
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Finalmente anche gli astemi possono far roteare l’acqua nel bevante (la parte superiore del calice), annusarla, descriverla.
È nata la nuova figura di idrosommelier.
L’Italia, per la sua conformazione fisica, geomorfologica e idrologica è strapiena di sorgenti. Sorgenti di vetta, sorgenti di detrito, sorgenti di emergenza, sorgenti di fessura, sorgenti di deflusso o di strato, sorgenti di sinclinale o di trabocco, sorgenti di sfioramento di livelli idrostatici. Quanti termini tecnici registriamo alla visione di una falda acquifera. A noi interessano le “falde” delle acque definite “minerali” ovvero «Sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute». (D.Lgs. nº 176 dell'8 ottobre 2011 (attuazione della direttiva 2009/54/CE). E qui si apre un mondo incredibile di diversità.
Due sono le Storie che corrono parallele per poi incontrarsi di fronte allo studio specifico per il loro utilizzo nelle proprie diversità. Perché di diversità ce ne sono, eccome!
La Storia geologica;, racconti di rocce, sedimenti, che si perdono nella notte dei secoli, nei milioni di anni.
La Storia umana; la ricerca nelle acque di un mix tra divinità, medicamenti, magia.
Poi l’incontro tra Storia e Umano fino ai tempi d’oggi, alla ricerca del gusto dell’acqua fino all’analisi sensoriale. Non più come necessità ma come prodotto e pertanto, come tale, non si sottrae al marketing diventando un “fenomeno di moda”.
Le più affermate cristallerie mondiali, Riedel in testa, dedicano studi, seminari, per approntare il “giusto calice” non per sorseggiare ma per degustare l’acqua. Anzi: i giusti calici per le differenti acque.
Le acque hanno i propri gusti, parola di idrosommelier, la nuova figura di esperto che ha origine e legittimazione da Corsi appositamente costituiti, riconosciuti al pari degli altri Corsi di formazione professionali. Attestati conseguiti per l’indirizzo, consiglio, verso la scelta consapevole della bottiglia giusta o per il migliore abbinamento a tavola.
“Un buon abbinamento con l’acqua minerale può far crescere anche un piatto povero”.
È l’ADAM, Associazione Degustatori Acque Minerali, che l’afferma e che ultimamente ha coniato il termine “Oro Blu” per elevare le acque de gustative al rango nobile: proprio come il Vino.
Un’acqua demineralizzata con residuo fisso bassissimo per carni bianche, pesci a vapore o bolliti in genere e acqua effervescente naturale per piatti più corposi con abbondanti condimenti.
E si parla anche di terroir, questo termine francese che non ha una parola eguale nella nostra lingua. Nel mondo del vino è divenuto un termine internazionale a significare “un complesso di elementi ambientali, pedoclimatici, di tradizione per uno specifico vino”. Nel caso delle acque il termine terroir assume un significato diverso. Manca la mano dell’uomo che “trsforma” qualcosa. Nessuna mediazione umana se non nelle acque “frizzanti” con aggiunta di anidride carbonica; prodotti che esulano di principio dall’affascinante mondo delle Chiare, fresche, dolci, acque minerali”. Non la mano dell’uomo ma un’insieme di elementi, rigorosamente in successione, costituiti da rocce, minerali, molecole biologiche che portano alla composizione chimico-fisica da cui hanno origine le componenti organolettiche.
Osservare, odorare, gustare ovvero l’occhio, il naso, la bocca. Distinguere le sfumature cromatiche, la consistenza, le note complesse vuoi sulfuree, metalliche o dolci. Al palato la dolcezza, l’amaro, l’acido e il salato; molti fattori che determinano l’equilibrio e l’armonia. Il tutto per l’abbinamento perfetto con il cibo.
“L’acqua può essere abbinata anche al vino. Vino tannico? Via ad un’acqua dolce, magari di montagna, dai sentori di prato” parola di ADAM. E Bacco, non solo lui, che sorride!
La Chiesa cattolica chiamata a scegliere fra perdono divino e eternità delle pene infernali
Il tema della misericordia è, senza alcun dubbio, uno dei temi più ricorrenti nel pensiero e nella predicazione di papa Francesco. Tema che, per essere pienamente compreso nella sua complessità concettuale, richiede di essere strettamente legato ad altri due temi a lui molto cari: quello del perdono e quello della gioia.
Al perdono, siamo perennemente chiamati, infatti, e soltanto dalla nostra sempre più sincera capacità di perdonare potrà nascere e dilagare in noi l’attitudine alla gioia del cuore. Ma possiamo apprendere ed abbracciare il perdono solo grazie all’esempio perfetto che incontriamo in Dio. Ed è possibile, pertanto, vivere una scelta religiosa imbevuta di gioia, l’unica veramente degna, proprio grazie alla consapevolezza della natura infinitamente misericordiosa di Dio. In pratica, solo ponendo al centro della riflessione teologica e della testimonianza della fede questa triade valoriale (misericordia-perdono-gioia), si potrà, secondo Francesco, intendere correttamente il messaggio evangelico e coerentemente viverlo. “Il Vangelo (…) invita con insistenza alla gioia” - dice il papa (Evangelii gaudium, cap.5) - e tale gioia è resa possibile dall’abbracciare e dal proporre, con sentita convinzione, un concetto di divinità liberato dalle caratteristiche tradizionali dell’ implacabilità e dell’ imperscrutabilità di un Dio inteso essenzialmente (e tragicamente) come Giudice supremo. Caratteristiche queste che hanno dominato per lunghi secoli in maniera schiacciante e devastante la vita della cristianità, producendo effetti rovinosi su tutti i piani.
“Dio - scrive Bergoglio - non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”( Evangelii gaudium, cap.3).
Si parla spesso del carattere “rivoluzionario” di questo pontefice, corroborando tale tesi con innumerevoli elementi (dal celeberrimo “Buonasera!” al rifiuto della papamobile, dalle sue accuse al “vaticanocentrismo” alle sue scarpone nere, ecc.). Ma la centralità assoluta che viene sistematicamente assegnata alla sopra menzionata triade valoriale credo rappresenti la cosa più grande e innovativa che questo papa stia portando avanti. Anzi, la cosa più grande che qualsiasi vero grande riformatore ecclesiastico possa fare. Perché le implicazioni teorico-pratiche, se ben comprese, ci dovrebbero portare lontani anni luce dalla Chiesa cattolica intollerante, presuntuosa e spietata che la storia ci ha dolorosamente fatto conoscere e sperimentare.
Ma se vogliamo veramente cogliere il pensiero di Francesco in merito al principio della misericordia, evitando accuratamente di scivolare in fin troppo facili semplificazioni, non possiamo fare a meno di cimentarci nell’analisi di uno dei testi più belli da lui prodotti: la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus.
Già all’inizio del testo, il papa scrive che
“Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia”. La misericordia, infatti, “È l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, la “via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. (cap.2)
“Dinanzi alla gravità del peccato - ribadisce Francesco - Dio risponde con la pienezza del perdono”, in quanto la misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, non potendo alcuno pretendere di imporre limitazioni di sorta “all’amore di Dio che perdona” .(cap.3)
Più avanti, il papa si sofferma sul ritornello che viene riportato a ogni versetto del Salmo 136 (“Eterna è la sua misericordia”), mentre si narra la storia della rivelazione di Dio, sostenendo che la sua continua ripetizione potrebbe venire interpretata come un tentativo di “spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore”. Come a voler affermare che “per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre”. (cap.7)
Concetto questo che, secondo Bergoglio, sarebbe ricorrente in tutto l’Antico Testamento ed evidenziato, in particolar modo, da incisive espressioni contenute nei Salmi, come, ad esempio:
“Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia” (103,3-4);
“Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vita ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (146,7-9).
Successivamente, riferendosi alla missione di Gesù, e ripetendo, con l’evangelista Giovanni, che “Dio è amore”, afferma con forza che in Gesù tutto parla di misericordia e che “Nulla in Lui è privo di compassione” (cap.8).
E, dopo aver menzionato le parabole evangeliche dedicate al tema della misericordia, Francesco mette in luce come, in esse, Dio venga “sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona”, e che, proprio in esse, si troverebbe il vero “nucleo del Vangelo”, perché “la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.” (cap.9)
Il perdono delle offese, infatti, andrebbe inteso come “l’espressione più evidente dell’amore misericordioso”, come “lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. (ib)
La misericordia, secondo Francesco, è la parola-chiave presente nella Sacra Scrittura “per indicare l’agire di Dio verso di noi”, di un Dio che “si sente responsabile” che “desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni” (ib), di un Dio (per usare le parole del profeta Michea) che toglie l’iniquità e perdona il peccato (cap.17), che non serba per sempre la sua ira, ma che si compiace di usare misericordia, calpestando le nostre colpe e gettando “in fondo al mare tutti i nostri peccati” (cfr.7,18-19).
Il pregevole lavoro di rinnovamento teorico-pratico che papa Francesco sta portando avanti è, oramai, sotto il profilo dottrinario, giunto ad un bivio evidentissimo, cruciale e ineludibile: abbracciando ed enfatizzando il valore della misericordia divina, intesa come qualcosa “che non ha confini” (cap. 17) e come qualcosa che “va oltre la giustizia”, e sostenendo che “L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno” (cap. 21), come potrà continuare la Chiesa cattolica, la Chiesa di questo papa straordinario, a credere e a chiedere di credere nell’esistenza dell’Inferno, nella stessa possibilità della dannazione eterna, ovvero nell’imperdonabilità e nell’irredimibilità della creatura umana? Anzi, di ogni creatura, includendo anche lo stesso Satana e tutti i suoi seguaci?! Ma una Chiesa senza più peccati da assolvere, indulgenze e benedizioni da elargire, intermediazioni salvifiche da effettuare … che Chiesa sarebbe? Una Chiesa senza più angeli decaduti e principi delle tenebre da combattere e sgominare, senza più, soprattutto, l’incubo sommamente angosciante della dannazione eterna … che Chiesa sarebbe?
