L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1434)

Free Lance International Press

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December 10, 2015

Lo chiamavano Jeeg Robot, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti, scritto da Nicola Guaglianone e Menotti, e presentato alla Festa del cinema di Roma, trae spunto dai supereroi americani. Protagonista è Claudio Santamaria, nei panni di Enzo, un introverso e ombroso ladruncolo di borgata, che vive a Tor Bella Monaca. Il contatto accidentale con una sostanza radioattiva procura ad Enzo una forza sovraumana, che inizialmente vuole sfruttare per le sue quotidiane attività criminali. L’incontro con Alessia cambia radicalmente la sua vita e la sua prospettiva. Alessia, interpretata da Ilenia Pastorelli, è una ragazza fragile a causa di un passato difficile, che per sfuggire alla realtà si rifugia in un mondo fantastico, popolato di supereroi. Enzo con i suoi superpoteri si materializza così nel suo eroe preferito:Jeeg Robot d’acciaio. Con l’aiuto di Alessia, Enzo capisce come sfruttare al meglio le sue nuove facoltà, aiutando i più deboli. Ma ogni eroe che si rispetti ha il suo antieroe, che nel film è Lo Zingaro, interpretato da uno straordinario Luca Marinelli, che nell’impronta caricaturale rende credibile il personaggio: un piccolo boss di una banda con velleità da “Padrino”. Nel cast troviamo ancheStefano Ambrogi, Maurizio Tesei e Francesco Formichetti.

Un film originale, onesto, divertente e intelligente, sull’irrealtà del reale. Tra intrattenimento e azione, la storia si dipana in equilibrio lungo un filo sottile, dove l’assurdità diventa credibile.

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Claudio Santamaria

Senza falsi moralismi o ipocrisie, senza gli effetti speciali a cui ci ha abituato il cinema americano, ma concentrandosi e soffermandosi maggiormente sull’indagine introspettiva dei personaggi, la pellicola, attraverso un accurato lavoro di regia e una sceneggiatura mai banale, dipinge con fantasia e realismo il momento storico attuale, riuscendo a raccontarlo con leggerezza e profondità.

Dopo il successo ottenuto con il cortometraggio Tiger Boy, vincitore del Nastro D’Argento 2013, Gabriele Mainetti conferma il suo talento con un film dai connotati internazionali, ma al tempo stesso profondamente e orgogliosamente italiano.

Lo chiamavano Jeeg Robot uscirà nelle sale il 18 febbraio 2016.

December 06, 2015

Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso. A tutti i giovani delle nazioni occidentali. Gli avvenimenti amari che il terrorismo ha creato in Francia, mi hanno spinto ancora una volta a parlare con voi giovani. Per me e' rattristante che si debba parlare in una simile atmosfera, ma la verita' e' che se non correremo ai ripari in questa situazione dolorosa cercando una soluzione, i danni in futuro si potrebbero moltiplicare.

Il dolore di qualsiasi essere umano, in qualsiasi punto della Terra, e' in se e per se rattristante per gli altri uomini. L'immagine di un bambino che muore davanti ai suoi cari, una madre che vede trasmutata in lutto la gioia della sua famiglia, un uomo che porta in braccio il corpo esanime della propria consorte, o uno spettatore smarrito ripreso dalle telecamere e che non sa che quella sara' l'ultima scena della sua vita; non sono immagini che non sconvolgano i sentimenti umani.

