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Ritenute responsabili di eventi gravi quali la morte di un giovane, una malattia improvvisa, un’epidemia, un raccolto mal riuscito, una siccità prolungata, centinaia, forse migliaia, di persone innocenti, accusate di stregoneria, finiscono i loro giorni, ghettizzate, in appositi campi di detenzione ove le recinzioni, come vedremo, non sono necessarie. Questi insediamenti sono conosciuti come ‘witch camps’ ed hanno la finalità di neutralizzare la presunta negatività delle persone ospitate. Nella scarsa dottrina che li ha presi in considerazione i campi sono identificati con il nome della entità amministrativa (Gambaga, Gnani, Gushiegu, Kpatinga, Kukuo) cui appartengono.
Salvo quello di Gnani, i campi ospitano solo donne che, eufemisticamente, sono chiamate vecchie signore. Come le loro controparti femminili, gli uomini presenti sono stati accusati di aver provocato morte o malattie attraverso la magia nera. Anche negli altri campi arrivano maschietti ma, una volta emendati, vengono rispediti al mittente in quanto nell’Africa Occidentale si ritiene che gli uomini usino l’arte magica per costruire, le donne per distruggere.
Le abitazioni dei witch camps non dispongono di energia elettrica e servizi igienici: sono capanne in “banco”, circolari per le donne, quadrate o rettangolari per gli uomini. Con il termine banco nell’Africa Occidentale si sintetizza la materia prima utilizzata per l’innalzamento della capanna. Il banco è costituito da un insieme di argilla, fango e paglia amalgamati nell’acqua dove ha bollito il frutto del neré (Parkia biglobosa), un albero spontaneo che mai in Ghana viene abbattuto in relazione alla sua utilità. E’ il caso di fare presente che, nelle regioni settentrionali del Ghana, nessuna capanna dei villaggi dispone di servizi igienici, pochissime sono collegate alla rete elettrica, quando – ed è molto raro – la rete elettrica c’è.
I tetti delle capanne sono di paglia. Quando l’harmattan, il vento secco e polveroso che soffia tra novembre e marzo dal Sahara al Golfo di Guinea, compromette, restringendoli, i vegetali della copertura, il tetto non protegge più l’abitazione dall’acqua piovana e va rifatto. Solo a Kpatinga, grazie all’associazione umanitaria Word Mission International, i tetti sono in lamiera. Durante la stagione secca a Gambaga, Gushiegu, Kukuo il pozzo centrale del villaggio si estingue e l’acqua va attinta al corso d’acqua più vicino che per Kukuo è il Volta Bianco, a 4,5 chilometri dal villaggio.
I campi hanno un gerente chiamato tindana (se donna magazia). Questi riceve ed ammette nel campo le persone accusate di stregonerie ed accerta la fondatezza dell’accusa. L’accertamento dello status di strega è in pratica un’ordalia, il Giudizio di Dio in uso nell’Europa medioevale. Il tindana (o magazia) taglia la gola ad un pollo e al termine dell’agonia lo lancia in aria: se l’uccello cade sulla schiena il soggetto è innocente, in caso contrario è strega. Se l’animale è caduto frontalmente la persona sotto esame deve essere esorcizzata con un rituale praticabile solo in questi campi specializzati. Al tal fine il tindana prepara un intruglio (fango, sangue di pollo, ossa triturate di testa di scimmia) che la persona deve ingurgitare. Poi per sette giorni si tiene la persona sotto controllo. Se al termine dei sette giorni la persona sta bene, la pozione è stata efficace, se ha accusato qualche disturbo l’operazione deve essere ripetuta.
L’accusa alle streghe più ripetuta è quella di essere responsabili di malattie gravi e di decessi senza spiegazione. L’accusa nasce dal convincimento, diffuso non solo nel Ghana ma anche in altre entità statali dell’Africa subsahariana, che vuole che le malattie derivino non da fattori biologici ma da fattori magici e che non tutte le morti siano naturali: quella di una persona anziana viene accettata senza sospetti, il decesso di una persona giovane viene invece attribuita a cause esterne alla persona per cui vanno cercate le responsabilità dell’agente che le ha provocate.
Anche i sogni alimentano l’accusa di stregoneria: la persona vista in sogno è spesso considerata una strega o un mago. Yagu Dinambo si trova a Ktapinga perché un cugino, nel 2007, quando era già vedova, l’ha accusata di tentato omicidio: il cugino, figlio di suo fratello, aveva sognato che Yagu suonava un particolare tamburo che nella tradizione del posto si usa per i funerali; al momento dell’intervista, cioè 6 anni dopo quel sogno, il cugino risultava vivo e vegeto. Altri casi: la signora Awabu potrebbe passare tutti i suoi giorni a Gambaga per un sogno della nuora (si è vista minacciata dalla suocera con un coltello); a Gnani il signor Kareem Mahama paga con l’esilio il sogno di un ragazzo del suo villaggio (aveva sognato che gli saltava addosso). Nel nord del Ghana sogni come questi sono interpretati come magia nera.
C’è poi un altro fattore alla base dell’accusa di stregoneria, l’interesse economico. Più del 70 per cento delle streghe dei witch camps sono vedove i cui beni sono ambiti dalla famiglia del defunto: il pretesto della stregoneria è vantaggioso perché consente di liberarsi di una pretendente all’eredità.
Una volta accusato di stregoneria, il soggetto è ostracizzato dalla sua comunità: l’accusa di stregoneria sradica le persone dalle loro case e le condanna a una vita di esilio. Sano Kojo, accusata di avere tolto il respiro ad un cugino gravandogli (invisibilmente) sul petto, è al campo di Kukuo dal 1981 e sembra che alcune donne abbiano vissuto nei campi, per più di 40 anni, cioè fino alla morte.
Impensabile per un soggetto accusato di stregoneria di potersi reinserire nella primitiva propria comunità. Aveva pensato in positivo Ayishetu Bujri espulsa dal suo villaggio sotto l’accusa di aver fatto ammalare la figlia di un vicino. Dopo aver trovato per un po’ di tempo ospitalità al campo di Gambaga, Ayishetu Bujri ha provato a fare ritorno al suo villaggio. E’ tornata a Gambaga con un orecchio mozzato. “Questo è solo un avvertimento”, le hanno detto al suo villaggio. “Se torni ti mozziamo anche l’altro”. Quindi anche l’opera di redenzione eseguita dal tindana non vale per la reimmissione della donna nel villaggio di provenienza.
Nonostante le apparenze, i campi costituiscono un’opera meritoria: salvano dal linciaggio le persone accusate di stregoneria. Il Ghana divide con altri paesi africani la credenza che le epidemie, alcuni decessi e le calamità naturali siano da attribuire alla magia nera, ma non elimina le persone incolpate, come avviene in altre entità statali dell’Africa Nera. Quanti, accusati di stregoneria, non sono riusciti ad arrivare ad una campo streghe sono state assassinati. La credenza sulle streghe è cosi fondata e diffusa che, non solo nella savana del Ghana ma anche nelle regioni più a sud, i superstiti coprono con il cemento le salme inumate per evitare che una strega rubi un arto del defunto da utilizzare per i rituali di magia nera.
I campi si trovano nella regione settentrionale del Ghana, dove i livelli di povertà sono più alti rispetto ad altre aree del paese e dove tre quarti degli adulti, secondo le Nazioni Unite, sono analfabeti rispetto al 43% a livello nazionale. Da questa zona del Ghana (dove non c’è nessuna guerra) non è mai partito nessun “migrante”, per l’Europa: i cosiddetti migranti arrivati nel nostro continente vengono dalle regioni del paese dove le case dispongono di luce elettrica, acqua potabile e, molto spesso, di internet e telefonia satellitare. Le grandi città del sud del Ghana, evolvendosi rapidamente, rafforzano la concezione dello stato di diritto. Le zone rurali mantengono le antiche tradizioni. Anche se la Costituzione del paese garantisce sulla carta l’uguaglianza ed i diritti civili.
* L’Universo, la rivista dell’Istituto Geografico Militare, nel numero 3 del 2015 ha pubblicato un lungo articolo (Nino Modugno, Ghana da scoprire: visita ai villaggi delle streghe, foto di Romano Gugliotta), sulla situazione nel Ghana delle cosiddette streghe. Unitamente ad una foto inedita di un’ospite di uno dei ‘witch camps’, sopra una sintesi del contenuto dell’articolo al quale si rinvia per un approfondimento sul tema e per la cognizione della documentazione raccolta.
Nino Modugno
Articolo pubblicato il 17 aprile 2016 su http://tapnewswire.com/2016/04/top-10-indications-that-isis-is-a-usisraeli-creation/
A cura di Makia Freeman.
Traduzione di Adavede.
L’Isis è una creazione israelo/americana, un fatto evidente come il cielo blu.
Per molti lettori di notizie alternative, questo è già palesemente ovvio, ma questo articolo è stato scritto per la stragrande maggioranza della popolazione del mondo, che ancora non ha idea di chi stia dietro all’avvento dell’Isis.
Non importa per quale nome si facciano passare – Isis, Isil, Is, Daesh – il gruppo è stato deliberatamente ingegnerizzato dagli Stati Uniti ed Israele, per perseguire alcuni obiettivi geopolitici. Sono una organizzazione di terroristi religiosi, fondamentalisti, Sunniti, creata per terrorizzare e rovesciare alcune nazioni arabe Sciite, come la Siria e l’Iraq, ma non si tratta di una organizzazione solamente “islamica”.
