L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
La Champagne è talmente ben pubblicizzata che in ogni stagione, sia in presenza di pioggia o sole, sia con il freddo gelido della Bise o la calura estiva insopportabile, registra il ”pieno” dei visitatori.
Anche perché, turisticamente parlando, può essere proposta come tour giornaliero dalla vicina Parigi con tanto di visita ad una grande Maison di Epernay o di Reims compreso un calice di “champagnino”.
Poi c’è un’altra Champagne, quella del “sogno fragile” così come descritta da Samuel Cogliati (Possibilia editore) o da Roberto Bellini nel suo patinato Champagne & Champagnes (Bibenda editore).
La cultura della distinzione che emerge dallo scritto di Samuel Cogliati e il viaggio, con tanto di indicazioni stradali, da quello di Roberto Bellini.
In questo mio dodicesimo tour a scoprire il fascino di questo vino mi sono sentito un po’ Samuel e un po’ Roberto. Samuel per cercare di “sfrondare quanto di superfluo porta con sé certa retorica” e Roberto per affrontare un viaggio particolare “negli anfratti di certi luoghi carichi di Storia”.
E un po’ di mio nella ricerca, questa volta, di chardonnay diversi, del perché le grandi Maison “raccolgano” uve dello stesso vitigno, differenti, da conferitori fidati sparsi a nord anziché a sud, ad ovest anziché ad est, magari privilegiando piccole aree come il Petit Morin o il Montgueux.
Il mio dodicesimo tour è iniziato dalla vasta area del Sud: l’Aube. Scegliendo due realtà diverse posizionate una ad est l’altra ad ovest, la prima nel Barsuraubois la seconda nel Barséquanais.
Partire da Troyes e percorrere le RN e le D tra continui saliscendi in un mare di vigne dai colori autunnali ed arrivare nella minuscola e graziosa Urville, Comune fiorito.
Ad attendermi lo staff della Maison Drappier. Visita alla cave ultracentenaria a scoprirne i segreti. Infine gli assaggi. In particolare il suo Blanc de Blancs. Uno chardonnay allevato su terreni calcarei, con pochissimo gesso (insignificante) che ha lasciato emergere nel calice note minerali, rotondità diffusa e olfatto profondo. Uno champagne gradevole, fine e sapido.
Lasciata Urville mi sono concesso la pausa pranzo in una brasserie nella garbata, vezzosa cittadina di Essoyes dove rimembranze storico-scolastiche mi hanno ricordato essere il rifugio degli ultimi anni di Renoir.
Lì vicino, a pochi chilometri c’è un piccolo borgo di nome Noè les Mallets. Ad attendermi Delphine Brulez della piccola Maison Louise Brison. Terreno calcareo con abbondanti residui marini (Kimmeridge) che permettono ai suoi chardonnay millesimati di esplodere in tensione. Champagne slanciato molto leggibile quadrato, salino.
Il giorno dopo, lasciata Troyes, direzione verso nord. Mi aspettava una avventura nuova. Visitare Frederic Bourcier a Couvrot, nelle terre delle nuove esperienze, ad est verso il confine con la Lorena: Vitry-le-Françoise.
Terre di conferitori di grandi acidità, di vigneti strapazzati dalla Bise, il vento gelido dell’Est. Terre dove lo chardonnay è ricercato proprio per le sue accentuate freschezze. Frederic un personaggio incredibile. Agricoltore prima, vignaiolo e conferitore in un secondo tempo, infine imprenditore di se stesso. Capannone tipo industriale con dentro una pressa Bucher di ultima generazione a pressare uve per conto terzi e per la Cooperativa Comunale. Il suo Blanc de Blancs? Naso minerale, vino tagliente, retto. Aromi floreali ma tanta freschezza. Profondità. Uno chardonnay veramente diverso dagli altri. Una interessante scoperta da aggiungere al mio fardello di conoscenze.
Nel pomeriggio ho raggiunto la Maison Dumenil a Sacy, ai piedi della Montagne de Reims, quella che guarda nord, a pochi passi dal 50° parallelo. Gran bella realtà lanciata verso traguardi di eccellenza e il suo chardonnay, se pur tagliente, spigoloso, di montagna fredda, ha primeggiato tra gli assaggi concessimi. Bravò!
È stato il giorno della riva destra della Marne quello successivo. Preceduto da sempre da atto di devozione annuale all’Abate Dom Perignon che riposa (così ci fanno credere) nell’Abbazia di Hautvillers.
Via di buon’ora verso Damery dove mi aspettava Philippe Manfredini, un francese con gusto italiano, Direttore della Maison J. De Telmont.
E quando pronunci il nome di questa Maison ti ritrovi nell’empireo mondo dello champagne. Una visita accurata, una degustazione meticolosa, completa con apertura di bottiglie storiche. Il suo Blanc de Blancs guidato da solidità e potenza. Ricco, rotondo, diverso da tutti quelli assaggiati fin qui. Acidità che non accompagna l’eleganza riscontrata nel Blanc de Noirs con presenza maggioritaria di Pinot Meunier, ma con un percorso tutto in divenire.
Il pomeriggio nel centro del piccolo e importante paesino di Ay a visitare la Maison Lallier. Che spettacolo il suo Chardonnay. Floreale, burroso, fruttato con pennellate di sapidità. Acidità puntata nel finale. Stile armonico con finale delicato ma coerente con il territorio di provenienza: la Montagne lato sud, solare.
Ultimo giorno passato a Chouilly e a Chavot-Courcout.
Chouilly, grand cru nella Côte de Blancs, a scoprire gli chardonnay speciali di Vazart-Coquart. Tipicità unica, singolare. Estroversi, per niente aggressivi, con finali gradevoli. Chardonnay di razza.
Chavot-Courcourt nella Côte-sud d’Epernay, dove troviamo i “ribelli” della Côte de Blancs. Senza presenza di Comuni Premier Cru ne Grand Cru ma dove i loro champagne raggiungono la miglior qualità/prezzo. Una Maison su tutte: Diogène Tissier. Il suo chardonnay è da bere e ribere con delicata sapidità, freschezze ben bilanciate, Uno champagne, come direbbe Samuel Cogliati, “dedicato alla sete”.
“C’è un istante, tra il quindicesimo e il sedicesimo sorso di champagne, in cui ogni uomo è un aristocratico”. (Amèlie Nothomb). Lo sono da molto tempo. Chapeau!
Visite effettuate in questo mese di ottobre 2019
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
Di nuovo Le Guide
Anche quest’anno è giunta l’ora della pubblicazione delle Guide. Quelle più note, famose e quelle che cercano faticosamente di emergere magari specializzandosi in specifici settori (vini biologici, biodinamici, naturali). Bollate di cattiva e pessima fama, famigerate da alcuni produttori e/o soloni del vino, osannate, acclamate, attese da altri per sapere se i propri vini sono new entry o celebrate conferme. Il grande circo del Vino si ritrova comunque coinvolto in manifestazioni, eventi aperti o limitati negli inviti o, come gentilezza vuole, a ringraziare questa o quella guida per il giudizio dato.
Mi sovvien un dialogo avuto con una azienda nel marzo scorso durante Terre di Toscana proprio sulla validità delle Guide. Peste e corna a non finire, “se paghi ti includono e il giudizio è correlato al quantitativo di denaro che tu versi” , “giornalisti prezzolati”, ecc… Di solito si dice “vox populi, vox dei”. Ma è anche vero che “il trasformismo è sempre in agguato” (senza fare alcun riferimento alla politica di oggi). Perché, proprio quel produttore ha pubblicato in questi giorni che il suo vino di punta è entrato nelle “grazie” di una Guida Importante. Ne ha fatto riferimento inneggiando, magnificando la Guida in questione. Sono sicuro che alla prima manifestazione dove sarà presente troverò sul tavolo d’assaggio la Guida aperta alla pagina dedicata.
Meditate gente, meditate. Mi sovvien Niccolò di Bernardo dei Machiavelli (anch’io riporto una citazione storica visto che va di moda): il popolo nel mondo non è se non vulgo.
A voi la mia riflessione. Viva le Guide.
Frammento n. 1
Vino naturale o Vignaiolo Naturale?
Nell’ambiente, sui social, nel mondo del vino italiano Alessandro Dettori, noto vignaiolo sardo, accreditato come produttore di “vini naturali”, ha voluto precisare il suo pensiero di vignaiolo naturale.
Per brevità riporto il suo pensiero che condivido.
“Per vignaiolo naturale intendo colui che in vigna lavora seguendo i principi, i processi e i metodi che la natura usa per se. Colui che vinifica solo le proprie uve che ha personalmente coltivato. Imbottiglia solo il proprio vino. Determina personalmente o in famiglia le scelte e le decisioni di ogni fase e processo della propria azienda agricola. Vive della sola professione di vignaiolo. Rispetta il lavoro agricolo riconoscendone il valore economico. Produce il proprio vino con i seguenti ingredienti/additivi/coadiuvanti: Uva e pochi solfiti, solo prima dell’imbottigliamento. Il vino deve essere un degno e vero rappresentante della cultura del luogo” Aggiungo: il vino è opera dell’Uomo.
