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È denso di impegni il maggio dei Musei Vaticani, si susseguono a raffica presentazioni di eventi, di pubblicazioni e di restauri.
Sei milioni di visitatori all’anno marciano verso la Cappella Sistina attraverso il percorso obbligato delle Gallerie. Circa trecento metri la distanza da coprire suddivisa in tre parti: Galleria dei Candelabri, Galleria degli Arazzi e Galleria delle Carte Geografiche. La prima e l’ultima, sono state oggetto di restauro, che ha riguardato, in particolare, le superfici dipinte.
La Galleria delle Carte Geografiche è quella che attira maggiormente la meraviglia dei turisti, coinvolti in un turbinio di colori, fra tutti, sovrasta il blu profondo dei mari e poi gli stucchi e le grottesche sulla volta.
É Gregorio XIII Boncompagni, il papa che ha introdotto il calendario gregoriano nel 1582 e che ha fondato l’osservatorio astronomico del Vaticano, ad aver commissionato la decorazione della Galleria. Era l’epoca delle scoperte geografiche che avevano determinato anche la moda di decorare con le carte le dimore gentilizie.
La progettazione viene affidata al cartografo, domenicano, perugino, Egnazio Danti, mentre l’esecuzione, tra il 1580 e il 1581, spetta ad un gruppo di pittori manieristi tra i quali l’orvietano Cesare Nebbia e il bresciano Girolamo Muziano, protagonisti della storia della pittura, profondamente trasformata, dai dettami del Concilio di Trento e paesaggisti fiamminghi come Paul Bril.
A lato della porta di entrata, la memoria della Battaglia di Lepanto vinta da Marcantonio Colonna nel 1571 contro la flotta turca, a seguire, sulla sinistra, la carta dedicata alla città papale di Avignone, quindi si entra in Italia. La si percorre tutta, da sud a nord, costeggiando sulla sinistra le coste tirreniche, mentre sulla destra quelle adriatiche. Alla fine l’Italia intera, antica a destra, nuova a sinistra, guardando la porta d’uscita, circondata dalle quattro città portuali più importanti: a destra Venezia, con piazza S. Marco in evidenza ed Ancona, a sinistra Genova e Civitavecchia.
Carta raffigurante l'Italia Antiqua |
Diverse sono le curiosità, le più macroscopiche sono l’inversione dell’orientamento sud-nord di alcune carte e la presenza della Corsica, non ancora francese. Nelle carte sono riportate le scale metriche e sono segnate le città e i paesi più importanti, illustrati in dettaglio in riquadri interni che mostrano le mappe topografiche. Dei cartigli spiegano gli episodi storici salienti che vi sono riportati, ad esempio la battaglia tra Annibale e l’esercito romano presso il lago Trasimeno nel III secolo a.C.
Il restauro ha riguardato la pittura, realizzata sia con la tecnica ad affresco sia a secco, soprattutto per quanto riguarda i particolari, per le dorature è stata usata la tecnica a missione. La decorazione è stata restaurata più volte, a partire già poco tempo dopo l’esecuzione, probabilmente, proprio la velocità di quest’ultima, ha determinato i problemi di adesione che hanno reso necessari i diversi restauri.
Le indagini diagnostiche hanno portato all’identificazione dei pigmenti e anche dell’adesivo/consolidante funori, un polisaccaride estratto dall’alga rossa Gloiopeltis furcata presente nell’Oceano Pacifico, estremamente costoso. Per questo il Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro dei Musei Vaticani ha messo a punto un sistema di estrazione e purificazione per contenere la spesa.
La Galleria dei Candelabri, invece, deve il suo nome alle coppie di candelabri marmorei, ai lati di ogni arco, che suddivide in sezioni il corridoio. Lo spazio è fittamente stipato di sculture, sarcofagi, vasi e urne di marmo, che offrono esempi di tutti i diversi tipi di questo materiale. Le opere fanno parte del Museo Pio Clementino, una delle grandi collezioni di arte antica dei Musei Vaticani. Il restauro ha riguardato la decorazione pittorica della volta, realizzata alla fine del XIX secolo per volere di Leone XIII, autore nel 1891 dell’enciclica Rerum Novarum, fondamento teorico della dottrina sociale cattolica.
Lo stemma del papa affiancato dalle personificazioni delle virtù Fortezza e Prudenza, campeggia sulla volta all’ingresso, nella sezione successiva sono raffigurate tutte le arti benedette dalla Religione, compresa la moderna fotografia, rappresentata da una vecchia macchina, che ha l’aspetto di una scatola con un obiettivo. Una delle due scene laterali, ricorda l’ingresso nelle collezioni papali del grande dipinto che celebra la vittoria del re polacco Giovanni III Sobieski sull’armata turca a Vienna nel 1683, esposto in una delle sale dell’ex appartamento di S. Pio V a cui ha dato il nome. Dopo le arti è l’allegoria della storia protagonista nella sezione seguente. Poi è ricordata la monumentale e onnicomprensiva opera speculativa di S. Tommaso d’Aquino. La penultima campata è decorata con scene più piccole a monocromo, mentre nell’ultima, con motivi decorativi, si trova il busto del papa, affiancato dalle personificazioni di Teologia e Poesia.
Gli autori sono il perugino Annibale Angelini, il romano di padre bavarese Ludovico Seitz e il Romano Torti. Angelini, oltre che pittore è anche scenografo, restauratore e decoratore, allievo del pittore romantico Tommaso Minardi, ha lavorato per le famiglie nobili, a Roma restano sue testimonianze anche al Palazzo del Quirinale, e alcune “miniature” nella cupola di S. Pietro in Vaticano, ha insegnato prospettiva presso l’Accademia di S. Luca. Seitz, figlio d’arte, risente dell’influenza dei pittori nazareni Overbeck e Cornelius, ha decorato diverse chiese romane, è stato membro della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon e dell’Accademia di S. Luca, nel 1887 è stato nominato Ispettore delle Pitture dei Sacri Palazzi Apostolici, nel 1894 Direttore delle Gallerie Pontificie. Torti ha lavorato a Nepi, a Frascati, a Piazzola sul Brenta e a Fassolo vicino Genova.
Frutto del restauro, consistito nella spolveratura, nel fissaggio della pellicola pittorica e delle dorature, nella pulitura, nel stuccatura delle lacune e consolidamento degli intonaci e nella presentazione estetica, sarà la pubblicazione di prossima edizione, corredata anche di ricerche d’archivio e bibliografiche.
Pensi alle malefatte della curia, allo sperpero di denaro dei vescovi, ai preti pedofili e non a chi dimostra sensibilità, compassione e amore per tutti gli esseri viventi.
Pare stia diventando un’ossessione, ma papa Francesco (che di Francesco ha solo il nome) torna a prendersela con chi si interessa di animali accusandoli di trascurare le esigenze degli umani, cioè sottraendo beni ed energie che dovrebbero essere ad esclusivo vantaggio degli umani.
Quando e dove ha visto un animalista negare il proprio aiuto agli umani? Noi non dividiamo a metà le nostre risorse ma moltiplichiamo il nostro impegno a vantaggio degli uni e degli altri; per questo la coscienza animalista/vegana è su livelli evolutivi ampiamente diversi.
La nostra compassione non si limita alle necessità degli uomini ma si allarga a raggiera verso ogni essere vivente. E se è vero che Dio ama tutte le cose il nostro amare è più vicino al modo di amare Dio.
Il papa invita ad interessarsi solo degli umani (crudeli, guerrafondai, stupratori, assassini, falsi, ipocriti, bugiardi ecc.) invece di animali semplici, leali, miti, generosi ecc., cioè di chi da millenni (anche o soprattutto a causa della Chiesa) ha condannato ad un inferno inimmaginabile miliardi di miliardi di creature innocenti, per soddisfare l’egoismo e la crapula umana.
Possibile che questo papa non capisca che l’etica animalista è un una rivoluzione inarrestabile? Che ciò che ha impedito e impedisce l’evoluzione civile, morale e spirituale degli esseri umani è la capacità di differenziare sofferenza umana da sofferenza animale, compassione umana da compassione animale, giustizia umana da giustizia animale e che questo abitua l’uomo alla legge del forte sul debole, alla violenza, alla tirannia, alla guerra? Possibile che non capisca che è proprio il consumo di carne con quello che richiedono gli allevamenti (quindi l’indifferenza verso la condizione animale) la principale causa della fame nel mondo?
Propongo alle associazioni animaliste e vegetariane di attivarsi in una capillare campagna di reazione al ripetuto attacco del papa verso chi dona amore anche agli animali. Una petizione che inviti i potenziali cattolici a spostare il loro interesse verso religioni più rispettose del mondo animale e soprattutto faccia in modo che nessuno dei parenti e amici versi l’8 per mille alla chiesa del papa specista.
“Quando la morale sociale è superiore alla morale religiosa, quella religione è perduta” (Pierre Teilhard de Chardin, gesuita, filosofo e paleontologo francese).
E’ partita l’11 Maggio 2016 la nuova edizione di uno dei più importanti e prestigiosi eventi cinematografici internazionali: il Festival di Cannes, sotto la direzione artistica di Thierry Frémaux. Le migliori pellicole d’autore e un red carpet affollato di divi del grande schermo, tra cui Jessica Chastain, Susan Sarandon, Lily Donaldson, Julianne Moore, Eva Longoria, Julia Roberts, George Clooney, Steven Spielberg e Jodie Foster, questo e molto altro rende la kermesse uno degli appuntamenti più attesi e mondani dell’anno.
In programma, dall’11 al 22 maggio, 21 film provenienti da 14 Paesi.
