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Vitigno antico |
Capire il Prosecco. Già l’invito ad una degustazione con questo titolo è stato stimolante. Ed ha assunto il livello di interessante nelle parole che lo hanno accompagnato.
“Siete sicuri di conoscerlo bene? Sapete la differenza tra Conegliano-Valdobbiadene DOCG e Prosecco DOC? Lo sapete che l’uva glera può essere spumantizzata anche con il metodo classico? Che esiste la versione nature con 0 zuccheri? Li avete mai assaggiati in queste versioni? Se conoscete tutto il mondo Prosecco state tranquillamente a casa. Altrimenti questo è il Banco d’Assaggio Blind Wine Tasting che vi farà ricredere sui tanti giudizi negativi e cancellerà altrettanti pregiudizi”
Secondo voi mi sono lasciato fuggire un’occasione simile?
Puntuale come un cadetto eccomi all’appuntamento del 10 settembre presso il Wine Corner del Ristorante Europa di Lido di Camaiore dove gli amici della Community Vino una Passione hanno dato vita a questo didattico incontro.
Sette bottiglie: risultato eccitante, allettante, provocatorio.
Un po’ di storia.
L'origine del Prosecco è molto antica e il suo vitigno di provenienza , il Glera , era già noto all'epoca degli antichi Romani che lo utilizzavano per produrre un particolare vino bianco denominato “Pucino”.
Le origini del nome Prosecco: tutto parte dal Comune Prosecco che si trova vicino a Trieste rivendicandone la paternità. Vero è che del vino Prosecco abbiamo la certezza della sua presenza, nella versione vino da pasto, nel territorio costituito dal triangolo Asolo-Conegliano-Valdobbiadene, fin del '500. Da vino da pasto a rifermentato in bottiglia (Prosecco con il fondo) per arrivare alla spumantizzazione con il metodo Charmat è risultato il percorso fino al ‘900.
Prosecco: vino
Vitigno: Il vitigno principale da cui si ottiene il Prosecco è il Glera, classificato come semi-aromatico; possono concorrere poi, fino ad un massimo del 15%, altri otto vitigni, dagli autoctoni Bianchetta, Perera, Verdiso, Glera lunga agli internazionali Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero.
Dal 2009, il mondo del Prosecco è costituito da tre diverse denominazioni: Prosecco DOC, Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG e Asolo Prosecco DOCG.
Il Prosecco spumante nasce principalmente dal Metodo Charmat. Con questo metodo, che prevede la rifermentazione in grandi recipienti (autoclavi), si ottengono sia vini frizzanti, sia spumanti, a seconda della tipologia che le cantine scelgono di creare. Molto usato il Metodo Charmat “lungo” con permanenza in vasca fino a 12 mesi.
Negli ultimi anni si produce Prosecco Metodo Classico (rifermentazione in bottiglia) riducendo lo zucchero quasi a 0.
Uno dei vitigni |
Alcune aziende hanno riscoperto il metodo “ancestrale o Prosecco con il fondo” ovvero fermentazione del mosto e/o vino in bottiglia.
PIRAMIDE del PROSECCO
- Eccellenza cru Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Superiore di Cartizze DOCG Cartizze 107 ettari;
- Rive (Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Superiore DOCG) 43 micro aree dette "Rive" (frazioni/località di 12 comuni TV);
- Storico Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Superiore DOCG 15 comuni TV;
- Asolo Prosecco DOCG 19 comuni TV ;
- Prosecco sottozona trevigiana Prosecco di Treviso DOC 95 comuni TV;
- Prosecco interregionale Prosecco DOC 556 comuni, 9 province, 2 regioni (Friuli e Veneto).
Le classificazioni in riferimento al dosaggio zuccherino:
- Dry: oltre 18 g/l
- Extra Dry: da 12 a 17 g/l
- Brut: da 6 a 11 g/l
- Extra Brut da 0 a 5 g/l
Confesso.
Dopo aver subìto due ore di pesante tribolazione, ero intenzionato a buttare giù, senza stare a perdere troppo tempo, una stroncaturina gelida e perentoria.
Il film di Maura Delpero, infatti, il Vermiglio osannato e premiato dalla critica, mi era apparso, sì, un lavoro costruito con passione, con grande cura ed impegno, certamente un prodotto di indubbia serietà, ma, al contempo, lo avevo patito come una narrazione impregnata di sofferenza atavica, di millenaria pena di vivere, esteticamente attraente solo quando qualche immagine sembrava ricalcare (non certo per caso) le pennellate di Segantini o quando le note di Chopin e di Vivaldi riuscivano a far entrare qualche sprazzo di infinito in quel mondo cupo e dolente di misera vita di montagna.
Confesso.
La tentazione della fuga, già dopo una decina di minuti di massacranti dialoghi dialettali sottotitolati, è stata forte.
Forse arginata soltanto dalle sapienti parole di uno dei protagonisti spese in elogio della “vigliaccheria”, sanamente e santamente apprezzata (forse invocata) come efficacissimo antidoto per tutte le guerre.
Insomma, visti i riconoscimenti e gli elogi apologetici di tanta critica verbosa ed erudita, nella speranza che qualcosa di particolarmente significativo irrompesse, prima o poi, sullo schermo, sono riuscito ad approdare ai titoli di coda.
Rientrato in casa, ho preso fiato, cercando di riflettere meglio in profondità e cercando anche di raccogliere tutte le informazioni utili in circolazione sul web.
Che dire, a questo punto, di Vermiglio?
Dal marasma pirotecnico di tante recensioni raffinatamente cerebrali inneggianti ad un “film dell’incanto”, “ammaliante” e dal “valore universale”, ad un film di “pura poesia”, di “secca poeticità”, anzi addirittura definibile come “sinfonia ipnotica e ascendente”, gli unici aggettivi degni di essere salvati e utilizzati sono:
sincero, onesto, intimo, sentito.
