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Una bella pagina tra storia e leggenda
La leggenda di San Giuliano, originaria del Quarto Secolo, ma trasferita dalla penna di Gustave Flaubert nella Francia feudale, narra la storia di una curiosa conversione.
Giuliano è cacciatore sanguinario fin dall’adolescenza. È dedito allo sterminio sistematico di qualunque animale, e il bosco che circonda il castello si tinge del sangue dei suoi animali. Poi è la volta di altri boschi più lontani, di animali meno noti, fino a che il cavaliere non s’imbatte in una famiglia di cervi. Il cervo, nero e gigantesco, con la barba bianca, aveva otto ramificazioni per ogni corno. La cerva, bionda come le foglie secche, brucava l’erba, e il cerbiatto dal pellame picchiettato le si attaccava alle mammelle senza impedirle di avanzare. Ancora una volta fischiò la balestra; prima stramazzò ucciso il cerbiatto e la madre, alzando gli occhî al cielo, emise un gemito profondo, straziante, umano. Giuliano la stese a terra con un colpo in pieno petto. Il grande cervo con un balzo gli mosse incontro, ma egli scagliò l’ultima freccia, che gli si conficcò nella fronte. Parve non accorgersene neppure e, scavalcando i due corpi abbattuti, l’animale avanzava sempre e stava per buttarglisi addosso e sventrarlo. Giuliano indietreggiava preso da un terribile spavento, quando il cervo prodigioso si fermò, solenne come un patriarca, come un vendicatore, con gli occhî fiammeggianti e, mentre una campana rintoccava lontano, ripeté tre volte: «Maledetto, maledetto, maledetto! Verrà un giorno, o cuore crudele, che tu ucciderai tuo padre e tua madre!» Poi piegò le ginocchia, chiuse lentamente gli occhî e spirò.» Giuliano, atterrito e tremante, sudato e sporco, si abbandonò al pianto.
Giuliano, rientrato smarrito al castello, è ossessionato dalla funesta profezia del cervo parlante. Non mangia, non dorme, non sorride, fugge tutto e tutti, per primi i proprî genitori onde evitare di arrecare loro del male.
Un giorno, mentre il giovane sta pulendo un trofeo d’armi attaccato al muro, l’aguzza spada si stacca e va a piantarsi a un millimetro dal vecchio padre che regge la scala al figlio: primo segnale.
Un altro giorno a Giuliano par di vedere, oltre un muro divisorio del cortile, volare una colomba; arma l’arco e veloce scocca. Un urlo! La colomba non era altro che il velame del copricapo della madre, scampata fortunatamente alla morte. Giuliano non ha bisogno d’altro: lascia il castello e si fa cavaliere di ventura; erra di corte in corte, combattendo ora per l’uno ora per l’altro signore.
«Soffrí la fame, la sete, la febbre, i pidocchî. Si abituò al clamore delle mischie, all’angoscia dei moribondi. Sconfisse tutti coloro che osarono sfidarlo in lizza. Giuliano proteggeva il clero, gli orfani, le vedove e soprattutto i vecchi. Schiavi in fuga, contadini in rivolta, bastardi privi di tutto, fegatacci d’ogni risma accorsero sotto le sue bandiere. Ne formò un esercito. Di volta in volta, soccorse il Delfino di Francia e il Re d’Inghilterra, i Templari di Gerusalemme e l’imperatore di Calcutta. Combatté contro gli Scandinavi ricoperti di squame di pesce, contro i Negri dagli scudi rotondi di pelle d’ippopotamo e montati su asini rossi, contro gli Indiani color dell’oro che, alte sopra i loro diademi, brandivano larghe sciabole lucenti come specchi. Sconfisse i Trogloditi e gli Antropofagi. Fu richiesto il suo coraggio da repubbliche in difficoltà. Donava l’indipendenza ai popoli, liberava le regine imprigionate nelle torri. Grandi successi per Giuliano che, cacciando i Mori dall’Occetania, si conquista la gratitudine del re cristiano che gli offre la figlia in sposa. Nuova vita, residenza sfarzosa, un esercito di servitori, una sposa dolcissima.
Giuliano aveva smesso di guerreggiare. Riposava attorniato da un popolo mansueto. Ma anche la caccia ha il suo demone e la sua divinità che esige continui sacrifici. Lo assaliva il desiderio di inseguire nel deserto le gazzelle e gli struzzi, di nascondersi tra i bambú per spiare il passaggio dei leopardi, di attraversare foreste infestate dai rinoceronti, di salire in cima alle montagne più impervie per prendere meglio di mira le aquile, e di affrontare gli orsi bianchi sui bastioni ghiacciati del mare.
I sogni contengono sempre però nel loro nocciolo l’incubo, e le prede della caccia erano sempre associate, nella sua mente, all’oscura profezia del cervo e alla morte dei suoi genitori. Partito Giuliano in spedizione venatoria, giunsero al castello una coppia di anziani coniugi che poi si qualificarono alla giovane donna come i genitori di Giuliano, che da anni vagavano per il mondo alla ricerca del figli cosí misteriosamente fuggito. La moglie di Giuliano li accolse regalmente, li fece rifocillare, e diede loro la propria stanza nuziale.
Intanto per Giuliano nel cuore del bosco si appresta una strana caccia: gli animali senza paura escono dalle loro tane, dai nascondigli, e una forza soprannaturale impedisce al cacciatore di colpirli e rende lievi come piume le sue frecce. Fu sopraffatto dalla vergogna. Un potere soprannaturale annientava le sue forze, e rientrò dalla foresta per tornare al castello. Ed ecco ricomparire tutti gli animali che egli aveva cacciato, e stringersi in cerchio attorno a lui. Alcuni seduti sulle natiche, altri ritti sulle zampe. Stava in mezzo al cerchio, agghiacciato dal terrore, incapace di fare il piú piccolo movimento! Le iene lo precedevano, il lupo e il cinghiale lo seguivano. Alla sua destra il bufalo avanzava dondolando il testone, e alla sua sinistra il serpente si snodava nell’erba, mentre la pantera arcuando la schiena muoveva i suoi passi di velluto. Egli rallentava piú che poteva per non irritarli; e intanto vedeva sbucare fuori dal fitto dei cespugli porcospini, volpi, vipere, orsi e sciacalli. Il corteo lo accompagna minaccioso, finché Giuliano non rientra trafelato e sconvolto al castello. Va, brancolando al buio, verso il talamo, sente a tentoni la barba di un uomo, un uomo che giace in letto con sua moglie! In preda al delirio afferra la spada e uccide orribilmente gli anziani ospiti, i suoi genitori. La moglie accorre e urla inorridita, rivelandogli la vera identità dei due vecchi. Quando, alla luce delle fiaccole, Giuliano riconosce i genitori, la profezia del cervo si è tragicamente avverata. Annichilito, abbandona tutto, moglie, castello, per condurre una vita da romito e mendicante, fino alle peggiori umiliazioni dell’altrui pietà e disprezzo per espiare la colpa dell’orribile delitto. Si tortura con aguzzi cilici, cerca la morte nel tentativo di salvare altre vite, si sottopone a tutte le fatiche fisiche.