Frammento n. 2
C’è Prosecco e Prosecco
Non possiamo abbandonare il Prosecco alla deriva degli Spritz
Nel mare sempre più agitato dei prosecchini è sempre più difficile trovare quello eccellente. E finché i numeri registreranno la crescita attuale c’è poco da stare allegri. Il cassetto impera, da Trieste a Rovigo, rotonde comprese, perfino in laguna, in barba al sito Unesco (una farsa).
Ma noi, fedeli estimatori dei vini buoni non ci perdiamo di coraggio.
Evitiamo gli aperitivi a base di prosecchino (quando ci va bene ci rifilano prodotti da € 2,50 la bottiglia o addirittura simil-prosecco), rinneghiamo gli Spritz e andiamo alla ricerca di qualcosa che rivaluti il vitigno di appartenenza: il (la) Glera.
Cominciare a capire che il vitigno di partenza può essere vinificato in maniera diversa (vini base) riducendo il tenore zuccherino ed uscire con 8/9 g/l (Brut) e 3 g/l (Extra-Brut).
Ed allora puoi ipotizzare di tentare di proporre Prosecco garantito Superiore Docg (Valdobbiadene e Asolo) a “tutto pasto” così come i Metodi Classici e gli Champagne.
Una novità, rivoluzione nel campo dei Prosecco che apre a questo “fenomeno”, un nuovo percorso di vita senza abbandonare il Metodo Charmat ancora unico sistema valido per spumantizzare il (la) Glera. Prosecco del tutto particolari tendenti ad emergere dalla “sbornia che ci affligge” con “prosecchini da due soldi”. Nuove esperienze per elevare il Prosecco al rango che merita.
Frammento n. 3
Dai dai l’aggiunta dello zucchero al Vino è arrivata.
Ce lo suggerisce l’Europa. Le Notizie che passano in sordina.
"Avanti miei prodi, mettiamo zucchero nel Chianti per aumentare i nostri profitti" Chapeau!!!
In barba ai terroir, al biologico, al biodinamico, al naturale (del resto lo zucchero è naturale).
Il Chianti cambia disciplinare. Non il Chianti Classico, quello del Gallo Nero, l’altro. Quello che estende il territorio da Pistoia ad Arezzo, dalla Rufina alle Colline Pisane.
L’annuncio del Consorzio Vino Chianti, il Chianti Docg (ma Docg non vuol dire Denominazione di Origine Controllata e Genuina?), cambia il disciplinare. La possibilità di adottare il nuovo limite zuccherino a partire dalla vendemmia 2019/2020. Il presidente Busi: “Finalmente ci adeguiamo alle normative europee. Prevediamo aumento delle vendite”
Firenze, 3 settembre 2019 - Un cambiamento importante, che permetterà alle aziende di adeguarsi alle normative europee e produrre vini di alta qualità e allo stesso tempo in grado di venire maggiormente incontro ai gusti dei mercati stranieri, soprattutto statunitensi, sudamericani e orientali. È l’obiettivo della modifica sulle caratteristiche al consumo del disciplinare del Vino Chianti Docg pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 agosto 2019 e diventata quindi realtà in ambito nazionale. La modifica interessa il residuo zuccherino massimo e arriva dopo un lungo lavoro di istruttoria che ha visto in prima fila il Consorzio Vino Chianti come portavoce delle aziende toscane e della loro necessità di allinearsi alle normative europee (ma quando mai). Un processo di riqualificazione e riposizionamento sui mercati internazionali che segue la tendenza manifestata già da altre denominazioni in Europa (quelle tedesche).
“Dopo lungo lavoro che ci ha visti impegnati per tanto tempo, il Ministero ha approvato la richiesta di modifica del disciplinare - ha dichiarato il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi - Un processo di adeguamento alle normative europee che garantisce maggiore competitività e una maggiore capacità del vino Chianti docg di allinearsi ai gusti dei consumatori che inevitabilmente si modificano nel tempo (prosecchini docet). Ciò permetterà alle aziende interessate di poter presentare dei vini secchi, sempre di altissima qualità ma più graditi al palato dai mercati prevalentemente orientali e americani (non proporre il nostro vino, la nostra eccellenza). Un passaggio atteso da tante aziende che, se vorranno, potranno adeguarsi a questi nuovi standards.
Ci aspettiamo dunque un aumento delle vendite su mercati esteri, che già presentano grandi potenzialità e su cui ci sono più ampi margini di sviluppo”.
FARE IL VINO COME RICHIESTO DAL MERCATO E NON COME TRADIZIONE.
Il Consorzio ha già inviato una circolare a tutte le aziende con i dettagli delle modifiche. ( Fonte: Consorzio Vino Chianti)
Lascio a voi ogni giudizio. (Cosa si fa per il cassetto)
Frammento n. 4
La segnalazione:
Il Mondo del Sake, straordinario, magico, fiabesco.
A Novembre arriva la prima edizione della Milano Sake Challenge.
L'evento Sake Challenge è un appuntamento annuale che si svolge dal 2012 a Londra e quest’anno, dopo l’enorme successo riscosso nella capitale inglese, per la prima volta arriva in Italia e lo fa grazie alla Sake Sommelier Association Italiana cavalcando l’onda del grande risultato raccolti nel nostro Paese che dall’Ottobre 2018 è diventato il primo paese importatore di sake in Europa. L'11 Novembre 2019, all’interno del concept store giapponese Tenoha (Via Vigevano 18 a Milano), si svolgerà la prima edizione della Milano Sake Challenge dove i produttori di sake giapponesi sono chiamati a partecipare con le loro etichette per eleggere i "Migliori Sake per l'Italia" secondo il palato italiano. Il focus infatti non sarà mirato al miglior sake in assoluto ma al prodotto più apprezzato dal gusto del paese organizzatore. Oltre 50 giudici tra sake sommelier professionisti e giornalisti di settore, prenderanno parte all'evento per valutare le centinaia di etichette che arriveranno direttamente dal Giappone, un’altra ventina circa invece valuterà l’aspetto estetico. In questa prima edizione infatti verranno assaggiate circa 3 00 etichette provenienti da quasi tutte le prefetture del paese; saranno suddivise in 6 tipologie, ognuna delle quali verrà valutata per il suo profilo gusto-olfattivo da una giuria di 8 persone composta da un giornalista ed alcuni sake sommelier, mentre un secondo gruppo capitanato da un esperto di design valuterà la parte visiva relativa all’etichetta.
L’evento si svolgerà in due momenti diversi: dalle 09:30 alle 17:00 ogni giudice assaggerà tutti i sake di una tipologia ed esprimerà il proprio giudizio condiviso con gli altri componenti della giuria, poi dalle 18:00 le porte apriranno al pubblico che avrà l’occasione di assaggiare gratuitamente tutte le 300 etichette di sake tramite la formula “Free sake tasting” (registrandosi sul sito) ed avrà a disposizione anche una card per 10 assaggi gratuiti di food delle aziende sponsor. Il weekend del 8-10 Novembre invece è in programma una piccola anticipazione della Sake Challenge, sempre all'interno di Tenoha. Degustazione guidate da un esperto sake sommelier con sfiziosi abbinamenti food durante l'aperitivo, dalle 18:30 alle 20:30.
Il motore di tutto, dalla Milano Sake Challenge alla Sake Sommelier Association Italiana, fino ai numerosi altri progetti realizzati che uniscono Italia e Giappone, è composto dalla coppia Lorenzo Ferraboschi e Maiko Takashima. Uniti nella vita e nel lavoro sono un punto di riferimento inequivocabile dell’autenticità nipponica in Italia: il ristorante Sakeya, Wagyu Company, Sake Company, solo per citare alcune delle realtà che da anni portano avanti con lavoro e passione e tra l’inverno e la Primavera altri progetti interessanti progetti del Sol Levante sono ai nastri di partenza.
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Più gli anni passano, più mi trovo a prediligere i libri di non grandi dimensioni. Perché (pigrizia a parte) ho sempre più voglia di pensieri chiari, di parole che parlino senza infingimenti, di discorsi incisivi e contenutisticamente densi. Perché le cose vere, le cose importanti, per essere dette in modo che siano comprese, non sempre abbisognano di complesse argomentazioni e di articolate dimostrazioni, di parerga e paralipomeni, di scholia e corollari. Hanno bisogno, soprattutto, di grande sincerità, di essere vissute ed amate, di essere generate come proprie creature, di essere inviate nel mondo di fuori come colombe sospinte nel cielo.
Con un pizzico di azzardo, si potrebbe addirittura arrivare a sostenere (provocando magari qualche doloroso mal di pancia) che il Discorso della Montagna riesca a donarci il cuore dell’intera letteratura evangelica, la Bhagavad Gita dell’intero Mahabharata, il Dhammapada dell’intero Canone Buddhistico.
Insomma, piccoli libri possono dirci grandi cose e, soprattutto, far nascere pensieri e scelte di vita grandi.
E’ proprio questo il caso del Piccolo libro vegano di Serena Ferraiolo proposto dall’editore Iacobelli nell’ambito di una intera collana di Piccoli libri.