Sì, si tratta di un lavoro fatto con grande sincerità di interessi e di affetti;
onestissimo nel suo volerci parlare di una umanità lontana e dimenticata, senza ricorrere a finzioni, senza abbellimenti e senza alcuna indulgenza;
intimo perché capace di mettere a nudo speranze, sogni e timori di cuori grandi e di cuori piccoli;
sentito perché costruito con autentica empatia e delicata pietas.
Qualità belle che certamente rispecchiano con fedeltà la dimensione interiore di Maura Delpero.
Tutto questo, però, non può bastare a trasformare in un capolavoro un film implacabilmente noioso e mai in grado di suscitare, nel malcapitato spettatore, un vero coinvolgimento emotivo.
Vermiglio, pur con i suoi indubbi meriti culturali di ordine storico-antropologico e nonostante l’ amorevolezza (sincera, onesta, intima e sentita) di cui è impastato, resta un film che si vede e si sopporta a fatica, un film che, soprattutto, non si ha minimamente voglia di ritornare a vedere.
Da Mosca, Mark Bernardini. Centesimo notiziario settimanale di lunedì 28 ottobre 2024 degli italiani di Russia. Ueilà, centesimo. Suona bene. Poi, tra meno di un mese, il 22 novembre, questo notiziario compirà due anni. Pazzesco. Buon ascolto e buona visione.
* I BRICS sono un raggruppamento di Paesi nel quale non esistono “leader” e “seguaci”, e che è privo di quel tipo di apparato burocratico che invece vediamo a Bruxelles, nell’ambito del quale i funzionari europei impongono le proprie decisioni: decisioni che non rispondono alle attese degli elettori di molti dei Paesi.
* Presentazione del libro “Le vere cause del conflitto russo-ucraino” pubblicato da Visione Editore.
* La Stampa: Putin ha avuto un arresto cardiaco, è la fine!
* Il 22 ottobre l’ambasciatore tedesco a Mosca è stato convocato dal Ministero degli Esteri russo per esprimere una forte protesta in relazione alla creazione, su iniziativa di Berlino, del quartier generale regionale del comando navale della NATO sulla base del quartier generale della Marina tedesca a Rostock, nella Germania orientale.
* Beatrice Vitoldi nel 1925 conobbe Ejzenštejn che nella “Corazzata Potëmkin” le assegnò il ruolo della madre che spingeva la carrozzina nella celebre scena della scalinata di Odessa.
Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali!
Chiara Françoise Charlotte Mastroianni si è raccontata così, ieri,alla Festa del Cinema di Roma. Il suo racconto è quello di una figlia verso un papà “grande”, scomparso quando lei aveva ventiquattro anni e grande attore di fama internazionale. E non solo. Nelle sue vene scorre il sangue di Catherine Deneuve, ça va sans dire.
Nel centenario dalla nascita del padre, l’attrice si racconta in un dialogo affettuoso, ironico, che va dai racconti delle telefonate che riceveva dal papà, quando era piccola soprattutto, agli incontri a Cinecittà con il grande regista Federico Fellini, amico del padre.
“La vita di mio padre era il lavoro. La vita da set era la sua vera casa, dove si sentiva al sicuro. In vacanza, si annoiava non prendeva il sole, non faceva il bagno, era sempre nervoso”.
E poi, “mi telefonava tanto, troppo, ma non voleva essere rintracciato”.
”Amava il telefono, gli piaceva comprare sacchetti di gettoni perché telefonava sempre. A me anche tre, quattro volte al giorno. Mi chiamava anche per avere una copertura per la sua vita sentimentale complicata. Che tempo fa a Parigi? Piove? Lo faceva per crearsi un alibi. Mi diceva sempre, solo un po’ scocciato: purtroppo bisogna mentire, mentire, sempre mentire anche se è complicato”.
Il padre di Chiara non era un padre qualunque: era uno degli attori italiani più famosi della Dolce Vita, romano di nascita e forse diremo romano nel suo DNA, se la romanità fatta di ironia, del non prendersi troppo sul serio e dell’ indolenza può essere considerata un marchio di fabbrica.
L’indolenza, appunto, “era una specie di grasso che lo proteggeva perché pensava che fosse abbastanza non fare troppo, ed era abitato anche da una certa malinconia per cui il cinema l’ha molto supportato”.
Era rimasto toccato dalla guerra, “c’era in lui l’inquietudine per quello che era successo a mio nonno che aveva avuto una piccola falegnameria, una cosa modesta. Poi arrivò Benito Mussolini, lui non prese la tessera perché era antifascista e perse tutto il poco che aveva”.
Marcello Mastroianni aveva talento, bellezza, fascino e non amava l’idea del mito. Gli davano piacere le cose semplici, che gli ricordavano le sue origini semplici. Modeste.
Il suo legame con Federico Fellini e Sofia Loren restano due costanti della sua vita. Con il regista della Dolce Vita, condivide il tormento, la difficoltà di essere uomini, molto lontani dal mito del maschio italiano. Erano due uomini con vite pazzesche e pieni di malinconia.
Con Sofia Loren, il grande attore condivise, una vera amicizia, la semplicità di mangiare insieme un panino sul set, di ritrovarsi in famiglia. La loro bellezza non li aveva allontanati, anzi, nel loro caso li aveva fatti avvicinare con la semplicità dei loro bisogni, del loro stile di vita, lontano dalle star del cinema americano.
Semplicità e discrezione e gentilezza d’animo, sono state le caratteristiche di quel padre.
Chiara Mastroianni conclude la sua chiacchierata, dicendo che il padre sarebbe stato imbarazzato da tutto questo clamore, da questo gran parlare di lui, per cui, nell’eleganza del suo stile, avrebbe concluso soffermandosi sul rendere omaggio non certo a sé stesso ma alla grandezza del cinema italiano.
Viva il cinema italiano. Grazie.
Io non son nulla eppure tutto mi appartiene…
Una frase, un’asserzione, una citazione che presenta in toto il carattere emozionale e critico di Giancarmine Fiume. E’ una sua presentazione dove non necessiterebbe altro da aggiungere per presentare un autore di grande rilievo culturale e d’immensa sensibilità poetica.