Chiunque abbia un minimo di umanita' e di affetto, si rattrista per la visione di queste scene, siano esse in Francia, in Palestina, in Iraq, in Libano o in Siria.
E' fuor d'ogni dubbio che hanno lo stesso sentimento di sgomento e tristezza anche il miliardo e mezzo di musulmani sulla Terra ed e' chiaro che odiano gli autori di questi atti e che provano sdegno per loro.
La questione però e' che se i dolori del nostro oggi non verranno usati per costruire un domani migliore e più sicuro, le tragedie verificatesi rimarranno solo ricordi amari e senza esito.
Io credo che solo voi giovani potete costruire nuove strade per il futuro prendendo le giuste lezioni dalle avversità di oggi, cambiando il corso deviato che ha intrapreso oggi l'Occidente.
E' vero che oggi il terrorismo e' il problema comune tra noi e voi, ma e' bene puntualizzare che i dolori da voi sopportati sono differenti sotto due aspetti rispetto a quelli che in questi ultimi anni hanno sopportato le popolazioni di Iraq, Yemen, Siria e Afghanistan. In prima istanza, bisogna dire che il mondo islamico e' stato vittima della paura e della violenza su scala molto più ampia, con maggiore intensità e in un periodo molto più lungo; l'altra differenza e' che la violenza contro il mondo islamico, purtroppo, e' sempre stata sostenuta in diversi modi da alcune grandi potenze.
Oggi sono ben pochi coloro che non sono al corrente del ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nella creazione, il rafforzamento e l'armamento di Al Qaeda, dei Talebani e dei nefasti gruppi a loro collegati.
Accanto a questo sostegno diretto, i chiari e ben conosciuti sostenitori del terrorismo takfirita, pur avendo i regimi di governo più retrogradi del mondo, sono sempre figurati tra gli alleati dell'Occidente e ciò mentre i pensieri più illuminati e più democratici nella nostra regione sono sempre stati soppressi senza scrupolo. L'approccio ambiguo dell'Occidente con il fenomeno del risveglio islamico (primavera araba/ndr) e' l'esempio esplicito delle politiche paradossali dell'Occidente.
L'altro volto di questa dualità lo si può osservare nel sostegno al terrorismo di Stato di Israele. Il popolo sciagurato della Palestina da 60 anni a questa parte e' vittima del peggior tipo di terrorismo. Se ora i cittadini europei hanno paura e magari per qualche giorno non escono di casa o evitano di recarsi nei luoghi affollati, una famiglia palestinese da decenni non e' al sicuro nemmeno nella propria casa per via della macchina di distruzione e di morte del regime sionista. Sotto il profilo della crudeltà, quale tipo di violenza può essere paragonata a quella della costruzione degli insediamenti illegali?
Questo regime, senza essere mai richiamato seriamente dai propri potenti alleati o perlomeno essere criticato dagli enti internazionali apparentemente indipendenti, distrugge quotidianamente le case, i campi e le coltivazioni dei palestinesi, e lo fa' senza nemmeno dar loro il tempo di prendere la propria roba o di effettuare il raccolto agricolo; tutto ciò avviene di solito dinanzi agli occhi piangenti delle donne e dei bambini che assistono anche all'umiliazione dei propri mariti e padri e che talvolta li devono salutare per sempre, dato che vengono trasferiti in centri di tortura terrificanti. Conoscete forse, nel mondo di oggi, una crudeltà che sia paragonabile a questa per ampietà, dimensioni e durata temporale? Sparare ad una ragazza nel bel mezzo della strada solo per aver protestato contro un soldato armato fino ai denti, se non e' terrorismo, che cosa è?
Questa barbarie non deve essere definita fondamentalismo solo perchè a perpetuarla e' l'esercito di un governo di occupazione? Oppure le nostre coscienze si sono abituate a vedere queste scene perchè sono 60 anni che si ripetono?
Le campagne militari dell'Occidente nel mondo islamico negli ultimi anni, che hanno causato a loro volta innumerevoli vittime, sono un altro esempio del ragionamento paradossale dell'Occidente. I paesi aggrediti, oltre alle perdite umane ed ai danni alle infrastrutture economiche ed industriali, hanno patito una grave recessione ed in alcuni casi sono tornati indietro di decine di anni. Nonostante tutto, a loro viene imposto prepotentemente di non definirsi vittime. Ma come si fa a trasformare una nazione in un ammasso di macerie e a raderne al suolo città e villaggi e poi chiederle: "per favore non definirti vittima"!
Invece dell'invito a fingere di non capire o a dimenticare le tragedie, non sarebbe meglio chiedere sinceramente scusa? I dolori patiti dal mondo islamico in questi anni per l'ipocrisia degli aggressori, non sono minori a quelli causati dai danni materiali.
Cari giovani! Io ho una speranza; che nel presente o in futuro, voi riusciate a cambiare questo modo di pensare colorato di ipocrisia, una corrente che ha l'unica arte di mentire alla gente e di rendere belle alla vista dell'opinione pubblica le azioni più brutte.
Secondo me la prima fase nella creazione della sicurezza e della serenità, e' la correzione di questo modo di pensare violento.
Fino a quando i double standards domineranno la politica dell'Occidente, e fino a quando il terrorismo verrà classificato in terrorismo buono e terrorismo cattivo, e fino a quando gli interessi nazionali verranno ritenuti prioritari rispetto ai valori dell'umanità e dell'etica, non bisogna ricercare altrove le radici della violenza.
Purtroppo queste radici, nel corso di lunghi anni, sono penetrate piano piano negli strati più interni della politica culturale dell'Occidente dando vita ad una silenziosa dominazione.
Molte nazioni sono fiere della propria cultura nazionale; culture che si sviluppano e che per centinaia di anni hanno reso prospera la vita sulla Terra. Il mondo islamico non e' stato un'eccezione ed ha avuto il suo periodo aureo.
Nel periodo contemporaneo, però, il mondo occidentale insiste sull'omologazione e la mondializzazione culturale. Io ritengo molto dannoso il fatto che la cultura occidentale venga imposta agli altri popoli e che le tradizioni e le culture indipendenti vengano umiliate; questa e' una violenza silenziosa.
L'umiliazione di ricche culture umane e le reiterate offese alle loro sacralità avvengono mentre l'alternativa proposta dall'Occidente non e' affatto completa.
Per fare un esempio, i due fenomeni del "bullismo" e "dell'oscenità" sono divenuti, purtroppo, due pietre miliari della cultura occidentale; oggi gli stessi occidentali criticano questi fenomeni emersi dalla loro società.
La domanda che ora mi pongo e' questa: se noi non vogliamo una cultura aggressiva, oscena e superficiale, dobbiamo essere considerati peccatori? Se cerchiamo di ostacolare quell'alluvione distruttivo che viene propinato ai nostri giovani sottoforma di pseudo-prodotti culturali, dobbiamo essere considerati colpevoli? Io non rinnego l'importanza dei legami culturali. Io sono convinto che quando, in condizioni naturali e di rispetto reciproco, vengono stabiliti contatti culturali, questi non possono che creare dinamismo nella società e renderla ancora più ricca. D'altra parte, però, i legami imposti sono sempre stati di poco successo ed anzi controproducenti.
Con grande amarezza devo dire che gruppi ignobili come l'Isis sono esito del legame con culture importate. Se il problema fosse veramente inerente alla religione, avremmo dovuto avere movimenti simili anche prima del periodo coloniale, ma la storia ci dice che non è mai esistito nulla del genere. Evidenti documenti storici dimostrano che l'incrocio tra il colonialismo ed un pensiero deviato e isolato nel cuore di una tribù agli antipodi, hanno costituito il seme dell'integralismo nella regione. Altrimenti com'e' possibile che una delle dottrine più moraliste e umanistiche della storia che definisce l'assassinio di una sola persona grave quanto l'assassinio di tutti gli uomini, possa dare vita ad un'immondizia come l'Isis?
D'altro canto bisogna anche chiedersi perchè coloro che sono nati in Europa e sono cresciuti in quell'atmosfera spirituale e di pensiero, si uniscano a questo gruppo; dobbiamo credere al fatto che queste persone, con qualche viaggio nelle zone di guerra, diventino così integraliste da aprire il fuoco sui propri connazionali? Non bisogna ignorare l'effetto che per una vita ha avuto la cultura violenta dell'Occidente su queste persone. Bisognerebbe analizzare con realismo questo fenomeno e scoprire i lati oscuri di questa realtà. Queste persone provano odio profondo verso le società in cui sono cresciuti perchè sono stati vittima di discriminazioni? Ciò che hanno accumulato al loro interno si palesa così in certi casi in maniera folle?
Siete voi che dovete scoprire questi lati oscuri delle vostre società, dovete trovare le fonti dell'odio e prosciugarle; dovete liberare i nodi e risolvere i problemi.
Bisogna colmare le distanze, non incrementarle. Il grande errore nella lotta contro il terrorismo sono le reazioni affrettate che non fanno altro che aggravare la situazione. Ogni azione affrettata o basata sui sentimenti che crei isolamento, paura o preoccupazioni ai milioni di musulmani che vivono in Europa e che sono persone attive e responsabili, potrebbe allontanarli dalla società e quindi aumentare le distanze e l'odio.
Soprattutto se le discriminazioni e le azioni ingiuste ad-hoc, verranno trasformato in leggi, ciò potrà portare a maggiori polarizzazioni aprendo la strada a nuove crisi.
In base alle notizie pervenute, in alcuni paesi europei, sono state approvate leggi che apparentemente costringono i cittadini a spiare i musulmani. Questi comportamenti sono davvero ingiusti e sappiamo che il male, che a noi piaccia o meno, porta sempre altro male. Ed in aggiunta direi che i musulmani non si meritano un tale comportamento ingrato.
Il mondo occidentale conosce da secoli i musulmani. Sia in quei giorni in cui gli occidentali divennero ospiti dei musulmani e li depradarono delle loro ricchezze, sia in quei giorni in cui erano gli occidentali i padroni di casa ed hanno usufruito del lavoro e del pensiero dei musulmani, di solito hanno solo visto affetto e pazienza da parte degli islamici.
Per questo, io chiedo a voi giovani di basarvi su una conoscenza giusta e profonda, e di prendere le giuste lezioni dal nostro amaro presente, per porre le basi di una rapporto giusto e dignitoso con il mondo islamico.
In questo caso, vedrete che in un futuro non molto lontano, il monumento che avrete eretto su queste fondamenta, estenderà l'ombra della sicurezza e della serenità sul capo dei propri architetti, dando loro il calore della fiducia e accendendo in loro il lume della speranza in un mondo migliore.

