L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Food & Wine (255)

 
 
 
 
Urano Cupisti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Partendo dal Mugello e dai suoi produttori con lo sguardo che va ben oltre questi confini. “Montagna minore per molti ma in realtà terra “preziosa” da riscoprire, riconquistare, da vivere pienamente”.

Proprio da quest’ultimo pensiero la mia riflessione.

Terra preziosa da riscoprire: Il Mugello, identificabile sostanzialmente con l'antico lago di origine marina che era sbarrato verso valle, attraversato in buona parte dal fiume Sieve, terra preziosa per la sua Storia che si perde nella notte dei tempi. Preziosa anche per le sue tradizioni legate al mondo contadino oggi da riscoprire;

Terra da riconquistare: valorizzare, sviluppare viste le sue potenzialità;

Terra da vivere pienamente: dal  Passo della Futa al Passo del Giogo di Scarperia al Passo della Colla di Casaglia al Passo del Muraglione.

“L’idea di ‘Appenninia Wine Festival’ – ha spiegato il Sindaco di Vicchio, Filippo Carlà Campa – è nata per celebrare quella che per molti è una montagna minore, ma che in realtà è una terra preziosa da riscoprire, riconquistare e vivere pienamente. Un luogo di radici lontane, di identità perdute, di partenze e di abbandoni, ma al tempo stesso una montagna dove per secoli si sono conservati il sapere, la cultura, la spiritualità. Da qualche tempo, per fortuna e grazie all’impegno di molte persone che credono in questo territorio così particolare, l’Appennino è anche terra di ritorni, di nuovi sogni, di vigne e vini. Un nuovo Appennino sta nascendo e noi vogliamo dargli voce”.

“Appenninia nasce per essere un meta-brand ovvero un progettare luoghi, territori e contesti, ha spiegato Gianluca Lisi, City Branding Consultant del Comune di Vicchio. Una realtà identitaria che nasce da un luogo specifico, in questo caso Vicchio, per valorizzare un territorio più ampio, l’Appennino, al quale Vicchio stesso appartiene. Vogliamo costruire qualcosa che sia utile per tutte le realtà appenniniche: perché soltanto uniti alle altre realtà possiamo pienamente valorizzare la nostra.”

                           Vicchio

In questi due interventi la sintesi di una iniziativa alla sua prima edizione che è voluta partire dai nuovi sogni, dalle vigne e dai vini.

Ed ecco quella che per il sottoscritto e non solo, è un’idea intelligente. Un’occasione per far conoscere, apprezzare la coltivazione delle vigne con l’introduzione di nuovi vitigni. Il tutto finalizzato ad una produzione di vini dai profumi intensi, di notevole struttura.

Appenninia: originalità, proposta, economia dei territori montani. Chapeau!

 

 

Un borgo abbandonato è tornato in vita grazie alla tenacia e alla passione di due capaci architetti.  

 

In Italia i borghi abbandonati sono oltre 6.000 e di questi pochissimi potranno essere salvati. Il Castello di Postignano è un forte esempio di resilienza e di come un’opera privata sia riuscita a realizzare un restauro impegnativo che si pensava fosse impossibile. Si trova in Umbria, abbarbicato sulle pendici del monte Puriggia e domina la valle del Vigi, vicino a Sellano.

La Storia

Il borgo fu fondato intorno all’anno mille ed ebbe il suo massimo splendore intorno al 1500 grazie al commercio della canapa e del ferro. Nel secolo scorso, ci fu una forte migrazione verso gli Stati Uniti fino al dopoguerra, in cui erano rimaste solamente pochissime famiglie. Nel 1966, il sindaco ne ordinò lo sgombero a causa di un cedimento di parte della collina e quindi fu definitivamente abbandonato.

Tra il 1992 -94, l’intero borgo venne acquistato dagli architetti Gennaro Matacena e Matteo Scaramella, che attraverso un’impegnativa ricerca dei rispettivi proprietari, stipularono circa 250 rogiti. Il borgo era in stato di abbandono ma gli architetti riuscirono a cogliere la magia di quel posto e si innamorarono del progetto di recupero del borgo.

Da un punto di vista architettonico, il borgo è un esempio di come può essere sfruttato il suolo in modo sostenibile e, in termini di impatto visivo, è perfettamente incastonato nel contesto naturalistico. Nato come “castrum” ovvero di postazione di controllo a cui è dovuto il nome di Castello, è composto da abitazioni costruite intorno alla torre di avvistamento e aveva un valore strategico, trovandosi al crocevia tra Spoleto, Norcia, Foligno e Assisi.

Gli spazi sono sfruttati al massimo e le case condividono le mura perimetrali, proprio come nei dipinti di Giotto.

Il progetto

Il borgo è un esempio di “Architettura senza architetti” - come venne definita dallo storico-architetto  Bernard Rudofsky - costruito dagli abitanti in maniera spontanea, con materiali e tecniche tradizionali. Il celebre architetto e fotografo Norman Carver pubblicò un libro sulle architetture spontanee dell’arco collinare italiano “Italian Hilltowns”, e definì il Castello di Postignano l’archetipo dei borghi italiani tanto da utilizzare la sua foto per la copertina del libro.

Il 14 ottobre 1997, appena vennero iniziati i lavori di restauro, ci fu un terremoto terribile che danneggiò pesantemente la parte centrale del borgo. La scossa sismica fece crollare un edificio nella parte centrale che, come un domino, fece cadere i fabbricati limitrofi. Questo terremoto portò alla luce un prezioso affresco del Quattrocento dietro all’altare della Chiesta della S.S. Annunziata che fino a quel momento era stato celato.

Dal terremoto alla ripresa dei lavori passarono 10 anni, sia per motivi burocratici sia perché ci si rese conto che occorreva reperire ingenti risorse economiche per riprogettare il restauro in base alle nuove esigenze antisismiche.

Per poter rendere le abitazioni sicure, è stato necessario un notevole lavoro di consolidamento strutturale con il rinforzo delle murature e delle fondamenta. Inoltre, si è provveduto ad impermeabilizzare ogni strada per evitare infiltrazioni d’acqua piovana. È stato ricostruito l’intero impianto fognario, ma anche quello elettrico, gli acquedotti ed è stata installata la fibra ottica.

