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Dopo un incontro con le autorità turche, la famiglia della giornalista Jacky Sutton accetta la versione ufficiale, in attesa di una perizia indipendente
A prescindere da come si concluderanno le indagini, il caso di Jacky Sutton, ex giornalista della BBC e collaboratrice delle Nazioni Unite, trovata morta nei bagni dell'aeroporto Atatürk di İstanbul, impiccata con i lacci delle sue scarpe, apre diversi interrogativi sul presente e soprattutto sul futuro prossimo della Turchia, a pochi giorni dalle elezioni parlamentari del 1 novembre.
Anzitutto, la donna era diretta a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno (KRG, Governo regionale del Kurdistan), dove dirigeva la sezione irachena dell'Institute for War & Peace Reporting, e conduceva inchieste sulla condizione femminile nei territori controllati dai cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico (Isis): quindi, nulla che riguardasse direttamente la Turchia. La sua morte, inoltre, è avvenuta qualche mese dopo quella del suo predecessore nel medesimo istituto, Ammar al-Shahbander (ucciso da un'autobomba a maggio a Baghdad con altre 17 persone). Amici e colleghi, infatti, si sono immediatamente chiesti se la Sutton (in passato arrestata in Eritrea con l'accusa di spionaggio) non fosse stata uccisa a causa del suo impegno per la libertà di espressione in Iraq. Nondimeno, ora che familiari e amici, dopo aver ricevuto informazioni dalle autorità turche, hanno accettato la pista ufficiale in attesa di un'indagine indipendente, restano aperte altre questioni.
A proposito di giornalismo, a giugno il direttore del quotidiano turco in lingua inglese Today's Zaman Bülent Keneş è stato condannato a 21 mesi di carcere con sospensione della pena, per aver insultato sulla rete sociale Twitter il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Today's Zaman è controllato dai seguaci del movimento di Fethullah Gülen, predicatore islamico da anni in esilio volontario negli Stati Uniti, ex alleato di Erdoğan e ora suo acerrimo avversario politico. Prima di Keneş, era stato il direttore del quotidiano turco di ispirazione socialdemocratica Cumhuriyet, Can Dündar a fare le spese della pubblicazione di un video in cui si potevano vedere funzionari dell'intelligence turca consegnare le armi a “ribelli” siriani. Alla vigilia delle elezioni parlamentari del 7 giugno, il giornalista era stato arrestato inizialmente per alto tradimento, ma Erdoğan (e subito dopo la procura) aveva parlato di spionaggio politico e militare e propaganda per un'organizzazione terroristica, minacciando la testata per cui lavora che “l'avrebbe pagata cara”. I casi di Dündar e Keneş sono solo due esempi del clima di tensione imposto ai media in Turchia, che nella classifica di Reporters sans frontières per il 2015 sulla libertà di stampa occupa il 147esimo posto su 180 paesi.
La questione di fondo è che Ankara impone le sue strette autoritarie a “bersagli” sbagliati: se i maggiori sospetti (anzi le quasi-certezze) sugli autori degli attentati di Ankara, Suruç e Diyarbakır ricadono sui cartelli del jihad, perché mai concentrare gli attacchi militari e i controlli dell'intelligence su organizzazioni che poco hanno a che vedere con la galassia dell'islam politico radicale? In primo luogo il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), con cui sarebbe il caso di intavolare un dialogo serio invece di sperare invano di risolvere la questione curda manu militari, annoverando il PKK tra le organizzazioni terroristiche e bombardandone le (presunte) postazioni, seminando quindi stragi tra i civili. Anche perché, gli attentati di Ankara Suruç e Diyarbakır hanno preso di mira manifestazioni ed eventi legati alla questione curda, un motivo in più per affrontarla con atteggiamento costruttivo e non solo repressivo.
Peraltro, il partito “filocurdo” HDP (Partito democratico dei popoli) alle ultime elezioni parlamentari era entrato in parlamento, con il suo significativo potenziale democratizzante: i diritti delle minoranze, la parità di genere, la difesa dei diritti di LGBT. Il fatto che Erdoğan (e il suo partito Giustizia e sviluppo - AKP) non abbia colto l'occasione per formare con l'HDP un governo di coalizione suscita interrogativi sul come intenda gestire le questioni interne, in particolare le relazioni con le opposizioni politiche e le libertà individuali dei cittadini. A parte le possibili considerazioni sulla gestione della politica estera, soprattutto per quanto riguarda il conflitto siriano, in cui il presidente turco continua a pretendere categoricamente (e senza la minima considerazione degli equilibri interni alla società siriana) la caduta del presidente Bashar al-Assad e la guerra contro il Partito di unione democratica (PYD) e delle Unità di protezione popolare (YPG) ad esso legate. Eppure sono state queste ultime a costituire il principale baluardo contro i cartelli del jihad, nonché a proporre una società laica e fondata sull'uguaglianza dei diritti di genere (si pensi ad esempio ai battaglioni formati da sole donne). Se dunque il presidente turco teme che un loro eccessivo rafforzamento possa risvegliare le aspirazioni indipendentiste della minoranza curda che vive in Turchia (che proprio minoranza non è, visto che si parla di 16 milioni di persone, oltre il 18% della popolazione totale), di certo la linea repressiva che ha adottato rischia di far scivolare il suo paese in un circolo vizioso di conflitti e autoritarismo. Il rischio maggiore, alle prossime parlamentari del 1 novembre è appunto questo, e di certo non aiuta l'atteggiamento opportunista e utilitarista della comunità internazionale.
Carlotta Caldonazzo
Il Lazio,quella Regione un po’ dimenticata, che nasconde gioielli enoici di ottima levatura. Un percorso aziendale alla riscoperta delle varietà tradizionali e di quelle innovative provenienti da altre Regioni italiane e di origine d’oltralpe (Francia).
Tutto questo nell’assaggio di vini di una importante Azienda vinicola e nel successivo “approfondimento” storico con la ricerca della “filosofia di produzione”.
Gli ingredienti per parlare e far conoscere una realtà del calibro di Castel de Paolis ci sono tutti:
il Castello di origine medievale che a sua volta sorgeva su rovine di epoca Romana,
il microclima tipico dell’Italia Centrale con la posizione dei vigneti compresi nella fascia di altitudine ottimale (mediamente tra i 250-280 mt s.l.m.),
la ricerca clonale con l’ausilio del Prof. Attilio Scienza,
lo studio parcellizzato dei terreni (vulcanici con presenza di tufo e pozzolane unite a pomice e altre varie scorie vulcaniche) e
tanta, tanta voglia di riuscire a produrre vini di buona elevatura.
Il Desiderio di riparlare dei Vini del Lazio ovvero il Ritorno del Lazio.
Non solo gli “allegri vini dei Castelli” o quelli legati alla tradizione storica come “Est!Est!Est!”, ma Bianchi ottenuti da vinificazioni accurate e Rossi riconducibili al “taglio bordolese” per renderli importanti o addirittura lanciare sfide agli autorevoli muffati del Sauternes-Balzac, coltivando i loro vitigni Semillon e Sauvignon Blanc in terra laziale. E nel Muffa Nobile di Castel de Paolis ritrovi l’anima di quella terra posta sulla sinistra della Garonne.
Non tutto riesce per caso. Anche affinare i vini, appena nati, nelle botti all’interno della “Cisterna Romana” sono scelte di grande importanza che provengono da “reminescenze storiche”che hanno accompagnato la Storia del Vino nelle varie epoche. Gli antichi Romani non avevano a disposizione vasche termoregolabili o strumenti della nostra epoca e utilizzare le cisterne di loro invenzione significava mantenere il vino alla temperatura ottimale per il suo invecchiamento. L’Azienda Castel de Paolis, utilizzando quanto trovato negli anfratti delle rovine di epoca romana, ha reso la Cisterna ritrovata e recuperata, adatta all’invecchiamento.
Idee chiare e lavoro rigoroso sono alla base della “filosofia” produttiva che guida la Famiglia Santarelli. I loro vini, lineari nel tradurre le scelte effettuate e nell’evidenziare la peculiarità parcellare, alla fine non risultano mai troppo invadenti come spesso accade quando si vuole produrre “a tutti costi” tagli bordolesi.
La scelta non invasiva, biologica lascia comunque apprezzare la loro dinamica gustativa in un crescendo di personalità.
La personalità territoriale la ritrovi abbondantemente nell’essenzialità tradizionale proveniente dai vitigni locali come la Malvasia Puntinata, il Bombino, il Bellone, il Grechetto, il Pecorino, e a seguire Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano e Romanesca per i Bianchi. Cesenatico, Montepulciano, Sangiovese per i Rossi. E la beva non più facile ma importante la riscopri nei Frascati Castel de Paolis, Campo Vecchio, Frascati Cannellino e in buona parte nel Rosso Campo Vecchio. Ma sono gli internazionali Donna Adriana, I Quatto Mori, Rosathea e Muffa Nobile a riscattare le potenzialità di questo territorio vulcanico convertendolo ad ospitare vitigni come il Syrah e il Viognier della Valle del Rodano, il Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot, Semillon e Sauvignon Blanc della vasta area di Bordeaux.