Giancarmine Fiume |
Giancarmine Fiume
Nato a Cantù (CO), l’11/06/1979
Nel 2012 consegue l’attestato di qualifica del corso di perfezionamento per autori di testi, presso il Centro Europeo di Toscolano del maestro Mogol.
A novembre 2020 esce “¡u!” suo libro di esordio per i tipi di Puntoacapo editrice con prefazione di Michelangelo Zizzi.
A giugno 2022 pubblica “Reliquiario carnale” per i tipi di Fallone editore con prefazione di Maurizio Cucchi.
Vive a Rovellasca (CO), è musicista e appassionato di Arte, Storia e Filosofia.
Fiume è un giovane autore che da pochi anni è entrato a fare parte di una contemporaneità poetica di grande spessore emozionale dove i versi contenuti, cantano inquietudini e turbamenti di un uomo che si presenta al mondo con la propria fragilità emotiva ma forte e deciso nella sua ricerca di completezza attraverso l’amore e la passione. “!u! È uscito a novembre del 2020 per Puntoacapo Editrice e “Reliquiario carnale” pubblicato nel 2020 per Fallone Editore.
Il poeta è elegante nell’espressione, padrone nell’uso della figura retorica dove si giostra fra enunciati, analogie, metafore e allegorie e fra poesia e prosastica sa come condurci dove lui vuole facendo sentire il lettore partecipe e testimone del suo vissuto e del suo desiderato.
Entrami i libri di Fiume seguono un filo conduttore, quasi un sequel letterario dove in “!u” l’autore si presenta nella propria quotidianità fatta del suo lavoro immerso fra ombre e sottosuoli da dove con i pensieri assorti vibra nella ricerca di una luce che faccia chiarore a quell’oscurità interiore.
La sua espressività è pura ricercatezza dell’idioma che accarezza e abbraccia quelle emozioni che lo fanno sentire libero di sognare, di respirare e desiderare la sua Sibilla Pavese eterna nei suoi giorni da bramare e da rimembrare. Sibilla diventa immagine incessante, a momenti vicina, altri distante e distaccata. Una simbiosi forse della Sibilla un po’ fata e un po’ profetessa, incantatrice, giovane o matura ma conscia del proprio ascendente su colui che l’ama. Fiume ha la capacità tecnica e letteraria nel descrivere in modo minuzioso ogni attimo, ogni impercettibile sospiro dove la passione, l’amore, il desiderio e il dolore diventano ingredienti di un bisogno interiore di continuità.
L’autore in questo libro ha portato se stesso, così come ha portato l’ombra e il buio che ogni giorno vive nella sua quotidianità lavorativa, quel lavoro che è stato forse l’input di ricerca verso la luce intrinseca nella riflessione e nell’oggettività che non v’è ombra senza un’impercettibile lume.
Sono solo la mia lesa pettorina
nell’incommensurabilità
del buio
dove fate falene scandagliano.
Ecco l’esplosione di vita nella morsa di un buio dove nonostante tutto, le creature della notte danzano e vibrano- Le falene sono gli equivalenti di quegli amori che nessuna ombra potrà mai dissipare perché la vita fluttua nonostante tutto.
Continua Giancarmine Fiume in “Reliquiario carnale” la sua costante ricerca in quell’amore che diventa adesso meta nei viaggi che lui intraprende. L'inconsistenza della perfezione amorosa, la labilità del rapporto, la transitorietà dei legami sono le costanti nelle prosastiche raccolte nel volume. Anche qui come in “¡u!”, impera l’amore come dominante ma è un amore che non dà sempre certezze, un amore che non è perfezione ma ricerca di questa. Di nuovo Sibila Pavese rievocata, quasi come se nel ripetere come un mantra il suo nome in queste nuove pagine, potesse rasentare la perfezione tanto ricercata nell’autore. Quella perfezione fatta di comprensione e di simbiotico sentimento. Sono poesie di passione, di attimi profondi, di disincantato turbamento, sono gioie e dolori, sono di amara consapevolezza . Liriche profonde come l’oceano e delicate come un soffio cherubino ma portatrici di graffi nella mente che Giancarmine non cura ma che invece tortura per non farli cicatrizzare affinché l’enfasi e la speranza cullino quella sua introspezione alla continua ricerca dell’eterno amore.
Eppure non ti ho mai amato a salve,
Sibilla Pavese,
neppure ora che raccolgo amarezza
come una fiera tra le macerie.
Mare lungo i capelli raccolti,
il tuo silenzio una cartolina
dalla fine
quando emergi dall’acqua
e curvi la luce, mi apri dei varchi
con mezzi spargisale
sulle mie arterie scorticate.
Dall’orizzonte ci fissano lampare .
E noi, lettori attenti, ci facciamo osservatori grazie a quelle lampare che portatrici di luce riflettono uno scenario che sa d’amore, di preghiera all’ascolto e di sofferta consapevolezza che non sempre il nostro sentimento è pari al sentimento dell’altro.
Un autore di calibro, un poeta che culla l’idioma con maestria letteraria, un uomo che attraverso la scrittura sa rendere la versificazione voce da ascoltare e da comprendere.
Simona Dascalu è un’attrice di teatro che nel passato ha recitato anche nel cinema. Anni fa ebbe una piccola parte in “ Dolcemente complicate” poi partecipò ad un paio di fiction e di cortometraggi. La sua grande passione è il teatro ed entro breve sarà in scena con il suo nuovo spettacolo, ideato e scritto in collaborazione con lo scrittore Sandro Arista. Si intitola " chi è l'ultimo" e in questa nuova Commedia Simona Dascalu è protagonista oltre che come attrice anche come regista. E’ uno spettacolo dove emergono diverse componenti: dal comico tendente al serio, per poi arrivare al dramma. Ecco la trama in sintesi: Nella sala d’aspetto di uno studio psicoanalitico si incontrano 4 personaggi: Olindo un tipo poco socievole e dal carattere scorbutico, Luciano sentimentale, emotivo e romantico, Teresa una donna avvocato, altolocata e distinta e Ricky dall’aria sfigata anche troppo loquace. L’interazione dei quattro durante l’attesa, scatena una serie di conflitti, tra loro causati dai loro differenti modi di intendere la vita. Con l’arrivo in ritardo di Wanda la psicologa “la più fuori di testa di tutti”, sembra ristabilirsi l’ordine, ma è solo apparenza. La seduta di gruppo farà emergere aspetti in ognuno di loro insospettabili, che capovolgeranno drasticamente ogni cosa.
