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Il visionario regista James Cameronha annunciato quattro sequel del celebre Avatar, primo film interamente girato in 3D.
Durante il CinemaCon di Los Angeles, la convention annuale degli esercenti cinematografici statunitensi, è stata resa nota la notizia che il kolossal, che ha sbancato i botteghinicon 760 milioni di dollari solo negli Stati Uniti e 2,7 miliardi di dollari in tutto il mondo, non avrà tre sequel, ma quattro.
Per il primo capitolo della saga si dovrà aspettare dicembre 2018, mentre il secondo arriverà nelle sale nel dicembre 2020, il terzo si vedrà nel 2022, infine l’ultimo nel 2023. Ogni film sarà un’opera indipendente. I primi due capitoli saranno girati in Nuova Zelanda, le riprese del primo inizieranno tra pochi giorni. Si tratta di un progetto molto ambizioso, una saga epica, come ha precisato lo stesso regista, con diverse novità tecnologiche e un elevato indice di spettacolarità, per quanto riguarda l’impatto visivo, superando addirittura il primo film del 2009.
Girato tra gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda, Avatar costò 237 milioni di dollari, e fu distribuito nei cinema di tutto il mondo tra il 16 e il 18 dicembre 2009, proiettato sia in formato 2D, che in 3D e in 3D IMAX. Il film è stato stato pensato e realizzato per la visione in 3D ed è stato il primo ad utilizzare il nuovo logo della 20th Century Fox, animato da Blue SkyStudios. Avatar è composto per 60% da elementi virtuali creati al computer e per il restante 40% da elementi live-action. Il set, chiamato il "Volume", eraformato da un teatro vuoto dove gli attori, vestiti con tute e caschi speciali, giravano le scene del film, mentre delle particolari cineprese, progettate dallo stesso Cameron, riprendevano permettendo la visione in tempo reale in modo da poterne immediatamente correggere eventuali errori.
Avatarcandidato a 9 nomination, portò a casa 3 Premi Oscar, per la migliore fotografia, la migliore scenografia e i migliori effetti speciali.
Per i sequel la squadra di sceneggiatori ha lavoratoper costruirel’evoluzione dell’universo degli Avatar, creando l’atmosfera, l’ambiente, le creature, i personaggi, le nuove culture. Oltre Cameron, firma la sceneggiatura delle quattro pellicole: Rick Jaffa, Amanda Silver, Josh Friedman e Shane Salerno.
Nel cast ritroveremo Sam Worthington, Zoe Saldana, Stephen Lang e Sigourney Weaver.
James Cameron e Jon Landau sono i produttori per la Lightstorm Entertainment.
La specie umana è sicuramente quella che maggiormente utilizza il linguaggio verbale come strumento di comunicazione e di dialogo, mentre ogni altra specie vive gran parte della sua esistenza nel silenzio della sua intima natura. Nel corso della storia il valore del silenzio è stato evidenziato dai grandi mistici, santi e filosofi; molti hanno preceduto la loro missione da un rigoroso ritiro in solitudine. La necessità di raccogliersi in silenzio emerge anche quando si devono prendere decisioni importanti, o si cerca la strategia migliore per obiettivi da raggiungere.
Oggi il mondo affoga in torrenti, fiumi, oceani di parole. Estenuanti dibattiti su tutto, spesso inconcludenti, non consentono all’anima di esprimersi. C’è talmente tanta voglia di parlare che a volte più interlocutori monologano contemporaneamente. La nostra parte migliore languisce e a volte si spegne del tutto nel frastuono dell’espressione verbale che spesso preclude la percezione della vera conoscenza che trascende ogni linguaggio, perché è limitato, esclusivo, riduttivo ( mentre il pensiero è un vettore unidirezionale il sentire ha una valenza sferica).
Attraverso il silenzio, e il potere dell’intimo sentire, si possono superare le barriere delle distanze, delle lingue, della materia; si apre la porta della percezione che va oltre le parole e ci consente di approdare ad
orizzonti più vasti e profondi; l’uomo entra in contatto con la sua vera natura, con l’essenza stessa delle cose, e gli consente di vedere le cose con occhi diversi, nuovi e, se guarda un fiore, non vede più un fiore ma un miracolo vivente.
Il silenzio è una porta che apre alla preghiera, e la preghiera del cuore ha più valore della preghiera verbale. Solo nel silenzio si può sentire la voce di Dio: è la frequenza su cui Dio parla. Il cuore non ha bisogno di parole, non può esprimersi nel frastuono di elucubrazioni mentali: “Sia il vostro dire si si e no no, il resto viene dal Maligno”, diceva Gesù.
La preghiera è come un’invocazione che si espande oltre i limiti del Cosmo e ci sintonizza con l’ordine supremo delle cose. La libertà interiore è condizione primaria nella preghiera perché si possa stabilire una connessione con l’Assoluto. Ciò che conta nella preghiera non è le cose che si dicono ma l’ardore con cui si sentono. Occorre far il vuoto dentro di se stessi, liberi da ogni interferenza disarmonica dell’io e della singola tempesta mentale. Occorre pregare con il cuore più che con le labbra, con l’anima più che con la mente. La preghiera non è una recitazione delle nostre necessità: è un canto d’amore, di gratitudine che, in un cosmico abbraccio, si apre con amore e stupore verso tutto ciò che vive.
La canzone popolare romana è ben rappresentata dai ControCorente, progetto artistico composto da Mauro Delle Donne (voce, tamburello), Martino Cappelli (mandolino), Simone Pulvano (percussioni), Maurizio Trequattrini (basso, mandoloncello), Roberto Delle Donne (voce, chitarra) e Alessandro Severa (fisarmonica). Recentemente si sono esibiti in un concerto al Parco della Musica di Roma ed hanno letteralmente conquistato il pubblico, portando alto il valore della romanità. Il loro stile fonde la tradizione alla ricerca e sperimentazione sonora. Incontriamo per un’intervista uno dei componenti, Alessandro Severa, che quando suona diventa un tutt’uno con la sua fisarmonica. Severa è polistrumentista, suona anche il pianoforte e l'organetto 8 e 12 bassi, diplomato all'UM in hard disk recording e composizione, esperto in arrangiamento. Diplomato in musicoterapia attiva, è co-fondatore con Roberto e Mauro Delle Donne di ControCorente.
Con i ControCorente sei stato il protagonista di un concerto al Parco della Musica di Roma, un omaggio alle melodie della tradizione musicale e poetica romana. Un bilancio della serata e tue sensazioni.
“Serata magica quella del nove aprile. Ci siamo esibiti nella sala studio intitolata a Gianni Borgna, uomo di grande cultura e spessore umano. "Storia della canzone romana", di Gianni Micheli, è il testo principale a cui noi facciamo riferimento per il nostro lavoro di ricerca. L'edizione di cui disponiamo è a cura di Gianni Borgna. Prova ad immaginare per ControCorente cosa abbia potuto significare suonare in questa sala. Magia. La sala studio Borgna contiene trecentocinquanta posti. La sera del nove aprile era gremita di gente. Noi abbiamo dato tutto. E ci siamo emozionati e divertiti come sempre nell'interazione con il nostro pubblico. Per me e gli altri compagni di viaggio di ControCorente l'eco di questo evento rimarrà a lungo nel cuore. Credo di poter dire lo stesso per chi era lì ad ascoltarci. Gli attestati di stima del nostro pubblico si sono manifestati prima con un lungo applauso carico di passione a termine del concerto. Proseguiti poi con numerosi interventi sulla nostra pagina facebook. Sensazioni davvero buone quindi. Sono felice di dirti che la barca di ControCorente naviga a vele spiegate e, "paradossalmente", a favore di vento.”
Nel brano ‘Fiori de malavita’ raccontate il dolore di un detenuto rispetto alla sua condizione carceraria, come è nata questa particolare composizione musicale?