Possono essere islamici , e possono patrocinare lo stato islamico, ma stanno lavorando molto per raggiungere gli obiettivi del Sionismo. E’ sorprendente vedere quanta gente sta combattendo per questo. Siamo stati inondati dalla propaganda che riguarda la guerra al terrore, fraudolenta, in particolare termini come “terrorismo islamico” e “Islam radicale” sono comparsi, ma frasi molto più accurate sarebbero “terrorismo Sio-islamico”, e “Sio-Islam radicale”.
Agenzie segrete come il Mossad e la Cia ne tirano i fili.
Ecco qui una lista dei 10 principali indicatori e prove che l’Isis è una creazione israelo-americana
1) Isis è l’acronimo di Mossad
Cominciamo con ciò che è ovvio. Isis è esso stesso un acronimo, non per stato islamico in Iraq e Siria, ma per Israeli Secret Intelligence Service (servizi segreti di intelligence israeliani). E’ solo un altro modo per descrivere il Mossad, la losca agenzia il cui motto è “attraverso l’inganno, puoi portare la guerra”.
In questo video (https://youtu.be/jYONiyG-CZk) i due autori intervistati (il giornalista americano Dan Raviv e il giornalista isreliano Yossi Melman) rivelano che Isis è l’acronimo del Mossad.
2) La precognizione sull’Isis, attraverso documenti trapelati della Dia:
L’americana Dia (agenzia di intelligence della Difesa) è una delle 16 agenzie militari di intelligence americane. Sulla scorta di un documento trapelato, ottenuto da Judicial Watch, la Dia scrive, il 12 agosto 2012 che:
“..c’è la possibilità di instaurare un Principato Salafita, dichiarato o meno, nella Siria dell’est (zone di Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che vogliono i poteri che supportano l’opposizione, di modo da isolare il regime siriano..”
Questo è stato scritto prima della comparsa dell’Isis sulla scena planetaria. Chiaramente l’Isis non è stata una rivolta casuale, ma piuttosto un ben orchestrato e strigliato “gruppo di opposizione”.
I “poteri che supportano l’opposizione” si riferisce a l’arabia saudita, la turchia, e i Gcc ( i paesi della cooperazione del golfo), nazioni come il Qatar, che sono supportati, in cambio, dall’asse americano-inglese-israeliano nella loro battaglia per spodestare il presidente siriano Bashar Al-Assad.
Come ho sottolineato in questo articolo Syrian Ground War.. , gli Stati Uniti stanno appoggiano le nazioni sunnite, mentre la Russia, la Cina e l’Iran quelle Sciite, per cui esiste un potenziale che le cose sfocino in una terza guerra mondiale.
Nel sito Tapnewswire si vedano i flash dei documenti della Dia
(Per maggiori informazioni si guardi il seguente articolo: http://wakeup-world.com/2015/11/24/reality-check-proof-us-government-wanted-isis-to-emerge-in-syria/
Include 7 pagine del documento citato sopra del Pentagono, che incluse i dettagli circa le ragioni per cui il governo stava operando in Siria, prima dell’emergere dell’Isis)
3) L’Isis non ha mai attaccato Israele.
E’ più che mai strano e sospetto che l’Isis non abbia mai attaccato Israele – è un altra indicazione che l’Isis è controllata da Israele. Se l’Isis fosse stato il frutto di una rivolta indipendente e genuina che non era stata segretamente orchestrata dagli Stati Uniti e Israele, perchè mai non avrebbero dovuto tentare di attaccare il regime sionista, che ha attaccato all’incirca tutti i vicini stati mussulmani, a partire dall’anno del suo insediamento, il 1948?
Israele ha attaccato l’Egitto, la Siria e il Libano, e naturalmente ha decimato la Palestina. Israele ha sistematicamente provato a dividere e conquistare i suoi vicini arabi. E si è lamentata continuamente del terrorismo islamico! Ancora, quando l’Isis è comparsa sulla scena come una organizzazione terroristica islamica, barbarica e sanguinaria, apparentemente non ha avuto problemi con Israele e non ha individuato motivi per occuparsi di un regime che ha perpetrato una dose massiva di ingiustizie contro gli Islamici.
Questo spinge la credibilità al un punto di rottura.
Il fatto è che Isis e Israele non si attaccano reciprocamente – essi si sostengono reciprocamente. E’ stato anche scoperto che Israele si è occupata delle cure di alcuni soldati dell’ISIS e di altri ribelli anti-Assad nei suoi stessi ospedali! Si tratta di nemici mortali, o del migliore degli amici?
4) I furgoncini della Toyota
Dov’è che l’Isis ha preso una intera flotta di furgoncini Toyota? Perché così tanti dei suoi scatti fotografici riguardano una flotta di Toyota che corrispondono - corrispondenti cioè, sia per modello che per colore? Come l’articolo della Information Clearing House umoristicamente statuisce.
“La storia ufficiale è che l’Isis li avrebbe rubati ai “buoni terroristi” (di Al Nusra), a cui sarebbero stati dati, questi bei veicoli, dal governo degli Stati Uniti. Cosa che sembrerebbe guidare verso almeno un paio di domande. Non ultima delle quali, perchè gli stati uniti riforniscono terroristi di qualsivoglia estrazione con suv di lusso? E a tal proposito, di quanti suv parliamo? Di quanti, con esattezza? In quali garage l’Isis tiene parcheggiata questa massiccia flotta? E perchè sono tutti a marca Toyota? E’ una scelta dei terroristi o un gusto del governo americano? La Toyota se l’è mai presa, per l’associazione tra i suoi trucks e i terroristi?”
Alcuni di questi trucks sono dei veicoli usati che sono partiti dagli Usa o dal Canada e sono arrivati in Siria. Per esempio, questo veicolo che riporta la scritta di un idraulico del Texas, ha fatto scoprire con orrore al suo ex proprietario che il suo vecchio veicolo sarebbe stato adoperato per la guerra, con il suo logo ancora lì su una portiera!
5) Gli skill di prima classe, nell’uso dei social media, dell’Isis.
La storiella delle Toyota ci spinge dritti alla prossima domanda, in merito all’Isis.
Chi si occupa della loro pubblicità? Come hanno fatto ad ottenere così tante foto delle Toyota che se ne vanno in giro? Come sono riusciti ad ottenere quella risma di video (falsi) che ritraggono le decapitazioni? Come ha potuto fare, un barbaro gruppo di assassini, che parlano una lingua molto diversa dall’Inglese, che propinano ideali religiosi fondamentalisti (come la Sharia) e spesso criticano tutto ciò che è occidentale, a gestire con maestria i social media occidentali, per diffondere i loro messaggi, la propaganda e le loro sfide?
6) Il gruppo israeliano SITE è sempre il primo a rilasciare i video dell’Isis.
Un’altra chiave in omaggio che l’Isis è una creazione Usa/Israele è che il gruppo israeliano SITE (Search for International Terrorist Entities) è stato spesso fra i primi a trovare e a rendere pubblici i video ( come la cofondatrice Rita Katz s’è lasciata sfuggire in più di una occasione). Site è stata implicata in una sfilza di video di finte decapitazioni dell’Isis, nel 2014.
False flag falliti! Si ignorino per un momento i brutti lavori svolti con photoshop. Si noti in questa foto come la luce getta ombre sul lato destro della faccia e del collo di un ostaggio, e sul lato sinistro del viso e del collo dell'altro ostaggio.. Parlando di finte decapitazioni, perchè questa Tv di fiction turca mostra una decapitazione che è identica a quelle dell’Isis?
7) Il capo dell’Isis Baghdadi, un agente del Mossad.
Simon Elliot (Elliot Shimon) aka Al-Baghdadi è nato da genitori ebrei ed è un agente del Mossad. Riportiamo di seguito tre traduzioni che intendono asserire con chiarezza che il califfo Al-Baghdadi è in pieno un agente del Mossad e che è nato da padre e madre ebrei. “Il vero nome di Abu Bakr al-Baghdadi è Simon Elliott.. Colui il quale viene chiamato semplicemente “Elliott” è stato reclutato dall’israeliano Mossad ed è stato addestrato in spionaggio e guerra psicologica contro gli arabi e la società islamica. Questa informazione viene attribuita ad Edward Snowden.
8) Comunicazioni trapelate che evidenziano il piano di rovesciamento della Siria.
Julian Assange di Wikileaks ha fatto un gran lavoro per catturare le informazioni circa quello che stava accadendo in Siria, anni prima delle “primavere arabe” e l’attule guerra, iniziata nel 2011.
Ci ha rivelato che William Roebuck, poi chargé d’affaires dell’ambasciata americana a Damasco, stava progettando la destabilizzazione del governo siriano. Le seguenti citazioni inviate da Roebuck a Washington dimostrano come egli stesse evidenziando le debolezze di Assad:
Vulnerabilità:
L’alleanza con Teheran: “Bashar sta camminando sul filo del rasoio nelle sue sempre più forti relazioni con l'Iran, in cerca del supporto necessario, pur non alienandosi del tutto le relazioni con i moderati stati vicini arabi sunniti, così da non essere percepito come qualcuno che favorisca gli interessi sciiti persiani e fondamentalisti. La decisione di Bashar di non sostenere i Talebani. La decisione di Bashar di non partecipare al vertice dei Talabani di Ahmadinejad a Teheran, dopo il viaggio FM Moallem in Iraq, può essere visto come una manifestazione della sensibilità di Bashar all’ottica araba, circa la sua alleanza iraniana.
Possibile azione:
Giocare sulle paure Sunnite dell’interferenza iraniana.