Quello che serve in un vino è soprattutto l’equilibrio e lo charme. Bere i vini dell’Azienda Castel de Paolis è percepire la voce sottile proveniente dai calici, i profumi che ti preparano a quanto sanno dare al palato. Percepisci un carattere sospeso nel tempo, tra tradizione, nuova eleganza, leggerezza e finezza.
Urano Cupisti
“Al 59”. Ricordi e radici legati alla Dolce Vita di Fellini
“Andar per locande” è sempre stata la mia passione. Per questo mi identifico spesso con Quinto Ennio (200 a.C.), il poeta degli Scipioni, che spesso amava frequentare gli allora famosi Thermopolium e le Tabernae, scrivendo i suoi Hedyphagetica. Unire la poesia ai piaceri della tavola. Scrivere ed insegnare che deve esistere anche una educazione alimentare. Non mangiare per vivere ma valorizzare ed apprezzare i cibi. Come meglio di un poeta poteva, già allora, impersonificare un moderno gourmand?
Oggi è ancora possibile varcare l’ingresso di un ristorante e respirare da subito l’atmosfera della buona cucina in un ambiente gradevole dove noti che ogni dettaglio ne racconta la Storia. Quei ricordi dettati dalle radici in una visione contemporanea.
Mi è successo di recente a Roma presso il Ristorante “Al 59”, in via Angelo Brunetti nel cuore della capitale poco distante dalla centralissima Piazza del Popolo. I ricordi legati al primo locale “dalla Cesarina” in via Piemonte, ritrovo e luogo d’incontro di persone legate allo spettacolo e alla cultura e in particolare di tutti i romagnoli romani come il regista Federico Fellini che lo frequentò fin dal suo arrivo nella capitale. “Per tutta la sua vita Fellini fu trattato come un figlio, ave
va sempre un tavolo riservato, anche quando Cesarina decise di spostare la sua attività a via Brunetti”. Così raccontano i camerieri, tra una portata e l’altra, con estrema cortesia ed efficienza. Le radici della buona cucina romagnola mai negate anche nella nuova gestione di Alberto Colacchio, romano ma con origini campane e abruzzesi. Un mix di territorialità che oggi influenzano il suo stile di cucina. Un prodotto di quella ITALIAN GENIUS ACADEMY, la scuola professionale di Alta Cucina Italiana, che annovera tra docenti e collaboratori noti chef del calibro di Carlo Cracco, Massimo Bottura, Angelo Dandini e altri.
Cesarina |
Quando rilevò “Al 59” capì da subito che il “marchio del ristorante della Dolce Vita” doveva rimanere come riferimento e ripartì da quei piatti che lo resero famoso in quegli anni. Una nuova cucina romagnola sussurata senza osare oltre: il che, a volte risulta un pregio e così è stato. Un passo dopo l’altro verso quella visione di contemporaneità che altro non è che il cambiamento nella tradizione. Ci si ritrova di fronte ad una cucina di indiscussa finezza giocata sull’ottenimento dell’armonia. Concretezza, semplicità, autenticità senza contare quei pizzichi di fantasia, passione ed amore che rendono specia li tutti i suoi piatti.
Ed ecco sfilare davanti a me piatti d’entrée come tartare di spigola, tre volte ostrica, tartare di vera Fassona, i supplì, le tre consistenze di carciofo e la tradizionale passatina di ceci. Assistere al passaggio dei primi piatti come il romano tagliatelle broccoli ed arzilla, tortellini fatti a mano in brodo alla romagnola, tortelloni di zucca, ricotta e spinaci, le immancabili amatriciana, carbonara e gricia della tradizione romana, un rivisitato primo fantasioso come tagliatelle di coda con cioccolato e la gramigna romagnola.
Ma sono i secondi piatti, fatti con sapiente manualità, a riportarci nei ricordi di una esperienza gastronomica mai fuori dagli schemi, condotta dallo chef Alberto con il suo entusiasmo e voglia, allo stesso tempo, di sperimentare. Bollito misto emiliano-romagnolo con le salse tradizionali e nuove, saltimbocca alla romana rivisitati piacevolmente anche nella sostanza, involtini di spigola (a ricordare il Mare Adriatico) con
Passatina di ceci |
rosta di patate allo zenzero (la voglia di sperimentare alla ricerca di nuovi equilibri gustativi), baccalà alla trasteverina (il pesce universale alla maniera della borgata romana) e l’immancabile parmigiana della nonna (forse un riferimento a Cesarina, nonna putativa del giovane Alberto).
“Il primo passo verso il miglioramento è non sentirsi mai arrivati”. Nonostante i riflettori della TV, i premi conquistati nei vari concorsi, gli elogi e le pacche sulle spalle con l’inevitabile “sei il migliore”, lo Chef Alberto Colacchio non ha smesso di studiare e confrontarsi con altre tecniche anche fuori dei confini nazionali. Perché misurarsi con altre tecniche di altre realtà rende bene l’idea del suo impegno.
Si sta bene “Al 59” e non è cosa da poco.
Pensiero finale da riportare nei miei hedyphagetica:
“ Lo chef mi ha regalato piatti di alto livello nella sua semplicità; ma esco dal locale con la netta convinzione che Alberto viaggi ancora con il freno a mano tirato”. Chapeau!
Urano Cupisti
(provato in incognito nell’Ottobre 2015)
Finalmente un progetto internazionale per nuovi volti e nuovi talenti della musica: New Entries Europa Tour, ideato da Norma Imbriano e diretto artisticamente da Maurizio Verbeni. New Entries si occupa di orientare, formare ed addestrare gli artisti ed inserirli in maniera seria e reale nel mondo del lavoro.Bisogna avere un’età compresa tra i 16 e i 60 anni, salvo casi eccezionali che la commissione si riserva di accettare. Le selezioni per l’anno accademico 2015/2016 sono gratuite, seguiranno le prove di ammissione sempre gratuite che consistono in test psicoattitudinali, provino live e colloquio di selezione.
Avranno libero accesso tutti gli artisti che supereranno il colloquio di ammissione, che sarà curato da una commissione formata esclusivamente da noti esponenti dello spettacolo. New Entries oltre alla borsa di studio premia i 20 allievi Europa Tour, iscrivendoli a proprie spese ad un prestigioso concorso internazionale o nazionale. Una grande opportunità per accedere nel mondo della musica e costruire passo passo un percorso artistico di rilievo. New Entries Europa Tour non è una competizione, ma una promozione per gli artisti e la musica italiana in Europa e nel mondo.
L’artista più gettonato dal pubblico sia nella rappresentazione in teatro denominata “lancio del tour”, che avrà luogo subito dopo le audizioni, sia durante lo stesso tour, sarà premiato con la partecipazione alle finali del festival dell’Adriatico “Premio Alex Baroni”. Il vincitore del Festival dell’Adriatico, premio Alex Baroni, avrà diritto alla partecipazione al New Entries Europa Tour U.s.a. Presentatrice dell’evento Rossella Diaco, nota conduttrice Rai che ha sposato da subito il progetto. In giuria il direttore d’orchestra Mario Zannini, la cantautrice Linda d, il gruppo internazionale Milk and Coffee, Enzo Spinozzi patron del Festival dell’Adriatico “Premio Alex Baroni”, la professoressa, regista e attrice Anna Baldoni.
Per le iscrizioni e per saperne di più consultate il sito ufficiale: http://www.newentrieseuropatour.com/
Qual è il " Senso della Vita "? Credo che tutti, ad un certo punto della loro esistenza si pongano questa domanda. Credo anche che , chi ancora non se l'e' fatta, prima o poi se la farà.
Da ragazzi non si pensa a questo, da adulti si è distratti dal lavoro, dalla carriera e dagli eventi. Ma poi viene il momento in cui ci si ferma un attimo a pensare: " si nasce, si vive e si muore ". Che senso ha ? Perché ...?
Qual'e' lo scopo dell'esistenza se poi tutto finisce ? Molti hanno provato a dare una risposta a tale interrogativo....ed anch'io voglio provarci. Inizierò analizzando due termini ai quali tutti sappiamo dare un significato : " Bene e Male ". Senza dilungarci troppo e semplificando al massimo, possiamo affermare genericamente che il " Bene " e' tutto ciò che riconosciamo eticamente, moralmente ed altruisticamente corretto nei confronti della società, dei singoli individui e del buon vivere comune. Il Male e' l'opposto...!...è l'assenza di Bene. Si può molto discutere su questa generica ed approssimativa definizione. Noi però , per comodità di espressione concettuale , la prendiamo per buona, rinviando ad altra occasione l'analisi più approfondita su questo tema. Comunque è certo che tutti sanno riconoscere il Bene quando lo ricevono; perché ci si sente gratificati, soddisfatti ed in uno stato di piacevolezza che pervade mente e corpo. In questo periodo storico Il Bene e' un po' meno sincero. Alcuni lo accennano, altri lo fingono, altri ancora lo millantano...ma fortunatamente qualcuno lo fa' realmente. Nel Bene riconosciamo tutti quei sentimenti positivi , quali : la carità , la tolleranza, l'altruismo, la comprensione, la misericordia, la giustizia...ecc...ecc . Al contrario , nel Male sono compresi tutti quei sentimenti negativi ed egoistici che animano l'essere umano : rabbia, livore, arroganza, egoismo, invidia, idolatria...ecc...ecc...
