra tutte quelle di carattere bellico.

Una cosa indubbiamente preziosa (forse soltanto consolatoria, certo, ma  forse anche pedagogicamente terapeutica) potrebbe risultare il cercare di rivolgere lo sguardo mentale verso chi si adopera, ignorato dalle luci dei palcoscenici mediatici, nel continuare a seminare parole di saggezza e di fiducia nelle possibilità umane di ribellarsi alla tirannia delle armi e della prepotenza politica.

Perché, per le nostre anime ferite, può costituire una fonte salutare e vivificante il sapere che, in ciascuna nazione flagellata dai conflitti, all’interno di ogni schieramento, esistono e lavorano (spesso osteggiate, minacciate, emarginate, censurate e represse) persone pronte a rischiare la propria vita per non smettere di chiedere, di cercare e di costruire Giustizia e Pace.

 Perché ci comunica una forza immensa, carica di operosa speranza, il sapere che esistano (tanti!) giornalisti, intellettuali, religiosi, obiettori di coscienza, ecc. che, nonostante tutto, non intendono rassegnarsi, tacere, obbedire, ma che continuano a difendere e soccorrere le vittime, a denunciare i crimini, a rifiutare  la faziosità che occulta il vero e nobilita i boia, che continuano, soprattutto, ad impedire alla propria ragione di abdicare e di arrendersi, proseguendo nel proprio lavoro di riflessione, di onesta informazione,  di discussione critica, e, soprattutto, di ben ragionati irenici insegnamenti ed esortazioni. 

E più di tutte, credo,  meritano attenzione e immenso rispetto le voci nonviolente che non cessano di ammonirci e di provare a guidarci verso una più corretta visione dei fatti e verso possibili (più o meno utopiche) soluzioni alternative.

Una di queste voci è rappresentata, ad esempio, da Rabbi Lynn Gottlieb, la prima donna ordinata rabbino nel movimento del Rinnovamento ebraico  (1981). In un suo articolo recentemente apparso su Azione Nonviolenta*,

  • viene da lei sottolineato come a giocare un ruolo fondamentale nelle vicende politiche dello stato israeliano sia stato  sfortunatamente il sionismo ebraico, “irrevocabilmente legato alla visione del mondo dei coloni bianchi, suprematisti, profondamente antisemiti, islamofobici e coloniali”, e basato sulla convinzione che, per gli ebrei, fosse indispensabile possedere “il potere di uno stato nazionale completamente militarizzato”.
  • A suo avviso, nell’attuale catastrofico momento, si sta realizzando, all’interno di “una campagna di uccisioni di massa senza alcun riguardo per la vita civile”, una spaventosa espulsione  di centinaia di migliaia di palestinesi che si riallaccia con forza alla Nakba del 1948.
  • La Gottlieb, poi, denuncia con grande amarezza il brutale tradimento subìto in tanti anni, ad opera della comunità internazionale e  degli Stati americani ed europei, dalle migliaia di palestinesi che hanno lottato in modo nonviolento per porre fine all’occupazione militare.
  • E denuncia anche il fatto che, all’interno delle comunità ebraiche statunitensi, chiunque cerchi di proporre soluzioni politiche eque, miranti allo smantellamento dell’occupazione e dell’apartheid, istituendo anche il diritto al ritorno, venga ignorato e zittito con il marchio infamante dell’ “antisemitismo”.
  • Accusa, inoltre, la società israeliana di aver coltivato per 75 anni la cosiddetta  “arroganza del privilegio”, ovverosia  uno stato d’animo basato sulla negazione dell’umanità dell’altro e producendo, così, una visione della realtà tanto distorta quanto pericolosa, e, ancora peggio, provocando un progressivo indurimento di cuore di fronte alle condizioni di sofferenza palestinese.

“La gente dell’Olocausto - arriva a dire Lynn Gottlieb - sta usando il linguaggio dell’olocausto per giustificare atti di carneficina genocida.”