Ovvero: se la salvezza è garantita (a prescindere da tutto e da tutti) dall’infinita misericordia divina, cosa potrebbe mai restare, sul piano teorico, dell’opera salvifica e redentrice di Gesù-Figlio di Dio e, sul piano pratico, del ruolo della sua presunta sposa-erede-prosecutrice?!
Ma credo che sia giunto, dopo gli illuminati passi compiuti da questo pontefice, il momento di operare una scelta chiara e netta, volta all’abbandono di ogni ambiguità e contraddittorietà.
La Chiesa, cioè (auspicabilmente già nella persona di Francesco), deve dire a se stessa e al mondo se, a livello dottrinale, al di là dei discorsi più o meno toccanti che questo o altri papi potranno e vorranno regalarci, preferisce restare ancorata alle posizioni tradizionali o se, invece, intende orientarsi fino alle estreme conseguenze logiche nella direzione indicata dalla Misericordiae Vultus.
Ovvero, se continuare a credere nell’“interminabilità delle pene degli empi” destinati al “fuoco inestinguibile” (S.Agostino), nella reale esistenza di una condanna “senza scampo a patire quei fetori, quegli orrori, quel tormentoso fuoco eterno (…) quel cumulo di supplizi che producono un morire che non ha fine” (S.Bernardo di Chiaravalle),nella indiscutibile verità del fatto che “le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale” siano destinate a discendere “immediatamente negli, inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, ‘il fuoco eterno’” (Catechismo della Chiesa Cattolica). O se, al contrario, il concetto stesso di eternità delle pene debba essere archiviato e rinchiuso in soffitta, lasciando spazio aperto e incontrastato all’infinita fiducia/certezza nell’illimitata compassione divina e nell’infinita capacità di perdonare tutte le colpe di tutte le creature, alla convinzione che tutte le creature (nessuna esclusa) saranno accolte nella “casa del Padre” e che tutto e tutti saranno abbracciati, trasformati e redenti dall’infinita potenza del perdono divino.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Maximilian Riendel |
Frammento n. 1
Maximilian Riedel uno dei personaggi più influenti dell’Industria del Vino (Fonte: La Revue du Vin de France)
11° generazione dell’azienda austriaca Riedel, attuale Ceo e Presidente, è nella classifica dei 200 influencer a livello mondiale dell’industria del vino. L’autorevole rivista enoica Revue du Vin de France ha pubblicato la graduatoria biennale selezionando i personaggi tra Vignerons, istituzioni, aziende, ristoratori ed enotecari. Interessante il profilo-guida nelle scelte: “influenza nel mondo del vino”. Maximilian Riedel è stato scelto perché ha enormemente influenzato, se non rivoluzionato, l’industria enologica grazie ai suoi pregiati calici in armonia con il vino e i suoi decanter di design. Strumenti di precisione studiati per dare il giusto valore al contenuto ed esaltare le specifiche peculiarità di ogni tipologia d’uva.
Frammento n. 2
Sempre più Bio nel Carrello della Spesa (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)
Nonostante la crisi dei consumi nel 2014 il trend legato agli acquisti di prodotti biologici è cresciuto dell’11%. Tra i principali prodotti sono segnalati pasta, olio di oliva extravergine, yogurt e vino. Il Primo mercato in assoluto è quello degli Stati Uniti. In Europa guida il trend la Germania seguita dalla Francia e terza l’Italia. Il dato interessante non è quello del fatturato ma del consumo pro-capite. In Europa svizzeri e danesi guidano la classifica con ben € 160,00 all’anno. Sbalorditivo, sorprendente, impressionante e sotto certi aspetti sconcertante è il rapporto IFOAM (International Foundation for Organic Agricolture) che ricorda: se il consumo è concentrato nei Paesi Occidentali, la produzione lo è invece nelle Nazioni in via di sviluppo (India al primo posto seguita da Uganda, Messico, Tanzania e non ultima la Cina). L’80% delle aziende agricole che praticano l’agricoltura biologica si trova in questi paesi!
Frammento n. 3
L’Olio Novello non esiste. (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)
Questa dicitura non è prevista da alcuna normativa e può indurre in errore. Al contrario del Vino Novello, prodotto con procedure diverse da quello del vino comune (macerazione carbonica), l’olio dichiarato novello viene prodotto allo stesso modo di quello tradizionale. Esiste l’Olio Nuovo particolarmente apprezzato e ricercato. W la bruschetta con l’olio nuovo, la tradizione autunnale e non solo che si ripete.
Frammento n. 4
Nuove Birre grazie a Nuovi Lieviti (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)
Sono i lieviti la nuova frontiera della ricerca nel campo delle Birre. Non è solo la tostatura a dare origine al sapore. Sono anche i lieviti a convertire l’amido solubile in alcol e a creare, grazie a metabolismi secondari, composti volatili che danno aromi e profumi alla bevanda. Tutto questo è stato dimostrato dall’Università di Leuven (Belgio). Il nuovo lievito Saccharomyces Pastorianus ottenuto dopo diversi tentativi attraverso la modulazione di temperature di fermentazione e fattori di crescita dei lieviti ha dato risultati sorprendenti per una birra definita “magnifica”. Per ulteriori info: www.teatronaturale.it
Frammento n. 5
La Top ten delle Bufale alimentari. (Fonte: merendine italiane.it)
La bufala è sempre pronta dietro l’angolo. Cibi dai poteri miracolosi, diete che promettono dimagrimenti in tempo record. Ci si fida più della TV e della rete che dei medici. Ecco allora una ricerca della DOXA che stila ben 9 bufale alimentari molto diffuse sul web alle quali gli italiani credono:
- Gli agrumi servono a prevenire il raffreddore;
- I grassi fanno male e andrebbero totalmente eliminati dalle diete;
- Le merendine sono piene di additivi tossici come l’E330;
- Mangiare Ananas aiuta a bruciare grassi;
- Lo zucchero fa male e non va dato ai bambini;
- I carboidrati fanno ingrassare;
- Eliminare il glutine aiuta a dimagrire;
- Il lievito fa male alla salute;
- Ogni tanto la merenda e la colazione andrebbero saltate per stare meglio in salute.
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Dopo l’esperienza sanremese nel 2015 che li ha visti al secondo posto tra le nuove proposte i KuTso si confermano come una delle band più promettenti e originali del momento. Il loro brano ’Elisa’ ha conquistato tutti, anche la critica e l’ironia con cui calcano il palco è sicuramente una delle cose che piace a chi li ascolta. Matteo Gabbianelli, anima e voce del gruppo, Donatello Giorgi alla chitarra, Luca Amendola al basso e Simone Bravi alla batteria, si possono considerare una formazione determinata e compatta che fa il suo esordio discografico nel 2013, con l’album ‘Decadendo-su un materasso sporco’, per poi arrivare nel 2014 ad aprire i concerti di Caparezza e altri grandi artisti della musica italiana. Nel 2015 oltre al successo dell’Ariston arriva anche il secondo album ‘Musica per persone sensibili’, un progetto discografico che unisce simpatia e provocazione, nella semplicità. La band di Marino, in provincia di Roma, dopo il tormentone di Sanremo ne ha fatti di passi in avanti, sempre mantenendo quel mix di ironia e schiettezza pungente verso ciò che non va nella società. La musica quindi, non solo per riderci su, ma per portare all’attenzione tematiche delicate, scottanti, da non sottovalutare. E non sono mancate le collaborazioni, da Piotta ad Alex Britti, per citare alcuni degli artisti coinvolti nel progetto. Un album coinvolgente e pieno di spunti di riflessione, musicalmente interessante e vivace, dove il rock scatena il divertimento.
Un secondo posto nella categoria nuove proposte al Festival di Sanremo 2015 con il singolo ‘Elisa’, una serie innumerevole di concerti, l’album ‘Musica per persone sensibili’, un periodo davvero intenso per voi. Dal vostro esordio come si è evoluta la vostra musica? Quali sono le caratteristiche che vi distinguono dai tanti gruppi presenti nel panorama musicale odierno?
Da circa tre anni la mole di lavoro sul nostro progetto si è decuplicata rispetto agli esordi. Siamo impegnati tutti i giorni in diverse attività, quali la scrittura di nuovi brani, la prosecuzione del “perpetuo” tour, le interviste e le collaborazioni con i nostri colleghi. Le nostre vite sono totalmente assorbite dalla musica e, dato che non siamo delle grandi popstar ricche ed affermate, non possiamo permetterci vacanze o stop per periodi troppo lunghi, pena la nostra sparizione dalla scena. Siamo degli stacanovisti, degli operai instancabili ed estremamente determinati. La nostra peculiarità musicale è la volontà di infondere gioia, energia e propositività rivoluzionaria. Le nostre canzoni a volte sono degli scherzi provocatori, a volte invece toccano temi cupi, tragici, mortiferi e crepuscolari, che fanno da contraltare ad una parte melodica solare, immediata e potente. La nostra musica è un guazzabuglio agrodolce di luce e buio, tensione emotiva e apertura disperata alla vita, vissuta fino all'ultimo secondo senza remore o tabù.
‘Musica per persone sensibili’ è un mix di energia, simpatia, ma anche provocazione. E’ divertimento e satira sociale. E’ così?
Le canzoni dei kuTso scaturiscono da un contorcimento interiore, esse si possono definire in questo senso “espressioniste”. Spesso i brani sono delle invettive contro tutto e tutti, vi trovano spazio temi sociali, ma anche discorsi più prosaici. In genere, come per tutti gli artisti che cerchino un'espressione sincera di se stessi, la nostra musica è un insieme di pensieri, considerazioni, paure e sensazioni nate in noi dal confronto quotidiano con gli eventi della vita, a cui reagiamo variabilmente con fatalismo, rabbia, ironia, sarcasmo e disfattismo. Tutto ciò viene mitigato dalle armonie maggiori che utilizziamo come lenitivo energizzante contro le difficoltà dell'esistenza.