Il Creatore, chiunque Egli sia , visto in visione laica o Religiosa ( Dio, Budda, Allah, Vishnu...ecc..ecc...) ha volutamente creato l'uomo con un 50% di Bene ed un 50% di male.
Egli, poi, senza costringere nessuno, con il più grande atto di Democrazia conosciuto, ha dato ad ogni essere vivente il " Libero Arbitrio ", in modo che ognuno potesse decidere autonomamente quale delle due qualità scegliere.
Fin qui, l'approccio Laico va di pari passo con quello Religioso. Da questo punto in poi, essendo di Fede Cristiano-Cattolica esprimerò il mio pensiero in chiave Religiosa ( ...ma neanche tanto ).
Quando si nasce, non si sa' con precisione, ma, ad un certo punto del processo , il piccolo agglomerato di cellule ( il feto ) fino a quel momento inerte , si anima ( mistero della vita ). Potremmo anche dire che lo Spirito ( o l'anima ), al momento della nascita, viene rivestito da un complesso involucro di carne, che , da quel momento costituirà l'essere vivente e nel quale saranno stati infusi dal Creatore " Bene e Male " in pari percentuali.
Il bambino, nel tempo crescerà ed attraverserà tutte le fasi della vita : maturerà , invecchierà...ed in fine morirà . Questa evoluzione fisica risulterà qualitativamente buona o meno buona , sana o meno sana, a seconda dello stile di vita condotto. Anche lo Spirito ( l'anima ) dovrà avere una sua evoluzione. Ma come ? L' avrà in una necessaria " Crescita Spirituale ", e cioè , nello sforzo volontario e continuo , di trasformare, durante tutto il corso della vita, quel 50% di Male...quanto più possibile in Bene. Qualcuno pensa che esercitando tiepidamente e comodamente, soltanto, quel 50% di Bene già insito nella propria natura, possa ritenersi salvo e nel giusto. Questo, a mio avviso, è un errore perché , così facendo, non avrà esercitato volontariamente alcuno sforzo per trasformare , a sufficienza , quel 50% di Male. È sul Male che dobbiamo " lavorare "...spingendoci (non senza travaglio interiore) ad effettuare una " Correzione " della nostra natura. Operando tendenzialmente in tal modo, volontariamente ed autonomamente , saremo creatori di noi stessi ( il Creatore ha voluto che ognuno decidesse in completa autonomia il proprio destino con una personale " Crescita Spirituale “ ). Alla fine dei nostri giorni lasceremo quel fardello ( il corpo )...e con esso l'anima, che, con il nostro modo di vivere, avrà determinato...oppure no , volontariamente, la Correzione (" Crescita Spirituale ") ! In questo individuale sforzo correttivo, la precaria Vita terrena , accompagnata da gioie, dolori e prove di tutte le specie, sarà servita a meritarsi un " Passi " per la vera Vita Eterna. Concludendo , posso affermare con ferma convinzione , che il mio " Senso della Vita " ( esercitando il "Bene " ) ...sta nel continuo sforzo di correggersi dal " Male " !
È arrivata a Roma al Complesso del Vittoriano, la seconda tornata di opere dal Musée d'Orsay di Parigi. Lo scorso anno si è tenuta la mostra dedicata alla storiadell’istituzione parigina.
Ora è la volta di Impressionisti, tête à tête in corso fino al 7 febbraio 2016. Come si evince dal titolo, è il ritratto l’affascinante tema prescelto. Più di sessanta opere, in gran parte dipinti, ma anche qualche scultura, ci mostrano i volti dei protagonisti, non solo della pittura, ma anche della cultura e della società dell’epoca.
Curatori sono Guy Cogeval, presidente dei Musée d’Orsay et de l’Orangerie, il direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura Xavier Rey e Ophélie Ferlier, conservatore del dipartimento di scultura. Quest’ultima ha rimarcato come la mostra offra occasione, più di quanto lo consenta la sede d’origine, di un confronto-dialogo tra pittura e scultura. Le sculture esposte non sono in gran numero e di dimensioni contenute, tra queste il ritratto di Victor Hugo di Rodin del 1897 e una delle fusioni di Ecce Puer, o Impressione di bambino (Ritratto di Alfred Mond a sei anni) del 1906.
Altro italiano in mostra, Giovanni Boldini, che fa toccare con mano i materiali dell’elegante guardaroba delle signore da lui ritratte che sembrano presenti con tutta la loro verve e lo charme, in questo caso si tratta Madame Charles Max, immortalata nel 1896.
La viscontessa di Poilloüe de Saint Perier di John Singer Sargent ritratta 1883, spicca nel suo abito rosso.
Una sola l’autrice presente, Berthe Morisot, con Giovane donna in abito da ballo del 1879 e L’ortensia o le due sorelle del 1894.
Le opere coprono un periodo tra il 1850 e il 1920, illustrano ciò che c’era prima e ciò che viene dopo l’Impressionismo. Attraverso i volti si dà conto anche del contesto storico sociale.
Una sezione è dedicata all’infanzia. Bambino e donna in un interno di Paul Mathey del 1890 ca, colpisce per la costruzione dell’immagine, dalla figura del bambino biondo, l’occhio dello spettatore è portato all’interno della casa, che si approfondisce grazie a piani differenti. Nell’interno pieno d’atmosfera si svela l’attività della donna. Interno di una casa o dell’inconscio?
Non tutti famosi gli autori, una manciata sono i capolavori conosciuti e caratterizzanti il movimento. Tra questi Il balcone di Manet del 1890, L’altalena di Renoir del 1867, la Donna con caffettiera di Cezanne, realizzata tra il 1890 e il 1895.
Un filmato che spiega la nascita e lo sviluppo dell’impressionismo apre la mostra, che prosegue con le foto e le biografie degli artisti.
Impressionisti, têteàtête
Roma, Complesso del Vittoriano
15 ottobre 2015- 7 febbraio 2016
Orario: dal lunedì al giovedì 9.30-19.30
venerdì e sabato 9.30-22.00
domenica 9.30-20.30
Ingresso: intero €.12,00; ridotto €. 9,00
Info: 06 6780664
Catalogo: Skira €. 38,00
Ieri è morta la Costituzione italiana, riforma votata dalla sola maggioranza e grazie ai transfughi di Forza Italia capeggiati dal Sen. Dennis Verdini. ma vediamo nel dettaglio cifre, numeri ed esempi.
Ecco quanti sono i politici italiani: dati e stipendi
Deputati, senatori, assessori, consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali.
Quanti sono, quanto ci costano:
630 Deputati e 315 Senatori
Che come ben sappiamo, oltre a percepire un lauto stipendio, godono di una lista interminabile di privilegi... non mi dilungo perché la questione è nota..
1.117 Consiglieri regionali
Una parte dei quali, sono assessori (e riscuotono di più). Lo stipendio e il numero dei consiglieri regionali varia da regione a regione: ma da praticante da nessuna parte, comprendendo rimborsi e gettoni, questo è inferiore a un minimo di 10.000 euro mensili: ma spesso guadagnano molto di più. In Piemonte, per esempio la somma tra stipendio e rimborsi, può superare i 18.000euro. Non dimentichiamoci dell' "indennità di fine mandato": se ne parla poco, ma corrisponde a una cifra considerevole: prendendo in esame il Piemonte, può arrivare a 257.000 euro: praticamente, se lo sommiamo per le 60 mensilità che compongono il mandato, si parla di 4.283 euro al mese. Ovviamente, anche per loro spesso è previsto un bel vitalizio, diritto che viene acquisito mettendo alle spalle anche solamente mezza legislatura.
Per conoscere il dettaglio degli stipendi dei consiglieri regionali nelle 15 regioni andate a elezioni nel 2010 clicca qui (Espresso)
PS: (allo stipendio, composto dalla somma delle voci "stipendio netto" e "rimborsi", va sommato il gettone di presenza delle commissioni: il cui importo, variabile è spesso intorno ai 100 euro. I consiglieri, che spesso fanno parte di più commissioni, si riuniscono in commissione almeno 3 volte a settimana). Per conoscere il dettaglio regione per regione dei consiglieri, suddivisi per partito, clicca qui (Wikipedia)
8.094 Sindaci
Lo stipendio del sindaco varia in base al numero degli abitanti: allo stipendio, ovviamente vanno sommati i rimborsi e le spese di rappresentanza.