 

Seyyed Alì Khamenei
29 Novembre 2015

Una bella pagina tra storia e leggenda

La leggenda di San Giuliano, originaria del Quarto Secolo, ma trasferita dalla penna di Gustave Flaubert nella Francia feudale, narra la storia di una curiosa conversione.


Giuliano è cacciatore sanguinario fin dall’adolescenza. È dedito allo sterminio sistematico di qualunque animale, e il bosco che circonda il castello si tinge del sangue dei suoi animali. Poi è la volta di altri boschi più lontani, di animali meno noti, fino a che il cavaliere non s’imbatte in una famiglia di cervi. Il cervo, nero e gigantesco, con la barba bianca, aveva otto ramificazioni per ogni corno. La cerva, bionda come le foglie secche, brucava l’erba, e il cerbiatto dal pellame picchiettato le si attaccava alle mammelle senza impedirle di avanzare. Ancora una volta fischiò la balestra; prima stramazzò ucciso il cerbiatto e la madre, alzando gli occhî al cielo, emise un gemito profondo, straziante, umano. Giuliano la stese a terra con un colpo in pieno petto. Il grande cervo con un balzo gli mosse incontro, ma egli scagliò l’ultima freccia, che gli si conficcò nella fronte. Parve non accorgersene neppure e, scavalcando i due corpi abbattuti, l’animale avanzava sempre e stava per buttarglisi addosso e sventrarlo. Giuliano indietreggiava preso da un terribile spavento, quando il cervo prodigioso si fermò, solenne come un patriarca, come un vendicatore, con gli occhî fiammeggianti e, mentre una campana rintoccava lontano, ripeté tre volte: «Maledetto, maledetto, maledetto! Verrà un giorno, o cuore crudele, che tu ucciderai tuo padre e tua madre!» Poi piegò le ginocchia, chiuse lentamente gli occhî e spirò.» Giuliano, atterrito e tremante, sudato e sporco, si abbandonò al pianto.


Giuliano, rientrato smarrito al castello, è ossessionato dalla funesta profezia del cervo parlante. Non mangia, non dorme, non sorride, fugge tutto e tutti, per primi i proprî genitori onde evitare di arrecare loro del male.
Un giorno, mentre il giovane sta pulendo un trofeo d’armi attaccato al muro, l’aguzza spada si stacca e va a piantarsi a un millimetro dal vecchio padre che regge la scala al figlio: primo segnale.
Un altro giorno a Giuliano par di vedere, oltre un muro divisorio del cortile, volare una colomba; arma l’arco e veloce scocca. Un urlo! La colomba non era altro che il velame del copricapo della madre, scampata fortunatamente alla morte. Giuliano non ha bisogno d’altro: lascia il castello e si fa cavaliere di ventura; erra di corte in corte, combattendo ora per l’uno ora per l’altro signore.