Il disco vanta la collaborazione di tanti artisti, da Piotta ad Alex Britti. Come avete affrontato queste opportunità?
Suonando ormai da molti anni nella scena romana, ci siamo fatti molti amici (e qualche nemico) che si sono prestati volentieri a collaborare sui nostri lavori. Soprattutto con Alex c'è un rapporto di amicizia che dura da tutta la vita. Quest'anno con Sanremo si è concretizzata la possibilità di collaborare e ne abbiamo approfittato subito per poter usufruire dell'aiuto di uno dei più grandi musicisti che l'Italia possa vantare. Lo scambio tra artisti è essenziale per creare una rete di mutua assistenza e anche per imparare dagli altri, conoscere altri stili e pensieri. Noi abbiamo sempre collaborato con tanti nostri colleghi, quasi tutti estremamente lontani stilisticamente da noi e questo è un aspetto che ci ha permesso di crescere e maturare tantissimo.
Baudelaire scrisse: “La sensibilità è il genio di ciascuno di noi.” Che significato ha per voi?
La sensibilità è ciò che permette all'individuo di scavare nella superficie delle cose, maturando una propria opinione indipendente dalle chiacchiere altrui.
Due le provocazioni con cui l'Arabia Saudita ha iniziato il 2016: la prima sono le 47 esecuzioni in sé, la seconda è che tra i condannati c'era l'imam sciita Nimr al-Nimr.
Che l'abbia fatto perché la sua economia, quasi esclusivamente basata sul petrolio, è in difficoltà, oppure per distrarre quel poco che rimane dell'opinione pubblica interna da possibili perplessità sull'incapacità della classe dirigente di creare un'economia diversificata, in grado di far fronte alle crisi petrolifere (e anche a eventuali cambiamenti nelle politiche energetiche mondiali); che stia cercando di indurre la comunità internazionale a
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Abd Allah |
riconoscere il suo peso geopolitico con gli unici mezzi di cui dispone, o che stia tentando di distogliere la comunità internazionale (soprattutto magistratura e informazione) da possibili velleità di indagare un po' più a fondo sul sostegno finanziario che alcuni “privati donatori” legati alla casa regnante saudita forniscono ai cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico … In ogni caso, sono in molti ad interrogarsi sul perché, in un momento in cui l'unica cosa di cui la politica internazionale avrebbe bisogno è una strategia di distensione, l'Arabia Saudita abbia deciso di uccidere 47 condannati a morte, tra i quali, come se non bastasse, l'imam sciita Nimr al-Nimr.
Al-Nimr, il cui nipote Ali Mohamed al-Nimr (arrestato quando aveva solo 17 anni per aver partecipato a una manifestazione nel 2011) è ancora nelle carceri saudite in attesa dell'esecuzione, non era solo una guida religiosa, ma soprattutto una figura politica. Sferzante nei confronti dei Saud, critico verso il presidente siriano Bashar al-Assad, dedicava molti dei suoi discorsi del venerdì alle condizioni di cittadini di serie B cui sono condannati i cittadini sauditi di religione sciita. La sua condanna a morte, nell'ottobre 2014 per “terrorismo”, “sedizione”, “disobbedienza al sovrano” e “possesso di armi”, ricorda, con le dovute differenze di contesto, i processi per lesa maestà codificati nel I secolo a.C. da Silla e molto in voga in età imperiale, come metodo per liberarsi di chi osasse opporsi all'impero. Si tratta infatti di capi d'accusa che il più delle volte i tribunali sauditi imputano a chiunque sia sospettato di dissentire dalla politica del regime di Riyadh, a maggior ragione se di religione sciita. Numerosi i rapporti di Amnesty International sulle violazioni e gli abusi ai danni di questa minoranza (si veda ad esempio http://www.saudishia.com/?act=artc&id=586), che vive soprattutto nella regione, economicamente strategica, di Qatif. Finora, tuttavia, gli appelli delle organizzazioni per i diritti umani non hanno avuto seguito.
Riyadh continua dunque a portare avanti la sua linea politica di teocrazia retrograda, fondata su un'economia assistenziale, alimentata a sua volta dai proventi del petrolio. Un settore che, tra i progetti di estrazione del gas da scisto negli Stati Uniti e in diversi paesi del mondo (malgrado le numerose voci critiche riguardanti l'impatto ambientale), il prezzo basso del greggio e il fatto che prima o poi le riserve finiranno, rischia di non essere più così redditizio. Si tratta di un'eventualità che per l'economia di Riyadh sarebbe disastrosa, visto che il paese è costretto a importare praticamente tutte le risorse necessarie a soddisfare il fabbisogno alimentare dei suoi cittadini.
A parte l'economia, le 47 esecuzioni decise da Riyadh si inscrivono in un preciso quadro geopolitico regionale. All'Arabia Saudita, infatti, non è bastato reprimere nel sangue (con l'aiuto dei suoi satelliti del Consiglio di Cooperazione del Golfo) le proteste nel suo territorio e in Bahrein per acquisire un qualche peso nello scacchiere politico regionale. E non è bastata neppure la nuova campagna di bombardamenti in Yemen (dopo quella del 2010), lanciata per impedire che i ribelli sciiti Houthis conquistassero il potere, ma rivelatasi un cul de sac. Ora Riyadh teme infatti che la sbandierata guerra contro i cartelli del jihad possa indebolire la sua posizione geopolitica, anche a causa del sostegno di cui godono i gruppi salafiti e takfiriti nelle petromonarchie del Golfo. Ad accrescere i suoi timori è inoltre il ruolo che la Russia ha in Siria. Sarà probabilmente una coincidenza fortuita, ma, nei giorni immediatamente precedenti le 47 esecuzioni saudite, la distensione tra Iran e Usa, avviata dall'accordo sul nucleare, ha rischiato di sfumare. La Casa Bianca avrebbe infatti preparato un pacchetto di nuove sanzioni contro Tehran per contrastare il suo programma missilistico. Le autorità della Repubblica islamica hanno risposto immediatamente che il programma è nei limiti del diritto dei singoli stati alla difesa e il presidente Hassan Rohani ha ordinato al ministro della difesa di accelerare la costruzione delle testate balistiche. Un buon momento per creare un motivo di scontro con l'Iran, che con la Russia condivide la stessa posizione sul conflitto siriano.
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Rohani |
Inoltre, a dicembre, la Turchia ha avviato importanti colloqui con Israele, per normalizzare le relazioni tra i due paesi, quasi interrotte cinque anni fa, per la vicenda della Mavi Marmara (nave turca impegnata nella Freedom Flotilla, che trasportava aiuti umanitari nella Striscia di Gaza). Il 2 gennaio, dopo una visita in Arabia Saudita, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha diffuso alla stampa una nota in cui affermava che “Israele ha bisogno di un paese come la Turchia nella regione. E noi dobbiamo accettare che anche noi abbiamo bisogno di Israele”. Una mossa con cui Ankara intende mostrarsi a livello internazionale come un alleato indispensabile contro i cartelli del jihad, al punto da potersi permettere la militarizzazione delle zone a maggioranza curda (con gli abusi che questo implica). In questo contesto, il 23 dicembre il co-segretario del Partito democratico dei popoli (partito turco filocurdo - HDP) Selahattin Demirtaş ha incontrato a Mosca il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, per discutere del conflitto siriano e della crisi diplomatica tra Turchia e Russia a seguito dell'abbattimento di un jet russo da parte dell'aviazione turca. Demirtaş, per questo, aveva ricevuto aspre critiche, soprattutto dal partito Giustizia e sviluppo (AKP, il partito di Erdoğan). Il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu era giunto ad accusarlo di tradimento, solo perché Demirtaş aveva definito un errore l'abbattimento del jet russo. A completare il quadro, alla fine di dicembre, durante un raid sulla Siria, l'aviazione russa aveva ucciso Zahran Allush, predicatore salafita siriano, che Riyadh contava di far partecipare ad eventuali negoziati, ovviamente dopo la “necessaria” destituzione di Assad.
Probabilmente le 47 esecuzioni con cui l'Arabia Saudita ha iniziato il 2016 non sono solo l'episodio di uno scontro regionale per decidere le sorti della Siria e, di conseguenza, imporre un nuovo equilibrio di forze. In ogni caso, è evidente che Riyadh conta sulla sua impunità a livello internazionale, se si escludono le recenti prese di posizione del governo svedese sulla condanna del blogger saudita Raif Badawi (che sembra caduto nel dimenticatoio) e sui diritti delle donne. Infatti, ad esempio, non è nella lista in cui il Foreign Office britannico elenca i paesi che devono ridurre progressivamente il ricorso alla pena di morte. Ma sono privilegi che Riyadh ha finora comprato con il petrolio e che, finite le riserve, potrebbero venire meno.
Da sempre l’uomo vive un rapporto conflittuale con il mondo animale considerandolo spesso un pericolo ma quasi sempre un semplice strumento per le sue necessità. Nella sua visione antropocentrica ha sottomesso, sfruttato, ucciso animali di ogni specie come fossero oggetti senza valore e senza diritto. Ma i tempi erano diversi, tempi in cui la durezza dell’esistenza limitava le regole del rispetto e del diritto alla sola specie umana. Ma oggi, con l’emergere di una nuova coscienza, in virtù dell’evoluzione civile, morale e spirituale, le nuove generazioni sono chiamate a confrontarsi con una realtà che supera qualunque passata e presente visione antropologica, filosofica, culturale, religiosa, spirituale e approdare alla consapevolezza della comune appartenenza alla medesima famiglia dei viventi con il medesimo diritto alla libertà, al rispetto e alla vita. E questa sarà la condizione per traghettare l’essere umano verso una visione universalista e a renderlo finalmente in grado di porre le basi per un mondo migliore.