“‘Fiori de malavita’ è l'unico brano a oggi del repertorio di ControCorente composto da noi. Si tratta di antichi fiori in ottava rima trasmessi oralmente da detenuti a Regina Coeli. Chi li abbia trascritti non è a noi noto. Mauro Delle Donne li ha prima selezionati. Io e Roberto Delle Donne li abbiamo poi musicati. Il nostro obiettivo era quello di creare una veste dal profumo tradizionale, utilizzando allo stesso tempo elementi e caratteri compositivi di oggi. Io non posso dire se ci siamo riusciti o meno. Quello che posso dire è che quando la suoniamo mi emoziona sempre come fosse la prima volta. E credo questa sia cosa bella. Abbiamo scelto di raccontare il dolore di un detenuto perché spesso la vita è sofferenza. Ma, forse, è proprio nella sofferenza che l'essere umano ha la possibilità di crescere, mostrando tutta la sua dignità in quanto tale.”
Alcune tematiche ricordano le parole di Romolo Balzani su Roma, il Tevere, le carceri. C’è qualche sinergia con questo antico autore che ha incarnato la romanità?
“Molte, anche se a oggi non abbiamo nessuna delle sue canzoni in repertorio. Il nostro nome viene dal testo della sua composizione più nota, Barcarolo romano. Romolo Balzani era un romano autentico. A proposito di sofferenza, lui ne ha vissuta molta. Ma alla fine è diventato un campione di umanità. E la gente lo seguiva in ogni teatro italiano in cui si esibiva. Addirittura successivamente ha esportato il suo lavoro nel mondo. Io ho avuto uno zio che nella mia infanzia è stato un riferimento per me: zio Fausto. Lui, come Romolo Balzani, era un romano vero. I due erano amici. C'è un antico modo di dire a Roma: "Nun'è romano chi a Roma nasce, ma chi da romano agisce". Romolo Balzani era un uomo del popolo. Anche io lo sono, così come il resto di ControCorente. E' molto probabile che in repertorio inseriremo una sua composizione: L'eco der core. Canzone fantastica, ricca di passione per Roma, la vita e l'amore.”
Ritieni che la fisarmonica sia più uno strumento classico o contemporaneo? Che considerazione hai della versione elettronica?
“La fisarmonica è uno strumento davvero speciale. E' abbastanza recente di nascita, avendo meno di duecento anni. Arriva a sostituire nella musica popolare strumenti antichi come zampogna e ciaramella. E' assai
I ControCorente |
versatile, e in grado di eseguire qualsiasi tipo di repertorio. Ormai da anni è presente anche nei conservatori. Credo che la fisarmonica possa essere considerata uno strumento contemporaneo e classico allo stesso momento. La versione elettronica non l'ho mai sperimentata. In generale non sono affatto contrario al suo uso. Se utile ad esprimere creatività e fantasia, per me è la benvenuta.”
Che cosa provi quando suoni? Cosa si instaura tra te e lo strumento?
“Principalmente, l'incontro con me stesso. Tutto emerge quando suono. Credo ci sia una stretta relazione tra il suonare e il movimento. E' una percezione fisica da non delegare alla vista, ma ad altri sensi. Al tatto, all'udito e, in un certo senso, a una sorta di terzo occhio che vede e osserva ogni cosa, senza realmente vedere come normalmente si è soliti fare. Quando suono posso percepire ogni mia singola parte, sia fisica che mentale. Spesso mi capita proprio di chiuderli gli occhi. Poi, abbandono tutto e m'immergo nel suono-movimento globale, di cui sono un elemento. E' una grande esperienza di crescita personale e di compartecipazione con gli altri, compreso il pubblico. Tra me e lo strumento una relazione di fusione totale. Siamo un'unica entità, nel bene e nel male.”
Progetti futuri?
“Musicalmente concentrato sul progetto ControCorente. Stiamo pensando alla realizzazione del nostro terzo cd. Sarà un lavoro speciale e delicato per noi, perché rappresenta il ponte verso il nostro futuro, che vedrà maggiore nostra composizione ed evoluzione nelle sonorità. Da circa un anno abbiamo introdotto nell'organico Maurizio Trequattrini al basso elettrico e mandoloncello, e Simone Pulvano alle percussioni. Due splendidi personaggi ancora prima che musicisti. Quindi, questo terzo cd sarà un passaggio, un’evoluzione di ControCorente. Siamo certi che la musica di tradizione può essere alimentata solo con la novità e il cambiamento.
Sempre musicalmente sono impegnato con grande piacere in un altro progetto che è quello della Med Free Orkestra. Una Banda di diciassette elementi fantastici. Con loro ho avuto opportunità di suonare nel concertone del primo maggio a Roma da piazza san Giovanni lo scorso anno. Esperienza unica. Della Med Free sta per uscire anche il nuovo cd, dal titolo Tonnosubito. Un lavoro molto interessante, da seguire assolutamente, che ha visto la partecipazione tra gli altri di musicisti come Fabrizio Bosso e Javier Girotto. In questi giorni stiamo anche girando il videoclip con la Med. Non appena avrò un link dove vedere, non mancherò di segnalartelo.
Infine curo con grande piacere e soddisfazione personale quella che è l'altra mia attività: la Musicoterapia. E qui mi fermo, ringraziando te per l'opportunità offertami e i lettori per il tempo speso.”
Scambio di accuse tra Armenia e Azerbaijan; l'espansionismo turco e il pragmatismo russo evidenziano l'ennesimo fallimento europeo
Le ultime tensioni tra Mosca e Ankara erano emerse il 24 novembre 2015, quando la contraerea turca aveva abbattuto un jet russo, a margine, per così dire, del conflitto siriano. Al primo aprile, questo è lo scacchiere regionale. A 22 anni dal cessate il fuoco, nuovi scontri si sono verificati tra Armenia e Azerbaijan nel Nagorno-Karabakh, enclave a maggioranza armena e cristiana in territorio azero, la cui indipendenza, proclamata nel 1991, non è riconosciuta dalla comunità internazionale. Dopo il Medio Oriente, anche il Caucaso è dunque (di nuovo) campo di battaglia per la supremazia regionale di Russia e Turchia, senza trascurare il potenziale ruolo dell'Iran, parzialmente riammesso nella comunità internazionale dall'accordo sul programma nucleare e dal suo potenziale apporto alla guerra contro i cartelli del jihad in Siria e Iraq. In tale contesto, la componente etnica e confessionale del Nagorno-Karabakh fa da corollario al dedalo intricato di relazioni internazionali che si è andato instaurando dal crollo dell'Unione Sovietica. Un discorso che vale per il Caucaso, (dove si trovano anche Cecenia, Ossezia e Daghestan), come per i Balcani, non a caso due significative sacche di reclutamento di foreign fighters per l'autoproclamato Stato islamico (Daech).
Il Nagorno-Karabakh è al centro di contese territoriali sin dal suo tentativo di secessione del 1988, quando era ancora una delle Oblast autonome dell'URSS, come Cecenia, Ossezia del Nord e Ossezia del Sud. La politica demografica dell'allora segretario generale del Partito comunista e Presidente del consiglio dei ministri dell'Unione Sovietica Iosif Stalin consisteva nell'ostacolare in tutti i modi la formazione di territori etnicamente compatti, in quanto potenziale fattore di disgregazione. Così, il Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena ma in pieno territorio azero, è rimasto integrato nella compagine sovietica fino al suo dissolvimento. Nel 1991, quando sia Armenia che Azerbaijan hanno proclamato la loro indipendenza, la contesa territoriale è sfociata in una guerra che, secondo le stime, ha provocato circa 30mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Un ruolo non indifferente nel raggiungimento della tregua, siglata nel 1994 a Mosca, è stato giocato dall'Iran, che allora dovette fronteggiare la reazione della propria opinione pubblica, in particolare della numerosa minoranza azera che ancora abita nel suo territorio (16% circa della popolazione totale) e che chiedeva a Tehran di sostenere i “fratelli” sciiti azeri contro gli “infedeli” armeni. Gli Azeri, sia in Iran che in Azerbaijan, sono infatti in larga maggioranza musulmani sciiti duodecimani, la stessa religione ufficiale della Repubblica islamica.
