L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Food & Wine (274)

 
 
 
 
Urano Cupisti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
     La "falsa" sorgente

Il Danubio è il secondo fiume, per lunghezza, dell’Europa dopo il Volga: 2.860 km dalla sua sorgente a Donaueschingen nella Foresta Nera (Germania) al grande delta nel Mar Nero sul confine tra Romania e Ucraina, dopo aver attraversato Germania, Austria, Ungheria, Croazia, Serbia e segnato il confine tra Bulgaria e Romania.

Interessante è sapere che è, da decine di secoli, un'importante via navigabile. Conosciuto nella storia come una delle frontiere dell'Impero romano, il fiume oltre a scorrere entro i confini dei paesi citati ha un bacino idrografico che comprende parte di altri nove paesi: Italia (0,15%), Polonia (0,09%), Svizzera (0,32%), Repubblica Ceca (2,6%), Slovenia (2,2%), Bosnia ed Erzegovina (4,8%), Montenegro, Macedonia del Nord e Albania (0,04%). Questo significa che indirettamente è causa dei diversi idro-micro-climi vitivinicoli.

I vari affluenti del Danubio hanno una notevole variabilità nel loro regime: oceanico della Baviera occidentale, di montagna in Austria, di pianura in Ungheria fino alla foce.

    La "vera"sorgente

Le prime vigne le incontriamo subito dopo il confine con l’Austria.

Wachau una regione vinicola famosa per i suoi vigneti terrazzati e ripidi lungo il fiume, dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO. Produce principalmente Grüner Veltliner e Riesling, con vini noti per la loro eleganza e mineralità;

Wagram che si estende a nord, nella Bassa Austria, ed è nota per i suoi vini bianchi croccanti prodotti su terreni di löss, ideali per il Grüner Veltliner e il Roter Veltliner;

Kremstal, Kamptal, Traisental, tre regioni, situate lungo affluenti del Danubio, producono vini bianchi di alta qualità, soprattutto Grüner Veltliner e Riesling, e sono riconosciute per la loro denominazione DAC (Districtus Austriae Controllatus).

Carnuntum situata a est di Vienna, questa regione produce vini rossi, in particolare Blaufränkisch, Zweigelt ma anche Grüner Veltliner e offre un'esperienza vinicola con jazz brunch e degustazioni negli Heuriger (taverne tipiche).

            Vigneti a Wachau

Vienna, la capitale austriaca, la città sul “bel Danubio blu”, che ospita vigneti e Heuriger in diversi quartieri, offrendo un'esperienza enologica unica, come il Wiener Gemischter Satz DAC, un vino bianco prodotto con diverse varietà di uve coltivate insieme.

Il Danubio è così giunto alla frontiera con l’Ungheria. Qui la vite è stata coltivata sin da quando il paese faceva parte dell’impero romano con il nome di Pannonia. Il grande fiume l’attraversa da nord a sud dividendola di fatto in due parti. L’area vinicola interessata direttamente dal Danubio è quella posta a sud: Transdanubio Meridionale e parte della Pannonia meridionale.

Comprende diverse zone vinicole, tra cui Pécs, Szekszárd, Pustan,  la regione di Villany e Mecsek.

Villány è famosa per i suoi vini rossi robusti, spesso paragonati a quelli di Bordeaux, e per le varietà Cabernet Franc e Kékfrankos;

Szekszárd è nota per i suoi vini rossi di Kadarka, meno complessi e più rotondi;

Pécs è il distretto più caldo e arido con terreni vulcanici;

     Vigneti a Pecs

Pustan da sempre il serbatoio del vino da tavola.  Si dice, si racconta che qui, con i terreni sabbiosi la fillossera si arrese. Tanta produzione;

Mecsek ultima frontiera vinicola ungherese.

Pochi chilometri e il grande fiume entra in Croazia segnando il confine con la Serbia.

In sintesi il Danubio attraversa diverse regioni vinicole rinomate, ognuna con le sue caratteristiche uniche e specialità, offrendo un'esperienza enologica diversificata e di alta qualità. Continua…

 

La sensazione di piacere sensoriale che si prova immersi nelle differenti piscine dell’Hotel Continental Terme continua anche uscendo dall’acqua attraverso l’esperienza culinaria proposta dal “suo” ristorante “Sapori”.

E ‘un vero e proprio percorso gustativo centrato sulla cucina mediterranea in un connubio sapiente di tradizione e innovazione capace di catturare il gusto attraverso percezioni differenti.

La mediterraneità delle ricette proposte è caratterizzata dalla semplicità che non diventa banalità grazie alla cucina dello chef Francesco di Manso. La peculiarità nella preparazione dei piatti è espressa nell’uso armonico ed equilibrato degli ingredienti, interazione esaltata anche dalla scelta della qualità dei prodotti, naturali utilizzati secondo stagione e prevalentemente a km 0.