Un giorno certamente tutta l’umanità sarà vegan: è un processo evolutivo nell’ordine naturale delle cose; ma non saranno i benefici della dieta a far diventare vegan gli esseri umani, sarà invece il rifiuto di essere complici della sofferenza e dell’uccisione degli animali; non sarà perché tutti avranno compreso che il mangiar carne causa malattie (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché l’alimentazione carnea rende peggiore l’uomo sul piano morale e spirituale (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché la carne causa distruzione dell’ambiente, della biodiversità, dei cambiamenti climatici (sarà anche per questo ma non per questo); non sarà perché causa inquinamento, sperpero di risorse naturali ed economiche, di acqua, energia, scioglimento dei ghiacciai, fame nel mondo (sarà anche per questo ma non per questo): sarà perché l’evoluzione civile, morale e spirituale avrà attuato il suo corso; sarà perché la coscienza umana sarà più giusta e sensibile; sarà perché l’animale non sarà più considerato cosa da mangiare ma esseri senzienti come noi di forma diversa; sarà perché l’uomo saprà apprezzare il valore delle differenze biologiche e la bontà e il senso di giustizia avranno il sopravvento sull’indifferenza e sull’egoismo umano. L’uomo imparerà a rispettare la natura non perché la privazione della stessa la prova di un bene, ma perché le piante saranno considerate esseri senzienti individuali non più massa indistinta.
Un giorno la spregevole pratica vivisettoria sarà abolita, non perché sarà condivisa da tutti la sua inutilità e dannosità per la stessa salute degli umani (sarà anche per questo ma non per questo), ma perché sarà considerato un crimine torturare un essere senziente per i presunti vantaggi dell’uomo. Un giorno la caccia sarà abolita e le future generazioni si vergogneranno delle precedenti che hanno tollerato che qualcuno potesse legalmente uccidere esseri inermi ed innocenti per mero divertimento.
Un giorno anche la pesca sarà abolita, non perché l’umanità sarà consapevole che anche gli animali marini sono dannosi per la salute umana (sarà anche per questo ma non per questo), ma perché sarà considerato un delitto violentare le creature del mare. Così come ogni altra forma di maltrattamento, di coercizione, di violenza sarà abolita non quando la legge imporrà il rispetto degli di ogni animale, ma quando l’essere umano sarà finalmente consapevole che tra noi e gli altri animali c’è solo una differenza di forma non di sostanza.
Un giorno la coscienza umana approderà da uno stadio di primordiale insensibilità e violenza ad una cultura di solidale condivisione e di valorizzazione della vita in tutte le sue manifestazioni; sarà perché uccidere animali per mangiare il loro corpo sarà considerato un fatto indegno per un essere civile, evoluto, maturo, intelligente; sarà perché l’essere umano avrà finalmente una coscienza in grado di percepire l’universale sofferenza degli animali e si rifiuterà di essere complice di questo millenario olocausto.
Chi non si nutre di animali per motivazioni salutistiche difficilmente è capace di coerenza per lungo tempo. Chi lo è per motivazioni ecologiche difficilmente rinuncerà del tutto ai piaceri gastronomici. Anche la consapevolezza dell’impatto sulla fame nel mondo difficilmente porterà gli stessi operatori alla rinuncia dello sfruttamento degli animali. Per questo essere vegan per motivazioni diverse da quelle etiche non basterà a salvare gli animali dalla schiavitù umana: solo una nuova coscienza umana aperta alla maturità dello spirito e alla nuova civiltà universalista, giusta e compassionevole, responsabile ed evoluta, libererà gli animali dal sistematico massacro e porrà le basi di un mondo migliore dell’attuale.
Sarà l’etica dell’ Universalismo a rendere l’essere umano capace di preservare l’ordine naturale delle cose, passando dalla coscienza individuale alla coscienza collettiva, superando lo steccato antropocentrico per estendere il diritto all’esistenza dall’uomo ad ogni essere senziente: saranno i valori fondamentali dello spirito universalista a rendere possibile il positivo comportamento anche tra gli umani.
Chiedere molto a se stessi e poco agli altri questa credo sia la strategia migliore per aprire brecce nella mente e nella coscienza di chi non si cura né di se stesso né del destino collettivo.
Ma nessuna rivoluzione si attua in un giorno: ognuno ha tempi diversi di maturità e consapevolezza.
Ecco dunque che la possibilità di liberare gli animali dalla tirannide umana passa inevitabilmente attraverso la crescita civile, morale e spirituale della specie umana, di ognuno di noi. Solo se l’uomo sarà migliore gli animali saranno salvati, risparmiati, liberati, affrancati: dalla liberazione della sconfinata massa di schiavi/morituri, che da millenni implorano inascoltati, l’uomo salverà se stesso, dalla sua stessa insensata, primordiale violenza fratricida: questa è la condizione per la pace.
Dal 1529 i frati Cappuccini risiedono nel cuore di Roma, dopo alcuni spostamenti, nel Seicento, papa Urbano VIII Barberini, costruisce la chiesa dell’Immacolata Concezione e l’annesso convento nella zona del suo Palazzo. Il fratello cardinale, Antonio, appartiene all’ordine, che è uno dei tre della Famiglia Francescana.
I Francescani sono, da sempre, devoti all’Immacolata Concezione. Il dogma è stato proclamato da Pio IX nel 1854.
I Cappuccini devono il loro nome al cappuccio triangolare, parte del loro abito, che li distingue dalle altre famiglie. I fondatori fra Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone caratterizzarono il movimento secondo un rigoroso modello di penitenza, povertà, preghiera, servizio ai sofferenti e vita eremitica, ispirato dalla Regola di San Francesco. L’ordine fu riconosciuto nel 1528 da papa Clemente VII.
Dal 1631 il convento fu sede della Curia Generale, trasferita nel 1890, della Curia Provinciale, della famiglia religiosa provinciale, dell’infermeria, del lanificio, degli studenti di teologia e filosofia e, più tardi, anche della tipografia.
Nel 1925 il convento fu demolito per la costruzione del Ministero delle Corporazioni e l’apertura di via Veneto. Tra il 2009 e il 2012 è stato ristrutturato il complesso formato da chiesa, convento, museo e cripta.
Il Museo dei Frati Minori della Provincia Romana conserva la memoria della storia e dei religiosi che l’hanno caratterizzata. I primi dipinti raffigurano i santi dell’ordine vissuti tra XVI e XVIII secolo: San Felice da Cantalice (1515-1587); San Giuseppe da Leonessa (1556- 1612); San Crispino da Viterbo (1668-1750). Nel XVII secolo visse anche padre Michele da Bergamo, architetto che lavorò per Urbano VIII anche come “revisore dei conti”.
Attraverso manoscritti e volumi a stampa, suppellettili e paramenti liturgici, oggetti preziosi e più umili e quotidiani, di farmacia, l’immagine del Cristo sanguinante, si arriva ai Cappuccini del XX secolo: S. Pio da Pietrelcina (1887- 1968); il mediatico “cappuccino della Tv italiana” Padre Mariano da Torino e l’artista Padre Ugolino da Belluno a cui è dedicata la mostra Oltre il bello allestita in occasione del Giubileo della Misericordia e che si chiuderà nel novembre 2017.
Chiude il percorso la Cripta-ossario, dall’impressionante decorazione, memento mori, realizzato tra il 1732 e il 1775, impiegando le ossa di circa 3700 defunti.
Un’alta e moderna scalinata a forbice conduce alla chiesa, dalla caratteristica pianta cappuccina, ad aula unica con cinque cappelle laterali per lato, separate dalla navata per mezzo di cancellate lignee. Decorazione sobria con l’impiego di materiali umili, come il legno, ma ricca di numerosi e importanti dipinti, come il San Michele Arcangelo di Guido Reni e il Cristo deriso del fiammingo caravaggesco Gherardo delle Notti. Ma su tutte si impone lo stupendo cielo del San Francesco che riceve le stigmate del Domenichino. In prossimità dell’altare maggiore, il seicentesco monumento funebre del cardinale Antonio Barberini e il settecentesco di Alessandro Sobieski (nipote del re polacco Giovanni III vincitore sull’armata turca a Vienna nel 1683) opera di Camillo Rusconi.
Una parete separa il presbiterio dal retrostante coro, in cui è allestita la mostra di Padre Ugolino da Belluno (1919- 2002), Oltre il bello.
Il percorso espositivo è stato organizzato in maniera cronologica, per permettere di cogliere l’evoluzione dell’artista, attraverso le diverse sperimentazioni espressive. Dal figurativo, alla parola-simbolo, all’astratto e di nuovo al figurativo. Tra il 1951 e il 1962 frequentò Giorgio de Chirico e Gino Severini. Quest’ultimo, fu determinante per l’acquisizione della tecnica del mosaico parietale. Della sua opera, che si esprime al meglio nella pittura murale, ha lasciato numerose testimonianze nella decorazione di chiese, a Roma, nel Lazio, ma anche in altre regioni d’Italia e all’estero.
caro Renzi,
ieri, alla conferenza organizzata dalla stampa parlamentare hai avuto il coraggio di dire che, fosse per te, aboliresti domani stesso l’ordine dei giornalisti. E’ la prima volta che sentiamo una frase del genere da un Presidente del Consiglio. Non possiamo non concordare. Un ordine, come tanti altri in Italia, che è un “unicum” al mondo, che sa tanto di casta, di lobby, di corporazione, di settarismo e chi più ne ha più ne metta, non ha ragione di esistere. L’avocazione inoltre, se non scandalosa, ma poco ci manca, del monopolio da parte di impiegati al soldo degli editori che si autoreferenziano come “giornalisti” , perché iscritti all’albo, è uno schiaffo alla Costituzione.