Ci sono timori in Siria che gli iraniani siano attivi e nel proselitismo sciita e nella conversione dei, per lo più poveri, sunniti. Anche se spesso esagerati, tali timori riflettono un elemento della comunità sunnita in Siria che è sempre più sconvolta da e focalizzata sulla diffusione dell'influenza iraniana nel loro paese, attraverso attività che vanno dalla costruzione di moschee fino agli affari. Sulle missioni locali egiziane e saudite qui, (così come sugli importanti capi siriani religiosi sunniti), stanno dando sempre maggiore attenzione alla questione che dovremmo coordinare più strettamente con i loro governi, sui modi per pubblicizzare meglio e focalizzare l'attenzione regionale sulla questione.
9) La Russia bombarda Isis, gli Usa li proteggono.
La pubblicità afferma:”Secondo quanto la politica estera americana in Siria: noi vogliamo combattere l’Isis mentre combattiamo contro il presidente Assad...sebbene l’Isis sta combattendo contro Assad, e i russi stanno aiutando la Siria a combattere l’Isis...per cui dobbiamo combattere la Russia per fermarli dal combattere con la Siria, contro l’Isis..
Se ti sembra folle, è perchè lo è!”
Prima che la Russia entrasse militarmente in Siria, gli Stati Uniti reclamavamo il fatto che essa fosse attaccata dall’Isis, sebbene la Russia fosse capace di fare in pochi mesi ciò che gli Usa non sono stati capaci di fare in anni. Perchè, l’esercito americano è a tal punto incapace, oppure questa è una ulteriore prova che gli Usa hanno finanziato e sostenuto l’Isis per tutto questo tempo? Ci sono stati vari rapporti che ai soldati americani sia stato ordinato di non colpire obiettivi Isis, anche se avessero una chiara visione dei nemici, come questo articolo riporta: “Alcuni piloti degli Stati Uniti che sono tornati dalla guerra contro lo Stato islamico in Iraq stanno confermando che sono stati fermati dal lanciare il 75 per cento dei loro ordigni su obiettivi terroristici, perché non potevano ottenere l'autorizzazione per lanciare l'attacco, secondo un membro di spicco del Congresso.
Non possiamo ottenere l'autorizzazione anche quando abbiamo un chiaro obiettivo di fronte a noi ", ha detto Royce [rappresentante degli Stati Uniti, Ed Royce, presidente della Commissione Affari Esteri della Camera]. "Non capisco per nulla questa strategia, perché questo è ciò che ha permesso all'ISIS il proprio vantaggio e la capacità di reclutamento. Inoltre, perché il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, ha dovuto lottare per festeggiare il fatto che l’ISIS aveva perso Palmyra di recente?
10) L’Isis è sempre la scusa per ulteriori interventi armati:
Infine, si consideri questo: perché è l'ISIS sempre la scusa perfetta per un ulteriore intervento militare in Siria? Data la storia dell'ingerenza straniera in Siria, in particolare dagli Stati Uniti e Israele negli ultimi 70 anni, non è piuttosto conveniente che lo spettro dell'ISIS è la giustificazione offerta per proporre delle no-fly zone, attacchi aerei e truppe di terra? Come altro avrebbero fatto gli Stati Uniti e Israele a conquistare il Medio Oriente, senza il loro scagnozzo, l'ISIS?
Si prega di condividere questo articolo con coloro che non si sono ancora risvegliati alla verità sull'ISIS. Molti lo hanno già intravisto attraverso la propaganda. Una volta che noi siamo in numero sufficiente, l'utilità di questo gruppo terroristico ridicolo, pericoloso e vaudevilliano decadrà - e forse verrà raggiunta una massa critica di persone, per tirare via la tenda e, per una volta, avere un assaggio dei veri burattinai che tirano i fili della guerra.
È stata una esperienza gastronomica interessante e stimolante quella vissuta con alcuni amici in un recente Tour nel Bordeaux. Una di quelle che rimangono dentro e ricorderò nel tempo.
Nel centro di Saint-Èmilion, a pochi passi dal Duomo. Il Ristorante Logis de la Cadène, si affaccia su di una piazzetta alla quale si accede da una stradina ciottolosa irta e difficile da percorrere. Place du Marché au Bois (piazza del Mercato del legno) sita nel centro del Borgo Medievale, ospita sin dal lontano 1848 questo locale con la sua facciata in pietra “dorata”, il suo pergolato di glicine e le sue tre sale che lo rendono un tranquillo rifugio ideale per meditare una eccellente bottiglia regalmente accompagnata da una cucina di alta classe.
Siamo capitati da queste parti su suggerimento di Laurent Benoit, responsabile dell’accoglienza e relazioni pubbliche di Château Angelus. Un po’ di storia.
Uno dei più antichi ristoranti di Saint-Èmilion è diventato nel tempo una vera e propria istituzione al limite della venerazione per quel mix di tranquillo rifugio, cucina sempre al passo con i tempi e i grandi vini che hanno eletto questo Borgo Antico a Capitale Mondiale del Vino.
Conduzione familiare da sempre, oggi di proprietà dello Château Angelus, ha continuato questa bella storia che dura da 170 anni per la gioia e la soddisfazione dei tanti gourmet che fino ad oggi si sono spinti fin qui per gustare delizie enogastronomiche uniche. Non dimentichiamo che siamo vicini al Perigord (ricordi di foie gras, tartufi… ).
Ci accoglie un ambiente elegante, un servizio professionale e una carta vini di ampio spessore dove i gioielli di famiglia (Château Angelus) primeggiano e i suoi factice, di tutte le misure, fanno mostra come elementi primari di arredamento.
In cucina c’è un giovane Chef di talento, Alexandre Baumard, proveniente da esperienze in Restaurant di primo ordine guidati da Chef come Paul Beaucase e Christophe Bacquié.
Abbiamo espressamente chiesto di prepararci un menù light per poter continuare nel pomeriggio le nostre previste visite vinicole aziendali. Ed è andata così:
- Langoustines, rôties, risotto à l’encre de seiche li éau Parmesan, quelques pointes d’agrumes. Ingredienti adagiati in un piatto che è risultato raffinato e leggero al tempo stesso.
- Pintade, farci aux champignons confit 36 heures, jeunes legume du printemps, soubise d’oignons blancs nouveaux, Jus de pintade infusé à la sauge. La faraona al centro del piatto, a ricordare la fauna del luogo e il legame con i grandi piatti regali e rinascimentali.
- Comme un Opéra. Praliné café, fine gelée expresso et glace praliné. Magistralmente preparato, nella sua semplicità, da Damien Amilien, il giovane pasticciere agli ordini di Alexandre.
Il tutto accompagnato da un eccellente Château Bellevue Grand Cru Cassé Saint-Èmilion 2002 (anch’esso di proprietà Angelus).
La fantasia Gourmet e l’arte culinaria, combinazioni sorprendenti e nuovi gusti; tutto questo in quella piccola piazzetta dei mercanti del legno, in quella casa dalla facciata dorata, in quel Borgo medievale sulla rive droite della Dordogne dove il tempo consolida la sua fama e il suo valore.
Urano Cupisti
(provato il 20 Aprile 2016)
La mano dell'Angelo punta alla luce che entra dalla finestra, il bel volto rivolto dalla parte opposta, il corpo avvitato in una piroetta d'atterraggio, enfatizzata dal vorticoso moto delle vesti. L'impeto improvviso, sconvolge la quiete della Vergine, che si ritrae istintivamente, tutti i muscoli contratti, il battito del cuore sospeso dal colpo dello spavento. La seggiola, urtata dall'improvviso ritrarsi, è in precario equilibrio. Così Francesco Mochi descrive l’Annunciazione tra il 1603 e 1608. Concepita per il Duomo di Orvieto, insieme agli Apostoli, faceva parte della decorazione barocca, violentemente rimossa, quando la moda purista ha voluto riportare ad un finto, perché ricostruito quasi dal nulla, aspetto medievale, la cattedrale.
Solo pochi anni fa le sculture, bistrattate dalle rimozioni del 1897 dal Duomo e del 1989, da Palazzo Soliano, seguita, quest'ultima, dal nascondimento, hanno ritrovato dignità, nel suggestivo allestimento nella ex chiesa di S. Agostino, parte del complesso espositivo del Museo dell'Opera del Duomo, nel 2006. Allestimento suggestivo dell'effetto luce per l'Annunciazione e del candore delle pareti per le statue degli Apostoli, ma lo spazio è forse un po' ristretto, rispetto all'originario, tanto da aver "impedito" il trasferimento anche delle basi delle sculture.
Francesco Mochi è uno degli scultori più importanti del Seicento, sua la Veronica, nella nicchia di uno dei pilastri della cupola di San Pietro in Vaticano. Tra gli altri autori delle statue degli Apostoli, realizzate tra il XV e XVIII secolo, Raffaello da Montelupo, Francesco Mosca, Ippolito Scalza, Giambologna.
Dagli anni Ottanta del Novecento, si pensa di far tornare al loro posto le statue barocche.
Il convegno tenutosi in "campo neutrale" ai Musei Vaticani, ha fatto il punto della situazione.
In apertura, con un nostalgico e felice colpo di scena, Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, ha presentato il documentario del 1996, parte del ciclo «L'arte negata», che riportava l'opinione, favorevole al rientro, dello storico dell'arte, Federico Zeri.
Alla presenza dei rappresentanti delle autorità coinvolte nella decisione: Diocesi, Opera del Duomo, Ministero dei Beni Culturali e Turismo, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, Università, sono state presentate le relazioni.
Tra queste, quella di Giuseppe M. Della Fina ha ripercorso la posizione di Cesare Brandi, storico dell'arte, padre della teoria del restauro; Gisella Capponi ha, invece, illustrato le distruzioni e la a-storicità del restauro purista, ma anche le incongruenze del riallestimento, che produrrebbe sostanzialmente un altro falso storico e pesante manomissione, anche se la buona conservazione delle basi delle statue e il "costo ridotto", sono punti a favore.