Tra le proposte di primi più gettonati nel periodo di Ferragosto troviamo la pasta alle tre patate, creativa interpretazione della ricetta classica.  Preparata con pasta mista in cui si amalgamano patate rosse, gialle e viola, fiori di zucca e gocce di ricotta di “fuscella” aromatizzata al basilico. Una ricotta fresca, di latte vaccino, lavorata senza aggiunta di conservanti in un cestello bucato, la “fuscella”, prodotto tipico del territorio napoletano da cui il nome.

Molto apprezzati da tutti, da me in primis, anche la linguina alle vongole veraci su crema di ceci con emulsione di olio al prezzemolo e il panciotto di melanzane e scamorza su “nduja” con fusione di burrata, pomodorini confì e lamelle di tartufo nero.

Tra i secondi al profumo di mare evidenzierei “il gambero rosso con emulsione al lime, stracciata di bufala e sfere allo zafferano”, “il tonno rosso con emulsione agli agrumi e sfere di pistacchio” e la calamarata di gamberi con tartufo nero e zester di limone.

Un posto speciale hanno le verdure e le erbe aromatiche dell’isola ed è per questo che ogni giorno sono servite in buffet come antipasto self. Tutti le assaggiano perché aprono stomaco e cuore, ti ricordano la fertilità della terra ischitana con i suoi saporiti ortaggi mediterranei, tra cui pomodorini, zucchine, finocchi e broccoli. Le melanzane sono esaltate dallo chef in una parmigiana coppata su crema al basilico e cialda croccante di parmigiano.

Chiudere pranzo o cena con un dolce significa abbandonarsi alle delizie napoletane, non a caso utilizzo questo vocabolo perché gusteremo delizia al limone, sfogliatella, pastiera, cassata e struffoli.

E dopo queste delizie vorrei sottolineare quanto sia importante la comunicazione on line nella ristorazione a cui occorre dare continuità, migliorandola e diversificando la visibilità in rete perché oggi è un percorso in fieri. Occorre in questo campo lavorare sempre più e diversamente visto che la visibilità su internet è chiave di conoscenza e successo e consente poi di mantenerlo trasmettendo i valori che danno vita all’offerta.

Nel ristorante “Sapori” è intensa e funzionale l’interazione che a pranzo e a cena si costruisce tra cucina, personale e clienti.

Quando entri nel ristorante ti senti subito a tuo agio non solo per l’ambiente curato e tipicamente mediterraneo ma perché sei ben accolto da camerieri e maître che sapientemente personalizzano la comunicazione in funzione di ciascuno tavolo individualizzando le spiegazioni in riferimento alle peculiarità del menu e prestando attenzione ai bisogni e ai desideri espressi o intuiti di ogni cliente. Non facile né scontato saperlo fare ed è per questo che i maître del ristorante, tra cui Antonio che ho conosciuto più direttamente, sono risorsa non da poco insieme al personale tutto, incluso quello della reception a cui va una nota speciale per Gegé.

Il Continental Terme ha in sintesi “sapori” da scoprire il che può aggiungere punti alla motivazione che lo ha privilegiato nella scelta, di vacanza o di lavoro non importa perché in entrambi i casi sa produrre BEN ESSERE.

 

 

 

 

 

 A pochi chilometri dalle spiagge assolate della Versilia, al fresco di un cielo stellato di alcune notti di mezza estate, nella splendida cornice delle Alpi Apuane, il Festival che, negli anni, ha saputo affascinare e

   Locandina

rapire la fantasia ed il palato di migliaia di visitatori. Visitatori che hanno trovato in questo delizioso borgo un’atmosfera unica, fiabesca e surreale, facendone ben presto un appuntamento imperdibile nelle sere dell’estate versiliese.

Un Festival particolare dove la festa popolare,  con musiche, balli, luminarie abbraccia e si unisce in matrimon

  Manifesto

io con manifestazioni di arte, cultura, folclore.

Ed ecco allora che a Levigliani compaiono dodici punti gastronomici, dodici spazi per spettacoli ed esibizioni, animati da oltre cento artisti nei quattro giorni del festival. 

Festival arricchito da un concorso e una mostra fotografica, dall’angolo culturale con la presentazione del libro “Le Radici dell’Elleboro” da parte dell’autrice Alessandra Pozzi (romanzo d’esordio) e dall’esposizione del Maestro Oronzo Ricci.

 Levigliani Wine Art Festival

Oronzo Ricci, il genio, colui che descrive su tela la “pigheologia”, cioè l’interpretazione della personalità di una donna partendo dall’osservazione della forma delle natiche.