Ho incontrato Simona Dascalu che ho avuto il piacere di conoscere già da qualche anno ed è sorta una piacevole conversazione.
Simona Dascalu |
Simona quali sono gli aspetti più esilaranti di "chi è l'ultimo?"
La vicenda è tutta nello studio psicoanalitico dove collabora una segretaria un po' distratta e “impicciona” che fornisce lo stesso orario a quattro pazienti. Nella commedia io sono una psicoanalista che amo tanto anche l'arte e cioè cantare, recitare, ballare. Dal momento che arrivo tardi in studio e trovo tutti i pazienti insieme, mi devo inventare una storia, così nascono una serie di battute originali e di grande impatto. Questi personaggi nel loro monologo trattano dei loro problemi, così gli spettatori apprezzeranno uno spettacolo molto divertente dove oltre a recitare si canta e si balla. L'aiuto regia è di Renato Porfido che seguirà la commedia con attenzione dall’esterno e sarà anche lui coinvolto a sorpresa. Alla fine sceglierò di dedicarmi solo all'arte e dal momento che abbandono l'attività, lascio i pazienti nelle mani di un altro collega.
Quali sono le tue sensazioni al momento di presentare la tua nuova commedia teatrale?
Sono emozionata ma nello stesso convinta che il pubblico apprezzerà la commedia che andrà in scena al teatro Anfitrione dal 24 ottobre alla domenica del 27 ottobre. La locandina è molto graziosa e rende l’idea di uno spettacolo divertente.
Come ti sei trovata in questo ruolo, rispetto alla commedia dell'anno precedente “Condominium”?
Sono personaggi diversi, in quella ero un avvocato, sempre un po' in conflitto con il mio compagno, in questa invece, sono una psicanalista e anche un'artista. Noi attori riusciamo spesso a cambiare la nostra personalità e ci immedesimiamo nel giusto ruolo. Nel passato ho fatto avanspettacolo e ho preso parte a ruoli sia comici che drammatici. Nel campo artistico riesco a fare un po' di tutto, ma preferisco il genere comico e questo lo si deve probabilmente, perché nei nostri giorni viviamo un mondo difficile con tanto nervosismo, pertanto ritengo che la gente abbia bisogno di evadere. Questo non significa che se dovessero propormi un ruolo drammatico non mi sentirei ugualmente a mio agio.
Simona quali sono i tuoi prossimi progetti futuri?
Ho pronto nel cassetto la trama di un film o cortometraggio che spero prima o poi di portare a compimento. E' la storia di una donna che ha una serie di disavventure e poi si innamora del suo carnefice. Recentemente ho scoperto che mi piace anche cantare e su You tube si possono trovare alcune mie interpretazioni. Sto completando una canzone, che poi farò ascoltare per la prima volta in teatro insieme ad altre due canzoni composte da me. Quest'anno ho avuto la fortuna di incontrare sul red carpet al Festival del cinema di Roma, questo splendido uomo, Renato Porfido che è poi diventato il mio compagno. A me serviva un attore per i miei video clip, quindi dal momento che abbiamo avuto l'opportunità di frequentarci, si è accesa la scintilla e ci siamo innamorati. E’ bello avere qualcosa da condividere con una persona speciale e noi due abbiamo le stesse passioni.
Grazie Simona Dascalu
Da Mosca, Mark Bernardini. Novantanovesimo notiziario settimanale di lunedì 21 ottobre 2024 degli italiani di Russia. Siamo quasi a cento. Buon ascolto e buona visione.
* Rifiuto dell’Italia di rilasciare i visti alla delegazione russa al 75° Congresso Astronautico Internazionale
* Ho vissuto nel dopo guerra di una Sicilia distrutta dai bombardamenti degli Alleati anglo-americani, governata con la benedizione della mafia e abitata da gente povera, spesso analfabeta e senza speranza di trovare un lavoro qualsiasi. Eppure i ragazzi della mia generazione avevano una grande voglia di cambiamento e di riscatto. Trasferivano il loro coraggio ed entusiasmo a tante persone che, da sole, assillate dalla necessità di sopravvivere, non avrebbero mosso un dito per cambiare le cose. Da giovani abbiamo partecipato attivamente alle proteste anticapitalistiche della fine degli Anni Sessanta insieme con gli operai e con gli studenti. Reclamavamo un nuovo assetto politico, una nuova qualità del lavoro. Una cultura viva in sintonia con uno sviluppo economico-sociale finalizzato ai bisogni e ai diritti inalienabili dell’uomo. Oggi quel mondo non esiste più.
* Il governo italiano invia armi per bombardare il Donbass, l’“opposizione” del PD blocca un dibattito in cui si prevedeva di inviare aiuti economici a un orfanotrofio per bambini malati a Lugansk.
* Non è difficile creare armi nucleari nel mondo moderno. Non so se l’Ucraina sia in grado di farlo adesso. Non è così semplice per l’Ucraina oggi, ma in generale non ci sono grandi difficoltà, tutti sanno come si faccia. <...> Posso dire subito: la Russia non lo consentirà in nessuna circostanza.
* Segreti del complesso militare-industriale europeo: come far combattere i pacifisti?
Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali!
Il Teatro Arcobaleno è per così dire “specializzato” in proposte a tema storico. Propone spesso e volentieri testi di classici greci o latini, o che parlano di personaggi storici come questa stasera. Il testo è di Giovanni Antonucci, uno dei più grandi studiosi del grande ed intramontabile Ettore Petrolini, artista che ha ispirato molti attori venuti dopo di lui.