GAZZETTA UFFICIALE della Repubblica Italiana (13/05/2000)
Indennità di funzione mensile dei sindaci
Comuni fino:
a 1000 abitanti guadagnano 1.290€
Comuni da 1.001 a 3.000 abitanti 1.450€
Comuni da 3.001 a 5.000 abitanti 2.170€
Comuni da 5.001 a 10.000 abitanti 2.790€
Comuni da 10.001 a 30.000 abitanti 3.100€
Comuni da 30.001 a 50.000 abitanti 3.46€
Comuni da 50.001 a 100.000 abitanti 4.130€
Comuni da 100.001 a 250.000 abitanti 5.010€
Comuni da 250.001 a 500.000 abitanti 5.780€
Comuni oltre 500.001 abitanti 7.800€
Comuni: 120.490 consiglieri e 35.254 assessori
Mentre i consiglieri comunali riescono a racimolare poche centinaia di euro, gli assessori arrivano a percepirne svariate migliaia:
I consiglieri comunali percepiscono un gettone di presenza, il cui importo varia comune per comune. Nei comuni da 1.001 a 10.000 abitanti, 18.08€ a seduta; da 10.001 a 30.000 abitanti, 22.21€; da 30.001 a 250.000 abitanti, 36.15€ per ciascuna presenza in aula. Oltre ad essere percepiti ad ogni riunione del Consiglio Comunale, i gettoni di presenza sono previsti anche per la presenza alle commissioni.
Agli assessori di comuni con popolazione superiore a mille e fino a cinquemila abitanti è corrisposta un'indennità mensile pari al 15% di quella prevista per i sindaci. Agli assessori di comuni con popolazione superiore a cinquemila unità e fino a 50.000 è corrisposto un compenso pari al 45%. La tabella dalla quale ho estratto i dati, non indica lo stipendio per gli assessori di comuni superiori ai 50.000 abitanti: ma sicuramente sarà più elevato, visto ogni indennità aumenta con il numero degli abitanti.
Prendiamo in esempio il Comune di Torino:
COMUNE DI TORINO
- sindaco (Chiamparino) € 9.123,53;
- Vice Sindaco € 6.842,65;
- Assessori comunali € 5.930,31
- Presidente del Consiglio comunale: € 5.930,06;
- Consiglieri comunali: € 3.142,00;
A QUESTE INDENNITA' DI FUNZIONE VANNO AGGIUNTI A TUTTI QUANTI:
- € 120,85 per ogni seduta istituzionale massimo 1 al giorno (massimo 19 "sedute" al mese);
- € 0,510 rimborso chilometrico che viene corrisposto a ciascun dei suddetti eletti per A/R dal luogo di residenza fino alla sede di "lavoro istituzionale”
Natale Ventrella
di Carlotta Caldonazzo
Decine di migliaia di persone, dalle organizzazioni sindacali al Partito democratico dei popoli (Hdp, il partito filocurdo), dai movimenti sociali ai comuni cittadini, hanno sfilato l'11 ottobre per le strade delle tre principali città della Turchia, per chiedere giustizia per le vittime dell'attentato suicida che ha fatto strage in un raduno di sindacati e pacifisti ad Ankara. Ma soprattutto per chiedere pace e porre l'amministrazione del presidente Recep Tayyip Erdoğan di fronte alle sue responsabilità. Alcuni, intanto, suggeriscono un coinvolgimento di apparati di governo nella strage di sabato, con lo scopo di proseguire sulla linea dell'accentramento dei poteri e del rifiuto di qualsiasi forma di dialogo politico, con il pretesto della “sicurezza”. Tra gli slogan gridati durante le manifestazioni di domenica c'era appunto katil devlet, “stato assassino”. Uno slogan tristemente noto, che riporta alla mente le immagini del decennio nero algerino. Anche allora, dopo l'ondata di proteste sociali e civili del 1988, il governo in carica scelse la linea della repressione e, per percorrerla fino in fondo, innescò (attraverso i movimenti islamici radicali) la scintilla che provocò la guerra civile. Altro elemento comune, anche in Algeria a trainare le proteste erano spesso i movimenti e partiti di sinistra sensibili ai diritti delle minoranze, in particolare alla causa berbera (autonomia e riconoscimento culturale per la minoranza berbera in Cabilia).
A meno di venti giorni dalle nuove elezioni parlamentari del 1 novembre, indette dopo la perdita della maggioranza assoluta del partito di governo (Akp, Partito Giustizia e Sviluppo) alle elezioni del 5 giugno e il fallimento delle successive trattative per formare una coalizione, lo staff di Erdoğan si trova nuovamente sotto una pioggia di critiche per l'atteggiamento accentratore e dispotico, da molti giudicato irresponsabile. Ancora una volta il casus belli riguarda il processo di pace con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), avviato nel 2013 grazie alla mediazione di Selahattin Demirtaş (co-segretario dell'Hdp) e interrotto unilateralmente da Ankara lo scorso luglio. Vale forse la pena ricordare che la decisione di lanciare una nuova campagna militare era arrivata dopo quella che il governo considerava una rappresaglia del Pkk per l'attentato di Suruç, costato la vita a oltre trenta giovani attivisti, riuniti per discutere della ricostruzione della città curda siriana di Kobane. In comune con la strage di Ankara, oltre all'obiettivo (movimenti vicini alla causa curda) e alla tattica dell'attentato suicida, ci sarebbe (a quanto risulta dalle prime analisi) il tipo di esplosivo utilizzato. Solo che allora, trattandosi di Kobane, le autorità avevano scelto con fulminea sicurezza la pista dei cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico (Daech), mentre questa volta il primo ministro Ahmet Davutoğlu ha incluso tra i sospetti anche il Pkk e due organizzazioni di “estrema sinistra”, ovvero il Partito-fronte rivoluzionario di liberazione del popolo e il Partito comunista marxista leninista. La prima, peraltro, sospettata di legami con il deep state, ovvero gli apparati di stato “occulti”, soprattutto da quando una militante di spicco, arrestata nel 2008 ma rilasciata nel 2012 in attesa di un nuovo processo, è stata uccisa dopo aver dichiarato in un'intervista di essere disposta a rivelare i legami tra il Movimento-fronte ed Ergenekon (gruppo ultranazionalista clandestino, accusato di infiltrare suoi elementi nell'esercito e nei servizi di sicurezza, sul modello di Gladio). Inoltre, c'è un terzo attentato simile per dinamica e obiettivo a quelli di Ankara e Suruç, ovvero quello compiuto il cinque giugno scorso da due attentatori suicidi (in tutti e tre i casi la dinamica è simile) a Diyarbakır, durante un raduno dell'Hdp. Una trentina di morti e un pericoloso aumento di tensione a due giorni dalle elezioni parlamentari.
Così, mentre in Tunisia il “quartetto nazionale per il dialogo” ha vinto il premio Nobel per la pace per aver salvato il paese dalla guerra civile, l'amministrazione Erdoğan viene accusata, oltre che di autoritarismo e censura (in particolare per l'atteggiamento repressivo nei confronti della stampa), anche di attuare una strategia della tensione con lo scopo di imporre un controllo più capillare in vista delle prossime elezioni. In effetti, in gioco per il presidente turco c'è la possibilità di fare della Turchia una repubblica presidenziale, completando l'iter di accentramento dei poteri. Nondimeno, l'Akp questa volta sarà costretto ad accettare i risultati delle elezioni parlamentari, a meno che non voglia trascinare il paese verso una guerra perpetua. Tanto più che l'ultima strage (la più sanguinosa della Turchia moderna) è avvenuta nella capitale amministrativa, malgrado i ripetuti contatti tra Erdoğan e i mukhtar, rappresentanti di quartieri e comunità locali. Incontri che vanno avanti da gennaio e riguardano la creazione di un sistema informativo speciale che permetterà a questi “notabili” di comunicare direttamente con il Ministero degli interni. Per ora il presidente turco ha chiesto loro di informare la polizia locale di eventuali attività sospette e luoghi di ritrovo di militanti del Pkk. Decisione anche questa assai controversa, visti i rischi che si corrono nel tentare di gestire un paese incoraggiando la pratica della delazione, che rischia, al contrario, di distruggere il tessuto sociale e le relazioni che lo costituiscono.
La situazione in Turchia, dunque, desta preoccupazioni. Anzitutto per il timore diffuso che Erdoğan possa tentare di guadagnare consensi mettendo in atto una strategia della tensione che potrebbe avere ripercussioni nefaste non solo sulla situazione interna ma anche sui conflitti in Siria e Iraq. Infatti, malgrado le promesse di Ankara di sostenere la coalizione internazionale contro il cosiddetto Stato islamico (una strategia, peraltro, di per sé discutibile), i bombardieri turchi finora hanno preso di mira quasi solo presunti rifugi del Pkk. Inoltre, a seguito della strage di Ankara, le autorità potrebbero prolungare il coprifuoco imposto in molte città del Sud-est a maggioranza curda, una misura che rischia di mettere in difficoltà chi vorrà recarsi alle urne il prossimo 1 novembre. Di contro, un serio confronto politico unito a una ripresa fruttuosa del processo di pace con il Pkk potrebbe essere il primo passo verso una maggior considerazione dei diritti fondamentali di tutti i cittadini turchi. Basti pensare che tra i deputati dell'Hdp entrati in parlamento alle parlamentari di giugno c'erano, oltre a un cospicuo numero di donne, vari attivisti dei movimenti in difesa di Lgbt. Occorre ricordare inoltre che, con quasi il 30% dei voti ottenuti alle ultime elezioni, Demirtaş, da anni avvocato dell'Associazione turca per i diritti umani e tra i fondatori del presidio di Amnesty international a Diyarbakır, avrebbe potuto offrire un contributo fondamentale al processo di democratizzazione della Turchia (che ovviamente passa anche per la soluzione della questione curda), garantendo rappresentanza politica non solo ai Curdi ma anche a quei movimenti che chiedono giustizia sociale. Significative le parole da lui pronunciate ad Ankara, durante la manifestazione all'indomani dell'attentato. “Il partito di Erdoğan ha le mani sporche di sangue”, ha detto il co-segretario dell'Hdp, “ci vogliono far tacere, ma noi continueremo la nostra lotta pacifica”. Ankara, tuttavia, non sembra intenzionata a cambiare linea, e non solo sul Pkk. Qualche giorno fa, ad esempio, un giornalista del quotidiano Hürriyet è stato aggredito da un gruppo di sostenitori dell'Akp, mentre il direttore del quotidiano Zaman è stato arrestato per un commento critico su Erdoğan sulla rete sociale Twitter. Insomma, finora, sullo sfondo delle richieste di pace, lavoro e democrazia (questo sarebbe stato lo slogan del corteo di Ankara del 10 ottobre) di movimenti e sindacati, l'unica forza ad aver chiesto un cessate il fuoco in vista delle elezioni è stata proprio il Pkk.