Al di là degli sforzi del Gruppo di Minsk, istituito nel 1992 dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) per favorire una soluzione diplomatica del conflitto nel Nagorno-Karabakh, a rivendicare il ruolo di arbitro erano (e sono ancora) due potenze regionali rivali: Turchia e Russia, entrambe consapevoli della posizione strategica del Caucaso, ricco di gas naturale e passaggio ideale per i gasdotti verso l'Europa. Ankara, che ha con gli Azeri (popolazione di ceppo turco) profondi legami etnici, e con l'Armenia un'altrettanto profonda e storica inimicizia, sostiene Baku, con cui si è apertamente schierata anche la scorsa settimana. La Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan, inoltre, è preda di deliri espansionistici e nostalgie ottomane, come ha ampiamente dimostrato a proposito della guerra in Siria, che per lui si riduce sostanzialmente alla guerra contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Mosca, dal canto suo, storicamente alleata dell'Armenia nel conflitto con l'Azerbaijan, negli ultimi giorni ha dato prova di un “impeccabile” pragmatismo politico: il Primo ministro Dimitri Medvedev, pur chiedendo a entrambe le parti di porre fine alle ostilità, ha dichiarato che la Russia continuerà a essere il primo esportatore di armi sia in Armenia che in Azerbaijan. In caso contrario, ha spiegato, qualche altro attore regionale potrebbe soppiantarla, distruggendo definitivamente l'equilibrio di forze (peraltro alquanto dinamico) in atto. “Le armi”, ha aggiunto Medvedev, “si possono e si dovrebbero comprare non solo per essere un giorno utilizzate, ma anche come fattore di deterrenza”. Il Cremlino, intanto, offre un contributo significativo alla guerra contro i cartelli del jihad, anche per motivi interni: l'immediato antecedente del cosiddetto “califfato” di Daech è stato fondato nel 2007 in Cecenia, altro territorio caucasico conflittuale. Si tratta dell'organizzazione di Doku Umarov, ucciso dall'intelligence russa nel 2013, in Qatar, e sostituito da Abu Muhammad al-Qatari.
Il 3 aprile l'Azerbaijan ha annunciato unilateralmente un cessate il fuoco e, due giorni dopo, è entrata in vigore una tregua, prodotto della mediazione russa. Ma le accuse reciproche di violazioni e gli scambi di artiglieria suscitano non pochi timori, soprattutto perché l'Unione Europea è oggi molto più debole di quanto non lo fosse negli anni '90, quando sperava di poter costituire un blocco geopolitico in grado di far pesare le proprie decisioni sul piano internazionale.
Nella splendida cornice del Salone di Raffaello nella Pinacoteca Vaticana, il Prof Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed il Col. Christoph Graf, Comandate della Guardia Svizzera Pontificia, hanno presentato THE LIFE OF A SWISS GUARD mostra fotografica allestita presso il Cortile delle Corazze dei Musei Vaticani,dedicata all’illustre corpo della Guardia Svizzera Pontificia al servizio del Santo Padre da oltre 500 anni.
In questa speciale occasione, il Corpo armato, viene presentato attraverso ottantasei scatti in bianco/nero e colore realizzati dal fotografo Fabio Mantegna e l’esposizione di divise ed oggetti che documentano la sua lunga storia.
“ Non potevano che essere i Musei Vaticani ad ospitare una mostra che presenti il glorioso Corpo della Guardia Svizzera Pontificia” afferma il Prof Antonio Paolucci,”gli scatti artistici di Fabio Mantegna che raccontano una storia nobile e antica, ma anche la bella giovinezza di un gruppo di ragazzi al servizio del Papa di Roma, orgogliosi e onorati del ruolo che rappresentano e del servizio al quale sono chiamati: il senso del dovere e l’umanità d’accenti si mescolano ai sogni, all’entusiasmo e alla speranza che hanno tutti i ragazzi del mondo a vent’anni”
“ Essere Guardia Svizzera è una vocazione” dichiara il Col. Christoph Graf, “ occorrono fede e profonda convinzione per svolgere questo impegno straordinario e nobile. Giorno e notte siamo vicini al Santo Padre e cerchiamo, attraverso il nostro servizio, di garantirgli la tranquillità e la sicurezza di cui ha bisogno per svolgere il suo ministero di Successore di Pietro”
Si può ben comprendere quanto sopra dichiarato evocando il terribile Maggio 1527, il Sacco di Roma, quando quattordicimila lanzichenecchi, in buona parte luterani, guidati da Georg von Frundsberg, diedero l’assalto ai Palazzi Apostolici. A difenderli vi erano centoquarantasette soldati svizzeri. Fu uno scontro feroce, all’arma bianca, al termine del quale tutti gli svizzeri del Papa risultarono morti. Fra gli altri anche il capitano Kaspar Roist che si era immolato con i suoi soldati per permettere a Papa Clemente VII di ritirarsi, nell’inespugnabile Castel Sant’Angelo.
La ricca mostra, realizzata grazie alla generosa disponibilità del Capitolo della California dei Patrons of the Arts dei Musei Vaticani e curata da Romina Cometti dell’Ufficio Patrons of Arts diretto da P. Mark Haydu, offrirà per la prima volta una rara visione dell’affascinante storia della Guardia Svizzera.
Il catalogo fotografico ,realizzato grazie ai Patrons Of The Arts della California, viene pubblicato in un’unica edizione in tre lingue, inglese, italiano e tedesco.
L’esposizione rimarrà aperta al pubblico fino al 12 Giugno del 2016 e sarà accessibile gratuitamente essendo compresa nel percorso ordinario di visita secondo i consueti orari di apertura e chiusura dei Musei Vaticani (www.museivaticani.va)
Smetto Quando Voglio è l’opera prima del regista salernitano, Sydney Sibilia, che,dopo l’inaspettato riscontro di pubblico e critica ottenuto dalla prima pellicola, di cui ha firmato anche la sceneggiatura, non riesce più a “smettere” e torna dietro la macchina da presa. Diventato già un cult, il film, tra i maggiori successi del 2014,si è aggiudicato un Globo d’Oro, due Ciak d’Oro e ben 12 nomination ai David di Donatello, con un meritato secondo posto nella classifica di incassi e presenze. La fortunata pellicola, simbolo di una generazione di precari, ricercatori geniali sfruttati da una società che non perdona e li tiene ai margini, ora diventa una saga: Smetto Quando Voglio – La Trilogia. Ritroveremo così al cinema la banda bizzarra e sconclusionata che inventò e mise in commercio una “droga legale”, con l’avvicendarsi di situazioni grottesche e paradossali, condite da un’ironia graffiante e battute esilaranti.
Il secondo e terzo capitolo della “saga comedy” saranno giratiin contemporanea tra Roma, Lagos e Bangkok, per la durata di 16 settimane di lavorazione. Squadra vincente non si cambia ed ecco quindi la banda dei sette laureati con: Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia e Pietro Sermonti, insieme a Neri Marcorè e Valeria Solarino.Stesso cast con nuovi laureati, esperti nelle più disparate discipline. Sydney Sibilia, Francesca Manieri e Luigi Di Capua, uno dei membri del gruppo comico The Pills, firmano la sceneggiatura di questa attesissima Trilogia, per una produzione Groenlandia, Fandango con Rai Cinema, prodotto da Domenico Procacci e Matteo Rovere, quest’ultimo nelle sale con Veloce come il vento. La fotografia è di VladanRadovic, il montaggio di Gianni Vezzosi, le scene di Alessandro Vannucci, i costumi di Patrizia Mazzon e il suono di Angelo Bonanni.