Ai posteri, molto probabilmente molto prossimi, l'ardua sentenza.
Una Venezia soleggiata e primaverile accoglie ancora una volta le opere di Sigmar Polke (1941-2010), questa volta nella prima retrospettiva italiana negli spazi affascinanti di Palazzo Grassi, nella città dove fu premiato con il Leone d'Oro alla Biennale nel 1986; quest'anno infatti ricorre il trentesimo anniversario della sua partecipazione all'evento internazionale, mentre segna il 75esimo anniversario della sua nascita.
L'esposizione che gli viene dedicata comprende opere provenienti dalla Collezione Pinault e altre da importanti collezioni private e pubbliche, e ripercorre l'intera carriera dell'artista dagli anni Sessanta agli anni Duemila offrendo al fruitore ogni tecnica utilizzata dall'autore, tra le quali installazioni e film.
Sigmar Polke, figura artistica fondamentale degli ultimi cinquant’anni, ha profondamente rinnovato il linguaggio pittorico della fine del XX secolo. Il suo incessante desiderio di sperimentazione riguarda tanto le immagini – delle quali mette in discussione la gerarchia e analizza la manifestazione – quanto il supporto, coinvolto al punto di essere pienamente costitutivo della composizione e, ancora, i colori di cui insegue le potenzialità sia fisiche sia plastiche. Il suo approccio si sviluppa attraverso media differenti: la pittura e il disegno naturalmente, ma anche la fotografia, la fotocopia, il film, l’installazione, che all’interno della sua opera si incrociano e arricchiscono vicendevolmente. La sua pratica si colloca in una prospettiva di rivitalizzazione del potere sovversivo dell’arte e si fonda tanto sulla destabilizzazione dei meccanismi di percezione quanto sul rivolgimento dei generi e delle categorie.
In occasione della Biennale del 1986, Sigmar Polke ha ideato un’installazione straordinaria per il Padiglione tedesco, intitolata Athanor. Dall’opera che associava pittura figurativa o astratta e installazione, partendo dai colori termosensibili applicati direttamente sui muri di pietra di quarzo e meteorite, emergevano fondamentalmente due tematiche, l’alchimia e la politica, individuate oggi come assi portanti dell’esposizione di Palazzo Grassi. Tuttavia, per rispettare lo spirito dell’artista profondamente refrattario a ogni sistematizzazione e a ogni regola prestabilita, il percorso si emancipa regolarmente da questo schema, derogando tanto alla tematica quanto alla cronologia.
L’esposizione inizia presentando per la prima volta nel patio centrale di Palazzo Grassi Axial Age (2005-2007), ciclo monumentale di sette dipinti (fra cui un trittico) esposto nel Padiglione centrale della Biennale nel 2007. Questo capolavoro affascinante, vero e proprio testamento artistico di Polke, evoca l’intreccio originale tra visibile e invisibile e le differenze tra pensiero e percezione, facendo sempre riferimento alla teoria di Karl Jaspers sull’età assiale.
La mostra si sviluppa poi sui due livelli del palazzo secondo un percorso cronologico a ritroso, dalla fine degli anni 2000 all’inizio degli anni sessanta, disseminato di cicli eccezionali come Strahlen Sehen (2007), serie di cinque dipinti sulla visione e i suoi ostacoli, Hermes Trismegistos (1995), magistrale evocazione in quattro parti del fondatore dell’alchimia, Magische Quadrate (1992), sette variazioni madreperlate sui quadrati magici e sui pianeti, Laterna Magica (1988-1992), composto da sei pannelli dipinti sul recto e sul verso in cui il quadro si fa vetrata o Negativwerte (1982), tre dipinti di un viola intenso e tossico. Queste opere permettono di cogliere per intero l’ambizione della pratica di Sigmar Polke sulla tematica dell’alchimia delle forme e dei colori a partire dall’inizio degli anni ottanta.
Il suo gusto per la sperimentazione della materia pittorica si manifesta anche nei piccoli formati con la serie dei Farbprobe, summa di tutte le possibilità in termini di mescolanza di materiali eterogenei, così come emerge il suo piacere nel giocare con le immagini secondo modalità diverse: manipolandole con la fotocopiatrice (Für den Dritten Stand bleiben nur noch die Krümel, 1997), sovrapponendole come nelle trasparenze di Picabia (Alice im Wunderland, 1972) o frammentandole grazie all’ingrandimento della trama fotografica (Man füttert die Hühner, 2005). Un piacere del gioco che, nell’artista, è sempre sinonimo di umorismo e leggerezza.
Insieme a queste opere aperte su ciò che si trova oltre le apparenze, dove figurazione e astrazione si confondono, l’artista, fedele all’approccio critico nei confronti della società contemporanea adottato fin dagli esordi, continua a realizzare dipinti dalla forte connotazione storico-politica. Il percorso espositivo ne riunisce alcuni fra i più rappresentativi, come Polizeischwein (1986), e Amerikanisch-Mexikanische Grenze (1984), incentrati rispettivamente sulle forze dell’ordine e sulle frontiere ed entrambi presenti alla Biennale del 1986, ma anche come Hochstand (1984) sui campi di concentramento e Schiesskebab (1994) sulle guerre fratricide della ex Jugoslavia... Alcune opere aventi per soggetto la Rivoluzione francese, come Jeux d’enfants (1988) o Message de Marie-Antoinette à la Conciergerie (1989), evocano il rapporto di Sigmar Polke con la Storia.
Gli anni settanta sono rappresentati da un’importante selezione di lavori che illustrano sia la frenesia iconoclasta di Polke in questo periodo – come Cameleonardo da Willich (1979) con la sua sovrapposizione di caricatura e fumetto – sia la sua volontà di sperimentare tecniche pittoriche a 360 gradi: ne sono un esempio Untitled (1970-1971) e la sua fioritura cromatica o Indianer mit Adler (1975), con i dipinti metallizzati realizzati con la vernice spray e l’utilizzo delle sostanze psicotrope più diverse cui rimandano i funghi di Alice im Wunderland, 1972.
Al termine del percorso espositivo, infine, gli anni sessanta fanno luce sulla genesi di quest’arte fuori del comune. In Telepathische Sitzung II (William Blake - Sigmar Polke, 1968) emerge l’interesse per i fenomeni paranormali già manifestato dall’artista, mentre la celebre Kartoffelhaus (1967/1990), un capanno da giardino costellato di patate, attesta in particolare il suo gusto per l’assurdo e i suoi legami con Fluxus. La sua attenzione si focalizza sulla pittura con la messa a nudo dei meccanismi dell’immagine fotografica nei dipinti basati sulla trama di quest’ultima, Interieur (1966) o Vase II (1965), gli ammiccamenti all’estetica del kitsch, con Reiherbild I (1968), o alle manie della modernità con Bohnen (1965) e Schrank (1963). Polke assimila anche la questione del supporto del dipinto attraverso l’utilizzo di tessuti stampati i cui motivi decorativi dialogano con il soggetto dipinto, come in Das Palmen-Bild (1964) o Lampionblumen, 1966.
A complemento dell’esposizione saranno presentati i Venice Films (1983-1986) e alcune serie di fotografie. Al Teatrino di Palazzo Grassi sarà inoltre proiettata in autunno una selezione dei film più significativi dell’artista.
La mostra, che resterà aperta fino al 6 novembre 2016, è stata ideata da Elena Geuna, curatrice indipendente e consulente d'arte contemporanea e Guy Tosatto, direttore del Musèe de Grenoble, in collaborazione con The Estate of Sigmar Polke e ruota intorno a due grandi temi: l'alchimia e la politica.
SIGMAR POLKE
Palazzo Grassi
Campo San Samuele 3231 - Venezia
17 aprile 2016 - 6 novembre 2016
Questa è la motivazione di alcuni cristiani che cercano di giustificare le loro abitudini alimentari carnivore, convinti che Gesù usasse mangiare carne, non esclusa carne di agnello, anche se in nessuna circostanza sia nei Vangeli canonici sia in quelli apocrifi risulta che Gesù abbia mai consumato della carne. E se si esclude l’episodio riportato in Luca 24,41, discepolo di Paolo convertitosi 3 anni dopo la morte di Gesù (quindi non poteva essere presente all’evento) in cui Gesù per dimostrare ai discepoli il suo essere resuscitato dice: “Avete qualche cosa da mangiare? Gli offrirono una porzione di pesce arrosto: egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”, escluso questo si può dire che non solo Gesù non mangiò mai carne ma palesemente neppure pesce. Ma spesso si estrapola dai Vangeli solo ciò che serve a giustificare le proprie convinzioni tralasciano i principali insegnamenti di Gesù quali: “misericordia io voglio non sacrificio, beati i miti, i puri di cuore...
Ora è difficile conciliare misericordia, mitezza, purezza con il brutale assassinio di un animale per deliziarsi il palato. Nella maggior parte dei casi chi usa mangiare carne ha anche il coraggio di uccidere l’animale, e attribuire questa insensibilità a Gesù è alquanto azzardato e denigratorio: avrebbe dimostrato meno sensibilità di molti mistici, santi e filosofi o di chiunque di noi che sente rispetto e compassione anche per gli animali.
Se immaginiamo due cuochi in cucina intenti a preparare cibo da mangiare e che uno dei due sia Gesù. L’uno dei due uccide e taglia a pezzi un coniglio, l’altro invece, essendo vegan, si rifiuta per compassione. Domandiamoci chi dei due possa essere Gesù. Generalmente chi usa mangiare carne è insensibile alla sofferenza e alla morte delle sue vittime ed è potenzialmente capace di uccidere l’animale di cui si nutre; oppure, pur considerando cruenta e raccapricciante l’azione, delega, ipocritamente, ad altri il compito di commettere ciò che in prima persona gli ripugna, mostrando di non avere il coraggio delle proprie azioni, né di guardare gli effetti che producono.