“Spotlight” , film del regista americano Tom Mc Carthy, presentato in settembre al 72mo Festival del Cinema di Venezia , fuori concorso, racconta la storia vera di una inchiesta svoltasi in merito agli abusi che i preti cattolici hanno praticato su molti minorenni, a Boston, la città con il più alto numero di cattolici negli Stati Uniti,.
Il film si ispira al Watergate cattolico del 2002: una lunga serie di abusi perpetrati da molti preti su decine di minori a Boston. Un abominio che è andato avanti per decenni, sempre accuratamente nascosto, prima che arrivasse un’inchiesta giornalistica del “ The Boston Globe” a scoperchiare lo scandalo. L’indagine fece vincere al quotidiano il premio Pulitzer di pubblico servizio nel 2003.
Furono scritti più di 600 articoli per raccontare le oltre 1000 violenze subìte dai bambini e mai venute fuori fino allora. Il profilo delle vittime era sempre lo stesso: quasi tutti provenivano da famiglie povere, con padri e madri assenti e tanto disagio. Quello che subirono fu un abuso fisico ma anche spirituale. I bambini erano smarriti e non sapevano a chi rivolgersi , le loro famiglie non erano in grado di comprendere e facevano quello che i preti volevano fosse fatto.
Nel film l’inchiesta è condotta da alcuni intrepidi giornalisti del quotidiano “The Boston Globe”, fortemente determinati a scoprire i segretissimi ed occultati carteggi relativi ai numerosi abusi sessuali perpetrati dai preti cattolici nei confronti di molti minorenni.
I giornalisti, protagonisti assoluti del film sono decisi a rivelare quello che per trent’anni era accaduto nell’omertà generale: la pedofilia tra i preti di Boston e soprattutto lo scandalo della copertura della Chiesa. Un giorno scoprono che anche il direttore di redazione , Walter Robinson, (interpretato da Michael Keaton) aveva già avuto tra le mani materiale che avrebbe potuto far scoppiare il caso anni prima, ma trascurò la cosa. Così come le alte sfere hanno taciuto e le vittime hanno preferito non denunciare.
Questo straordinario gruppo di giornalisti investigativi, aggregati sotto il nome di “Spotlight” riesce a raccogliere prove contro settanta preti pedofili e a dimostrare che da parecchio tempo esisteva la pratica diffusa in base alla quale, quando il vescovo di Boston, Bernard Francis Law, veniva a sapere di denunce fatte dalle famiglie dei ragazzini abusati, patteggiava con i familiari un rimborso, spostava di parrocchia il religioso colpevole, per poi rimetterlo, dopo poco tempo, al suo posto. Senza mai prendere provvedimenti drastici contro il prete pedofilo.
In una città in cui regna il falso perbenismo e in cui si nascondono i misfatti di quelli che dovrebbero essere i portatori della religione cattolica l’inchiesta di qualche giornalista è scomoda per qualcuno ed è un’ impresa veramente ardua che incontra sbarramenti sin dall’inizio: dalle perplessità del capo redazione alle reticenze dell’avvocato che ha trattato tutti i casi. Per non parlare dell’incredulità iniziale della popolazione. I giornalisti infatti si scontrano spesso con numerosi e invisibili ostacoli sociali, politici e burocratici, rappresentati da rinomati avvocati che hanno scelto, sotto scambio di denaro, di nascondere e non denunciare e da familiari che chiudono le porte, impauriti e reticenti.
Per non parlare del cinismo di alti esponenti della Chiesa Cattolica, che, come se niente fosse, fingono che non sia mai successo niente, sprezzanti dei diritti umani e della dignità delle persone che hanno subìto le conseguenze negative dei loro misfatti. Paradossale è anche la loro pretesa di voler insegnare il bene alla comunità.
Tutto parte dalla coraggiosa testimonianza di un giovane che si presenta in redazione deciso a raccontare, finalmente dopo tanti anni, le violenze subìte da bambino, da parte dei preti: fatti che lo avevano disastrosamente scioccato e che lui non aveva mai avuto la forza di raccontare a nessuno. I giornalisti, strabiliati, pensano subito ad un grosso scoop ma contemporaneamente desiderano portare un prezioso servizio alla società, mettendola al corrente dell’esistenza di inquietanti verità.
Dopo la pubblicazione di centinaia di fascicoli colmi di testimonianze di orrori e violenze – anche su bimbi di 10 anni - , nel 2004 il cardinale Bernard Francis Law , arcivescovo di Boston dal 1984 al 2002, fu costretto a dimettersi in seguito allo scandalo per avere sempre fatto insabbiare i fatti e per non aver mai denunciato pubblicamente novanta sacerdoti dei quali quasi sessanta furono costretti poi a lasciare l’incarico. Law venne incredibilmente trasferito a Roma, alla Basilica di Santa Maria Maggiore, da Giovanni Paolo II. E tuttora vive lì indisturbato, a 6437 chilometri dai brutti ricordi.
Non sono mai state erogate delle vere e proprie sanzioni penali, come accade invece per tutti i cittadini che commettono un reato.
“Spotlighi” è un film cinematograficamente molto efficace perchè è sorretto da un cast di attori perfettamente aderenti al ruolo e perché afferma un dato di fatto incontrovertibile: la Chiesa Cattolica, grazie ad alcuni suoi esponenti collocati ai più alti livelli della gerarchia, ha creduto di salvare la fede dei molti nascondendo la perversione di pochi. Ha invece ottenuto l’effetto contrario creando il sospetto nell’opinione pubblica.
Thomas Mc Carthy presenta un film di denuncia, che è anche un omaggio al giornalismo di inchiesta perché vuole riconoscere importanza al giornalismo investigativo. Il film è veloce, d’azione, senza inutili esitazioni, ma essenziale, pregnante e ben costruito. E soprattutto racconta scottanti verità.
Jolanda Dolce
Scoprire l’identità specifica e originale di una determinata zona vitivinicola tanto lontana, fuori dalla nostra cultura occidentale, dalla logica dei primi della classe. Poi riconosci che si tratta di un’identità storico-culturale dove la vite è presente da sempre o quasi, dove si è tramandata una tradizione produttiva che nello scorso secolo ha assunto un ruolo determinante nell’economia di quella regione.
Un sito vitivinicolo direi “storico” dove oggi il “fermento” post-rivoluzionario lo rende più vivo che mai.
L’intreccio tra Storia, Cultura e Natura pone la Penisola di Crimea al centro dell’attenzione degli appassionati del mondo del Vino che ogni anno si danno appuntamento a Merano per partecipare al Merano Wine Festival.
Helmut Köcher, ideatore, organizzatore fin dalla prima edizione nel lontano 1992, con idee chiare e lavoro rigoroso, che sono alla base della sua filosofia, definisce confini e contenuti dell’avventura del fare vino in Italia e all’estero. Ogni anno aggiunge perle per la conoscenza mondiale.
Ricordo le ultime: Sud Africa, Georgia, Romania. Quest’anno sarà di scena la Crimea. E lo sarà ai massimi livelli rappresentativi: La Cantina Massandra.
Tra mille difficoltà dovute alla attuale situazione geo-politica che vuole la Penisola di Crimea oggetto di rivendicazioni di sovranità tra l’Ucraina e la Russia, portare i Vini a Merano risulta un’impresa incredibile. Non dimentichiamoci che attualmente la Penisola è territorio russo, soggetto a sanzioni europee. Ne deriva la problematicità a far arrivare i prodotti. Helmut Köcher è riuscito anche in questo e potremo deliziarci dei vini fortificati tanto amati dalla corte imperiale e non solo.
Scrivo non solo perché ancora non si è spenta l’eco di quanto successo recentemente nel mese di settembre. L’ex Premier Berlusconi in visita all’amico Putin pare abbia stappato una bottiglia di Jerez de la Frontera imbottigliato nel 1775 e da una foto, che ha fatto il giro del mondo, si vede lo stesso Berlusconi, in visita a Massandra, prendere una bottiglia risultata essere del 1891 con la didascalia in inglese: “possiamo berla?”.
