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Nello Fiorillo, giovane cantautore napoletano, torna con un nuovo album ‘Adesso più che mai’, un lavoro discografico che vanta la collaborazione con tanti professionisti del settore, da Amedeo Perrotta ad Angelo Arcamone, ma ciò che lo rende ancora più interessante è quel mettersi in gioco dell’artista interpretando alcuni brani in dialetto, rispettando i canoni della musica napoletana. Ritmo, attenzione e cura nei testi e negli arrangiamenti, questa volta c’è qualcosa in più nel disco, la voglia di cantare, di regalare emozioni, raccontando l’amore, quello autentico, fatto di ombre, di paure, di mancanze. Insiste nel concentrarsi in questo sentimento Nello Fiorillo e lo fa attingendo al suo vissuto, alle esperienze personali, che lo hanno profondamente segnato. In dieci tracce prende forma l’espressione di un amore mai dimenticato, che continua a pesare sul cuore.
Dopo l’album ‘Il cuore non si arrende’ torni con un nuovo progetto discografico ‘Adesso più che mai’, un disco dove ancora una volta racconti l’amore, con dei pezzi anche in napoletano. Che cosa è racchiuso in questo album?
‘Adesso più che mai’ è un viaggio lungo sei mesi, in cui sentivo il bisogno di raccontare ciò che mi stava accadendo, in questi mesi la mia vita è cambiata radicalmente, ed io partendo da una forte autocritica verso me stesso ho provato a raccontarlo. In tanti anni che scrivo, raramente l’ho fatto in dialetto. In questo disco è stato tutto più semplice, quasi naturale, forse perché racconto storie di tutti, quelle che vedi passeggiando nei vicoli di questa città. L'aiuto di Amedeo Perrotta ed Angelo Arcamone è stato vitale, hanno subito sposato il progetto e con me hanno scritto pezzi di cui sono davvero orgoglioso, spero davvero che il mio pubblico li possa apprezzare.
Nel disco non mancano le collaborazioni, mi riferisco in particolare al duetto con una giovanissima cantante. Come è nato questo incontro artistico?
Ho sempre cercato di unire lo spirito dei giovani come me ad esperti del settore, come è successo anche nei mie album precedenti. In realtà in questo album avevamo scritto un duetto bellissimo che abbiamo proposto ad un artista nazionale molto, molto nota...dopo aver accettato però non se ne è fatto più nulla, in una emittente locale incontrai questa giovanissima cantante che io non conoscevo, rimasi stupito...La feci contattare dal mio webmaster Gennaro Napole, e scoprimmo che abitava a 300 metri da casa mia...il pezzo secondo me, farà molto rumore, questa piccola artista farà dei numeri impressionanti.
Sei molto amato e seguito nella tua terra, ci racconti qualche episodio particolare avvenuto durante i live, tra la gente?
Forse l'immagine più bella che ho di tutti i miei concerti è quella di vedere le persone stupite, nel vedere la mia disponibilità prima e dopo il concerto nel fare foto ed autografi, penso sia il minimo che io possa fare per il mio pubblico che mi sostiene da anni.
La promozione di un disco è fondamentale, che rapporto hai con i social e come ti attiverai per far conoscere ad un ampio pubblico questo nuovo lavoro?
La promozione è diventata negli anni sempre più importante per un artista, specie se autoprodotto come me. Il web è stato sempre il mio punto di forza, anche perché è partito tutto da lì, nel lontano 2006 quando ai tempi di My Space iniziai a far conoscere le mie prime canzoni. Farò come ho sempre fatto, social,tv e radio locali...ma la promozione migliore è quella delle piazze, anche se devo ammettere che su scala nazionale i numeri che ho fatto nel 2015 e 2016, ad esempio come streaming, su portali mondiali come Dezeer e Spotify, vanno oltre un milione trecentomila click, superando tantissimi artisti di fama nazionale, questo dovrebbe far riflettere le major.
Il "Dio esiste e vive Bruxelles" di Jaco Van Dormael e' uno di quei rarissimi films in cui la risata si mescola con i lacrimoni caldi di tenerezza. Il regista ci trascina, infatti, in una dimensione surreale in cui pensiero filosofico, riflessioni teologiche, volontà' trasgressiva, pulsioni iconoclastiche e afflati mistico-teosofici si intrecciano in una costruzione narrativa irriverente quanto incalzante.
Filosofia gnostica, religiosità cosmica e umanitarismo (sfociante nell'animalismo): questi gli ingredienti-base. Ma tutto e' inzuppato in un'inarrestabile creatività immaginifica e arcicondito da vagonate di ironia che sa volare fresca e leggera "comme l'oiseau et non comme la plume".
Il film e' un caleidoscopio di pensiero demitizzante e di slanci filantropici, di corrosiva sensibilità' critica, di scoppiettante empatizzazione cosmica.
Non certo un film per bigotti e conservatori di qualsivoglia parrocchia, bensì un film per chi non ha paura dei ribaltamenti prospettici e per chi, al di là' dell'orrore e dell'assurdo, sa ancora meravigliarsi e commuoversi per il battito di un cuore innamorato, per una mano che afferra un'altra mano, per un orizzonte che si allarga all'improvviso attraversato da mille voli di uccelli ...
Questo era, più o meno, il senso del discorso del dr. Del Toma nella trasmissione televisiva di domenica 17 gennaio su Rai 1 sul tema “Veleni nel piatto”. La sua posizione, ormai arcinota, è che i vegetariani (e i vegani in particolare) sono degli avventati estremisti. E mentre tratta con sufficienza le nostre argomentazioni asserisce che l’alimentazione convenzionale/industriale consente di nutrire l’umanità che in fondo gode buona salute. Che è ridicolo pensare che consumare insaccati due tre volte a settimana, pesce, formaggi, uova, bere caffè o fumarsi una sigaretta dopo i pasti, possa determinare patologie. In sostanza non bisogna criminalizzare l’attuale sistema di vita perché tutto dipende dalle quantità che se assunte con moderazione tutto fa bene alla salute. Ma uno studio recente su un quarto di 4500 anziani è stata riconosciuta la diagnosi di malnutrizione (Farma Magazine 1/16), dimostra che la popolazione sta tutt’altro che in buona salute.
Molto probabilmente (a parte l’aspetto etico) e a parte quanto affermato ultimamente dall’OMS in merito alla dannosità della carne indipendentemente
dai quantitativi, consumare 2-3 uova a settimana, o bere 2 caffè al giorno, una porzione di pollo, o di pesce,o di formaggio, o degli insaccati, o una frittura, o bere due bicchieri di vino, o una coca cola e, magari fumare una sigaretta dopo i pasti (come prevede il dr. Del Toma), non determina gravi patologie; ma dimentica di dire “a condizione che uno abbia una vita sana e che consumi solo quello”; succede invece che chi vive e si alimenta in modo convenzionale consumi tutto questo nella stessa giornata ed è non solo il singolo componente, di per se stesso dannoso, ma la sommatoria delle
stesse, l’effetto sinergico, l’interazione, l’accumulo a causare problemi di salute. E cita anche Churchill che pur fumando molti sigari è vissuto fino a
tarda età; dimenticando che l’eccezione non è la norma e che una persona normale in pochi giorni finirebbe in sala di rianimazione.