In tutto il progetto c’è grande rigore filologico, per esempio, le pietre usate per la costruzione sono le stesse che erano crollate e sono state riutilizzate. Prima di iniziare i lavori sono state fotografate tutte le abitazioni e si è cercato di usare anche la memoria storica degli abitanti per poter ricostruire la vita in maniera autentica. Sono stati intervistati e si è cercato di recuperare lo spirito e l’essenza del modo di vivere nel borgo.

Si è cercato di recuperare molti elementi di dettaglio come, per esempio, lo zoccolino alto dipinto con colori pastello presente all’interno degli appartamenti.  Proprio perché erano case costruite singolarmente e in tempi diversi, le strutture sono irregolari e diverse una dalle altre. La difformità è stata mantenuta sia nelle colorazioni che nelle forme delle porte e degli infissi.

La nuova vita

Attualmente il borgo è completamente ristrutturato e, camminando tra i vicoli del borgo, si viene pervasi da un senso di serenità e di stupore: ogni dettaglio è curato e ogni pietra è tornata al suo posto.  Parte del borgo è destinato all’albergo diffuso mentre altre abitazioni ristrutturate sono state messe in vendita.

Gli appartamenti sono stati arredati con cura, creando degli ambienti accoglienti e autentici dove libri, quadri, tessuti artigianali danno un calore particolare.

Oltre ai circa 60 appartamenti ristrutturati, il borgo ha diversi luoghi per mostre e delle aree museo, una sala biliardo ed alcune botteghe artigianali. Ci sono spazi comuni per eventi e per concerti oltre ad un roseto da dove poter ammirare il paesaggio della valle.

In un relais deluxe, non poteva mancare la piscina con la spa e bagno turco, jacuzzi esterna, sala massaggi per potersi rilassare e usufruire di trattamenti benefici.

 

La Cucina

 

La gestione della ristorazione del borgo è curata dallo chef Vincenzo Guarino di Vico Equense che definisce la sua cucina “creativa mediterranea”. Le sue preparazioni sono sempre equilibrate, esteticamente accattivanti ed esaltano i prodotti locali. La sua esperienza lo ha portato a specializzarsi in cucina da alta hotellerie e ha acquisito abilità che gli consentono di gestire la proposta gastronomica dell’intero borgo. Tutto questo impegno richiede una rapidità di esecuzione, profonda conoscenza delle materie prime, capacità di adattamento e di relazionarsi con brigate piccole e grandi, con clienti dai gusti più disparati.

 

All’interno del borgo, si possono scegliere diverse location che garantiscono un ventaglio di proposte variegato. La tradizione e i prodotti umbri sono esaltati nel ristorante “La Casa Rosa”, la trattoria “La Terrazza” è un bistrot aperto dalla colazione alla cena, nella bottega- wine bar “Vino & Olio” si possono degustare ed acquistare prodotti locali.

Il fiore all’occhiello dello chef è la Tavola Rossa, un luogo speciale dove poter godere di vere esperienze gastronomiche. Di giorno, lo chef tiene delle lezioni di cucina per gli ospiti del borgo, mentre a cena la Tavola Rossa ospita non più di 12 persone che potranno cenare con lo chef, che spiega e termina i piatti a tavola creando un’atmosfera indimenticabile. La formula è innovativa e di grande appeal, si cena in una bellissima sala, con un unico tavolo incastonato tra mura antiche che flirtano con il meglio che la tecnologia possa offrire.

 

Il Castello di Postignano è un borgo vivo, inserito dal Ministero dei Beni Culturali nell’elenco dei monumenti di interesse storico-artistico e che in una nota ufficiale dell’UNESCO viene descritto il progetto come qualcosa che “interpreta con efficacia i valori dell’UNESCO afferenti alla salvaguardia del panorama e dell’ambiente”.

 

 

 

 

  

                     Analisi sensoriali

E pensare che l’ho vista nascere. Era l’anno 2011, Vinexpo di Bordeaux. Presentazione del plastico, dove doveva nascere e i tempi d’esecuzione.

Esproprio dei terreni, progettazione finale, prima pietra, costruzione ed infine l’inaugurazione nel 2016 (Cinque anni, tempi rispettati). IO C’ERO!!!

Nel 2022 ha accolto 391.000 visitatori di 93 nazionalità diverse. Il 2022 l’anno del ritorno post-Covid.

La Cité du Vin conferma il suo fascino e rimane una delle attrazioni imperdibili.

Dall’apertura ad oggi i visitatori hanno superato la cifra di 2.300.000 Chapeau!.

Ricordo che qualche “solone italiano” aveva sentenziato tre anni di vita.

Luogo dove esperienze commerciali e culturali sono combinate con laboratori di degustazione, mostre permanenti, auditorium ecc…

Il team della Fondazione per la Cultura e la Civiltà del Vino, Ente pubblico demandato alla gestione complessiva, pronto come sempre ad accogliere i visitatori ed indirizzarli alle sale da loro scelte.

E la Cité du Vin ha raggiunto, nel 2022, un nuovo traguardo ottenendo il Marchio  “Intrattenimento sostenibile: emozione responsabile”. Riconosciuto l’impegno atto ad un miglioramento continuo della Responsabilità  Sociale d’Impresa in riferimento alle strutture ricreative e culturali.

                Il Decanter

Marchio assegnato al livello Experience, il più alto livello dello standard definito dal Syndacat National des Expaces de Loisir, d’Attractions et Culturels (SNELAC).

Chi finanzia in concreto La Cité du Vin? 

La regione Nouvelle-Aquitaine, Bordeaux Métropole, la Fondazione e tanti “mecenati” e senza le “concrete” donazioni di quest’ultimi, forse il Decanter (così chiamata l’avvenieristica Cité du Vin, risulterebbe ridimenzionata ad attrazione locale.  

Esposizione del solo vino francese?

                      Una delle sale interne

La Cité du Vin onora i vigneti di tutto il mondo attraverso le loro dimensioni culturali, di civiltà, di patrimonio e universali.

L’invito alla visita è rivolto a tutti: principianti, amanti del vino, professionisti, famiglie, giovani, aziende; a chi vuol intraprendere un viaggio spettacolare intorno al mondo vinicolo, attraverso i secoli, in tutte le culture. Chapeau!

Cosa ci riserverà nei prossimi anni?

Sono a conoscenza di un progetto che, se riusciranno ad attuare, sconvolgerà tutto il sistema delle visite nell’ampio territorio del Bordeaux.