  • Ed ai leader della comunità ebraica viene rimproverato di essersi rifiutati di prendere posizione contro l’oppressione palestinese per paura di “ essere licenziati, di dividere le loro comunità o di perdere i finanziamenti”, contribuendo, in tal modo, ad alimentare l’impunità israeliana e la repressione del popolo palestinese, sottoposto ad una “punizione collettiva, alla negazione dei bisogni fondamentali come alloggio, cibo, acqua e libertà di movimento e alla continua umiliazione e aggressione”.
  • Ma - sottolinea con vigore questa tenace donna rabbino - la tesi del diritto di Israele a difendersi anche commettendo atrocità contro un’intera popolazione, fondata sulla convinzione che la “sicurezza ebraica” debba essere conseguita con l’applicazione sistematica della “politica del  ‘con ogni mezzo necessario’  non è accettata da tutti i sopravvissuti all’Olocausto, tanto meno da tutti gli ebrei.”
  • A questo proposito, riferisce le splendide parole pronunciate da Anna Columba (sopravvissuta all’Olocausto) durante una manifestazione di protesta con le Donne in Nero, in Piazza Zion a Gerusalemme:

“Ho perso tutta la mia famiglia nell’Olocausto. I nazisti erano assassini. Non voglio che siamo come loro. Meglio essere tra i perseguitati che tra i persecutori,  perché almeno abbiamo ancora la nostra anima umana.”

  • L’ebraismo da lei abbracciato e praticato (Shomeret Shalom), plasmato sulla base delle tradizioni e delle eredità ebraiche nonviolente in correlazione con gli attivisti praticanti nonviolenti contemporanei, la spinge a sostenere iniziative di concreta “riparazione dei peccati del sionismo”, miranti al conseguimento dell’immediato “cessate il fuoco” e al via libera agli aiuti umanitari, nonché a costruire un movimento di solidarietà con il popolo palestinese, in modo da sostenere  forze operanti all’interno della società israeliana, come le organizzazioni  Zochrot** e B’Tselem***, che lavorano per  “l’equità, la dignità e il diritto palestinese a ritornare a un’unica comunità di ebrei e palestinesi, come cittadini con uguali diritti davanti alla legge.”

 

  • La Gottlieb, dopo aver dichiarato “fallito” il sionismo, definendolo anche “muktseh”, ovvero inaccettabile all’interno dello stesso ebraismo, afferma che l’unica strategia adottabile per il raggiungimento di un mondo sicuro per palestinesi ed ebrei sarà quella della “solidarietà verso una giustizia amorevole” .
  • “Scelgo - dice - di riporre la mia fede nell’idea che la nostra liberazione come esseri umani è interdipendente. Tutti o nessuno di noi. Per il bene dei nostri figli.
  • Concludendo che, in quanto rabbina impegnata nella pratica della nonviolenza ebraica, sorretta dalla volontà di alleviare e curare la sofferenza prodotta, la sola strada percorribile dovrà essere rappresentata da quella delle “azioni riparatrici”.

 

Una strada, questa, certamente lunga e indubbiamente difficilissima, addirittura impensabile agli occhi di molti (dentro e fuori Israele), ma che meriterebbe di essere attentamente ponderata e che, attuando una epocale rivoluzione ideologica e strategica, andrebbe abbracciata ed intrapresa con ragionata consapevolezza e con fermissima determinazione, nonché fortemente incoraggiata e convintamente e concretamente sostenuta  dall’intera comunità internazionale, soprattutto dalle tante nazioni che tanto volentieri gareggiano nel dichiararsi “amiche di Israele”, desiderose di una pace reale e duratura.

 

NOTE

*Rivista fondata da Aldo Capitini nel 1964, bimestrale del Movimento Nonviolento (www.azionenonviolenta.it).

** Organizzazione no-profit israeliana avente lo scopo di promuovere la consapevolezza della Nakba palestinese (il catastrofico esodo forzato della popolazione araba palestinese, durante la guerra arabo-israeliana del 1948).

***ONG israeliana avente l’obiettivo di raccogliere informazioni in merito alla situazione dei diritti umani nei territori occupati.

 

 

 

January 14, 2024

  La vigna cresce a Firenzuola

Vicchio, Appenninia Wine Festival, Teatro Giotto, l’atteso talk condotto da Massimo Cirri (Cartepillar Radio Due). La sala si riempie piano piano. Tutti presenti i produttori espositori. Pure anche chi non espone ma vuole essere presente alla “Prima”.

Accanto a me un posto libero. Si avvicina un giovane dai lineamenti orientali e mi chiede di sedere. “Buongiorno mi chiamo (non capisco il nome)”. Altrettanto mi presento. Non ho dubbi: è giapponese. Chiedo conferma. E in un italiano “passabile” inizia a parlare del perché si trova nel teatro Giotto.