Ed è pretestuoso il fatto che tutto dipende dall’inquinamento dal momento che le morti per inquinamento ogni anno in Italia sono circa 34.000 ben
lontano dei 230.000 morti per problemi legati all’alimentazione.
L’attuale popolazione occidentale, e non solo, è la più malaticcia di tutte le generazioni precedenti: non c’è malattia che non sia in preoccupante aumento; non solo emergono malattie finora sconosciute ma si manifestano in età sempre minore al punto che alcuni bambini ne sono colpiti fin dai primi
anni di vita: è sufficiente entrare in un ospedale, una clinica, un laboratorio, una farmacia per rendersi conto dello stato di malessere generale della popolazione dove una enorme e dolorante massa si riversa ogni giorno in cerca di terapie. E tutto questo è attribuibile al fatto che usa mangiare “un pò di tutto”, secondo quanto consigliato dai nutrizionisti televisivi. Ma la salute è come la coscienza: tiene conto di tutto.
A mano a mano che nel corso del tempo la popolazione ha adottato l’alimentazione industrializzata sono aumentate le patologie di derivazione alimentare. Nel 1856 i malati di cancro erano 18/100.000, nel 1922 erano 1.200/100.000. Nel 1900 moriva di cancro una persona su 30, oggi ne muore
una su 3 e le proiezioni dell’OMS dicono che le morti per cancro raddoppieranno entro il 2050. Come è strumentale attribuire l’incremento del cancro all’aumento della vita media, non solo perché dovremmo morire di vecchiaia non di tumore, ma bisognerebbe avere le medesime condizioni di vita tra le popolazioni passate e le attuali che se avessero avuto il nostro stesso benessere, le medesime possibilità e l’immenso apparato sanitario sicuramente sarebbero vissute più a lungo delle attuali. Mentre oggi un individuo passa gli ultimi 20 anni della sua esistenza cercando di curarsi, e succede che all’inquinamento generale associ il danno collaterale dei farmaci.
Non vi è patologia che non sia in aumento, specialmente le cronico-degenerative: le statistiche dicono che ogni 8 donne una si ammalerà di un tumore alla mammella, e una ogni 36 svilupperà un tumore al polmone, 1 uomo ogni 7 un tumore della prostata, un uomo su 10 e una donna su 17, un tumore del colon-retto.
I nuovi casi di tumore aumentano costantemente dagli ultimi 50 anni ad oggi a livelli da epidemia, basta confrontare i dati degli anni Ottanta con quelli più recenti: i linfomi e leucemie sono passati dal 15 al 20%; i mesoteliomi a più 37% nelle donne e più 10% negli uomini; i tumori della mammella a più 27%; il cervello tra l’8 e il 10% in più; il fegato tra il 14-20%. E se se si guarda ai bambini la situazione è drammatica. La percentuale è maggiore in quelle zone più inquinate dove si consumano più prodotti industriali e di derivazione animale. E questo non può essere attribuibile solo agli inquinanti che entrano nella nostra catena alimentare, ma soprattutto a causa dei prodotti animali che assommano e concentrano gli effetti nocivi in misura enormemente superiore rispetto ai vegetali.
Si sono spenti i riflettori sulle giornate di AltaRoma che dal 28 al 30 gennaio hanno presentato le collezioni di alta moda per la primavera/estate 2016. Sulle già gloriose passerelle romane – un tempo rendez vous dei più grandi sarti e stilisti internazionali – si sono incontrate tante giovani firme (di belle speranze e incerto avvenire) e una sempre più sparuta schiera di nomi gloriosi, firme prestigiose alle quali si deve gran parte del successo mondiale della moda italiana.
Ecco, ad esempio, l’ineffabile delicata bellezza della collezione di Raffaella Curiel.
Raffaella Curiel |
Ispirata ai fiori di un giardino magico, incantato “ … per vincere la negatività dei tempi di crisi che stiamo vivendo – suggerisce la grande sarta – assorbiamo energia positiva nella natura, nella magia dei fiori del giardino che ha ispirato questa collezione …”. E fiori, tanti fiori sparsi a piene mani su corpetti e revers, sulle gonne a bocciolo di rosa … e papaveri rossi di sospirosa organza appoggiati sul bustier a “cesto di vimini”. Spettacolari le maxi ortensie ricamate su un abito da cocktail, mentre margherite di cristalli illuminano la reinventata “petite robe noire” e persino sull’abito da sposa fioriscono mazzolini di rose rosa. Presentata nella Sala dell’ Ex Dogana di San Lorenzo, la sfilata della colta stilista milanese ha entusiasmato per la sua straordinaria bellezza e per l’originalità di alcune “soluzioni” : come lo splendido sottogiacca in prezioso pizzo francese d’oro “ricavato da una antica tovaglia che si era in parte bruciata …” ha informato sorridendo Raffaella.
Anche un altro “grande” della moda italiana – Renato Balestra - ha presentato la sua collezione all’Ex Dogana. Tra eleganza e femminile seduzione le perfette lavorazioni sartoriali delineano i giochi in chiaro/scuro sul lucido/opaco dei rasi contrapposti a tessuti corposi, la delicatezza dei ricami a spina di pesce su argento e grigio degli abiti da sera, gli effetti multicolore abbinati al nero assoluto che riportano l’ elitaria perfezione di antiche vetrate art decò. E l’abito da sposa si illumina nelle luci del platino e si anima nella spumeggiante sovrapposizione di rivoli di tulle che lo trasformano nella mitica immagine di un fantastico uccello del paradiso.
Lo stilista calabrese Anton Giulio Grande ha presentato a Palazzo Ruspoli sfarzosi e preziosi modelli da sera che tanto sarebbero piaciute alle fanciulle in fiore che un tempo debuttavano in
Renato Balestra |
società – ai grandi balli tipo il “Mak II 100” di accademica memoria - al compimento del 18° anno di età… Giada Curti si è ispirata alla “Divina Marchesa” quella Luisa Casali musa ispiratrice di Boldini e una delle amanti di Gabriele D’Annunzio : occhi bistrati e abiti che tanto ricordano le languide donne della Belle Epoque. Tanti giovani in passerella con le loro idee … spesso di stupefacente “avanguardia”. Come il cinese Miao Ran e l’inglese Lee Wood che propongono abiti … senza sesso, il primo con giubbotti e giacche tra il blu delle tute da operaio e il verde muschio del sottobosco, il secondo con abiti a vela di barca : senza forma e decisamente no-gender ma altrettanto decisamente no-altamoda !