Voli low cost diretti su Bordeaux, da varie città italiane, ci sono. Organizzare dei Week-End è possibile!

 

 

 

    Tenuta Adamo - Lucca

Nel mio peregrinare per vigne e parlando con anziani viticoltori delle Colline Lucchesi mi è capitato spesso di chiacchierare intorno ad un vitigno “strano”, poco conosciuto e dall’origine ancora non ben chiara: il Moscato d’Amburgo.

Qualche riferimento con la città tedesca certamente ce l’ha. Pare che, dall’incrocio del Moscato d’Alessandria con la Schiava grossa, avvenuta nei dintorni di Amburgo sia da cercare la primogenitura. Chiamato anche Muskat Trollinger e/o Schwarzer Muskat (Moscato Nero).

Come il Moscato d’Alessandria sia finito così a Nord, oltre il 50^ parallelo, resta un mistero.

Tutti sappiamo che il Moscato ha origini che risalgono al bacino medio-orientale del Mediterraneo e furono i greci a portarlo in Italia.

Mi vien da pensare: “e se fossero stati i Romani nel periodo di massima espansione dell’Impero ad averlo portato fin nelle terre teutoniche sotto forma di semi e/o tralci?”

Una cosa è certa: dal matrimonio tra il bianco Moscato d’Alessandria, l’antico vino greco “muscum” e la rossa Schiava di origine austro-tedesca ha avuto origine il Moscato d’Amburgo. Magari in serra senza sfidare le basse temperature invernali!

La Storia che viene raccontata con insistenza lo rende originario dell’Inghilterra (dove è chiamato Black of Alessandria), diffusosi poi in Francia e più tardi nel resto d’Europa, in particolare nella zona nord della Grecia (Tessaglia) dove lo troviamo anche “fortificato”, dopo l’appassimento. Lo troviamo anche in California come vitigno pregiato.

Non solo: gli inglesi rivendicano la primogenitura e non fanno alcun riferimento alla città di Amburgo. Solo secoli dopo, in Francia e successivamente in Italia, questo vitigno è stato identificato con il nome originario: Moscato d’Amburgo.

Come sia finito nelle vigne delle Colline Lucchesi è tutt’ora un enigma.

   grappolo

Spesso è stato collegato ai pellegrini che percorrevano la via Francigena ma le date non coincidono. Si è vociferato che qualche produttore l’abbia scambiato per altro vitigno e piantato per caso.

   Barbatella di Moscato d'Amburgo

Una cosa è certa: nei vigneti lucchesi c’è la sua presenza a volte significativa che, tutto sommato, non dispiace. Perché?

  • Acini grossi dalla buccia di colore piuttosto scarico;
  • Grappolo spargolo, grosso, piramidale;
  • Vinificato in purezza e usato poi negli assemblaggi, possiede caratteristiche organolettiche ben precise: fruttato, aromatico, per niente amaro, tannico;
  • Resistente agli attacchi della peronospora in misura superiore alle altre specie.

Germogliamento: II° decade di aprile, Fioritura: I° decade di giugno, Maturazione: I° decade di settembre.

Dimenticavo: ottimo come uva da tavola. Chapeau!

 

 

 

 

 Albergo diffuso  - Sotto le Stelle - Picinisco
foto di Roberto Barile

C’era una volta, in un borgo della Ciociaria, un manipolo di giovani volenterosi e pieni di sogni che, all’inizio del secolo scorso, partirono per la Scozia in cerca di fortuna.

La storia di Cesidio di Ciacca potrebbe iniziare proprio così. Nato nel 1954 a Cockenzie, villaggio di pescatori fuori Edimburgo, da una famiglia originaria di Picinisco (FR), nella Valle di Comino, terra alla quale è sempre rimasto legato dai ricordi di un’infanzia passata con in nonni tra le dolci campagne natie.

Dopo una brillante carriera come avvocato in Gran Bretagna, Cesidio, con la moglie Selina e i figli Sofia e Giovanni, si è trasferito dove lo ha portato il cuore, a Picinisco, con la voglia di far rinascere questo borgo ricco di valori e di storia. Non sono gli unici ad aver ascoltato il

   Cesidio Di Ciacca - Foto di Roberto Barile

richiamo di questi territori: la sera in piazza, si sente parlare inglese come se fosse la lingua locale e non è raro trovare chi suona e balla musica scozzese nelle fresche serate estive. Una curiosità, a Picinisco è vissuto David Herbert Lawrence, autore di L’amante di Lady Chatterley; Casa Lawrence è una Dimora Storica del Lazio, trasformata in agriturismo da Loreto Pacitti, abile casaro, che ha adibito parte della villa a ristorante, una zona a museo e un’altra dedicata all’accoglienza.

Piano, piano Cesidio ha ricostruito tutta la storia delle sue origini, ha ritrovato e ristrutturato il borgo della sua famiglia, chiamato I Ciacca, dove vivevano circa 60 persone. Secondo i registri dei battesimi della Chiesa di San Lorenzo, i Ciacca hanno vissuto lì circa dal 1500 per poi abbandonarlo nel secolo scorso.

La passione per la storia di Cesidio lo ha portato a ricostruire anche la storia del Maturano, vitigno locale da sempre presente sulle tavole dei contadini. Gli studi Arsial – Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio, che ha condotto ricerche approfondite, hanno stabilito che il Maturano è un vitigno unico a livello genetico, non riconducibile ad alcuno conosciuto.

Il progetto di Cesidio diventa così ancora più ambizioso. Con pazienza e indiscutibile tenacia, acquista da ben 140 proprietari diversi circa 220 piccolissimi appezzamenti di terreno, appartenenti ad oltre 11 famiglie, come i suoi nonni emigrate in tutto il mondo. Il Borgo dei Ciacca torna a prendere vita e nasce l’azienda biologica che attualmente produce vino, miele e olio d’oliva.

I primi reimpianti sono stati eseguiti nel 2013 con barbatelle recuperate da contadini che da sempre le consideravano Maturano autentico. Dai primi reimpianti alla prima vendemmia nel 2017, tutto è stato sperimentazione e constatazione empirica: dal potare, al diradare e raccogliere l'antica varietà non più coltivata nei tempi moderni. Un vitigno storico ma nuovo, come ama chiamarlo Cesidio. Test eseguiti in laboratorio, hanno evidenziato la presenza di due uve morfologicamente differenti seppure con lo stesso DNA e quindi sono state catalogate come maschio e femmina dello stesso vitigno.