L’apertura della Croisette, tra imponenti misure di sicurezza, è stata inaugurata dalla commedia malinconica e romantica, Café Society, che segna un ritorno al passato del suo regista, Woody Allen, presente insieme alle protagoniste Kristen Stewart e Blake Lively. Primo film in Concorso è Sieranevada di Cristi Puiu, mentre Fuori Concorso troviamo alcuni grandi nomi: il Premio Oscar Steven Spielberg, con il film per ragazzi GGG – Il Grande Gigante Gentile; Jodie Foster in veste di regista della pellicola Money Monster; Jim Jarmusch alle prese con un documentario sulla rockstar Iggy Pop e in concorso con il film Paterson. E ancora: Alejandro Jodorowsky con Poesìa sin fin; Paul Vecchiali con Le cancro; il coreano Park Chan-Wook presenta Agassi; Jeff Nichols arriva con il suo Loving; il rumeno Cristian Mungiu presente con Bacalaureat; il ritorno del regista britannico Ken Loach con I, Damien Blake, un intenso film/denuncia sulla poetica disperazione degli ultimi, degli invisibili, schiacciati dall’iniquo e paradossale sistema previdenziale del loro Paese; e l’attesissimo e favorito film di Pedro Almodovar, Julieta. Per l’Italia troviamo il noir di Stefano Mordini, Pericle il nero, unico film italiano presente nella selezione ufficiale dedicata alle nuove tendenze contemporanee, Un Certain Regard, tratto dal romanzo cult di Giuseppe Farrandino, con Riccardo Scamarcio e prodotto da Valeria Golino, presente tra i membri della giuria, presieduta da George Miller, regista di Mad Max. Altri film italiani sono presenti nelle sezioni collaterali: la produzione italo-greca L’ultima spiaggia dei registi Davide Del Degan e Thanos Anastopoulos, che racconta i cambiamenti di una piccola città stravolta dall’arrivo dei migranti; nella Quinzaine dei Realisaterus, Fai bei sogni di Marco Bellocchio, ispirata all’omonimo best seller di Gramellini, con Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo; La Pazza Gioia di Paolo Virzì con protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti; Fiore di Claudio Giovannesi con Valerio Mastandrea e Daphne Scoccia; nella Semaine de la critique troviamo I Tempi felici verranno presto di Alessandro Comodin. In pole position per la critica, i fratelli Dardenne con La fille inconnue, il canadese Xavier Dolan con Juste la fin du monde, e Olivier Assyas con Personal Shopper, anche questo interpretato da Kristen Stewart. Infine, il lungometraggio The Last Face, diretto da Sean Penn, presentato in anteprima a Cannes, con protagonisti Charlize Theron e Javier Bardem. Il 16 maggio arriva in Costa azzurra un ospite speciale: Robert De Niro, che accompagna la proiezione del suo ultimo lavoro, Hands of Stone. Susan Sarandon e Geena Davis, indimenticabili protagoniste di Thelma & Louise di Ridley Scott, oltre ad essere entrambe due attiviste impegnate su più fronti per la tutela dei diritti delle donne, riceveranno il Women in Motion Award 2016 della Kering Foundation, arricchito quest’anno da dibattiti e incontri a tema.
Gli Ona, presenti in tutta l'Isola Grande della Terra del Fuoco, sono rimasti a lungo confusi con le altre popolazioni fueghine.
Il ritardo nella individuazione di quello che costituiva il gruppo etnico più numeroso della Terra del Fuoco sembra doversi attribuire alla morfologia dell'Isola Grande: le coste orientali, dove gli Ona si affacciavano al mare, sono prive di porti e sono seminate di bassi fondali, il che teneva lontane le navi.
Solo nella seconda metà del XX secolo gli Ona sono stati individuati. Ne hanno riconosciuta l'esistenza i missionari anglicani di Ushuaia, i primi anche a classificare la popolazione fueghina in Alacaluf, Yaman e Ona (gli Haush erano già' scomparsi); per conoscerne i costumi si è dovuto attendere il 1879 quando, Ramón Serrano Montaner (a quel tempo capitano di marina, poi, dal 1900 al 1903, deputato al parlamento cileno) ebbe il coraggio di addentrarsi all'interno dell'Isola Grande guidando una spedizione nella zona pianeggiante.
Nella circostanza si evidenziò come grande fosse l'errore di avere accomunato i gruppi etnici. Gli Ona differivano non solo per il linguaggio ma anche, vistosamente, per l'aspetto fisico. Gli Alacaluf e gli Yamanes erano piccoli di statura e sformati agli arti inferiori. Gli Ona erano longilinei e con un fisico ben proporzionato. Il padre De Agostini, un missionario salesiano che ha soggiornato più di trenta anni in Terra del Fuoco riassumendo nella sua persona, in misura eccelsa, cultura geografica, alpinismo e carità cristiana, in uno dei suoi volumi ("I miei viaggi alla Terra del Fuoco", Paravia, Torino, 1934), ha così presentato la razza ona: "La statura ha proporzioni da gigante arrivando fino a 1,90, con una media nell'uomo, di m 1,75 e nella donna di m 1,70. Il colore della pelle è alquanto abbronzato e vi aggiunge molta vivezza il rosso delle guance che si osserva in molti di essi e che nelle giovani forma la principale attrazione. Hanno la testa grande, la faccia schiacciata , i capelli nero, fitti, setolosi, occhi un po' obliqui, neri, vivi, somiglianti nella forma alla razza mongolica, ...la bocca larga con labbra aperte ordinariamente al sorriso. I denti sono sani e di sorprendente bianchezza. Ad accezione dei capelli, gli Ona non lasciavano crescere sul loro corpo lanuggini di sorta ed il desiderio di sembrare belli li obbligava a strapparsi i peli della barba e delle ciglia. Il volto quindi presenta sempre uno strano aspetto giovanile, motivo per cui è assai difficile giudicare la loro età”
Ogni giorno gli Ona dedicavano un po' del loro tempo alla cura della persona. Le donne portavano una frangetta sulla fronte, gli uomini esteriorizzavano eventi o stati d'animo colorando l'epidermide. La colorazione era evidente: pur vivendo in un ambiente rude e freddo: gli Ona, al pari degli altri gruppi etnici, mancavano di qualsiasi tipo di vestiario chiuso o aderente, si coprivano con un pezzo rettangolare di pelliccia di guanaco che lasciava scoperte le braccia e le gambe. Ai piedi gli Ona portavano calzari di pelle dello stesso animale. "In ambo i sessi si trovano individui che per la grazia del volto, per la correttezza e la proporzione delle membra, si possono considerare come veri modelli di forme e di eleganza" (De Agostini, op.cit.).
A sviluppare e a mantenere il loro aspetto contribuiva l'abbondanza di cibo, il continuo e regolare esercizio fisico dovuto alle esigenze di caccia, il clima molto più secco e salubre di quello del versante orientale , dove vivevano gli Acaluf e gli Yamanes.
La necessità di cambiare continuamente posto alla ricerca di cibo imponeva l'adozione di una abitazione semplice, quella che, una volta smontata, la donna, che nella circostanza, si trasformava in una bestia da soma, poteva portare, unitamente ai pochissimi utensili, sulle spalle. L'abitazione era una capanna di pelli di guanaco montate su assi di legno. Durante i trasferimenti l'uomo portava solo archi e frecce per essere sempre pronto a colpire la selvaggina. che costituiva l’alimentazione di base della comunità
Nino Modugno
Sostanze e comportamenti in grado, secondo le tradizioni popolari, di migliorare le prestazioni sessuali.
Una volta che si è fidanzato o sposato l’uomo deve essere all’altezza della situazione. Ma non sempre è così. O magari, nella circostanza, l’uomo vuole strafare. Nella prima o nella seconda ipotesi l’uomo per dilatare le sue capacità amatorie ricorre a vari elementi della natura, cui ai nostri giorni le credenze popolari attribuiscono il potere di aumentare il desiderio sessuale:
— polvere di cantaride. La cantaride, come è noto, è un coleottero di colore verde con riflessi dorati;
— polvere di ossa di tigre. La polvere a Shanghai va versata in un bicchiere di vino. La polvere di corno di rinoceronte, pur seguitando a godere della sua fama secolare, in Cina è pressoché introvabile;
— acqua addolcita con miele, o cannella, o spumante dolce;
— l’acqua di una fontanella di Licata. La fontanella si trova in via della fontanella, di fronte all’ospedale cittadino;
— la zuppa con i vermicelli di riso;
— un infuso di pelle essiccata di geco;
— un infuso di “Alcanfor”, vale a dire di foglie dell’albero della canfora;
— le Amanite Caesaree, i funghi volgarmente chiamati “Ovuli buoni” e che a Frattamaggiore, dove è stata riscontrata la credenza, chiamano con una espressione che, tradotta in italiano, suona “tuorli d’uovo”;
— i “frutti di mare”, termine con il quale si riassumono tutti i crostacei e i molluschi commestibili che vivono in mare;
— un riccio cotto;
— la rucola (Eruca saliva). Perché non perdano la loro efficacia, le foglie della pianta devono essere consumate crude. A Roma la pianta è più conosciuta sotto la denominazione di “rughetta”;
— il dragoncello (Artemisia dracunculus), che a Monterigioni, è chiamato, non a caso, “erba d’amore”. A Monteriggioni con il dragoncello si condiscono gli spaghetti: se ne utilizzano le foglie e le sommità fiorite;
— l’ulivo benedetto la Domenica delle Palme passato sulla schiena mentre si dice “San Cosma e Damiano, io medico e tu sani”:
— la zuppa Sopa de machos (salame di testicoli di toro, sedano, menta e altro) in menù a Casa de Oro, ristorante di La Paz (Bolivia):
— i fichi d’India:
— la polvere di un camaleonte essiccato messa in un profumo poi applicato sul collo,
— la testa del pesce;
— il liquore ottenuto macerando per una settimana in un litro di tequila 30 grammi di Damiana (Turnera diffusa var aphhrodisiaca), piccolo arbusto delle Turneracee;
— il balut (parola che, in linguafilippina, significa "incartato"); consiste in un uovo di anatra o di gallina fecondato e bollito nel suo guscio poco prima della sua schiusa, quando l'embrione al suo interno è quasi completamente formato. In relazione ai suoi poteri afrodisiaci, a Baguio viene offerto durante la notte da venditori ambulanti;
— i semi di cardamomo in vino caldo:
— il rosmarino, se ingerito in piccole dosi o messo nell’acqua del bagno;
— il sedano: va consumato crudo;
— il prezzemolo. Anche questa pianta va consumata cruda;
— foglie di una pianta rampicante detta a San Costantino Albanese "qurpero". Si mangia con gli spaghetti, con la pancetta, con la verdura cotta;
— un profumo qualsiasi nel quale siano stati immersi: valeriana, polvere di Piedra de Iman, cenere di colibrì. La piedra de Iman (magnetite, ossido di ferro Fe2O4) è la pietra su cui giacque il corpo di Cristo dopo la discesa dalla croce. Le sue proprietà miracolose sarebbero state scoperte da Goffredo di Buglione nel corso di una sanguinosa battaglia contro gli infedeli sotto le mura di Gerusalemme. I colibrì sono presenti solo nel continente americano: questo comportamento risulta infatti praticato a Cuba:
— sangue di toro o di vitello raccolto e bevuto al momento del macello.