«Soffrí la fame, la sete, la febbre, i pidocchî. Si abituò al clamore delle mischie, all’angoscia dei moribondi. Sconfisse tutti coloro che osarono sfidarlo in lizza. Giuliano proteggeva il clero, gli orfani, le vedove e soprattutto i vecchi. Schiavi in fuga, contadini in rivolta, bastardi privi di tutto, fegatacci d’ogni risma accorsero sotto le sue bandiere. Ne formò un esercito. Di volta in volta, soccorse il Delfino di Francia e il Re d’Inghilterra, i Templari di Gerusalemme e l’imperatore di Calcutta. Combatté contro gli Scandinavi ricoperti di squame di pesce, contro i Negri dagli scudi rotondi di pelle d’ippopotamo e montati su asini rossi, contro gli Indiani color dell’oro che, alte sopra i loro diademi, brandivano larghe sciabole lucenti come specchi. Sconfisse i Trogloditi e gli Antropofagi. Fu richiesto il suo coraggio da repubbliche in difficoltà. Donava l’indipendenza ai popoli, liberava le regine imprigionate nelle torri. Grandi successi per Giuliano che, cacciando i Mori dall’Occetania, si conquista la gratitudine del re cristiano che gli offre la figlia in sposa. Nuova vita, residenza sfarzosa, un esercito di servitori, una sposa dolcissima.


Giuliano aveva smesso di guerreggiare. Riposava attorniato da un popolo mansueto. Ma anche la caccia ha il suo demone e la sua divinità che esige continui sacrifici. Lo assaliva il desiderio di inseguire nel deserto le gazzelle e gli struzzi, di nascondersi tra i bambú per spiare il passaggio dei leopardi, di attraversare foreste infestate dai rinoceronti, di salire in cima alle montagne più impervie per prendere meglio di mira le aquile, e di affrontare gli orsi bianchi sui bastioni ghiacciati del mare.


I sogni contengono sempre però nel loro nocciolo l’incubo, e le prede della caccia erano sempre associate, nella sua mente, all’oscura profezia del cervo e alla morte dei suoi genitori. Partito Giuliano in spedizione venatoria, giunsero al castello una coppia di anziani coniugi che poi si qualificarono alla giovane donna come i genitori di Giuliano, che da anni vagavano per il mondo alla ricerca del figli cosí misteriosamente fuggito. La moglie di Giuliano li accolse regalmente, li fece rifocillare, e diede loro la propria stanza nuziale.


Intanto per Giuliano nel cuore del bosco si appresta una strana caccia: gli animali senza paura escono dalle loro tane, dai nascondigli, e una forza soprannaturale impedisce al cacciatore di colpirli e rende lievi come piume le sue frecce. Fu sopraffatto dalla vergogna. Un potere soprannaturale annientava le sue forze, e rientrò dalla foresta per tornare al castello. Ed ecco ricomparire tutti gli animali che egli aveva cacciato, e stringersi in cerchio attorno a lui. Alcuni seduti sulle natiche, altri ritti sulle zampe. Stava in mezzo al cerchio, agghiacciato dal terrore, incapace di fare il piú piccolo movimento! Le iene lo precedevano, il lupo e il cinghiale lo seguivano. Alla sua destra il bufalo avanzava dondolando il testone, e alla sua sinistra il serpente si snodava nell’erba, mentre la pantera arcuando la schiena muoveva i suoi passi di velluto. Egli rallentava piú che poteva per non irritarli; e intanto vedeva sbucare fuori dal fitto dei cespugli porcospini, volpi, vipere, orsi e sciacalli. Il corteo lo accompagna minaccioso, finché Giuliano non rientra trafelato e sconvolto al castello. Va, brancolando al buio, verso il talamo, sente a tentoni la barba di un uomo, un uomo che giace in letto con sua moglie! In preda al delirio afferra la spada e uccide orribilmente gli anziani ospiti, i suoi genitori. La moglie accorre e urla inorridita, rivelandogli la vera identità dei due vecchi. Quando, alla luce delle fiaccole, Giuliano riconosce i genitori, la profezia del cervo si è tragicamente avverata. Annichilito, abbandona tutto, moglie, castello, per condurre una vita da romito e mendicante, fino alle peggiori umiliazioni dell’altrui pietà e disprezzo per espiare la colpa dell’orribile delitto. Si tortura con aguzzi cilici, cerca la morte nel tentativo di salvare altre vite, si sottopone a tutte le fatiche fisiche.
Dopo aver cacciato animali e uomini, ora Giuliano è a caccia di Dio. E quel Dio, comparsogli prima come cervo minacciosamente profetico, ora gli si rivela come l’ultimo dei reietti: il lebbroso che ha bisogno di cibo, di cure, di calore, a cui Giuliano dà ospitalità nella sua capanna. Mentre lo assiste, il lebbroso gli si rivela in tutto lo splendore divino.

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

01 Cover Logo 1280x400 OKL’Expo è terminato. (finalmente. ndr)

Chiusi i battenti dell’Expo gli organizzatori tirano le somme che, comunque le “girino e rigirino”, non tornano. Siamo oltre un mese dalla chiusura e il silenzio, direi tombale, avvolge il tutto. Vuoi vedere che…quanto da noi previsto e preventivato…Ne sentiremo parlare. Tempo al tempo.