Il primo dei due film uscirà al cinema il 2 febbraio 2017 distribuito da 01 Distribution.
Quando si parla di agricoltura biodinamica applicata alla viticoltura viene da pensare immediatamente alla Tenuta Alois Lageder in Alto Adige. Perché è un’azienda che da molti anni ha basato la sua produzione sulla visione antroposofica del mondo ovvero sulla base di quel percorso spirituale e filosofico imperniato sugli insegnamenti del filosofo ed esoterista Rudolf Steiner. L’approccio olistico, che spesso suscita confusione e scetticismo, in buona sostanza sancisce la necessità di intervenire per arrivare ad una unica finalità: un unico sistema costituito dal suolo e la vita che si sviluppa su di esso (in questo caso la crescita della vite).
Ogni anno, da ben 18 anni consecutivi con il nome Summa, Magré sulla Strada del Vino in Alto Adige ospita l’Evento Biodinamico più esclusivo a livello europeo se non mondiale. Appuntamento non solo per i “seguaci” di questa filosofia applicata alla produzione del vino ma per tutti i Wine Lovers che ricercano nelle stanze del Palazzo Casòn Hirschprunn le “chicche” da riportare come veri “trofei” del buon bere. Sì perché è il Buon Bere che unisce in quei tre giorni sia gli scettici che i fedeli.
Perché Summa? C’è un nesso con la Biodinamica? Perché 16 e non 18 visto che tale è il numero degli eventi con questo nome?
Partiamo da quest’ultimo interrogativo. 16 sta per 2016 e non credo possano esistere altre interpretazioni. Su il perché la Manifestazione si chiama Summa la risposta è molto più articolata. Bisogna ripercorrere la sua Storia, il progetto di Alois Lageder e di sua moglie Veronika fin dalle prime battute della loro narrazione.
“Devo premettere che, inizialmente, avevamo battezzato l’evento con il nome di Vinal,con l’intento di creare un collegamento tra Vinitaly (Vin) e Alois Lageder (al) – così inizia il racconto di Alois – In seguito e per diversi anni la Manifestazione è stata chiamata Quintett poiché eravamo partiti dall’idea di invitare alla nostra Tenuta cinque vignaioli da altrettante zone di produzione diverse”.
Poi ogni anno la richiesta di partecipazione è aumentata e, di conseguenza, il nome Quintett risultava di fatto superato. Serviva qualcosa di diverso, non banale, non scontato. E come sempre accade fu un caso fortuito a suggerirlo ai coniugi Lageder.
Il racconto di Alois continua:“ Una sera, mia moglie Veronika ed io, entrambi appassionati di musica contemporanea, eravamo immersi nelle note del compositore estone Arvo Pärt e stavamo rimuginando proprio sul nuovo nome da dare all’evento. VeroniKa per combinazione, consultò la custodia del CD per leggere il titolo del brano che stavamo ascoltando. “Summa for Strings”: ci guardammo negli occhi e fu chiaro ad entrambi che avevamo finalmente trovato il nome giusto”.
“Il termine SUMMA deriva dal latino e significa somma o tonalità – continua Alois per dare l’interpretazione giusta e far capire il legame tra nome ed evento – Lo si può interpretare in due accezioni diverse: da un lato in senso enciclopedico, ossia come qualcosa che abbraccia tutto lo scibile e l’esistente, ma dall’altra anche il senso di coglierne e sintetizzare gli aspetti essenziali”.
Essenza; da lì la convinzione a scegliere quel nome, il collegamento con l’Evento ovvero incontro tra vignaioli che fanno emergere dalla loro produzione l’eccellenza tramite la ricerca delle varietà. Una somma o SUMMA di aspetti essenziali. E si capisce la spiritualità e filosofia.
L’edizione 2016 assume una conformazione internazionale “sconfinando” dai limiti geografici europei. Ai vignerons provenienti da Italia, Francia, Austria, Germania si aggiungono alcuni provenienti da Australia e Nuova Zelanda. In tutto ben 60 produttori d’eccellenza a presentare il meglio della produzione biodinamica nel mondo.
Manifestazione certificata Green Event che propone come sempre un programma scandito da degustazioni di raffinate etichette, inclusi i vini certificati Demeter, verticali e seminari, gastronomia di pregio e visite guidate alla cantina Lageder ed ai suoi vigneti.
Non ultimo il progetto di solidarietà che la Famiglia Lageder porta avanti da quasi quindici anni: devolvere parte del ricavato all’associazione umanitaria “Casa della Solidarietà”. Un aiuto concreto per anziani, bambini e giovani provenienti da situazioni familiari difficili assicurando un posto decente dove vivere e continuare a credere nella vita.
Tutto questo è Summa 16 dal 9 all’11 Aprile a Magré in Alto Adige.
Dimenticavo di segnalare il consiglio di Alois Lageder. Summa 16 è certificata Green Event da parte dell’Agenzia Provinciale altoatesina dell’Ambiente. Necessaria la particolare attenzione alla mobilità sostenibile. Servizio navetta dai parking affidato agli innovativi veicoli a idrogeno dell’Istituto per Innovazioni Tecnologiche Bolzano, dalla Stazione ferrovioraria di Magré-Cortaccia-Cortina s.s.v, con corse da Bolzano, Trento e Verona e dallo speciale collegamento a.r tramite Bus con l’area fieristica di Verona. Info su tutto questo nel sito ufficiale
Alois Lageder (a sin:) con Urano Cupisti |
del Summa 16.
C’è sempre un nesso, un fondamento nelle Storie miste a leggende. Musica, Vino, Arte, Creatività, Progettualità e Comunicazione universale. E Alois Lageder, con il suo SUMMA, ne è un interprete.
L'estrazione del prezioso minerale, indispensabile per la fabbricazione di prodotti high-tech, alimenta guerra e sfruttamento nella Repubblica Democratica del Congo
Coltan è l'acronimo con cui è nota una varietà di columbite-tantalite relativamente ricca di tantalio, prodotta in Australia, ma, soprattutto, nella Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire e fino al 1960 colonia belga. Nelle foreste pluviali di questo paese, situate nelle regioni confinanti con Ruanda e Uganda, migliaia di persone, armate di machete, ascia, pala e qualche panno, lavorano in assenza di tutele e a ritmi disumani, per estrarre il prezioso e raro minerale. Molti sono bambini, le cui dimensioni consentono loro di penetrare in profondità nelle miniere. Il mercato del coltan, inoltre, ha dato vita a una serie di “attività collaterali”, come quelle di chi affitta stanze, spesso con prostitute incluse nel prezzo, o di chi “protegge” i minatori dalle bande di rapinatori, all'interno di una sorta di racket delle estorsioni: sia le stanze, che le prostitute, che le milizie armate sono a carico del lavoratore. Così, anche se le retribuzioni sono le più alte del paese, una grossa fetta finisce nelle tasche di trafficanti (di donne) e formazioni armate.
I conflitti che hanno interessato il paese negli ultimi decenni, culminati con una crisi umanitaria ancora in corso, non hanno ricevuto sufficiente attenzione da parte della comunità internazionale, a parte le opere di mediazione sfociate in fragili tregue (la situazione, soprattutto nelle province orientali resta tesa). Basti pensare che uno di questi conflitti si è verificato negli anni '90, lo stesso decennio che ha visto crescere le vendite di coltan del 300 percento. Questo minerale, o meglio il tantalio che contiene, è indispensabile per la fabbricazione di prodotti come telefoni cellulari, satelliti, televisori al plasma, dispositivi MP3 e MP4, fotocamere, ma anche i sistemi computerizzati di razzi spaziali e missili e, in generale, i sistemi elettronici militari. Tutti prodotti che alimentano una parte consistente del mercato internazionale. A nulla sono servite le segnalazioni da parte di organizzazioni umanitarie sul fatto che l'esercito del Ruanda, quando controllava la regione del Kivu, avesse sfruttato prigionieri di guerra per il lavoro nelle miniere. Anzi, la stessa caccia al coltan ha alimentato le rivalità tra fazioni, in parte perché ha reso economicamente strategiche le aree ricche di questo minerale, in parte perché le milizie armate spesso controllavano direttamente le miniere.