- Ho iniziato a produrre vino da queste parti.

- Ma tu sei quel giapponese che abita a Puligno, tra Firenzuola e il passo di Monte Giogo, in quella casa di pietra “spazzata dal vento”?

                  Tatsuhico Ozaki a Vicchio (foto Il Filo)

- Sì, sono io.

TATSUHIKO OZAKI, quel “matto” che vuole produrre vino da vitigno giapponese, il Koshu, ad oltre 700 metri di altezza dove il vento domina e spazza via tutto, è seduto accanto a me.

Il talk non mi interessa più. Il racconto di Tatsuhiko, sì.

                                                  Pergola e Koshu in Giappone

Anche perché, in uno dei viaggi fatti in Giappone, ai piedi del Monte Fuji, nell’area viticola di Yamanashi, calpestai una vigna a pergola di Koshu, vitigno considerato a bacca bianca se pur, nella sua maturazione, assuma un colore rosato intenso. Assaggiai allora un vino “dolce”.

La coltivazione di Koshu in Giappone è millenaria. Recenti studi compiuti su ricerche basate sul DNA riconducono questo vitigno alla Vitis Vinifera.

Ed è proprio per questo che Tatsuhko vuole riportare l’autoctono nipponico alle sue origini. Allevarlo in un contesto pedoclimatico ( l’insieme di fattori che  integrandosi determinato la buona o la cattiva riuscita dell’impianto di un nuovo vigneto in una determinata e caratteristica zona del mondo simile a quella di provenienza)simile a Yamanashi.

“Complessivamente avrò in un prossimo futuro, un ettaro e mezzo di vigneto che dal prossimo anno alleverò metà a Pinot Nero e metà a “Koshu”. Per adesso ho messo 3 mila metri quadri di Pinot Nero, mentre gli altri li impianterò verso Aprile 2024”.

Facendo un rapido conteggio, impianto, crescita e successiva vinificazione, la prima bottiglia di uno e dell’altro, non prima del tardo 2027.

 grappolo di Koshu

Massimo Cirri interrompe il nostro dialogo pregando  TATSUHIKO OZAKI a salire sul palco e raccontare la sua avventura.

È finito il talk e Tatsuhiko è la star del mattino. Molti colleghi si avvicinano per chiedere l’intervista. Ma la mia, a bassa voce, ha tutto un altro significato.

L’appuntamento al 2027, a Puligno, tra Firenzuola e il Passo del Monte Giogo, in quella casa di pietra “spazzata dal vento”.

 

 

 

 

 

 

January 11, 2024

 

Il 12, 13 e 14 gennaio, al Teatro degli Eroi, andrà in scena questa proposta alla cui prova ho l’opportunità di presenziare. Ormai il cast è affiatato e pronto e visto l’imminente esordio, si lavora sul perfezionamento in una funzionale sala prove dove prende posto parte della scenografia, mentre gli attori sono quasi tutti in costume. Il regista segue attento i dettagli…

 

Mi piace l’idea di poter assistere prima del pubblico ad uno spettacolo; mi permette di conoscere il cast, di vederlo lavorare per approntare le ultime modifiche prima del debutto. È un’interessante esperienza fatta dietro le quinte dove si respira la tensione, ma soprattutto l’entusiasmo nel presentare qualcosa di proprio su cui si è lavorato con impegno e dedizione. La soddisfazione è tanta, specie quando si è lavorato su un testo difficile come questo, e poi con un cast così numeroso. Penso alla difficoltà solo per organizzare le prove… ognuno con i suoi impegni personali… tutto per amore del teatro. Credo sia doveroso scrivere qualcosa su questi appassionati attori e sulle loro capacità.

Il dramma originale del 1882 è del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen e si svolge in ben cinque atti. In questa versione, viene ottimizzato con una riduzione a due ma senza perdere né il messaggio che vuole trasmettere, né tantomeno la sua drammaticità.

Si racconta di una società che almeno all’apparenza vuole essere democratica, ma dove si palesa immediatamente l’eterna lotta tra il potere dei forti e la democrazia. Tutto è manifestato attraverso il difficile rapporto tra i due fratelli Stockman. Il dottor Thomas, un idealista con le sue idee critiche e propositive che cozzano inevitabilmente con quelle del fratello Peter; il sindaco della città, un politico ambizioso e senza scrupoli bramoso di potere e attento agli interessi personali a scapito della salute pubblica messa in pericolo a causa di un inquinamento che ha colpito le terme cittadine e che, se scoperto, farebbe crollare il turismo e l’economia del centro. Un tema fortemente attuale e affrontato come tale, dove gli interessi economici e il prestigio di pochi interessati scavalca il bene e la salute di una comunità. 