Caro Renzi, hai fatto bene a dirlo pubblicamente, ti ringraziamo, del resto la sinistra è sempre stata a favore dell’abolizione dell’ordine dei giornalisti e per un insegnamento delle tematiche inerenti l’informazioni nelle università. Sei stato coerente, te ne diamo atto: del resto l’editore è libero di assumere chi vuole, iscritto all’albo o meno. Ma fossi in te racconterei tutta la storia. Per dirigere una testata nel nostro bel paese bisogna essere iscritti all’albo dei giornalisti, cosa che non esiste in nessuna altra parte nel mondo, per avere finanziamenti pubblici (vedi finanziamenti all’editoria) bisogna essere amico di questo o di quel politico: i finanziamenti (che sono milioni di euro ogni anno) falsano la concorrenza; se ho un concorrente che usufruisce del finanziamento sono costretto prima o poi a chiudere, e questa è concorrenza sleale e che, quindi, non c’è libertà di stampa. Caro Renzi, la libertà di stampa nel nostro Paese è ormai a livelli africani! Basterebbe annullare i finanziamenti e dare modo ai veri giornalisti, ai giornalisti autonomi, i freelance, di poter fare vera informazione e non ci sarebbe più bisogno di fare tagli per far quadrare i conti, ma tu fai finta di non accorgertene……
Non crediate che sia uno spot pubblicitario di un film cartoon natalizio della Disney o altra produzione giapponese con l’eroe buono Spaghetto Volante e i suoi Pirati.
Non sembra ma il fenomeno del Pastafarianesimo, adesso, comincia ad incuriosire, allarmare e sotto certi aspetti ad inquietare.
Una nuovo Culto nato come protesta ed oggi a tutti gli effetti divenuto una nuova Religione con seguaci in tutto il Mondo. Complice il diffondersi di una cultura, a volte esasperata, intorno all’enogastronomia.
E una moda non può rimanere senza i propri idoli.
Atei di tutto il mondo attenzione perché le fondamenta di questo Credo sono pur sempre legati alla creatività. Non il Dio di Abramo o di Maometto ma pur sempre un Dio: Il Prodigioso Spaghetto Volante e i suoi Pirati.
Bobby Enderson vi dice niente? Chiamo a raccolta atei, non credenti, agnostici e scettici. Possibile che questo nome non vi ricordi niente? Aggiungo: nato nel 1981 negli Stati Uniti, laureatosi in Fisica all’Oregon State University? Niente?
Bobby aveva 24 anni nel 2005 quando inviò una lettera al Kansas State Board of Education “per protestare contro la decisione del Consiglio per l’istruzione di quello Stato di insegnare il creazionismo nei corsi di scienze come una delle alternative alla teoria di Charles Darwin sulla evoluzione”.
E fin qui niente di strano. Il nostro giovane Professor Enderson ha sempre sostenuto di non avere assolutamente problemi con la religione. “Ho problemi se la religione si comporta come una scienza. Insegnate pure creazionismo nelle scuole, ma NON nell’ora di scienze. Scienza significa studio di fenomeni naturali, osservabili e replicabili. Accettare una spiegazione soprannaturale è fuori tema. E’ fede. NON scienza.” Come dargli torto.
Ma Bobby è voluto andare oltre. Se perfino l’allora Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush supportò l’insegnamento delle teorie non evoluzionistiche nelle ore dedicate alle scienze, era necessario far riconoscere una nuova Religione non evoluzionistica ma basata su di una nuova fede e concedergli lo stesso tempo dato alla spiegazione della Creazione da parte di religioni più tradizionali (leggi Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo).
Una religione parodistica? Niente affatto.
“ L’Universo è stato creato da un invisibile e non rilevabile Prodigioso Spaghetto Volante…la tesi evoluzionistica è stata intenzionalmente impiantata per mettere alla prova gli adepti di questa religione…le preghiere devono terminare con la parola Ramen (una qualità di spaghetto giapponese)…i seguaci devono indossare abiti da pirati…la religione ha i propri comandamenti (pardon: condimenti)”
Perché parlare di tutto questo? Perché è notizia di questi giorni che la Chiesa degli Spaghetti è stata riconosciuta Religione. In Nuova Zelanda si possono celebrare matrimoni con un tripudio di tortellini al posto dei confetti e negli Stati Uniti qualcuno ha ottenuto di poter mettere la foto sui documenti con un colapasta al posto del cappello. Direte voi: la classica burla. Non è così.
In Italia sono già circa ventimila i pastafariani e aumentano vertiginosamente. Forse contribuiscono a questo successo tutte le trasmissioni televisive, i siti web, le pagine face book che ogni giorno ci indirizzano verso il Culto del Cibo. L’intestino supererà il cervello. Tutti chef e tutti sommelier e il Prodigioso Spaghetto Volante, in forte stato di ebrezza, è vero che abbia creato l’Universo.
Prepariamoci. Non più pellegrinaggi verso questo o quel Santuario ma andremo in Trentino da Felicetti o verso la Calamarata di Gragnano.
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Pirati pastafariani |
Il Pastafarianesimo è una vera Religione. Il Prodigioso Spaghetto Volante è il nostro Dio e Bobby Henderson il suo Profeta. Esiste il Libro Sacro ( Il Libro sacro del Prodigioso Spaghetto Volante edito in Italia da Mondadori) dove il povero Darwin e la sua evoluzione altro non sono che solo e solamente una teoria, la scienza solo un mucchio di teorie e gli scimpanzé sono superati dai Pirati dello Spaghetto.
E i Santi, i Beati? Barattolini di sughi e condimenti più o meno importanti. E i loro Cardinali, Arcivescovi, Vescovi fino ad arrivare a Arcipreti, Preti, Diaconi? I vari Vissani, Gracco, Barberi, Antonella Clerici e quanti, tutti i giorni, ci spiegano che non è figo chiedere un po’ di sale a tavola ma “mi porta del sale rosa himalayano” o ancor più figo “mi porta della salgemma cristallina pakistana Halite”.
La Chiesa Pastafariana Italiana del Mostro di Spaghetti Volanti è una realtà. Qualcuno che, guardando Master Chef o la Prova del Cuoco, è rimasto folgorato lungo la visione televisiva e ha ricevuto la divina vocazione può diventare un Sacerdote Pastafariano. Chi è proprietario di un ristorante sarà investito del Ministero del Culto e potrà così celebrare pranzi e cene nel nome del Mostro degli Spaghetti Volante. Chi possiede un bar, pub può diventare un Evangelista Pastafariano.
Dimenticavo: tranquilli, non è prevista alcuna rinuncia alle pratiche sessuali. Verrebbe da dire: si mangia, si beve e…
www.pastafariani.weebly.com per saperne di più
Un quarto della popolazione ai limiti della soglia di povertà, una legge finanziaria che rischia di acuire le diseguaglianze sociali; sullo sfondo, preoccupanti manovre di assestamento ai vertici di stato maggiore e intelligence
La morte di Hocine Ait Ahmed, uno dei comandanti storici della guerra di indipendenza, militante della democrazia e fondatore del Fronte delle forze socialiste (Ffs, partito di opposizione), il 23 dicembre, ha lasciato buona parte dell'Algeria nello sgomento persino la Presidenza della Repubblica, che ha proclamato otto giorni di lutto nazionale, in un paese che presenta diversi fattori di rischio di implosione. Primo fra tutti la caduta del prezzo del petrolio, che ha mostrato negli ultimi mesi la fragilità di un'economia troppo dipendente dall'esportazione di idrocarburi. Dallo scorso marzo, ad esempio, il Fondo di regolamentazione delle entrate (FRR, una sorta di fondo di stabilità) ha perso circa 20 miliardi di dollari, mentre il debito interno è balzato al 15% del prodotto interno lordo (Pil), ma l'unica strategia messa in campo in difesa dell'economia nazionale è un rigido controllo dei tassi di cambio, mirato a impedire eventuali fughe di capitali. A fine novembre, inoltre, l'aumento dell'inflazione al 4,9% rispetto a fine novembre 2014, suscita timori riguardo un possibile aumento dei prezzi dei prodotti alimentari (quasi totalmente importati). Un fatto che potrebbe riportare l'Algeria alla crisi che si è verificata tra 2010 e 2011, producendo un aumento dei prezzi di olio e zucchero. Allora, dopo pochi giorni di proteste di massa, il governo era intervenuto mettendo in campo una strategia basata (oltre che sulla repressione, con oltre mille arresti, un morto e più di 800 feriti) essenzialmente sull'assistenzialismo. Nulla contro la corruzione o per portare il paese, gradualmente, verso l'autosufficienza economica (un percorso nel quale Algeri potrebbe contare su l'estensione territoriale e su politiche di protezione o sviluppo del suolo).
Al contrario, a giudicare dalla legge finanziaria votata dal Parlamento algerino lo scorso 30 novembre, malgrado il boicottaggio del voto da parte del Fronte delle forze socialiste (Ffs), del Partito dei lavoratori (Pt), dell'Alleanza dell'Algeria verde (Aav) e del Fronte della giustizia e dello sviluppo (Fjd), Algeri ha adottato la linea delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica. Le opposizioni accusano il ministro dell'industria e delle risorse minerarie Abdeslam Bouchouareb (assente, peraltro, il giorno delle votazioni) di agire nel solo interesse degli uomini d'affari e dell'oligarchia al potere, modificando il testo del progetto di legge dopo la chiusura delle discussioni della commissione parlamentare creata ad hoc. Nel 2016, dunque, la spesa pubblica calerà del 9% e tra i settori maggiormente interessati dai tagli figurano l'istruzione e i servizi sociali. Inoltre, malgrado i rapporti internazionali (come quello pubblicato dalla rivista Forbes) evidenzino i numerosi punti deboli dell'economia algerina, che per il 98% dipende dall'esportazione di idrocarburi, Algeri continua a preoccuparsi delle sue riserve di gas e petrolio, che, si prevede, potrebbero esaurirsi nei prossimi quindici anni. Ovvero, la sicurezza alimentare continua a passare in secondo piano rispetto alla sicurezza energetica, che in realtà interessa più i paesi che importano idrocarburi che non l'Algeria. Una linea che, da un paio d'anni, include anche la ricerca e l'estrazione di idrocarburi non convenzionali, come il gas da scisto. A nulla sono servite le proteste che, da un anno, la popolazione di In Salah, e di altre regioni coinvolte, porta avanti contro un progetto che rischia (senza grandi prospettive di guadagno) di privare il paese delle poche speranze di sviluppo agricolo e di inquinare irrimediabilmente le falde acquifere in zone pressoché desertiche. Una vera bomba ambientale, se si pensa che tra le aree interessate c'è il governatorato di Reggane, dove tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso la Francia ha condotto esperimenti nucleari che continuano a provocare la morte di centinaia di persone per esposizione alle radiazioni.