Dopo aver cacciato animali e uomini, ora Giuliano è a caccia di Dio. E quel Dio, comparsogli prima come cervo minacciosamente profetico, ora gli si rivela come l’ultimo dei reietti: il lebbroso che ha bisogno di cibo, di cure, di calore, a cui Giuliano dà ospitalità nella sua capanna. Mentre lo assiste, il lebbroso gli si rivela in tutto lo splendore divino.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
L’Expo è terminato. (finalmente. ndr)
Chiusi i battenti dell’Expo gli organizzatori tirano le somme che, comunque le “girino e rigirino”, non tornano. Siamo oltre un mese dalla chiusura e il silenzio, direi tombale, avvolge il tutto. Vuoi vedere che…quanto da noi previsto e preventivato…Ne sentiremo parlare. Tempo al tempo.
Frammento n. 1(ultim’ora)
Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti (Fivi)
Sabato 28 e Domenica 29 Novembre a Piacenza Expo si è svolto il Mercato dei Vini dei Vignaioli indipendenti aderenti alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). La quinta edizione di questa mostra-mercato, ancora una volta, ha centrato i suoi “ambiziosi traguardi”. Ottima l’affluenza del pubblico, trecentotrenta le aziende “ a conduzione familiare” presenti, molto seguite le degustazioni programmate. Cerimonia d’apertura sobria ed essenziale (come nello spirito della Fivi, senza tanti fronzoli), organizzazione dell’evento sostanziale. Riconoscimento dei punti d’affezione (enoteche e ristoranti che propongono, in tutta Italia, i vini di questi vignaioli esponendo lo stemma dell’Associazione. Mostra-Mercato ovvero immergersi nell’Italia vinicola attraverso l’incontro diretto con chi coltiva l’uva e produce personalmente il vino. Vignaioli che, con il proprio lavoro, sono divenuti custodi del territorio e oggi ne sono narratori appassionati ed autentici.
Frammento n. 2
Tenuta di Fiorano. Il Principe Alessandrojacopo Boncompagni ne ha parlato a Firenze.
Location ideale, aristocratica, così come si conviene per la presentazione delle nuove annate e della linea aziendale della “rinata” Tenuta di Fiorano: il Ristorante La Leggenda dei Frati a Villa Bardini. Il Principe Alessandrojacopo Boncompagni, il nuovo principe del vino romano, racconta la storia veramente singolare di un mito che fu degli anni ‘60, la scelta di reimpiantare la storica vigna di famiglia sull’Appia Antica. Ne è uscita rafforzata la leggenda di questi vini riproposti in veste modificata, in particolare nei bianchi, inserendo alcune tipologie di vitigni adatti all Habitat come grechetto e viognier. Passione e precisione nelle parole del Principe. Direi un’ottima partenza.
Frammento n. 3
Vinexpo Hong Kong mette l’Italia al posto d’onore.
Se ne è parlato recentemente a Firenze con Monsieur Guillame Deglise, Direttore Generale di Vinexpo Bordeaux. “Il Salone Internazionale Vinexpo Hong Kong mette l’Italia al posto d’onore nella sua prossima edizione che si svolgerà presso il Convention end Exhibition Centre e rappresenterà il fil-rouge grazie a numerosi eventi, conferenze, degustazioni, animazioni”. Inizia così l’intervista con Mr Deglise. Ma perché proprio l’Italia come ospite d’onore ad un evento francese? “Rendere alla produzione italiana quell’omaggio per aiutarla ad accrescere la sua notorietà e le sue vendite in Asia”. Sbalorditivo direi. Pensierino: il Vinitaly farebbe altrettanto? Ne dubito.
Frammento n. 4
Fiera d’Autunno 2015. L’Alto Adige in vetrina. Nutrisan e Biolife.
500 espositori dislocati su una superficie di 25.000 metri quadri con un ricco programma di eventi e seminari. Questo il segreto del successo della fiera campionaria altoatesina che si è svolta a Bolzano nel mese di novembre. Definita Madre di tutte le fiere regionali è stata sicuramente il centro della pluralità e varietà dell’offerta dando l’occasione ai visitatori di informarsi e fare acquisti di vari prodotti tipici locali, tradizionali ed innovativi su buona parte di settori merceologici. Perla della Manifestazione è stata Nutrisan, il Salone nel Salone delle intolleranze alimentari e della corretta alimentazione. A latere anche Biolife, l’eccellenza regionale biologica del Trentino-Alto Adige.
Frammento n. 5
L’assemblea dei Soci dell’Ente VeronaFiere ha eletto Maurizio Danese nuovo Presidente per il triennio 2015-2018. “Ringrazio i soci e le istituzioni per la fiducia. Sarà ben corrisposta”. Così ha dichiarato il nuovo Presidente e noi di flipnews gli auguriamo Buon Lavoro! (ed attendiamo i cambiamenti necessari perché, alla fine, questo è ciò che conta).
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
L'album d'esordio in tutti i digital store e nei negozi di dischi
dal 27 novembre
Ad un anno dal lancio della sua prima canzone “Il mio domani”, Marco Rotelli esce con l'album d'esordio dall'omonimo titolo Il mio domani.
Sono dieci le canzoni presenti, quattro delle quali -PARLAMI CERCAMI, VIVI, FERMEREMO IL TEMPO- già conosciute dal pubblico e proposte in radio nel corso di questo intenso anno di lavoro e 6 nuovi brani. Tra questi MILLE VOLTE MEsarà il singolo che accompagnerà l'uscita e la promozione dell'album. La scelta di questo brano, più spavaldo musicalmente dei precedenti conosciuti è proprio perché Marco Rotelli ci tiene a mostrare tutta la sua grinta e determinazione. Ascoltare l’album di Marco Rotelli significa entrare completamente nel suo mondo di adolescente prima e di ragazzo dopo. Marco è autore e compositore delle sue canzoni, seppur sempre con ausilio di altri autori e musicisti che lo hanno affiancato nella produzione, alcune delle quali erano tali prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto.