La sua simpatia e bravura arrivò a colpire anche il duce, tanto che Petrolini era l’unico che nelle sue performance poteva imitare e schernire il dittatore senza che se ne prendesse a male, anzi, dimostrava di apprezzare particolarmente le performance di Ettore. Attore, cabarettista, cantante, drammaturgo, sceneggiatore, compositore e geniale scrittore specializzato nel genere comico. Petrolini però, viene ricordato quasi esclusivamente per il filone comico, mentre era molto di più. Meno conosciuto è infatti il suo lato più profondo e “popolare”, o quello osannato da Marinetti, che lo proclamò “grande attore futurista”. Marinetti scriveva: “Il teatro di Varietà è il solo che utilizzi la collaborazione del pubblico; questo non rimane statico, a guardare, ma partecipa rumorosamente all’azione, cantando, accompagnando l’orchestra, comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri con gli attori. Il pubblico collabora con la fantasia degli attori, l’azione si svolge contemporaneamente sul palcoscenico, nei palchi e nella platea…”.
È ovvio che i Futuristi trovassero in Petrolini un interprete che poteva dare vita ai loro ideali di “rivoluzione teatrale”. Petrolini in parte ebbe alcune convergenze ideologiche con il Futurismo, ma rimase estraneo al movimento, la sua poliedricità e continua evoluzione non potevano essere intrappolate in degli stereotipi.Come dice lo stesso Avallone nella pièce, Petrolini aveva già creato i suoi personaggi prima che questa corrente di pensiero emettesse i primi vagiti. Furono i Futuristi a riconoscersi nella sua arte e non certo il contrario.
Si dedicò a creare parodie, macchiette, caratteri e personaggi che attraverso la loro spontaneità e semplicità popolare, negavano e criticavano i sentimentalismi rifiutando le mode del tempo ed evidenziando l’idiozia umana. Davanti alle critiche del tempo che lo definivano stupido, lui rispondeva “ci vuole intelligenza per rappresentare la stupidità…”
Tutte le sue trovate, le battute, i nonsensi devono essere interpretati come una metafora della perdita di senso di cui la sua società era preda; rovesciava così il suo ruolo di comico che nel far ridere faceva emergere una denuncia, una critica, una satira pungente nei confronti di quella stessa società che alla fine tanto lo amava.
Nel testo di Antonucci troveremo una forte comicità frammista ad elegante malinconia, che riportano tra realtà e finzione in scena questo mostro sacro a 140 anni dalla sua nascita. Chi meglio del geniale Antonello Avallone poteva vestire gli abiti ed esaltare la figura di questo originale artista?
Avallone è un attore poliedrico e particolarmente dotato, si impossessa del palco e rapisce l’attenzione del pubblico con la sua grande personalità. Rimasi particolarmente colpito da lui quando lo vidi nella sua interpretazione di “Novecento” di Baricco. Eccolo di nuovo in un impegnativo monologo che mette a nudo tutte le sue capacità intrattenendoci, anzi ipnotizzandoci.
Interpreta un Petrolini negli ultimi giorni della sua vita, entra in teatro e dà vita ad un malinconico e romantico quanto poetico canto del cigno. L’artista rivive e ripropone i passi fondamentali della sua vita, dagli esordi nei teatri baracconi, quando comincia a dare vita alle sue prime macchiette, fino ad arrivare ai suoi grandi successi. Avallone ci restituisce un Petrolini visibilmente afflitto da quella che lui chiama la “Signora Embolia Flebite”; malconcio e claudicante, ci porta con classe e maestria in questo racconto profondo e sentito che ci permette di palpare l’essenza più intima di Petrolini. Ogni personaggio presentato si dimostra pura energia che ritempra l’artista facendogli dimenticare tutti gli acciacchi e i malanni e facendogli recuperare tutto il suo passato splendore.
La vita dell’attore ha tre fasi, ci dice: la prima quando è preso in giro dal pubblico, la seconda quando è lui a prendere in giro il pubblico, la terza quando guarda dal di fuori queste due parti prendersi in giro… ascetico.
Bella e ponderata la scelta delle musiche, divertenti e mai invadenti, alternate ad altre che trasmettono la giusta tensione per esaltare i momenti più drammatici o introspettivi. Suggestivo l’ uso delle luci che creano un’atmosfera onirica ed eterica.
Le freddure, le battute, le canzoni, i balletti come le macchiette sono quelle: Gastone, Fortunello, Lyda Borelli, Nerone… Antonello ci regala una vera e propria perla teatrale. Un immenso Avallone che interpreta Petrolini senza volerlo imitare e in cui troviamo tutta la sua professionalità, la sua personalità e bravura. Qua e là uno spruzzo di Macario, di Rascel, di Totò, lasciano in bocca un gradevole sapore dal gusto retrò. Ha saputo giocare bene le sue carte, bilanciando la parte nostalgico drammatica con quella comico satirica della pièce senza eccedere nell'una o nell'altra, esaltando il testo di Antonucci di cui ha egregiamente curato anche la regia.
La scenografia scarna esalta la parte più malinconica, lo fa attraverso due bauli che contengono tutta la vita del protagonista insieme alle emozioni, i sogni, le speranze. Da quei due scrigni escono tutte le “pelli” dell’artista, un alternarsi di bellissimi costumi che Avallone indossa per trasformarsi ed interpretare tutti quei personaggi che hanno fatto grande questo favoloso attore.
Uno spettacolo che intenerisce, diverte con le sue battute da avanspettacolo che, se anche hanno fatto ormai il loro tempo, ci restituiscono quella genuinità e semplicità con cui i nostri nonni si divertivano ridendo a crepapelle, ricreando magicamente l'atmosfera di un teatro ormai dimenticato.
Firenze. Sabato 12 Ottobre con l'organizzazione dell'associazione artistico letterario di A&A di Marzia Carocci presso il Teatro di Cestello a Firenze si è svolta la premiazione del concorso artistico letterario Ponte Vecchio giunto alla nona edizione dove scrittori, poeti e pittori hanno ricevuto targhe e medaglie in merito alle valutazioni di una giuria altamente qualificata presieduta dalla presidentessa Annamaria Pecoraro.