Al vertice, intanto, oltre alle frequenti domande dell'opinione pubblica e dei giornali sullo stato di salute del presidente Abdelaziz Bouteflika (con implicazioni interessanti riguardo alla guida del paese), il gotha dell'esercito, dell'intelligence (il Drs, il Dipartimento dell'informazione e della sicurezza) e della guardia presidenziale è interessato da mesi da turbolenze inquietanti. Tutto inizia a metà giugno, quando il viceministro della difesa, generale Ahmed Gaid Salah indirizza una lettera di sostegno al neoeletto (anzi, al neo-rieletto) segretario generale del Fronte di liberazione nazionale (Fln, partito di Bouteflika, saldamente al governo dall'indipendenza), Amar Saadani. Un'ingerenza troppo esplicita, secondo molti osservatori, dell'esercito nelle vicende politiche, per almeno due ragioni. Anzitutto, la rielezione di Saadani è stata piuttosto controversa (ma il generale Salah la considera in ogni caso frutto di un plebiscito). In secondo luogo, Saadani è protagonista dal 2013 di una campagna politica e mediatica contro l'allora capo del Drs (Rab Dzayer, ovvero “Dio dell'Algeria”), il generale Mohamed Mediène, detto Toufik. Una sfida politica nella quale Saadani è arrivato ad accusare esplicitamente Mediène di essere responsabile della morte dell'ex presidente algerino Mohamed Boudiaf (ucciso il 29 giugno 1992) e dei monaci di Tibhirine (1996; un caso controverso, del quale la magistratura francese ancora si occupa). Così, con la sua lettera di sostegno, il generale Salah ha preso implicitamente posizione in quello che molti considerano un regolamento di conti in vista della successione alla Presidenza della Repubblica.
A metà settembre, a saltare è stata proprio la poltrona di Mediène, 75 anni, da venticinque saldamente a capo dell'intelligence militare. E, aspetto più preoccupante, artefice dell'equilibrio tra esercito e servizi segreti sul quale si fonda la stabilità dell'Algeria. Toufik è stato dunque rimpiazzato dal suo ex-vice, il generale Athmane Tartag, detto Bachir, in passato direttore della Sicurezza interna (Dsi), in seguito rimosso e poi reintegrato nello stato maggiore come consigliere della Presidenza della Repubblica. Il 10 settembre, inoltre, era stato “mandato in pensione” l'ex capo della gendarmeria nazionale, il generale Ahmed Bousteila (fino ad allora considerato inamovibile). Ma il caso di Toufik suscita preoccupazioni maggiori perché nel 2010 il Drs aveva aperto inchieste scottanti sugli scandali in cui era coinvolta la compagnia petrolifera nazionale Sonatrach e l'ex ministro dell'industria e delle risorse minerarie Chahib Khelil, personaggio molto vicino a Bouteflika. Altro elemento a favore della “pista” del regolamento di conti ai vertici dello Stato è l'arresto del generale in pensione Hocine Benhadid e di suo figlio, lo scorso 30 settembre. Infatti Benhadid (che ha trascorso il suo periodo di formazione negli Stati Uniti), nel 2014, alla vigilia delle elezioni presidenziali, si era espresso molto criticamente a proposito dell'eventuale quarto mandato di Bouteflika (“non può né parlare né alzarsi in piedi sarebbe uno scandalo di fronte all'opinione pubblica nazionale e internazionale”, aveva detto), accusando quest'ultimo di indebolire intenzionalmente il Drs per difendere se stesso e il suo clan dalle accuse di corruzione.
In tutto, Algeri ha dunque mandato in pensione 14 generali del Drs e 37 ufficiali dell'esercito, responsabili in vario grado dell'antiterrorismo. Una mossa che ha seguito di poco lo smantellamento del Gruppo di intervento speciale (Gis, importante durante il decennio nero degli anni '90) e l'integrazione della Guardia presidenziale nella Guardia repubblicana. Ufficialmente, un tentativo di rendere più efficiente l'intelligence militare in un momento di alta tensione nel Sahel (in particolare in Libia). Due i casi che vale forse la pena di citare: quello del generale Abdelkader Ait Ouarabi, detto Hassan, e quello del generale Djamel Kehal Medjdoub. Il generale Hassan, dal 2006 a capo del Servizio di coordinamento operativo e di informazione antiterrorista (Scorat, élite dei servizi segreti da un anno accorpata allo stato maggiore dell'esercito), è stato arrestato lo scorso 27 agosto, con l'accusa di distruzione di documenti e infrazione alle consegne, che gli è costata una condanna a cinque anni di prigione dopo un'udienza a porte chiuse nel tribunale militare di Orano, il 26 novembre. Il fatto in questione risale al 2013, poco dopo l'attentato di una cellula di al-qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) a Tiguentourine, in cui sono morti 37 ostaggi e 29 terroristi. Avendo scoperto un traffico di armi tra la Libia e gruppi affiliati ad Aqmi, il generale Hassan avrebbe deciso di lanciare un'operazione segreta per fermarlo. Di ritorno dalla missione (conclusa peraltro con “successo”), gli uomini di Hassan vengono però intercettati da una pattuglia dell'esercito, con il carico di armi sequestrate. Inizialmente arrestati, sono stati liberati poco dopo, mentre Hassan è stato convocato a febbraio 2014 dalla magistratura militare per “spiegazioni”. Dopo una lunga audizione, anche lui era tornato in libertà, quindi l'affaire sembrava chiuso, almeno fino al 27 agosto. A far discutere sono stati, in particolare, due aspetti: anzitutto il fatto che Hassan rendesse conto delle sue operazioni solo a Toufik; poi, la sua posizione critica riguardo ai ripetuti tentativi della Presidenza della Repubblica di indebolire il Drs. Dopo il suo arresto, peraltro, ad intervenire in suo favore era stato proprio Toufik, con una lettera inviata a diverse testate algerine, caso unico nella storia. Analoga la vicenda che ha coinvolto il generale Medjdoub, ex capo della sicurezza presidenziale (Dgspp, Direzione generale della sicurezza e della protezione del presidente), condannato il 2 dicembre, dal tribunale militare di Costantina, a tre anni di prigione per il tentativo di “intrusione” condotto nella notte tra il 16 e il 17 luglio contro la residenza di Bouteflika a Zeralda, a Ovest di Algeri. Di questa tentata infiltrazione, i motivi non sono mai stati rivelati ufficialmente, ma si sa che è costata il posto, oltre che a Medjdoub, anche al generale Ahmed Moulay Meliani (capo della Guardia repubblicana) e ad Ali Bendaoud (direttore della sicurezza interna, Dsi).
Posizionato sul tetto del Palazzo Real Casa del Correo a Madrid
attenderà la mezzanotte del 31 Dicembre
Alzi la mano chi non ha mai bevuto un bicchierino di sherry Tio Pepe. Nella mia terra, la Versilia, lo Sherry Tio Pepe negli anni ’60/’70 era un mito, anzi, il mito dell’ora dell’aperitivo.
Alla Bussola di Bernardini alle Focettte, alla Capannina di Franceschi a Forte dei Marmi e da Oliviero a Marina di Massa aspettavamo l’inizio delle notti “folli” sorseggiando Tio Pepe. Poi fiumi di champagne; ma all’alba, dopo il rito del “risotto di Carletto Pirovano”, si concludeva nuovamente con un Tio Pepe.
I ricordi della mia giovinezza che mi hanno assalito nella Sala Czerny al primo piano del Kurhaus durante il Merano Wine Festival.
La Sala Czerny, dedicata dagli Ausburgo al grande musicista allievo di Beethowen, ospita da molti anni, durante la manifestazione meranese, le Aziende estere. E tra i numerosi tavoli dell’edizione 2015 quello spagnolo della Gonzales Byass, desde 1835, Familia de Vino.
Come tutte le storie miste a leggende anche quella di Gonzales Byass e del suo Tio Pepe non sfugge all’icona del nato per caso, in una piccola cantina e poi con il mix di coraggio, caparbietà, dedizione raggiungere ogni parte del mondo. Da non dimenticare la passione dell’arte concretizzata nelle costruzioni delle varie cantine, una delle quali, la Concha, progettata ed edificata da Gustav Eiffel (sì proprio lui, quello della Torre di Parigi).
La realizzazione, da parte di Gonzales Byass, di un impero vinicolo. Non solo; anche un patrimonio architettonico unico tanto da meritarsi la possibilità di posizionare, in via del tutto eccezionale, una propria insegna gigantesca sui tetti di un Palazzo nella Plaza Puerta del Sol a Madrid divenendone parte architettonica integrante (esiste una disposizione di legge che proibisce insegne sopra i tetti nella capitale spagnola).
L’appellativo curioso Tio Pepe deriva dal nome dello zio del fondatore, Tio José (Pepe). Come non fuggire dalla storia mista a leggenda.
Interessa di più Il musicista di flamengo, l’icona di Tio Pepe e non a caso. I conoscitori di questo stile musicale organizzato intorno al canto e alla poesia sanno che il ruolo del chitarrista è quello di predisporre un "tappeto sonoro" intervallando il canto con degli assoli melodici. Quante analogie, attinenze con lo sherry. Assolo negli aperitivi, nei momenti di meditazione, ma anche come accompagnatore di piatti e pietanze particolari. Del resto flamengo e sherry sono parti sostanziali e fondamentali della cultura andalusa.
Durante l’evento meranese 2015 mi sono fermato al tavolo Gonzales Byass ed ho effettuato alcuni assaggi.