La cantina Massandra si trova vicinissima a Yalta, nel sud della Penisola. Alle spalle i monti di Crimea con la vetta del Eclizee-Burun.
Se la maggior parte della Crimea ha un clima continentale temperato, la costa sud si presenta con un clima sub-tropicale influenzato dalle correnti calde del Mar Nero. La fascia vitivinicola protetta dalla cordigliera dà quindi origine a vini importanti per la loro struttura e innata capacità a divenire eccellenti vini fortificati. Massandra è anche famosa non solo per la produzione di vini ma come cantina imperiale. La visita delle sue cave ti fa capire il perché gli Zar decisero di costituire al suo interno un vero e proprio luogo di conservazione di vini provenienti da tutto il mondo allora conosciuto. Oggi la collezione di Massandra conta all’incirca un milione di bottiglie.
Ebbi modo di visitarla nei primi anni ’80 (già soffiavano i primi venti della perestrojka) e ne rimasi colpito a tal punto da ricordarla nei miei appunti come momento indimenticabile. Una seconda visita in età più matura ispirato dallo studio delle origini del Vino e dal profondo rispetto per i singoli terroir, mi portò a riconoscere che in determinate zone, ancora sconosciute o meglio dimenticate, si possano produrre vini davvero eccezionali. Oggi in Crimea, l’evoluzione delle conoscenze unitamente all’utilizzo di vitigni giusti accompagnati dalla competenza di agronomi ed enologi preparati, assistiamo ad un veloce cambiamento produttivo nella speranza che quanto stia accadendo dal punto di vista politico trovi quella giusta dimensione di quieto vivere.
A Merano avremo i vini fortificati come Dessert Moscato Bianco, Port Red Livadia, Sherry Massandra, Tokaj South Coast insieme ai tradizionali Black Doctor, Kagor Partenit, Pinot Gris, Rose Muscat, Settimo Cielo del Principe Golitzyn. Una cosa è certa: durante il Master Classes denominato Mistic Wines – Vertical Tasting Massandra Winery vivremo, ancora una volta, momenti dall’atmosfera originale ai quali Helmut Köcher ci ha abituati ultimamente (ancora vivo il ricordo dell’indimenticabile Master Classes sui vini fortificati del Mauri-Roussillon). Una verticale. Otto annate di Muscat Massandra, dal 2010 fino a scendere al 1937, con moderatori la Sig.ra Yanina Pavlenko, attuale direttrice Generale dell’Azienda , Andrej Pruss del Centro Russo e naturalmente il patron della Manifestazione Helmut Köcher.
L’invito? Da non perdere assolutamente.
Merano Wine Festival è “una manifestazione che va oltre l’evento spettacolare e non può essere considerata una fiera, ma uno dei luoghi e delle occasioni più esclusivi per tutti gli operatori del settore. Informazione, cultura, mondanità si danno appuntamento per partecipare a un evento multiforme, ricco di occasioni di conoscenza, di incontro, di confronto in cui la parola chiave è sempre una sola: “eccellenza” (tratto dal sito ufficiale).
Semplicemente Chapeau!!!
Urano Cupisti
Intervista al professor Luciano Monti, docente di politiche dell’Unione europea alla Luiss di Roma.
È sotto gli occhi di tutti la mancanza di coordinamento tra gli stati dell’unione europea. Mentre i grandi sistemi macroeconomici come la Russia, gli USA, la Cina, prendono decisioni in tempo reale, il vecchio continente sembra quasi acefalo, soggetto solo ad un embrione di discorso corale, più somigliante ad un ibrido che ad un’entità ben definita. Molti di noi hanno riposto e forse ancora covano qualche speranza di vedere un’Europa coesa ma, allo stato dell’arte i sogni di molti cozzano con una realtà ben differente. Cerchiamo di fare il punto sullo stato dell’arte con il professor Luciano Monti, docente di politiche dell’Unione europea alla Luiss di Roma
Professore, qual è la situazione attuale , riuscirà il vecchio continente ad avere un centro decisionale degno della sua potenza economica?
Gli italiani hanno sempre considerato il seggio parlamentare di Bruxelles come un seggio collaterale. Per anni abbiamo eletto parlamentari in seno alla Comunità economica europea come parcheggio, mentre altri paesi hanno destinato a Bruxelles le loro prime file politiche o, comunque le loro forze migliori. Il meccanismo di trasformazione della Comunità europea in una unione politica è a metà strada , ancora non abbiamo una leadership politica europea. Ogni leader pensa a come essere leader del suo paese. Non ci sono più i Delors, i De Gasperi gli Shuman. La risposta è quindi semplice ed è anche colpa nostra: abbiamo un corpo burocratico, la Commissione europea, che ha dovuto assumere un ruolo superiore a quello affidatogli dall’atto costitutivo e dagli statuti comunitari, la quale sta sopperendo alla latitanza della parte politica. L a Merkel avrebbe i numeri per fare il leader ma non lo fa: quando ci sono le elezioni in Germania l’Europa, purtroppo, viene in secondo piano. Mi spiego meglio: per essere un leader devi essere stabile in seno alla Comunità, devi durare nel tempo. Per esempio, dalla creazione della Comunità noi italiani abbiamo avvicendato tantissimi rappresentanti in quanto i nostri governi sono durati poco, si pensi che Bruxelles fa pianificazioni settennali. Attualmente viviamo l’esperienza 2014/20020. Il piano italiano 2020 è stato abbozzato dal governo Berlusconi, hanno continuato a negoziarlo Monti, Letta e ora Renzi e chiamato ad attuare. In Europa abbiamo un sistema intergovernativo dove pesano solamente i paesi più influenti; come se fossimo in un’assemblea di condominio, dove alcuni condomini hanno più millesimi degli altri. Se si arriva invece alla soluzione politica finale la Commissione potrà prendere delle decisioni nell’interesse di tutti. Vista la durata dei nostri governi , purtroppo I nostri leaders tendono al breve periodo, preoccupati più della poltrona che dell’Europa. Un leader europeo può uscire solo da un paese che abbia un governo stabile nel tempo e se arriva ad esser lo le regole già ci sono, i commissari potrebbero tirare la volata.
Quanto pesa l ‘influenza politica americana in seno alla Comunità?
Attualmente siamo al decimo round del TTIP ( Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti ) - accordo commerciale tra Europa e Usa. L’influenza americana sarà determinata da quanti settori del TTIP verranno approvati ( il trattato è diviso in capitoli). In questo possono esserci dei vantaggi e degli svantaggi. Svantaggi per noi possono essere le coltivazioni di ogm o la sicurezza sul lavoro che negli USA è diversa che in Europa. Ma per noi, Il problema è un altro: siamo un Paese dove le piccole imprese sono il 94 %, mentre le francesi e tedesche sono medie e e grandi imprese. Il trattato allora deve essere concluso in chiave Europa/Usa o Franco-tedesca/ USA? Questo è il nostro problema. Con l’accordo ci sarebbero quasi un miliardo di consumatori tra di loro molto simili, con la Russia un accordo sarebbe ben più complicato. Il mercato americano e quello europeo si assomigliano già. Il dossier va comunque spacchettato, come le dicevo, intero non passerà mai, è costituito per capitoli. Quindi si potrebbero approvare da parte nostra solo quei capitoli nei quali siamo d’accordo con gli USA. Di ogm, per il momento, non se ne dovrebe parlare.
Crede che gli americani abbiano soffiato sul fuoco aiutando la destra in Ukraina in funzione anti russa per impedire un dialogo Europa-Russia?
Il problema sorse quando il presidenteViktor Janukovič rifiutò di firmare un trattato di associazione con l'Unione europea e venne spodestato. Era un accordo commerciale, identico al TTIP che l’Europa sta trattando con l’America. Il nuovo governo invece lo ha firmato, ma il presupposto per la firma di questo trattato è che l’Ukraina abbia delle infrastrutture adeguate, cosa che non ha. Viktor Janukovič chiese alla Comunità anche dei finanziamenti per creare infrastrutture adeguate per onorare l’accordo, ma l’Europa rispose picche, non aveva i soldi: la Russia invece avrebbe potuto dare aiuti all’Ukraina: petrolio. gas, etc. Noi europei siamo bravi a fare gli accordi ma non abbiamo i soldi per investire su tali accordi vedi, ad esempio, la faccenda del Kossovo.
La Gran Bretagna, con il Commonwealth e suoi accordi privilegiati con l’America, ha una funzione di disturbo in seno alla Comunità o ha un interesse sostanziale nel partecipare a questa?
Questo non lo sanno neanche gli stessi governanti inglesi che tra breve faranno un referendum in merito. Io vedo la presenza degli inglesi in Europa come positiva. Hanno una visione transoceanica e gli inglesi sono grandi portatori di democrazia. Comunque non hanno interesse a spinte eccessive verso un’ unione politica europea, l’hanno sempre frenata e lo faranno sempre. La soluzione che si sta creando è un’Europa a due velocità, cosa che si è già un po’ creata. Vedi eurolandia e i paesi che ne sono fuori. Il problema vero è che in Europa non c’è ancora una visione unitaria. Ancora si erigono muri, vedi l’Ungheria. Per gli immigrati che sbarcavano in Sicilia non si preoccupavano, ora che passano per i Balcani si preoccupano.