L’esperienza diretta, confermata dalla scienza, dimostra i danni causati dalla cattiva alimentazione sulla salute, ed io dico sulla coscienza, sull’evoluzione civile, morale e spirituale del genere umano. Come poteva Gesù, maestro di saggezza divina, affermare “Non quello che entra nella bocca contamina l’uomo ma quello che esce dalla bocca lo contamina”? anche se nei vangeli apocrifi Gesù condanna duramente chi uccide l’animale e ne mangia la loro carne. Ma ai vangeli apocrifi la Chiesa guarda con sufficienza, anche se molti episodi della madre di Gesù vengono presi dal protovangelo di Giacomo, il più antico teste neotestamentario, considerato apocrifo.
Perché la Chiesa non si adegua alle nuove esigenze dello spirito umano per quanto riguarda l’alimentazione carnea benché molti grandi santi e padri della Chiesa ne abbiano raccomandato l’astinenza? Probabilmente per paura di far perdere all’essere umano la sua arrogante, inesistente centralità biologica e con essa il falso diritto di disporre degli altri esseri viventi per volontà di un dio che elegge solo la progenie umana a sua immagine e somiglianza.
Come avrebbe potuto Gesù legittimare abitudini che si sarebbero rivelate dannose per la salute umana, crudeli per il mondo animale, devastanti per l’ambiente, per l’economia e concausa della fame di un’immensa parte di umanità? Gesù, Figlio di Dio Creatore, come può compiacersi della distruzione delle sue creature? E’ come se un artista si compiacesse della distruzione delle sue opere. Dai frutti e dagli effetti prodotti è
verificabile la bontà o no di una legge, di una regola, di una dottrina.
Appellarsi poi alle tradizioni significa voler restare nello stato primordiale dell’evoluzione umana. Bisogna guardare al passato per rendere migliore il futuro. Il seme deve diventare pianta e dare i suoi frutti: non può restare seme in eterno. Nulla di ciò che viene detto ha valore imperituro. I tempi di Gesù non sono i nostri tempi. L’etica si amplia con la crescita della sensibilità e l’intelligenza positiva. Con chi si schiererebbe oggi Gesù? Con chi chiede amore anche per gli animali o con chi indifferente alla sofferenza e alla morte dice “Ammazza e mangia”?
Come si possono giustificare le proprie scelte alimentari appellandosi a dettami di duemila anni fa senza considerare le contingenze storiche e sociali che le hanno determinate? La nostra Costituzione, vecchia solo di 60 anni, ha necessità di essere riscritta, adattata alle nuove esigenze della cultura, dell’etica e della spiritualità umana che avanza: ostinarsi a considerala immodificabile, perché espressione di una tradizione condivisa, significa restare nella preistoria.
I tempi di Gesù erano tempi di fame, di guerre, di schiavitù, di crocifissioni, superate da una società che si considera evoluta e civile, come deve essere superata la raccapricciante abitudine di uccidere e cibarsi del corpo di un animale, spesso allevato in compagnia degli umani e spesso considerato parte stessa della famiglia, per non parlare dei campi di sterminio dei mattatoi, dove gli animali vengono fatti nascere con lo scopo di ucciderli e mangiarseli.
Ma ammesso che Gesù fosse stato indifferente verso la condizione degli animali e che, secondo le usanze ebraiche, usasse consumare carne, questo non autorizza il cristiano ad emulare solo l’aspetto alimentare tralasciando gli altri insegnamenti di povertà, mitezza e castità. Se Gesù avesse comandato di cedere il 10% del proprio guadagno ai poveri, o di astenersi dal sesso per un mese all’anno, quanti dei cristiani seguirebbero tale prescrizione? Il senso del Vangelo è quello di rendere l’essere umano più giusto, misericordioso, solidale, compassionevole. Ebbene, tutto questo è inconciliabile con lo scannatoio dei nostri fratelli animali.
Le due posizioni tra chi sostiene la legittimità di mangiare animali e chi invece si astiene per compassione e senso di giustizia mette a confronto due condizioni morali e spirituali. Il primo cerca giustificazioni per non rinunciare ad un piacere e al diritto di disporre della vita degli altri esseri viventi; i vegan fanno appello alla loro coscienza, al senso di giustizia, al valore della vita perché ritengono ingiusto, oltre che dannoso, fare ad altri ciò che non si vorrebbe per se stessi. Solo voler considerare valida la seconda opinione ci condanna all’insensibilità morale e all’ignoranza esistenziale.
Chi si rifiuta di accettare la realtà che “nulla è per sempre” non procede nella via della sua stessa evoluzione. Nulla è immutabile, eccetto lo stesso mutamento. La Chiesa stessa, l’istituzione più refrattaria ad ogni innovazione, ha sentito la necessità di superare regole un tempo considerate insuperabili, come l’esistenza del purgatorio, la schiavitù, le mire espansionistiche, l’uccisione di gente di fede diversa, la sottomissione al potere, la pena di morte, la tortura, il disprezzo per la donna, il divorzio ecc.
Tutto avanza e tutto si modifica. E’ stato quel che è stato, ma oggi siamo chiamati, da esseri pensanti, con un’apertura mentale più vasta ed una coscienza morale più evoluta, a non accettare passivamente ciò che viene tramandato come verità immutabile, consapevoli che ogni regola nasce da particolari esigenze storico/sociale di un popolo e occorre verificare criticamente se ciò che viene tramandato, anche come principio supremo, attua o no il bene della società in cui viene trasporto.
Il visionario regista James Cameronha annunciato quattro sequel del celebre Avatar, primo film interamente girato in 3D.
Durante il CinemaCon di Los Angeles, la convention annuale degli esercenti cinematografici statunitensi, è stata resa nota la notizia che il kolossal, che ha sbancato i botteghinicon 760 milioni di dollari solo negli Stati Uniti e 2,7 miliardi di dollari in tutto il mondo, non avrà tre sequel, ma quattro.
Per il primo capitolo della saga si dovrà aspettare dicembre 2018, mentre il secondo arriverà nelle sale nel dicembre 2020, il terzo si vedrà nel 2022, infine l’ultimo nel 2023. Ogni film sarà un’opera indipendente. I primi due capitoli saranno girati in Nuova Zelanda, le riprese del primo inizieranno tra pochi giorni. Si tratta di un progetto molto ambizioso, una saga epica, come ha precisato lo stesso regista, con diverse novità tecnologiche e un elevato indice di spettacolarità, per quanto riguarda l’impatto visivo, superando addirittura il primo film del 2009.
Girato tra gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda, Avatar costò 237 milioni di dollari, e fu distribuito nei cinema di tutto il mondo tra il 16 e il 18 dicembre 2009, proiettato sia in formato 2D, che in 3D e in 3D IMAX. Il film è stato stato pensato e realizzato per la visione in 3D ed è stato il primo ad utilizzare il nuovo logo della 20th Century Fox, animato da Blue SkyStudios. Avatar è composto per 60% da elementi virtuali creati al computer e per il restante 40% da elementi live-action. Il set, chiamato il "Volume", eraformato da un teatro vuoto dove gli attori, vestiti con tute e caschi speciali, giravano le scene del film, mentre delle particolari cineprese, progettate dallo stesso Cameron, riprendevano permettendo la visione in tempo reale in modo da poterne immediatamente correggere eventuali errori.
Avatarcandidato a 9 nomination, portò a casa 3 Premi Oscar, per la migliore fotografia, la migliore scenografia e i migliori effetti speciali.
Per i sequel la squadra di sceneggiatori ha lavoratoper costruirel’evoluzione dell’universo degli Avatar, creando l’atmosfera, l’ambiente, le creature, i personaggi, le nuove culture. Oltre Cameron, firma la sceneggiatura delle quattro pellicole: Rick Jaffa, Amanda Silver, Josh Friedman e Shane Salerno.
Nel cast ritroveremo Sam Worthington, Zoe Saldana, Stephen Lang e Sigourney Weaver.
James Cameron e Jon Landau sono i produttori per la Lightstorm Entertainment.
La specie umana è sicuramente quella che maggiormente utilizza il linguaggio verbale come strumento di comunicazione e di dialogo, mentre ogni altra specie vive gran parte della sua esistenza nel silenzio della sua intima natura. Nel corso della storia il valore del silenzio è stato evidenziato dai grandi mistici, santi e filosofi; molti hanno preceduto la loro missione da un rigoroso ritiro in solitudine. La necessità di raccogliersi in silenzio emerge anche quando si devono prendere decisioni importanti, o si cerca la strategia migliore per obiettivi da raggiungere.
Oggi il mondo affoga in torrenti, fiumi, oceani di parole. Estenuanti dibattiti su tutto, spesso inconcludenti, non consentono all’anima di esprimersi. C’è talmente tanta voglia di parlare che a volte più interlocutori monologano contemporaneamente. La nostra parte migliore languisce e a volte si spegne del tutto nel frastuono dell’espressione verbale che spesso preclude la percezione della vera conoscenza che trascende ogni linguaggio, perché è limitato, esclusivo, riduttivo ( mentre il pensiero è un vettore unidirezionale il sentire ha una valenza sferica).
Attraverso il silenzio, e il potere dell’intimo sentire, si possono superare le barriere delle distanze, delle lingue, della materia; si apre la porta della percezione che va oltre le parole e ci consente di approdare ad
orizzonti più vasti e profondi; l’uomo entra in contatto con la sua vera natura, con l’essenza stessa delle cose, e gli consente di vedere le cose con occhi diversi, nuovi e, se guarda un fiore, non vede più un fiore ma un miracolo vivente.