Il titolo può sviare, perché in realtà il nemico del popolo, o quello additato come tale, è al contrario colui che dovrebbe essere visto come il salvatore. Una persona coerente che cerca di preservare la società essendo lontano da ogni interesse personale, vuole informare del pericolo la popolazione.

Una contraddizione tipica della società moderna, in cui chi lotta per il bene comune dà fastidio ai poteri e viene ostracizzato dai potenti ed infine escluso proprio da quella maggioranza che vorrebbe preservare. Una maggioranza ignorante manipolata dal potere. Pensate a cosa è accaduto con l’Ilva, con la Terra dei fuochi, con i vaccini…

Mentre il dottor Stockmann cerca di salvaguardare la salute della popolazione con delle rivelazioni importanti su quanto sta accadendo, il fratello Peter, personificazione dei poteri forti, lo schiaccia e lo discrimina facendolo apparire al contrario, un soggetto cioè pericoloso in grado di distruggere il benessere di una cittadina per questo viene trasformato in un mostro, in un nemico del popolo. Il fratello dispotico arriva allora a distruggerlo socialmente ed economicamente, senza porsi il minimo scrupolo verso l’onesto consanguineo. Ecco che il cieco potere travolge con indifferenza anche gli affetti familiari, senza scrupoli o remore.

Nonostante tutto Thomas, il dottore, rimane fermo nei sui suoi propositi. Solo e abbandonato, percorrerà la strada che ritiene più giusta con coraggio e senso di giustizia, coinvolgendo suo malgrado la famiglia, che entra ovviamente in crisi.

La bellezza del testo, ma soprattutto la capacità del cast e il raffinato riadattamento riescono a ricreare queste tensioni e preoccupazioni in maniera coinvolgente e realistica.

Giorgia, la figlia del dottore, è una ribelle che pur vestendo i panni di una ragazza di altri tempi, ha la grinta di una ragazza moderna, schietta e battagliera. Agnese, la moglie, ci appare come una donna matura, indecisa sul da farsi per le ripercussioni che il gesto del marito avranno sulla famiglia, ma anche propensa ad appoggiarlo; Antonello, il dottore, trasmette il fardello che porta sulle spalle con una postura ingobbita, e gesticolando nervosamente esprime quando vede tutto crollargli intorno. I tre ricreano efficacemente queste tensioni familiari.

Riccardo, il fratello sindaco, è un personaggio forte; si mostra viscido e subdolo, dando l’impressione, con le sue movenze lente e riflessive, di tenere sempre in mano le redini della storia. Domina la scena e tutti sembrano pendere dalle sue labbra, costretti a rispettare i suoi tempi pacati prima di potersi esprimere. Come il povero balbettante giornalista (Antonio), che dapprima spalleggia il dottore con la sua denuncia, ma poi cede raggirato ed intimorito dalle velate minacce del politico, abbandonando il povero dottore al suo destino.

Una storia che racconta di manipolazioni ed interessi dove si scoperchia una pentola ricolma e tracimante di intrighi, in cui le flebili alleanze si tramutano presto in tradimenti. È affascinante come tutto venga presentato in un’epoca passata, ma attraverso questo riadattamento e alla recitazione si giochi tra l’anacronistico e il contemporaneo. La regia crea degli strappi temporali che attualizzano la storia. Si viene così sballottati in dimensioni parallele tra due momenti storici, che seppur distanti tra loro si compensano. Il tentativo è davvero coraggioso e il risultato assolutamente efficace.

La volontà del testo è quella di far vivere ed emergere le lotte intestine che vanno a scapito della collettività, e di sottolineare come la massa, invece di unirsi e sostenere chi vuole proteggerla, si schiera con chi vuole invece annichilirla. Questo ci appare in tutta la sua drammaticità nella scena con “La voce del popolo”: una scena forte, volutamente confusionaria, proposta con cinismo e attualizzata. La folla che crea una bagarre confusionaria ricrea quello stato di caos provocato da menti fuorviate e confuse, che con il loro atteggiamento decretano la morte della democrazia e della loro libertà. Paradossale ed assurdo, ma sempre attuale. Pensate a chi è più preoccupato al posto in classifica della propria squadra di calcio che alle problematiche del proprio paese…

Temi sempre attuali, affrontati in modo da far riflettere attraverso la provocazione, per condurre poi verso un finale inaspettato.