Ugualmente devastante l'impatto delle estrazioni di coltan sulle foreste pluviali e, in generale, sull'ecosistema del paese. Per scavare le miniere, infatti, è necessario disboscare, quindi privare la fauna locale del suo habitat naturale. Si stima che la popolazione degli elefanti sia diminuita dell'80 percento, mentre quella degli elefanti ha subito una flessione del 90 percento. Inoltre, il lavoro nelle miniere, che può fruttare dai 10 ai 50 dollari la settimana (quando lo stipendio medio è di 10 dollari al mese), ha provocato il crollo della produzione agricola, impedendo alla popolazione di conquistare la sicurezza alimentare. Per lo stesso motivo, molti bambini abbandonano la scuola per fare i minatori, un ulteriore colpo all'economia. Anche se l'era del colonialismo è finita, la decolonizzazione non è stata un processo verso l'autosufficienza, come aveva auspicato per l'Africa l'ex presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, ucciso nel 1987 nel colpo di stato organizzato dal suo ex alleato Blaise Compaore. Il coltan, come il petrolio libico o gli scisti bituminosi del Congo Brazzaville, fa gola a multinazionali che trattano prodotti di fondamentale importanza per i mercati internazionali. Lo stesso meccanismo che privilegia agricoltura e pesca industriali, basate sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, rispetto a quelle su scala familiare, che al contrario potrebbero creare uno sviluppo solido ed ecosostenibile.
Fino al 31 marzo è possibile visitare a Roma, presso i locali della Vertecchi in via Pietro da Cortona n. 18, la prima mostra della giovane pittrice Alice Fois. Abbiamo ora l’occasione di rivolgerle alcune domande sulle sue tele e sull’arte in genere.
D. Come e quando è nata la passione per la pittura e in che modo è diventata così preponderante nella tua vita?
É una passione che ho fin dalla primissima infanzia. Da sempre infatti il disegno, e in seguito la pittura, sono stati fra i miei principali interessi. Fin da bambina passavo quasi tutto il mio tempo con la matita in mano ritraendo quasi esclusivamente animali. Una passione che é sempre stata più di un hobby, una che non ho mai abbandonato e che si é sviluppata, e perfezionata, con il passare degli anni.
D. Come mai la passione per i cani come soggetti dei tuoi quadri?
Il mio amore per gli animali é sempre stato a tutti molto evidente, ma i cani occupano nelle nostre vite un ruolo talmente importante, tale é l’affetto che si nutre nei loro confronti, da essere sempre stati tra i miei soggetti prediletti. Questo amore é ovviamente esploso nel momento in cui ho preso il mio, ed unicamente mio, primo cane, tre anni fa. L’idea di ritrarre su commissione i nostri amici a quattro zampe é nata per caso, al parco. In poco tempo si é sparsa la voce e in tanti volevano un quadro del proprio animale perché non era un semplice ritratto ma una parte di cuore su tela.
D. Cosa ti piace di più nella pittura, il momento creativo, la fase della creazione o la progettualità dell’opera?
Il momento che preferisco é quello appena prima di cominciare il dipinto, quando ricevo le foto dell’animale da ritrarre, ne immagino il carattere, l’indole, osservo nel dettaglio l’espressione degli occhi. Mi hanno detto spesso che riesco a catturare l’anima del cane, del gatto o del cavallo in questione, e questo credo sia dovuto a quella prima importantissima fase di ogni mio lavoro.
D. L’ispirazione è sempre un momento emozionante per l’artista, a te cosa suscita e come avviene?
Ci sono delle mattine in cui veramente non vedo l’ora di mettermi a dipingere, per provare una nuova tecnica o cominciare un cane che mi piace particolarmente o realizzare una richiesta diversa dal solito. In ogni caso da sempre la mia ispirazione sono quegli sguardi muti, che senza l’uso della parola sono in grado di mostrare delle emozioni che veramente sorprendono.
D. Nonostante la giovane età, hai fatto della pittura la tua professione. Prossimi progetti dopo questa prima esposizione? Hai contatti con pittori di altri paesi per uno scambio culturale?
Essendo un’autodidatta e quindi non avendo frequentato ambienti dediti alla pittura, sono del tutto nuova al mondo dell’arte e degli artisti. In occasione della mia prima mostra ho però avuto modo di conoscere tanti pittori, ma per ora non prevedo scambi culturali. I commenti positivi e l’entusiasmo per le mie opere hanno superato le mie aspettative, spero quindi di avere presto la possibilità di esporre ancora.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
VINITALY edizione n. 50, da vivere, godere, “da bere”.
(fonte: press office veronaFiere)
Ecco le Novità in frammenti (fonte: press office veronaFiere):
Frammento n. 1
La novità in assoluto: Vinitaly 2016 aperto ai solo operatori business, sommeliers e stampa specializzata.
“L’ingresso a Vinitaly, dal 10 al 13 aprile a VeronaFiere, è riservato solo agli operatori business, ma per il grande pubblico degli enoappassionati dall’8 all’11 aprile nel cuore storico di Verona ci sarà Vinytali and the City: un vero e proprio fuori salone con degustazioni di vino e cibo, spettacoli musicali e culturali, dj set e incontri sul tema enogastronomico. Notte viola sabato 9 aprile. In arrivo cantanti da Sanremo, big e giovani.” Finalmente qualcosa si muove per arginare scene imbarazzanti che tutti gli anni abbiamo registrato. Allineamento con gli altri eventi mondiali. Arriveremo al Vinitaly con solo invito? (Bordeaux docet). Per maggiori info visitare il sito www.vinitalyandthecity.com
Frammento n. 2
Calici dal Mondo al 50° Vinitaly
“Grandi vini di Francia, Spagna, Regno Unito, Portogallo, Australia, Argentina, Ungheria, Ucraina, Romania, Georgia, Azerbaijan, Svizzera, Serbia, Slovenia, Croazia e, per la prima volta, Cina nei padiglioni, nelle esclusive degustazioni di Vinitaly e nel Taste and Buy”. Vinitaly apre il padiglione I (a sinistra dopo l’entrata principale) al vino del resto del mondo. Quest’anno la Spagna sarà la protagonista con una grande collettiva di ben 18 cantine a rappresentare l’intero suo territorio vinicolo. Forte di ben 90 Dop e 41 Igp. Una grande occasione per approfondire la conoscenza. Sicuramente il padiglione della Cina, visto il grande successo di presentazione dei vini cinesi al Vinexpo di Bordeaux edizione 2015, sarà frequentatissimo. Come non esserci!
Frammento n. 3
Vinitalybio e Vivit.
Aziende estere anche tra i vini biologici di Vinitalybio (da questa’anno collocato nel padiglione 8, dove sono presenti altri vini spagnoli, rumeni e francesi. Spostamento al padiglione 8 anche per Vivit che ospiterà vini internazionali provenienti da Francia, Argentina, Slovenia.
Frammento n. 4
Vinitaly Internacional Accademy
A Vinitaly 2016 il vino sarà business ma anche cultura. Degustazioni sempre più prestigiose ed uniche. Le executive class organizzate dal Direttore Scientifico Ian D’Agata, con protagonisti i migliori vini del panorama mondiale. Uno fra i tanti? Pinot Gris Clos Saint-Urbain Rangen de Thann di Zind-Humbrecht.