Nell’ambito di un festival simile non può mancare la componente del Wine Art, rappresentata da oltre cento etichette con i rispettivi produttori.

Wine Art nel contesto generale del festival si riferisce all'idea che il vino, oltre ad essere una bevanda, può essere considerato un'espressione artistica, una forma di narrazione, un'esperienza culturale. La produzione del vino, spesso vista come un atto creativo, Il vino come linguaggio, le etichette d'arte comunicative, come esperienza e le manifestazioni come celebrazione dell’espressione artistica, come mostre d’arte.

- Produzione come atto creativo: dalla scelta delle uve alla vinificazione, dove il vignaiolo esprime la sua visione e il suo talento, proprio come un artista con la sua opera;

   Foto Vino e Arte

- Il vino come linguaggio comunicando sensazioni, emozioni e storie, proprio come un'opera d'arte;

- Manifestazioni che celebrano il vino come espressione artistica, come mostre d'arte;

- Etichette spesso illustrate o dipinte, che possono essere considerate opere d'arte a sé stanti, spesso collezionabili;

- Il vino come esperienza. La degustazione che può essere vissuta come un'esperienza sensoriale e culturale, paragonabile al “godimento” di un'opera d'arte.

"Wine art", concetto che riconosce al vino un valore artistico, sottolineando il suo potenziale come espressione culturale e creativa.

 Urano Cupisti

Al sottoscritto è stata riservata una stanza dove, nei giorni del festival, in collaborazione con le aziende vinicole presenti, ho parlato di vino, spiegando i concetti base delle produzioni degli stessi,  guidando diverse degustazioni, comunicando con il linguaggio le sensazioni, emozioni e storie, proprio come un'opera d'arte. Levigliani Wine Art Festival. Chapeau!

 

Festival nei giorni 31 luglio, 1-2-3 agosto 2025.

 

    La galleria

Nasce all'estremità orientale delle Landes de Gascogne, forma le gole del Ciron di Préchac a Villandraut, poi si getta nella Garonne a Barsac, a valle di Langon.

  Etichetta Chateau d'Yquem

La lunghezza del suo corso, dalla sorgente allo sfocio nella Garonna, è di 97 km. Ha nove affluenti, piccoli ruscelli con sorgenti, più o meno polle d’acqua in un territorio lacustre, come lo stesso Ciron, che lo alimentano nella sua limitata portata.

grappolo attaccato dalla Botrytis Cinerea

Descritto così sembrerebbe un corso d’acqua insignificante, senza storia. Non è così.

Il Ciron è un fiume “magico”. Sotto le fronde del bosco che formano una galleria, l'acqua rimane fresca e protetta dal sole, favorendo la formazione di una nebbia mattutina in autunno, che deposita sull'uva un microscopico fungo, la Botrytis Cinerea, o "muffa nobile". Questo fenomeno naturale viene accolto con gioia, poiché aumenta il contenuto di zucchero del frutto e conferisce ai Sauternes, i vini bianchi dolci più famosi al mondo, la loro miracolosa dolcezza.

Ecco svelato il segreto del Ciron, un fiume che sa di vino!

Il nome Ciron trae la sua origine dal latino Sirio, Sirione, Cirone, Ciron (in guascone).

L'umidità portata dal fiume determina la comparsa di brume mattutine, che favoriscono lo sviluppo sulle vigne del Botrytis cinerea. È grazie a questo fungo che i vigneti del Sauternes e del Barsac devono la loro qualità e la loro reputazione.

Un microclima e idroclima perfetti  che avvolgono non solo i vigneti di Sauternes e Barsac ma anche Fargues e Preignac tutti facenti parte dell’AOC Sautèrnes.

 La Botrytis cinerea, agendo sugli acini maturi, ne perfora la buccia, favorendo l’evaporazione dell’acqua e la concentrazione di zuccheri, acidità e aromi.

I vini prodotti in questa zona sono ricavati principalmente da Sémillon (che dona rotondità e struttura), Sauvignon blanc (che conferisce freschezza e nervatura acida) e una piccola percentuale di Muscadelle (che arricchisce il bouquet floreale). Il mosto ottenuto è estremamente ricco e viene vinificato lentamente, spesso in barrique nuove, con affinamenti che possono durare anni.

    Fiume Ciron

Il risultato è un vino di una complessità straordinaria: miele, albicocca secca, zafferano, arancia candita, fiori bianchi e spezie dolci convivono in un equilibrio perfetto tra dolcezza e acidità. Il vertice qualitativo è rappresentato dal leggendario Château d’Yquem, unico Sauternes classificato come Premier Cru Supérieur nel 1855.