Forse quello che la proposta ci vuole dire è che per essere davvero liberi bisogna prima liberarsi della propria ignoranza e cominciare a pensare con la propria testa,  invece di farsi pigramente indottrinare dal potere.

In questa battaglia contro i mulini a vento, in cui i sostegni vengono a mancare attimo dopo attimo, l’unico coraggioso è il capitano di Marina (Giovanbattista, stasera sostituito da Renato) che gli rimane al fianco. Compare poi l’armatore Giampaolo, che si rivela una figura viscida come quella di Peter e che cerca inutilmente di intimorire lo stoico capitano.

Si affacciano poi due camei, due figure forti che spezzano questo quadro: l’ubriaca, in cui ho visto una trasposizione del coro greco, l’unica che forse grazie al suo stato riesce a rimanere coerente e a gridare il suo sdegno. Lei è Eugenia, che seppure appaia solo all’inizio della storia, lascia il segno. L’altra è la suocera del dottore, Stefania, che mi ha riportato alla mente Elena Daskowa Valenzano, l’attrice che interpreta la madre del Marchese del Grillo con Alberto Sordi. Con la stessa verve e incisività segna ogni suo ingresso con forza.

Insomma, nonostante l’assenza delle luci, delle musiche e di alcuni accorgimenti che renderanno sicuramente più emozionante lo spettacolo in teatro, sono uscito da questa esperienza molto soddisfatto. Ho potuto concentrarmi maggiormente su ogni singolo artista e apprezzarne le doti, le sfumature, la gestualità, l’espressività, senza le “distrazioni” del contesto.

Un testo forte, difficile e ben presentato. Posso solo immaginare l’effetto che farà in teatro.

 

“Un nemico del popolo”  
Teatro degli eroi 
Di Henrik Ibsen 
Adattamento e regia di Renato Piva 

Con Riccardo Buttarini (Peter Stockmann), Antonio Di Marco (Hovstadt), Giorgia Finocchi (Petra), Stefania Mastroianni (Stephen Kill), Agnese Piccolomini (Signora Stockmann), Antonello Saponara (Thomas Stockmann), Giovanbattista Scidà (Chorster), Eugenia Brandi (l’Ubriaca), Giampaolo Vezza (Vik).

Con la partecipazione straordinaria de “La voce del popolo”

 

January 08, 2024

January 04, 2024

 

Questa storia è davvero deliziosa, dolcissima ed intrisa di passione. Ci svela come i personaggi coinvolti affrontino la vita ed imparino a gustarla sempre con un sorriso, focalizzandosi sull’amore  per le proprie passioni, le aspirazioni, e le emozioni con cui si assaporano le cose semplici della vita. Tutto è raccontato attraverso un approccio delicato, quasi fatto in punta di piedi in cui si riconosce la mano di Michele, che oltre a scrivere il testo interpreta un particolare ed originale personaggio: Giacomo, un giardiniere un po’ filosofo e un po’ yogi che vive un rapporto molto singolare con il suo lavoro e con le piante del suo vivaio.

Il suo sembra essere un mondo a parte, forse un rifugio in cui coltivare non solo la passione per la botanica, ma anche il rapporto profondo con se stesso, in un luogo reso quasi magico, distante dal tran tran quotidiano che ingurgita tutti e schiaccia il senso della vita. Giacomo sembra prediligere il rapporto con il mondo verde, più che con quello degli uomini. Sembra volersi proteggere dai rapporti umani e distaccandosi da essi, dedica tutto sé stesso alle piante instaurando con loro un rapporto profondo e confidenziale.

Inaspettatamente, irrompe nella sua tranquillità Camilla, una donna dedita completamente alla carriera lavorativa. Vive per il lavoro che sembra dominarla occupandole ogni momento della giornata. I due apparentemente sono in perfetta antitesi, ma paradossalmente si rivelano anche molto simili. Hanno in comune lo stesso atteggiamento: quello di impegnarsi in qualcosa che li possa proteggere dal rapporto emotivo con gli altri.