Il lavoro di produzione è stato seguito dall'arrangiatore M° Mario Natale e nei brani hanno suonato musicisti d'eccezione come Stef Burns, Nicola Oliva, Paolo Petrini, Francesco Corvino, Giorgio Cocilovo, Diego Corradin, Rossano Eleuteri, Antonio Petruzzelli e Paola Caridi.
In occasione dei festeggiamenti del cinquecentenario della nascita di S. Teresa d'Avila, è stato restaurato il capolavoro del Bernini, l'Estasi di S. Teresa. In realtà, l'intera Cappella Cornaro nella chiesa di S. Maria della Vittoria, è stata oggetto dell'intervento, conclusosi a giugno, ma inaugurato ora, in prossimità dell'inizio del Giubileo straordinario della Misericordia il prossimo 8 dicembre.
La conferenza stampa si è aperta con i saluti delle autorità religiose e laiche. I padri Carmelitani, che ne hanno commissionato la costruzione a Carlo Maderno nel 1608, officiano la chiesa che fa parte del Fondo Edifici di Culto. Ente nato a seguito della soppressione delle proprietà ecclesiastiche nella seconda metà del 1800 e che si occupa della tutela, della valorizzazione, della conservazione e del restauro di più di settecento chiese distribuite sul territorio nazionale.
Daniela Porro, passata dalla direzione della Soprintendenza del Polo museale romano a quella del Segretariato regionale del Ministero per i Beni Culturali, ha riassunto la storia della chiesa e dell'opera.
Padre Rocco Visca, rettore della chiesa, ha completato l'introduzione sull'edificio. Inizialmente dedicato a San Paolo apostolo, ma a seguito della battaglia della Montagna Bianca presso Praga, nel 1620, che vide la vittoria dei cattolici sui protestanti, intitolato all'immagine mariana, considerata vera responsabile del successo. Il carmelitano padre Domenico di Gesù e Maria, cappellano e combattente, portò a Roma l'immagine di "Maria in adorazione del Bambino" che, tuttora campeggia sull'altare centrale della chiesa di cui ha improntato la decorazione. Padre Rocco ha poi condotto l'uditorio verso una dimensione più spirituale, illustrando la figura e le opere di Santa Teresa. Attraverso gli scritti, citando in particolare Il Castello Interiore, ma anche attraverso la vita, come fondatrice di ordini e mistica, ma anche donna pratica, alle prese con problemi reali. È stata definita "la più santa tra le donne e la più donna tra le sante". La sua stessa descrizione dell'estasi mistica è stata materialmente raffigurata dal Bernini nel capolavoro oggetto del restauro: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio”.
La parola è passata poi ai restauratori che hanno operato nei loro interventi quella fusione tra materiale e spirituale, che rende un'opera d'arte, un'esperienza personale e interiore.
Il restauro è sempre un'occasione di studio. Uno dei frutti più ghiotti è stato, come descritto da Lia Di Giacomo, che ha diretto i lavori, la scoperta che il banco di nuvole che sostiene la Santa non era interrotto in origine dalla cornice, ma era connesso al piedistallo in travertino (nel muro esterno della chiesa è possibile vedere il blocco su cui poggia il gruppo marmoreo inserito nel testo murario). La “continuità” della nuvola, conferma il collegamento del gruppo della Santa e dell'Angelo con tutto l'impianto decorativo della cappella, come interpretato dal maggiore studioso del Bernini Irving Lavin.
Il restauratore Giuseppe Mantella ha descritto il lavoro fatto, reso necessario, anche e soprattutto, dall'inquinamento atmosferico prodotto dal semaforo all'angolo della chiesa (che già a pochi mesi dalla fine del restauro, ha determinato di nuovo il deposito di polveri grasse sulle superfici).
Le tecniche diagnostiche hanno evidenziato la presenza di sostanze (paraloid) di un precedente restauro (circa 20 anni fa) e l'infiltrazione di resine nel marmo quando è stata realizzata la decorazione dorata della volta. Sono inoltre stati trovati frammenti del vetro giallo della finestra ellittica, che fa entrare dall'altro la luce sul monumento. La campagna fotografica ha documentato anche la tecnica dell'artista: gli strumenti utilizzati, le superfici nascoste lasciate non finite, non levigate, con la traccia, appunto, degli strumenti incisori; i frammenti di marmo aggiunti, una mano, un lembo della veste. Ma anche il lavoro sul fianco dell'angelo per rendere il vento del movimento, che gli scompiglia anche i capelli. La storia ha modificato l'opera originale. La nuvola è stata "trasformata" in cornice, probabilmente, quando il bronzo dorato dei raggi della grazia divina e quello del dardo dell'angelo (di cui una foto mostra il foro di fissaggio) sono stati rimossi in epoca napoleonica, a seguito del trattato di Tolentino del 1797.
Il paliotto d’altare, che passa solitamente inosservato, è, invece, non solo parte integrante, ma determinante e fondante del senso compiuto e del programma iconografico dell'intera cappella.
Sante Guido, che lo ha restaurato, ne ha illustrato le caratteristiche. Vi è raffigurata l’Ultima cena in bronzo dorato su fondo lapislazzuli. La mano anonima dell'esecutore è stata inserita in un contesto che vede un nesso con la decorazione della cappella Raimondi di S. Pietro in Montorio (sempre Bernini 1640 ca, con Estasi di S. Francesco sull'altare e bassorilievi con volatili e rose nelle mura laterali); l'altare del Santissimo Sacramento di S. Giovanni in Laterano (Ultima cena in alto, in nesso con la reliquia del legno della tavola). Ma anche con il bassorilievo nella cappella Paolina di Santa Maria Maggiore, in cui è raffigurato papa Liberio che traccia il perimetro di fondazione della basilica. Un'altro altare condurrebbe a Malta. Infine anche all'ambito di Camillo Mariani, il cui capolavoro (sculture di santi) si trova nella vicina chiesa di S. Bernardo alle terme.
Il programma decorativo descrive un duplice percorso: dall'alto verso il basso, con la presenza della colomba simbolo dello Spirito Santo negli affreschi dell’Abbatini. La luce che dall'oculo sopra la Santa e l'Angelo scende insieme ai raggi dorati è figura di Dio Padre. Il Figlio è presente nell'Ultima cena, come punto di arrivo di questo movimento che dall'alto passa attraverso la Transverberazione di Santa Teresa, modello e culmine dell'esperienza mistica. L'ultima cena è, però, anche il punto di partenza del moto ascensionale che, dal pavimento in cui le tarsie di marmi (provenienti da Villa Adriana a Tivoli), raffigurano scheletri emergenti, prosegue in alto con la Santa Teresa, alla cui estasi assistono i membri della famiglia Cornaro affacciati ai coretti. Vivi, come a teatro, perché l'eucarestia e la fede, li hanno condotti alla vita eterna, più in alto, negli affreschi, la Gloria dello Spirito Santo.