Segnalazioni:
Save to Date
Lunedì 11, per la prima volta al Vinitaly, tasting sui vini cinesi!!! Sempre Lunedì 11, nell’ambito di Tasting Ex…press, i vini della Tasmania!!!
Frammento n. 5
e non potevano mancare i Premi. 5 Star Wines
“Giudici specializzati per aree produttive, in grado di comprendere la qualità sulla base delle specifiche peculiarità del luogo di origine dei vini e valore espresso in centesimi: sono queste le principali innovazioni proposte dal nuovo premio, ma non le sole. Con 5 Star Wines, Vinitaly offre ai vini che superano i 90 punti uno strumento di marketing estremamente moderno ed efficace, perché comprensibile e riconoscibile dai consumatori di tutto il mondo” In termini più semplici significa avere la possibilità di apportare in etichetta il logo specifico del premio contenente il punteggio ricevuto. Dal Concorso Enologico Internazionale nato 22 edizioni fa al Nuovo “5 Star Wines. Non più primo, secondo, terzo premio o medaglia d’oro, argento e di bronzo, nemmeno menzioni, ma solo il logo e, all’interno, il punteggio in centesimi ottenuto. “Questo renderà più trasparente il rapporto con il mercato, dove a un premio corrisponderà un valore reale, immediatamente codificabile dal consumatore e dal Buyer” Insomma una vera garanzia e trasparenza.
Conclusioni:
Un Vinitaly veramente da vivere, godere, “da bere”.
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
(Foto Vinitaly)
Il cristiano fa riferimento a quanto riportato nella Bibbia (da cui troppo spesso prende solo ciò che può giustificare il suo comportamento nei confronti del mondo animale), un testo attribuito a Mosè vissuto circa 1300 anni prima di Cristo, mentre alcuni storici affermano che probabilmente fu redatta tra il 9° e il 2° sec. a. C. e sarebbe come se oggi si volesse riportare il pensiero orale e gli avvenimenti accaduti nel Rinascimento.
Un testo considerato sacro, anche se è stato la causa di guerre e crimini di ogni genere. Un testo che mentre invita alla misericordia autorizza la schiavitù, il predominio ed il massacro sistematico di uomini ed animali.
Non un dio d’amore e di giustizia, non un dio universale, ma palesemente di parte a cui sta a cuore solo la sorte di un popolo che considera destinato a
dominare sugli altri. In questo contesto la Bibbia è stato ed è anche la causa di ogni rottura di relazione morale tra l’uomo e l’animale.
Contrariamente alla ricca tradizione di pensiero manifestata da molti santi e dai padri della chiesa in relazione agli animali, si sviluppa nel cristianesimo una visione dell’uomo come dominatore incontrollato dell’universo, che legittima lo sfruttamento incondizionato degli animali e dell’ambiente naturale, ignorando quella affinità fra gli esseri umani e gli animali trasmessa anche dalla cultura filosofica greca alla cultura giuridica romana, nel rifiuto dei sacrifici di animali e nella individuazione di un diritto (ius naturale) comune a uomini e ad animali.
Resta il quesito: perché mai l’uomo nel paradiso terrestre poteva vivere dei frutti degli alberi e l’uomo dopo il Peccato ha necessità di mangiare la carne, cioè una sostanza adatta agli animali predatori che causa gran parte delle peggiori malattie conosciute? Un alimento che non consente nemmeno gli
animali carnivori di vivere se unitamente alla carne non consumano anche erba, germogli e frutta. La superiorità dell’alimentazione vegetale appare
evidente dal fatto che se nella dieta si escludono gli alimenti di derivazione animale si continua a vivere in ottima salute, mentre se si escludono i prodotti vegetali si va incontro inevitabilmente a malattie e a morte precoce.
Chi può assicurarci che ciò che viene riportato come volontà di Dio non sia invece una manovra intesa a favorire una certa prospettiva quando non è un
adattamento alle esigenze soggettive del ricevente (ammesso che di tale si tratta)? Chi ci dice che quel che è scritto riporti il vero pensiero di Dio o se invece non sia stato manomesso per errore di trascrizione o adattato alle esigenze storico/contestuali del regnante di turno? Come si può credere ciecamente, fino a dare la propria vita, o addirittura togliere ad altri la vita, per tenere fede a prescrizioni che altri dicono di aver ricevuto da Dio?
E’ tempo di superare la perniciosa convinzione che ciò che è scritto su carta o pergamena sia la volontà di Dio, anche se ciò non esclude che lo sia; ma ritengo che nessuno abbia mai avuto la più pallida idea, la più sbiadita ombra di cosa possa essere Dio, né conoscere il suo vero pensiero.
La fede cieca ed assoluta è sempre stata fonte di lutti e rovine. Nulla è più pericoloso delle certezze mentre una disposizione al dubbio su tutto ciò
di cui non abbiamo diretta conoscenza ci farebbe sicuramente vivere meglio e in pace, soprattutto nella valutazione delle conseguenze che hanno generato nel corso della storia.
Occorre saggezza, prudenza e senso critico e quando incontri un uomo, un animale o una pianta e sei consapevole che hai di fronte tuo fratello forse
puoi dire di aver percepito il vero pensiero di Dio. Un giorno le future generazioni guarderanno con orrore a noi che per millenni abbiamo ucciso e
mangiato i nostri fratelli animali con lo stesso orrore con cui noi oggi guarderemmo ad una progenie di Angeli che usassero mangiare esseri umani.
Come è difficile riconoscere l’antica Roma nelle rovine del Foro Romano, del Palatino, dei Fori Imperiali.
Come è difficile ricostruire con l’immaginazione i grandiosi edifici, seppure a partire dalle poderose e imponenti murature che ne restano.
Come è difficile capire che Roma antica non si limitava a questo cuore congelato nel tempo, ma vive sotto le trafficate strade di oggi, sotto le chiese e le case.
La Roma antica come la vediamo ora nel Foro, non è mai esistita, è una creazione degli scavi del XIX e del XX secolo.
Nel 1900 viene distrutta la chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro e riemerge la chiesa di Santa Maria Antiqua, identificata dall’archeologo Giacomo Boni. Oggi considerata raro tassello medievale nel cuore antico della città, in realtà, testimonianza della continuità della storia millenaria della capitale.
Con l’imperatore Costantino arrivano la libertà di culto per i cristiani e le prime basiliche, dislocate lungo le vie consolari o, comunque, lontano dal polo politico-religioso pagano. Tanto che il cristianesimo, una volta affermato, creerà la basilica di Santa Maria Maggiore che, insieme ad altre limitrofe, sarà d’appoggio alla basilica di San Giovanni in Laterano per la creazione di un nuovo e alternativo polo religioso.
Nel VI secolo la trasformazione di alcuni dei templi pagani del Foro in chiese, è, per il cristianesimo, un avvicinamento a quello che, in passato, era il centro politico e religioso della città. Per gli edifici pagani, ormai in disuso, è occasione di trasformazione, ma anche di restauro.
Costantino aveva spostato la capitale a oriente, ma la memoria di Roma è ancora viva: la chiesa di Santa Maria Antiqua è frutto e testimonianza di tutto questo.
L’imperatore Caligola nel I secolo d.C. espande la residenza imperale del Palatino nella valle del Foro, vicino al tempio di Castore e Polluce, alla Basilica Giulia e al tempio di Augusto. In seguito anche Domiziano utilizzò e mise mano a questi edifici. Alle spalle del tempio di Augusto c’era una biblioteca, identificata, da una parte degli studiosi, con le murature che delimitano l’atrio della chiesa. Nel presbiterio e nelle due cappelle laterali, sopravvivono lacerti di decorazione pittorica di età adrianea e tracce di quella in opus sectile, realizzata con marmi policromi intagliati.