 Anticamente, il Maturano veniva allevato alla maniera etrusca in viti maritate (la vite è “sposata” all'albero a cui s'avvinghia) alcuni esempi si trovano ancora nel Trebbiano Spoletino in Umbria, nell’Asprinio in Campania e in altre piccole realtà in varie regioni.  Non è da escludere che nei prossimi anni, Cesidio riservi una parte dell’azienda ad un frutteto con viti maritate proprio come si facevano i contadini di un tempo, per utilizzare il terreno sottostante per la coltivazione o il pascolo, ottimizzando gli spazi.

Cesidio porta avanti il suo progetto insieme all’enologo Alberto Antonini, conosciuto ad Edimburgo. Attualmente l’azienda produce una linea di vini rossi “Valle Oscura” con le uve conferite da viticoltori locali che hanno appezzamenti nell’omonima valle.  In questa linea troviamo il Cabernet d’Atina DOC.

In cantina troviamo delle splendide tulipe di cemento non vetrificato. L’uso del legno è limitato ai rossi e al vitigno Giulia con il quale si stanno portando avanti diverse sperimentazioni. Il Maturano viene declinato in tre versioni: Sotto le Stelle, Nostalgia e l’ultimo arrivato macerato Filosofia. Essenza è il passito con grande piacevolezza e aromaticità senza troppa dolcezza. Dagli assaggi in cantina, il Maturano ha dimostrato grandi doti di longevità ed espressioni molto diverse regalando sempre sorsi interessanti e di struttura. Nelle degustazioni si è distinta l’annata 2017 in tutte le etichette.

Nel Borgo I Ciacca sono in fermento diversi progetti come la scuola di cucina di Nonna Selina, i liquori preparati con la loro frutta, saponi e creme derivati dall’olio e dalle vinacce del vino e molto altro ancora. Tutta l’azienda punta alla sostenibilità e ad essere ecofriendly tanto da prevedere anche delle stazioni di ricarica per auto elettriche. Inoltre, Giovanni Di Ciacca, il media star della famiglia, accoglie tutti virtualmente o di persona. I suoi doni speciali hanno fatto nascere il progetto “Orto”, un polo didattico con il quale si vogliono coinvolgere altri giovani disabili a lavorare e partecipare divertendosi nella realizzazione di un orto comune.

In paese, Cesidio e la sua famiglia hanno realizzato un albergo diffuso, Sotto le Stelle, un boutique hotel, curatissimo in ogni particolare e perfettamente incastonato nel contesto architettonico locale. Ogni suite è dotata di tutti i confort e dalle finestre si può godere di una vista mozzafiato sulla valle, come quadri che donano continua e mutevole bellezza.

Cesidio ha trasmesso la sua energia a molte persone del paese che si sono sentite coinvolte nel voler valorizzare le risorse locali. Ma non solo! Ben Hirst e sua moglie Gaynor Moynihan gestiscono Villa Inglese, un ristorante e un boutique B&B che celebra gli inimitabili prodotti della montagna appenninica. Qui si possono incontrare i produttori e assaporare i prodotti raccolti nella stessa giornata preparati dallo chef che si ispira alla tradizione appenninica con un vezzo britannico. Ben è in

Villa Inglese - Picinisco - foto di Roberto Barile

Italia da più di 25 anni e ha lavorato nelle cucine di alcuni dei più grandi chef europei, è un appassionato sostenitore del mangiare “dal muso alla coda” nel massimo rispetto dell’animale. Non ha radici a Picinisco ma qui pensa di aver trovato il posto ideale dove potersi esprimere al meglio.
Nella bella Ciociaria, tra le montagne di Valle di Comino, c’è una favola che sa di buono, ha il sapore delle cose antiche e la luce delle cose nuove. Un sogno che è partito dalla lontana Scozia e che si è concretizzato nel Borgo de I Ciacca, tra i tralci del Maturano.

 

 

 

 

 

   La Torre del Castello

“Venerdì 26 Maggio presso il Castello di Sonnino, via Volterrana Nord a Montespertoli i produttori di Castello di Sonnino e Fattoria La Leccia sono “felici” di invitarla alla scoperta dei Vin Santi di Montespertoli per partecipare ad una bellissima verticale”. Questo l’invito giuntomi qualche giorno prima. Ero già là!

Come farsi scappare un evento simile. Tutto faceva presupporre di trovarsi davanti a Vin Santi vecchia maniera. E così è stato.

      i cinque campioni

Il Castello di Sonnino, location quanto mai azzeccata. Palazzo storico del XVI secolo costruito intorno ad una  torre risalente al XIII secolo, medievale, a sua volta edificata sul vecchio tracciato della via volterrana etrusca. Oggi la proprietà è frutto dell’impegno dei discendenti del barone Alessandro e della baronessa Caterina de Renzis Sonnino, ricoprendo il ruolo di principale produttore del Chianti Montespertoli Docg.

Non sono state le sale sontuose ricche di cimeli ad ospitarci per l’evento atteso. Bensì la grande Vinsantaia posta all’ultimo piano, ben esposta ai venti chiantigiani che  perpetuano il rito della produzione del Buon Vin Santo.

Fattoria La Leccia, il luogo dove l’innovazione del pensiero agricolo si realizza attraverso l’artigianalità del lavoro quotidiano. Posta anch’essa nell’aerale del Montespertoli Docg. La famiglia Bagnoli ne è proprietaria dal lontano 1970. Ma è dalla vendemmia 2013 che la consapevolezza di una necessaria rigenerazione ha portato  Paola e Lorenzo a prenderne le redini ed impegnarsi con passione, misura ed orgoglio.

Leone (Castello di Sonnino) e Lorenzo (Fattoria La Leccia) in cattedra a spiegare, con aneddoti, ricordi, la Storia mista a leggenda del Vin Santo, le difficoltà a produrlo oggi come allora, la passione necessaria dati i risultati economici assolutamente negativi e le problematicità d’inserimento nel mercato soprattutto quello nazionale.

La fatica  a lottare contro ed aggredire lo stereotipo che vuole il Vin Santo solo come vino dolce da fine pasto accompagnando i cantucci di Prato e riuscire invece nell’intento di una educazione verso il consumatore,  elevando questa vera chicca enoica  al rango che si merita.

 i campioni scelti per gli assaggi.