La Ferraiolo ha il pregio di parlarci della sua scelta vegana con gradevole quanto efficace pacatezza, rifuggendo da toni infuocati e da atteggiamenti fastidiosamente pontificanti e apologetici. Ci sa presentare la sua scelta con lineare semplicità, riuscendo, senza alcuna fatica, a farcene comprendere le reali motivazioni e la sensata fondatezza. Riuscendo perfettamente a farci capire che la scelta vegana, come quella vegetariana (meno radicale), non è, per chi l’abbraccia in modo sincero, dettata da irrazionale desiderio di anticonformismo, né da morbosità asceticheggianti, bensì da una consapevolezza ragionata e, soprattutto, sentita. Ovvero, dalla volontà di prendere posizione di fronte all’infinita crudeltà del mondo e di provare a combattere e a rifiutare lo stile di vita imperante fondato sulla cinica voracità e sull’antropocentrico sfruttamento del pianeta e delle sue creature.
Il Piccolo libro della Ferraiolo ha pertanto molti pregi: nasce, innanzitutto, da una contaminante esperienza di vita felice; è caratterizzato da una intonazione sobria ed essenziale; presenta suggerimenti e consigli rivolti a tutti coloro che guardano alla scelta vegana con interesse ma con perplessità, con tanti dubbi ma curiosità sincera; distingue con cura vegetarianesimo da veganismo, mettendo bene in luce punti di contatto e differenze e sottolineando come le due cose non debbano necessariamente essere viste come fasi in rigida successione, una propedeutica all’altra.
Ma, forse, il merito maggiore scaturisce dalla sua indubbia utilità pratica, rappresentata dalla grande quantità di ricette gustosissime e di facile preparazione che ci vengono presentate, in buona parte ricavate dalle migliori tradizioni popolari, mediterranee e non solo: dalla zuppa di cicerchia alla farinata di ceci, dalla ciambotta agli gnocchi di lenticchie, dalla ribollita al gazpacho. Cosa questa che potrà farlo apprezzare non soltanto a vegetariani e vegani (o aspiranti tali), ma anche a tutti coloro che volessero scoprire o riscoprire piatti salutari e nutrienti al fine di correggere, migliorare ed arricchire le proprie abitudini alimentari.
Serena Ferraiolo
Il piccolo libro vegano. Consigli utili in cucina e non
Iacobelli editore
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
La polemica di fine estate.
È senza alcun dubbio “Terregiunte”, vino da due vini. Costasera Masi (Amarone) e Raccontami primitivo di Bruno Vespa (proprio lui, l’arcinoto presentatore). Prendete uve Corvina, Rondinella, Molinara (le uve dell’Amarone) e unitele con Primitivo di Manduria, quelle di Bruno Vespa, affidatele ad un enologo di alto livello quale Riccardo Cotarella ed ecco nascere Terregiunte Masi-Vespa alla faccia di Doc, Docg, terroir, microclima, storia, tradizione, al grido di Italiani unitevi. Nord e Sud insieme. Tanto di conferenza-stampa, tutti uniti giurando amore eterno. E poi il doveroso, puntuale e veloce Comunicato-Stampa contro il “vino che affossa il Terroir” da parte del Consorzio tutela vini della Valpolicella. Cotarella prende subito le distanze perché ha capito che l’operazione è una grande e colossale Caxxata rischiando di far la fine del noto Chef che sponsorizzò le patatine fritte, insomma andar contro quelle che sono le sue convinzioni in termini di vino. Gli organi della Puglia al momento tacciono. Vespa, da buon “democristiano”, docet.
Frammento n. 1
Se questa è comunicazione
Da sempre
sono convinto che i produttori italiani di spumanti siano sulla buona strada, in particolare “i trentini”. Certa stampa “nostrana” continua a metterla sul derby di tipo “calcistico” in particolare con lo champagne francese. Ecco parte del “notizione” apparso recentemente: Italia batte Francia nelle “bollicine”. E giù statistiche trionfalistiche per poi dover ammettere, nascosto tra le righe, che la Champagne è la regione vinicola mondiale più premiata. Come la mettiamo?
Frammento n. 2
Cantine Aperte in Vendemmia
Ecco una buona notizia, l’Uva chiama a raccolta. Il Movimento Turismo del Vino ricorda che si possono visitare le cantine durante il periodo vendemmiale. È il momento in cui le aziende si animano e invitano gli appassionati e non solo a visitare sia i vigneti durante la raccolta che le cantine nelle prime fasi di lavorazione. Se decidete di andare verificate le aperture.
Frammento n. 3
Il sogno di degustare super etichette al calice.
Vino al calice; quanti errori nei locali. Entri in un locale, dai uno sguardo alla Carta Vini e ti ricordi di essere da solo. Opti per il vino al calice. La scelta si restringe al “vino della casa” e pochi altri. Nel maggiore dei casi arriva sul tavolo il calice senza la bottiglia scelta. Non la faccio lunga. Ordinate una bottiglia e chiedete di portarla via. Molti ristoranti offrono il bag.
Frammento n. 4
Merano Wine Festival 2019
Dal 1° luglio è iniziata la vendita dei biglietti online per l’edizione numero 28 di scena a Merano dal 8 al 12 novembre. Apertura come sempre con Naturae et Purae, a seguire la tre giorni vero cuore dell’evento, la Gourmet-Arena, The Circle, il Fuorisalone per concludere con il martedì dedicato a Catwalk Champagne. Un consiglio a chi fosse intenzionato a partecipare: cogliere al volo le offerte sulle combinazioni ticket. Si esauriscono in breve tempo.
Frammento n. 5
Il vino che parla
Arriva dalla Puglia l’etichetta intelligente. La Cantina Colli della Murgia di Gravina lancia la prima bottiglia che parla. Si tratta di un piccolo software (Chatbot) progettato per simulare una conversazione in modo naturale. Insomma è sufficiente fotografare con uno smartphone il QR code dell’etichetta ed ecco tutte le informazioni su azienda e vino che state acquistando. Questa volta non scritto ma viva voce. L’intelligenza artificiale ad uso e consumo anche del vino.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
L’inaugurazione de “I nidi di Vinchio e Vaglio Serra” e le degustazioni dei “sei vigne Insynthesis” hanno accompagnato i festeggiamenti del 60esimo compleanno della Cantina sociale astigiana Vinchio-Vaglio Serra.
Vinchio e Vaglio Serra sono due paesini che si fronteggiano in una vallata dell’astigiano.
Posizionati in cima a due colli a dominare un territorio comune. E la Cantina sociale costruita nel fondo-valle a metà strada tra i due Comuni altrimenti contendenti tra loro.
Tutta l’economia della vallata ruota intorno alla Cantina Sociale che è riuscita (e continua in questo suo lavoro) in questa funzione che va al di là dei meri numeri di produzione ricoprendo il ruolo di garante dell’economia valligiana e figura importante della vita sociale delle due comunità.
192 soci, circa 450 ettari coltivati, oltre 30.000 Hl di vino prodotto, con un fatturato che si avvicina a € 9.000.000 e, dato significativo, € 3.300.000 di dividendo distribuito ai soci (2017).
Senza considerare i compensi differenziati €/Q.le per le uve conferite. Insomma una grande realtà cooperativistica che da 60 anni, grazie al conferimento da parte dei viticoltori-soci del totale delle uve prodotte ha visto un conseguente aumento della propria capacità di crescita non solo nei volumi ma anche nella qualità.
Perché se è vero che buona parte della produzione è costituita dalla vendita di vino sfuso e in bag nei nuovi locali adibiti a Punto Vendita Diretta ai consumatori, è anche vero che dagli anni ’80 la Cantina è impegnata nella difficile sfida alla modernità. Nuove filosofie produttive, dove la vigna diventa centrale,i vigneti distinti a seconda della qualità delle loro uve, tutto in funzione delle etichette che orneranno le bottiglie contenenti vini di eccellenza.
Ed ecco allora che il risultato finale è costituito da etichette di Barolo Docg, Barbaresco, Gavi, Asti, Arneis.
E poi la grande passione per la Barbera (assolutamente al femminile) declinata in tutte le possibili interpretazioni: Vigne Vecchie, Superiore, giovani, immediate.
Uno dei motivi per cui mi sono trovato coinvolto nei festeggiamenti del 60esimo compleanno della Cantina è stata proprio la Barbera, quel vino quotidiano che in seguito ha stimolato un gruppo di produttori ad accrescerne la qualità indirizzandola verso una nuova primavera.
E così dal grande lavoro nei campi e nella cantina dove trovano più spazio le botti e le barriques, la Barbera torna a nuova vita ed entra a pieno diritto nelle eccellenze viticole piemontesi.
La Cantina Sociale Vinchio-Vaglio Serra, sapendo che molti vigneti dei soci rispondono a quelle caratteristiche di eccellenza (una sorta di Cru alla francese) ecco prendere forma il progetto Barbera d’Asti Superiore “Vigne Vecchie” (oltre cinquant’anni) che, oltre salvaguardare i vigneti storici, con una scelta di alta remunerazione, riesce a portare in cantina basse rese significative per produzioni eccellenti.
Un certo Carlin Petrini (!) nel 2004 ha definito questa Barbera Superiore Madre di tutte le Barbere.
Altro progetto , con il finire degli anni ’90, la volontà di realizzare una nuova Barbera d’Asti, da uve selezionate provenienti dai vigneti maggiormente vocati. Ormai il percorso intrapreso verso la qualità premiava sforzi ed investimenti. Sfida enologica e culturale, il messaggio indirizzato ai soci.
Dal 2001 l’inizio della produzione Barbera d’Asti Docg Superiore “Sei Vigne Insynthesis”.