Parte dei brani di affresco nella navata centrale e nel presbiterio risalgono al 649-653 quando papa Martino I commissiona la decorazione. Ma l’intervento più importante è quello di Giovanni VII, che, educato nell’ambiente dell’amministrazione bizantina stabilitasi al Palatino, trasferì il patriarchìo, sede papale, dal Laterano, nella ex residenza imperiale. Tra il 705 e il 707 fa realizzare le pitture nel presbiterio e nella cappella dei Santi Medici, testimonianza della lotta iconoclasta e della continuità d’uso. Infatti proprietà curative erano attribuite, in epoca pagana, alla fonte di Giuturna, vicina alla chiesa e, nella cappella, continuava la pratica dell’«incubatio». Il malato poteva dormire sul pavimento della nicchia dei Santi Medici, nella speranza di svegliarsi guarito, così come accadeva, in precedenza, nei santuari pagani. Non bisogna dimenticare che nei pressi della chiesa si trovava una diaconia, istituzione religiosa per la cura dei poveri, dei malati e dei pellegrini.
L’altra cappella è dedicata ai Santi Quirico e Giulitta dal donatore Teodoto, funzionario di papa Zaccaria 741-752, che spostò dalla corte bizantina, verso quella dei Franchi, gli interessi del papato.
L’ultimo intervento decorativo dell’abside, insieme ai cicli di Antico e Nuovo Testamento nelle navate laterali, risale a Paolo I e agli anni 757-767.
Nel 772-795 Adriano I fa realizzare il ciclo pittorico nell’atrio, ne è esposto un frammento staccato negli ambienti della rampa imperiale che, dal fianco della chiesa, giungeva al Palatino e che, in parte, è stata riaperta al pubblico qualche mese fa.
Nell’847 il terremoto distrugge la chiesa che viene abbandonata. L’icona della Vergine, insieme al titulus, vengono trasferiti alla chiesa di Santa Maria Nova, attuale chiesa di Santa Francesca Romana al Foro, dove, la più antica icona romana, tornerà dopo l’intervallo della mostra.
Nell’XI secolo nell’atrio di Santa Maria Antiqua, fu creata la chiesa dedicata a S. Antonio di cui sopravvivono brani pittorici nelle murature.
La comprensione della complessa storia di Santa Maria Antiqua e la ricostruzione delle decorazioni è efficacemente supportata da video e dal video mapping delle cappelle e della zona absidale. I sette strati della famosa parete palinsesto sono illuminati progressivamente distinguendo le fasi cronologiche (utile anche il sito della Soprintendenza).
Le opere selezionate per la mostra servono a contestualizzare l’edificio tra queste: all’ingresso le sculture raffiguranti Amalasunta figlia di Teodorico o l’imperatrice Ariadne; i brani di mosaico da Santa Maria in Cosmedin e da Orte, ma originariamente nel distrutto oratorio di Giovanni VII presso la basilica costantiniana di San Pietro.
Tra i sarcofagi stabilmente nella chiesa, va ricordato quello di Giona nella navata di sinistra.
Accompagna la mostra, curata dalla professoressa Maria Andaloro con Giulia Bordi e Giuseppe Morganti, un corposo catalogo edito dalla Electa.
All’esposizione si accede con il biglietto di ingresso al Foro Romano negli stessi orari di apertura
per informazioni consultare il sito .
Non c’è tre senza quattro! È da questa riflessione che si arriva al nostro ristorpizza “Olio&Farina”; vediamo i precedenti.
La prima attività nasce a Napoli agli inizi del 1900 dall'unione di due famiglie: i D'Elia e i Fiorenzano.
I D'Elia erano già noti sin dal 1800 per la preparazione dei fritti poveri napoletani, in una piccola bottega, in Via dei Ventaglieri.
La seconda attività viene fondata nel 1920 con la denominazione "Friggitoria Fiorenzano" in Via Porta Medina 35, a Napoli.
Da sin. Francesco del Bene in arte "Franky", Mimmo Lomartire, |
Nel 1932 la friggitoria riceve il premio della fiera dell’Esposizione del Littoriale di Bologna e dal magistero scientifico italiano di Roma viene premiata con medaglia d'oro.
La terza attività, dopo il bombardamento del 4 agosto 1943 da parte degli Alleati, la “Friggitoria Fiorenzano”apre alla clientela a Piazza Montesanto e vi rimane in attività fino al 2009.
Si volta pagina, e la quarta attività si inaugura proprio qui a Roma nel dicembre 2015, assumendo il nome di “Olio&Farina”, all’Appio Latino, in Via Arrigo Davila 83,vicino alla fermata della Metro Colli Albani, e l'arte culinaria secolare della famiglia napoletana di Salvatore Fiorenzano ben presto viene così apprezzata dai palati romani più esigenti anche per merito dei due pizzettari instancabili, Francesco Del Bene, detto Frank, e Ciro D’Elia, che nel bancone a vista con grande vetrata che s'affaccia sulla strada, usando lievito madre, preparano, spianano, condiscono pizze gigantesche cotte nel forno a legna, che ha il pregio di profumare l’aria del quartiere.
“Olio&Farina” nasce da una centenaria tradizione famigliare. Nella cucina del Ristorante, per la preparazione dei piatti e per le pizze tradizionali napoletane, si utilizza solo ed esclusivamente olio extra vergine italiano prodotto nella Sabina romana, nella Puglia e nella Campania ovvero, nei posti patria dell’ulivo.
Per soddisfare i palati più esigenti, per essere certi di poter recapitare anche a domicilio un prodotto di altissima qualità, nasce la volontà di unire e avvicinare direttamente il produttore al consumatore, ossia dare forma ad una vera e propria filiera corta.
È interessante sapere che si può prenotare da “Olio&Farina” la scorta di olio per la nostra cucina familiare con Olio Extra Vergine d'Oliva e, ben presto anche la scorta di farina di ogni gradazione: dalla farina 1 integrale alla 0 e alla 00.“Olio&Farina” cura la salute della propria clientela!
Oggi come allora il motto della loro attività è la genuinità e l'utilizzo di prodotti genuini. Specializzati nella vera pizza napoletana, lievitata ad arte con lievito madre, il lievito più digeribile in assoluto, e preparata da Frank.
I fritti |
Da “Olio&Farina”si possono assaporare degli ottimi piatti sia di carne scottona italiana, che di pesce freschissimo, così come lo è la pasta all’uovo e i pomodori che si usano. E poi, e poi... il fritto napoletano, i fiori di zucca con alice e mozzarella insomma, è tutto da provare!
La filosofia principe di “Olio&Farina”, è quella di offrire cibi e prodotti veramente freschi e far sentire a proprio agio i clienti, proprio come si sentirebbero a casa loro.
“Olio&Farina” pizzeria al forno a legna, ristorante, bisteccheria, ottima cucina, ottimo vino, ed ottima gestione con personale dedito alla clientela ed ottimo rapporto qualità-prezzo completamente nuovo negli arredi sobri e originali nello stile essenziale;“Olio&Farina”, un vero ristorante all’altezza delle amicizie e delle famiglie da riunire per passare momenti rilassanti. È comunque il personale, il punto di forza trainante di tutto il complesso ristorativo. Luca, il figlio di Ciro, e Nicola che con la loro cordialità e precisione accompagnano gli “ospiti” ai loro tavoli facendoli accomodare carpendo i desideri culinari che in breve tempo saranno realizzati dai mastri cuochi, Frank Franky il pizzettaro pugliese, Ciro il napoletano e Tina che è la moglie, oltre al ragazzo del Bangladesh, addetto alla lucidatura delle stoviglie.