Anche in altre parti della terra si attribuisce al sangue un potere afrodisiaco. L’animale in questione è il serpente. In Vietnam il sangue di questo rettile diventa afrodisiaco l’ultimo giorno del mese lunare. In Cina al sangue di serpente si aggiunge un liquore, a Taiwan il vino. A Taipei questo intruglio viene posto all’asta al termine di un combattimento tra un cobra e una mangusta (vince sempre la mangusta). L’asta non va mai deserta e raggiunge cifre interessanti. Osservando lo spettacolo viene da pensare che l’efficacia di questo afrodisiaco sia temporanea: i vincitori dell’asta, bevuto l’intruglio (il bicchiere che lo contiene va restituito agli organizzatori del match cobra-mangusta), si allontanano velocemente per andare a raggiungere la loro donna.
Alcuni alimenti acquistano proprietà afrodisiache solo in determinati periodi dell’anno. Così ad Amaseno diventa afrodisiaco un formaggio detto “marzolino”, confezionato, come dice il suo nome, nel mese di marzo, e a Marana (L’Aquila) lo diventano i funghi raccolti dopo la mezzanotte del 23 giugno e prima dell’alba del 24. Colti prima di essere raggiunti da un raggio di sole e quindi bagnati di rugiada, nella breve “notte delle streghe” acquistano particolari proprietà molti vegetali, fra i quali appunto i funghi.
Per una cognizione dei luoghi, ove non citati, cui vanno riferiti i comportamenti esposti, come pure per la collocazione geografica (provincia per l’Italia, stato per l’estero) degli insediamenti menzionati vedasi pag 12I e segg. di “Il mondo magico dell’amore”, di Nino Modugno, La Mandragora, Imola.
Nino Modugno
Le dimissioni di Ahmet Davutoğlu dalla dirigenza del partito e dalla carica di primo ministro aprono scenari preoccupanti sull'eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del presidente Recep Tayyip Erdoğan
Dopo quattordici anni di vita politica e due da primo ministro e presidente del partito Giustizia e Sviluppo (AKP, attualmente al governo), Ahmet Davutoğlu si è dimesso. Una decisione presa, secondo il quotidiano turco Hürriyet Daily News, a causa di contrasti sorti con Erdoğan su diverse questioni, tra le quali il giro di vite sulla libertà di stampa e il sistema presidenziale. Sta di fatto che per le due principali forze di opposizione, il Partito repubblicano del popolo (CHP) e il Partito democratico dei popoli (HDP), le dimissioni di Davutoğlu sono in realtà un “colpo di stato” di Erdoğan. Di fronte a questo nuovo sviluppo, che riduce al minimo la dialettica interna al governo di Ankara, l'Unione Europea è apparsa preoccupata, soprattutto in merito al recente accordo sulla gestione della questione dei migranti e rifugiati. Se Bruxelles, priva di strategie per affrontarla, conta sulla Turchia è proprio per l'immagine di stabilità che Erdoğan ne aveva dato, a partire dalla vittoria alle elezioni parlamentari dello scorso novembre. Si tratta dunque di una preoccupazione proporzionale alla fiducia nell'ennesimo “uomo forte”, che rischia ora di fare la fine degli altri “uomini forti” cui le grandi potenze si sono affidate nei momenti di crisi geopolitica.
Davutoğlu si era distinto nell'ambiente accademico per la sua interessante visione di profondità strategica. La Turchia, secondo lui, avrebbe dovuto approfittare della sua posizione strategica e della sua identità di democrazia musulmana ma laica per affermarsi come ponte tra Europa, Caucaso e Medio Oriente. Tre regioni che a livello geopolitico, sia pure su diversi livelli e per ragioni differenti, vivono una fase di profonda crisi. Una prospettiva coraggiosa, che, in teoria, avrebbe permesso alla Turchia di riaffermarsi come grande potenza regionale, ricomponendo contraddizioni interne (come la questione curda) e conflitti esterni (come la questione armena) in un delicato equilibrio di forze. Per questo, nel 2010 la rivista statunitense Foreign Policy lo aveva classificato al settimo posto tra i pensatori politici mondiali. E per la stessa ragione, Davutoğlu avrebbe potuto essere un personaggio chiave per una soluzione diplomatica del conflitto siriano, tanto più urgente oggi, se è vero quanto affermato dalla stessa Foreign Policy qualche giorno fa, a proposito delle intenzioni del Fronte al-Nusra (ramo siriano di al-Qaeda, sostenuto da Ankara per abbattere il regime del presidente Bashar al-Asad) di fondare un emirato nel Nord della Siria, “alternativo” al califfato dei cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico.
La prima divergenza tra Erdoğan e Davutoğlu è emersa lo scorso anno, quando l'allora primo ministro ha sostenuto la decisione di Hakan Fidan, capo dell'intelligence turca (MİT), di dimettersi dalla sua carica per candidarsi alle elezioni parlamentari che si sarebbero tenute il 7 giugno: le stesse che hanno segnato la perdita della maggioranza assoluta dell'AKP e che, per il fallimento non proprio casuale delle trattative per un governo di coalizione, sono state ripetute il 1 novembre. In quell'occasione, Erdoğan ha praticamente costretto Fidan a mantenere il suo incarico nel MİT, come uomo chiave per la sicurezza interna e per combattere il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), con il quale il processo di pace è stato interrotto. A proposito di queste controverse elezioni, Davutoğlu si è mostrato più aperto al confronto con le altre forze politiche, preferendo, al contrario di Erdoğan, un governo di coalizione a nuove elezioni. Inoltre, secondo indiscrezioni, le sue posizioni sul sistema presidenziale voluto da Erdoğan erano più moderate, come dimostrerebbe la sua intenzione di portare il dibattito in parlamento. Similmente, l'ex primo ministro turco era apparso più flessibile di Erdoğan sui colloqui di pace con il PKK, mentre il presidente ha colto tutte le opportunità per risolvere il conflitto manu militari. Davutoğlu ha mostrato inoltre una certa freddezza sulla proposta di Erdoğan di ampliare la definizione di terrorismo nel codice penale turco, che peraltro già prevede “reati” come insulto al presidente o denigrazione dell'identità turca.
Per questo le opposizioni temono ora che le restrizioni alla libertà di stampa aumentino sensibilmente, in una situazione già difficile per i giornalisti turchi. Ne è un esempio il caso di Erdem Gül e Can Dündar, rispettivamente direttore del quotidiano turco di opposizione Cumhuriyet e caporedattore della sede di Ankara. Entrambi sono stati condannati lo scorso sei maggio a cinque anni di prigione per aver rivelato segreti di Stato e fatto propaganda per un'organizzazione terroristica, per la pubblicazione di un reportage su un traffico di armi dalla Turchia alla Siria attraverso automezzi dell'intelligence turca. In occasione del loro arresto, mentre Davutoğlu aveva detto di attendere il verdetto del tribunale, Erdoğan è stato sempre sicuro della loro colpevolezza, arrivando a minacciare Dündar di fargliela pagare cara. Lo stesso giorno della sentenza, di fronte al tribunale di Istanbul, Dündar è scampato illeso a un attentato, nel quale un uomo, in seguito arrestato, ha tentato invano di sparargli a una gamba. I primi a intervenire sono stati la moglie e il legale del giornalista (membro del partito CHP). Dündar ha poi dichiarato in aula di aver subito due tentativi di assassinio, uno davanti al tribunale, il secondo al processo, per aver fatto giornalismo. Il suo assalitore, intanto, afferma di aver agito individualmente, “per dargli una lezione”: “se avessi voluto ucciderlo lo avrei fatto, gli ho sparato a una gamba per spaventarlo”. Chissà se ora l'Unione Europea rivedrà la sua definizione della Turchia come “paese sicuro”, indispensabile per portare avanti l'accordo sui rifugiati...
L’anno scorso ci fu chi preferì rimanere a casa in pantofole per non partecipare allo “spettacolo deludente” di un ViniCirco decrepito, cadente e scadente e chi, quest’anno, improvvisato imprenditore vinicolo, pur di primeggiare e farsi notare (i soliti maligni bisbigliano che lo faccia perché il “suo” vino non riesce a donargli visibilità) ha strombazzato a tutti i venti la ormai retorica filippica: “il Vinitaly deve essere spostato a Milano in una sede più europea”. Queste due posizioni estreme, come sempre accade nell’analisi dettagliata di atteggiamenti e posizioni al limite dell’esagerazione, celano una parte di verità ma il buon senso porta ad altre conclusioni.