   Chateau d'Yquem

Accanto al Sauternes AOC troviamo Barsac AOC, che condivide terroir e vitigni ma può anche etichettare i propri vini come Sauternes. In genere,

E pensare che a me avevano insegnato, qualche lustro fa, che la botrytis cinerea altro non era che  il marciume grigio, che si verificava in corrispondenza alla maturazione in condizioni di un elevato grado di umidità atmosferica, nel caso del Sauternes, dovuta dalla vicinanza dell’Oceano Atlantico. Insegnanti (o docenti come amavano definirsi) da rimandare immediatamente a scuola!

Poi, il calpestare le vigne, mi ha portato nel territorio del Sautèrnes nel mese di novembre ad assistere al mattino al fenomeno della bruma avvolgente sui vigneti ed attendere i raggi solari del mezzogiorno, dello zenit, ed assistere all’asciugamento ovvero evaporazione dell’umidità. Tutto dovuto alla presenza del Ciron, il fiume che sa di muffa!

 

Ho scelto di iniziare il “mio” viaggio di degustazione di sapori e non solo, dalla bottega Mariani che dagli anni ’50 è aperta a Roma in Viale del Vignola107, vi spiego perché.

Avendo da qualche anno cambiato identità, la Bottega rispecchia oggi ancora di più il senso del suo nome di origine greca “apotheca”. Il significato della parola è evoluto nel tempo valorizzando l’artefatto, il prodotto artigianale non seriale, concetto che la Bottega Mariani ben interpreta oggi trasformata in un laboratorio gastronomico multidimensionale, capace di coniugare in modo ottimale la cucina da asporto e la spesa di prodotti naturali del territorio con il pranzo e la cena servita sul posto, il tutto in un mix unico e vincente.

Questa sfida, non da poco, è superata grazie alla bontà dei piatti preparati con ingredienti di alta qualità dalla maestria di chef che in cucina “a vista” ogni giorno “mettono le mani in pasta “realizzando ricette legate alle stagioni personalizzate anche da sfumature di contrasti di gusto coniugati con competenza e creatività.

I prodotti venduti al banco o consumati al tavolo hanno il comune denominatore dell’eccellenza della materia prima con cui sono preparati.

Paste fresche fatte ogni giorno.

Formaggi di filiere del territorio secondo tradizione aggiornata nelle tecniche di produzione e stagionatura.

Mozzarella apprezzatissima dalla clientela proveniente dagli allevamenti incontaminati di Amaseno, preparata senza l’ausilio di macchinari.

Olio extravergine di zone limitrofe spremuto a freddo utilizzato sempre in ogni ricetta cruda o cotta.

Salumi dop come il Prosciutto di Langhirano stagionato 30 mesi.

Vino eccellente prodotto da piccole aziende a km 0

oltre che il top di altre regioni italiane.

Tra i piatti in menu vorrei evidenziare un primo semplicemente speciale: i ravioli fatti in casa, pardon, in bottega, con uova di fattoria. La pasta accuratamente lavorata nel giusto spessore racchiude un ripieno di parmigiano reggiano stagionato 24 mesi, coulis di basilico e salsa di datterini infornati, un amalgama delicato con abbinamenti che creano un sapore davvero piacevole.

Che dire poi della zuppetta fresca di melone con prosciutto di Langhirano croccante, menta e gamberi cotti al vapore.

Confesso la difficoltà di scelta visto la bontà generale, ma merita un 10 e lode il baccalà con babaganoush, lattuga arrostita e semi di zucca con cottura a bassa temperatura che consente di preservare i liquidi interni conferendo al baccalà morbidezza e consistenza e un taglio senza sbriciolature con succulenza nel gusto e nell’aroma.

Tra i dessert la mia preferenza è va al sapore racchiuso in una crema pasticciera ai frutti rossi equilibrato connubio di dolce e acidulo che ti cattura e ti fa chiudere il pranzo o la cena con i complimenti allo

chef Alessandro Russo.

Ma non è solo il savoir faire dello chef a rendere vincente il locale, determinante è la sapiente gestione di Roberto e Jacopo che dà alla Bottega una marcia in più

perché guarda all’innovazione non dimenticando il valore della tradizione. L’elevato livello di ristorazione si avvale di un ambiente curato, dall’atmosfera “Free”, con scelta di ordinazioni non condizionata da cliché, vincente per il cliente che si sente libero di degustare, secondo tempi e modi individuali, se desidera non seguire formalità nelle ordinazioni.

Valore ultimo ma non per importanza è il ruolo della comunicazione, sia dal punto di vista relazionale che dell’informazione sui prodotti. 