   I colori

- 1999 Castello di Sonnino.  Trebbiano e Malvasia, caratelli di castagno. Dorato acceso con nuance ambra. Fichi disidratati, miele, mondorle, Al palato ricchissimo, sapido nel finale boisé. Quattro anni in caratello. Eccellente, voto 92/100;

   la provocazione

- 2005 La Leccia. Trebbiano e Malvasia. Tradizionale, 10 anni nei caratelli. Veste ambra scura di intensa luminosità. Naso ricchissimo e complesso: noci, fico secco, torroncino, caramello. Al palato notevoli ritorni olfattivi sostenuti da una vena fresca. Lunga persistenza. Eccellente, voto 93/100;

- 2008 Castello di Sonnino. Trebbiano in caratelli per 6 anni. Miele millefiori, agrumi canditi ed erbe aromatiche. Al palato la dolcezza ben sostenuta dalla vena fresco-sapida. Rientra nell’eccellenza ma con un voto più basso: 90/100;

- 2015 Castello di Sonnino. Molto giovane, un Vin Santo works in progress. Impronta olfattiva classica, elegantemente dolce. Riesce comunque a salire nella scala dell’Eccellenza guadagnandosi ora 90/100;

- 2016 La Leccia. Il nuovo che avanza. Lorenzo lo ha presentato come un Vin Santo che, partendo dalla tradizione, ha iniziato un percorso differente a partire dall’appassimento: quello che vuole i grappoli stramaturi di Trebbiano appesi al soffitto. Poi permanenza in barriques di rovere esauste, usate per il Chianti,  Risultato al momento con un punteggio di 90/100. Serve capire l’evoluzione in bottiglia.

Al Castello di Sonnino si è parlato anche di abbinamenti per cacciar via i brutti pensieri ricorrenti dei cantuccini.

    Leone e Lorenzo

Pasticceria secca, cioccolato, formaggi anche erborinati. Una provocazione da consigliare?

Quella offerta a noi dallo chef del Ristorante Il Cibreo di Firenze: cioccolatini ripieni di patè di fegatini. Una delizia!

A proposito dello chef del Ristorante il Cibreo di Firenze. Siccome tutti i salmi finiscono in gloria, terminata la degustazione vuoi non spostarti in una delle sale del Castello di Sonnino elegantemente preparata a sala da pranzo e degustare piatti preparati dal figlio di Fabio Picchi, Giulio?

 

Urano Cupisti

Assaggi effettuati il 26 maggio 2023

Al castello di Sonnino – Montespertoli (Fi)

 

 

 

Una storia di famiglia che, partendo da un piccolo chiosco sulla spiaggia, ha creato un piccolo paradiso di servizi e di gusto.

 

Sperlonga cose da vedere

Sperlonga è un delizioso paesino di pescatori arroccato su un promontorio, premiato come uno dei borghi più belli d’Italia. È caratterizzato da stradine bianche, strette che si aprono all’improvviso su scorci marini. Nei dintorni ci sono spiagge bianchissime e calette incantevoli con mare Bandiera Blu.

Da non perdere sicuramente sono la Villa e la Grotta di Tiberio. Affacciate direttamente sul mare, sono molto facili da raggiungere: basterà seguire le indicazioni sulla strada che collega Sperlonga a Gaeta per circa un chilometro. La Grotta di

Tiberio è una grande cavità naturale rocciosa aperta sul mar Tirreno: vicino alla Grotta c’è anche un piccolo tratto di spiaggia estremamente affascinante.

Oltre agli scavi della Villa, all’interno del sito è possibile visitare il Museo Archeologico locale, che ospita i gruppi statuari che decoravano la città.

Un sistema di quattro torri di avvistamento creava un sistema difensivo per gli attacchi dei saraceni. Ne facevano parte la Torre Maggiore (ne sopravvive solo una porzione nell'attuale centro del paese), la Torre di Capovento a 3 km dal paese, la Torre del Nibbio, inclusa in un castello baronale e la Torre Truglia che fu utilizzata come sede per la Guardia di Finanza, attualmente è la sede del Centro educazione dell'ambiente marino del Parco Naturale Regionale Riviera d'Ulisse.

Per godersi l’aria di mare e il paesaggio, non c’è niente di meglio di una passeggiata nel porto. Non è molto grande, ma fa parte della vita quotidiana degli abitanti.

              Polpette di alici

Offre una bella vista sulla Torre Truglia, sul paese e sulle montagne circostanti. Può essere piacevole anche una passeggiata serale dal porto lungo la costa verso la residenza di Tiberio.

Come nasce Bazzano Beach

Era il 2003 quando Renato Cardogna, allora poco più che ventenne, decide di prendere in concessione una striscia di spiaggia a Sperlonga e assieme ai suoi genitori e alla sorella Serena dà vita a un chioschetto con vendita di panini, insalate e preparazioni espresse, ad affiancare l'attività di noleggio di lettini e ombrelloni.

La spiaggia di Bazzano si trova tra la grotta e la villa di Tiberio sul Ciannito e il promontorio di Capovento. Il posto è delizioso, incastonato tra i due promontori, una piccola caletta dalla spiaggia bianchissima e impalpabile, acqua pulita con tanti pesciolini, in località Bazzano (da cui prende il nome questa insegna). Si accede arrivando al parcheggio della Valle dei Corsari, e da qui si usufruisce di un servizio navetta gratuito per raggiungere la battigia.

Bazzano Beach non è solo uno stabilimento balneare, infatti il ristorante è attivo sin dai primi di marzo, fino ad autunno inoltrato. La struttura completamente in legno, è molto suggestiva; è una palafitta a ridosso della spiaggia che annovera settanta coperti, con due verande (una frontale e l'altra laterale) in cui dominano le nuances del bianco e dell'azzurro, in perfetta sintonia con i colori e l'ambiente circostante. Da qui alla spiaggia si sviluppa l'offerta di intrattenimento, con aperitivi domenicali, musica dal vivo, e un calendario di dj set che vedrà in console diversi volti locali e nomi noti del clubbing capitolino, come Paolo Pompei e Massimo Marino, tra i protagonisti delle serate al Room 26. Non prima di concedersi una pausa di gusto a pranzo, con le specialità della cucina.