Frammento n. 1(ultim’ora)

Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti (Fivi)

logo fiviSabato 28 e Domenica 29 Novembre a Piacenza Expo si è svolto il Mercato dei Vini dei Vignaioli indipendenti aderenti alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). La quinta edizione di questa mostra-mercato, ancora una volta, ha centrato i suoi “ambiziosi traguardi”. Ottima l’affluenza del pubblico, trecentotrenta le aziende “ a conduzione familiare” presenti, molto seguite le degustazioni programmate. Cerimonia d’apertura sobria ed essenziale (come nello spirito della Fivi, senza tanti fronzoli), organizzazione dell’evento sostanziale. Riconoscimento dei punti d’affezione (enoteche e ristoranti che propongono, in tutta Italia, i vini di questi vignaioli esponendo lo stemma dell’Associazione. Mostra-Mercato ovvero immergersi nell’Italia vinicola attraverso l’incontro diretto con chi coltiva l’uva e produce personalmente il vino. Vignaioli che, con il proprio lavoro, sono divenuti custodi del territorio e oggi ne sono narratori appassionati ed autentici.

Frammento n. 2

SAM 2260Tenuta di Fiorano. Il Principe Alessandrojacopo Boncompagni ne ha parlato a Firenze.

Location ideale, aristocratica, così come si conviene per la presentazione delle nuove annate e della linea aziendale della “rinata” Tenuta di Fiorano: il Ristorante La Leggenda dei Frati a Villa Bardini. Il Principe Alessandrojacopo Boncompagni, il nuovo principe del vino romano, racconta la storia veramente singolare di un mito che fu degli anni ‘60, la scelta di reimpiantare la storica vigna di famiglia sull’Appia Antica. Ne è uscita rafforzata la leggenda di questi vini riproposti in veste modificata, in particolare nei bianchi, inserendo alcune tipologie di vitigni adatti all Habitat come grechetto e viognier. Passione e precisione nelle parole del Principe. Direi un’ottima partenza.  

Frammento n. 3

i42cimgpsh orig11Vinexpo Hong Kong mette l’Italia al posto d’onore.

Se ne è parlato recentemente a Firenze con Monsieur Guillame Deglise, Direttore Generale di Vinexpo Bordeaux. “Il Salone Internazionale Vinexpo Hong Kong mette l’Italia al posto d’onore nella sua prossima edizione che si svolgerà presso il Convention end Exhibition Centre e rappresenterà il fil-rouge grazie a numerosi eventi, conferenze, degustazioni, animazioni”. Inizia così l’intervista con Mr Deglise. Ma perché proprio l’Italia come ospite d’onore ad un evento francese? “Rendere alla produzione italiana quell’omaggio per aiutarla ad accrescere la sua notorietà e le sue vendite in Asia”. Sbalorditivo direi. Pensierino: il Vinitaly farebbe altrettanto? Ne dubito.

Frammento n. 4

010246 fierautunno bolzanoFiera d’Autunno 2015. L’Alto Adige in vetrina. Nutrisan e Biolife.

500 espositori dislocati su una superficie di 25.000 metri quadri con un ricco programma di eventi e seminari. Questo il segreto del successo della fiera campionaria altoatesina che si è svolta a Bolzano nel mese di novembre. Definita Madre di tutte le fiere regionali è stata sicuramente il centro della pluralità e varietà dell’offerta dando l’occasione ai visitatori di informarsi e fare acquisti di vari prodotti tipici locali, tradizionali ed innovativi su buona parte di settori merceologici. Perla della Manifestazione è stata Nutrisan, il Salone nel Salone delle intolleranze alimentari e della corretta alimentazione. A latere anche Biolife, l’eccellenza regionale biologica del Trentino-Alto Adige.

MaurizioDanese 2Frammento n. 5

L’assemblea dei Soci dell’Ente VeronaFiere ha eletto Maurizio Danese nuovo Presidente per il triennio 2015-2018. “Ringrazio i soci e le istituzioni per la fiducia. Sarà ben corrisposta”. Così ha dichiarato il nuovo Presidente e noi di flipnews gli auguriamo Buon Lavoro! (ed attendiamo i cambiamenti necessari perché, alla fine, questo è ciò che conta).

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

L'album d'esordio in tutti i digital store e nei negozi di dischi
dal 27 novembre

 

Ad un anno dal lancio della sua prima canzone “Il mio domani”, Marco Rotelli esce con l'album d'esordio dall'omonimo titolo Il mio domani.
Sono dieci le canzoni presenti, quattro delle quali -PARLAMI CERCAMI, VIVI, FERMEREMO IL TEMPO- già conosciute dal pubblico e proposte in radio nel corso di questo intenso anno di lavoro e 6 nuovi brani. Tra questi
MILLE VOLTE MEsarà il singolo che accompagnerà l'uscita e la promozione dell'album. La scelta di questo brano, più spavaldo musicalmente dei precedenti conosciuti è proprio perché Marco Rotelli ci tiene a mostrare tutta la sua grinta e determinazione. Ascoltare l’album di Marco Rotelli significa entrare completamente nel suo mondo di adolescente prima e di ragazzo dopo. Marco è autore e compositore delle sue canzoni, seppur sempre con ausilio di altri autori e musicisti che lo hanno affiancato nella produzione, alcune delle quali erano tali prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto.

Il lavoro di produzione è stato seguito dall'arrangiatore M° Mario Natale e nei brani hanno suonato musicisti d'eccezione come Stef Burns, Nicola Oliva, Paolo Petrini, Francesco Corvino, Giorgio Cocilovo, Diego Corradin, Rossano Eleuteri, Antonio Petruzzelli e Paola Caridi.