Questo aspetto è rafforzato dalla presenza di   personale che non cambia, disponibile e competente, merce rara oggi. Qualità che hanno contribuito alla costruzione di rapporti funzionali a dare continuità alla frequentazione dei clienti che con il loro passa parola hanno ampliato la rete di conoscenza della bottega Mariani in modo fisiologico, considerato anche l’indotto prodotto dal pubblico del Teatro Olimpico e di altre strutture vicine.

Il tutto ha dato vita ad un ambiente ristorativo molto frequentato, dove sai di potere fare diverse cose bene:

la spesa di prodotti di qualità, comprarli già preparati ogni giorno dallo chef ma anche degustarli nel locale in relax con un aperitivo oppure a pranzo o a cena il tutto ad un prezzo proporzionato, questo in Bottega Mariani ti fa sentire a casa.

 

 

 

 

 

Dal 20 al 29 giugno 2025, la Franciacorta è tornata protagonista in una delle mete più iconiche dell'estate italiana: la Versilia, regina indiscussa del consumo di perlage.

Per dieci giorni abbiamo assistito ad  un vero e proprio wine district diffuso, che ha coinvolto ristoranti, locali e stabilimenti balneari.

  il superbo risotto

E per raccontare il proprio territorio vitato unico nel suo genere con l’indiscussa vocazione al metodo classico, ancora una volta il Consorzio della Franciacorta ha scelto la Versilia, terra colta e divertente nota a molti per le cronache mondane.

Il 29 giugno il Gala Finale. Location scelta il Ristorante Principino sul lungomare di Viareggio, posto all’interno dello stabilimento balneare omonimo. Ristorante posizionato bordo-piscina con la possibilità di assistere al tramonto versiliese nel contesto di uno scenario dai colori multiformi.

La cena di Gala affidata allo chef Lorenzo De Vivo Martini.

“Amo la materia prima nella sua stagionalità e nel suo Territorio. Non pongo limiti alla conoscenza, soprattutto a quella culinaria poiché mi appresto a studiarne ogni singolo ingrediente affinché il mio percorso di crescita professionale e personale sia in continua evoluzione”.

Conoscenza della cucina italiana in genere, in particolare sulla pasticceria al cucchiaio e no. Premiato nel 2020 come “Miglior Giovane” dell’anno dalla Federazione Italiana Cuochi.

Per questo gran finale, nel tentativo di esaltare i Franciacorta selezionati e viceversa, un menù terra-mare (meglio dire mare con un po’ di terra) con il risultato sorprendente dato dalla particolare combination con il tartufo fornito da Selektia tartufi.

 

  il menù

 

   i Franciacorta

Ed allora il tortino con crema di pecorino, la tartare di scampi, il risotto (da applauso), il trancio di branzino e addirittura il semifreddo, rigorosamente serviti con abbondante presenza di tartufo, hanno duettato con il perlage della Franciacorta in modo impeccabile. Chapeau! Chapeau! Chapeau!

Come non ricordare l’artefice di questa manifestazione: l’amico Gianluca Domenici. Editore, giornalista, musicista, compositore, sommelier, gourmand nell’accezione di “goloso”, presentatore di eventi.  Vero mattatore della serata senza retorica di circostanza. E i Franciacorta?

- Franciacorta Brut Ugo Vezzoli;

 lo chef insieme a Gianluca Domenici

- Franciacorta Brut Ronco Calino;

- Franciacorta Satén Brut Monte Rossa Sansevé;

- Franciacorta Satén Brut Fratus;

- Franciacorta Dosaggio Zero Antica Fratta Essence Nature 2020;

- Franciacorta Dosaggio Zero Terra Donata 2020;

- Franciacorta Brut Marcfhese Antinori Tenuta Montenisa Conte Aymo 2020;

- Franciacorta Brut Villa Franciacorta Emozione 2020.

A concludere la serata l’Amaro della Versilia Alpemare prodotto da Mr Liquor.

La Franciacorta Versilia Week continua, avrà un seguito. Parola di Gianluca Domenici. Arrivederci all’edizione 2026. Chapeau!

 

l'evento 

 

 

 

   Il placido Serein

Il Serein è il principale corso d'acqua che attraversa il distretto vinicolo di Chablis condizionandolo con il suo idro-clima. In particolare quella parte collinare posta ad Est della cittadina dove sono posizionati i vigneti classificati Grand Cru.

È lungo 188 km e, vista la modesta portata, non è navigabile. Nasce nelle colline dell'Auxois ad Arconcey e scorre verso Nord/ Nord-Ovest,  per confluire nello Yonne a Bassou.

Origine del nome: Serein è la parola francese che significa "sereno". Ciò potrebbe riflettere la natura placida del suo corso.