Tio Pepe Palomino Fino. Contrariamente a quanto credono molti consumatori italiani lo sherry non è solo un vino esclusivamente dolce. Può essere sia dolce sia secco, a seconda del processo di vinificazione e dell’invecchiamento che il prodotto subisce. Il Tio Pepe è uno sherry decisamente secco prodotto da uve Palomino e rientra nella categoria Fino. È quindi adatto per accompagnare i piatti spagnoli come tapas, paella e il pregiato prosciutto Pata Negra. Ma la sua versatilità lo rende eccellente anche su piatti a base di pesce e ai moderni, per noi italiani, sushi e sashimi. Tio Pepe Palomino Fino è perfetto per un innovativo happy hour.
Essendo il tavolo utilizzato dall’Azienda Gonzales Byass per la presentazione della propria gamma di Sherry, non ho potuto astenermi da ulteriori assaggi oltre il Fino, passando per il Del Duque Amontillado, l’Oloroso, il Soleras Cream 1847 approdando al Noe da uve Pedro Ximenes (PX), quello dolce per eccellenza ottenuto con il metodo solera y criadera.
Negli anni ’90 e nei primi dieci del nuovo secolo c’è stata una sostanziale e generale flessione verso il consumo dei Vini liquorosi. Ne hanno risentito il Marsala, Porto, Madeira, Malaga, Sherry soppiantati, al momento del rito giornaliero degli Happy Hour, dalle mode dei cocktail’s dai nomi esotici.
Adesso in Spagna è il momento del “Rebujito”, una bevanda rinfrescante a base di limonata, ghiaccio, fetta di limone e Tio Pepe. Ha inizio di nuovo il suo consumo, il suo ritorno.
Nella Plaza “Puerta del Sol” a Madrid il musicista di flamengo dal tipico cappello rosso, sorride nell’ora della movida madrilena dall’alto del tetto del Palazzo Real Casa del Correo, l’attuale Palazzo della Regione e quest’anno attenderà i rintocchi dell’orologio del palazzo alla mezzanotte del 31 Dicembre per festeggiare alla grande il suo ritorno: la rinascita di Tio Pepe.
Diversamente da quanto riportato nei Vangeli canoni in merito alla poca considerazione di Gesù per gli animali e l’astinenza dalla carne, in alcuni episodi dei Vangeli apocrifi troviamo un Gesù tutt’altro che indifferente verso la condizione degli animali .
In un primo tempo i Vangeli apocrifi non erano affatto considerati tali, e alcuni Padri della Chiesa si fecero garanti di quei testi poi condannati. La maggior parte degli antichi teologi di derivazione apostolica li ritennero assolutamente veri e alcuni talvolta preferiti a quelli neotestamentari. E talune parti vennero anche interpolate nei testi canonici, come il Protovangelo di Giacomo a cui fa riferimento la Chiesa per ciò che concerne alcuni episodi della madre di Gesù. Il Padre della Chiesa Clemente Alessandrino, tra il 190 e il 210, annovera tra le sacre scritture il Vangelo degli Ebrei e il Vangelo degli Egizi e numerose lettere apostoliche poi considerate eretiche.
Nel Vangelo degli Ebrei Gesù dice: "Sono venuto ad abolire i sacrifici e se non cesserete di fare sacrifici non si allontanerà da voi l'ira di Dio".
Nel Vangelo degli Ebioniti (comunità vegetariana con un profondo rispetto per gli animali) quando un discepolo gli chiede: "Dove vuoi che prepariamo per te, per consumare la Pasqua? Gesù risponde: "Ho forse manifestato il desiderio di mangiare carne con voi questa Pasqua"?
Nell’aramaico “Vangelo della vita perfetta” si legge: “Maledetti siano i cacciatori perché saranno a loro volta cacciati”.
Nelle pergamene del Mar Morto, scoperte nel 1947 in una località dove vissero gli Esseni, l’Angelo dice a Maria: “Tu non mangerai carne né berrai bevande forti perché il bambino sarà consacrato a Dio dal ventre di sua madre.” Negli stessi testi Gesù dice: “Siate rispettosi e compassionevoli non solo verso i vostri simili ma verso tutte le creature poste sotto la vostra tutela”. E troviamo ancora Gesù che rimprovera aspramente i pescatori: “Forse che i pesci vengono a voi a chiedere la terra e i suoi frutti?” Lasciate le reti e seguitemi”.
Il Vangelo dei Dodici Santi, riscoperto nel 1888 e tradotto dall'Aramaico dal Reverendo Gideon Jasper Ouseley: " Queste sono le creature vostre compagne della grande casa di Dio, sono vostri fratelli e sorelle e condividono lo stesso respiro di vita nell'Eterno. E chiunque si prenda cura di una delle ultime di queste donandole da mangiare e da bere secondo le sue necessità è come se lo facesse a me." Prima di tutte le cose c'è l'amore, amatevi gli uni con gli altri e amate tutte le creature di Dio, e da questo tutti gli uomini sapranno che siete miei discepoli".
Dal Vangelo Esseno della Pace di Gesù Cristo secondo l’apostolo Giovanni delle Chiese Cristiane d’Oriente, originale in aramaico del 3° sec. d.C. Bibl. Vat. 156-P, pubblicato nel 1928 da Edmond Bordeaux Szekely, tradotto da un antico manoscritto da lui scoperto nell’archivio segreto del Vaticano:
“Io in verità ve lo dico: colui che uccide uccide se stesso e colui che mangia la carne degli animali abbattuti mangia un corpo di morte. Io vi chiederò conto del loro sangue spumeggiante, il loro sangue nel quale dimora l’anima. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso. Chi uccide un animale uccide suo fratello e la carne degli animali uccisi nel suo corpo diventerà la sua stessa tomba. Chi si nutre della carne degli animali uccisi mangia un corpo di morte. Non uccidete e non mangiate la carne delle vostre prede innocenti se non volete diventare schiavi di Satana: questo è il sentiero che conduce alla morte attraverso la sofferenza. Poiché la vita viene solo dalla vita e dalla morte viene solo la morte. Non uccidete dunque né uomini né animali perché i vostri corpi diventano ciò che mangiate e il vostro spirito ciò che pensate. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso come di ogni uomo”.
- Il Libro Esseno di Mosè: “Non ucciderai nessuna cosa vivente: la vita viene solo da Dio che la dà e la riprende”.
- La Pace Settupla, Gesù dice: “Se qualcuno che soffre dolori e gravi affezioni vi chiede aiuto, esortatelo a rinnovare se stesso col digiuno e la preghiera. Ditegli di invocare l’Angelo del Sole, l’Angelo dell’Acqua e l’Angelo dell’Aria affinché essi possano entrare nel suo corpo e scacciare il potere di Satana. Persuatelo a mangiare sempre alla mensa apparecchiata con i doni di nostra Madre Terra: i frutti degli alberi, le erbe dei campi. Egli non dovrà evocare il potere di Satana nutrendosi della carne degli animali perché chi uccide uccide suo fratello e chi mangia la carne di bestie uccise mangia il corpo della morte. Ditegli di preparare il suo cibo con il fuoco della vita non con il fuoco della morte”.
Come conciliare la legittimità del consumo di carne della Chiesa con le molte dichiarazioni di molti Padri, Santi della prima Chiesa cristiana e le stesse regole della maggior parte dei Fondatori di Ordini monastici sviluppatisi dopo la morte di Gesù?
I PADRI DELLA CHIESA
Eusebio di Cesarea diceva che tutti gli apostoli di Cristo si astenevano dalla carne. Secondo Eusebio, Egesippo scrive nella Storia della Chiesa che Giovanni non mangiò mai la carne.
Tertulliano scrive che durante i primi secoli i cristiani primitivi non toccarono mai carne: “Non è permesso a noi cristiani assaggiare pietanze nelle quali potrebbe essere stato mescolato il sangue di un animale .
S. Pietro nelle Omelie Clementine, XII,6 rec. VII,6. afferma: “Mangiare carne è innaturale quanto la pagana adorazione dei demoni. Io vivo di pane e olive, ai quali aggiungo solo di rado qualche verdura”.
S. Girolamo affermano: “Dopo che Cristo è venuto non ci è più consentito mangiare la carne”.
S. Ambrogio afferma: “La carne fa cadere anche le aquile che volano”.
S. Giovanni Crisostomo scrive: “Mangiare la carne è innaturale e impuro”.
Gregorio di Nazianzo: “L’ingordigia di pietanze a base di carne è un’ingiustizia abominevole”.
Basilio il Grande: “Il corpo appesantito con cibi a base di carne viene afflitto dalle malattie. Si può difficilmente amare la virtù quando si gioisce di piatti e banchetti a base di carne. La carne è un alimento contro natura che appartiene ad un mondo passato” .
S. Clemente Romano dice che S. Pietro si nutriva di pane, olive ed erbe.
Porfirio: “Gesù ci ha portato il cibo divino, il cibo carneo è nutrimento dei demoni”.
S. Clemente Alessandrino: “La carne ottenebra l’anima. Dobbiamo cibarci come Adamo prima della caduta, non come Noè dopo il peccato. I nostri corpi sono simili a tombe di animali uccisi. Credo che i sacrifici cruenti siano stati inventati solo dalle persone che cercavano un pretesto per mangiare carne”. Diceva pure che Matteo si nutriva di semi, frutta ed erbaggi. (Pedagogo II,1-16).
I DANNI DI SAN PAOLO
S. Paolo: “Tutto è mondo, d’accordo: ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale tuo fratello possa scandalizzarsi (Lettera ai Romani: 14-20).
“Tutto è lecito ma non tutto è utile. Tutto ciò che è in vendita sul mercato mangiatelo pure, senza indagare per motivo di coscienza. Se qualcuno vi invita, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza” (Lettera ai Corinzi: 10-27).
“Forse che Dio si prende cura dei buoi”? (Lettera ai Corinzi. 9-9).
Nel concetto giudaico, la sofferenza e il sangue versato dell’innocente purifica le colpe del peccatore: “Quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono” (Lettera agli Ebrei: 9-22).