Il silenzio è una porta che apre alla preghiera, e la preghiera del cuore ha più valore della preghiera verbale. Solo nel silenzio si può sentire la voce di Dio: è la frequenza su cui Dio parla. Il cuore non ha bisogno di parole, non può esprimersi nel frastuono di elucubrazioni mentali: “Sia il vostro dire si si e no no, il resto viene dal Maligno”, diceva Gesù.
La preghiera è come un’invocazione che si espande oltre i limiti del Cosmo e ci sintonizza con l’ordine supremo delle cose. La libertà interiore è condizione primaria nella preghiera perché si possa stabilire una connessione con l’Assoluto. Ciò che conta nella preghiera non è le cose che si dicono ma l’ardore con cui si sentono. Occorre far il vuoto dentro di se stessi, liberi da ogni interferenza disarmonica dell’io e della singola tempesta mentale. Occorre pregare con il cuore più che con le labbra, con l’anima più che con la mente. La preghiera non è una recitazione delle nostre necessità: è un canto d’amore, di gratitudine che, in un cosmico abbraccio, si apre con amore e stupore verso tutto ciò che vive.
La canzone popolare romana è ben rappresentata dai ControCorente, progetto artistico composto da Mauro Delle Donne (voce, tamburello), Martino Cappelli (mandolino), Simone Pulvano (percussioni), Maurizio Trequattrini (basso, mandoloncello), Roberto Delle Donne (voce, chitarra) e Alessandro Severa (fisarmonica). Recentemente si sono esibiti in un concerto al Parco della Musica di Roma ed hanno letteralmente conquistato il pubblico, portando alto il valore della romanità. Il loro stile fonde la tradizione alla ricerca e sperimentazione sonora. Incontriamo per un’intervista uno dei componenti, Alessandro Severa, che quando suona diventa un tutt’uno con la sua fisarmonica. Severa è polistrumentista, suona anche il pianoforte e l'organetto 8 e 12 bassi, diplomato all'UM in hard disk recording e composizione, esperto in arrangiamento. Diplomato in musicoterapia attiva, è co-fondatore con Roberto e Mauro Delle Donne di ControCorente.
Con i ControCorente sei stato il protagonista di un concerto al Parco della Musica di Roma, un omaggio alle melodie della tradizione musicale e poetica romana. Un bilancio della serata e tue sensazioni.
“Serata magica quella del nove aprile. Ci siamo esibiti nella sala studio intitolata a Gianni Borgna, uomo di grande cultura e spessore umano. "Storia della canzone romana", di Gianni Micheli, è il testo principale a cui noi facciamo riferimento per il nostro lavoro di ricerca. L'edizione di cui disponiamo è a cura di Gianni Borgna. Prova ad immaginare per ControCorente cosa abbia potuto significare suonare in questa sala. Magia. La sala studio Borgna contiene trecentocinquanta posti. La sera del nove aprile era gremita di gente. Noi abbiamo dato tutto. E ci siamo emozionati e divertiti come sempre nell'interazione con il nostro pubblico. Per me e gli altri compagni di viaggio di ControCorente l'eco di questo evento rimarrà a lungo nel cuore. Credo di poter dire lo stesso per chi era lì ad ascoltarci. Gli attestati di stima del nostro pubblico si sono manifestati prima con un lungo applauso carico di passione a termine del concerto. Proseguiti poi con numerosi interventi sulla nostra pagina facebook. Sensazioni davvero buone quindi. Sono felice di dirti che la barca di ControCorente naviga a vele spiegate e, "paradossalmente", a favore di vento.”
Nel brano ‘Fiori de malavita’ raccontate il dolore di un detenuto rispetto alla sua condizione carceraria, come è nata questa particolare composizione musicale?
“‘Fiori de malavita’ è l'unico brano a oggi del repertorio di ControCorente composto da noi. Si tratta di antichi fiori in ottava rima trasmessi oralmente da detenuti a Regina Coeli. Chi li abbia trascritti non è a noi noto. Mauro Delle Donne li ha prima selezionati. Io e Roberto Delle Donne li abbiamo poi musicati. Il nostro obiettivo era quello di creare una veste dal profumo tradizionale, utilizzando allo stesso tempo elementi e caratteri compositivi di oggi. Io non posso dire se ci siamo riusciti o meno. Quello che posso dire è che quando la suoniamo mi emoziona sempre come fosse la prima volta. E credo questa sia cosa bella. Abbiamo scelto di raccontare il dolore di un detenuto perché spesso la vita è sofferenza. Ma, forse, è proprio nella sofferenza che l'essere umano ha la possibilità di crescere, mostrando tutta la sua dignità in quanto tale.”
Alcune tematiche ricordano le parole di Romolo Balzani su Roma, il Tevere, le carceri. C’è qualche sinergia con questo antico autore che ha incarnato la romanità?
“Molte, anche se a oggi non abbiamo nessuna delle sue canzoni in repertorio. Il nostro nome viene dal testo della sua composizione più nota, Barcarolo romano. Romolo Balzani era un romano autentico. A proposito di sofferenza, lui ne ha vissuta molta. Ma alla fine è diventato un campione di umanità. E la gente lo seguiva in ogni teatro italiano in cui si esibiva. Addirittura successivamente ha esportato il suo lavoro nel mondo. Io ho avuto uno zio che nella mia infanzia è stato un riferimento per me: zio Fausto. Lui, come Romolo Balzani, era un romano vero. I due erano amici. C'è un antico modo di dire a Roma: "Nun'è romano chi a Roma nasce, ma chi da romano agisce". Romolo Balzani era un uomo del popolo. Anche io lo sono, così come il resto di ControCorente. E' molto probabile che in repertorio inseriremo una sua composizione: L'eco der core. Canzone fantastica, ricca di passione per Roma, la vita e l'amore.”
Ritieni che la fisarmonica sia più uno strumento classico o contemporaneo? Che considerazione hai della versione elettronica?
“La fisarmonica è uno strumento davvero speciale. E' abbastanza recente di nascita, avendo meno di duecento anni. Arriva a sostituire nella musica popolare strumenti antichi come zampogna e ciaramella. E' assai
I ControCorente |
versatile, e in grado di eseguire qualsiasi tipo di repertorio. Ormai da anni è presente anche nei conservatori. Credo che la fisarmonica possa essere considerata uno strumento contemporaneo e classico allo stesso momento. La versione elettronica non l'ho mai sperimentata. In generale non sono affatto contrario al suo uso. Se utile ad esprimere creatività e fantasia, per me è la benvenuta.”
Che cosa provi quando suoni? Cosa si instaura tra te e lo strumento?
“Principalmente, l'incontro con me stesso. Tutto emerge quando suono. Credo ci sia una stretta relazione tra il suonare e il movimento. E' una percezione fisica da non delegare alla vista, ma ad altri sensi. Al tatto, all'udito e, in un certo senso, a una sorta di terzo occhio che vede e osserva ogni cosa, senza realmente vedere come normalmente si è soliti fare. Quando suono posso percepire ogni mia singola parte, sia fisica che mentale. Spesso mi capita proprio di chiuderli gli occhi. Poi, abbandono tutto e m'immergo nel suono-movimento globale, di cui sono un elemento. E' una grande esperienza di crescita personale e di compartecipazione con gli altri, compreso il pubblico. Tra me e lo strumento una relazione di fusione totale. Siamo un'unica entità, nel bene e nel male.”
Progetti futuri?
“Musicalmente concentrato sul progetto ControCorente. Stiamo pensando alla realizzazione del nostro terzo cd. Sarà un lavoro speciale e delicato per noi, perché rappresenta il ponte verso il nostro futuro, che vedrà maggiore nostra composizione ed evoluzione nelle sonorità. Da circa un anno abbiamo introdotto nell'organico Maurizio Trequattrini al basso elettrico e mandoloncello, e Simone Pulvano alle percussioni. Due splendidi personaggi ancora prima che musicisti. Quindi, questo terzo cd sarà un passaggio, un’evoluzione di ControCorente. Siamo certi che la musica di tradizione può essere alimentata solo con la novità e il cambiamento.
Sempre musicalmente sono impegnato con grande piacere in un altro progetto che è quello della Med Free Orkestra. Una Banda di diciassette elementi fantastici. Con loro ho avuto opportunità di suonare nel concertone del primo maggio a Roma da piazza san Giovanni lo scorso anno. Esperienza unica. Della Med Free sta per uscire anche il nuovo cd, dal titolo Tonnosubito. Un lavoro molto interessante, da seguire assolutamente, che ha visto la partecipazione tra gli altri di musicisti come Fabrizio Bosso e Javier Girotto. In questi giorni stiamo anche girando il videoclip con la Med. Non appena avrò un link dove vedere, non mancherò di segnalartelo.
Infine curo con grande piacere e soddisfazione personale quella che è l'altra mia attività: la Musicoterapia. E qui mi fermo, ringraziando te per l'opportunità offertami e i lettori per il tempo speso.”