Siamo nella Regione Borgogna-Franca Contea, dipartimento di Yonne dove è localizzato il “vigneto” dello Chablis..

    Il Serein a Chablis

Quest’ultimo rappresenta la vocazione vinicola più settentrionale della Borgogna. Le vigne sono quasi esclusivamente composte da piante del vitigno Chardonnay, che danno un vino bianco secco rinomato per la purezza sia del suo aroma che del suo gusto.

Il clima fresco di questa regione dovuto ad un mix di circostanze (50°parallelo, mancanza di montagne e/o boschi che possano mitigare i forti venti),  produce vini con più acidità e sapori meno fruttati rispetto ai vini a base di Chardonnay prodotti nella Borgogna “classica”.

Gli Chablis hanno spesso una nota di "pietra focaia", a volte descritto come "goût de pierre à fusil" e talvolta una nota definita "metallica”.

Rispetto ai vini bianchi della Côte d’Or (Mersault, Saint-Aubin, Montrachet), lo Chablis è in media molto meno influenzato dall'affinamento in botte. Lo Chablis cosiddetto di base è vinificato in recipienti di acciaio inox. L'eventuale maturazione in botte, quando viene effettuata, è una scelta stilistica seguita solo da alcuni produttori e riguardano Premier Cru e Grand Cru.

Tutti i vigneti di Chablis sono coperti da quattro denominazioni di origine, con diversi livelli di classificazione, che riflettono le differenze del

   Paesaggio

suolo e della pendenza presenti in questa regione settentrionale. In cima alla classifica sono i vigneti, Sept Grand Cru, tutti situati su una singola collina vicino alla città di Chablis. Seguono i vigneti da cui si ottiene lo "Chablis Premiere Cru"( in totale 12 produttori) e poi le zone da cui si ottengono lo "Chablis " e il " Petit Chablis". Questi ultimi due rappresentano l'80% di tutta la produzione.

Ed il placido, silenzioso, sereno corso d’acqua Serein, partecipa attivamente al micro-clima in comunanza con la presenza della fascia di Kimmeridge, una matrice di sottosuolo di epoca giurassica nata dal compattamento sul fondale marino di gusci calcarei di ostriche. Chapeau!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    La Route

Il mese di Marzo 2025 ha registrato il mio settimo tour nella Borgogna Classica, la Côte d’Or. Quella parte della Regione Borgogna-Franca Contea che ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi più che una Terra Eccezionale una “Terra di Eccezioni”, così definita da Camillo Favero e dal compianto Giampaolo Gravina nell’introdurre “Vini e Terre di Borgogna”.

L’ho percorsa da Nord (villaggio di Marsannay) a sud (villaggio di Santenay). Da est (fiume Saône ad ovest (Hautes-Côtes de Nuits e Hautes-Côtes de Beaune). Calpestando i Climat più o meno famosi cercando di provare a mantenere vivo il il gusto per il dettaglio, a dare risalto alle regole rigide, a sottolineare l’eccezione sempre in agguato. Comprendere ed interpretare. Non facile in quel marasma di regole, pur sempre condivise, difficile da trasmettere ai neofiti.

La nozione di Climat, “identità specifica e originale di una determinata parcella di vigne conosciuta da secoli con lo stesso nome”.

   Vigneto Romanée-Conti

Oggi risultano ancora schedati 1.247 diversi climat della Côte d’Or a comporre il mosaico di circa 60 chilometri da nord a sud.

Tralascio la Storia che si perde nella notte dei tempi, le origini che fanno riferimento ai Galli, ai Romani, il Vino delle Abbazie, Il Vino dei Duchi, L’incidenza della Rivoluzione, Il Vino dell’Ottocento, mentre ricordo l’espansione delle colture odierne biologiche e biodinamiche.

 

E per ultimi loro, i vitigni. Il Principe Pinot Noir, l’affascinante Chardonnay, i vinosi Gamay e Aligotè. Ricordare che nella quasi totalità dei casi sia il Pinot Noir che lo Chardonnay fermentano ed affinano en fûts, meglio conosciute come barriques (228 lt.). Da qui il detto “vinificazione borgognotta”.