Una storica insegna che non c’è più ed i locali di quello che fu “il Garibaldino”, uno dei locali della “Versilia degli Anni Ruggenti, anni ‘60”, che rivivono per una nuova avventura. Si è voltato pagina completamente. Nessun riferimento di alcun tipo e presentazione di un Ristorante rinnovato in ogni sua parte, dagli arredi ai colori delle pareti, alla nuova cucina che prepara piatti partendo dalla tradizione con una presentazione di modernità al limite dell’avanguardia. Tutto questo è “Acquasalata”. Nato per stupire.
Già il nome potrebbe farci pensare ad una specie di sinonimo del mare, ma non è così. Appena entri nella prima sala ti colpisce un “murales” di piccole dimensioni ; un’opera di Pietro Annigoni salvata per caso dalla ristrutturazione interna. Questo artista nonostante sia ricordato come "Il pittore delle regine", ebbe grande predilezione nel ritrarre "persone meno agiate" e “momenti semplici della vita di tutti i giorni”, Era abile nel descriverne fedelmente tanto l'aspetto esteriore quanto l'interiore. La raffigurazione del “pescato del giorno” è il riferimento al mare, all’acqua salata.
Raffinato locale frutto dell’evoluzione progettuale di Paola e David, giovani ma non giovani per l’appartenenza al mondo della ristorazione. Ė tutto in mano a loro, eredi di una cultura familiare che ha radici che portano lontano nel tempo.
Tavoli distanziati apparecchiati con gusto, con tovagliato “neutro” rilassante nell’impatto cromatico. Elegante senza eccessi, servizio professionale e premuroso, mai ingessato e sopra le righe.
La cucina, dove mamma Giovanna rappresenta la “tradizione” e il giovane chef Matteo Angeloni “l’innovazione”, fa arrivare in tavola piatti ricchi di “concretezza”, convincenti, appaganti basati su ingredienti (il pescato del giorno) di raffinata e ricercata qualità con l’evidente e manifesta capacità di esaltarli nel modo migliore. Piatti di notevole impatto visivo e gustativo.
Precisione nelle cotture e rispetto di ogni singolo ingrediente. Non cosa da poco.
la premiazione del nostro redattore Urano Cupisti (a sinistra) |
Ed infine i desserts che conquistano tutti i sensi dalla vista al palato.
Carta dei vini con centinaia di etichette frutto di attenzione e ricerca e “finalmente” la Carta delle Acque minerali non banale.
L’unico imbarazzo, del tutto personale, si è verificato quando ho chiesto un caffè. Mi hanno portato una Carta caffè con varietà provenienti da tutto il mondo come quella miscela etiope e Il Kopi Luwak indonesiano che è un tipo di caffè prodotto con le bacche, ingerite, parzialmente digerite e defecate dallo zibetto comune delle palme. Di fronte a tanta “arabica cultura” sono quasi arrossito.
In attesa di una “stella” che arriverà presto il locale è già stato segnalato da “Gambero Rosso” con le tre forchette. Ed anche la Chaîne des Rôtisseurs, Baillage Versilia, non poteva non annoverare tra i propri Confrères David Cupisti procedendo alla sua affiliazione come Maître de Table Restaurateur.
Acquasalata, via Fratti 62, Viareggio. Nato per stupire
Uomo dell’autunno/inverno 2016/2017, hai nel tuo maschio e ricco guardaroba almeno un “rabbioso” (ma prezioso) giubbotto da aviatore o da motociclista, da portare con jeans così stretti e malandati da sembrare ripresi da un raccoglitore di abiti usati (a misura di bambino) ? Se la risposta è negativa provvedi in fretta se non vuoi diventare “out” nella eterna gara del più “figo” che da sempre vinci tra amici e conoscenti!
Nei giorni scorsi, a Firenze “Pitti Immagine Uomo” e nella capitale lombarda “Milano Moda Uomo”, hanno presentato l’eleganza maschile proposta da grandi marchi e da grandi firme per il prossimo inverno. Spigolando qua e là tra stand fiorentini e passerelle milanesi pare che oltre all’ uomo in giubbotto di nappa morbido come velluto ma tecnologicamente all’avanguardia, andrà di moda un raffinato ma decisamente estemporaneo “uomo cipolla”: una tendenza, tanto “dejà vu” che fin dagli anni Ottanta avvolse e riscaldò legioni di fashion-victim femminili e di tanto in tanto viene ripresa sia in versione femminile che maschile.
Sovrapposizioni ? Certo : tra stile e classe. Vedi Giorgio Armani che, ancora una volta, ha saputo unire naturalità ad elitarietà. La collezione declina forme fluide che si appoggiano al corpo con leggera noncuranza, in sovrapposizioni preziose di materiali diversi, ciascuno con una sua specifica e personale funzionalità. Ed è “naturale” la ricerca dei tessuti, che spesso si ispirano ad antiche etnie, sia nelle trame sia nelle decorazioni; naturale è la gamma dei colori che – guidati dal blu profondo e “ombroso” classico Armani – giocano con toni neutri, tranquilli appena rischiarati da “riverberi” ottenuti con particolari tessiture e lavature del filato.
Le sovrapposizioni e lo stile “cipolla” occhieggiano da quasi tutte le collezioni rivalutando quel furbo vestire “a strati” che, in fondo in fondo, non è mai tramontato. Oggi, naturalmente, con le quasi infinite possibilità offerte dalle moderne ricerche/sperimentazioni tecnologiche, la faccenda si è fatta più sciccosamente appetibile. Non quegli infagottamenti osceni di capi sovrapposti che facevano sembrare un uomo la copia malriuscita dell’ omino Michelin. Oggi si scalda la camicia, la giacca, il cappotto con una sorta di “intercapedine”(da portare addirittura a pelle) talmente lieve che sembra inesistente alla vista e al tatto, ma che assicura un tepore da termoforo. La giacca, quindi, ma anche il cappotto, sono sottili e fit-fit ... e anche un maglione di leggerissimo cachemire come quelli – stupendi – di Brunello Cucinelli che arrivano a pesare persino la “pochezza” di 60 grammi, possono sfidare il freddo delle sciate in alta montagna assicurando una calda protezione : leggera, morbida e preziosa.Se sartorialità va’ cercando, l’uomo dell’autunno/inverno 2016/2017, la troverà di altissimo livello, nelle proposte di “Corneliani” marchio mantovano da sempre sopraffino cultore della perfezione. Sulla base di un’ accurata ricercatezza, i capi declinano l’internazionalità delle proposte presentate a Milano Moda Uomo il primo giorno della manifestazione.
Ancora estrose sovrapposizioni, di capi, di colori, di materiali, da Dsquader2 : uno stile che piace ai giovani ... ma che lascia interdetti i meno giovani per la sua. un po’ urlata, originalità..