La proposta gastronomica di Bazzano Beach

 

L'offerta ristorativa di Bazzano Beach è frutto dell'estro di Renato Cardogna che, da sempre, si fa guidare nel processo creativo dai consigli della madre, e da qui prende le mosse un menu realizzato con passione dalla brigata, una squadra di giovani talenti, che lo seguono in tutto il percorso sin dai primi mesi di ogni apertura. Una materia prima freschissima, con rifornimenti quotidiani dall'Azienda Ittica Purificato di Formia, la partecipazione alle aste del pesce, e l'approvvigionamento diretto (come avviene per le alici di Terracina), in un tripudio di pesce azzurro, quale sgombro, alici, ricciola e le altre meraviglie che offre il mare della zona; per la parte vegetale il riferimento è l'Azienda Agricola Toscano, così come il mercato di Fondi, e per le spezie e gli aromi l'Orto La Rocca di Sperlonga.

 

    Bazzano Beach - Lo Staff

Si compone così una proposta - che si rinnova ogni mattina, a seconda della disponibilità - che accanto a piatti immancabili come lo spaghetto alle vongole, la frittura di calamari o il soutè di cozze, presenta una carta che si apre con una ricca selezione di crudi, dal battuto di gamberi gobbetti con olio biologico evo alla tartare di ricciola e specialità tipiche come le polpettine di alici alla sperlongana (antica ricetta che risale alla tradizione locale), fiori di zucca in pastella, fino a originali proposte come il taco di mare. Tra i primi spiccano l'amatriciana di tonno fresco e guanciale croccante, il mezzo pacchero con ricciola e crumble di pane agrumato, la linguina aglio olio peperoncino e tartare di tonno con bottarga di muggine; si continua con i secondi - dove è la cottura a bassa temperatura col roner a farla da padrone, per preparare al meglio la materia prima - come tataki di tonno, polpo brasato su crema di patate allo zafferano, e nuvole di seppia su vellutata di finocchi e polvere del suo nero. Il tutto accompagnato da un'ampia proposta di vini, principalmente laziali (in linea con la filosofia territoriale di tutta l'offerta), da Cantine Sant'Andrea a Cincinnato e Ilori, fino a toccare le referenze più importanti di Trentino e Friuli, ed eccellenze come Franciacorta e Alta Langa, e alcune etichette francesi.

 

Ricerca, attenzione, passione e sapori del territorio, e un'atmosfera paradisiaca sono gli elementi che rendono Bazzano Beach il luogo ideale per vivere appieno un soggiorno di meritato relax al mare.

 

 

Bazzano Beach
Via Flacca, Km 17.100, Sperlonga LT
Tel. 333 569 1181

Aperto tutti i giorni fino all'aperitivo
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                                          Maison Pommery

Rivoluzione regionale che dobbiamo, geograficamente, conoscere.

In modo particolare noi appassionati di Vino che spesso visitiamo la Francia e dopo, in veste di comunicatori, ne parliamo.

Dove si trova la Champagne? Ci sono due Côte d’Or? E il Bordeaux in quale Regione si trova? E la Languedoc-Roussillon è sempre la stessa? Che fine hanno fatto l’Alsazia, il Jura, la Savoia, la Côte du Rhone?

Dal 1° gennaio 2016 in Francia c’è stata una vera e propria “rivoluzione geograficaregionale”. Oggi  è costituita da 18 regioni di cui 13 in Francia metropolitana e 5 in Oltremare.

Ecco quelle della Francia metropolitana:

  • Alta Francia (Hauts-de-France) – Capoluogo: Lilla (Lille)
  • Alvernia-Rodano-Alpi (Auvergne-Rhône-Alpes) – Capoluogo: Lione (Lyon)
  • Borgogna-Franca Contea (Bourgogne- Franche-Comté) – Capoluogo: Digione (Dijon) – Sede della regione: Besançon
  • Bretagna (Bretagne) – Capoluogo: Rennes
  • Centro-Valle della Loira (Centre – Val de la Loire) – Capoluogo: Orléans
  • Corsica (Corse) – Capoluogo: Ajaccio (la Corsica è una comunità territoriale e funziona un pò diversamente dalle altre regioni francesi)
  • Grand e Est (Grand-Est) che comprende la Champagne– Capoluogo: Strasburgo (Strasbourg)
  • Isola di Francia (Île-de-France) – Capoluogo: Parigi (Paris)
  • Normandia (Normandie) – Capoluogo: Rouen
  • Nuova Aquitania (Nouvelle-Aquitaine) – Capoluogo: Bordeaux
  • Occitania (Occitanie) – Capoluogo: Tolosa (Toulouse)
  • Paesi della Loira (Pays-de-la-Loire) – Capoluogo: Nantes
  • Provenza-Alpi-Costa Azzurra (Provence – Alpes – Côte d’Azur) – Capoluogo: Marsiglia

Le regioni metropolitane sono a loro volta suddivise in almeno 2 dipartimenti  arrivando in totale a 96.

Tralascio la descrizione dei territori d’Oltremare soffermandomi in particolare sulle zone vitivinicole.

 

La Borgogna-Franca Contea (in francese Bourgogne-Franche-Comté)è il risultato dell’accorpamento  delle precedenti regioni Borgogna (il cui capoluogo era Digione) e Franca Contea (il cui capoluogo era Besançon), Il suo capoluogo è Digione, mentre Besançon è sede del Consiglio Regionale.

È composta da otto dipartimenti: Côte-d'Or (21), Doubs (25), Giura (39), Nièvre (58), Alta Saona (70), Saona e Loira (71), Yonne (89) e Territorio di Belfort (90). Sono inclusi nella regione 152 cantoni e 3 702.

La Côte d'Or non identifica più l’insieme della Côte de Nuit e la Côte de Beaune ma adesso rappresenta un vasto dipartimento che confina con quelli dell'Aube a nord, dell'Alta Marna a nord-est, dell'Alta Saona a est, del Giura a sud-est, della Saona e Loira a sud, della Nièvre a ovest e della Yonne a nord-ovest. Oggi quando si parla di Côte d’Or vitivinicola ci dobbiamo riferire a quattro aree: Côte de Nuit, Cote de Beaune, Chatillon e Haute-Côtes. È rimasto il dipartimento dello Yonne con lo Chablis e i vigneti dell’Auxerrois.