L’attuale immigrazione potrebbe essere causa di maggior coesione tra i paesi europei o causa di maggiori divisioni?
Sotto il profilo economico per noi l’immigrazione è una manna del cielo. Per un motivo molto semplice: abbiamo una popolazione che è soggetta a invecchiamento da un lato e all’allungamento della vita dall'altro. Abbiamo una popolazione che lavora che diminuisce in maniera drastica. Questo è un grandissimo problema per le casse previdenziali che assicurano un sistema previdenziale e sanitario evoluto. L’unico modo per mantenere il nostro welfare è quello, come dicono i demografi, di aumentare la forza lavoro, e la forza lavoro non può che venire dagli immigrati. Il problema comunque va letto in chiave europea e quindi non si può dire, come fanno i tedeschi, voglio solo i siriani. Dal Senegal vengono le persone che sono al margine della società, dalla Siria scappano anche i professori, laureati etc. Tutto ciò è un’opportunità che l’Europa non può perdere. Qualcuno stima che nel 2030 avremo bisogno di almeno 100 milioni di persone in più per mantenere il nostro welfare.
Il mondo cambia velocemente. Internet viene sempre più usato. Qual è la politica europea, visto che nuova frontiera è il web? Quale la situazione nel nostro Paese?
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La priorità assolute dell’agenda 2020 è la crescita sostenibile, inclusiva ed intelligente. Dentro questa terza parola ci sono tutti gli investimenti europei sulle nuove tecnologie che devono permetterci lo sviluppo, visto che non abbiamo materie prime, l’unico paese europeo è la Norvegia che ha il petrolio, ma che non è nella comunità. Quindi l’investimento reale va fatto sulle risorse umane. Risorse umane che devono poter comunicare rapidamente e liberamente nel mercato del lavoro globalizzato. La famosa agenda digitale europea prevede importanti investimenti nel settore su due versanti. Il versante della infrastruttura telematica e quindi la necessità di portare a tutti i cittadini europei la banda larga e ultralarga e dall’altra parte quella che si considera la capacità di saper utilizzare da parte di tutti gli individui i nuovi strumenti . Quindi, da un lato servono le rotaie, le fibre ottiche, che vanno posate, e dall’altro servono i manovratori, cioè quelli che sanno utilizzare la struttura. L’Italia soffre di un ritardo digitale molto forte. L’Europa ci impone di coprire con la banda larga entro il 2020 il 98% della popolazione. Il nostro Paese però è particolare, diverso dagli altri, in quanto è costituito da moltissime aree interne: quasi la metà dei comuni italiani sono nelle aree interne, lontane dai centri di interesse maggiore , sono nelle cosiddette aree bianche, aree dove non solo non c’è la connettività, ma non ci sono neanche i progetti per farla in quanto aree di fallimento per il mercato: gli operatori privati non sono interessati a tali aree in quanto gli abbonati potenziali sono pochi. L’errore di fondo della Comunità allora è che non si deve individuare il numero in percentuale delle persone da raggiungi ma i kilometri quadrati da ricoprire. Gli abitanti delle aree bianche sono i più bisognosi. I paesini piccoli sono in spopolamento perché non c’è la rete. I giovani non rimangono dove non riescono a connettersi. Altro punto importante è che quasi tutte le nuove professioni sono in ambito elematico, quindi d tutti i cittadini devono essere messi in condizione di usare la banda larga. In Italia abbiamo la nostra agenda digitale, che poi sarebbe l’agenda digitale delle regioni che, per fortuna, stando utilizzando i fondi europei . Ad esempio la regione Lazio ha oltre 120 milioni destinati al digitale di cui una piccola parte è per informatizzare la pubblica amministrazione, il cui problema è quello di offrire rapidamente servizi pubblici, per il resto bisogna cercare di portare la rete dove manca. Comunque siamo in grande ritardo; ad esempio, la Spagna che nel 2010/11 era uguale a noi ora è molto più avanti.
Professore, per quanto attiene il patrimonio culturale noi europei siamo pieni di testimonianze culturali, qual’ è la politica comunitaria?
L’Europa ha messo la cultura al centro delle sue priorità politiche, anche perché la metà del patrimonio culturale mondiale è nel nostro continente. Il numero dei siti Unesco italiano è il primo in assoluto in tutto il mondo , esattamente 52 considerato anche il Vaticano. Si dimentica però che i monumenti sono la principale risorsa culturale. Il nostro problema , avendo un così alto numero di siti culturali, è la manutenzione , Pompei insegna, uno per tutti: Norma antica, insediamento preromano e poi romano è completamente abbandonato, quindi il problema è di mantenimento e soprattutto come rendere fruibile questo patrimonio. Prioritario è il problema della comunicazione, nessuno sa che a Norma c’è un sito archeologico di prima grandezza. Le strutture di accoglienza turistica sono assolutamente inefficienti.
Crede che, con il tempo, la Comunità possa uniformare gli apparati militari dei vari stati e creare un esercito unico?
Vista la fatica che facciamo a unificare la politica estera, immaginare di poter creare una forza militare unificata è molto difficile, dobbiamo prima trovare gli uomini che facciano una politica europea
Tra i più interessanti film del 72mo Festival del Cinema di Venezia, è senza dubbio “Marguerite”, del regista francese Xavier Giannoli. E’ interessante perché è romantico senza stancare.
Marguerite Dumont (la bravissima attrice Catherine Frot) è la protagonista assoluta del film, che è ambientato negli anni ’20, periodo delle grandi rivoluzioni culturali e delle ribellioni alle regole.
Elegante, affascinante e ricca signora cinquantenne, Marguerite Dumont vive con il marito (interpretato da Andrè Marcon) in un castello nei pressi di Parigi. Appassionata di musica, Marguerite ama cantare e dedica alla musica ogni sua energia. Ma sfortunatamente non si accorge di essere stonata. Quando canta lo fa con tale passione e con tale comunicativa che sembra un peccato interromperla.
Il marito la ama molto, la capisce e cerca di accontentarla sempre, ma non trova mai il coraggio di dirle che è stonata.
Lei crede così tanto nelle sue doti da non rendersi minimamente conto che non è affatto dotata. Guardando quei suoi occhi grandi, teneri e sognanti, quasi smarriti, nessuno riesce a dirle la verità.
Marguerite tiene concerti nei salotti tra un gruppo di amici e conoscenti che la ascoltano incuriositi e per educazione fingono di apprezzarla e la applaudono. C’è sicuramente una buona componente di ipocrisia dell’ambiente “bon ton”, che preferisce applaudire sorridendo falsamente piuttosto che affrontare una spiacevole verità.
Dopo qualche tempo i cari “amici” si allontaneranno ed escluderanno la coppia Dumont dal loro giro. E, a parte gli apprezzamenti di uno stravagante giornalista, a Marguerite restano solo la stima e l’amore di suo marito. Anche il suo maggiordomo la capisce e la apprezza.
Quando lei decide di prendere lezioni di canto fa disperare il maestro con le sue stonature grottesche. Ma anche il maestro di canto, che vorrebbe detestarla, non trova il coraggio di dirle la verità.
Marguerite non è una persona presuntuosa o piena di sé: è così coinvolta ed allo stesso tempo inconsapevole, quando canta, che fa tenerezza ed è veramente difficile fermarla . Nei suoi concerti lei vive con tanta passione la parte del personaggio che interpreta, si sente un’eroina. E’ generosa, sul palco, vuole “dare” al pubblico qualcosa di bello , ha un fascino enorme. Canta per il pubblico, non per se stessa.
Soltanto con l’ ardito esperimento di registrarla , un giorno, mentre canta, e di incidere un disco da farle poi riascoltare, si arriva alla dura verità. Ma quando lei si riascolta non ci crede: pensa che quella del disco sia un’altra persona. Nel frattempo si ammala di tisi e spesso mentre canta deve fermarsi per un dolore alla gola.
Il giorno del suo ultimo concerto, in un grande teatro, lei promette al marito che canterà per lui. Inizia, come suo solito, stonando, poi guarda il marito nel pubblico e in quel momento dal suo corpo esce una voce bellissima che improvvisamente strabilia ed incanta tutto il pubblico. Ma Marguerite, dopo pochi secondi è costretta a fermarsi in preda ad un forte attacco di tosse. Il concerto si ferma, il marito sale sul palco e lei cade tra le sue braccia come se fosse una vera eroina pucciniana.
Il film è una romantica storia d’amore: amore tra marito e moglie ed amore per la musica. Ma non è melense o scontato, anzi, è del tutto originale nella trama e veloce nella sceneggiatura, con qualche gradevole tocco di humor.
Il regista ha vinto a Venezia il premio Taddei per la capacità di esprimere autentici valori umani con il miglior linguaggio cinematografico.