Nell’edizione appena conclusa, la cinquantesima, abbiamo registrato una maggiore attenzione tendente a circoscrivere tutti quei fenomeni da baraccone, privilegiando quei cambiamenti importanti attesi da tempo. È stata una Fiera più Fiera dove gli investimenti sostanziosi hanno di fatto consegnato al visitatore strutture efficienti e servizi adeguati. Insomma è valsa la pena togliersi le pantofole, uscire di casa e partecipare alla 50° Edizione del Vinitaly.
Diverso il risultato della logistica esterna che ha fatto gridare allo scandalo il neo-imprenditore vinicolo noto ed apprezzato professionista in altro campo.
Durante la presentazione dell’Edizione 2016 avvenuta a Roma ebbi a scrivere sull’argomento:”tutti noi restiamo fiduciosi delle predisposizioni per rendere più facilitati sia l’ingresso verso la Fiera sia l’uscita alla sera. Speriamo che la Polizia Locale di Verona abbia in serbo un Piano per la circolazione per non registrare e narrare le dolenti note di tutti gli anni unite alle scene raccapriccianti che ne conseguono”.
È andata un po’ meglio, in particolare nella gestione delle corse delle navette da e per i parcheggi scambiatori e per la Stazione Centrale di Porta Nuova. Per il resto niente nuove da segnalare. Forse O.T. (il nome dell’etichetta dei suoi vini) tutti i torti non li ha.
Ma alla fine, checché se ne dica, il Vinitaly ha vinto la sua sfida dichiarata alla vigilia: sarà un Vinitaly di qualità! 130.000 operatori, dei quali 50.000 da 140 Paesi con 28.000 Top Buyer accreditati e le 29.000 presenze al fuori salone Vinitaly and the Cit;, sono numeri da capogiro.
Il centro storico di Verona fulcro di quella diversificazione che ha orientato moltissimi wine lover, appassionati e giovani, verso degustazioni, spettacoli, eventi culturali riempiendo piazze e locali e diversificando così l’offerta con maggiore spazio-fiera alla Fiera.
Wine business in Fiera e Wine festival in città.
E su questo, caro O.T., VeronaFiere ha mantenuto quanto promesso alla vigilia.
Nei quattro giorni (per inciso qualcuno torna a dire e scrivere che sono pochi dopo la cantilena durata anni per ridurre i cinque praticati agli attuali quattro), oltre agli incontri b2b ( acronimo che significa business-to-business, commercio internazionale), si sono tenuti più di 300 appuntamenti tra convegni, seminari, incontri anche di formazione sul mondo del vino. Non dimentichiamo le esclusive degustazioni di Vinitaly International Academy sotto l’attenta regia di Ian D’Agata.
Vinitaly, come in tutte le sue edizioni, non si è limitato alla promozione del Vino Italiano. Un padiglione per gli ospiti stranieri Vininternational, il padiglione di Sol&Agrifood, la manifestazione sull’agroalimentare di qualità ed Enolitech, la rassegna su accessori e tecnologie per la filiera oleicola e vitivinicola.
E poi quando si rilasciano 2.357 accrediti per giornalisti provenienti da 47 paesi diversi dopo attenta selezione significa che l’intenzione e l’interesse è altissimo.
La 51° Edizione di Vinitaly è in programma dal 9 al 12 aprile 2017. Continua a prevalere il buon senso: niente pantofole e sempre a Verona. Save the Date
Alessandro Pajno, il neo-presidente del Consiglio di Stato, ha presentato al pubblico il frutto dello sforzo del Consiglio quale contributo al riordino della Pubblica Amministrazione che il Governo si accinge a varare. 13 pareri in 50 giorni, con la media di circa un mese per ciascun atto. Quasi 700 pagine di quei 13 pareri, frutto dell’esame dei 481 di cui complessivamente si compongono. Si è trattato di mettere a fuoco il nuovo assetto dell’apparato pubblico – oltre agli 11 decreti del primo pacchetto Madia (gli ultimi tre pareri; Servizi pubblici locali; Forze di polizia e direttori Asl- sono in via di pubblicazione), in un mese e mezzo è stato esaminato anche il nuovo codice dei contratti pubblici e il decreto del processo telematico presso il Tar e il Consiglio di Stato che decollerà il prossimo primo luglio.
La conferenza stampa sull’attività del Consiglio di Stato è il primo di una serie di appuntamenti diretto a creare un canale di comunicazione tra il Consiglio di Stato, i Tribunali amministrativi ed il cittadino. L’obiettivo è quello di informare sull’attività della Giustizia amministrativa, i traguardi raggiunti ed il lavoro che si sta svolgendo. In particolare, questo primo incontro ha riguardato i più recenti pareri del Consiglio di Stato sugli atti normativi del Governo tra i quali la riforma della pubblica amministrazione, il codice dei contratti pubblici e il canone RAI. “Nel dare i pareri”, ha sottolineato Franco Frattini, Presidente della Sezione consultiva degli Atti Normativi ,”abbiamo tenuto fermi tre principi: tendere alla codificazione e, dunque, evitare che lo sfilacciamento di norme faccia perdere di vista l’unitarietà dell’impianto; fare in modo che la riforma funzioni, evitando il più possibile eventuali rischi di blocco; valutarne l’impatto economico e sociale”
Ritenute responsabili di eventi gravi quali la morte di un giovane, una malattia improvvisa, un’epidemia, un raccolto mal riuscito, una siccità prolungata, centinaia, forse migliaia, di persone innocenti, accusate di stregoneria, finiscono i loro giorni, ghettizzate, in appositi campi di detenzione ove le recinzioni, come vedremo, non sono necessarie. Questi insediamenti sono conosciuti come ‘witch camps’ ed hanno la finalità di neutralizzare la presunta negatività delle persone ospitate. Nella scarsa dottrina che li ha presi in considerazione i campi sono identificati con il nome della entità amministrativa (Gambaga, Gnani, Gushiegu, Kpatinga, Kukuo) cui appartengono.
Salvo quello di Gnani, i campi ospitano solo donne che, eufemisticamente, sono chiamate vecchie signore. Come le loro controparti femminili, gli uomini presenti sono stati accusati di aver provocato morte o malattie attraverso la magia nera. Anche negli altri campi arrivano maschietti ma, una volta emendati, vengono rispediti al mittente in quanto nell’Africa Occidentale si ritiene che gli uomini usino l’arte magica per costruire, le donne per distruggere.
Le abitazioni dei witch camps non dispongono di energia elettrica e servizi igienici: sono capanne in “banco”, circolari per le donne, quadrate o rettangolari per gli uomini. Con il termine banco nell’Africa Occidentale si sintetizza la materia prima utilizzata per l’innalzamento della capanna. Il banco è costituito da un insieme di argilla, fango e paglia amalgamati nell’acqua dove ha bollito il frutto del neré (Parkia biglobosa), un albero spontaneo che mai in Ghana viene abbattuto in relazione alla sua utilità. E’ il caso di fare presente che, nelle regioni settentrionali del Ghana, nessuna capanna dei villaggi dispone di servizi igienici, pochissime sono collegate alla rete elettrica, quando – ed è molto raro – la rete elettrica c’è.
I tetti delle capanne sono di paglia. Quando l’harmattan, il vento secco e polveroso che soffia tra novembre e marzo dal Sahara al Golfo di Guinea, compromette, restringendoli, i vegetali della copertura, il tetto non protegge più l’abitazione dall’acqua piovana e va rifatto. Solo a Kpatinga, grazie all’associazione umanitaria Word Mission International, i tetti sono in lamiera. Durante la stagione secca a Gambaga, Gushiegu, Kukuo il pozzo centrale del villaggio si estingue e l’acqua va attinta al corso d’acqua più vicino che per Kukuo è il Volta Bianco, a 4,5 chilometri dal villaggio.
I campi hanno un gerente chiamato tindana (se donna magazia). Questi riceve ed ammette nel campo le persone accusate di stregonerie ed accerta la fondatezza dell’accusa. L’accertamento dello status di strega è in pratica un’ordalia, il Giudizio di Dio in uso nell’Europa medioevale. Il tindana (o magazia) taglia la gola ad un pollo e al termine dell’agonia lo lancia in aria: se l’uccello cade sulla schiena il soggetto è innocente, in caso contrario è strega. Se l’animale è caduto frontalmente la persona sotto esame deve essere esorcizzata con un rituale praticabile solo in questi campi specializzati. Al tal fine il tindana prepara un intruglio (fango, sangue di pollo, ossa triturate di testa di scimmia) che la persona deve ingurgitare. Poi per sette giorni si tiene la persona sotto controllo. Se al termine dei sette giorni la persona sta bene, la pozione è stata efficace, se ha accusato qualche disturbo l’operazione deve essere ripetuta.
L’accusa alle streghe più ripetuta è quella di essere responsabili di malattie gravi e di decessi senza spiegazione. L’accusa nasce dal convincimento, diffuso non solo nel Ghana ma anche in altre entità statali dell’Africa subsahariana, che vuole che le malattie derivino non da fattori biologici ma da fattori magici e che non tutte le morti siano naturali: quella di una persona anziana viene accettata senza sospetti, il decesso di una persona giovane viene invece attribuita a cause esterne alla persona per cui vanno cercate le responsabilità dell’agente che le ha provocate.
Anche i sogni alimentano l’accusa di stregoneria: la persona vista in sogno è spesso considerata una strega o un mago. Yagu Dinambo si trova a Ktapinga perché un cugino, nel 2007, quando era già vedova, l’ha accusata di tentato omicidio: il cugino, figlio di suo fratello, aveva sognato che Yagu suonava un particolare tamburo che nella tradizione del posto si usa per i funerali; al momento dell’intervista, cioè 6 anni dopo quel sogno, il cugino risultava vivo e vegeto. Altri casi: la signora Awabu potrebbe passare tutti i suoi giorni a Gambaga per un sogno della nuora (si è vista minacciata dalla suocera con un coltello); a Gnani il signor Kareem Mahama paga con l’esilio il sogno di un ragazzo del suo villaggio (aveva sognato che gli saltava addosso). Nel nord del Ghana sogni come questi sono interpretati come magia nera.