Aldo invece è il dolcissimo assistente che lavora e aiuta Giacomo. Un sempliciotto con un lieve ritardo mentale che però lo rende spontaneo, vero. Privo di ogni forma di inibizione, dice sempre quello che pensa. Fortemente condizionato dalla madre, ha sviluppato anche lui un particolare rapporto con le piante, ma anche con il suo datore di lavoro. Anche lui sembra essere protetto da questo ambiente, che non lo ostracizza per la sua condizione. Qui tutti sembrano essere uguali, sullo stesso piano.

Tre caratteri e tre tipologie di vita assolutamente differenti si incontrano e si scontrano grazie ad una scrittura semplice ma efficace, che sprizza dolcezza e spontaneità in ogni suo passaggio. Un inno alla semplicità umana e un’ode alla vita, che vuole portarci a riflettere sul tempo che passa, sull’importanza del confronto con gli altri e sul valore e il piacere dell’attesa che va goduta nel preparare un evento, nel vederlo crescere per poi coglierne i frutti… proprio come si fa con le piante, entrando in sintonia con il naturale corso della natura e del destino, in attesa che questo si compia.

Tutto è affrontando con apparente leggerezza ma in realtà in modo molto profondo. Ogni forma di ansia e nervosismo dei personaggi viene curato da questo atteggiamento sempre positivo che domina la storia ricca di riflessioni, che porteranno via via i tre a riconsiderare le priorità della vita, donandoci l’opportunità di ritagliarci anche noi un attimo di riflessione.

Michele si presenta con il suo inconfondibile atteggiamento: un po’ sornione, calmo, spontaneo, spiritoso, estremamente riflessivo in ogni sua esternazione. La sua comicità ha il sapore di quella di una volta, cresciuta e maturata con i grandi nomi dello spettacolo e oggi personale e tutta sua.

Francesco interpreta un ragazzo le cui evidenti difficoltà per il suo lieve ritardo ne fanno un personaggio amabile e divertente per la spontaneità. Afflitto da visibili tensioni muscolari, Francesco con gesti e movenze inequivocabili svela le difficoltà motorie ma al contempo sottolinea il carattere mite in un modo davvero commovente.

Federica passa dallo stato di stress ed egocentrismo iniziale a manifestare tutta la sua dolcezza, la femminilità e la sensibilità inespressa. Abbandonando le sue frustrazioni, si trasforma in una piacevole ragazza, dolce e piena di sogni finora nascosti grazie all’incontro con una sorta di “mago di Oz” che ha i panni di un giardiniere, il suo aiutante schietto e sensibile, ma anche grazie a questo ambiente magico in cui il tempo pare non esistere ed essere fermo ad aspettare pazientemente la maturazione dei personaggi, proteggendoli intanto dal mondo esterno.

Questo apparentemente normale vivaio si rivela quindi un luogo pieno di vita ed emozioni, protettivo e fatato. Una suggestiva scenografia riempita di piante e vasi, a cui si aggiungono le luci, lo esaltano e lo rendono molto realistico.

Le scene si susseguono inframmezzate da brani di Pino Daniele, Lucio Dalla e da altri classici della musica italiana. In ogni scena c’è tutta la passione per il teatro che il lavoro di Michele riesce a trasmettere, supportato dal suo valido cast e dalla regia di Nicola Pistoia (di cui in una scena sentiremo anche la voce fuori campo registrata).

Uno spettacolo adatto a tutti, che dietro alla sua semplicità nasconde una forte dose di sensibilità, di profondità e una grande ricchezza di valori.

Ogni scena è un crescendo che ci rivela un pezzetto alla volta il carattere dei personaggi, che con i loro pregi appannano ogni loro difetto. Una commedia che sprizza positività e una grande passione per la vita, quella sana, fatta di persone che sanno ascoltarsi e ascoltare, o che vogliono imparare a farlo per arrivare a godersi la semplicità, abbandonando sterili e fugaci ambizioni, così come farà Camilla. La donna si accorgerà che la vita è fatta di altri valori da gustare dietro ai quali, chissà, può nascondersi anche il sogno d’amore al quale abbandonarsi senza paura. L’amore, questo sentimento che spesso spaventa per la sua intensità…

Imparare ad affrontare questa paura significa vivere in armonia sia con sé stessi che con gli altri. Questo credo sia il messaggio insito nella storia.