Tratto da una raccolta di racconti dell’autrice francese Cécile Aubry, le avventure del piccolo Sébastien e della sua inseparabile amica Belle, un enorme cane simil maremmano, tornano al cinema. Dopo la serie tv e il cartone animato giapponese, dalla Francia è arrivato nel 2013 il live action Belle e Sébastien, applaudito da pubblico e critica. Ma non finisce qui. Per la gioia dei più piccoli e non solo è infatti in uscita per le feste natalizie il sequel: Belle e Sébastien, L’avventura continua. La storia è ambientata un paio d’anni dopo le vicende narrate dalla prima pellicola. La guerra è ormai conclusa e Sébastien vive felice tra le montagne con il nonno e la sua enorme amica a quattro zampe. Insignita di una medaglia al valore per i servizi resi durante il conflitto, Angelina sta per fare ritorno a casa. Sébastien è in fermento e non vede l’ora di riabbracciarla, ma nel giorno tanto atteso Angelina rimane vittima di un terribile incidente aereo, al confine tra Francia e Italia, nel cuore della foresta transalpina. Data per morta dalle autorità locali, Sébastien e il nonno non si rassegnano all’idea di non rivederla più. Decidono così andarla a cercare. Durante la spedizione, Sébastien incontra il burbero Pierre Marceau, che li aiuterà nell’impresa. Pierre in realtà è il padre di Sébastien. La vicinanza obbligata tra padre e figlio, sarà l’occasione per instaurare un bellissimo rapporto.
Dopo il primo film diretto da Nicolas Vanier, ora la palla è passata al canadese Christian Duguay, che prende le distanze dal testo della Aubry, con una sceneggiatura originale. Nuovi personaggi accompagneranno il protagonista, interpretato dal bambino prodigio Félix Bossuet, nella sua avventura. Più azione condita da una maggiore ironia, per una trama che si basa principalmente sul rapporto padre-figlio, dove l’amicizia con l’enorme cane, tema centrale nel precedente capitolo, ora fa da sfondo alla storia. La natura, gli animali, i paesaggi, il valore dell’amicizia, i sentimenti, in un’atmosfera magica da favola, rimangono elementi caratterizzanti e parte integrante del racconto, ma il secondo capitolo si sofferma maggiormente sull’indagine psicologica dei personaggi, in una visione più intima e introspettiva.
Nel cast anche Tchéky Karyo, Margaux Chatelier, Thierry NeuviceUrbain Cancelier, il film è prodotto dalla Radar Films e distribuito dalla Notorious Pictures.
Presentato in anteprima mondiale in occasione dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, all’interno della sezione Alice nella Città,Belle e Sébastien uscirà nelle sale a partire dall’8 dicembre 2015.
Il 50% degli alimenti prodotti in Occidente viene sprecato. Se l'intera popolazione della terra avesse la stessa voracità degli europei, ci vorrebbero altri 3 pianeti come il nostro per produrre una quantità di alimenti congrua a soddisfare tutti. In Gran Bretagna vengono sprecate ogni anno 18 milioni di tonnellate di alimenti non avariati, per un valore di 14 miliardi di euro, e questo solo nelle famiglie. In Italia finiscono in discarica, o restano invenduti nei supermercati, 240 mila tonnellate di alimenti, per un valore di oltre un miliardo di euro. Abolendo tali sprechi si potrebbero nutrire 600mila persone per un intero anno. Per correggere lo squilibrio il nostro futuro prossimo dovrà tendere verso una società " Eticamente Ecologica ".
Grazie a una corretta " coscienza ecologica " lo spreco alimentare potrebbe diventare non solo una risorsa, ma una grande opportunità. Riutilizzare e riciclare saranno sempre più le parole chiave del nostro secolo, anche perché la scelta alimentare influenza pesantemente l’impatto ambientale, economico e nutrizionale. Imperativo sarà fare molta attenzione sia alla quantità che alla qualità del cibo e, soprattutto, alle reali necessità della collettività; va da se che lo stile di vita dovrà adattarsi ai nuovi standard, a tutto vantaggio della genuinità e a scapito del superfluo. Anche l’informazione avrà il suo ruolo: quello della denunzia della quantità di alimenti che ogni giorno verranno buttati via. I vantaggi di questa nuova politica saranno molteplici: un recupero di questi ultimi, anche se minimo, potrebbe risolvere drasticamente il problema dello smaltimento dei rifiuti. A tutt’oggi vengono distrutte montagne di alimenti non scaduti e l’ ambiente ne è, purtroppo, grandemente danneggiato. Nuovi protocolli per rendere più sostenibile il sistema dal punto di vista economico e sociale dovranno essere studiati e ai politici dovrà essere affidato l’arduo compito di favorire la nascita di nuove attività nel settore: tanti giovani disoccupati ne trarrebbero certamente giovamento. " Il cibo che si butta via e' come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero...di chi ha fame !” sono le parole di papa Francesco.
Emulando le popolazione primitive si prospetta all’orizzonte la “geniale” idea di consumare formiche, insetti, vermi, grilli, bachi da seta, lombrichi, rettili e tutto ciò che si muove, nella folle, insensata, rivoltante convinzione che occorre ricorrere a tali espedienti alimentari per poter nutrire un’umanità in crescita esponenziale ed assicurarsi le
famigerate proteine animali che alcuni pseudo nutrizionisti di stampo ottocentesco continuano a considerare essenziali per la buona salute umana.
Se lo scopo di ricorrere ai vermi è quello di sfamare l’umanità vale la pena ricordare che attualmente gli animali d’allevamento consumano derrate alimentari quanto 9 miliardi di persone e che solo in Italia gli alimenti consumati dagli allevamenti basterebbero a nutrire 140 milioni di esseri umani.
E mentre la maggior parte dei paesi dell’UE vieta l’uso degli insetti a scopo alimentare, arriva il via libera di Strasburgo su questa rivoltante prospettiva (già la Fao nel 2013 si era pronunciata a favore degli insetti per sfamare la popolazione). Intanto Cina, Thailandia, Stati Uniti e Olanda si stanno preparando a coltivare insetti su larga scala e già nei supermercati inglesi è possibile trovare buste di vermi, grilli e cavallette liofilizzate; in Olanda hamburger di insetti; in Belgio una pasta spalmabile di vermi. Anche se in molti casi si raccomanda di scartare le zampe per evitare soffocamento .Per fortuna, secondo la Coldiretti, in Italia solo l’8% della popolazione assaggerebbe un insetto.