Ehi, ragazzi, questa sera ci incontriamo da “Olio&Farina” nel VII Municipio, all’Appio Latino! “Olio&Farina”, il ristorante dedicato alle famiglie dove i bambini hanno il loro piccolo spazio giochi. Il ristorante di Via Arrigo Davila 83, “Olio&Farina”, nel cuore del VII Municipio, si propone come un punto di riferimento imprescindibile per le famiglie romane, dove la sensibilità dei ristoratori propongono anche menù pensati per i più piccoli o per i più grandi ovvero, i nonni dei piccoli! Ottimi tagli di carne sono esposti sotto vetro, fiori di zucca fritti in pastella ed acciugate con bruschette di pane della casa si accompagnano alla birra alla spina servita in pinte o a vini delle migliori vigne del territorio italiano. “Olio&Farina”è un ristorante pizzeria, bisteccheria, dedicato a chiunque voglia trascorrere in relax e in gioia la consumazione del cibo. I menù sono pensati e realizzati per accontentare il gusto e le necessità alimentari di famiglie, bambini, studenti, single, non più giovani e coppie varie. I gruppi per i compleanni, i battesimi, le comunioni, i matrimoni, le feste di laurea, e le festività in genere, si potranno radunare anche in grandi tavolate e approfittare così di menù concordati per tutte le esigenze e ricorrenze. Prima del saluto si consiglia la mousse al pistacchio, la crostata, la pastiera e i babbà, il tiramisù, la
Frank |
sbriciolata di frutti di bosco, la crema napoletana che è meglio della catalana, e tutti i dolci della casa proposti.
Voglio evidenziare che “Olio&Farina” nasce dalla tradizione napoletana più di mezzo secolo fa ed oggi eccolo qui a Roma con tutti gli odori ed i sapori della tradizione napoletana, non disdegnando la pugliese, e la romana! Ah, dimenticavo di suggerirvi gli spaghetti alla carbonara, i bucatini all’amatriciana, le penne alla gricia e i rigatoni alla puttanesca con olive e capperi! Resta comunque un ristorante specializzato nell'arte culinaria napoletana, mettendo al primo posto i fritti fatti al momento con l'olio della casa, che si potrà anche acquistare.
Chiaramente sono specializzati nella vera pizza napoletana, condita con olio fresco su una nevicata di mozzarella e pomodoro, dove l’alice ancora nuota nel golfo di Napoli, in vista di Capri e Procida mentre il Vesuvio se la fuma!“Olio&Farina” è uno di quei locali che una volta provato, difficilmente si dimentica e non vedi l'ora di tornare a gustare le specialità genuine della tradizione napoletana, e non solo. Ricordo alla clientela che la loro filosofia è quella di offrire cibi e prodotti veramente freschi e far sentire a proprio agio i clienti, il tutto a prezzi veramente contenuti. Il cliente si sente così coccolato, perché risalta evidente l’impegno profuso dai camerieri per accontentare e saziare, viziare e soddisfare tutta la clientela con tutti i loro gusti. Non perdete tempo, chiamate per prenotare il vostro tavolo e citando questo articolo avrete addirittura uno sconto del 10% sul menù alla carta.
È stata inaugurata venerdì 19 marzo nella splendida cornice del Teatro Signorelli di Cortona, la mostra “Gli Etruschi maestri di scrittura”, evento organizzato da Museo del Louvre, dal sito archeologico LattaraMuseo Henri Prades di Lattes - Montpellier, e dal MAEC di Cortona.
Frutto dell’incontro e della collaborazione delle strutture museali francesi delLouvre e del Museo Henri Prades di Lattes Montpellier con il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, la mostra è stata inaugurata lo scorso 19 marzo e resterà presso il MAEC sino al 31 luglio 2016.
L’esposizione, che ha ricevuto un grande successo in Francia, presso il Museo di Lattes fino al 29 febbraio scorso, prosegue ora nel suo percorso in Italia, rientrando così in terra etrusca.
Da più di trent’anni non venivano organizzate mostre sulla scrittura etrusca e recentemente, dopo alcune scoperte di epigrafi etrusche vicino Montpellier e al ritrovamento a Cortona del terzo testo etrusco esistente più lungo, la Tabula cortonensis, i tre musei hanno deciso di progettare questo grande evento archeologico.
L’originalità di questa esposizione sta nel fatto che in questa sede la scrittura viene studiata come elemento culturale che può far passare una società dall’oblio alla memoria. In questo senso le iscrizioni rinvenute sugli oggetti esposti, (sia su oggetti di uso quotidiano, su oggetti di culto, su statue o su atti) sono classificate per settori di appartenenza: dalla sfera del rito a quella del sacro, dall’ambito funerario a quello giuridico. In questo modo è possibile notare come nell’arco di circa 7 secoli la scrittura abbia occupato il suo posto nella società etrusca sia in ambito religioso che economico o giuridico.
Ospite d’eccezione dell’esposizione è la così detta Mummia di Zagabria, una delle testimonianze più importanti dell’epigrafia etrusca insieme alle lamine di Pyrgi. Si tratta del testo etrusco più lungo (più di 1000 parole), riportato sulla tela che avvolgeva la mummia; la risorsa più preziosa per gli studiosi della scrittura etrusca. I reperti esposti, provenienti da alcuni dei più importanti musei del mondo, dimostrano chiaramente la diversità dei supporti e delle tecniche di scrittura, così come le scoperte degli ultimi anni di studi in materia.
aaAll’inaugurazione,che ha avuto luogo venerdì 19 marzo presso il Teatro Signorelli di Cortona,erano presenti,in rappresentanza dei complessi museali interessati: Laurent Haumesser, Conservatore sezioneantichità greche etrusche e romane del museo del Louvre; SajinMihelic Direttore Museo Archeologico di Zagabria, Paolo Giulierini Direttore del MANN di Napoli, Lionel Pernet Direttore Museo cantonale Archeologico di Losanna; Florence Millet conservatrice del Museo Archeologico di Lattes Montpellier;Paolo Bruschetti presidente del MAEC di Cortona.
Una mostra dunque che ha interessato tre Paesi, (Italia, Francia e Croazia), sei musei, (MAEC, Louvre, Lattes – Montpellier, Zagabria, Losanna e Napoli).
Un progetto nato dalla collaborazione di tre grandi poli musealiche progressivamente ne hanno inglobati altri, caratterizzato quindi da un’apertura e uno scambio culturale e umano, a dimostrazione che la cultura può essere realmente via di incontro come lo è stata per gli etruschi. L’auspicio degli organizzatori infatti è di recuperare uno spirito collaborativo e di incontro, di scambio e di circolazione di espressioni di un passato comune.
Un percorsoche, come sottolineato dal Sindaco Francesca Basanieri, ha posto al centro la cultura educativa con un risvolto nel sociale. Importante infatti, è ed è stata la partecipazione attiva della cittadinanza di Cortona proprio perché la cultura può “unire e riunire popoli del Mediterraneo”.
Interessanti le attività collegate alla mostra come ad esempio la proposta di laboratori di didattica sperimentale per ragazzi e attività per adulti; visite didattiche per portatori di handicap visivo e aggiornamento-formazione continua per insegnanti ed educatori e, per finire, il concorso letterario per racconti brevi inediti “Scribiamo! Narrazioni etrusche”. Inoltre, durante tutto il periodo di esposizione della mostra, saranno proposti incontri con specialisti della disciplina epigrafica.
Sembra proprio questo il momento propizio per approfondire lo studio sugli etruschi: infatti in contemporanea, dal 19 marzo fino al 30 giugno, sarà possibile visitare al Museo di Palazzo Pretorio di Prato la mostra “L’ombra degli etruschi” .
Ed è di questi ultimi mesi la notizia di alcuni scavi nell’area di Camuciache stanno facendo emergere strutture murarie e manufatti riferibili ad un vasto e imponente edificio etrusco.
Per info: MAEC, Piazza Signorelli, 9 –
Cortona, tel. 0575.637235;
www.cortonamaec.org,
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