Fedele allo stile ricercato l’elegantone del prossimo inverno anche per i suoi piedi vuole il meglio. Metti, ad esempio, le scarpe di Barrett. La novità di questa collezion e sono i pellami , vitelli crust colorati con aniline che donano effetti di speciale trasparenza. Sempre al massimo la prima linea : volumi morbidi e arrotondati le cui sinuosità sono evidenziate da glassature ad effetto chiaroscuro ottenuti con anticature a mano. E la perfezione dei pantaloni è assicurata da Rota, magari completati da un paio di mocassini (in coccodrillo) preziosamente firmati Santoni. Per i viaggi del manager, Bric’s propone la linea in pelle bottalata, declinata in trolley, borsoni con ruote e splendide cartelle. E in testa? Niente di più indicato di un cappello di Borsalino per interpretare l’enigmatico e sciccoso “scettico blu” del prossimo inverno!
Il Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani e curatore della mostra, su espressa richiesta del Sindaco Donatella Tesei, ha concesso la proroga dell’evento al 30 Aprile 2016 con pieno apprezzamento dell’organizzazione generale e dell’ottima risposta di pubblico e critica.
Così “ il miracolo di oro e azzurro” di Benozzo Gozzoli continuerà ad incantare visitatori (sino ad ora 17.000) e critici che raggiungeranno al Museo S. Francesco di Montefalco, la famosa “ Madonna della Cintola”, la straordinaria Pala d’altare di Benozzo Gozzoli tornata nel borgo umbro dopo 167 anni.
La prestigiosa operazione di restauro è stata eseguita nei laboratori dei Musei Vaticani grazie al contributo della felice sinergia tra pubblico e privato, con la partecipazione importante di imprenditori del territorio.
Il Museo ha registrato nei mesi di mostra un record in ascesa di visitatori, italiani e stranieri, con oltre il 60% in più di presenze rispetto al 2014. Tale successo è stato raggiunto sia durante le festività sia grazie agli incontri con tre grandi maestri del mondo dell’arte che hanno creduto nella straordinaria importanza di questo progetto e contribuito alla qualificata promozione: lo stesso direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, il critico d’arte-giornalista-conduttore televisivo Philippe Daverio e lo storico d’arte Vittorio Sgarbi.
Le loro dichiarazioni hanno reso omaggio alla grandezza dell’opera e all’eccezionalità del pittore fiorentino Benozzo Gozzoli, che amò Montefalco onorandola con i suoi capolavori.
Numerosi gli eventi collaterali che hanno coinvolto in questi mesi la visita alla magnifica Pala: visite guidate, attività didattiche per scuole e famiglie, concerti, incontri a tema.
Molto apprezzato anche il catalogo della mostra, in italiano e inglese, realizzato grazie al prezioso contributo dell’azienda Fabiana Filippi. Il volume presenta il restauro della magnifica Pala d’altare ed è completato da un accurato apparato fotografico che ne illustra le fasi e i dettagli artistici, oltre a notizie biografiche e una bibliografia essenziale.
Puntuale ed efficace il prezioso lavoro informativo dell’Ufficio Stampa del complesso museale San Francesco di Montefalco che ha accompagnato, giorno per giorno, la vita dello straordinario evento.
Ipazia, nata nel 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto,fin da giovanissima venne avviata dal padre allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Da studiosa riuscì ad emergere nella scienza e nella filosofia fino a ottenere un forte peso politico e culturale in un’epoca in cui le donne non avevano la possibilità di affermarsi. Fu la prima donna a dare un forte contributo allo sviluppo della matematica e tra i suoi seguaci vi erano anche molti cristiani.
Ipazia, con personalità estremamente carismatica, insegnò con un'enfasi scientifica maggiore dei neoplatonici. Fu giusta e casta e rimase sempre vergine; era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò pazzamente di lei, ma Ipazia non si sposò mai e all'età di 31 anni assunse la direzione della Scuola neoplatonica di Alessandria. Per la sua eloquenza nel parlare, prudente e civile nei modi, i potenti la invidiavano mentre la città intera l'amava moltissimo. Simboleggiava la dottrina e la scienza, che i primi cristiani identificavano con il paganesimo e che consideravano come una minaccia.
Teone, il padre di Ipazia, era geometra e filosofo, ma Ipazia, allieva e solerte collaboratrice, superò in scienza e saggezza lo stesso padre.
Ipazia, degna erede di Plotino, aveva acquisito tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo. Divulgò il sapere matematico, geometrico e astronomico, si dedicò alla filosofia di Patone, Plotino e Aristotele. Secondo Filostorgio, storico della Chiesa, sua caratteristica principale fu la generosità con cui tramandava pubblicamente il sapere tanto che divenne un'autorità e un indiscusso punto di riferimento culturale nello scenario dell'epoca.
Ipazia non fu mai gelosa del proprio sapere, ma sempre disposta a condividerlo con gli altri. Usava gettarsi il mantello addosso e uscendo in mezzo alla città spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltarla, le opere di qualsiasi grande filosofo.
Lo storico cristiano ortodosso Socrate Scolastico <https://it.wikipedia.org/wiki/Socrate_Scolastico>scrive di Lei: “Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città, e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale”. Anche il filosofo<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio> Damascio ricorda che Ipazia era “pronta e dialettica nei discorsi, accorta nelle azioni e la città la amava e la ossequiava grandemente, mentre i capi si consultavano con lei prima di ogni importante decisione pubblica. I suo nome era magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo”.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>Ma la sua grande fama e il suo prestigio politico causò la reazione invidiosa del vescovo Cirillo. Vennero prodotte calunnie nei confronti della scienziata, tanto che nel marzo del 415 progettò di farla uccidere, e lo fece e nella maniera più crudele.
Mentre faceva ritorno a casa un gruppo di fanatici cristiani che si sentivano minacciati dalla sua cultura, dalla sua sapienza e dalla vastità della sua conoscenza scientifica, (per alcuni autori monaci parabolani, un vero e proprio corpo di polizia che i vescovi di Alessandria usavano per mantenere l’ordine nelle città, guidati da un predicatore di nome Pietro), le tenne un agguato e, dopo averla tirata giù dal carro, la trascinò fino a una chiesa. Le furono strappate le vesti e venne letteralmente fatta a pezzi colpendola con dei cocci e, come afferma Il filosofo pagano Damascio che scrisse la sua biografia, le cavarono gli occhi mentre ancora respirava. Le varie parti smembrate del suo corpo furono portate al cosiddetto Cinerone, dove si bruciavano i rifiuti, in modo che di lei non rimanesse nulla.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città che era divenuta un famoso centro della cultura antica. L'inchiesta che seguì questo brutale assassinio venne ben presto archiviata per il forte legame che univa il vescovo Cirillo all'imperatore Teodosio, che se non fu il mandante fu sicuramente corresponsabile del fatto. Con la morte di Ipazia, simbolo d’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica, comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>La mancanza di ogni suo scritto rende problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria, ma i suoi insegnamenti, nel Rinascimento, hanno sicuramente dato un notevole contributo nello sviluppo della geometria quantitativa piana e solida, la trigonometria, l'algebra, il calcolo infinitesimale e l'astronomia. Sono comunque attribuibili ad Ipazia:
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>1) Commento in tredici volumi all'Aritmetica di Diofanto (Il sec.), cui si devono lo studio delle equazioni indeterminate (le diofantee) e importanti elaborazioni delle equazioni quadratiche. Sviluppò soluzioni alternative a vecchi problemi e ne formulò di nuovi che vennero inglobati in seguito nell'opera di Diofanto.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>2) Commento in otto volumi a Le coniche di Apollonio di Pergamo (3° sec. a.C.), un'analisi matematica delle sezioni del cono, figure che nel 15° secolo quando vennero usate per illustrare i cicli secondari e le orbite ellittiche dei pianeti.