Ogni anno vengono attribuiti nell’occasione i Premi alla carriera per la musica, il teatro, il giornalismo, la pittura, la scultura, la letteratura e il cinema.
Premio a Virgilio Violo |
Quest’anno sono stati consegnati il premio letterario al giornalismo e alla musica.
Premio a Riccardo Azzurri |
Per quanto riguarda la carriera giornalistica il Premio alla Carriera è andato a Virgilio Violo laureato in giurisprudenza, giornalista pubblicista che dal 1995 è direttore responsabile della freelance International Press (fino al 2007 era anche in versione cartacea) https://www.flipnews.org/
Dopo la laurea viene inserito nella “Consulta giuridica per la tutela dei diritti umani”(www.osservatoriocedu.it) con sede a Roma. In seguito ricopre per sei anni a Milano il ruolo di capo ufficio legale dell’Ente Naziona Risi, ente pubblico economico, organismo d’intervento della Comunità Economica Europea. Ha curato i rapporti con la stampa estera dal '92 al '94 per "L'estate romana". Ha collaborato come freelance con l’agenzia d’informazione ANSA. Dal 2011 e tutt’ora è direttore responsabile del quotidiano online Lpnews24. Numerose altre collaborazioni anche con testate minori.
Un giornalista che da sempre scrive per la verità senza sottostare al servilismo dell’editoria e portando avanti con impegno, determinazione e coraggio la missione di chi deve informare in modo limpido e onesto. Un Premio alla Carriera per meritocrazia e plauso a tanto impegno costante e duraturo.
Il Premio alla carriera in campo musicale va invece a Riccardo Azzurri che fin da giovanissimo impugnando la chitarra regalata dal padre inizia a fare musica. Tantissime collaborazioni artistiche, diversi cd all’attivo. Nel 1983 calca il palco di Saremo. Nel 2001 Riccardo riceve il Premio Pegaso per la popolarità Toscana. Encomiabile l’impegno di musicoterapia che porta nei centri anziani dove ogni sua partecipazione diventa festa ed emozione fra gli ospiti con i capelli grigi. Nel 2014 e nel 2016 collabora con Aleandro Baldi realizzando brani come “Firenze madre” e “la riscossa”.
Nel 2019 collabora con l’amico Don Backy dove dopo uno scambio di brani fra questi artisti ne nasce uno che hanno cantato insieme dal titolo “Araba fenice”. Troppe sarebbero le segnalazioni sulla carriera del cantante che per questo si aggiudica un premio importante che abbraccie riconosca tanto impegno, tanta passione per l’amore della canzone italiana.
Il Premio artistico letterario Ponte Vecchio con tutta la Giuria, con il Presidente di questa, Annamaria Pecoraro ed io in qualità di Presidente ideatrice e responsabile del Premio, ringraziamo queste personalità che arricchiscono un’Italia che necessita di bellezza, di onestà, di umiltà e di grande valore morale e artistico.
La regista Maura Delpero e l’attore Tommaso Ragno |
Con la mia famiglia si andava verso Ortisei, in Trentino Alto Adige negli anni Sessanta, per il viaggio sul trenino della Val Gardena, condotto dal sig. Toffoli e nei cartelli stradali nella Val di Sol, vicino il torrente Noce, leggevamo l’indicazione per Vermiglio, verso il passo del Tonale. Un nome poi addormentato nella mia mente!
Ed eccomi, per forza del destino, ad assistere ad un film del ricordo, un lungometraggio, Vermiglio, di Maura Delpero. Lentamente, quel
Pietro, Giuseppe De Domenico, stringe la mano a Lucia,
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dialetto, Solànder, come ricordava mio padre, tornava alla memoria. Ed ecco nello schermo quei posti incontaminati, quei boschi di abeti imbiancati in inverno e verdi dalla primavera in su. Il racconto cinematografico si dipana magistralmente come un ricordo lontano, una carezza di piuma, verso la fine dell’ultima guerra.
Ai margini del bosco appare un soldato, Pietro, interpretato da Giuseppe De Domenico, portato lì in montagna da un altro soldato scampato alla tragedia della seconda guerra mondiale, Attilio, Santiago Fondevila, figlio del borgo di Vermiglio.
Pietro, soldato siciliano, sconvolge la tranquillità della famiglia del maestro Cesare, Tommaso Ragno, mentre Lucia, Martina Scrinzi, la maggiore delle sue figlie, alla fonte, dopo qualche titubanza, lo bacia, se ne innamora, resta incinta e decide di sposarlo.
Di profilo il maestro Cesare, Tommaso Ragno |
Lucia e la piccola Antonia |
Alla fine della guerra Pietro torna in Sicilia e Lucia dà alla luce Antonia. In famiglia si apprende dal giornale che Pietro Riso, che era già sposato con una donna siciliana, viene da questa ucciso per onore.
Lo smarrimento psichico di Lucia, induce una sua
Maura Delpero premiata con il Leone d’argento
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sorella, fatta conversa, a prendersi cura della piccola nell’orfanotrofio mentre Lucia si allontana dal borgo per arrivare in Sicilia; vuol essere rassicurata.
Le sue indagini la portano ad una casa circondariale dove la vera moglie di Pietro è in cortile, vestita a lutto, quel lutto da lei stessa procurato, Salvo, il loro bambino gioca ma si accorge che una donna è triste, Lucia viene incoraggiata dalla donna che le chiede se ha figli.
Lo sposalizio tra Pietro e Lucia |
Lucia arriva alla tomba del marito. Il suo animo si acquieta depositando, accanto alla croce, la coroncina del loro amore.
Torna a Vermiglio ad abbracciare Antonia riprendendo le sue facoltà mentali.
Linea di scrittura cinematografica ineccepibile, montaggio che anticipa i dialoghi della scena seguente, interpreti veri nella loro interpretazione, il maestro magistralmente bravo in tutte le sue sfumature.
Il cast al completo |
Vermiglio di Maura Delpero è stato presentato in anteprima mondiale il 2 settembre 2024, alla 81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d'argento.
Selezionato per rappresentare l'Italia ai Premi Oscar del 2025 nella sezione del miglior film internazionale.