Con questa prospettiva avremo bistecche in provetta e carni di animali clonati, sostanze prodotte da funghi, alghe e batteri, anche se questi prodotti non hanno ancora avuto rassicurazioni in merito alla loro sicurezza da parte dell’Autorità europea e molto dipenderà dai mangimi e tecniche di allevamento. Ma ci consentiranno di nutrirci meglio, di inquinare meno e ridurre le emissioni di gas serra. Molti popoli da tempo si nutrono di animali che gli occidentali escludono dalla loro dieta perché considerati ripugnanti: scorpioni, serpenti, ragni, rane ecc. anche se gli occidentali usano mangiare lumache e ogni specie di animali erbivori che certe etnie considerano sacri.
A miliardi di miliardi piccoli e indispensabili animali per l’equilibrio biologico verrebbero arrostiti, fritti, lessati, frullati; animali che hanno la sola colpa di essere piccoli ma la cui ingegnosità e intelligenza spesso supera gli animali di grossa mole.
Il valore intrinseco di un animale non viene determinato dalla sua grandezza fisica. Se guardassimo con lente d’ingrandimento ognuno di queste piccole creature ci accorgeremmo che ogni singolo individuo ha le identiche caratteristiche e le esigenze vitali di un animale di grossa mole. Ma la nostra visione delle cose è corta, non va oltre la lunghezza del nostro naso e consideriamo degni di rispetto e protezione solo quegli animali che rapportiamo alla nostra dimensione corporea.
Il disprezzo del minuto, del piccolo, dell’indifeso testimonia la mancanza di percezione dell’armonia che tutto pervade e questo lascia l’individuo nell’ignoranza e nell’incapacità di apprezzare e valorizzare lo stupefacente valore della vita e di conseguenza l’incapacità di aprirsi all’amore anche verso gli esseri umani.
Il rinnovamento della coscienza umana passa necessariamente attraverso un cambio di percezione dei valori, dal grande al piccolo, superando la cieca e limitante visione antropocentrica che percepisce e valorizza solo il grande al quale abitua a sacrificare il piccolo. L’inversione di percezione, valorizzazione e rispetto consentirà al genere umano di aprirsi alla vera realtà che si esprime nell’interazione delle multiformi diversità e inevitabilmente indurrà il genere umano all’empatia e all’armonia verso i suoi stessi simili.
La prospettiva di consumare insetti si pone in senso diametralmente opposto alla nostra visione delle cose nella quale vediamo non solo la fine del millenario massacro di ogni specie diversa dall’uomo ma nella valorizzazione del piccolo il mezzo più evoluto ed efficace capace di consentire il superamento dei grandi problemi dell’umanità collegati alla mancanza di giustizia, di sensibilità e condivisione. Le persone di buon senso, raziocinio e dignità umana si attiveranno per ostacolare in ogni modo questa degradante prospettiva.
Ermete Trismegisto, il primo grande iniziatore in Egitto alla dottrina esoterica. Dai greci considerato tre volte grande:re, legislatore e sacerdote. Scrisse 42 libri. Resterà centro e vetta di iniziazione egiziana.
Per Ermete Trismegisto il piccolo è come il grande: “Nulla è piccolo e nulla è grande agli occhi di Dio. Solo colui che è libero può liberare. Colui che comanda se stesso può comandare gli altri. Non fate soltanto il bene ma siate buoni e il movente non sia nei frutti ma nell’azione”.
Bestia da Stile di Pier Paolo Pasolini è andato in scena al Teatro Studio Eleonora Duse di Roma dal 9 al 16 Novembre 2015 con la regia di Fabio Condemi, al suo debutto nel saggio per l’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Bestia da Stile, un testo autobiografico al quale Pasolini lavorò a più riprese dal 1965 al 1974, rappresenta un’acuta riflessione sulla difficoltà di raccontare i conflitti della modernità e l’impotenza del poeta.
Protagonista della pièce è il giovane Jan Palach, interpretato da un intenso Gabriele Portoghese, doppio del poeta e ispirato allo studente cecoslovacco che si diede fuoco durante la Primavera di Praga. Sul palco, allestito con pannelli trasparenti in movimento su cui vengono incise le parole “Viva lo stile” e “Abbasso lo stile”, scorre la vita di Jan in una Boemia che rappresenta il Friuli. Si ripercorrono così le tappe della vita del poeta: la formazione, la giovinezza, i conflittuali e difficili rapporti familiari, gli ideali politici, le persecuzioni, la guerra, l’invasione sovietica di Praga, la degradazione e dispersione degli affetti. Gli attori ruotano attorno al protagonista, quasi a rappresentare un coro da cui prendono vita alcuni personaggi, parte integrante dell’esistenza di Jan. Il ritmo è scandito da musica, corpo e parole. Si rimane per tutto il tempo con gli occhi fissi sulla scena, colpiti da versi che oltrepassano il palco e giungono allo spettatore, che osserva inerme, come il poeta, il fluire inesorabile della storia. Fuori dalle regole, dalla forma e dallo stile, si va dritti all’essenza della parola stessa, dove la materia si unisce alla forma, afferma e smentisce allo stesso tempo. Realtà e poesia: il significato del verbo emerge con tutta la sua forza e diventa messaggio per chi ascolta. Nell’ombra le figure del padre e della madre. Si rimane colpiti dallo struggente, dissacrante, sarcastico monologo della madre, interpretata con straordinaria bravura e padronanza scenica da Valeria Almerighi. La profezia del tramonto di un’epoca, il ritratto intimo dell’autore, la lucida analisi politica sempre attuale, emergono con estrema chiarezza dalla rappresentazione. Riduttivo definirlo saggio, è uno spettacolo vero e proprio: emozionante, coinvolgente, armonico nei contrasti. Decisamente bravi gli interpreti a rendere il senso profondo di un testo insidioso, oscuro, controverso, con un sottotesto egualmente rilevante, dove la parola è protagonista. La messa in scena riesce a trasmettere, grazie ad una regia acuta, intelligente e sensibile, le emozioni, il cuore lacerato da sentimenti contrastanti, con una passione che va oltre il personaggio che ne è pervaso, creando una profonda empatia con lo spettatore. La parola diviene paradosso, angoscia esistenziale di un corpo diviso dalla sua anima.
Il prossimo 12 Dicembre a Berlino si svolgerà la ventottesima edizione degli Oscar Europei: European Film Awards. L’Italia sarà rappresentata con Paolo Sorrentino, che fa il pieno di candidature, Nanni Moretti e il documentario di Ivan Gergolet “Dancing With Maria”.