<https://it.wikipedia.org/wiki/Damascio>3) Commento, insieme al padre Teone, all'Almagesto di Tolomeo, un’opera in tredici libri che raccoglieva tutte le conoscenze astronomiche e matematiche dell'epoca.
Il ritorno del “regista a due teste”. Sembra il titolo di un film, invece si tratta degli irriducibili fratelli Coen dietro la macchina da presa della loro nuova opera: "Heil Caesar!". Sicuramente uno dei film più attesi dell’anno, scritto, diretto e prodotto da Joel ed Ethan Coen, che questa volta puntano il loro acuto obiettivo sulla Hollywood degli Anni Cinquanta. Siamo infatti durante l’età dell’oro del cinema americano, prima della crisi causata dall’avvento della televisione, quando Eddie Mannix, fixer, ovvero figura dell’industria cinematografica incaricata di risolvere i problemi o nascondere eventuali scandali dovessero nascere durante la realizzazione di un film, si trova a dover fronteggiare, durante le riprese, il rapimento del protagonista di un kolossal sull'antica Roma. I Coen hanno radunato per l’occasione un cast stellare: Josh Brolin, George Clooney, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Channing Tatum, Ralph Fiennes, Dolph Lundgren, Jonah Hill, Christopher Lambert, Tilda Swinton e, per restare in famiglia, la moglie di Joel, Frances McDormand.
Libero, ironico, graffiante, surreale, a tratti macabro e crudele, capace di grandi esercizi di stile, questo e molto altro è racchiuso nel cinema dei fratelli Coen. Con ben quattro premi Oscar portati a casa, e capolavori come Fargo, Non è un paese per vecchi, A Serious Man, Il Grinta, i fratelli Coen riescono, grazie ad una straordinaria abilità narrativa, ad andare oltre lo schermo per raccontare, attraverso le immagini, la quotidianità di uomini soli in lotta
George Clooney |
contro qualcosa che inghiotte tutto, comprese le loro certezze.
Dopo una gestazione lunga dieci anni, arriva sul grande schermo Ave, Cesare!, selezionato per aprire la sessantaseiesima edizione della Berlinale, l'11 febbraio 2016.
Il film sarà distribuito in Italia dalla Universal Pictures e arriverà nelle sale il 10 marzo 2016.
L'attentato a Ouagadogou ha riportato in scena la rivalità tra al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e Daesh; il richiamo al califfato e la lotta per la conquista delle rotte del contrabbando in Africa del Nord.
Sia in Medioriente che in Nord Africa, tra le maggiori fonti di finanziamento dei gruppi terroristici che si richiamano al salafismo e al takfirismo (i takfiristi sono coloro che bollano come miscredente, appunto kafir, chiunque non condivida la loro concezione dell'islam) ci sono i traffici illeciti e il contrabbando. Petrolio, armi e reperti archeologici in Siria e Iraq, armi, cocaina e migranti nel Sahel, dove queste formazioni, organizzate come veri e propri cartelli, traggono guadagno anche dai riscatti dei rapimenti. Quanto alla propaganda, regione che vai, schacchiere geopolitico che trovi. Quindi, il cosiddetto stato islamico (Daech o IS) ha esordito lanciando anatemi contro l'infausto accordo Sykes-Picot ( accordo segreto tra i governi del Regno Unito e della Francia, che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente in seguito alla sconfitta dell'impero ottomano nella prima guerra mondiale) e la corruzione dei funzionari iracheni, che speculavano sulla penuria di generi alimentari. In risposta, Aqmi ultimamente ha compiuto un vero e proprio salto di qualità nella realizzazione di video di propaganda, alzando il tono del conflitto. Culmine di questo “progresso” è stato il video di rivendicazione dell'attentato di Ouagadogou, in cui Abou Obeida Yousseh al-Annabi, considerato il numero due di Aqmi, accusa l'”Occidente” di aver disintegrato l'antico califfato smembrandolo in tanti staterelli deboli, a capo dei quali ha poi insediato suoi complici. Due gli elementi che spiccano nel suo discorso: l'appello alla liberazione di Ceuta e Melilla, enclaves spagnole in territorio marocchino (zone di reclutamento di Daesh), e la condanna del controverso accordo sottoscritto a Skhirat, in Marocco, il 17 dicembre scorso dai rappresentanti dei due parlamenti libici di Tripoli e Tobruk. Nello stesso video, inoltre, compare un combattente originario di Melilla, enclave spagnola in territorio marocchino, Abou Nasser al-Andaloussi, che in precedenza aveva esortato al terrorismo i “fratelli di Spagna”.
L'accordo di Skhirat rischia dunque di produrre gli stessi effetti, mutatis mutandis, della costituzione irachena del 2006, varata sotto l'egida di Washington. Infatti, a parte i rappresentanti libici che lo hanno firmato e la comunità internazionale che lo ha accolto come un episodio “storico”, il testo ha sollevato numerose polemiche all'interno di entrambi i parlamenti della Libia, mentre gli ulema (esperti di scienze religiose nell'islam) di Tripoli lo hanno già respinto in quanto “viola la sharia” (legge islamica). Un particolare rilievo riveste l'atteggiamento diffidente del generale Khalifa Haftar, capo delle milizie che fanno riferimento al parlamento di Tobruk e punto di riferimento del governo egiziano in Libia, per la sua opposizione alle forze ispirate all'islam politico radicale. Ex-ufficiale del colonnello Muammar Gheddafi, in seguito unitosi al Fronte nazionale per la salvezza della Libia (Fnsl), Haftar ha trascorso diversi anni negli Stati Uniti insieme ad altri combattenti, durante la presidenza di Ronald Reagan. Un periodo che gli è costato l'accusa di essere un agente dell'intelligence Usa (si veda, ad esempio, http://www.theguardian.com/world/2014/may/22/libya-renegade-general-upheaval). Sta di fatto che, malgrado l'approvazione dell'accordo di Skhirat da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Onu), il panorama politico libico appare troppo fragile per gestire autonomamente una transizione democratica.