Felice di aver assaporato questo film degno di un Oscar!
Da giovedì 10 ottobre a domenica 8 dicembre 2024, Palazzo Merulana è lieto di presentare la mostra “Roma nel Cinema a pennello” La mostra è ideata e curata da Stefano Di Tommaso appassionato cultore della materia e collezionista egli stesso e Paolo Marinozzi innamorato del cinema, collezionista e proprietario della bella collezione esposta.
I Cartellonisti Italiani sono i protagonisti di questa bellissima mostra, che ripercorre mezzo secolo di pittura di cinema. Il loro modo di dipingere resta un unicum nella storia dell’arte.
Questo incredibile movimento d’artisti, fuori delle regole e dagli schemi intellettuali del secolo, che aveva prediletto l’astrazione, diviene l’unico raro e raffinato baluardo dell’arte antica e della pittura del reale. Sono esposti 50 bozzetti pittorici originali, opera di grandi artisti del settore, veri e propri “disegnatori di sogni” come Ballester, Capitani, Martinati, Brini, Nano, Manfredo, De Seta, Manno, Olivetti, Cesselon, Geleng, Ciriello, Symeoni, Nistri, Iaia, Putzu, Casaro, Avelli, Biffignandi, Gasparri, che insieme hanno rappresentato una vera e propria corrente artistica del ‘900 e hanno lavorato per le più grandi major americane come Warner, MGM, Paramount, Columbia e per le italiane Titanus, Lux, Ponti-De Laurentis, Amato, Rizzoli, Cecchi Gori.
Molti gli stili e i linguaggi ma ciascuno di questi artisti ha un tocco personale e indimenticabile!
I colori a volte sono vibranti, brillanti e originali, come nelle opere di Angelo Cesselon, oppure a campitura nel caso di Maro; i soggetti sono sfumati come in Anselmo Ballester o Ercole Brini o definiti da linee grafiche e temi rarefatti come in Renato Casaro o analitici come in Biffignandi.
Le forme del reale si contrappuntano, s’intersecano, si sovrappongono, con un estro sempre nuovo e che rappresenta un unicum per ogni artista. Poiché di artisti di tratta! Pittori giovani e intelligenti,
Il manifesto di cinema, come oggetto fisico, esisterà dunque per poco tempo, eppure è più eterno di altre forme d’arte perché affisso non solo sui muri ma anche nei cuori della gente che si emozionava a guardarlo.
Genere e contenuti sono dati dal film, ma le immagini realizzate dagli artisti nei manifesti vivono di vita propria. Ogni pittore di cinema interpreta con la propria fantasia e capacità estetica i contenuti della storia mediante connotazioni ogni volta nuove ed efficaci. Sono commedie e tragedie, avventura e gialli, western e film storici: ogni tema ha un suo modo di essere narrato.
I pittori di cinema rappresentano, con i loro contenuti figurativi, una ventata di freschezza nel panorama artistico internazionale spesso legato, come peraltro anche nel nostro secolo, a schemi intellettuali o addirittura intellettualistici, che vogliono superare l’uomo Faber, che gode nel piacere del dipingere indipendentemente da messaggi politici, concettuali o sociali.
Opere d’arte che restano nella mente e nel cuore di milioni di persone, che lo ricordano con affetto e nostalgia. Oggi rappresenta la testimonianza di un tempo, di un modo di vivere, di una società e di una storia che è comunque irrimediabilmente perduta.
Molte sono le mostre di manifesti ma poche quelle, come questa, che presentano i dipinti originali, Queste opere fanno parte della Collezione/Museo “Cinema a Pennello”, creata e sostenuta con passione da Paolo Marinozzi che ha sede nel palazzo di famiglia del piccolo e grazioso borgo di Montecosaro, in provincia di Macerata.
Tra le persone non più giovanissime, qualcuno ricorda quel periodo felice della rinascita italiana del dopoguerra, ma anche degli anni ‘60 e ’70, in cui i manifesti facevano parte dell’arredo pubblico. Anche se ci sembra di aver dimenticato alcune di queste immagini esse ritornano a volte alla memoria prepotentemente: un film visto da bambini, una serata al cinema con gli amici, una serata col partner, sono spesso legate all’immagine di uno specifico manifesto. Sono ricordi, quasi onirici, che ci suggeriscono immediatamente un tipo di mondo culturale e una storia, un ricordo, un momento bello e felice, come un sogno dell’alba da non dimenticare! Dall’apparizione sconvolgente del neorealismo con Roma città aperta, Ladri di biciclette, Umberto D al mito del cinema attraverso la Magnani di Bellissima, a quella di Gadda e Germi di Un maledetto imbroglio (tratto da Quer Pasticciaccio brutto de Via Merulana), dalla Roma di Poveri ma belli e de I soliti ignoti, di Accattone e Mamma Roma.
La mostra vuole celebrare anche gli anniversari che cadono quest’anno di quattro grandi del cinema italiano e internazionale: i cinquantenari della morte di Vittorio De Sica e di Pietro Germi, il centenario della nascita di Marcello Mastroianni, e il compleanno importante della più grande diva italiana, Sophia Loren volto del commissario di Un maledetto imbroglio.
Palazzo Merulana, sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi è gestito e valorizzato da Coopculture. La mostra, inserita all’interno del palinsesto della Festa del Cinema di Roma, con il contributo di SIAE, con il patrocinio di ANICA, con la partnership di Banco Marchigiano e WebPhoto&Service, racconta Roma con le sue visioni cinematografiche e non solo.
Tra gli artisti presenti in mostra c'è Angelo Cesselon (1922 - 1992) , considerato uno dei più importanti pittori del cinema italiano. Il suo stile ha segnato gli anni '60. Rimangono nella memoria collettiva i suoi ritratti psicologici di tanti importanti attori e l' uso di colori vivaci e brillanti. Tra le sue opere presenti in mostra Il famoso "Ladri di biciclette", "Umberto D", "La donna più bella del mondo" con un bel ritratto di Gina Lollobrigida e l' indimenticabile ironico dipinto de "L'armata Brancaleone".