Le migliori uve Barbera provenienti da sei vigneti dove i viticoltori hanno avuto al loro fianco i tecnici della Cantina sociale per tutto l’intero processo agronomico. Il risultato?
“Una Barbera che esprime amore, impegno, volontà, scienza enologica e passione dei viticoltori associati coinvolti”.
Le celebrazioni del 60esimo compleanno non potevano essere festeggiate meglio se non con una verticale di Barbera d’Asti Docg Superiore “Sei Vigne Insynthesis”. Vendemmie 2009, 2007, 2006, 2004, 2003, 2001.
Ma di questo evento nell’evento ne parlerò dettagliatamente in un prossimo specifico articolo in degustazioni.
Comunque anticipo che la Barbera d’Asti Docg Superiore “Sei Vigne Insynthesis” della Cantina Vinchio-Vaglio Serra è entrata ufficialmente e meritatamente nell’Olimpo dei grandi vini italiani. Chapeau!
Visita del 13 luglio 2019
Viticoltori Associati Vinchio-Vaglio Serra
Strada provinciale 40, Km 3,75
Località Regione San Pancrazio 1
Vinchio (Asti)
Tel: 0141 950903
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Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
Il pericolo giallo.
La Cina prima produttrice mondiale di uva. Notizia fresca fresca dell’ultim’ora. Pensavamo che questo risultato che ha dell’incredibile (non per me) arrivasse, caso mai, tra qualche anno. Hanno bruciato i tempi portando l’estensione dei vigneti a 875.000 ettari, secondi solo alla Spagna (969.000) che presto supereranno visto il trend di crescita espansiva territoriale. Qualcuno dei “soloni” addetti ai lavori, oltre continuare a belare “noi siamo i migliori e i cinesi non arriveranno ai nostri risultati di qualità”, hanno aggiunto dopo l’uscita della notizia data durante il 42° Congresso Mondiale Della Vite e del Vino:”si tratta in gran parte di uva da tavola”. Bene; abbiamo trovato la scusante per continuare a “far finta di niente”. Ed allora mi pongo due interrogativi: primo “ma anche noi e gli spagnoli produciamo quantitativi interessanti di uva da tavola”; secondo “ ma i 10 milioni di ettolitri di vino prodotti dai cinesi non rappresentano niente?” E non parliamo della qualità per favore. Meditate e svegliatevi.
Frammento n. 1
60 volte Vinchio e Vaglio Serra
Vinchio e Vaglio Serra sono due paesini dell’astigiano posizionati sui rispettivi colli. Per noi che parliamo di vino i loro nomi uniti ma separati da un trattino rappresentano una realtà vitivinicola primaria se non unica nella zona. Viticoltori Associati Vinchio-Vaglio Serra è una realtà con più di 200 associati (si può dire “tutti” i viticoltori presenti nell’area interessata) di grande rilevanza a livello nazionale. In questi giorni ha festeggiato i suoi 60 anni con una due giorni fitta di appuntamenti: il recupero di sentieri (I Nidi) che uniscono i due paesi e una verticale di Barbera d’Asti Superiore, “Sei Vigne Insyntesis”, che ha raccolto l’unanime apprezzamento dei giornalisti di settore (c’ero anch’io). Una Barbera fortemente identitaria, miglior biglietto da visita per questa realtà consapevole dell’importanza economica, sociale e culturale che riveste per le comunità locali.
Frammento n. 2
Le Nuove Comete
Sono uscite sul mercato due nuove “comete” del firmamento vitivinicolo di Alois Lageder, Magré in Alto Adige. Ultimi due esperimenti eseguiti in vigneto e in cantina. Perché vino cometa? Le comete prima si illuminano, poi percorrono le proprie orbite fino alla distruzione. Ma ogni volta lasciano delle tracce come ad indicare la direzione da seguire e così ogni bottiglia di Comete è un vino unico e irripetibile. Per chi volesse approfondire l’argomento: www.aloislageder.eu/vini/comete Mi dimenticavo: le due comete. Bla-Bla 2, vitigno autoctono altoatesino Blatterle e Min-XVI, particolare gewurztraminer.
Frammento n. 3
Onda Rosa, dieci rosé in una location incredibile: la spiaggia Vip di Forte dei Marmi.
Giovedì 11 luglio i Bagni di Villa Grey a Forte dei Marmi hanno ospitato una serata dedicata a 10 aziende toscane che producono vini rosé considerati tra la migliore offerta nazionale. Nove delle Colline Lucchesi con l’ormai affermato Villa Sardi e uno proveniente dalla Maremma: Tenuta Belguardo. Per la cronaca questi gli altri presenti: Colle di Bordocheo, Fabbrica di San Martino, Fattoria di Fubbiano, Il Calamaio, Tenuta Lenzini, Tenuta Mareli, Tenuta Maria Teresa, Villa Santo Stefano. Particolarità della serata il poter dialogare con i vignaioli, tutti presenti. Senza dimenticare gli abbinamenti gastronomici curati dallo chef Nicola Gronchi del ristorante Il Parco di Villa Grey. Omettevo di ricordare che tutte le aziende presenti praticano da tempo l’agricoltura biodinamica!
Frammento n. 4
Vino al calice. Quanti errori bisogna sopportare
Le regole esistono, accettate da tutti: bisogna rispettarle. Non è una questione economica. A volte ci troviamo al tavolo di un ristorante da soli o in due e una bottiglia di vino sappiamo di non riuscire a berla. Da noi portarla via “è un reato”, additati di spilorceria, al contrario di altri paesi dove lo stesso ristoratore ti offre il “bag” con tanto di iscrizione pubblicitaria del locale. Da noi, nel bel paese dei furbetti (e non ditemi che non è vero), molti recuperano le bottiglie mezze vuote (meglio dire mezze piene) per riciclarle come vino al bicchiere. Già, il vino al bicchiere. Ed allora ricordiamoci che:
La bottiglia va sempre portata al tavolo e lo sbicchieramento davanti al cliente;
Far assaggiare il vino prima di servirlo per evitare contestazioni;
Attenzione agli spumanti. Verificare che non siano della sera precedente altrimenti “tanti saluti alla carbonica”;
Attenzione al rabbocco. Mai nel bicchiere mezzo vuoto. Chiedere un calice pulito;
e non parliamo delle temperature delle bottiglie. I ristoranti “seri” hanno erogatori che garantiscono temperature perfette. Un consiglio? Se siete titubanti, ritenete che il servizio non sia all’altezza e possa non rispondere alle vostre aspettative, fatevi una “buona birra”.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
Vini Bio: una moda?
Aggiungiamoci pure vini biodinamici e generalmente quelli considerati e, in alcuni casi, etichettati come “naturali”. La moda impazza e la comunicazione ha fatto “centro”. Il dubbio: moda che rischia di “sgonfiarsi” o tendenza consolidata da parte di consumatori attenti e “informati”? Secondo una indagine condotta da Signorvino (gruppo Calzedonia) nella catena dei propri negozi-enoteche, il consumatore “chiede” in primis vino-bio (anche nella versione biodinamica), poi “bollicine” con prezzi medio-bassi ed infine rosé (l’altra moda che impazza dalle Alpi a Santa Maria di Leuca, isole comprese). Non importa con quali uve siano prodotti. Basta che “frizzino” e, nel caso dei rosé, siano ben tinti di rosa (devono fare pendant con il cibo). I nostri “poveri rossi”, secondo Signorvino, sono relegati all’ultimo posto. Barolo, Barbaresco, Amarone, Brunello, Taurasi, volete risorgere? Vestitevi di Bio!
Frammento n. 1
Ritorno del Frascati
Vino Frascati ovvero insieme di Malvasia Bianca di Candia, Trebbiano toscano, Malvasia del Lazio e Greco. 70 anni di vita di questo vino che rivive una nuova giovinezza. Considerato vino da fiasco o meglio da comprare in damigiana e infiascarlo per il consumo, ebbe un grande successo anche fuori dei confini italici, perché legato a canzoni intramontabili, ad abbinamenti (fave) che annunciavano la primavera e alle classiche “gite fuori porta”. Vini di facile beva imitati e abusati nella diffusione. Oggi ben 300 aziende riunitesi in un Consorzio di tutela vinificano ed imbottigliano con un fatturato che supera i15 milioni di Euro. Oggi registriamo le giuste soddisfazioni per il lavoro svolto in particolare negli ultimi cinque anni. Affermazione di una evoluzione qualitativa senza precedenti. Il ritorno del Frascati.
Frammento n. 2
Ruffino: tre nuovi vini BIO
Chianti, Prosecco e Pinot Grigio. Le tre sfide dell’americana Ruffino. Il nuovo importante messaggio: “naturalisti” ecco per voi ben 200 ettari convertiti all’agricoltura biologica. Prosecco Doc fa la parte del padrone con ben 126 ettari (Poderi Ducali). Il resto nel nuovo Chianti Bio Docg e Pinot Grigio delle Venezie Doc. E giù l’amore per il territorio, l’uso di pratiche sostenibili, limitare l’emissione di gas effetto serra, gestione dei rifiuti, insomma consegnare ai nostri figli “un mondo migliore”. Personalmente ritorno ai concetti della “riflessione”.
Frammento n. 3
Una Guida Bio (perché no?)