C’è poi un altro fattore alla base dell’accusa di stregoneria, l’interesse economico. Più del 70 per cento delle streghe dei witch camps sono vedove i cui beni sono ambiti dalla famiglia del defunto: il pretesto della stregoneria è vantaggioso perché consente di liberarsi di una pretendente all’eredità.
Una volta accusato di stregoneria, il soggetto è ostracizzato dalla sua comunità: l’accusa di stregoneria sradica le persone dalle loro case e le condanna a una vita di esilio. Sano Kojo, accusata di avere tolto il respiro ad un cugino gravandogli (invisibilmente) sul petto, è al campo di Kukuo dal 1981 e sembra che alcune donne abbiano vissuto nei campi, per più di 40 anni, cioè fino alla morte.
Impensabile per un soggetto accusato di stregoneria di potersi reinserire nella primitiva propria comunità. Aveva pensato in positivo Ayishetu Bujri espulsa dal suo villaggio sotto l’accusa di aver fatto ammalare la figlia di un vicino. Dopo aver trovato per un po’ di tempo ospitalità al campo di Gambaga, Ayishetu Bujri ha provato a fare ritorno al suo villaggio. E’ tornata a Gambaga con un orecchio mozzato. “Questo è solo un avvertimento”, le hanno detto al suo villaggio. “Se torni ti mozziamo anche l’altro”. Quindi anche l’opera di redenzione eseguita dal tindana non vale per la reimmissione della donna nel villaggio di provenienza.
Nonostante le apparenze, i campi costituiscono un’opera meritoria: salvano dal linciaggio le persone accusate di stregoneria. Il Ghana divide con altri paesi africani la credenza che le epidemie, alcuni decessi e le calamità naturali siano da attribuire alla magia nera, ma non elimina le persone incolpate, come avviene in altre entità statali dell’Africa Nera. Quanti, accusati di stregoneria, non sono riusciti ad arrivare ad una campo streghe sono state assassinati. La credenza sulle streghe è cosi fondata e diffusa che, non solo nella savana del Ghana ma anche nelle regioni più a sud, i superstiti coprono con il cemento le salme inumate per evitare che una strega rubi un arto del defunto da utilizzare per i rituali di magia nera.
I campi si trovano nella regione settentrionale del Ghana, dove i livelli di povertà sono più alti rispetto ad altre aree del paese e dove tre quarti degli adulti, secondo le Nazioni Unite, sono analfabeti rispetto al 43% a livello nazionale. Da questa zona del Ghana (dove non c’è nessuna guerra) non è mai partito nessun “migrante”, per l’Europa: i cosiddetti migranti arrivati nel nostro continente vengono dalle regioni del paese dove le case dispongono di luce elettrica, acqua potabile e, molto spesso, di internet e telefonia satellitare. Le grandi città del sud del Ghana, evolvendosi rapidamente, rafforzano la concezione dello stato di diritto. Le zone rurali mantengono le antiche tradizioni. Anche se la Costituzione del paese garantisce sulla carta l’uguaglianza ed i diritti civili.
* L’Universo, la rivista dell’Istituto Geografico Militare, nel numero 3 del 2015 ha pubblicato un lungo articolo (Nino Modugno, Ghana da scoprire: visita ai villaggi delle streghe, foto di Romano Gugliotta), sulla situazione nel Ghana delle cosiddette streghe. Unitamente ad una foto inedita di un’ospite di uno dei ‘witch camps’, sopra una sintesi del contenuto dell’articolo al quale si rinvia per un approfondimento sul tema e per la cognizione della documentazione raccolta.
Nino Modugno
Articolo pubblicato il 17 aprile 2016 su http://tapnewswire.com/2016/04/top-10-indications-that-isis-is-a-usisraeli-creation/
A cura di Makia Freeman.
Traduzione di Adavede.
L’Isis è una creazione israelo/americana, un fatto evidente come il cielo blu.
Per molti lettori di notizie alternative, questo è già palesemente ovvio, ma questo articolo è stato scritto per la stragrande maggioranza della popolazione del mondo, che ancora non ha idea di chi stia dietro all’avvento dell’Isis.
Non importa per quale nome si facciano passare – Isis, Isil, Is, Daesh – il gruppo è stato deliberatamente ingegnerizzato dagli Stati Uniti ed Israele, per perseguire alcuni obiettivi geopolitici. Sono una organizzazione di terroristi religiosi, fondamentalisti, Sunniti, creata per terrorizzare e rovesciare alcune nazioni arabe Sciite, come la Siria e l’Iraq, ma non si tratta di una organizzazione solamente “islamica”.
Possono essere islamici , e possono patrocinare lo stato islamico, ma stanno lavorando molto per raggiungere gli obiettivi del Sionismo. E’ sorprendente vedere quanta gente sta combattendo per questo. Siamo stati inondati dalla propaganda che riguarda la guerra al terrore, fraudolenta, in particolare termini come “terrorismo islamico” e “Islam radicale” sono comparsi, ma frasi molto più accurate sarebbero “terrorismo Sio-islamico”, e “Sio-Islam radicale”.
Agenzie segrete come il Mossad e la Cia ne tirano i fili.
Ecco qui una lista dei 10 principali indicatori e prove che l’Isis è una creazione israelo-americana
1) Isis è l’acronimo di Mossad
Cominciamo con ciò che è ovvio. Isis è esso stesso un acronimo, non per stato islamico in Iraq e Siria, ma per Israeli Secret Intelligence Service (servizi segreti di intelligence israeliani). E’ solo un altro modo per descrivere il Mossad, la losca agenzia il cui motto è “attraverso l’inganno, puoi portare la guerra”.
In questo video (https://youtu.be/jYONiyG-CZk) i due autori intervistati (il giornalista americano Dan Raviv e il giornalista isreliano Yossi Melman) rivelano che Isis è l’acronimo del Mossad.
2) La precognizione sull’Isis, attraverso documenti trapelati della Dia:
L’americana Dia (agenzia di intelligence della Difesa) è una delle 16 agenzie militari di intelligence americane. Sulla scorta di un documento trapelato, ottenuto da Judicial Watch, la Dia scrive, il 12 agosto 2012 che:
“..c’è la possibilità di instaurare un Principato Salafita, dichiarato o meno, nella Siria dell’est (zone di Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che vogliono i poteri che supportano l’opposizione, di modo da isolare il regime siriano..”
Questo è stato scritto prima della comparsa dell’Isis sulla scena planetaria. Chiaramente l’Isis non è stata una rivolta casuale, ma piuttosto un ben orchestrato e strigliato “gruppo di opposizione”.
I “poteri che supportano l’opposizione” si riferisce a l’arabia saudita, la turchia, e i Gcc ( i paesi della cooperazione del golfo), nazioni come il Qatar, che sono supportati, in cambio, dall’asse americano-inglese-israeliano nella loro battaglia per spodestare il presidente siriano Bashar Al-Assad.
Come ho sottolineato in questo articolo Syrian Ground War.. , gli Stati Uniti stanno appoggiano le nazioni sunnite, mentre la Russia, la Cina e l’Iran quelle Sciite, per cui esiste un potenziale che le cose sfocino in una terza guerra mondiale.
Nel sito Tapnewswire si vedano i flash dei documenti della Dia
(Per maggiori informazioni si guardi il seguente articolo: http://wakeup-world.com/2015/11/24/reality-check-proof-us-government-wanted-isis-to-emerge-in-syria/
Include 7 pagine del documento citato sopra del Pentagono, che incluse i dettagli circa le ragioni per cui il governo stava operando in Siria, prima dell’emergere dell’Isis)
3) L’Isis non ha mai attaccato Israele.
E’ più che mai strano e sospetto che l’Isis non abbia mai attaccato Israele – è un altra indicazione che l’Isis è controllata da Israele. Se l’Isis fosse stato il frutto di una rivolta indipendente e genuina che non era stata segretamente orchestrata dagli Stati Uniti e Israele, perchè mai non avrebbero dovuto tentare di attaccare il regime sionista, che ha attaccato all’incirca tutti i vicini stati mussulmani, a partire dall’anno del suo insediamento, il 1948?
Israele ha attaccato l’Egitto, la Siria e il Libano, e naturalmente ha decimato la Palestina. Israele ha sistematicamente provato a dividere e conquistare i suoi vicini arabi. E si è lamentata continuamente del terrorismo islamico! Ancora, quando l’Isis è comparsa sulla scena come una organizzazione terroristica islamica, barbarica e sanguinaria, apparentemente non ha avuto problemi con Israele e non ha individuato motivi per occuparsi di un regime che ha perpetrato una dose massiva di ingiustizie contro gli Islamici.
Questo spinge la credibilità al un punto di rottura.
Il fatto è che Isis e Israele non si attaccano reciprocamente – essi si sostengono reciprocamente. E’ stato anche scoperto che Israele si è occupata delle cure di alcuni soldati dell’ISIS e di altri ribelli anti-Assad nei suoi stessi ospedali! Si tratta di nemici mortali, o del migliore degli amici?
4) I furgoncini della Toyota
Dov’è che l’Isis ha preso una intera flotta di furgoncini Toyota? Perché così tanti dei suoi scatti fotografici riguardano una flotta di Toyota che corrispondono - corrispondenti cioè, sia per modello che per colore? Come l’articolo della Information Clearing House umoristicamente statuisce.
“La storia ufficiale è che l’Isis li avrebbe rubati ai “buoni terroristi” (di Al Nusra), a cui sarebbero stati dati, questi bei veicoli, dal governo degli Stati Uniti. Cosa che sembrerebbe guidare verso almeno un paio di domande. Non ultima delle quali, perchè gli stati uniti riforniscono terroristi di qualsivoglia estrazione con suv di lusso? E a tal proposito, di quanti suv parliamo? Di quanti, con esattezza? In quali garage l’Isis tiene parcheggiata questa massiccia flotta? E perchè sono tutti a marca Toyota? E’ una scelta dei terroristi o un gusto del governo americano? La Toyota se l’è mai presa, per l’associazione tra i suoi trucks e i terroristi?”