            Le nuove regioni della Francia

L'Alvernia-Rodano-Alpi (in francese Auvergne Rhône-Alpes) è il risultato dell’accorpamento di regioni che oggi sono dipartimenti. Ne fanno parte l’Ain con il Bugey, l’Ardèche, l’Alta Loira (dove nasce il fiume), la foresta di Allier e la Côte du Rhone.

Il Centro-Valle della Loira (in francese Centre-Val de Loire) è, in questo caso, uno smembramento della Valle della Loira intesa precedentemente. Occupa la parte Est della “vecchia valle della Loira”. Ne fanno parte Sancerre e Pouilly-sur-Loire, Orléans, Touraine, Chinon.

Paesi della Loira (Pays-de-la-Loire) – Capoluogo: Nantes. La parte Ovest della “vecchia valle della Loira”. Ne fanno parte Samour, Anjou, Savennières (Chenin blanc) Coteaux-du-Layon, Muscadet e Muscadet Sevre-et-Maine.

Grand e Est (Grand-Est) che comprende la Champagne. Capoluogo: Strasburgo (Strasbourg) Dalla sola Regione Champagne si passò a Champagne-Ardenne ed adesso sono state aggiunte l’Alsazzia e la Lorena. Per gli amanti della vinoviticoltura quindi, la nuova Regione mette assieme l’Alsazia e la Champagne. Il capoluogo regionale non è più Reims ma Strasburgo. È composta dai dipartimenti: Ardenne (08), Aube (10), Marna (51), Alta Marna (52), Meurthe e Mosella (54), Mosa (55), Mosella (57), Basso Reno (67), Alto Reno (68) e Vosgi (88).

La Nuova Aquitania (in francese Nouvelle-Aquitaine; Oggi la Regione più estesa francese. Accorpamento di regioni come l’Aquitania (storica che identificava il bacino del Bordeaux), la Charantes, il Limosino e Poitou. Oltre al bacino viticolo del Bordeaux comprende quello della Charantes, del Cognac, dell’Armagnac del Madiran, del Bergerac, Jurançon.

Occitania (Occitanie) – Capoluogo: Tolosa (Toulouse). Questo accorpamento ha sconvolto completamente il mondo vitivinicolo. Comprende tutta la Linguadoca da Nimes a Narbonne, il Rossiglione (Roussillon) fino al confine con la Spagna, l’area di Limoux, Carcassonne, Gaillac e Cahors. Ricordiamo i tredici dipartimenti:  Ariège (09), Aude (11), Aveyron (12), Gard (30), Alta Garonna (31), Gers (32), Hérault (34), Lot (46), Lozère (48), Alti Pirenei (65), Pirenei Orientali (66), Tarn (81) e Tarn e Garonna (82). Sono inclusi nella regione 269 cantoni e 4565 comuni.

Bretagna, Normandia, L’ile-de-France, Provence e Corsica sono rimaste Regioni con i confini conosciuti da sempre.

Morale: dimentichiamoci quanto studiato fino ad oggi, memorizziamo i confini delle nuove regioni e cerchiamo, nella comunicazione, di non cadere in romanticismi geograficinon più esistenti.

La vedo molto dura e certi “refusi”, ne sono convinto, continueranno ad essere evocati ancora per molto tempo.

Un’ultima riflessione: mi chiedo, se fosse stato proposto in Italia una cambiamento del genere ?

 

 

 

 

 

 

 L'Ambasciata di Romania in Italia, in collaborazione con Wines Of Romania, ha organizzato il 5 giugno un evento di presentazione di vini romeni, alla presenza di personalità della penisola italiana quali Bruno Vespa, noto giornalista e conoscitore di vini prodotti in Romania, Helmuth Köcher  Presidente e fondatore del Merano WineFestival, Massimo Giletti giornalista e conduttore televisivo e molti altri. 

I numeri della Romania parlano chiaro: quinto produttore in Europa e decimo nel mondo con per poco meno di 200.000 ettari vitati che si estendono soprattutto nella regione di Moldova e in Muntenia.

Ai circa 160 vitigni autoctoni si affiancano altri internazionali. Per i rossi, quelli più noti sono Băbească Neagra e Fetească Neagra, Fetească albă Negru de Dragasani e Novac, e i vini bianchi romeni Feteasca Regala, Crâmpoșie, Busuioaca, Grasa, Galbena, Francusa, Zghihară de Huși; poi il Tamaioasa românească e il Busuioacă de Bohotin per gli aromatici.

Sette cantine romene, Domeniile Averesti, Domeniul Bogdan, Jidvei, SERVE, Gramofon Wine, Viticola Sarica Niculitel & Crama DeMatei, hanno partecipato all'evento con 60 vini premium, parte del programma di Carrefour Romania "Open Romanian Wine" e dei partner Wines of Romania. Gli appassionati di vino e gli imprenditori presenti hanno avuto l'opportunità di conoscere o ritrovare le varietà tradizionali romene. 

La degustazione di vini ha riunito importanti rappresentanti del settore Ho.Re.Ca, imprenditori, autorità italiane e personalità pubbliche, esperti di vino, gestori di ristoranti stellati Michelin, giornalisti e influencer nel mondo del vino.

Gabriela Dancău, Ambasciatore di Romania in Italia e organizzatrice dell'evento, ha dichiarato nel suo discorso: “Il vino romeno non è soltanto un prodotto destinato al consumo, ma è un ambasciatore della nostra cultura e della nostra storia. Ogni goccia di vino nel nostro bicchiere porta con sé la memoria di una terra ricca di tradizioni e nobilitata dalla diligenza dei nostri produttori. L'evento ospitato dall'Ambasciata di Romania a Roma è stato un invito a un viaggio sensoriale in Romania, dove i paesaggi pittoreschi e la calda ospitalità si intrecciano armoniosamente con la degustazione di vini squisiti. 

La nuova industria vinicola romena, in cui si è investito molto negli ultimi 15 anni, produce vini eccellenti. Quelli di qualità superiore, in particolare, possono essere collocati onorevolmente accanto ai vini italiani, spagnoli o francesi. Questa è la nicchia del mercato italiano in cui penso che i nostri vini abbiano buone possibilità di entrare a farne parte. E questo è stato confermato da sommelier, gestori di ristoranti stellati Michelin e distributori presenti al nostro evento, i quali sono rimasti particolarmente colpiti dai vini provenienti da vitigni autoctoni romeni, finora sconosciuti sul mercato italiano.” 