Nasce la guida Bio per valorizzare le scelte “green” del modo enologico italiano. Ne sentivamo il bisogno!!!
Partiamo dalle motivazioni. “ Il progetto nasce come una sfida declinata in due tempi: il presente e il futuro”. Traduco più semplicemente: analizzare raccontare i prodotti, le persone e tutto il movimento bio. Dicono loro: cogliere le sfumature, la bellezza, la gioia del bere “green”. Andrea Giuliano, Antonio Stanzione e Annacarla Tredici, tre eno-amici,colgono l’attimo del trend esistente per offrire quattro sezioni di ricerca: una Top 100, una Top 20 ad impatto zero, un’altra Top 20 per il miglior packaging(?) e una sezione dedicata “alle migliori Bolle Bio”. Inorridisco di fronte agli stupendi spumanti chiamati volgarmente, senza ritegno, Bolle.
Frammento n. 4
Io lo chiamo Nebbione
Vendemmia 2010. Partenza del progetto Nebbione ideato dall’enologo Sergio Molino. Procedimento di produzione dello spumante metodo classico da 100% uve nebbiolo provenienti da diverse regioni vocate alla sua coltivazione. Una sorta di Talento memoria. Produttori delle Langhe, Alto Piemonte, Valle d’Aosta insieme a presentare i loro rossi e l’equivalente spumante. E dai nomi presenti c’è da stare “allegri”. Rivetto, La Kiuva, Cascina Ballarin, Enzo Boglietti, Travaglini, Franco Conterno, Gerlotto. E che Nebbione sia. (per favore: non chiamatela bolla).
Frammento n. 5
Movimenti in Champagne
La Cooperativa Nicolas Feuillatte ha annunciato l’acquisizione dell’antica Maison Henri Abelé. Un memorandum d’intesa firmato in questi giorni a Parigi ha suggellato l’intesa. Cifre tenute segrete ma considerando che la Maison Henri Abelé risale al 1757, solo la storicità pone la trattativa su alti livelli finanziari. Per Nicolas Feuillatte si tratta di acquisire un nome per entrare nell’olimpo dei grandi prodotti esclusivi ad alto valore aggiunto.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Trevi (Pg), 15,16 giugno. Il filo conduttore dedicato alla scoperta delle “vie del Trebbiano Spoletino”, vitigno eclettico e poliedrico che ha dimostrato di adattarsi alle diverse tecniche di vinificazione: tradizionale, solo inox, solo legno, ambedue (i migliori), la versione Orange Wine, spumanti e varie altre visioni ed interpretazioni.
Di tutto questo si è parlato, discusso, assaggiato a Trevi (Pg), uno degli aerali maggiormente interpretativi del Trebbiano Spoletino.
Storia
Ne ha parlato lungamente la Prof.ssa Giuseppina Prosperi Valenti ricordando che il territorio di Spoleto non sarebbe il suo luogo di nascita ma bensì d’elezione. È un vitigno “regionale” con diffusione particolare nei Comuni di Spoleto, Trevi e Montefalco .
Il vitigno
Grappolo con acini di media taglia, con buccia pruinosa e un colore verdastro che vira all’ambrato nel momento della sua piena maturazione. La sua tipicità è di dare vini con apporto fruttato, acido al gusto. Recentemente interessante come base per spumanti.
Visite aziendali
Interessanti le due visite aziendali effettuate nella due giorni trevane.
La prima a Montefalco presso la Tenuta Antonelli, la seconda a Spoleto presso la Cantina Ninni. (delle due visite ne parlerò a parte).
Degustazioni guidate
Sono state quattro, una più significativa dell’altra:
- “Turbo spoletino”, I Trebbiano nella ricerca e nell’evoluzione stilistica. Dai tradizionali, ai macerati, agli spumanti.
- “Bollicine di Trebbiano”, la prima degustazione dedicata interamente agli spumanti ed ai frizzanti 100% Trebiano Spoletino.
- “Il Trebbiano macerato”, ritorno alle origini o semplicemente versione alla moda
- “Riconosci il Trebbiano Spoletino”, una degustazione alla cieca utilizzando bicchieri neri, magistralmente condotta da Davide Bonucci.
Stand e Banchi d’assaggio
Ritrovare i produttori, parlare con loro dei vini appena assaggiati, capire le loro filosofie di vita.
Aziende piccole, familiari, che vivono in vigna, senza sosta e credono nella “madre terra”. Aziende di media levatura che continuano ad investire nella progettualità, in nuove tecnologie, dare lavoro ad una terra che ne ha bisogno per non essere abbandonata ( l’aspetto sociale) per consegnarci vini diversi pronti ad affrontare i mercati.
Gli assaggi alla cieca
Ma il clou della manifestazione sono stati gli assaggi “alla cieca” dei 46 campioni presentati da 28 aziende interessate alla produzione di Trebbiano Spoletino.
Questi i miei migliori “Dieci” in ordine sparso:
- Colle Uncinano superiore non filtrato 2015
- Cantina Ninni Poggio del Vescovo 2016
- Castelgrosso superiore 2017
- Antonelli Tonda 2017
- Perticaia Spoleto 2018
- Dionigi Goccio 2018
- Mevante 2017
- Tenuta Bellafonte 2016
- Livon Colanto Cantaluce 2017
- Omero Moretti Montefalco 2018
Vinificazioni diverse, stili diversi, territori diversi; un unico vitigno che li contraddistingue.
La location, Trevi
Trevi è meritatamente uno dei Borghi più belli d’Italia. Dalla sottostante via Flaminia lo vedi come in una cartolina. Poi, piano piano si “apre” con le sue “porte” svelando i segreti millenari delle sue piazze, palazzi e Chiese.
In particolare quella chiesetta duecentesca di San Pietro a Pettine, luogo dell’anima, per il misticismo che ti sorprende appena varchi la sua soglia.
E visitarla di sera con le luci diffuse del colore del trebbiano maturo, seduto di fronte agli affreschi religiosi ben recuperati, mi ha percosso i sensi.
Anche questo è conoscere il territorio, le sue tradizioni ed apprezzare meglio quanto ti offre nella quotidianità.
“de Gusto”, non è stato solo vino. Chapeau!
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Finalmente abbiamo accettato la logica che parlare di vino “bianco” significhi parlare del vino che rosso non è, lasciando ai “saccenti vinicoli” disquisire sui colori e riferimenti di appartenenza.
Raccolta a spalla al Giglio |
Qualcuno ha scritto: Orange Wines, l’altro colore del “bianco”. Ed allora il Pinot Gris più o meno ramato in quale categoria lo mettiamo?
Senza stare tanto a ragionare, parlare, lasciamo ai “cesellatori dei colori” continuare a dibattere sul tema bianco sì, bianco no.
Personalmente la scelta l’ho fatta. Sposata la linea di pensiero che pone gli Orange Wines tra i vini che rossi non sono.
Le origini.
Qualcuno tenta di assegnarne la paternità ai nostri contadini. Prolungato contatto con le bucce sia con il mosto che con il vino o quasi vino, donando colori inusuali. Una classica vinificazione come si usa per i vini rossi: bucce che cedono le sostanze coloranti in esse contenute rendendo il vino molto complesso sia al naso che in bocca. Rientra in quella tradizione antica contadina superata nel secolo XX dai nuovi macchinari che eliminano le bucce.
Sappiamo invece che l’origine è di quelle terre che videro i natali dell’uva e del vino: Georgia ed Armenia. Ancora oggi, soprattutto in Georgia c’è continuità di produzione con tsinandali, ottenuto dalla miscela di uve rkatsiteli e mtsvane; il rkatsiteli, ottenuto dall’omonima uva; il pirosmani, vino semidolce dedicato all’omonimo pittore georgiano; il mtsvani, vino secco fatto con l’omonima
I magnifici 9 |
uva.
Ed il nome inglese deriva dalla traduzione georgiana. Se poi registriamo i dati dei consumi di questa tipologia di vini a Londra il fenomeno dei “vini arancio” avoca a se il diritto di chiamarli Orange Wines.
E la moda oltremanica fa tendenza e moda anche in Italia. Ai casi isolati di Gravner e Radikon si sono aggiunti, negli ultimi tempi, una moltitudine di piccoli produttori autodefinitisi “artigiani del vino” che si avventurano in questa particolare produzione. Nella buona e cattiva sorte. Alcuni ci riescono, altri meno. A noi l’arduo compito di saper scegliere.
Venerdì 7 giugno, presso il Podere Sapaio a Bolgheri, occasione per assaggiare Orange Wines. La batteria, tutta proveniente dalla
Si discute |
collezione privata del patron Massimo Piccin, era formata da tre francesi e sei italiani provenienti quest'ultimi da diverse regioni e territori. Una possibilità unica per contrapporre vitigni e vini d’oltralpe con quelli “nostrali. È andata così:
- Savagnin Amphore 2016. Da Arbois, zona precollinare dei Jura. Vitigno di riferimento il Savagnin che ha affinità con il gewurztraminer. Meglio conosciuto come vitigno dal quale si produce il vin de paille, il vin jaune e il vin fou. L’Amphore ha fatto discutere i presenti alla degustazione. Personalmente l’ho posto sul podio al secondo posto. Eccellente, Chapeau!