Alcuni di questi trucks sono dei veicoli usati che sono partiti dagli Usa o dal Canada e sono arrivati in Siria. Per esempio, questo veicolo che riporta la scritta di un idraulico del Texas, ha fatto scoprire con orrore al suo ex proprietario che il suo vecchio veicolo sarebbe stato adoperato per la guerra, con il suo logo ancora lì su una portiera!
5) Gli skill di prima classe, nell’uso dei social media, dell’Isis.
La storiella delle Toyota ci spinge dritti alla prossima domanda, in merito all’Isis.
Chi si occupa della loro pubblicità? Come hanno fatto ad ottenere così tante foto delle Toyota che se ne vanno in giro? Come sono riusciti ad ottenere quella risma di video (falsi) che ritraggono le decapitazioni? Come ha potuto fare, un barbaro gruppo di assassini, che parlano una lingua molto diversa dall’Inglese, che propinano ideali religiosi fondamentalisti (come la Sharia) e spesso criticano tutto ciò che è occidentale, a gestire con maestria i social media occidentali, per diffondere i loro messaggi, la propaganda e le loro sfide?
6) Il gruppo israeliano SITE è sempre il primo a rilasciare i video dell’Isis.
Un’altra chiave in omaggio che l’Isis è una creazione Usa/Israele è che il gruppo israeliano SITE (Search for International Terrorist Entities) è stato spesso fra i primi a trovare e a rendere pubblici i video ( come la cofondatrice Rita Katz s’è lasciata sfuggire in più di una occasione). Site è stata implicata in una sfilza di video di finte decapitazioni dell’Isis, nel 2014.
False flag falliti! Si ignorino per un momento i brutti lavori svolti con photoshop. Si noti in questa foto come la luce getta ombre sul lato destro della faccia e del collo di un ostaggio, e sul lato sinistro del viso e del collo dell'altro ostaggio.. Parlando di finte decapitazioni, perchè questa Tv di fiction turca mostra una decapitazione che è identica a quelle dell’Isis?
7) Il capo dell’Isis Baghdadi, un agente del Mossad.
Simon Elliot (Elliot Shimon) aka Al-Baghdadi è nato da genitori ebrei ed è un agente del Mossad. Riportiamo di seguito tre traduzioni che intendono asserire con chiarezza che il califfo Al-Baghdadi è in pieno un agente del Mossad e che è nato da padre e madre ebrei. “Il vero nome di Abu Bakr al-Baghdadi è Simon Elliott.. Colui il quale viene chiamato semplicemente “Elliott” è stato reclutato dall’israeliano Mossad ed è stato addestrato in spionaggio e guerra psicologica contro gli arabi e la società islamica. Questa informazione viene attribuita ad Edward Snowden.
8) Comunicazioni trapelate che evidenziano il piano di rovesciamento della Siria.
Julian Assange di Wikileaks ha fatto un gran lavoro per catturare le informazioni circa quello che stava accadendo in Siria, anni prima delle “primavere arabe” e l’attule guerra, iniziata nel 2011.
Ci ha rivelato che William Roebuck, poi chargé d’affaires dell’ambasciata americana a Damasco, stava progettando la destabilizzazione del governo siriano. Le seguenti citazioni inviate da Roebuck a Washington dimostrano come egli stesse evidenziando le debolezze di Assad:
Vulnerabilità:
L’alleanza con Teheran: “Bashar sta camminando sul filo del rasoio nelle sue sempre più forti relazioni con l'Iran, in cerca del supporto necessario, pur non alienandosi del tutto le relazioni con i moderati stati vicini arabi sunniti, così da non essere percepito come qualcuno che favorisca gli interessi sciiti persiani e fondamentalisti. La decisione di Bashar di non sostenere i Talebani. La decisione di Bashar di non partecipare al vertice dei Talabani di Ahmadinejad a Teheran, dopo il viaggio FM Moallem in Iraq, può essere visto come una manifestazione della sensibilità di Bashar all’ottica araba, circa la sua alleanza iraniana.
Possibile azione:
Giocare sulle paure Sunnite dell’interferenza iraniana.
Ci sono timori in Siria che gli iraniani siano attivi e nel proselitismo sciita e nella conversione dei, per lo più poveri, sunniti. Anche se spesso esagerati, tali timori riflettono un elemento della comunità sunnita in Siria che è sempre più sconvolta da e focalizzata sulla diffusione dell'influenza iraniana nel loro paese, attraverso attività che vanno dalla costruzione di moschee fino agli affari. Sulle missioni locali egiziane e saudite qui, (così come sugli importanti capi siriani religiosi sunniti), stanno dando sempre maggiore attenzione alla questione che dovremmo coordinare più strettamente con i loro governi, sui modi per pubblicizzare meglio e focalizzare l'attenzione regionale sulla questione.
9) La Russia bombarda Isis, gli Usa li proteggono.
La pubblicità afferma:”Secondo quanto la politica estera americana in Siria: noi vogliamo combattere l’Isis mentre combattiamo contro il presidente Assad...sebbene l’Isis sta combattendo contro Assad, e i russi stanno aiutando la Siria a combattere l’Isis...per cui dobbiamo combattere la Russia per fermarli dal combattere con la Siria, contro l’Isis..
Se ti sembra folle, è perchè lo è!”
Prima che la Russia entrasse militarmente in Siria, gli Stati Uniti reclamavamo il fatto che essa fosse attaccata dall’Isis, sebbene la Russia fosse capace di fare in pochi mesi ciò che gli Usa non sono stati capaci di fare in anni. Perchè, l’esercito americano è a tal punto incapace, oppure questa è una ulteriore prova che gli Usa hanno finanziato e sostenuto l’Isis per tutto questo tempo? Ci sono stati vari rapporti che ai soldati americani sia stato ordinato di non colpire obiettivi Isis, anche se avessero una chiara visione dei nemici, come questo articolo riporta: “Alcuni piloti degli Stati Uniti che sono tornati dalla guerra contro lo Stato islamico in Iraq stanno confermando che sono stati fermati dal lanciare il 75 per cento dei loro ordigni su obiettivi terroristici, perché non potevano ottenere l'autorizzazione per lanciare l'attacco, secondo un membro di spicco del Congresso.
Non possiamo ottenere l'autorizzazione anche quando abbiamo un chiaro obiettivo di fronte a noi ", ha detto Royce [rappresentante degli Stati Uniti, Ed Royce, presidente della Commissione Affari Esteri della Camera]. "Non capisco per nulla questa strategia, perché questo è ciò che ha permesso all'ISIS il proprio vantaggio e la capacità di reclutamento. Inoltre, perché il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, ha dovuto lottare per festeggiare il fatto che l’ISIS aveva perso Palmyra di recente?
10) L’Isis è sempre la scusa per ulteriori interventi armati:
Infine, si consideri questo: perché è l'ISIS sempre la scusa perfetta per un ulteriore intervento militare in Siria? Data la storia dell'ingerenza straniera in Siria, in particolare dagli Stati Uniti e Israele negli ultimi 70 anni, non è piuttosto conveniente che lo spettro dell'ISIS è la giustificazione offerta per proporre delle no-fly zone, attacchi aerei e truppe di terra? Come altro avrebbero fatto gli Stati Uniti e Israele a conquistare il Medio Oriente, senza il loro scagnozzo, l'ISIS?
Si prega di condividere questo articolo con coloro che non si sono ancora risvegliati alla verità sull'ISIS. Molti lo hanno già intravisto attraverso la propaganda. Una volta che noi siamo in numero sufficiente, l'utilità di questo gruppo terroristico ridicolo, pericoloso e vaudevilliano decadrà - e forse verrà raggiunta una massa critica di persone, per tirare via la tenda e, per una volta, avere un assaggio dei veri burattinai che tirano i fili della guerra.
È stata una esperienza gastronomica interessante e stimolante quella vissuta con alcuni amici in un recente Tour nel Bordeaux. Una di quelle che rimangono dentro e ricorderò nel tempo.
Nel centro di Saint-Èmilion, a pochi passi dal Duomo. Il Ristorante Logis de la Cadène, si affaccia su di una piazzetta alla quale si accede da una stradina ciottolosa irta e difficile da percorrere. Place du Marché au Bois (piazza del Mercato del legno) sita nel centro del Borgo Medievale, ospita sin dal lontano 1848 questo locale con la sua facciata in pietra “dorata”, il suo pergolato di glicine e le sue tre sale che lo rendono un tranquillo rifugio ideale per meditare una eccellente bottiglia regalmente accompagnata da una cucina di alta classe.
Siamo capitati da queste parti su suggerimento di Laurent Benoit, responsabile dell’accoglienza e relazioni pubbliche di Château Angelus. Un po’ di storia.
Uno dei più antichi ristoranti di Saint-Èmilion è diventato nel tempo una vera e propria istituzione al limite della venerazione per quel mix di tranquillo rifugio, cucina sempre al passo con i tempi e i grandi vini che hanno eletto questo Borgo Antico a Capitale Mondiale del Vino.
Conduzione familiare da sempre, oggi di proprietà dello Château Angelus, ha continuato questa bella storia che dura da 170 anni per la gioia e la soddisfazione dei tanti gourmet che fino ad oggi si sono spinti fin qui per gustare delizie enogastronomiche uniche. Non dimentichiamo che siamo vicini al Perigord (ricordi di foie gras, tartufi… ).
Ci accoglie un ambiente elegante, un servizio professionale e una carta vini di ampio spessore dove i gioielli di famiglia (Château Angelus) primeggiano e i suoi factice, di tutte le misure, fanno mostra come elementi primari di arredamento.