Scambio di accuse tra Armenia e Azerbaijan; l'espansionismo turco e il pragmatismo russo evidenziano l'ennesimo fallimento europeo
Le ultime tensioni tra Mosca e Ankara erano emerse il 24 novembre 2015, quando la contraerea turca aveva abbattuto un jet russo, a margine, per così dire, del conflitto siriano. Al primo aprile, questo è lo scacchiere regionale. A 22 anni dal cessate il fuoco, nuovi scontri si sono verificati tra Armenia e Azerbaijan nel Nagorno-Karabakh, enclave a maggioranza armena e cristiana in territorio azero, la cui indipendenza, proclamata nel 1991, non è riconosciuta dalla comunità internazionale. Dopo il Medio Oriente, anche il Caucaso è dunque (di nuovo) campo di battaglia per la supremazia regionale di Russia e Turchia, senza trascurare il potenziale ruolo dell'Iran, parzialmente riammesso nella comunità internazionale dall'accordo sul programma nucleare e dal suo potenziale apporto alla guerra contro i cartelli del jihad in Siria e Iraq. In tale contesto, la componente etnica e confessionale del Nagorno-Karabakh fa da corollario al dedalo intricato di relazioni internazionali che si è andato instaurando dal crollo dell'Unione Sovietica. Un discorso che vale per il Caucaso, (dove si trovano anche Cecenia, Ossezia e Daghestan), come per i Balcani, non a caso due significative sacche di reclutamento di foreign fighters per l'autoproclamato Stato islamico (Daech).
Il Nagorno-Karabakh è al centro di contese territoriali sin dal suo tentativo di secessione del 1988, quando era ancora una delle Oblast autonome dell'URSS, come Cecenia, Ossezia del Nord e Ossezia del Sud. La politica demografica dell'allora segretario generale del Partito comunista e Presidente del consiglio dei ministri dell'Unione Sovietica Iosif Stalin consisteva nell'ostacolare in tutti i modi la formazione di territori etnicamente compatti, in quanto potenziale fattore di disgregazione. Così, il Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena ma in pieno territorio azero, è rimasto integrato nella compagine sovietica fino al suo dissolvimento. Nel 1991, quando sia Armenia che Azerbaijan hanno proclamato la loro indipendenza, la contesa territoriale è sfociata in una guerra che, secondo le stime, ha provocato circa 30mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Un ruolo non indifferente nel raggiungimento della tregua, siglata nel 1994 a Mosca, è stato giocato dall'Iran, che allora dovette fronteggiare la reazione della propria opinione pubblica, in particolare della numerosa minoranza azera che ancora abita nel suo territorio (16% circa della popolazione totale) e che chiedeva a Tehran di sostenere i “fratelli” sciiti azeri contro gli “infedeli” armeni. Gli Azeri, sia in Iran che in Azerbaijan, sono infatti in larga maggioranza musulmani sciiti duodecimani, la stessa religione ufficiale della Repubblica islamica.
Al di là degli sforzi del Gruppo di Minsk, istituito nel 1992 dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) per favorire una soluzione diplomatica del conflitto nel Nagorno-Karabakh, a rivendicare il ruolo di arbitro erano (e sono ancora) due potenze regionali rivali: Turchia e Russia, entrambe consapevoli della posizione strategica del Caucaso, ricco di gas naturale e passaggio ideale per i gasdotti verso l'Europa. Ankara, che ha con gli Azeri (popolazione di ceppo turco) profondi legami etnici, e con l'Armenia un'altrettanto profonda e storica inimicizia, sostiene Baku, con cui si è apertamente schierata anche la scorsa settimana. La Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan, inoltre, è preda di deliri espansionistici e nostalgie ottomane, come ha ampiamente dimostrato a proposito della guerra in Siria, che per lui si riduce sostanzialmente alla guerra contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Mosca, dal canto suo, storicamente alleata dell'Armenia nel conflitto con l'Azerbaijan, negli ultimi giorni ha dato prova di un “impeccabile” pragmatismo politico: il Primo ministro Dimitri Medvedev, pur chiedendo a entrambe le parti di porre fine alle ostilità, ha dichiarato che la Russia continuerà a essere il primo esportatore di armi sia in Armenia che in Azerbaijan. In caso contrario, ha spiegato, qualche altro attore regionale potrebbe soppiantarla, distruggendo definitivamente l'equilibrio di forze (peraltro alquanto dinamico) in atto. “Le armi”, ha aggiunto Medvedev, “si possono e si dovrebbero comprare non solo per essere un giorno utilizzate, ma anche come fattore di deterrenza”. Il Cremlino, intanto, offre un contributo significativo alla guerra contro i cartelli del jihad, anche per motivi interni: l'immediato antecedente del cosiddetto “califfato” di Daech è stato fondato nel 2007 in Cecenia, altro territorio caucasico conflittuale. Si tratta dell'organizzazione di Doku Umarov, ucciso dall'intelligence russa nel 2013, in Qatar, e sostituito da Abu Muhammad al-Qatari.
Il 3 aprile l'Azerbaijan ha annunciato unilateralmente un cessate il fuoco e, due giorni dopo, è entrata in vigore una tregua, prodotto della mediazione russa. Ma le accuse reciproche di violazioni e gli scambi di artiglieria suscitano non pochi timori, soprattutto perché l'Unione Europea è oggi molto più debole di quanto non lo fosse negli anni '90, quando sperava di poter costituire un blocco geopolitico in grado di far pesare le proprie decisioni sul piano internazionale.
Nella splendida cornice del Salone di Raffaello nella Pinacoteca Vaticana, il Prof Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed il Col. Christoph Graf, Comandate della Guardia Svizzera Pontificia, hanno presentato THE LIFE OF A SWISS GUARD mostra fotografica allestita presso il Cortile delle Corazze dei Musei Vaticani,dedicata all’illustre corpo della Guardia Svizzera Pontificia al servizio del Santo Padre da oltre 500 anni.
In questa speciale occasione, il Corpo armato, viene presentato attraverso ottantasei scatti in bianco/nero e colore realizzati dal fotografo Fabio Mantegna e l’esposizione di divise ed oggetti che documentano la sua lunga storia.
“ Non potevano che essere i Musei Vaticani ad ospitare una mostra che presenti il glorioso Corpo della Guardia Svizzera Pontificia” afferma il Prof Antonio Paolucci,”gli scatti artistici di Fabio Mantegna che raccontano una storia nobile e antica, ma anche la bella giovinezza di un gruppo di ragazzi al servizio del Papa di Roma, orgogliosi e onorati del ruolo che rappresentano e del servizio al quale sono chiamati: il senso del dovere e l’umanità d’accenti si mescolano ai sogni, all’entusiasmo e alla speranza che hanno tutti i ragazzi del mondo a vent’anni”
“ Essere Guardia Svizzera è una vocazione” dichiara il Col. Christoph Graf, “ occorrono fede e profonda convinzione per svolgere questo impegno straordinario e nobile. Giorno e notte siamo vicini al Santo Padre e cerchiamo, attraverso il nostro servizio, di garantirgli la tranquillità e la sicurezza di cui ha bisogno per svolgere il suo ministero di Successore di Pietro”
Si può ben comprendere quanto sopra dichiarato evocando il terribile Maggio 1527, il Sacco di Roma, quando quattordicimila lanzichenecchi, in buona parte luterani, guidati da Georg von Frundsberg, diedero l’assalto ai Palazzi Apostolici. A difenderli vi erano centoquarantasette soldati svizzeri. Fu uno scontro feroce, all’arma bianca, al termine del quale tutti gli svizzeri del Papa risultarono morti. Fra gli altri anche il capitano Kaspar Roist che si era immolato con i suoi soldati per permettere a Papa Clemente VII di ritirarsi, nell’inespugnabile Castel Sant’Angelo.
La ricca mostra, realizzata grazie alla generosa disponibilità del Capitolo della California dei Patrons of the Arts dei Musei Vaticani e curata da Romina Cometti dell’Ufficio Patrons of Arts diretto da P. Mark Haydu, offrirà per la prima volta una rara visione dell’affascinante storia della Guardia Svizzera.
Il catalogo fotografico ,realizzato grazie ai Patrons Of The Arts della California, viene pubblicato in un’unica edizione in tre lingue, inglese, italiano e tedesco.
L’esposizione rimarrà aperta al pubblico fino al 12 Giugno del 2016 e sarà accessibile gratuitamente essendo compresa nel percorso ordinario di visita secondo i consueti orari di apertura e chiusura dei Musei Vaticani (www.museivaticani.va)
Smetto Quando Voglio è l’opera prima del regista salernitano, Sydney Sibilia, che,dopo l’inaspettato riscontro di pubblico e critica ottenuto dalla prima pellicola, di cui ha firmato anche la sceneggiatura, non riesce più a “smettere” e torna dietro la macchina da presa. Diventato già un cult, il film, tra i maggiori successi del 2014,si è aggiudicato un Globo d’Oro, due Ciak d’Oro e ben 12 nomination ai David di Donatello, con un meritato secondo posto nella classifica di incassi e presenze. La fortunata pellicola, simbolo di una generazione di precari, ricercatori geniali sfruttati da una società che non perdona e li tiene ai margini, ora diventa una saga: Smetto Quando Voglio – La Trilogia. Ritroveremo così al cinema la banda bizzarra e sconclusionata che inventò e mise in commercio una “droga legale”, con l’avvicendarsi di situazioni grottesche e paradossali, condite da un’ironia graffiante e battute esilaranti.
Il secondo e terzo capitolo della “saga comedy” saranno giratiin contemporanea tra Roma, Lagos e Bangkok, per la durata di 16 settimane di lavorazione. Squadra vincente non si cambia ed ecco quindi la banda dei sette laureati con: Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia e Pietro Sermonti, insieme a Neri Marcorè e Valeria Solarino.Stesso cast con nuovi laureati, esperti nelle più disparate discipline. Sydney Sibilia, Francesca Manieri e Luigi Di Capua, uno dei membri del gruppo comico The Pills, firmano la sceneggiatura di questa attesissima Trilogia, per una produzione Groenlandia, Fandango con Rai Cinema, prodotto da Domenico Procacci e Matteo Rovere, quest’ultimo nelle sale con Veloce come il vento. La fotografia è di VladanRadovic, il montaggio di Gianni Vezzosi, le scene di Alessandro Vannucci, i costumi di Patrizia Mazzon e il suono di Angelo Bonanni.