Ed ecco il mio Tour in pillole:

- Da Marsannay a Gevrey-Chambertin, passando dai vigneti di Fixin;

- Da Morey-Saint-Denis a Chambolle-Musigny;

- Da Vougeot a Vosne-Romanée passando dai vigneti posti ad Est di Gilly-Les Cîteaux e ad ovest di Flagey-Echezeaux fino a calpestare le mitiche  vigne della Romanée-Conti e La Tâche;

- Nuits-Saint-Georges e dintorni (Premeaux e Prissey);

- Tra Corton e Beaune. Da perdersi in un dedalo di Climat. Aver calpestato le vigne della Collina di Corton: Ladoix-Serrigny,

    un Clos

Aloxe-Corton, Pernand-Vergelesses;

- Pommard, Volnay e dintorni;

- Mersault, con il suo mix di rossi e bianchi;

- Tra Saint-Aubin e Puligny-Montrachet, l’olimpo dello chardonnay;

- Per poi raggiungere Santenay soffermandomi a toccare le zolle di Chassagne-Montrachet.

Ancora una volta un viaggio tra piccoli produttori e domaines di culto, leggende viventi. Capire il complesso sistema delle appellation e dei climats  plasmati e forgiati da secoli di storia. Chapeau!!!

 

 

Caveau

 La motivazione: ricerca particolare nella Linguadoca del Muscat de Frontignan Aoc.

L’Appellation si trova nel sud-est della fascia costiera mediterranea una volta Regione Languedoc-Roussillon, oggi Regione Occitanie. A est si trova la AOC Muscat de Mireval e a nord-est la AOC Muscat de Lunel (entrambe con vini simili).

Il vino dolce è stato il primo dei quattro Vin doux naturel a essere classificato come AOC nel 1936. Appartiene alla seconda categoria di qualità "Grands Vins du Languedoc". I vigneti si estendono per circa 800 ettari su terreni argillosi, ricchi di ossido di ferro e quindi di colore rosso, intervallati da calcare. Si estendono nei comuni di Frontignan e Vic-la-Gardiole, nel dipartimento dell'Hérault.

È una delle zone vitivinicole più antiche della Francia. Già Plinio il Giovane (61-113) sottolineava nelle sue lettere l’esistenza del "vino delle api". È stato il famoso medico Arnaldus de Villanova (1240-1311), considerato l'inventore del vin doux naturel, ad esclamare che si sentiva più giovane di molti anni dopo averlo bevuto ogni giorno il Muscat de Frontignan, decretandone il successo.

Altri famosi personaggi che, con le loro affermazioni, lo hanno reso famoso?

-  Il filosofo inglese John Locke (1632-1704);

- Il filosofo Voltaire (1694-1778);

Muscat 2023

- il Presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson (1743-1826);

- la Marchesa di Lur-Saluces proprietaria dello Château d'Yquem, nel 1700.

 

Il produttore scelto dal sottoscritto per una visita approfondita è stato CHÂTEAU DE LA PEYRADE.

I vigneti si trovano su un leggero promontorio tra il mare e l'Etang de Thau nelle vicinanze della cittadina Sète.

Nelle mattine estive, risultano immersi in un'umidità permanente ottima per la maturazione delle sue uve. Le viti affondano le loro radici nel calcare di Frontignan, arrivando anche ad una profondità di circa venti metri.

La tenuta dello CHÂTEAU DE LA PEYRADE ha un’estensione di 24 ettari coltivati ​​a uve Muscat petits grains, Pinot Nero, Syrah, Vermentino (Rolle) e Grenache Gris, che danno vita a una gamma molto variegata di vini dolci e secchi, bianchi, rosati e rossi.

Muscat traditional

I miei assaggi:

- MUSCAT DE FRONTIGNAN TRADITION. 15 % vol, 115 gr residuo zuccherino, fermentazione bloccata con aggiunta di 10% di alcool. Percorso in inox. Il mio giudizio: Ottimo, voto 89/100;

- MUSCAT DE FRONTIGNAN PRESTIGE 2023. Millesimato, 15 % vol, 115 gr residuo zuccherino, fermentazione bloccata con aggiunta di 10% di alcool. Percorso in inox. Il mio giudizio: Eccellente, voto 90/100;

- MUSCAT SEC COTE LILAS, VIN DE PAYS DES COLLINES DE LA MOURE, 13 % vol, vino secco senza residuo zuccherino. Assemblaggio di Moscato petits grains e Vermentino (Rolle). Fermentazione completa in inox. Il mio giudizio: Ottimo, voto 88/100;

- ENTRE DEUX IGP PAYS D’OC. 12.5 % vol, 40 gr di residuo zuccherino. Parcelle di vigneti  che vengono vendemmiate in agosto due settimane prima di quelle destinate al Tradition. Fermentazione molto lunga, minimo da 15 a 20 giorni. Segue l'arresto con solfiti. Il mio giudizio: Ottimo, voto 88/100;

- VENDAGE D’AUTOMNE, Vino dolce naturale (vdn). Uva moscato bianco grani piccoli. Mosto d'uva parzialmente fermentato da uve appassite. 14,5% vol, 80 gr di zuccheri residui. Vigneti con suolo calcareo lacustre di Frontignan. esposizione a sud. Fermentazione naturale molto lunga, arresto naturale della fermentazione. Il mio giudizio: Eccellente, 91/100.