 

Teatro Sette Off 

“Il Piacere dell’attesa” 

Di Michele La Ginestra; regia: Nicola Pistoia, aiuto regia Loredana Piedimonte 

Con Michele La Ginestra, Federica De Benedittis, Francesco Stella

January 02, 2024
Ornella Mariani Forni

In una sua ironica e sottile lettera aperta di buon anno 2024, Ornella Mariani Forni - premio Italia Diritti Umani 2023 - cita alla fine la Carta di Nizza, altrimenti detta CDFUE, di cui io parlo dal 2019 sostenendone la efficacia e grande valore giuridico, poiché essa ha sancito dei valori e dei diritti fondamentali per tutti i cittadini della Unione.
Cinque anni fa - nonostante essa fosse ben discussa dai giuristi italiani e dagli addetti ai lavori accademici - non era dibattuta dagli avvocati se non raramente, e poco o per nulla nota al grande pubblico italiano.
Qualche giudice di pace nelle sentenze con cui negli ultimi mesi ha annullato le illegittime sanzioni amministrative e i relativi avvisi di addebito per mancata vaccinazione COVID-19, la ha citata e invocata come strumento di tutela dell'individuo dinanzi al quale il potere autoritativo dello Stato deve retrocedere se sproporzionato o lesivo della dignità umana.
Dispiace solo che la Corte Costituzionale italiana prima e la stessa Corte di Giustizia UE di Lussemburgo poi, negli ultimi due anni si siano tirate indietro quando sono state interpellate rispettivamente in ricorsi e richieste di pronunzia pregiudiziale, limitandosi a una sua tutela formale e non anche sostanziale e vivente.
La Carta di Nizza e la sua equiparazione a trattato dall'anno 2009 nel diritto eurounitario, e' stata la ultima conquista storicamente rilevante nell'ambito dei diritti civili e umani in Europa, prima che il Vecchio Continente anno dopo anno venisse travolto da una deriva autoritaria a tutti i livelli - ostaggi di grandi lobby finanziarie e potentati occulti - che lo stanno trasformando in un superstato totalitario mascherato da valori democratici e libertari, poco concreti e sempre più fittizi.

Auguro a tutti voi un buon anno 2024 perché godiate e conserviate i vostri affetti e raggiungiate i vostri traguardi, ricordandoci che sono le piccole cose della vita a dare sapore alla felicita'.

 

il video della lettera al Presidente delle Repubblica
January 01, 2024

 

I “Diavoli in cucina” sono dei mattacchioni un po’ improvvisati e raffazzonati che compongono lo staff del ristorante “Rigatoni”, destinato nonostante tutto a diventare famoso. Vi lavorano tre uomini e una donna: Michela (Valeria), che lo gestisce; Francesco (Alessandro), un inveterato mammone che va ad aiutarla perché da sempre è innamorato di lei; Nando (Simone), uno speakers radiofonico sottopagato e ormai disoccupato con la passione per la cucina; Marco (Maurizio) che prima del suo ingresso nel gruppo sbarcava il lunario con ogni tipo di occupazione per mantenere la sua esosa e pretenziosa famiglia, mentre con difficoltà cerca di coronare il sogno di laurearsi.

Un po’ confusionari e un po’ arrangiati, i quattro portano avanti il locale dove cucinano, apparecchiano i tavoli, intrattengono i clienti, li servono, puliscono la sala, fanno la spesa… e intanto ci divertono.

Uniti in questa avventura lavorativa, Condividendo molto tempo insieme, finiscono per affezionarsi, confidarsi, confrontarsi, aiutarsi e scherzare, maturando un’affettuosa amicizia e un forte rispetto reciproco. Ma nella vita le cose cambiano e non sempre tutto va per il meglio. Purtroppo il personale del locale subirà un drastico cambiamento: viste le ingenti spese di gestione, uno di loro dovrà abbandonare il lavoro... Michela, che si trova così spiacevolmente tra l’incudine e il martello, sarà costretta a licenziare uno di loro…

Ecco allora che l’idillio della compagnia si rompe e il rapporto tra loro cambia drasticamente. Nonostante la commedia sia leggera e divertente, si affaccia anche un lato drammatico che tocca temi sensibili come la disoccupazione e la crisi nei rapporti d’amicizia.

Il cast in scena è ben rodato. Dopo il successo dello scorso anno con il divertentissimo “Una zitella da sposare”, che peraltro a breve sarà riproposto qui al Teatro de’ Servi, tornano tutti e quattro con questa esilarante proposta.