Intanto, l'attentato di Ouagadogou ha ristabilito definitivamente l'alleanza tra i capi di due importanti cartelli terroristici che operano nel Sahel, entrambi algerini ed ex-miliziani del Gruppo islamico armato (Gia, attivo negli anni '90 in Algeria e responsabile dell'ondata di attentati in Francia nel 1995): quello di Abdelmalek Droukdel, alla guida di Aqmi da quando venne fondata nel 2007, a partire dal Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc – nato come “alternativa” al Gia nel 1998), e quello di Mokhtar Belmokhtar, alias il guercio o mr. Marlboro, in riferimento alle ricchezze accumulate con il contrabbando di sigarette. Il rapporto tra i due si era progressivamente deteriorato (Droukdel era più per un'applicazione progressiva della legge islamica e contrario alla distruzione dei mausolei, da lui considerata una provocazione inutile), finché Belmokhtar, nel 2012 (poco dopo l'inizio dell'intervento francese in Mali), esce da Aqmi e si unisce al Movimento per l'unicità di Dio e il jihad nell'Africa occidentale (Mujiao), fondando il gruppo al-Morabitoune (gli Almoravidi). Quest'ultimo, a marzo 2015, in un momento di calo di consensi per Aqmi, ha progettato ed eseguito l'attentato di Bamako, con una modalità insolita: un commando ha aperto il fuoco nel bar la Terrasse, uccidendo cinque persone, tra cui due francesi (due mesi dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, che aveva ricevuto il plauso di Belmokhtar). È sempre il gruppo del guercio a compiere l'attentato del 13 novembre 2015, contro l'hotel Radisson Blu di Bamako, capitale del Mali, rivendicato anche da Aqmi. Qualche giorno dopo, Droukdel comunica ufficialmente l'alleanza tra Aqmi e al-Morabitoune, stipulata con il sangue dell'hotel Radisson.
La nuova unione potrebbe essere una risposta ai tentativi dei cartelli del jihad affiliati all'autoproclamatosi califfo al-Baghdadi di guadagnare terreno in Libia, tracciando percorsi più sicuri per le rotte del narcotraffico. Che riguardi l'oppio di provenienza afgana o la cocaina proveniente dall'America latina, si tratta di un mercato fruttuoso, che dal cosiddetto Highway 10 (il decimo parallelo, che passa per la Guinea e la Guinea Bissau) può portare ogni tipo di merce illegale fino alle piazze europee. In questo, la Libia è l'alternativa ideale rispetto al Marocco, paese più stabile e dalle frontiere più controllate. Se l'accordo di Skhirat e la relativa risoluzione Onu aprissero la strada a un nuovo intervento internazionale in Libia, per le rotte del narcotraffico (e per altri commerci illegali) sarebbe un ottimo passo avanti. Quanto al Burkina Faso, l'attentato di Ouagadogou è stato un duro colpo per il governo del presidente Marc Christian Kaboré, che poco dopo la sua elezione (la prima democratica dopo il colpo di stato) aveva emesso, lo scorso 21 dicembre, un mandato di cattura internazionale contro l'ex presidente Blaise Compaoré, accusato dell'omicidio di Thomas Sankara.
Finalmente anche gli astemi possono far roteare l’acqua nel bevante (la parte superiore del calice), annusarla, descriverla.
È nata la nuova figura di idrosommelier.
L’Italia, per la sua conformazione fisica, geomorfologica e idrologica è strapiena di sorgenti. Sorgenti di vetta, sorgenti di detrito, sorgenti di emergenza, sorgenti di fessura, sorgenti di deflusso o di strato, sorgenti di sinclinale o di trabocco, sorgenti di sfioramento di livelli idrostatici. Quanti termini tecnici registriamo alla visione di una falda acquifera. A noi interessano le “falde” delle acque definite “minerali” ovvero «Sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute». (D.Lgs. nº 176 dell'8 ottobre 2011 (attuazione della direttiva 2009/54/CE). E qui si apre un mondo incredibile di diversità.
Due sono le Storie che corrono parallele per poi incontrarsi di fronte allo studio specifico per il loro utilizzo nelle proprie diversità. Perché di diversità ce ne sono, eccome!
La Storia geologica;, racconti di rocce, sedimenti, che si perdono nella notte dei secoli, nei milioni di anni.
La Storia umana; la ricerca nelle acque di un mix tra divinità, medicamenti, magia.
Poi l’incontro tra Storia e Umano fino ai tempi d’oggi, alla ricerca del gusto dell’acqua fino all’analisi sensoriale. Non più come necessità ma come prodotto e pertanto, come tale, non si sottrae al marketing diventando un “fenomeno di moda”.
Le più affermate cristallerie mondiali, Riedel in testa, dedicano studi, seminari, per approntare il “giusto calice” non per sorseggiare ma per degustare l’acqua. Anzi: i giusti calici per le differenti acque.
Le acque hanno i propri gusti, parola di idrosommelier, la nuova figura di esperto che ha origine e legittimazione da Corsi appositamente costituiti, riconosciuti al pari degli altri Corsi di formazione professionali. Attestati conseguiti per l’indirizzo, consiglio, verso la scelta consapevole della bottiglia giusta o per il migliore abbinamento a tavola.
“Un buon abbinamento con l’acqua minerale può far crescere anche un piatto povero”.
È l’ADAM, Associazione Degustatori Acque Minerali, che l’afferma e che ultimamente ha coniato il termine “Oro Blu” per elevare le acque de gustative al rango nobile: proprio come il Vino.
Un’acqua demineralizzata con residuo fisso bassissimo per carni bianche, pesci a vapore o bolliti in genere e acqua effervescente naturale per piatti più corposi con abbondanti condimenti.
E si parla anche di terroir, questo termine francese che non ha una parola eguale nella nostra lingua. Nel mondo del vino è divenuto un termine internazionale a significare “un complesso di elementi ambientali, pedoclimatici, di tradizione per uno specifico vino”. Nel caso delle acque il termine terroir assume un significato diverso. Manca la mano dell’uomo che “trsforma” qualcosa. Nessuna mediazione umana se non nelle acque “frizzanti” con aggiunta di anidride carbonica; prodotti che esulano di principio dall’affascinante mondo delle Chiare, fresche, dolci, acque minerali”. Non la mano dell’uomo ma un’insieme di elementi, rigorosamente in successione, costituiti da rocce, minerali, molecole biologiche che portano alla composizione chimico-fisica da cui hanno origine le componenti organolettiche.
Osservare, odorare, gustare ovvero l’occhio, il naso, la bocca. Distinguere le sfumature cromatiche, la consistenza, le note complesse vuoi sulfuree, metalliche o dolci. Al palato la dolcezza, l’amaro, l’acido e il salato; molti fattori che determinano l’equilibrio e l’armonia. Il tutto per l’abbinamento perfetto con il cibo.
“L’acqua può essere abbinata anche al vino. Vino tannico? Via ad un’acqua dolce, magari di montagna, dai sentori di prato” parola di ADAM. E Bacco, non solo lui, che sorride!