 

Assaggi effettuati il 11 febbraio 2025

Vini assaggiati

CHÂTEAU DE LA PEYRADE

Rond Point Salvador Allende

Frontignan

Tel: +049 04 67 48 61 19

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  Sacrario italiano

Fiume della Francia settentrionale affluente della Vesle, che si getta a sua volta nell'Aisne, che si getta a sua volta nell Oise che confluisce nella Senna.

Sulle sue rive fu combattuta nel luglio del 1918 una violenta battaglia, alla quale partecipò, accanto alle armate francesi , il II Corpo d'armata italiano agli ordini del generale Albricci.  Per gli italiani il fronte francese significò, in poco più di sei mesi, 5.000 caduti e oltre 4.000 feriti. Oggi superate le poche case di Bligny si sale una collina sulla cui sommità troviamo il Cimitero Militare Italiano che impressiona per la sua grandezza. Al suo ingresso sventola la bandiera italiana, quella francese e quella d’Europa, all’interno un grande viale di cipressi e un piccolo tempio posto al centro di quattro sterminati campi di croci. Sul tempio la dedica: "AI CINQUEMILA SOLDATI ITALIANI MORTI IN TERRA DI FRANCIA".

  Pinot Meunier

Già nel 2016 scrissi: Situata a sud della città di Fismes, la valle dell’Ardre, con i suoi graziosi paesaggi collinari, è piena di vestigie dei tempi trascorsi. Le incantevoli chiese di Courville, Saint-Gilles, Poilly o di Crugny sono tra i monumenti della valle meritevoli di essere visitati ed ammirati per capire che siamo nella Champagne. In una Champagne diversa da quella patinata, meta di milioni di turisti”.

Siamo nella Champagne vera, quella dei contadini, abituati alle cadenze delle stagioni, quella delle cooperative dove ci si unisce per esprimere la propria individualità. Sembra un paradosso ma è proprio così.

Già  l’Ardre, un piccolo fiume che nasce dalla Montagna di Reims, corre verso nord-ovest per poi confluire nella Veisle, il fiume navigabile di Reims. Tutto un sistema idrico che crea quel micro-clima importantissimo ed essenziale per la maturazione delle vigne.  

In “quei serbatoi” d’uva che per alcuni secoli sono stati e continuano ad essere fonte di approvvigionamento per le Grandi Maison. Ricordiamoci che la Vallée de l’Ardre si trova sopra il 49° parallelo e mai come oggi c’è bisogno di frutti acidi per continuare la grande favola della produzione dello Champagne.

La Vallée de l’Ardre, Vallée de la Vesle e il distretto Tardenois, sono definiti nel loro insieme “Petite Montagne de Reims”, circa 2.500 ettari con terreni composti di argille, limo argilloso, sabbie silicee, marne calcaree.

Non troviamo solo vigne ma anche distese di cereali (grano, mais), patate, barbabietole. 

  l'Ardre

Ci troviamo tra il 49° e il 49,5° parallelo Nord. Il clima, di conseguenza è da considerarsi semi-oceanico: fresco, se non freddo, umido d’inverno, mite ma sempre umido d’estate. La maturazione complessa, lenta e talora tardiva rimane dunque un dono prezioso della natura, insostituibile nell’ottica della qualità.

Qui i tre vitigni, Pinot Noir, Chardonnay, Pinot Meunier, quest’ultimo in prevalenza, seguono la tradizione che li vogliono in assemblaggio per attenuare le asperità climatiche.

Tuttavia, da qualche anno si sta facendo spazio una moda che porta a vinificare un solo tipo d’uva e, nella Vallée de l’Ardre, il Pinot Meunier ne è il riferimento.

Sappiamo che un 

 Vallée

tempo la Champagne possedeva numerose varietà d’uva e la vinificazione prevalente era rivolta verso i vini rossi fermi, in concorrenza con la Borgogna. Pochi sanno che si contavano un’ottantina di vitigni che, a seguito della meccanizzazione, industrializzazione e fillossera, le varie cultivar sono state scartate perché meno propizie. Oggi alcune di esse ritrovano spazio, in particolare in questa valle: Arbanne, Petit Meslier, Fromentau, Blanc Vrai.

La Champagne, con i suoi inizi incerti, il suo passato bellico, la complessità dei suoi climi, la sua “aura globale”, invidiata da tutto il mondo vitivinicolo e i suoi fiumi, come l’Ardre, ambasciatori di vino.

 

 

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