In cucina c’è un giovane Chef di talento, Alexandre Baumard, proveniente da esperienze in Restaurant di primo ordine guidati da Chef come Paul Beaucase e Christophe Bacquié.
Abbiamo espressamente chiesto di prepararci un menù light per poter continuare nel pomeriggio le nostre previste visite vinicole aziendali. Ed è andata così:
- Langoustines, rôties, risotto à l’encre de seiche li éau Parmesan, quelques pointes d’agrumes. Ingredienti adagiati in un piatto che è risultato raffinato e leggero al tempo stesso.
- Pintade, farci aux champignons confit 36 heures, jeunes legume du printemps, soubise d’oignons blancs nouveaux, Jus de pintade infusé à la sauge. La faraona al centro del piatto, a ricordare la fauna del luogo e il legame con i grandi piatti regali e rinascimentali.
- Comme un Opéra. Praliné café, fine gelée expresso et glace praliné. Magistralmente preparato, nella sua semplicità, da Damien Amilien, il giovane pasticciere agli ordini di Alexandre.
Il tutto accompagnato da un eccellente Château Bellevue Grand Cru Cassé Saint-Èmilion 2002 (anch’esso di proprietà Angelus).
La fantasia Gourmet e l’arte culinaria, combinazioni sorprendenti e nuovi gusti; tutto questo in quella piccola piazzetta dei mercanti del legno, in quella casa dalla facciata dorata, in quel Borgo medievale sulla rive droite della Dordogne dove il tempo consolida la sua fama e il suo valore.
Urano Cupisti
(provato il 20 Aprile 2016)
La mano dell'Angelo punta alla luce che entra dalla finestra, il bel volto rivolto dalla parte opposta, il corpo avvitato in una piroetta d'atterraggio, enfatizzata dal vorticoso moto delle vesti. L'impeto improvviso, sconvolge la quiete della Vergine, che si ritrae istintivamente, tutti i muscoli contratti, il battito del cuore sospeso dal colpo dello spavento. La seggiola, urtata dall'improvviso ritrarsi, è in precario equilibrio. Così Francesco Mochi descrive l’Annunciazione tra il 1603 e 1608. Concepita per il Duomo di Orvieto, insieme agli Apostoli, faceva parte della decorazione barocca, violentemente rimossa, quando la moda purista ha voluto riportare ad un finto, perché ricostruito quasi dal nulla, aspetto medievale, la cattedrale.
Solo pochi anni fa le sculture, bistrattate dalle rimozioni del 1897 dal Duomo e del 1989, da Palazzo Soliano, seguita, quest'ultima, dal nascondimento, hanno ritrovato dignità, nel suggestivo allestimento nella ex chiesa di S. Agostino, parte del complesso espositivo del Museo dell'Opera del Duomo, nel 2006. Allestimento suggestivo dell'effetto luce per l'Annunciazione e del candore delle pareti per le statue degli Apostoli, ma lo spazio è forse un po' ristretto, rispetto all'originario, tanto da aver "impedito" il trasferimento anche delle basi delle sculture.
Francesco Mochi è uno degli scultori più importanti del Seicento, sua la Veronica, nella nicchia di uno dei pilastri della cupola di San Pietro in Vaticano. Tra gli altri autori delle statue degli Apostoli, realizzate tra il XV e XVIII secolo, Raffaello da Montelupo, Francesco Mosca, Ippolito Scalza, Giambologna.
Dagli anni Ottanta del Novecento, si pensa di far tornare al loro posto le statue barocche.
Il convegno tenutosi in "campo neutrale" ai Musei Vaticani, ha fatto il punto della situazione.
In apertura, con un nostalgico e felice colpo di scena, Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, ha presentato il documentario del 1996, parte del ciclo «L'arte negata», che riportava l'opinione, favorevole al rientro, dello storico dell'arte, Federico Zeri.
Alla presenza dei rappresentanti delle autorità coinvolte nella decisione: Diocesi, Opera del Duomo, Ministero dei Beni Culturali e Turismo, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, Università, sono state presentate le relazioni.
Tra queste, quella di Giuseppe M. Della Fina ha ripercorso la posizione di Cesare Brandi, storico dell'arte, padre della teoria del restauro; Gisella Capponi ha, invece, illustrato le distruzioni e la a-storicità del restauro purista, ma anche le incongruenze del riallestimento, che produrrebbe sostanzialmente un altro falso storico e pesante manomissione, anche se la buona conservazione delle basi delle statue e il "costo ridotto", sono punti a favore.
Ai posteri, molto probabilmente molto prossimi, l'ardua sentenza.
Una Venezia soleggiata e primaverile accoglie ancora una volta le opere di Sigmar Polke (1941-2010), questa volta nella prima retrospettiva italiana negli spazi affascinanti di Palazzo Grassi, nella città dove fu premiato con il Leone d'Oro alla Biennale nel 1986; quest'anno infatti ricorre il trentesimo anniversario della sua partecipazione all'evento internazionale, mentre segna il 75esimo anniversario della sua nascita.
L'esposizione che gli viene dedicata comprende opere provenienti dalla Collezione Pinault e altre da importanti collezioni private e pubbliche, e ripercorre l'intera carriera dell'artista dagli anni Sessanta agli anni Duemila offrendo al fruitore ogni tecnica utilizzata dall'autore, tra le quali installazioni e film.
Sigmar Polke, figura artistica fondamentale degli ultimi cinquant’anni, ha profondamente rinnovato il linguaggio pittorico della fine del XX secolo. Il suo incessante desiderio di sperimentazione riguarda tanto le immagini – delle quali mette in discussione la gerarchia e analizza la manifestazione – quanto il supporto, coinvolto al punto di essere pienamente costitutivo della composizione e, ancora, i colori di cui insegue le potenzialità sia fisiche sia plastiche. Il suo approccio si sviluppa attraverso media differenti: la pittura e il disegno naturalmente, ma anche la fotografia, la fotocopia, il film, l’installazione, che all’interno della sua opera si incrociano e arricchiscono vicendevolmente. La sua pratica si colloca in una prospettiva di rivitalizzazione del potere sovversivo dell’arte e si fonda tanto sulla destabilizzazione dei meccanismi di percezione quanto sul rivolgimento dei generi e delle categorie.
In occasione della Biennale del 1986, Sigmar Polke ha ideato un’installazione straordinaria per il Padiglione tedesco, intitolata Athanor. Dall’opera che associava pittura figurativa o astratta e installazione, partendo dai colori termosensibili applicati direttamente sui muri di pietra di quarzo e meteorite, emergevano fondamentalmente due tematiche, l’alchimia e la politica, individuate oggi come assi portanti dell’esposizione di Palazzo Grassi. Tuttavia, per rispettare lo spirito dell’artista profondamente refrattario a ogni sistematizzazione e a ogni regola prestabilita, il percorso si emancipa regolarmente da questo schema, derogando tanto alla tematica quanto alla cronologia.
L’esposizione inizia presentando per la prima volta nel patio centrale di Palazzo Grassi Axial Age (2005-2007), ciclo monumentale di sette dipinti (fra cui un trittico) esposto nel Padiglione centrale della Biennale nel 2007. Questo capolavoro affascinante, vero e proprio testamento artistico di Polke, evoca l’intreccio originale tra visibile e invisibile e le differenze tra pensiero e percezione, facendo sempre riferimento alla teoria di Karl Jaspers sull’età assiale.
La mostra si sviluppa poi sui due livelli del palazzo secondo un percorso cronologico a ritroso, dalla fine degli anni 2000 all’inizio degli anni sessanta, disseminato di cicli eccezionali come Strahlen Sehen (2007), serie di cinque dipinti sulla visione e i suoi ostacoli, Hermes Trismegistos (1995), magistrale evocazione in quattro parti del fondatore dell’alchimia, Magische Quadrate (1992), sette variazioni madreperlate sui quadrati magici e sui pianeti, Laterna Magica (1988-1992), composto da sei pannelli dipinti sul recto e sul verso in cui il quadro si fa vetrata o Negativwerte (1982), tre dipinti di un viola intenso e tossico. Queste opere permettono di cogliere per intero l’ambizione della pratica di Sigmar Polke sulla tematica dell’alchimia delle forme e dei colori a partire dall’inizio degli anni ottanta.
Il suo gusto per la sperimentazione della materia pittorica si manifesta anche nei piccoli formati con la serie dei Farbprobe, summa di tutte le possibilità in termini di mescolanza di materiali eterogenei, così come emerge il suo piacere nel giocare con le immagini secondo modalità diverse: manipolandole con la fotocopiatrice (Für den Dritten Stand bleiben nur noch die Krümel, 1997), sovrapponendole come nelle trasparenze di Picabia (Alice im Wunderland, 1972) o frammentandole grazie all’ingrandimento della trama fotografica (Man füttert die Hühner, 2005). Un piacere del gioco che, nell’artista, è sempre sinonimo di umorismo e leggerezza.
Insieme a queste opere aperte su ciò che si trova oltre le apparenze, dove figurazione e astrazione si confondono, l’artista, fedele all’approccio critico nei confronti della società contemporanea adottato fin dagli esordi, continua a realizzare dipinti dalla forte connotazione storico-politica. Il percorso espositivo ne riunisce alcuni fra i più rappresentativi, come Polizeischwein (1986), e Amerikanisch-Mexikanische Grenze (1984), incentrati rispettivamente sulle forze dell’ordine e sulle frontiere ed entrambi presenti alla Biennale del 1986, ma anche come Hochstand (1984) sui campi di concentramento e Schiesskebab (1994) sulle guerre fratricide della ex Jugoslavia... Alcune opere aventi per soggetto la Rivoluzione francese, come Jeux d’enfants (1988) o Message de Marie-Antoinette à la Conciergerie (1989), evocano il rapporto di Sigmar Polke con la Storia.