- Melon de Bourgogne 2014. Proveniente dalla zona posta vicino all’inizio del grande estuario della Loira: Muscadet, il vino amato dalle ostriche (ne vanno pazze. Loro o i degustatori di bivalve?).
I macerati |
Ottimo, ma non da podio
- Tellus 2016, anfora. Proveniente sempre dalla Valle della Loira ma non alla fine del percorso del grande fiume ma prima della grande ansa di Orleans. Là dove si produce uno dei vini più complessi ed aromatici del mondo: Sauvignon Blanc di Sancerre e/o Pouilly-sur-Loire, quest’ultimo meglio conosciuto come Pouilly-Fumé. Il produttore di Tellus si trova nella denominazione AOC Sancerre e il suo bio-dinamico Orange Wine raccoglie tutto il fascinoso bouquet minerale della zona di appartenenza. Ottimo, ad un passo dal podio.
- Gravner, Ribolla Gialla 2010. Che dire se non rappresentante ai massimi livelli degli Orange Wies o meglio l’Orange Wine per antonomasia? Bello, bello, bello. Senza stare tanto a discutere. Primo assoluto per tutti. Chapeau!
- Vodopivec 2016. Vitovska. “Vitovska è la regina del Carso. Regna su vigneti terreno-rocciosi e fazzoletti di terra rossa che la mano dell’uomo coltiva rispettosa, guidata da un profondo amore per la natura” (Paolo Vodopivec). Dalle terre vocate per gli Orange Wines questo fantastico prodotto che ha nobilitato tutta la batteria. Eccellente.
- Anphoreus Malvasia 2015, dalla zona collinare di Gorizia. Ancora un vitigno diverso, la Malvasia istriana o del Carso, adatta a macerazioni lunghe. Ha fatto gruppo, lasciando dolci note rievocative della zona di origine.
- Munjebel Bianco 2016. Grecanico 60% e Carricante 40%. Etna lato nord. “Il Munjebel Bianco è una spremuta dell'Etna nata da un blend di uve Grecanico e Carricante che derivano da viti di otre 40 anni radicate sul terreno lavico del grande vulcano. Si tratta di un vino bianco macerato sulle bucce per 4 giorni”. Vino Artigianale fatto come una volta, Senza solfiti aggiunti o minimi, Macerato sulle bucce, Lieviti indigeni. Vino meritevolmente sul podio all’unanimità. Chapeau!
- Trebbiano d’Abruzzo Cirelli 2017. Non poteva mancare la versione macerata di questo particolare vitigno. Ottimo, meritevole d’attenzione.
Felice e appagato |
Ed infine, ultimo ma non ultimo, il macerato di casa Sapaio: Paradiso dei Conigli 2017. Massimo Piccin premette da subito, prima dell’assaggio, che si tratta di un progetto per valorizzare al meglio l’Ansonica dell’Isola del Giglio. Un mix di percorso storico, di micro-clima, di diversità.
Tutto particolare ad iniziare dal nome: Paradiso dei Conigli, un omaggio un po’ provocatorio ai molti conigli che ivivono in libertà sull’Isola. Tremila metri di vigneto in località Le Secche, vicino al Faro del Fenaio. Viticoltura eroica su terrazzamenti e trasporto a spalla fino al centro raccolta e via verso Bolgheri con il primo traghetto. Utilizzo delle anfore per la macerazione e affinamento. Un gran bel progetto che ha già raggiunto ottimi livelli di gradimento. Creativo, sauvage!
Una cosa è certa: abbiamo assaggiato il meglio dei meglio esistenti sul mercato e alla fine il risultato non poteva che essere eccellente. Il Vino, prima di tutto, deve essere buono. Poi arriva tutto il resto. Chapeau!
la masterclass di sakè |
Il Sake
Lo dico subito: non sono un intenditore di Sake ne bevitore. Solo curioso di conoscerlo, entrare in questo mondo particolare, capire gli aspetti più importanti, da dove proviene, la preparazione, le tipologie e i semplici motivi per bere sake.
Riso, acqua, spore Koji e lievito Kobo.
Questi gli ingredienti per ottenere il sake dopo un processo di doppia-fermentazione.
Qualcuno, in occidente, lo chiama “vino di riso” e i giapponesi se la ridono. Non è vino di riso ne liquore ne distillato: è sake o meglio Nihon-shu perché in Giappone dire sake significa “bevanda alcolica”.
Occasione per conoscere un po’ il Sake è stata la MasterClass al Vinexpo di Bordeaux: Koji, le secret des boissons japonaise. Cosa è il Koji?
È un fungo, un microrganismo, una muffa che, insieme ad un lievito detto Kobo, permette la doppia fermentazione per arrivare al sake sviluppando un tenore alcolico che va dai 13 ai 18 gradi.
Sembrerebbe tutto facile e semplice ma non è così.
Esiste una vastissima gamma di sake vuoi per le qualità di riso adoperato, i metodi di raffinazione, le acque usate (non sono tutte uguali) e non ultimo le manualità dell’uomo ancora oggi indispensabili per ottenere eccellente qualità.
STORIA
Un po’ come il vino. Si parla di 12.000 anni a.C. Se i primi “scrittori di vino” furono i Sumeri 4.000 anni a,C. per il Sake troviamo il primo documento scritto nel 300 a.C.: il Gishiwajiden.
Si dice, si mormora che il primo fermentato di riso sia stato prodotto in Cina. Non ditelo ai giapponesi, potrebbe scoppiare una terza guerra mondiale.
“Il Sake è giapponese, punto e basta”. Questo quanto esclamato dal Prof di Tokio che ha diretto la masterclass, un po’ stizzito alla domanda del sempre onnipresente informato sui fatti.
E giù numeri: 1.200 sakagura (aziende produttive) presenti in tutte le 47 prefetture (un mix di regioni/province)
RISO
La varietà utilizzata maggiormente è il sakamai che si coltiva in particolari aree del paese e richiede tecniche complesse. Negli ultimi tempi sono stati censiti ben 95 tipologie di riso sakamai.
il Koji |
ACQUA
Non tutte le acque sono uguali: minerali, meno minerali, calcaree, dure, di sorgente, di pozzo e via, via. Come nel vino i minerali influiscono sul sapore. L’acqua che riporta media durezza è l’ideale per la produzione.
KOJI-KIN, LA MUFFA
Il Koji converte l’amido del riso in zucchero e il lievito Kobo procede a trasformare lo zucchero in alcool. Doppia fermentazione o meglio “fermentazione multipla in parallelo”.
Non riporto tutti i processi per arrivare al prodotto finale perché tra slide a ripetizione, difficoltosa traduzione dall’inglese (il nippo-inglese è una lingua a parte), l’unico risultato è stato l’inizio di un fastidioso mal di testa. Meno male che un filmato semplice, descrittivo e ben fatto è venuto in mio soccorso con il gentile e sempre amabile, signorile commento in lingua francese di una hostess.
gli assaggi di sake e shochu |
PERCHÉ BERE SAKE NOI OCCIDENTALI?
“Perché è figo, va di moda”. E lo è ancora maggiormente se lo chiami Nihonshu.
E se uno vuol essere al top non deve utilizzare il bicchiere di vetro ma, alla maniera degli gli anziani giapponesi, una sorta di scatolina di cedro chiamata “masu”.
Al termine della masterclass si è parlato ed assaggiato anche alcuni distillati giapponesi:
Shochu prodotti sempre con il koji , Satsuma (con aggiunta di patate) e Barley, pur sempre novità.
contenitori interrati di baijiu |
Di palo in frasca.
Del vino cinese, della sua qualità, diffusione, dati di produzione ne ho parlato in un recente articolo le vin chinoise.
Non dei distillati cinesi che negli ultimi anni hanno fatto progressi giganteschi.
A livello di superalcolici i cinesi bevono da sempre il Baijiu, detto anche Shaojiu , che è un'acquavite.
Il nome baijiu letteralmente significa "alcol bianco".
Nello specifico si tratta di un distillato che In genere ha una gradazione alcolica tra il 40% e il 60%.
Il baijiu viene distillato principalmente dal sorgo, dal riso glutinoso, a volte da frumento, orzo comune, miglio e talvolta con la lacrime di Giobbe (pianta tipica asiatica).
le materie prime del Baijiu cinese |
Producendo quantità enormi di vino i viticoltori cinesi si sono posti il problema dello smaltimento delle vinacce. Da lì il passo è stato breve.
Il fiorire di distillerie per produrre grappe con gli occhi a mandorla, equivalenti di armagnac e cognac il passo è stato veramente breve.
La Jiangsu Yanghe Distillery (Sujiu Group) oggi rappresenta una delle realtà più rilevanti del mondo dei distillati cinesi.
Centro operativo a Nanjing (Nanchino), 179 filiali in tutta la Cina, 30.000 dipendenti, 10 chilometri quadrati di superficie totale nelle tre aree produttive: Yanghe, Shuanggou e Lai’an. Classificatasi al terzo posto in Brand Finance Spirits 50 nel 2017.
La corsa alla concorrenza sui distillati è cominciata (da tempo): a quando il lancio sul mercato cinese del “Chinois Cognac Grande Champagne”? Il vitigno Ugni Blanc già l’allevano da diversi anni.