Sono artisti molto impegnati e richiesti: Valeria ha terminato da poco un tour con Antonello Costa e il suo divertente e toccante “La vita è un attico”, e dopo l’appuntamento di questa sera sarà nel cast del travolgente “La signorina Papillon”; Maurizio ed Alessandro riproporranno il loro fortunatissimo “Banda disarmata” e poi, sempre qui, li ritroveremo con Valeria in “Quasi quasi ci ripenso”… Simone ormai collabora spesso con loro mentre si divide con altri interessanti impegni teatrali…

Stasera ho molto apprezzato l’inserimento di questa vena velatamente drammatica che non stona, anzi, dà corpo alla storia. Un risvolto che permette di affrontare con profonda ironia temi come la disoccupazione, l’amicizia, gli interessi personali, le difficoltà economiche e i sogni infranti, tra paure e instabilità.

Marco (Maurizio), Michela (Valentina), Francesco (Alessandro ) e Nando (Simone), dopo essere entrati inaspettatamente in sala ed essersi presentati in maniera molto simpatica al pubblico irrompendo nella quarta parete, prendono posto sul palco dove li aspetta una deliziosa e curata scenografia che ripropone il ristorante che accoglierà tutte le vicende.

La pièce di Natale e Quinto, in maniera veloce ma esaustiva, presenta subito i personaggi con accenni sulla loro vita, i reconditi desideri, le fisime che li affliggono e caratterizzano, per poi catapultarci immediatamente nel vivo della storia tra scherzi, screzi, dispetti, battute goliardiche e la realtà di questa precaria situazione lavorativa.

Con una velata derisione dell’altezzosità di programmi culinari come “Master chef”, la storia svela con dignità il lato più recondito di ogni personaggio e il suo difficile rapporto con vita. Quando si affaccia il demone del licenziamento, ognuno a suo modo cerca di apparire indispensabile agli occhi di Michela, la responsabile, cercando prima di ingraziarsela e poi di svilire gli altri ai suoi occhi per non perdere il posto. La scrittura riesce a restituirci, nello spazio di meno di due ore, il duplice aspetto di ogni personaggio: prima il carattere fondamentalmente semplice e buono, poi il dramma interno che vive e che lo trasforma in disperato opportunista in una guerra tra poveri.

Tutto senza mai perdere quella comicità di fondo che accompagna lo spettacolo. I nostri, rivelandosi divertenti e simpatici, svelano la macchietta che si cela dietro ogni singolo ruolo senza mai sminuirlo o ridicolizzarlo grazie alle loro indubbie capacità recitative. I battibecchi che ricreano sono sempre divertenti e realistici e rivelano inequivocabilmente la natura tenera e infantile con cui i protagonisti affrontano la vita. Non si può non amarli e affezionarsi a loro, perché in fondo sono tutti dei buoni diavoli.

Confusionari e divertenti, questi cuochi si avvicendano e accavallano forsennatamente tra una scena e l’altra. Insieme intrattengono il pubblico tra risate ed applausi dando vita ad una commedia leggera, frizzante e divertente che gira intorno ad un tema originale per il teatro come quello della cucina, che se è tanto in voga nei programmi televisivi, al contrario non è usuale in teatro.

Quello che mi è molto piaciuto della scrittura è l’esaltazione della semplicità dei personaggi e del loro impegno alla difficile ricerca di uno spazio nella società e nel mondo del lavoro. Anche se apparentemente paiono deboli e con scarse capacità, dimostrano che nonostante le loro difficoltà personali ed insicurezze, l’unione fa la forza e che alla fine la tenacia, l’amicizia e l’amore trionfano sulle difficoltà. Forse è questo il messaggio positivo insito nella commedia.

La recitazione, la scelta delle musiche, i suoni di fondo sono ineccepibili, ed è ottimo l’uso delle luci che fa spiccare ogni scena e rende efficaci i brevi soliloqui-sfoghi dei nostri. La storia rivelerà un finale dolce, delicato ed inaspettato.

Uno spettacolo gradevole e divertente, adatto a tutti.

 

Teatro De Servi
“Diavoli in cucina”
Di Gianni Quinto e Massimo Natale
Regia di Massimo Natale
Con Valeria Monetti, Maurizio Paniconi, Alessandro Tirocchi e Simone Giacinti

 

 

January 01, 2024

December 24, 2023

© 2022 FlipNews All Rights Reserved