Marinela Ardelean, fondatrice di Wines of Romania, co-organizzatrice di RO-Wine e ambasciatrice del programma "Let's Open Romanian Wine" ha aggiunto: “Abbiamo accolto con gioia l'invito dell'ambasciatore Gabriela Dancău a promuovere i vini romeni in Italia. Gli apprezzamenti rivolti ai vini degustati, il modo in cui ciascun proprietario di cantina ha presentato i propri vini e il gran numero di partecipanti all'evento hanno rafforzato la mia convinzione che il vino romeno troverà posto sugli scaffali dei negozi e nei menu dei ristoranti italiani, diventando quello che tutti vogliamo, un marchio del nostro Paese.” 

Bruno Vespa, presenza emblematica nel panorama pubblico italiano, si trova per la prima volta nella veste di ambasciatore del vino romeno nella penisola italiana, in occasione del primo evento dedicato ai professionisti del vino organizzato dall'Ambasciata e da Wines of Romania. “Accolgo con favore questa ammirevole iniziativa di promozione del vino romeno in Italia, un vino eccellente e di qualità, che ho avuto modo di degustare in diverse occasioni e che ha il potenziale per penetrare nel mercato italiano e raggiungere il successo che merita!” 

La degustazione è stata accompagnata da uno sontuoso buffet preparato dalla chef Claudia Catana del Ristorante Cucina ai Monti di Bracciano (RM). 

Il territorio della Romania si estende circa allo stesso parallelo della Francia e il suo clima è mitigato dal Mar Nero e dal Danubio. Il suolo è ben drenato e ricco di oligoelementi, i vigneti riparati dai Carpazi godono di sole per buona parte dell’anno. Tutto, quindi, fa capire come questa regione sia particolarmente vocata alla produzione di vini e anche a un turismo enogastronomico. I vini rumeni di cui molti sono pregiati, rappresentano una novità che ogni appassionato italiano dovrebbe conoscere.   

 

 

La Svizzera dal punto di vista vitivinicolo ha solo 15.000 ettari vitati, tre quarti dei quali si trovano nei Cantoni di lingua e tradizione francese, per una produzione di 1,1 milioni di ettolitri di vino assorbito nella quasi totalità dal mercato interno. Basti pensare che, in aggiunta, ne importano moltissimo per accontentare la crescente richiesta. Agli svizzeri piace il vino!

La maggiore produzione è rivolta ai “bianchi” (distretti del Vaud e Valais in primis);  c’è una discreta produzione di “rossi” come Gamay, Pinot Noir e Merlot.

È bene sapere che la vitivinicoltura riveste per gli elvetici un ruolo importante culturale, sociale, geografico ed economico.

Vigneti del Valais

Un po’ di Storia

Furono i Romani a diffondere la vite in Svizzera oltre 2.500 anni fa. A seguire i monaci in epoca medievale che contribuirono a modellare le terrazze circondate da mura e muretti  ancora presenti  nel Lavaux (Vaud, Lago Lemano o Ginevra) e nel Valais (Vallese, la valle del fiume Rodano). Arrivati ai giorni d’oggi fanno parte integrante degli emozionanti paesaggi elvetici.

Pinot Noir nel Grabunden

Le zone di produzione.

Premessa:  Non è facile caratterizzare con precisione le diverse zone. Terreni molto diversi a causa della formazione geologica delle Alpi microclimi differenti, vuoi influenzati dagli aspetti mediterranei, vuoi dagli aspetti prettamente continentali. Infine la frammentazione del territorio vitato  a causa della presenza dei massicci alpini. A seguire anche l’influenza delle zone linguistiche. Proviamoci:

VALAIS: 5.000 ettari esposti al sole su pendii a volte ripidi come quelli della Mosella, lungo il fiume Rodano. Rappresenta il Cantone maggiormente produttivo di lingua francese;

Vaud: sul lato nord del Lago Lemano. Ricordato da chi conosce i vini svizzeri, per il plateau del Lavaux. Anch’esso di lingua francese;

Vully: detto anche distretto vinicolo dei TRE Laghi (Neuchâtel, Bienne e Morat) di lingua tedesca;

Ticino: che sentiamo nostro essendo di lingua italiana. Dal clima temperato, divenuto nel tempo zona vocata per l’allevamento del Merlot;

Graubünden, distretto dei Grigioni, il più interessante. Rappresenta lo scrigno del Pinot Nero. Di lingua tedesca;

Vigneti della Svizzera tedesca

Thurgau e Aargau: nord estremo al confine con la Germania, rappresentato dal corso del fiume Reno.

 

VITIGNI

Quando si parla, raramente, di vini svizzeri si ricordano lo Chasselas (bacca bianca) e Merlot (bacca nera). Pochi sono a conoscenza che esistono più di 200 vitigni autoctoni, nati, cresciuti, protetti dalle vie poco accessibili delle singole zone montane. Senza dimenticare, proprio per quanto appena detto, che uno stesso vitigno prende nomi diversi a seconda del luogo dove dimora. Riporto i più importanti:

  • Chasselas, chiamato anche Fendant e Gutedel , rappresenta da solo il 40%;
  • Pinot Grigio, chiamato anche Malvoisie;
  • Humagne, a bacca nera;
  • Amigne, a bacca bianca;
  • Pinot Nero, soprattutto nel Cantone dei Grigioni;
  • Merlot, soprattutto nel Canton Ticino;
  • Completer, a bacca nera;
  • Räuschling, a bacca bianca, piccola rarità coltivata nei pressi di Zurigo;
  • Müller-Thurgau, a bacca bianca;
  • Johannisberger, da noi conosciuto come Sylvaner, a bacca bianca.
Vigneti del Lavaux

Export

Quasi inesistente. Qualche svizzero italiano varca il confine di Chiasso e porta con se qualche bottiglia di Merlot.

Ne consegue che, per conoscerli, è necessario andare nei singoli distretti e capire le diversità delle produzioni. Un suggerimento?

Nel Cantone dei Grigioni e più precisamente nella zona  di Rheintal esiste  il Regno del Borgogna svizzero: il Blauburgunder (Pinot Nero) , chiamato come in Alto Adige, qui sinonimo di vino tradizionale vinificato come nella Côte de Nuits. Una vera e propria “chicca”. Pensate che bisogna prenotarlo di anno in anno. Risulterà un’esperienza unica! Chapeau!!!

 

 

 

 

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