“Youth”, il film del Premio Oscar Paolo Sorrentino sul valore della giovinezza e sul trascorrere del tempo, conquista cinque nomination: European film, European director (Paolo Sorrentino), European Actor (Michael Caine), European Actress (Rachel Weisz), European Screenwriter (Paolo Sorrentino). Nanni Moretti è in corsa per la miglior regia con la pellicola “Mia Madre”, che si aggiudica, con Margherita Buy, anche la candidatura come miglior attrice. Sventola inoltre bandiera italiana, nella categoria documentari, “Dancing with Maria” diretto da Ivan Gergolet.
Altre quattro nomination vanno alla commedia surrealista “A pigeon sat on a branch reflecting on existence” (Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza) dello svedese Roy Andersson, nella rosa del premio come miglior regista e sceneggiatore, candidata come miglior film e miglior commedia. Mentre “The Lobster”, diretta dal greco Yorgos Lanthimos, tragicommedia dell'assurdo di fantascienza, sarà tra i candidati al miglior film, miglior regia, sceneggiatura e miglior attore, Colin Farrell.
Il tedesco “Victoria”, diretto da Sebastian Schipper, ha ottenuto le nomination come miglior film, miglior regia e miglior attrice, la spagnola Laia Costa.
Le altre opere in corsa per la miglior pellicola europea sono: l'islandese “Hrútar” (Rams) di Grímur Hákonarson; la franco-turca “Mustang”, debutto di Deniz Gamze Ergüven. La miglior commedia andrà invece ad una delle seguenti opere: la francese "La famiglia Bélier" di Eric Lartigau e la belga “Dio esiste e vive a Bruxelles”, diretta da Jaco Van Dormael.
Fra i registi, oltre Moretti e Sorrentino, è candidata anche la polacca Malgorzata Szumowska per “Cialo” (Corpo). Il premio miglior attore sarà conteso tra Michael Caine (Youth), Colin Farrell (The Lobster), Tom Courtenay (45 anni),il francese Vincent Lindon (La legge del mercato) e Christian Friedel (13 minuti). Tra le migliori interpreti femminili: Laia Costa (Victoria), RachelWeisz (Youth), Charlotte Rampling (45 anni), Margherita Buy (Mia madre) e Alicia Vikander (Ex Machina).
Queste le candidature. Ora non resta che aspettare la data del 12 Dicembre per sapere chi saranno i vincitori degli European Film Awards.
Sei attentati sincronizzati scuotono Parigi nella serata e fino alla tarda notte tra il 13 e il 14 novembre; è giunto il momento di elaborare una strategia efficace per fermare la logica del terrore e della sopraffazione.
Probabilmente, l'aspetto che più preoccupa dell'ondata di attentati di Parigi è la loro sincronia quasi assoluta, prova evidente del fatto che a commetterli siano state almeno otto persone ben addestrate, al punto da essere in grado di compiere attacchi secondo una modalità tipica delle zone di conflitto, come Siria o Iraq, ma in una capitale europea e a pochi giorni dalla visita del presidente iraniano Hassan Rohani in Europa, prontamente annullata. La strage di Parigi, inoltre, segue di un giorno il doppio attentato suicida che ha colpito la periferia meridionale di Beirut, dove vive una parte dei dirigenti e dei militanti del partito sciita libanese Hezbollah (è l'attentato più sanguinoso dalla fine della guerra civile).
In particolare, suscita inquietudine il trinomio costituito da coordinazione strategica, facilità di reperimento di armi pesanti e uso di esplosivi artigianali di facile reperimento. Per ottenere il perossido di acetone (utilizzato dall'attentatore suicida che tentava di entrare nello Stade de France di Parigi), non c'è bisogno neppure di ricorrere alle reti criminali, da cui spesso provengono le armi da fuoco. La tattica degli attentati coordinati contro paesi considerati ostili era emersa già negli attentati rivendicati da al-Qaeda e gruppi affiliati, a partire da quelli dell'undici settembre 2001 negli Stati Uniti, fino a quelli di Madrid del 2004, e di Londra e Sharm el-Sheikh del 2005. Al-Qaeda, tuttavia, a differenza dei cartelli del jihad del cosiddetto “Stato islamico” (Daesh), non controllava porzioni cospicue di due stati del Medio Oriente (Siria e Iraq) e, soprattutto, non si poneva come alternativa ai confini e alle istituzioni di questi stati. L'intenzione dichiarata da al-Qaeda era seminare il terrore, non reclamare il potere assoluto su una qualche regione del mondo.
Dunque, i cartelli del jihad (che con al-Qaeda non hanno sempre relazioni positive, almeno ufficialmente) uniscono alla strategia qaedista quella dei movimenti armati che lottano contro un “invasore” per spodestarlo e prenderne il posto, applicandola a livello trans-nazionale anziché in un solo paese. Per questo la loro propaganda, a differenza di quella di al-Qaeda, mira ad attrarre sempre nuovi adepti attraverso una propaganda esplicita e supportata da sofisticati mezzi di comunicazione, pubblicità e marketing. La loro è una retorica che, come in tutti gli estremismi che si rispettino, trova un terreno particolarmente fertile nelle zone e tra le fasce sociali economicamente e socialmente emarginate. Un aspetto che li accomuna ai movimenti criminali di stampo mafioso, al pari del ricorso a traffici illeciti (droga, armi, esseri umani) per rifornirsi di denaro e armamenti vari. Considerando strategie e mezzi di “sostentamento”, Daesh accorpa dunque elementi provenienti da diverse organizzazioni terroristiche e criminali, corredandoli con una propaganda fondata su motivi dalla forte connotazione ideologica, come la rabbia (e la riscossa) degli oppressi e i sentimenti di ostilità nei confronti del “sistema occidentale”. E lo fa in un momento in cui il senso di frustrazione, impotenza e risentimento è piuttosto diffuso anche tra i cittadini europei o statunitensi. A chiunque salga su un qualsiasi mezzo di trasporto pubblico a Roma sarà capitato almeno una volta di sentire discorsi traboccanti di ira repressa, talvolta persino un qualche “altro che l'Isis...” (Isis è uno degli acronimi con cui è conosciuto il cosiddetto “Stato islamico”).