La Chiesa cattolica chiamata a scegliere fra perdono divino e eternità delle pene infernali
Il tema della misericordia è, senza alcun dubbio, uno dei temi più ricorrenti nel pensiero e nella predicazione di papa Francesco. Tema che, per essere pienamente compreso nella sua complessità concettuale, richiede di essere strettamente legato ad altri due temi a lui molto cari: quello del perdono e quello della gioia.
Al perdono, siamo perennemente chiamati, infatti, e soltanto dalla nostra sempre più sincera capacità di perdonare potrà nascere e dilagare in noi l’attitudine alla gioia del cuore. Ma possiamo apprendere ed abbracciare il perdono solo grazie all’esempio perfetto che incontriamo in Dio. Ed è possibile, pertanto, vivere una scelta religiosa imbevuta di gioia, l’unica veramente degna, proprio grazie alla consapevolezza della natura infinitamente misericordiosa di Dio. In pratica, solo ponendo al centro della riflessione teologica e della testimonianza della fede questa triade valoriale (misericordia-perdono-gioia), si potrà, secondo Francesco, intendere correttamente il messaggio evangelico e coerentemente viverlo. “Il Vangelo (…) invita con insistenza alla gioia” - dice il papa (Evangelii gaudium, cap.5) - e tale gioia è resa possibile dall’abbracciare e dal proporre, con sentita convinzione, un concetto di divinità liberato dalle caratteristiche tradizionali dell’ implacabilità e dell’ imperscrutabilità di un Dio inteso essenzialmente (e tragicamente) come Giudice supremo. Caratteristiche queste che hanno dominato per lunghi secoli in maniera schiacciante e devastante la vita della cristianità, producendo effetti rovinosi su tutti i piani.
“Dio - scrive Bergoglio - non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”( Evangelii gaudium, cap.3).
Si parla spesso del carattere “rivoluzionario” di questo pontefice, corroborando tale tesi con innumerevoli elementi (dal celeberrimo “Buonasera!” al rifiuto della papamobile, dalle sue accuse al “vaticanocentrismo” alle sue scarpone nere, ecc.). Ma la centralità assoluta che viene sistematicamente assegnata alla sopra menzionata triade valoriale credo rappresenti la cosa più grande e innovativa che questo papa stia portando avanti. Anzi, la cosa più grande che qualsiasi vero grande riformatore ecclesiastico possa fare. Perché le implicazioni teorico-pratiche, se ben comprese, ci dovrebbero portare lontani anni luce dalla Chiesa cattolica intollerante, presuntuosa e spietata che la storia ci ha dolorosamente fatto conoscere e sperimentare.
Ma se vogliamo veramente cogliere il pensiero di Francesco in merito al principio della misericordia, evitando accuratamente di scivolare in fin troppo facili semplificazioni, non possiamo fare a meno di cimentarci nell’analisi di uno dei testi più belli da lui prodotti: la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus.
Già all’inizio del testo, il papa scrive che
“Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia”. La misericordia, infatti, “È l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, la “via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. (cap.2)
“Dinanzi alla gravità del peccato - ribadisce Francesco - Dio risponde con la pienezza del perdono”, in quanto la misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, non potendo alcuno pretendere di imporre limitazioni di sorta “all’amore di Dio che perdona” .(cap.3)
Più avanti, il papa si sofferma sul ritornello che viene riportato a ogni versetto del Salmo 136 (“Eterna è la sua misericordia”), mentre si narra la storia della rivelazione di Dio, sostenendo che la sua continua ripetizione potrebbe venire interpretata come un tentativo di “spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore”. Come a voler affermare che “per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre”. (cap.7)
Concetto questo che, secondo Bergoglio, sarebbe ricorrente in tutto l’Antico Testamento ed evidenziato, in particolar modo, da incisive espressioni contenute nei Salmi, come, ad esempio:
“Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia” (103,3-4);
“Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vita ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (146,7-9).
Successivamente, riferendosi alla missione di Gesù, e ripetendo, con l’evangelista Giovanni, che “Dio è amore”, afferma con forza che in Gesù tutto parla di misericordia e che “Nulla in Lui è privo di compassione” (cap.8).
E, dopo aver menzionato le parabole evangeliche dedicate al tema della misericordia, Francesco mette in luce come, in esse, Dio venga “sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona”, e che, proprio in esse, si troverebbe il vero “nucleo del Vangelo”, perché “la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.” (cap.9)
Il perdono delle offese, infatti, andrebbe inteso come “l’espressione più evidente dell’amore misericordioso”, come “lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. (ib)
La misericordia, secondo Francesco, è la parola-chiave presente nella Sacra Scrittura “per indicare l’agire di Dio verso di noi”, di un Dio che “si sente responsabile” che “desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni” (ib), di un Dio (per usare le parole del profeta Michea) che toglie l’iniquità e perdona il peccato (cap.17), che non serba per sempre la sua ira, ma che si compiace di usare misericordia, calpestando le nostre colpe e gettando “in fondo al mare tutti i nostri peccati” (cfr.7,18-19).
Il pregevole lavoro di rinnovamento teorico-pratico che papa Francesco sta portando avanti è, oramai, sotto il profilo dottrinario, giunto ad un bivio evidentissimo, cruciale e ineludibile: abbracciando ed enfatizzando il valore della misericordia divina, intesa come qualcosa “che non ha confini” (cap. 17) e come qualcosa che “va oltre la giustizia”, e sostenendo che “L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno” (cap. 21), come potrà continuare la Chiesa cattolica, la Chiesa di questo papa straordinario, a credere e a chiedere di credere nell’esistenza dell’Inferno, nella stessa possibilità della dannazione eterna, ovvero nell’imperdonabilità e nell’irredimibilità della creatura umana? Anzi, di ogni creatura, includendo anche lo stesso Satana e tutti i suoi seguaci?! Ma una Chiesa senza più peccati da assolvere, indulgenze e benedizioni da elargire, intermediazioni salvifiche da effettuare … che Chiesa sarebbe? Una Chiesa senza più angeli decaduti e principi delle tenebre da combattere e sgominare, senza più, soprattutto, l’incubo sommamente angosciante della dannazione eterna … che Chiesa sarebbe?
Ovvero: se la salvezza è garantita (a prescindere da tutto e da tutti) dall’infinita misericordia divina, cosa potrebbe mai restare, sul piano teorico, dell’opera salvifica e redentrice di Gesù-Figlio di Dio e, sul piano pratico, del ruolo della sua presunta sposa-erede-prosecutrice?!
Ma credo che sia giunto, dopo gli illuminati passi compiuti da questo pontefice, il momento di operare una scelta chiara e netta, volta all’abbandono di ogni ambiguità e contraddittorietà.
La Chiesa, cioè (auspicabilmente già nella persona di Francesco), deve dire a se stessa e al mondo se, a livello dottrinale, al di là dei discorsi più o meno toccanti che questo o altri papi potranno e vorranno regalarci, preferisce restare ancorata alle posizioni tradizionali o se, invece, intende orientarsi fino alle estreme conseguenze logiche nella direzione indicata dalla Misericordiae Vultus.