 

In occasione dei festeggiamenti del cinquecentenario della nascita di S. Teresa d'Avila, è stato restaurato il capolavoro del Bernini, l'Estasi di S. Teresa. In realtà, l'intera Cappella Cornaro nella chiesa di S. Maria della Vittoria, è stata oggetto dell'intervento, conclusosi a giugno, ma inaugurato ora, in prossimità dell'inizio del Giubileo straordinario della Misericordia il prossimo 8 dicembre.

La conferenza stampa si è aperta con i saluti delle autorità religiose e laiche. I padri Carmelitani, che ne hanno commissionato la costruzione a Carlo Maderno nel 1608, officiano la chiesa che fa parte del Fondo Edifici di Culto. Ente nato a seguito della soppressione delle proprietà ecclesiastiche nella seconda metà del 1800 e che si occupa della tutela, della valorizzazione, della conservazione e del restauro di più di settecento chiese distribuite sul territorio nazionale.

Daniela Porro, passata dalla direzione della Soprintendenza del Polo museale romano a quella del Segretariato regionale del Ministero per i Beni Culturali, ha riassunto la storia della chiesa e dell'opera.

Padre Rocco Visca, rettore della chiesa, ha completato l'introduzione sull'edificio. Inizialmente dedicato a San Paolo apostolo, ma a seguito della battaglia della Montagna Bianca presso Praga, nel 1620, che vide la vittoria dei cattolici sui protestanti, intitolato all'immagine mariana, considerata vera responsabile del successo. Il carmelitano padre Domenico di Gesù e Maria, cappellano e combattente, portò a Roma l'immagine di "Maria in adorazione del Bambino" che, tuttora campeggia sull'altare centrale della chiesa di cui ha improntato la decorazione. Padre Rocco ha poi condotto l'uditorio verso una dimensione più spirituale, illustrando la figura e le opere di Santa Teresa. Attraverso gli scritti, citando in particolare Il Castello Interiore, ma anche attraverso la vita, come fondatrice di ordini e mistica, ma anche donna pratica, alle prese con problemi reali. È stata definita "la più santa tra le donne e la più donna tra le sante". La sua stessa descrizione dell'estasi mistica è stata materialmente raffigurata dal Bernini nel capolavoro oggetto del restauro: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio”.

La parola è passata poi ai restauratori che hanno operato nei loro interventi quella fusione tra materiale e spirituale, che rende un'opera d'arte, un'esperienza personale e interiore.

Il restauro è sempre un'occasione di studio. Uno dei frutti più ghiotti è stato, come descritto da Lia Di Giacomo, che ha diretto i lavori, la scoperta che il banco di nuvole che sostiene la Santa non era interrotto in origine dalla cornice, ma era connesso al piedistallo in travertino (nel muro esterno della chiesa è possibile vedere il blocco su cui poggia il gruppo marmoreo inserito nel testo murario). La “continuità” della nuvola, conferma il collegamento del gruppo della Santa e dell'Angelo con tutto l'impianto decorativo della cappella, come interpretato dal maggiore studioso del Bernini Irving Lavin.

Il restauratore Giuseppe Mantella ha descritto il lavoro fatto, reso necessario, anche e soprattutto, dall'inquinamento atmosferico prodotto dal semaforo all'angolo della chiesa (che già a pochi mesi dalla fine del restauro, ha determinato di nuovo il deposito di polveri grasse sulle superfici).

Le tecniche diagnostiche hanno evidenziato la presenza di sostanze (paraloid) di un precedente restauro (circa 20 anni fa) e l'infiltrazione di resine nel marmo quando è stata realizzata la decorazione dorata della volta. Sono inoltre stati trovati frammenti del vetro giallo della finestra ellittica, che fa entrare dall'altro la luce sul monumento. La campagna fotografica ha documentato anche la tecnica dell'artista: gli strumenti utilizzati, le superfici nascoste lasciate non finite, non levigate, con la traccia, appunto, degli strumenti incisori; i frammenti di marmo aggiunti, una mano, un lembo della veste. Ma anche il lavoro sul fianco dell'angelo per rendere il vento del movimento, che gli scompiglia anche i capelli. La storia ha modificato l'opera originale. La nuvola è stata "trasformata" in cornice, probabilmente, quando il bronzo dorato dei raggi della grazia divina e quello del dardo dell'angelo (di cui una foto mostra il foro di fissaggio) sono stati rimossi in epoca napoleonica, a seguito del trattato di Tolentino del 1797.

Il paliotto d’altare, che passa solitamente inosservato, è, invece, non solo parte integrante, ma determinante e fondante del senso compiuto e del programma iconografico dell'intera cappella.

Sante Guido, che lo ha restaurato, ne ha illustrato le caratteristiche. Vi è raffigurata l’Ultima cena in bronzo dorato su fondo lapislazzuli. La mano anonima dell'esecutore è stata inserita in un contesto che vede un nesso con la decorazione della cappella Raimondi di S. Pietro in Montorio (sempre Bernini 1640 ca, con Estasi di S. Francesco sull'altare e bassorilievi con volatili e rose nelle mura laterali); l'altare del Santissimo Sacramento di S. Giovanni in Laterano (Ultima cena in alto, in nesso con la reliquia del legno della tavola). Ma anche con il bassorilievo nella cappella Paolina di Santa Maria Maggiore, in cui è raffigurato papa Liberio che traccia il perimetro di fondazione della basilica. Un'altro altare condurrebbe a Malta. Infine anche all'ambito di Camillo Mariani, il cui capolavoro (sculture di santi) si trova nella vicina chiesa di S. Bernardo alle terme.