Il primo dei due film uscirà al cinema il 2 febbraio 2017 distribuito da 01 Distribution.
Quando si parla di agricoltura biodinamica applicata alla viticoltura viene da pensare immediatamente alla Tenuta Alois Lageder in Alto Adige. Perché è un’azienda che da molti anni ha basato la sua produzione sulla visione antroposofica del mondo ovvero sulla base di quel percorso spirituale e filosofico imperniato sugli insegnamenti del filosofo ed esoterista Rudolf Steiner. L’approccio olistico, che spesso suscita confusione e scetticismo, in buona sostanza sancisce la necessità di intervenire per arrivare ad una unica finalità: un unico sistema costituito dal suolo e la vita che si sviluppa su di esso (in questo caso la crescita della vite).
Ogni anno, da ben 18 anni consecutivi con il nome Summa, Magré sulla Strada del Vino in Alto Adige ospita l’Evento Biodinamico più esclusivo a livello europeo se non mondiale. Appuntamento non solo per i “seguaci” di questa filosofia applicata alla produzione del vino ma per tutti i Wine Lovers che ricercano nelle stanze del Palazzo Casòn Hirschprunn le “chicche” da riportare come veri “trofei” del buon bere. Sì perché è il Buon Bere che unisce in quei tre giorni sia gli scettici che i fedeli.
Perché Summa? C’è un nesso con la Biodinamica? Perché 16 e non 18 visto che tale è il numero degli eventi con questo nome?
Partiamo da quest’ultimo interrogativo. 16 sta per 2016 e non credo possano esistere altre interpretazioni. Su il perché la Manifestazione si chiama Summa la risposta è molto più articolata. Bisogna ripercorrere la sua Storia, il progetto di Alois Lageder e di sua moglie Veronika fin dalle prime battute della loro narrazione.
“Devo premettere che, inizialmente, avevamo battezzato l’evento con il nome di Vinal,con l’intento di creare un collegamento tra Vinitaly (Vin) e Alois Lageder (al) – così inizia il racconto di Alois – In seguito e per diversi anni la Manifestazione è stata chiamata Quintett poiché eravamo partiti dall’idea di invitare alla nostra Tenuta cinque vignaioli da altrettante zone di produzione diverse”.
Poi ogni anno la richiesta di partecipazione è aumentata e, di conseguenza, il nome Quintett risultava di fatto superato. Serviva qualcosa di diverso, non banale, non scontato. E come sempre accade fu un caso fortuito a suggerirlo ai coniugi Lageder.
Il racconto di Alois continua:“ Una sera, mia moglie Veronika ed io, entrambi appassionati di musica contemporanea, eravamo immersi nelle note del compositore estone Arvo Pärt e stavamo rimuginando proprio sul nuovo nome da dare all’evento. VeroniKa per combinazione, consultò la custodia del CD per leggere il titolo del brano che stavamo ascoltando. “Summa for Strings”: ci guardammo negli occhi e fu chiaro ad entrambi che avevamo finalmente trovato il nome giusto”.
“Il termine SUMMA deriva dal latino e significa somma o tonalità – continua Alois per dare l’interpretazione giusta e far capire il legame tra nome ed evento – Lo si può interpretare in due accezioni diverse: da un lato in senso enciclopedico, ossia come qualcosa che abbraccia tutto lo scibile e l’esistente, ma dall’altra anche il senso di coglierne e sintetizzare gli aspetti essenziali”.
Essenza; da lì la convinzione a scegliere quel nome, il collegamento con l’Evento ovvero incontro tra vignaioli che fanno emergere dalla loro produzione l’eccellenza tramite la ricerca delle varietà. Una somma o SUMMA di aspetti essenziali. E si capisce la spiritualità e filosofia.
L’edizione 2016 assume una conformazione internazionale “sconfinando” dai limiti geografici europei. Ai vignerons provenienti da Italia, Francia, Austria, Germania si aggiungono alcuni provenienti da Australia e Nuova Zelanda. In tutto ben 60 produttori d’eccellenza a presentare il meglio della produzione biodinamica nel mondo.
Manifestazione certificata Green Event che propone come sempre un programma scandito da degustazioni di raffinate etichette, inclusi i vini certificati Demeter, verticali e seminari, gastronomia di pregio e visite guidate alla cantina Lageder ed ai suoi vigneti.
Non ultimo il progetto di solidarietà che la Famiglia Lageder porta avanti da quasi quindici anni: devolvere parte del ricavato all’associazione umanitaria “Casa della Solidarietà”. Un aiuto concreto per anziani, bambini e giovani provenienti da situazioni familiari difficili assicurando un posto decente dove vivere e continuare a credere nella vita.
Tutto questo è Summa 16 dal 9 all’11 Aprile a Magré in Alto Adige.
Dimenticavo di segnalare il consiglio di Alois Lageder. Summa 16 è certificata Green Event da parte dell’Agenzia Provinciale altoatesina dell’Ambiente. Necessaria la particolare attenzione alla mobilità sostenibile. Servizio navetta dai parking affidato agli innovativi veicoli a idrogeno dell’Istituto per Innovazioni Tecnologiche Bolzano, dalla Stazione ferrovioraria di Magré-Cortaccia-Cortina s.s.v, con corse da Bolzano, Trento e Verona e dallo speciale collegamento a.r tramite Bus con l’area fieristica di Verona. Info su tutto questo nel sito ufficiale
Alois Lageder (a sin:) con Urano Cupisti |
del Summa 16.
C’è sempre un nesso, un fondamento nelle Storie miste a leggende. Musica, Vino, Arte, Creatività, Progettualità e Comunicazione universale. E Alois Lageder, con il suo SUMMA, ne è un interprete.
L'estrazione del prezioso minerale, indispensabile per la fabbricazione di prodotti high-tech, alimenta guerra e sfruttamento nella Repubblica Democratica del Congo
Coltan è l'acronimo con cui è nota una varietà di columbite-tantalite relativamente ricca di tantalio, prodotta in Australia, ma, soprattutto, nella Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire e fino al 1960 colonia belga. Nelle foreste pluviali di questo paese, situate nelle regioni confinanti con Ruanda e Uganda, migliaia di persone, armate di machete, ascia, pala e qualche panno, lavorano in assenza di tutele e a ritmi disumani, per estrarre il prezioso e raro minerale. Molti sono bambini, le cui dimensioni consentono loro di penetrare in profondità nelle miniere. Il mercato del coltan, inoltre, ha dato vita a una serie di “attività collaterali”, come quelle di chi affitta stanze, spesso con prostitute incluse nel prezzo, o di chi “protegge” i minatori dalle bande di rapinatori, all'interno di una sorta di racket delle estorsioni: sia le stanze, che le prostitute, che le milizie armate sono a carico del lavoratore. Così, anche se le retribuzioni sono le più alte del paese, una grossa fetta finisce nelle tasche di trafficanti (di donne) e formazioni armate.
I conflitti che hanno interessato il paese negli ultimi decenni, culminati con una crisi umanitaria ancora in corso, non hanno ricevuto sufficiente attenzione da parte della comunità internazionale, a parte le opere di mediazione sfociate in fragili tregue (la situazione, soprattutto nelle province orientali resta tesa). Basti pensare che uno di questi conflitti si è verificato negli anni '90, lo stesso decennio che ha visto crescere le vendite di coltan del 300 percento. Questo minerale, o meglio il tantalio che contiene, è indispensabile per la fabbricazione di prodotti come telefoni cellulari, satelliti, televisori al plasma, dispositivi MP3 e MP4, fotocamere, ma anche i sistemi computerizzati di razzi spaziali e missili e, in generale, i sistemi elettronici militari. Tutti prodotti che alimentano una parte consistente del mercato internazionale. A nulla sono servite le segnalazioni da parte di organizzazioni umanitarie sul fatto che l'esercito del Ruanda, quando controllava la regione del Kivu, avesse sfruttato prigionieri di guerra per il lavoro nelle miniere. Anzi, la stessa caccia al coltan ha alimentato le rivalità tra fazioni, in parte perché ha reso economicamente strategiche le aree ricche di questo minerale, in parte perché le milizie armate spesso controllavano direttamente le miniere.
Ugualmente devastante l'impatto delle estrazioni di coltan sulle foreste pluviali e, in generale, sull'ecosistema del paese. Per scavare le miniere, infatti, è necessario disboscare, quindi privare la fauna locale del suo habitat naturale. Si stima che la popolazione degli elefanti sia diminuita dell'80 percento, mentre quella degli elefanti ha subito una flessione del 90 percento. Inoltre, il lavoro nelle miniere, che può fruttare dai 10 ai 50 dollari la settimana (quando lo stipendio medio è di 10 dollari al mese), ha provocato il crollo della produzione agricola, impedendo alla popolazione di conquistare la sicurezza alimentare. Per lo stesso motivo, molti bambini abbandonano la scuola per fare i minatori, un ulteriore colpo all'economia. Anche se l'era del colonialismo è finita, la decolonizzazione non è stata un processo verso l'autosufficienza, come aveva auspicato per l'Africa l'ex presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, ucciso nel 1987 nel colpo di stato organizzato dal suo ex alleato Blaise Compaore. Il coltan, come il petrolio libico o gli scisti bituminosi del Congo Brazzaville, fa gola a multinazionali che trattano prodotti di fondamentale importanza per i mercati internazionali. Lo stesso meccanismo che privilegia agricoltura e pesca industriali, basate sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, rispetto a quelle su scala familiare, che al contrario potrebbero creare uno sviluppo solido ed ecosostenibile.