Da mercoledì a venerdì: 12.00-20.00 (ultimo ingresso ore 19.00)
Sabato e domenica: 10.00-20.00 (ultimo ingresso ore 19.00) fino al 20 ottobre 2024.
Dal 26 Ottobre 2024 dalle ore 12.00 alle ore 19.00
Avviso Importante.
Visita Mostra 'Pittori di Cinema". Palazzo Merulana, v. Merulana 121, giovedì 10 ottobre. Cambio orario appuntamento:
Ore 16.30 invece che 17.30.
Causa altro evento pregresso al museo
Domenica 6 ottobre a Villa Doria Pamphilj nel parco più grande di Roma si è svolta la cerimonia di premiazione della 10^ Ragunanza di poesia, narrativa e pittura, concorso letterario promosso e ideato da A.P.S. Le Ragunanze con i patrocini morali del Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia a Roma, in collaborazione con Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, Vivere D’Arte, Leggere Tutti, LATIUM di Madrid, ACTAS Tuscania, WikiPoesia, Coordinamento Difendiamo i pini di Roma Comitato Villa Glori. Dieci anni di attività dettati da impegno e passione per promuovere bellezza e cultura nel territorio. Quest’anno l’edizione è stata dedicata ai pini di Roma, simbolo storico della città da proteggere e tutelare dall’abbattimento. L’idea è nata in collaborazione con l’attivista Jacopa Stinchelli del Coordinamento Difendiamo i pini di Roma Comitato Villa Glori. La presidente dell’Aps Le Ragunanze, Michela Zanarella ha accolto con entusiasmo il progetto in difesa dei pini e ha invitato gli artisti a scrivere o dipingere opere inerenti. Tanti i partecipanti provenienti da diverse regioni d’Italia e dall’estero; hanno aderito dalla Spagna, dall’Inghilterra, dal Libano, dall’Arabia Saudita.
La giuria composta da Virgilio Violo (Presidente di Giuria), Michela Zanarella (Presidente del Premio), Giuseppe Lorin (Vice Presidente del Premio Le Ragunanze), Elisabetta Bagli (Presidente Latium), Antonio Corona (Vivere D’Arte), Fiorella Cappelli (Leggere Tutti), Lorenzo Spurio, Serena Maffia, dopo attenta analisi e valutazione delle opere pervenute ha decretato i vincitori delle quattro sezioni:
Per la sezione poesia a tema natura sul podio al primo posto Roberto Costantini di Roma con “Sine nomine”, secondo classificato Fabio Romano di Roma con “Senza titolo”, terzo classificato Alessandro Porri di Roma con “Il mio amico albero”. Menzione d’onore per Antonella Ariosto, Giovanni Battista Quinto, Fadi Nasr, Carla Abenante, Rossana Bonadonna, Lucia Izzo, Sofia Skleida, Anja Granjo, Veli Bogoeva, Loli Garcia, Gianni Servadio. Veli Bogoeva e Loli Garcia dalla Spagna hanno portato i saluti in spagnolo omaggiando i presenti anche in italiano.
Per la sezione libro edito di poesia sul podio al primo posto Marco Onofrio di Roma con “Luce del tempo”, seconda classificata Doris Bellomusto di Lucca con “A corpo libero”, terzo classificato Luciano Giovannini di Roma con “La croce di carta”.
Menzione d’onore per Stefano Baldinu, Danilo Poggiogalli, Gianni Pallaro, Guido Tracanna, Fra Gilé, Colomba Di Pasquale, Ornella Gatti, Isabella Petrucci, Loretta Liberati, Stefania Di Leo, Raed Anis Al-Jishi. Per la sezione libro edito di narrativa sul podio al primo posto Elvira Delmonaco Roll di Caserta con “Dea contadina”, secondo classificato Gianluca Galotta di Roma con “L’uomo che parlava con le stelle”, terzo classificato Claudiano Sironi di Milano con “Archeologia di un danzatore”. Menzione d’onore per Maria Laura Antonini, Nadia Buonomo, Manuela Magi, Pasquale Fierro, Francesca Innocenzi, Simona Maiucci.
Per la sezione pittura sul podio al primo posto Loredana Manciati di Roma con “Roma: i pini e il Tevere”, seconda classificata Tatyana Zaytseva di Roma con “Intelligenza naturale”, terzo classificato Giuseppe Galati di Vibo Valentia con “Pini sparsi”. Menzione d’onore a Bruna Milani e Samia Peroni.
Ogni anno viene assegnata la Targa Anastasia Sciuto, dedicata alla giovane e talentuosa regista scomparsa troppo presto, diplomata all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Quest’anno è stata premiata l’attrice Vera Dragone, a consegnare la targa l’attrice Athina Cenci, ospite d’onore del premio, assieme alla mamma di Anastasia, Domenica Lo Faro, che ha sempre sostenuto e incoraggiato la figlia nel suo percorso artistico. Targa Latium Madrid a Stefania Raschillà di Genova, Targa Vivere D’Arte a Flavio Dall’Amico di Vicenza, Targa Speciale Le Ragunanze a Quinto Ficari di Viterbo e al chitarrista, autore e compositore Stefano Tedeschi, Targa Actas Tuscania a Piko Cordis di Ascoli Piceno.
Tra gli ospiti molto apprezzati gli interventi del cantautore Valerio Mattei, che ha proposto alcuni dei suoi brani, dell’attore Corrado Solari, recentemente sugli schermi nella serie “Vita da Carlo 2” diretta da Carlo Verdone e nella serie “Kostas” diretta da Milena Cocozza, che ha dato voce alle poesie e ai testi dei premiati, dell’attrice Chiara Pavoni, che ha letto e interpretato alcune poesie “famose” sui pini tra cui Ada Negri, Pablo Neruda e Sandro Penna.
Durante la cerimonia sono state esposte le opere vincitrici della sezione pittura, oltre alle opere dell’artista Franco Argenti. Le foto e le riprese video sono state a cura di Ania Struska, che è riuscita a cogliere i momenti più intensi e significativi dell’evento.