Urano Cupisti
Strana storia o leggenda quella del Ciliegiolo. Dapprima considerato figlio per alcuni, genitore per altri del Sangiovese, dell’Aglianico ed addirittura del Montepulciano d’Abruzzo.
Una cosa è certa: le sue origini sono spagnole e i primi grappoli in Toscana, provincia di Lucca, furono osservati intorno alla seconda metà del 1800. La sua diffusione dovuta ai pellegrini della via Francigena ha segnato territori come la provincia della Spezia, la già ricordata provincia di Lucca (dove veniva indicato con il nome di Ciliegiolo di Spagna), l’intera Maremma per poi trovare aerali importanti nel ternano (Narni in particolare), fino ad arrivare nel Tavoliere delle Puglie.
Grappolo grosso e lungo dotato di una o due ali ha una buccia molto pruinosa di medio spessore e di colore blu intenso-violaceo.
“Dà origine a un vino dal colore intenso, morbido, con una acidità limitata. I profumi si rifanno alle ciliegie (da cui il nome)” (cit.Vitigni d’Italia, Slow Food Editore).
“Di solito è un vino da consumo immediato, spesso utilizzato come vino da taglio”. Citazione trovata e ripetuta dai soliti “soloni” ben informatii.
Tuttavia esistono versioni in purezza di notevole spessore qualitativo.
È quanto ho potuto appurare e assaggiare nella due giorni trascorsi a Narni (Terni) durante la manifestazione dedicata a questo vitigno: Ciliegiolo d’Italia, giunta alla sua quinta edizione.
Vini provenienti da quattro regioni (2 dalla Liguria, 24 dalla Toscana, 2 dal Lazio e 19 dall’Umbria per un totale di 46 campioni) a confrontarsi tra loro con ben 5 vendemmie diverse. La 2018, la più giovane, la 2014 la meno giovane.
Se la coltivazione più estesa la troviamo in Toscana, un’attenzione particolare è data dai viticoltori della zona di Narni tanto da arrivare ad ottenere la Doc Ciliegiolo di Narni.
Qualcuno lo ha definito “camaleontico” per la diversità di espressione a seconda delle zone di produzione nello stesso territorio comunale. Non sono d’accordo perché camaleontico significa cambiare totalmente espressione di base. Direi molto in sinergia con terreni e microclimi diversi tra loro. E il Ciliegiolo mantiene fede alle sue caratteristiche portanti.
I vini in concorso |
Durante gli assaggi è scaturito che la propria qualità espressiva sembrerebbe esaurirsi al quarto anno di affinamento in bottiglia. I successivi assaggi effettuati nelle varie aziende che ci hanno ospitato nella due giorni “narnense”, hanno portato a dilatare i tempi. Vuoi per permanenze in legno, spesso piccolo (barriques), vuoi per attenzioni maggiori in vigna e nelle prime fasi delle fermentazioni. Ciliegioli di maggiore struttura e complessità per una maggiore longevità. E certi assaggi aziendali l’hanno dimostrato.
Questi i miei “dieci ciliegioli” usciti dai 46 presentati. (non in ordine di preferenza ma di annata)
- Leonardo Bussoletti 2018 Narni Umbria
- Sandonna 2018 Giove Umbria
- Tenuta Fabbrucciano 2018 Narni Umbria
- Vallantica 2018 SanGemini Umbria
- Collecapretta 2018 Spoleto Umbria
- Tenuta Cavalier Mazzocchi 2018 Narni Umbria
- Fattoria Mantellassi 2018 Magliano in Toscana
- Montauto 2017 Manciano Toscana
- Sassotondo 2017 Sovana Toscana
presenze marine nel terreno |
- La Palazzola 2016 Stroncone Umbria
Uno dei tanti |
A seguire i quattro vecchi che hanno nobilitato la rassegna:
- Valdonica 2015 Roccastrada Toscana
- La Selva 2015 Magliano in Toscana
- Podere del Visciolo Piancornello 2015 Montalcino Toscana
- Tenuta Cavalier Mazzocchi 2015 Narni Umbria
La richiesta del mercato per un vino dall’immediatezza e facile beva sembrerebbe cambiare verso dagli assaggi giovani ma dal lungo avvenire.
La quinta edizione di “Ciliegiolo d’Italia” ha (per alcuni timidamente) mostrato questo nuovo corso che, a mio giudizio, porterà questo vitigno ad essere sempre più apprezzato come “produttore” di vini eccellenti. Chapeau!
vigneti nello Ningxia |
Perché il titolo in francese? Semplicemente perché è la Francia la nazione di riferimento per i vignaioli cinesi. Sulle etichette primeggiano foto di Chateau alla francese, gli studi in agraria e enologia, ancor prima che nelle loro Università, portati avanti con mirabolante e incredibile successo a Bordeaux, Montpellier, Lyon, i “legni” principalmente importati dal Massif Central francese (anche se adesso utilizzano prodotti provenienti da aree montane vicino al confine con Mongolia e Corea del Nord), beton vetrificati, presse e vasche inox e via, via, via.
Se in un primo tempo (anni ’70, ’80) il Partito Comunista Cinese iniziò a spalancare le porte agli occidentali, oggi, divenuta potenza mondiale nella quantità di vino prodotto (seconda posizione dietro l’Italia), la trasformazione pare sempre di più importante e i vini cinesi, negli ultimi tempi, sono riusciti a collocarsi nella sfera dei pregiati.
MasterClass |
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel settembre 2002 quando, trovandomi a Losanna per problemi familiari, partecipai alla presentazione di alcuni vini cinesi da monovitigni. Rimasi allora incredulo e, da quel giorno, l’attenzione ai vini con gli occhi a mandorla fu sempre seguita dal sottoscritto con attente riflessioni se pur prudenti.
E la frequenza in continuità delle biennali di Vinexpo Bordeaux mi ha permesso di seguire l’evoluzione del “fenomeno cinese” toccando con mano questa realtà, conoscendo i modi di vinificare, le scelte fatte nel decidere in quali aree produrre e allevare le viti e assaggiare le linee di produzione partecipando ad incontri, degustazioni, masterclass.
Una cara amica un giorno, nel pour parler sul fenomeno cinese, uscì con questa riflessione: ”Il gap che loro non potranno mai colmare è di natura storica”.
Riformulai la domanda ad un funzionario cinese durante una conferenza stampa al Vinexpo del 2015. Con molta calma sorretta dall’immancabile ed educato sorriso, dopo alcuni attimi di “silenzio meditativo”, la risposta fu: “Ne siamo coscienti. Infatti siamo partiti dove gli europei sono arrivati”. Questi la sanno lunga.
Marselan |
I piani quinquennali.
Non solo riso. Il Partito Comunista Cinese è da molti anni convinto che la parte rurale del paese deve trovare un tipo di coltivazione diversa. “E senza tante storie e lungaggini burocratiche” ha effettuato massicci investimenti in certe aree ritenute vocate per rispondere al sempre più bisogno di vino, dare la possibilità di crescere a popolazioni ancora allo stato feudale, a creare un “movimento del vino” (simile alle nostre Strade del Vino), con tanto di accoglienza e eccellenti destinazioni turistiche.
Se pur il consumo di vino sia sempre un bene di nicchia destinato a circa il 12% della popolazione vi invito a fare due conti e vedere di quali numeri stiamo parlando. Nel 2017 la popolazione ufficiale ammontava a 1.386.000.000 di persone. Il 12% si attesterebbe intorno a 115.000.000 di consumatori .
Le regioni vinicole
Localizzate principalmente in Shandong, Hebei, Jilin, Tianjin, Xingiang, Ningxia, Pechino e Gansu. L’area di maggiore produzione è quella della penisola di Jiaodong nello Shandong che da sola rappresenta circa la metà di produzione vinicola nazionale. Vi sono attive più di 200 aziende con estensioni pro capite di 1.000/ 1.500 ettari vitati con produzioni di centinaia di milioni di bottiglie (numeri spaventosi ). L’estensione vitata nazionale raggiunge 3,8 milioni di ettari!
Il fenomeno Ningxia
Ormai è giustamente ricordata come la regione dell’eccellenza del vino cinese. Posta sotto la catena montuosa Helan, una
Chateau cinese |
volta importante tappa lungo la Via della Seta. Nella capitale Yinchuan ha sede una delle più famose Università del Vino: Whine School Ningxia University. È anche la regione delle “contraddizioni” legate alle religioni praticate. Tradizionalmente il Ningxia, con la presenza dell’etnia Hui è a maggioranza musulmana. Ma come possiamo registrare il vino unisce i popoli (sic!).
Situata tra il 30esimo e il 50esimo parallelo risponde in pieno ai canoni “scolastici” che da tempo distinguono la localizzazione delle vigne. Scelta come area da investire dalle multinazionali Pernod Ricard e Moët Hennessy. Quest’ultima con la sua unità di produzione di spumanti Chandon China (vi ricordate gli spumanti Chandon, quelli della formula 1? Autenticamente cinesi).
Attualmente le uve più diffuse nella regione sono Cabernet Sauvignon (la più coltivata), Merlot, Pinot Noir, Syrah, Marselan, Chardonnay , Riesling italico, Gamay e Semillon. Ma non solo.