Se non secondo la logica, almeno per esperienza è evidente che un'organizzazione simile non si può fermare manu militari. Tutte le guerre condotte finora, e presentate come “umanitarie” o “preventive”, non hanno prodotto che un aumento dei fenomeni riconducibili al terrorismo e, soprattutto, hanno preparato il terreno alla sua diffusione, al punto che una buona parte dei miliziani di Daesh ha un passaporto europeo. Inoltre, tutte le misure di sicurezza finora messe in campo si sono rivelate inefficaci, anche perché non si può perquisire chiunque e, per quanto si possano intensificare i controlli, il margine di errore resta alto. Combattere i cartelli del jihad significa anzitutto privarli del consenso che riscuotono, oltre che dei mezzi di rifornimento bellico e finanziario, ovvero lavorare sui mezzi di reclutamento e sui traffici illeciti. Una strategia che vale al contempo anche per ridurre (e - perché no? - eliminare) le attività delle organizzazioni criminali e che ha tra le priorità quella di creare sviluppo. Dove c'è sviluppo economico (quello vero, inscindibile dalla giustizia sociale) la propaganda mafiosa e terroristica è meno incisiva. Gli attentatori sono in genere giovani, quindi proporre loro un'alternativa di emancipazione sociale e civile potrebbe essere un buon modo per sottrarli all'orbita dell'estremismo.
Se si vuole davvero combattere il terrorismo non ci si può sottrarre ad una riflessione autocritica sul sistema economico e sociale attualmente in vigore. Un sistema che troppo spesso produce ingiustizia, discriminazione ed esclusione, ma soprattutto relazioni sociali basate sulla competizione e sull'egoismo. Al terrorismo e all'estremismo si risponde con la garanzia dei diritti inalienabili dell'uomo, con la giustizia sociale, con l'inclusione e la partecipazione collettiva alla vita politica. Una via che finora la comunità internazionale non è sembrata disposta a seguire, schierandosi, al contrario, contro guide politiche in grado di proporre modelli sociali alternativi, soprattutto per quanto riguarda i meccanismi di produzione e la gestione delle risorse del pianeta: si pensi, ad esempio, a Thomas Sankara in Burkina Faso o a Mohammad Mossadeq in Iran. Inoltre, la repressione (più o meno diretta) delle forze politiche di sinistra e, in generale, dissidenti, che rappresentavano le fasce sociali più esposte all'ingiustizia, ha provocato un sentimento diffuso di frustrazione e di solitudine in chi si vedeva negati i diritti fondamentali. Ciò, a sua volta, ha sgretolato progressivamente il tessuto sociale, alimentando ulteriormente la tensione. Due esempi fra tutti: il primo, Anders Behring Breivik, che il 22 luglio del 2011 provocò una strage, prima a Oslo, con un ordigno artigianale, poi sull'isola di Utøya, sparando su una folla di studenti; il secondo esempio è invece Yassin Salhi, che il 26 giugno 2015, in una fabbrica vicino Lione, ha decapitato il suo datore di lavoro. Due casi che rivelano una pericolosa diffusione del sentimento di disperazione nei confronti del futuro, fino alla perdita della lucidità (evidente soprattutto nel caso di Breivik, che si dichiarò convinto del suo gesto). Creare sviluppo significherebbe quindi evitare sia gli episodi di follia “interni” che i fenomeni legati al terrorismo, ma anche alla corruzione e alla criminalità.
Che sia vero che l'obiettivo più nobile che un governo possa prefiggersi sia di favorire quel grado di sviluppo economico, sociale e culturale, che renda le istituzioni quasi superflue?
Quando i nostri antenati sbarcarono in Africa, in America, in Oriente e in ogni dove portarono uguaglianza, libertà e giustizia solo formalmente, di fatto le popolazioni occupate furono depredate di ciò che la natura aveva abbondantemente loro regalato, sottomesse alla logica della sopraffazione, del profitto e della diseguaglianza, e forse lo sono ancora. Subiremo gli effetti di queste cause per molti anni a venire. Comunque sia, se ai tempi avesse prevalso l’Oriente noi saremmo stati le vittime e gli orientali, gli africani e gli indiani d’America gli oppressori. I tempi non erano maturi per la realizzazione a pieno di questi tre concetti a livello globale. Oggi la Rete, o meglio internet con i suoi social, da forza sostanziale a questi principi che sono alla base del convivere civile, ma presenta anche il conto.
Lo scopo del terrorismo è precipitare la popolazione nell’angoscia e nella confusione, alimentando la paura e la sfiducia: per questo è essenziale non soccombere mai a simili emozioni. Dobbiamo far emergere la forza dello spirito umano in misura ancor maggiore, per superare le dimensioni della minaccia che abbiamo davanti.
Come dice un vecchio detto, più scura è la notte, più vicina è l’alba. Ma la porta su una nuova era non si aprirà di sua spontanea volontà. Tutto dipende da noi, dalla nostra capacità di affrontare direttamente tutte le implicazioni connesse con questa tragedia, di risollevarci da essa senza sentimenti di sconfitta ma di considerarla anzi un’opportunità senza precedenti per trasformare il corso della storia umana.
È arrivato il momento di affrontare quest’impresa estremamente difficile con grande speranza e dignità.
Non tutto è filato liscio ovvero dire la verità fa bene alla Manifestazione.
comunque vada anche con gli evitabili disguidi su eventi collaterali, in questa edizione maggiormente presenti, non all’altezza della propria fama (vedi la cena di gala volutamente “moderna” che ha disatteso la gran parte dei partecipanti, alcuni Master affidati a relatori non del tutto motivati (a volte svogliati) o, come in un caso specifico, ad uno show men).
La cosa che ha maggiormente infastidito in questa edizione è stato quel principio del “rompete le righe” anticipato che a Merano è da sempre elemento di non riconferma per la successiva edizione. È una “piaga” da dover arginare e fermare subito perché, ahimè, molto contagiosa. Mi riferisco ai vini terminati a metà giornata e non riaperti, a tavoli “abbandonati” ore prima della chiusura e, nel caso del Lunedì, “smantellamento” di buon ora con bottiglie piene a metà lasciate abbandonate alla mercé di questo o quello (da sempre una prerogativa, in negativo, del Vinitaly). Tutto questo caratterizza le Manifestazioni Italiane (appunto, Vinitaly in testa) ma non Merano Wine Festival che da sempre ha rispettato i visitatori sulla base del “sacrosanto diritto di degustare fino alla fine tutto” vuoi per l’importo pagato per entrare, vuoi per l’impegno a venire da luoghi lontani con l’onere di spesa del caso facilmente immaginabile.
Qualche pecca anche il Lunedì delle “Vecchie Annate” (già registrate nella scorsa edizione e l’inevitabile contagio ha avuto il suo effetto in quella appena conclusasi). Aperte prima dell’orario stabilito e risultate terminate all’orario indicato nel programma, alcune annunciate e non presenti con diverse, banali e lente a capire, giustificazioni.