Il programma decorativo descrive un duplice percorso: dall'alto verso il basso, con la presenza della colomba simbolo dello Spirito Santo negli affreschi dell’Abbatini. La luce che dall'oculo sopra la Santa e l'Angelo scende insieme ai raggi dorati è figura di Dio Padre. Il Figlio è presente nell'Ultima cena, come punto di arrivo di questo movimento che dall'alto passa attraverso la Transverberazione di Santa Teresa, modello e culmine dell'esperienza mistica. L'ultima cena è, però, anche il punto di partenza del moto ascensionale che, dal pavimento in cui le tarsie di marmi (provenienti da Villa Adriana a Tivoli), raffigurano scheletri emergenti, prosegue in alto con la Santa Teresa, alla cui estasi assistono i membri della famiglia Cornaro affacciati ai coretti. Vivi, come a teatro, perché l'eucarestia e la fede, li hanno condotti alla vita eterna, più in alto, negli affreschi, la Gloria dello Spirito Santo.

November 25, 2015

Tratto da una raccolta di racconti dell’autrice francese Cécile Aubry, le avventure del piccolo Sébastien e della sua inseparabile amica Belle, un enorme cane simil maremmano, tornano al cinema. Dopo la serie tv e il cartone animato giapponese, dalla Francia è arrivato nel 2013 il live action Belle e Sébastien, applaudito da pubblico e critica. Ma non finisce qui. Per la gioia dei più piccoli e non solo è infatti in uscita per le feste natalizie il sequel: Belle e Sébastien, L’avventura continua. La storia è ambientata un paio d’anni dopo le vicende narrate dalla prima pellicola. La guerra è ormai conclusa e Sébastien vive felice tra le montagne con il nonno e la sua enorme amica a quattro zampe. Insignita di una medaglia al valore per i servizi resi durante il conflitto, Angelina sta per fare ritorno a casa. Sébastien è in fermento e non vede l’ora di riabbracciarla, ma nel giorno tanto atteso Angelina rimane vittima di un terribile incidente aereo, al confine tra Francia e Italia, nel cuore della foresta transalpina. Data per morta dalle autorità locali, Sébastien e il nonno non si rassegnano all’idea di non rivederla più. Decidono così andarla a cercare. Durante la spedizione, Sébastien incontra il burbero Pierre Marceau, che li aiuterà nell’impresa. Pierre in realtà è il padre di Sébastien. La vicinanza obbligata tra padre e figlio, sarà l’occasione per instaurare un bellissimo rapporto.

Dopo il primo film diretto da Nicolas Vanier, ora la palla è passata al canadese Christian Duguay, che prende le distanze dal testo della Aubry, con una sceneggiatura originale. Nuovi personaggi accompagneranno il protagonista, interpretato dal bambino prodigio Félix Bossuet, nella sua avventura. Più azione condita da una maggiore ironia, per una trama che si basa principalmente sul rapporto padre-figlio, dove l’amicizia con l’enorme cane, tema centrale nel precedente capitolo, ora fa da sfondo alla storia. La natura, gli animali, i paesaggi, il valore dell’amicizia, i sentimenti, in un’atmosfera magica da favola, rimangono elementi caratterizzanti e parte integrante del racconto, ma il secondo capitolo si sofferma maggiormente sull’indagine psicologica dei personaggi, in una visione più intima e introspettiva.

Nel cast anche Tchéky Karyo, Margaux Chatelier, Thierry NeuviceUrbain Cancelier, il film è prodotto dalla Radar Films e distribuito dalla Notorious Pictures.

Presentato in anteprima mondiale in occasione dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, all’interno della sezione Alice nella Città,Belle e Sébastien uscirà nelle sale a partire dall’8 dicembre 2015.

Il 50% degli alimenti prodotti in Occidente viene sprecato. Se l'intera popolazione della terra avesse la stessa voracità degli europei, ci vorrebbero altri 3 pianeti come il nostro per produrre una quantità di alimenti congrua a soddisfare tutti. In Gran Bretagna vengono sprecate ogni anno 18 milioni di tonnellate di alimenti non avariati, per un valore di 14 miliardi di euro, e questo solo nelle famiglie. In Italia finiscono in discarica, o restano invenduti nei supermercati, 240 mila tonnellate di alimenti, per un valore di oltre un miliardo di euro. Abolendo tali sprechi si potrebbero nutrire 600mila persone per un intero anno. Per correggere lo squilibrio il nostro futuro prossimo dovrà tendere verso una società " Eticamente Ecologica ".

Grazie a una corretta " coscienza ecologica " lo spreco alimentare potrebbe diventare non solo una risorsa, ma una grande opportunità. Riutilizzare e riciclare saranno sempre più le parole chiave del nostro secolo, anche perché la scelta alimentare influenza pesantemente l’impatto ambientale, economico e nutrizionale. Imperativo sarà fare molta attenzione sia alla quantità che alla qualità del cibo e, soprattutto, alle reali necessità della collettività; va da se che lo stile di vita dovrà adattarsi ai nuovi standard, a tutto vantaggio della genuinità e a scapito del superfluo. Anche l’informazione avrà il suo ruolo: quello della denunzia della quantità di alimenti che ogni giorno verranno buttati via. I vantaggi di questa nuova politica saranno molteplici: un recupero di questi ultimi, anche se minimo, potrebbe risolvere drasticamente il problema dello smaltimento dei rifiuti. A tutt’oggi vengono distrutte montagne di alimenti non scaduti e l’ ambiente ne è, purtroppo, grandemente danneggiato. Nuovi protocolli per rendere più sostenibile il sistema dal punto di vista economico e sociale dovranno essere studiati e ai politici dovrà essere affidato l’arduo compito di favorire la nascita di nuove attività nel settore: tanti giovani disoccupati ne trarrebbero certamente giovamento. " Il cibo che si butta via e' come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero...di chi ha fame !” sono le parole di papa Francesco.    