Il giovane rapper romano è diventato popolare dopo aver pubblicato su youtube un brano con delle citazioni in latino 'Ego sum Kaligola'. Porta nel rap la sua passione per la storia e per la poesia, arrivando sul palco dell'Ariston tra le giovani proposte di Sanremo 2015. Ora ha all'attivo un album 'Oltre il giardino' e continua con impegno a dedicarsi allo studio e alla musica.
La storia è la concreta testimonianza di ciò che siamo, dal passato possiamo capire ciò che è accaduto e conoscere i personaggi che hanno rivoluzionato o cambiato con le loro azioni il corso degli eventi. Non sempre i ragazzi di oggi sono interessati a conoscere e studiare la storia, non è il caso di Gabriele Rosciglione, giovane rapper romano, che ha scelto come suo nome d'arte quello di un folle imperatore: Caligola. E' ancora uno studente Gabriele, frequenta il liceo scientifico ed è appassionato non solo di storia, ma anche di poesia, fotografia, botanica e cinema. E' arrivato alla notorietà postando in rete un brano rap con citazioni in latino 'Ego sum Kaligola', poi da lì il successo è stato immediato, lo abbiamo visto sul palco dell'Ariston tra le nuove proposte di Sanremo 2015, era il più giovane dei concorrenti in gara. Inevitabile non notare il talento di questo ragazzo che si distinge non solo per la sua età, ora ha diciassette anni, ma anche per le sue capacità artistiche. Kaligola da Sanremo è uscito più maturo, determinato, continua ad impegnarsi nello studio e si dedica alla musica, ha scritto e composto tutti i brani che fanno parte del suo primo album 'Oltre il giardino', con la collaborazione per gli arrangiamenti e la produzione di Enrico Solazzo e Dario Rosciglione. Il rap è un genere che sta riscontrando interesse nel panorama musicale italiano, anche se sembra essere molto spesso legato al pop, nello stile di Kaligola invece gli arrangiamenti diventano sperimentazioni con il jazz, il funk, a volte addirittura con la musica classica. Forse è proprio questo a renderlo interessante, quel suo modo di unire musica, poesia e arte in genere completa il profilo di un giovane che farà sicuramente parlare ancora molto di sé.
Sei giovanissimo e con un nome d'arte davvero particolare: Kaligola, che ci riporta al Caligola imperatore e all'opera teatrale di Albert Camus, perchè questa scelta?
"Ho scelto questo nome quando ho iniziato a scrivere canzoni, perché mi aveva colpito molto, studiando la storia romana, il personaggio dell'imperatore Caligola: un pazzo, eccentrico, ma che tuttavia agiva sotto una logica precisa. A proposito dell'opera di Camus, ho comprato da poco il libro e cercherò di leggerlo il prima possibile, è molto interessante capire come è stato interpretato durante i secoli questo personaggio e sopratutto sono curioso di vederlo descritto dal grande Camus".
Ti abbiamo visto a Sanremo 2015 tra le giovani proposte con il brano "Oltre il giardino", come hai vissuto l'esperienza del palco dell'Ariston?
"Molto Bene, è stata una grande emozione salire su quel palco, sin dalle prime prove. In generale mi sono divertito tutta la settimana del festival, è stato qualcosa di veramente fantastico".
Come è nato il tuo interesse per la musica, in modo particolare per il rap?
"Ho sempre amato la musica ed essendo nato in una famiglia di musicisti ne ho sempre ascoltata tanta . Il rap mi piaceva già da bambino: ascoltavo principalmente i rapper del momento, come Eminem, 50 Cent e Sean Paul. Tuttavia verso gli undici anni mi ero appassionato in particolar modo per la musica classica e per le colonne sonore dei film e il mio sogno era proprio quello di diventare un compositore cinematografico. Qualche anno dopo è ritornata la passione per il rap e piano piano ho iniziato a scrivere".
Cos'è per te la poesia?
"E' l'arte più fragile".
Ci parli del brano "ll rimorso" tratto dall'album "Oltre il giardino"?
"In questa canzone parlo, come si può capire dal titolo, del rimorso, che è alla fine di ogni azione sbagliata nell'animo di chi capisce di non aver agito nel bene proprio o altrui. Nello specifico racconto la storia di due uomini le cui vite si intrecciano e si incontrano in un rimorso comune. Prima del rimorso, prima dell'azione, c'è pero' il pensiero che li condanna".
Pagina ufficiale di Kaligola su FB: https://www.facebook.com/Kaligolaofficial/photos_stream
Egregio De Rita,
in primis, mi è ignoto da dove lei abbia appreso che gli italiani, oggi, si sentano estranei ad una guerra eventuale, perchè lei purtroppo non ne parla nel suo articolo. Per cui, mi pare sinceramente una sua completa deduzione, soggettiva. Soggettività che, nel suo articolo lei cita, peraltro, come causa di egoismo e del senso di separazione dallo Stato, dalla guerra, e forse dalla società tutta.
In secundis, vorrei sapere per quale ragione al mondo, bisognerebbe sentirsi disponibili a partecipare, di persona o in spirito, ad una guerra di cui, innanzitutto i mass-media più importanti negano evidentemente le cause ed i responsabili. Basta infatti seguire l’approfondimento delle notizie, su siti e blog fuori dal sistema main-stream, perchè emergano tutte le contraddizioni e le follie operate dai nostri politici e dimenticate o negate dai giornalisti, per ciò che attiene alla guerra già in corso.
Peraltro, lei cita la storia di Bush in Iraq e Sarkozy in Libia - eventi che hanno ampiamente dimostrato la follia di ambedue gli interventi e di cui stiamo pagando, giorno dopo giorno, a piè di lista, le conseguenze – cosa che, semmai, dovrebbero indurci, non certo ad imbracciare le armi, per andare a combattere una guerra che sta seguendo con chiarezza quello stesso filone d’intervento geopolitico, miope (e guidato da interessi non certo delle popolazioni europee), ma piuttosto a scardinare una parte delle attuali istituzioni, che ci stanno portando nella direzione della guerra. Nonchè i loro portavoce: i media di regime.
Infine, lei parla di “Essere o non essere una nazione solida e determinata”.. Mi scusi: ma qui l’intero sistema politico del nostro Paese sta scardinando, giorno dopo giorno, l’impianto costituzionale e con esso tutte le strutture pubbliche che ne sono espressione, e lei mi ritira fuori “la nazione solida e determinata”? Piuttosto, faccia pace col cervello, ed esprima un pò di coerenza e di rispetto, e di scuse (sopratutto) verso un popolo che è stato preso per il culo, non solo dalla sua classe politica – che oramai ha imbastito un sistema che si auto-riproduce, al di fuori di qualsiasi rapporto con la società (questa si chiama cieca soggettività) – ma di conseguenza, anche da tutti gli altri politici stranieri che a quelli nostrani hanno chiesto di fare “questo e quello”, cioè di tutto, meno che l’interesse del proprio popolo.
Perché gli italiani non si sentono in guerra
Corriere della Sera, venerdì 11 dicembre 2015
«Siamo in guerra». «Chi, io?». Se qualcuno volesse capire come l’italiano medio viva l’attuale drammatica congiuntura internazionale troverebbe la risposta più confacente proprio in quell’interrogativo, che ben riassume una radicata estraneità alle tensioni belliche.
C’è tutto l’italiano d’oggi, antico e postmoderno insieme, in quel dichiarare «non mi compete». C’è la quasi ingenua ammissione di non essere adeguatamente pugnace; c’è l’antica prudenza di star lontano, se possibile, dalla linea del fuoco; c’è la sottintesa cinica propensione al «se posso, svicolo»; c’è l’abitudine ad allontanare l’angoscia e il ricatto di chi fa dell’angoscia un’arma di guerra; c’è l’implicito trincerarsi nella quotidianità e nella costanza degli stili di vita; c’è la constatazione che è quasi impossibile decifrare e capire la complessità di quel che sta avvenendo; c’è la resistenza a farsi trascinare dalle altrui pulsioni (tutti ricordano che facemmo male a seguire Bush in Iraq e Sarkozy in Libia); e c’è in fondo un antico fatalismo verso gli eventi che non si possono dominare, magari con la riscoperta di un po’ di impaurita devozione creaturale (quante preghiere e quanti ex voto hanno costellato la nostra vita collettiva, dal ’40 al ’45!).
Essere o non essere una nazione solida e determinata. Questo è sempre stato il nostro dilemma, cui si può attribuire la frequente non eroica resistenza al «prendere armi contro un mare di guai e, combattendo, por fine ad essi». Oggi quella resistenza ritorna, mettendo in ombra e forse sottovalutando guai che per alcuni sono inseriti in un epocale scontro di civiltà, così violento da chiamare a una mobilitazione di massa, al limite anche bellica. Ma non opera soltanto la tradizione storica sotto tale resistenza; opera anche, e forse specialmente, la specifica evoluzione strutturale degli ultimi settant’anni, durante i quali, complici silenziosi la pace e la democrazia, siamo diventati una società ad alta, anzi altissima soggettività, dove ogni problematica viene ricondotta all’io individuale (mia è l’azienda, mio è il tempo, mio è il lavoro, mio il figlio, mio il corpo, mia addirittura la morte) in una grande frammentazione molecolare dei sentimenti e anche degli interessi. E a tale coazione egocentrica non può sfuggire un evento come la guerra (è difficile pensare un italiano che dica «la mia guerra»).
Se si pone attenzione a ciò, si capiscono facilmente le difficoltà che incontra la politica, stretta fra quella necessità di un collettivo noi (la nazione, l’Europa, l’Occidente) che è indispensabile per gestire i conflitti internazionali e la necessità di un consenso interno tutto condizionato dall’imperante soggettività dell’«io che c’entro?». Stretta, in altre parole, fra le spinte a schierarsi con alleati vecchi o nuovi e la vocazione a navigare prudentemente nei flutti degli avvenimenti. Dio non voglia che arrivi il momento in cui dovremo schierarci; e più ancora che ci si schieri con l’avventatezza dell’ultimo momento. Di solito non ci riesce bene.
Giuseppe De Rita