Gli anni settanta sono rappresentati da un’importante selezione di lavori che illustrano sia la frenesia iconoclasta di Polke in questo periodo – come Cameleonardo da Willich (1979) con la sua sovrapposizione di caricatura e fumetto – sia la sua volontà di sperimentare tecniche pittoriche a 360 gradi: ne sono un esempio Untitled (1970-1971) e la sua fioritura cromatica o Indianer mit Adler (1975), con i dipinti metallizzati realizzati con la vernice spray e l’utilizzo delle sostanze psicotrope più diverse cui rimandano i funghi di Alice im Wunderland, 1972.
Al termine del percorso espositivo, infine, gli anni sessanta fanno luce sulla genesi di quest’arte fuori del comune. In Telepathische Sitzung II (William Blake - Sigmar Polke, 1968) emerge l’interesse per i fenomeni paranormali già manifestato dall’artista, mentre la celebre Kartoffelhaus (1967/1990), un capanno da giardino costellato di patate, attesta in particolare il suo gusto per l’assurdo e i suoi legami con Fluxus. La sua attenzione si focalizza sulla pittura con la messa a nudo dei meccanismi dell’immagine fotografica nei dipinti basati sulla trama di quest’ultima, Interieur (1966) o Vase II (1965), gli ammiccamenti all’estetica del kitsch, con Reiherbild I (1968), o alle manie della modernità con Bohnen (1965) e Schrank (1963). Polke assimila anche la questione del supporto del dipinto attraverso l’utilizzo di tessuti stampati i cui motivi decorativi dialogano con il soggetto dipinto, come in Das Palmen-Bild (1964) o Lampionblumen, 1966.
A complemento dell’esposizione saranno presentati i Venice Films (1983-1986) e alcune serie di fotografie. Al Teatrino di Palazzo Grassi sarà inoltre proiettata in autunno una selezione dei film più significativi dell’artista.
La mostra, che resterà aperta fino al 6 novembre 2016, è stata ideata da Elena Geuna, curatrice indipendente e consulente d'arte contemporanea e Guy Tosatto, direttore del Musèe de Grenoble, in collaborazione con The Estate of Sigmar Polke e ruota intorno a due grandi temi: l'alchimia e la politica.
SIGMAR POLKE
Palazzo Grassi
Campo San Samuele 3231 - Venezia
17 aprile 2016 - 6 novembre 2016
Questa è la motivazione di alcuni cristiani che cercano di giustificare le loro abitudini alimentari carnivore, convinti che Gesù usasse mangiare carne, non esclusa carne di agnello, anche se in nessuna circostanza sia nei Vangeli canonici sia in quelli apocrifi risulta che Gesù abbia mai consumato della carne. E se si esclude l’episodio riportato in Luca 24,41, discepolo di Paolo convertitosi 3 anni dopo la morte di Gesù (quindi non poteva essere presente all’evento) in cui Gesù per dimostrare ai discepoli il suo essere resuscitato dice: “Avete qualche cosa da mangiare? Gli offrirono una porzione di pesce arrosto: egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”, escluso questo si può dire che non solo Gesù non mangiò mai carne ma palesemente neppure pesce. Ma spesso si estrapola dai Vangeli solo ciò che serve a giustificare le proprie convinzioni tralasciano i principali insegnamenti di Gesù quali: “misericordia io voglio non sacrificio, beati i miti, i puri di cuore...
Ora è difficile conciliare misericordia, mitezza, purezza con il brutale assassinio di un animale per deliziarsi il palato. Nella maggior parte dei casi chi usa mangiare carne ha anche il coraggio di uccidere l’animale, e attribuire questa insensibilità a Gesù è alquanto azzardato e denigratorio: avrebbe dimostrato meno sensibilità di molti mistici, santi e filosofi o di chiunque di noi che sente rispetto e compassione anche per gli animali.
Se immaginiamo due cuochi in cucina intenti a preparare cibo da mangiare e che uno dei due sia Gesù. L’uno dei due uccide e taglia a pezzi un coniglio, l’altro invece, essendo vegan, si rifiuta per compassione. Domandiamoci chi dei due possa essere Gesù. Generalmente chi usa mangiare carne è insensibile alla sofferenza e alla morte delle sue vittime ed è potenzialmente capace di uccidere l’animale di cui si nutre; oppure, pur considerando cruenta e raccapricciante l’azione, delega, ipocritamente, ad altri il compito di commettere ciò che in prima persona gli ripugna, mostrando di non avere il coraggio delle proprie azioni, né di guardare gli effetti che producono.
L’esperienza diretta, confermata dalla scienza, dimostra i danni causati dalla cattiva alimentazione sulla salute, ed io dico sulla coscienza, sull’evoluzione civile, morale e spirituale del genere umano. Come poteva Gesù, maestro di saggezza divina, affermare “Non quello che entra nella bocca contamina l’uomo ma quello che esce dalla bocca lo contamina”? anche se nei vangeli apocrifi Gesù condanna duramente chi uccide l’animale e ne mangia la loro carne. Ma ai vangeli apocrifi la Chiesa guarda con sufficienza, anche se molti episodi della madre di Gesù vengono presi dal protovangelo di Giacomo, il più antico teste neotestamentario, considerato apocrifo.
Perché la Chiesa non si adegua alle nuove esigenze dello spirito umano per quanto riguarda l’alimentazione carnea benché molti grandi santi e padri della Chiesa ne abbiano raccomandato l’astinenza? Probabilmente per paura di far perdere all’essere umano la sua arrogante, inesistente centralità biologica e con essa il falso diritto di disporre degli altri esseri viventi per volontà di un dio che elegge solo la progenie umana a sua immagine e somiglianza.
Come avrebbe potuto Gesù legittimare abitudini che si sarebbero rivelate dannose per la salute umana, crudeli per il mondo animale, devastanti per l’ambiente, per l’economia e concausa della fame di un’immensa parte di umanità? Gesù, Figlio di Dio Creatore, come può compiacersi della distruzione delle sue creature? E’ come se un artista si compiacesse della distruzione delle sue opere. Dai frutti e dagli effetti prodotti è
verificabile la bontà o no di una legge, di una regola, di una dottrina.
Appellarsi poi alle tradizioni significa voler restare nello stato primordiale dell’evoluzione umana. Bisogna guardare al passato per rendere migliore il futuro. Il seme deve diventare pianta e dare i suoi frutti: non può restare seme in eterno. Nulla di ciò che viene detto ha valore imperituro. I tempi di Gesù non sono i nostri tempi. L’etica si amplia con la crescita della sensibilità e l’intelligenza positiva. Con chi si schiererebbe oggi Gesù? Con chi chiede amore anche per gli animali o con chi indifferente alla sofferenza e alla morte dice “Ammazza e mangia”?
Come si possono giustificare le proprie scelte alimentari appellandosi a dettami di duemila anni fa senza considerare le contingenze storiche e sociali che le hanno determinate? La nostra Costituzione, vecchia solo di 60 anni, ha necessità di essere riscritta, adattata alle nuove esigenze della cultura, dell’etica e della spiritualità umana che avanza: ostinarsi a considerala immodificabile, perché espressione di una tradizione condivisa, significa restare nella preistoria.
I tempi di Gesù erano tempi di fame, di guerre, di schiavitù, di crocifissioni, superate da una società che si considera evoluta e civile, come deve essere superata la raccapricciante abitudine di uccidere e cibarsi del corpo di un animale, spesso allevato in compagnia degli umani e spesso considerato parte stessa della famiglia, per non parlare dei campi di sterminio dei mattatoi, dove gli animali vengono fatti nascere con lo scopo di ucciderli e mangiarseli.
Ma ammesso che Gesù fosse stato indifferente verso la condizione degli animali e che, secondo le usanze ebraiche, usasse consumare carne, questo non autorizza il cristiano ad emulare solo l’aspetto alimentare tralasciando gli altri insegnamenti di povertà, mitezza e castità. Se Gesù avesse comandato di cedere il 10% del proprio guadagno ai poveri, o di astenersi dal sesso per un mese all’anno, quanti dei cristiani seguirebbero tale prescrizione? Il senso del Vangelo è quello di rendere l’essere umano più giusto, misericordioso, solidale, compassionevole. Ebbene, tutto questo è inconciliabile con lo scannatoio dei nostri fratelli animali.
Le due posizioni tra chi sostiene la legittimità di mangiare animali e chi invece si astiene per compassione e senso di giustizia mette a confronto due condizioni morali e spirituali. Il primo cerca giustificazioni per non rinunciare ad un piacere e al diritto di disporre della vita degli altri esseri viventi; i vegan fanno appello alla loro coscienza, al senso di giustizia, al valore della vita perché ritengono ingiusto, oltre che dannoso, fare ad altri ciò che non si vorrebbe per se stessi. Solo voler considerare valida la seconda opinione ci condanna all’insensibilità morale e all’ignoranza esistenziale.
Chi si rifiuta di accettare la realtà che “nulla è per sempre” non procede nella via della sua stessa evoluzione. Nulla è immutabile, eccetto lo stesso mutamento. La Chiesa stessa, l’istituzione più refrattaria ad ogni innovazione, ha sentito la necessità di superare regole un tempo considerate insuperabili, come l’esistenza del purgatorio, la schiavitù, le mire espansionistiche, l’uccisione di gente di fede diversa, la sottomissione al potere, la pena di morte, la tortura, il disprezzo per la donna, il divorzio ecc.
Tutto avanza e tutto si modifica. E’ stato quel che è stato, ma oggi siamo chiamati, da esseri pensanti, con un’apertura mentale più vasta ed una coscienza morale più evoluta, a non accettare passivamente ciò che viene tramandato come verità immutabile, consapevoli che ogni regola nasce da particolari esigenze storico/sociale di un popolo e occorre verificare criticamente se ciò che viene tramandato, anche come principio supremo, attua o no il bene della società in cui viene trasporto.