Non tutto è filato liscio però, in ogni caso, alla fine, Merano è sempre Merano comunque vada ed è sempre una Manifestazione da non perdere assolutamente. Mi auguro che l’Organizzazione conosciuta negli anni passati, attenta, vigile, avveduta e consapevole dell’importanza del grande Evento Annuale dell’Eccellenza, unico nel suo genere, riesca a ricondurre queste che sono ancora nell’ordine di sbavature nel rispetto delle regole sancite e rese vincolanti che da sempre ne sono una forza di “successo”. E grazie alla numerosa presenza di Aziende eccellenti che aspirano a far parte del gruppo delle elette per il Merano Wine Festival un intervento riequilibratore è possibile.
Intelligenti le due “mosse” innovative che hanno arricchito la Manifestazione: Cult Oenologist e Catwalk Champagne. La prima come il migliore “aperitivo”, la seconda come il miglior “dessert”.
Cult Oenologist, ovvero trovarsi a tu per tu con i più titolati enologi italiani, parlare con loro, apprendere le tecniche di vinificazione ed apprezzarle negli assaggi dei “loro vini”. Dieci enologi e cento vini. Una prima volta che ha impreziosito il MWF.
Catwalk Champagne, in collaborazione con gli importatori del Club Excellence. Helmuth Köcher l’ha definita “una sfilata delle migliori case di champagne (24 in tutto) che hanno contribuito ad elevare Merano come salotto buono europeo della raffinatezza”. A posteriori come dargli torto. Chapeau!!!
Un’altra perla dell’edizione 2015 è stata il riuscire a portare al MWF, con difficoltà burocratiche internazionali e “insormontabili” (non per Helmuth Köcher ) i vini della Repubblica Russa di Crimea: L’Antica Cantina Massandra con il suo gioiello Muscat Kokour Desert Surozh assaggiato in una verticale sorprendente, strabiliante, iniziata con la vendemmia 1991, proseguita con 1986,1977,1975,1974 e terminata con il 1973.
Motivazioni ulteriori per classificare, in ogni caso, il Merano Wine Festival nei suoi cinque (5) giorni, con oltre quattrocentocinquanta (450) case vinicole tra le migliori in Italia e nel mondo, senza tralasciare i quasi duecento (200) artigiani del gusto, l’evento mondiale delle eccellenze.
E’ tendenza comune nutrire ottimismo guardando solo le cose positive della vita e soprattutto non accusare sensi di colpa per i propri eventuali errori. Certo non è possibile trattare in modo semplicistico il problema dei “sensi di colpa” che induce ad sentirsi responsabili del male compiuto e che può indurre angoscia, tristezza, sconforto, dolore, depressione. Per Freud la vera colpa è la conseguenza non la causa (che risiede nell’intenzione inconscia che può portare a commettere un delitto), la cui origine è nel complesso di Edipo in quanto da esso deriva la possibilità di distinguere tra bene e male.
Ma in fatto di alimentazione carnea il sistema è volutamente improntato a fare in modo che nessuno si senta colpevole degli effetti prodotti sulla salute umana, sugli animali vittime della nostra profonda imperdonabile ingiustizia e ingratitudine, sulla natura devastata dal nostro insano e irresponsabile stile di vita, sull’impatto delle monocolture degli animali d’allevamento e non per ultima la fame nel mondo.
L’allevatore alleva i suoi animali, che ha visto nascere e crescere, e magari li tratta con un certo riguardo e ai quali a volte pure ci si affeziona. E magari con dispiacere li consegna ai camion dell’industria della macellazione, convinto di non essere responsabile di quello che succederà loro e poi si consola pensando che gli animali sono fatti per questo, perché così è sempre stato.
Il macellaio a sua volta non si sente in colpa per fare a pezzi l’animale perché gli è stato consegnato dall’allevatore che ha pagato e poi, soprattutto perché c’è richiesta da parte del pubblico che aspetta di consumare quei poveri resti. Allo stesso modo la massaia non si sente in colpa di cucinare l’animale ucciso perché lo ha semplicemente acquistato dal macellaio che deve pur guadagnarsi da vivere. E non si sente in colpa chi mangia la carne perché la trova pronta nel piatto e non ha né la voglia né la possibilità di ricondurre quella macabra pietanza all’animale che è stato allevato, macellato e cucinato. Allo stesso modo non si ente in colpa chi indossa pellicce o pelli di animali, chi assiste alle corride, chi si reca negli zoo o nei circhi equestri, chi tiene uccelli in gabbia o pesci nell’acquario, chi utilizza prodotti testati su animali ecc. ecc.
E’ così succede che nessuno si sente in colpa o responsabile se a causa del suo disinteresse, del suo egoismo, la sua mancanza di responsabilità e capacità di condivisione, nel mondo quasi un miliardo di persone soffrano la fame, se a 300 milioni di bambini viene negata la vita con l’aborto, se in ogni parte del globo vi sono focolai di guerre fratricide, se la natura viene devastata, se è l’aria irrespirabile, se i grandi valori morali vanno spegnendosi per far posto ad un’umanità sorda e cieca proiettata verso realtà inquietanti.
E così il ladro non si sentirà colpevole di rubare, l’assassino di uccidere, il pedofilo di violentare bambini, il camorrista di imporre tangenti, lo spacciatore di vendere droga, l’automobilista ubriaco di investire i pedoni ecc. ecc. L’importante è che nessuno si senta in colpa per non turbare il sonno della massa dormiente (funzionale al sistema) condizionata dalla cultura dominante propinata dai grandi centri di potere il cui solo interesse è il guadagno nel perpetuare questo stato di cose: tanto più una popolazione è ignorante tanto più è manovrabile; tanto più è malata e cattiva tanto più ha più bisogno dei dottori del corpo e dello spirito.
Credo che il senso di colpa sia l’effetto di una causa a monte; credo che sia una scossa dataci dalla natura a rivedere il nostro modo di vivere ed evitare errori dei quali poi ci potremmo pentire. Il dolore provocato dal senso di colpa, come effetto di un errore commesso, serve a non farci commettere lo stesso sbaglio e quindi favorire il nostro processo evolutivo.
Sentirsi in colpa per cose che non è stato possibile evitare, o che delle quali non siamo diretti responsabili, è da autolesionisti. Ma privi di sensi di colpa finiamo col spegnere in noi ciò che ancora ci differenzia dalla macchine. Per conto mio, guardando a come vanno le cose nel mondo sarebbe auspicabile quanto salutare un universale senso di colpa.
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Ricordatevi, la concezione più oscurantista e perniciosa, quella più devastante e involutiva, quella che più di ogni altra dottrina o filosofia
preclude l’evoluzione civile, morale e spirituale del genere umano è quella antropocentrica.