Udite, udite (mi rivolgo agli amici toscani). Nella regione del Ningxia si sperimentano nuovi vitigni tra cui il Sangiovese. Secondo il Prof. Demei Li, considerato un guru in materia vitivinicola, il sangiovese è un vitigno interessante che qui solitamente raggiunge la maturazione entro la prima settimana di ottobre come in gran parte della toscana. “È una varietà a maturazione tardiva che da vini dal colore rubino, con aroma fruttati e speziati”. Aspettiamoci Chateau Chianti Winery.
Recentemente al Vinexpo Bordeaux ’19 sono stato invitato, come stampa estera, ad una MasterClass “Le vignoble Chinois: Un avenir prometteur” organizzato da Clovitis, un gruppo di enologi consulenti internazionali . Partner per l’occasione Monsieur CHEN Deqi, uno dei più importanti e conosciuti viticoltori dello Ningxia. La sua proprietà, HO-LAN Soul , estesa su 7.000 ettari di vigneti destinati da alcuni anni ad una produzione Biologica. Altezze dei vigneti mediamente sui 2.000 mt. Gli Assaggi:
Helan Goddess 2018. Riesling Italico. Giovane, ancora inespresse le note minerali tipiche dell’italico. Fruttato, albicocche e mele . Al palato bocca dolce e buona sapidità. Ottimo, voto 87/100
Mr Deq CHEN |
Helan Goddes 2018. Rosé da Cabernet Franc. Cabernet Franc all’80% e Cabernet Sauvignon al 20%. Colore carico, Lamponi, ciliegie e fragole. Al palato per niente aggressivo come il colore lasciava intendere. Un bel rosé, morbido, leggero e fresco. Ottimo, voto 88/100
Cabernet Sauvignon 2014. Titolo sostenuto: 14,5%. Manto rubino cupo. Naso interessante con un finale bellissimo speziato. Il tannino ben estratto. Ottimo, voto 89/100
Shiraz 2014 Gran vino questo Syrah, dai profumi aristocratici. Al palato l’incedere gustativo si è mostrato elegante trainato da un tannino setoso. Eccellente, voto 90/100
Marselan 2014 Sicuramente il migliore del trittico dei Rossi. Dato quotato anche da Decanter. Profilo olfattivo che porta all’eccellenza. Elegante al palato con struttura avvolgente che richiama uno “stile francese della droite”. Lunga persistenza. Eccellente, voto 92/100
Una MasterClass che ha ricordato la ormai “prepotente ascesa nei tempi” della viticoltura cinese. Sottovalutarla e non seguirla significa essere “fuori“ dalla realtà vinicola mondiale. E se non vi fidate di quanto raccontato vi riporto i consigli di Decanter ai quali aggiungo Ho Lan Soul Winery
CHATEAU HEDONG Chardonnay, annata 2011
CHATEAU YUANGE Cabernet Sauvignon, annata 2012
CHATEAU YUNMO Greatwall Reserve Rose, annata 2013, Greatwall Reserve Merlot, annata 2012
CHÂTEAU NINGXIA SAINT LOUIS DING Farsight Cabernet Sauvignon, annata 2010
DYNASTY Muscat, annata 2011
GAOYUANYUAN Silver Heights The Summit, annata 2011
GREATWALL 5 Star Cabernet Sauvignon, annata 2005 Terroir Superior Selection Chardonnay, annata 2008
La barriccaia Chateau Ho Lan Soul |
Chateau Yunmo Reserve Chenin Blanc , annata 2012 Chateau Yunmo Reserve Italian Riesling, annata 2012
Chateau Yunmo Reserve Cabernet Franc, annata 2012
HELAN MOUNTAIN Special Reserve Chardonnay, annata 2011 Special Reserve Merlot, annata 2010
Special Reserve Cabernet Sauvignon, annata 2010
NINGXIA HELANSHAN MANOR WINE Chateau Hedong Cabernet Sauvignon, annata 2012
SKYLINE OF GOBI Cabernet Sauvignon Selection, annata 2012
YINCHUAN CHÂTEAU BACCHUS Château Bacchus, annata 2011
YUHUANG CHATEAU Cabernet Sauvignon, annata 2009
La domanda più ovvia che viene fatta al ritorno da una Manifestazione importante è questa: come è andata?
La risposta è nelle parole conclusive di Monsieur Rodolphe Lameyse, nuovo CEO arrivato 30 giorni prima dell’inaugurazione: "C’è bisogno, la necessità di un cambiamento radicale nella strategia per far rivivere Vinexpo Bordeaux e farla sopravvivere in armonia con il nascente Vinexpo Paris (nome ancora non definitivo). Dobbiamo fare affidamento sui nostri punti di forza per reinventarci. Il nuovo respiro passerà attraverso 3 assi chiave: business, contenuti ed esperienza. Nel 2021, per celebrare il 40 ° anniversario, Vinexpo Bordeaux si reinventerà in un nuovo modello, pur mantenendo la sua identità e i suoi valori”.
Nell’edizione appena conclusasi abbiamo respirato decisamente un’aria diversa, come se volutamente l’evento fosse stato irrorato, imperlato di scaglie di naftalina in attesa degli eventi. E per eventi futuri s’intendono quelli in programmazione a Parigi.
Intanto è arrivata la conferma dell’unione d’intenti tra Wine Paris e Vinexpo Paris. La prima reduce dalla sua prima edizione (con lusinghiero successo) nata dalla fusione di Vinisud e Vinovision, la seconda con l’annuncio di un grande Vinexpo da effettuare al Paris Expo Porte de Versailles nel mese di gennaio 2020. Dopo la dichiarata e conclamata unione d’intenti (proprio nei giorni di Bordeaux) ecco la notizia ufficiale: la Manifestazione di Parigi (ancora senza un vero nome che non tarderà ad arrivare con tanto di nuovo logo) si svolgerà dal 10 al 12 febbraio 2020.
Se pur vissuto in una forma di stato d’attesa, il Vinexpo di Bordeaux ha mantenuto le promesse della vigilia: 12 conferenze tematiche, 24 degustazioni
WOW |
mirate, varie masterclass organizzate dalle aziende direttamente nei propri stand, vini da tutto il mondo e largo spazio ai superalcolici sia francesi (Armagnac, Cognac e Calvados), sia cinesi, vietnamiti, russi, della Martinica e giapponesi. Quest’ultimi presenti anche con una folta rappresentanza di aziende produttrici di Sake. E partecipare ad una degustazione tipica di questo fermentato è stata un’esperienza unica per un inesperto quale mi ritengo.
Ancora una volta il Vinexpo di Bordeaux ha manifestato il suo DNA assolutamente internazionale. Grande spazio naturalmente alle regioni francesi;
Sake giapponese |
dalla Borgogna all’Alsazia attraverso la Loira, la Languedoc-Roussillon ed infine la gauche e la droite del Bordeaux.
Ultimo ma non ultimo “WOW”. Un mondo a se.
Tantissimi visitatori arrivati per incontrare i 150 produttori di vini biologici e biodinamici provenienti da ben 10 paesi diversi. Dopo il successo dell’edizione ultima (2017), WOW (World of Organic Wines) è tornato nuovamente a Bordeaux per riunire un’offerta internazionale di vini di questo settore. Evento nell’Evento, seducente attrattiva sempre più richiesta.
E domani?
Intanto nel 2021, per celebrare il suo 40 ° anniversario, Vinexpo Bordeaux si reinventa in un nuovo modello (tra poco sarà svelato), pur mantenendo la sua identità e i suoi valori.
Quindi appuntamento al 2021 dopo aver conosciuto il neonato Vinexpo Paris o come cavolo si chiamerà.
Sake cinese |
Urano Cupisti
KOROLEVA significa Regina in Russo. A Roma è stata presentata la nuova marca di caviale proveniente dall'allevamento sul mare Baltico che pretende di diventare la "regina" delle tavole italiane. Il packaging accattivante oro-bordò evoca i tempi dello zar, la confezione è dotata anche di un cucchiaino di madreperla in un sacchetto di velluto rosso per la degustazione. Forse il nome più adatto sarebbe Zarina...
Koroleva Caviar è un’azienda leader nella produzione del caviale operativa da molti anni in Russia ed è una realtà ben consolidata in diversi paesi del mondo (Emirati Arabi, Indonesia, Cina, Nord Europa, Gran Bretagna).
Collabora con Hotel di lusso in Asia e compagnie aeree private e può vantare partner di grande rilievo. Questo grazie alla qualità dell’allevamento biologico situato in un’area decontaminata nel Mar
Baltico. Come dichiarano i rappresentanti dell'azienda: è l’unica al mondo a non contenere conservanti. I pesci si nutrono esclusivamente di alghe e sali minerali, ed ha superato con successo i test microbiologici chimici sanitari di Gran Bretagna e Emirati Arabi che sono i più complessi e rigidi del mondo.
La presentazione ha avuto luogo al Giulia Restaurant che, sotto la guida in Cucina dello Chef Pierluigi Gallo, è un punto di riferimento gourmet a Roma.
In questa particolare occasione il giovane Chef ha preparato per gli ospiti con un menù a base di caviale creato ad hoc. Anche il dessert è stato coronato da questa pregiata leccornia.
La serata ha registrato il pienone, merito ovviamente del talento del giovane Chef, ma anche del crescente interesse degli italiani verso gli alimenti fin'ora considerati esotici. Oramai il caviale comincia a far parte della quotidianità della cucina moderna italiana.