Discontinuità, varietà e qualità: le tre parole chiave che caratterizzano la decima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si svolgerà dal 16 al 24 marzo all’Auditorium Parco della Musica e in altri luoghi della Capitale. Discontinuità rispetto al passato, varietà di proposte, di genere e di provenienza, qualità dei 37 film della Selezione Ufficiale. Un’edizione all’insegna di importanti novità. La prima è la trasformazione del Festival in Festa, com’era nell’idea originale, dando risalto alla scoperta e alla celebrazione del cinema, che torna alla sua autentica essenza: la condivisione, all’interno di uno spazio buio, di un’emozione generata da una narrazione sul grande schermo. Una decisione che vuole essere, come spiega il Direttore Artistico Antonio Monda, una risposta alle osservazioni mosse in questi ultimi anni: la mancanza di identità della rassegna. Una sala in meno, un giorno in meno di programmazione, un budget ridotto e meno film. Sembrerebbe una festa del cinema sottotono rispetto agli anni passati, in realtà il Direttore Artistico ha tenuto a precisare, in conferenza stampa, la volontà di puntare a pellicole eccellenti e di qualità, anche a scapito della passerella sul red carpet o dicendo dei “no” dolorosi.
Altra importante novità è la cancellazione del concorso, delle giurie, delle cerimonie di apertura e chiusura e dei premi, con l’eccezione di quello del pubblico, per sottolineare l’elemento di condivisione popolare, e il premio “Virna Lisi” alla miglior attrice dell’anno. Ogni film sarà così vincitore nel momento stesso in cui viene invitato alla kermesse. Alcuni dei titoli presenti nella Selezione Ufficiale: in apertura Truth di James Vanderbilt, sul controverso rapporto tra giornalismo e politica; l’anteprima di The Walk in 3D di Robert Zemeckis; The Confessions of Thomas Quick di Brian Hill; Eva No Duerme di Pablo Aguero, sul conflitto scaturito dal corpo senza vita di Evita Peròn; dagli Stati Uniti arriva Experimenter di Michael Almereyda; Junun, il film musicale di Paul Thomas Anderson; il documentario francese in 3D Hurricane, su uno degli eventi più devastanti del nostro pianeta, l’uragano atlantico. Non mancheranno ovviamente anche i film italiani: Alaska di Claudio Cupellini, un melodramma estremo e fiammeggiante incalzato dall’interpretazione di Elio Germano; il documentario di Gianni Amelio, Registro di Classe Parte Prima 1900 – 1960, un lungo viaggio per raccontare la storia della scuola dell’obbligo, tra grandi aspettative e profonde delusioni; Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, con Claudio Santamaria nel ruolo di un pregiudicato di borgata che, entrando in contatto con una sostanza radioattiva, scopre di avere una forza sovraumana; Dobbiamo Parlare di Sergio Rubini, una commedia divertente e tagliente che procede inarrestabile tra colpi di scena che scavano senza pietà nei protagonisti. Infine due serie tv: Fargo – seconda stagione, che sarà trasmessa su Sky Atlantic dal 22 dicembre; l’israeliano Fauda, che racconta la storia da entrambi i punti di vista del conflitto israelo-palestinese.
Cambiata anche la sigla che precede i film, che vedrà una serie di sequenze di scene di festa tratte da celebri pellicole. Altro elemento di discontinuità rispetto al passato sono le anteprime mondiali, europee e soprattutto italiane, grazie anche all’alleanza con il Festival di Londra, con cui si alterneranno le date delle anteprime nelle rispettive città. Nei nove giorni di programmazione saranno presentati: musical, documentari, thriller, melodrammi, commedie, animazioni, film d’azione, serie televisive e opere di ricerca personale. Un altro segno importante di rottura con le precedenti edizioni sarà la divisione dell’evento in tre fasce: i film della Selezione Ufficiale; le retrospettive; una serie di incontri e omaggi ai grandi maestri del cinema contemporaneo e del passato. Le tre retrospettive, curate da Mario Sesti, saranno dedicate ad Antonio Pietrangeli, grande autore italiano troppo spesso dimenticato; Pablo Larraìn, cineasta tra i più significativi dell’attuale panorama internazionale; la Pixar, una delle realtà più importanti e rivoluzionarie degli ultimi anni. Gli incontri, organizzati ogni sera nelle sale dell’Auditorium, vedranno salire sul palco alcune grandi personalità del mondo dell’arte, dello spettacolo e della cultura che racconteranno l’influenza del cinema nelle loro vite. Tra i protagonisti degli incontri: Jude Law, Wes Anderson e Donna Tartt, William Friedkin e Dario Argento, Paolo Sorrentino con la proiezione, durante l’ultima serata, de “La Grande Bellezza”, con quaranta minuti di scene inedite. E ancora, Carlo Verdone e Paola Cortellesi, Renzo Piano che illustrerà il rapporto tra architettura e cinema, Riccardo Muti e Paolo Villaggio con la proiezione della versione restaurata di Fantozzi. Il programma della decima edizione rende inoltre omaggio, attraverso anteprime, proiezioni, restauri, dibattiti ed eventi, ad alcune figure chiave della storia del cinema italiano e internazionale, tra cui: Ettore Scola, con la proiezione de “La terrazza” in versione restaurata; Paolo e Vittorio Taviani; Francesco Rosi, Ingrid Bergman, Luis Buñuel e Stanley Kubrick. Infine, Ricordando Pasolini: a quarant’anni dalla scomparsa la Festa del Cinema ricorda con una serie di eventi il più importante e controverso intellettuale, poeta e regista dell’Italia del dopoguerra.
La Festa coinvolgerà, oltre l’Auditorium, diversi punti della città e alcune tra le più prestigiose Istituzioni, come il MAXXI e la Casa del Cinema.
In contemporanea con la Festa del Cinema di Roma, dal 16 al 20 ottobre, si svolgerà MIA, il nuovo Mercato Internazionale dell’Audiovisivo, diretto da Lucia Milazzotto. Per la prima volta in Italia, un Mercato si occuperà di tutti i segmenti del prodotto audiovisivo: cinema, tv series, documentari, videogiochi.
Nel manifesto della Festa del Cinema di Roma, la grazia, la bellezza e l’eleganza di una delle più grandi attrici italiane e internazionali: Virna Lisi.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
il MERANO WINE FESTIVAL si avvicina
(in collaborazione con Gourmet’s International Merano)
NOTES, APPUNTI DAL MIO MOLESKINE.
Le vicende della viticoltura di questi ultimi anni si intrecciano a quelle che sono le Manifestazioni sparse su tutto il territorio nazionale. Quella di Merano, giunta alla sua 24ma edizione, però è diversa da sempre, fin dalla sua prima volta. Coltivare l’abitudine di presentare vini nella loro massima espressione di qualità stimolandone così il prestigio. Un Evento dove centrale è l’affermazione del Vino “come prodotto mediatico e culturale” nell’accezione migliore dei termini. Ed allora prendono significato i valori delle degustazioni, delle ricerche delle eccellenze non solo italiane, della cultura dei territori. Ed alla fine vale la pena fare tanti chilometri per gridare “Io ci Sono”.
Frammento n. 1
Anteprima ad EXPO
Impossibile sfuggire ad Expo, la vetrina più grande e famosa del momento che permette di conoscere le eccellenze della tradizione agroalimentare e gastronomiche di ogni paese.
Merano Wine Festival sarà all’Expo di Milano nei giorni 3, 10, 17 e 24 ottobre con l’Anteprima. Di
eccellenze si parlerà e dove svelare i contenuti della Manifestazione se non nell’unico ristorante stellato riconosciuto da Expo? Identità Expo dalle ore 17 alle 19.
A colloquio con un produttore
Frammento n. 2
Degustazioni Guidate. Da sempre una delle “chicche” del programma
Punti fermi degli appuntamenti del Merano Wine Festival si confermano, anche per la 24ma edizione, le grandi degustazioni guidate che offrono la possibilità di scoprire e conoscere particolarità vitivinicole sia italiane che internazionali. I posti sono limitati. Iniziate le vendite dei ticket.
Frammento n. 3
Merano Wine Award 2015: i migliori vini italiani, secondo WineHunter
Un altro contenitore da affiancare ad una Guida? Non proprio. Si tratta di una piattaforma, ideata da Helmuth Köcher, per parlare delle eccellenze valutate da precise commissioni. Quest’anno sono state scelte 24 etichette che hanno ottenuto il bollino Platino (equivalente ad un punteggio in centesimi da 95 a 99, il massimo), 180 etichette con il bollino Oro ( da 90 a 94), 830 etichette con il bollino Rosso ( da 88 a 89). Una selezione che serve per entrare nel mondo delle eccellenze del MWF.
Frammento n. 4
e poi, come sempre, la presenza dei biologici e biodinamici.
Da sempre l’anteprima, il giorno prima del via ufficiale della tre giorni meranese, è occupata da bio&dinamica una sempre più interessante vetrina delle eccellenze di questo settore. “Fare vini buoni con il minor impatto possibile”. E la partecipazione di note aziende che hanno fatto delle loro scelte la guida produttiva non poteva mancare alla rassegna dell’eccellenza. Venerdì 6 novembre il Kurhaus aprirà le sue sale ai produttori di questi settori e sarà, come nelle ultime edizioni, un interessante inizio del Merano Wine Festival.
7 – 8 – 9 novembre 2015
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (Urano Cupisti)