                  

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Emulando le popolazione primitive si prospetta all’orizzonte la “geniale” idea di consumare formiche, insetti, vermi,  grilli, bachi da seta, lombrichi, rettili e tutto ciò che si muove, nella folle, insensata, rivoltante convinzione che occorre ricorrere a tali espedienti alimentari per poter nutrire un’umanità in crescita esponenziale ed assicurarsi le
famigerate proteine animali che alcuni pseudo nutrizionisti di stampo ottocentesco continuano a considerare essenziali per la buona salute umana.
Se lo scopo di ricorrere ai vermi è quello di sfamare l’umanità vale la pena ricordare che attualmente gli animali d’allevamento consumano derrate alimentari quanto 9 miliardi di persone e che solo in Italia gli alimenti consumati dagli allevamenti basterebbero a nutrire 140 milioni di esseri umani.

E mentre la maggior parte dei paesi dell’UE vieta l’uso degli insetti a scopo alimentare, arriva il via libera di  Strasburgo su questa rivoltante prospettiva (già la Fao nel 2013 si era pronunciata a favore degli insetti per sfamare la popolazione). Intanto Cina, Thailandia, Stati Uniti e Olanda si stanno preparando a coltivare insetti su larga scala e già nei supermercati inglesi è possibile trovare buste di vermi, grilli e cavallette liofilizzate; in Olanda hamburger di insetti; in Belgio una pasta spalmabile di vermi. Anche se in molti casi si raccomanda di scartare le zampe per evitare soffocamento .Per fortuna, secondo la Coldiretti, in Italia solo l’8% della popolazione assaggerebbe un insetto.

Con questa prospettiva avremo bistecche in provetta e carni di animali clonati, sostanze prodotte da funghi, alghe e batteri, anche se questi prodotti non hanno ancora avuto rassicurazioni in merito alla loro sicurezza da parte dell’Autorità europea e molto dipenderà dai mangimi e tecniche di allevamento. Ma ci consentiranno di nutrirci meglio, di inquinare meno e ridurre le emissioni di gas serra. Molti popoli da tempo si nutrono di animali che gli occidentali escludono dalla loro dieta perché considerati ripugnanti: scorpioni, serpenti, ragni, rane ecc. anche se gli occidentali usano mangiare lumache e ogni specie di animali erbivori che certe etnie considerano sacri.

A miliardi di miliardi piccoli e indispensabili animali per l’equilibrio biologico verrebbero arrostiti, fritti, lessati, frullati; animali che hanno la sola colpa di essere piccoli ma la cui ingegnosità e intelligenza spesso supera gli animali di grossa mole.

Il valore intrinseco di un animale non viene determinato dalla sua grandezza fisica. Se guardassimo con lente  d’ingrandimento ognuno di queste piccole creature ci accorgeremmo che ogni singolo individuo ha le identiche caratteristiche e le esigenze vitali di un animale di grossa mole. Ma la nostra visione delle cose è corta, non va oltre la lunghezza del nostro naso e consideriamo degni di rispetto e protezione solo quegli animali che rapportiamo alla nostra dimensione corporea.

Il disprezzo del minuto, del piccolo, dell’indifeso testimonia la mancanza di percezione dell’armonia che tutto pervade e questo lascia l’individuo nell’ignoranza e nell’incapacità di apprezzare e valorizzare lo stupefacente valore della vita e di conseguenza l’incapacità di aprirsi all’amore anche verso gli esseri umani.

Il rinnovamento della coscienza umana passa necessariamente attraverso un cambio di percezione dei valori, dal grande al piccolo, superando la cieca e limitante visione antropocentrica che percepisce e valorizza solo il grande al quale abitua a sacrificare il piccolo. L’inversione di percezione, valorizzazione e rispetto consentirà al genere umano di aprirsi alla vera realtà che si esprime nell’interazione delle multiformi diversità e inevitabilmente indurrà il genere umano all’empatia e all’armonia verso i suoi stessi simili.

La prospettiva di consumare insetti si pone in senso diametralmente opposto alla nostra visione delle cose nella quale vediamo non solo la fine del millenario massacro di ogni specie diversa dall’uomo ma nella valorizzazione del piccolo il mezzo più evoluto ed efficace capace di consentire il superamento dei grandi problemi dell’umanità   collegati alla mancanza di giustizia, di sensibilità e condivisione. Le persone di buon senso, raziocinio e dignità umana si attiveranno per ostacolare in ogni modo questa degradante prospettiva.

Ermete Trismegisto, il primo grande iniziatore in Egitto alla dottrina esoterica. Dai greci considerato tre volte  grande:re, legislatore e sacerdote. Scrisse 42 libri. Resterà centro e vetta di iniziazione egiziana.
Per Ermete Trismegisto il piccolo è come il grande: “Nulla è piccolo e nulla è grande agli occhi di Dio. Solo colui che è libero può liberare. Colui che comanda se stesso può comandare gli altri. Non fate soltanto il bene ma siate buoni e il movente non sia nei frutti ma nell’azione”.

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