Ovvero, se continuare a credere nell’“interminabilità delle pene degli empi” destinati al “fuoco inestinguibile” (S.Agostino), nella reale esistenza di una condanna “senza scampo a patire quei fetori, quegli orrori, quel tormentoso fuoco eterno (…) quel cumulo di supplizi che producono un morire che non ha fine” (S.Bernardo di Chiaravalle),nella indiscutibile verità del fatto che “le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale” siano destinate a discendere “immediatamente negli, inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, ‘il fuoco eterno’” (Catechismo della Chiesa Cattolica). O se, al contrario, il concetto stesso di eternità delle pene debba essere archiviato e rinchiuso in soffitta, lasciando spazio aperto e incontrastato all’infinita fiducia/certezza nell’illimitata compassione divina e nell’infinita capacità di perdonare tutte le colpe di tutte le creature, alla convinzione che tutte le creature (nessuna esclusa) saranno accolte nella “casa del Padre” e che tutto e tutti saranno abbracciati, trasformati e redenti dall’infinita potenza del perdono divino.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Maximilian Riendel |
Frammento n. 1
Maximilian Riedel uno dei personaggi più influenti dell’Industria del Vino (Fonte: La Revue du Vin de France)
11° generazione dell’azienda austriaca Riedel, attuale Ceo e Presidente, è nella classifica dei 200 influencer a livello mondiale dell’industria del vino. L’autorevole rivista enoica Revue du Vin de France ha pubblicato la graduatoria biennale selezionando i personaggi tra Vignerons, istituzioni, aziende, ristoratori ed enotecari. Interessante il profilo-guida nelle scelte: “influenza nel mondo del vino”. Maximilian Riedel è stato scelto perché ha enormemente influenzato, se non rivoluzionato, l’industria enologica grazie ai suoi pregiati calici in armonia con il vino e i suoi decanter di design. Strumenti di precisione studiati per dare il giusto valore al contenuto ed esaltare le specifiche peculiarità di ogni tipologia d’uva.
Frammento n. 2
Sempre più Bio nel Carrello della Spesa (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)
Nonostante la crisi dei consumi nel 2014 il trend legato agli acquisti di prodotti biologici è cresciuto dell’11%. Tra i principali prodotti sono segnalati pasta, olio di oliva extravergine, yogurt e vino. Il Primo mercato in assoluto è quello degli Stati Uniti. In Europa guida il trend la Germania seguita dalla Francia e terza l’Italia. Il dato interessante non è quello del fatturato ma del consumo pro-capite. In Europa svizzeri e danesi guidano la classifica con ben € 160,00 all’anno. Sbalorditivo, sorprendente, impressionante e sotto certi aspetti sconcertante è il rapporto IFOAM (International Foundation for Organic Agricolture) che ricorda: se il consumo è concentrato nei Paesi Occidentali, la produzione lo è invece nelle Nazioni in via di sviluppo (India al primo posto seguita da Uganda, Messico, Tanzania e non ultima la Cina). L’80% delle aziende agricole che praticano l’agricoltura biologica si trova in questi paesi!
Frammento n. 3
L’Olio Novello non esiste. (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)
Questa dicitura non è prevista da alcuna normativa e può indurre in errore. Al contrario del Vino Novello, prodotto con procedure diverse da quello del vino comune (macerazione carbonica), l’olio dichiarato novello viene prodotto allo stesso modo di quello tradizionale. Esiste l’Olio Nuovo particolarmente apprezzato e ricercato. W la bruschetta con l’olio nuovo, la tradizione autunnale e non solo che si ripete.
Frammento n. 4
Nuove Birre grazie a Nuovi Lieviti (Fonte: Sol&Agrifood e Teatro Naturale)
Sono i lieviti la nuova frontiera della ricerca nel campo delle Birre. Non è solo la tostatura a dare origine al sapore. Sono anche i lieviti a convertire l’amido solubile in alcol e a creare, grazie a metabolismi secondari, composti volatili che danno aromi e profumi alla bevanda. Tutto questo è stato dimostrato dall’Università di Leuven (Belgio). Il nuovo lievito Saccharomyces Pastorianus ottenuto dopo diversi tentativi attraverso la modulazione di temperature di fermentazione e fattori di crescita dei lieviti ha dato risultati sorprendenti per una birra definita “magnifica”. Per ulteriori info: www.teatronaturale.it
Frammento n. 5
La Top ten delle Bufale alimentari. (Fonte: merendine italiane.it)
La bufala è sempre pronta dietro l’angolo. Cibi dai poteri miracolosi, diete che promettono dimagrimenti in tempo record. Ci si fida più della TV e della rete che dei medici. Ecco allora una ricerca della DOXA che stila ben 9 bufale alimentari molto diffuse sul web alle quali gli italiani credono:
- Gli agrumi servono a prevenire il raffreddore;
- I grassi fanno male e andrebbero totalmente eliminati dalle diete;
- Le merendine sono piene di additivi tossici come l’E330;
- Mangiare Ananas aiuta a bruciare grassi;
- Lo zucchero fa male e non va dato ai bambini;
- I carboidrati fanno ingrassare;
- Eliminare il glutine aiuta a dimagrire;
- Il lievito fa male alla salute;
- Ogni tanto la merenda e la colazione andrebbero saltate per stare meglio in salute.
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Dopo l’esperienza sanremese nel 2015 che li ha visti al secondo posto tra le nuove proposte i KuTso si confermano come una delle band più promettenti e originali del momento. Il loro brano ’Elisa’ ha conquistato tutti, anche la critica e l’ironia con cui calcano il palco è sicuramente una delle cose che piace a chi li ascolta. Matteo Gabbianelli, anima e voce del gruppo, Donatello Giorgi alla chitarra, Luca Amendola al basso e Simone Bravi alla batteria, si possono considerare una formazione determinata e compatta che fa il suo esordio discografico nel 2013, con l’album ‘Decadendo-su un materasso sporco’, per poi arrivare nel 2014 ad aprire i concerti di Caparezza e altri grandi artisti della musica italiana. Nel 2015 oltre al successo dell’Ariston arriva anche il secondo album ‘Musica per persone sensibili’, un progetto discografico che unisce simpatia e provocazione, nella semplicità. La band di Marino, in provincia di Roma, dopo il tormentone di Sanremo ne ha fatti di passi in avanti, sempre mantenendo quel mix di ironia e schiettezza pungente verso ciò che non va nella società. La musica quindi, non solo per riderci su, ma per portare all’attenzione tematiche delicate, scottanti, da non sottovalutare. E non sono mancate le collaborazioni, da Piotta ad Alex Britti, per citare alcuni degli artisti coinvolti nel progetto. Un album coinvolgente e pieno di spunti di riflessione, musicalmente interessante e vivace, dove il rock scatena il divertimento.
Un secondo posto nella categoria nuove proposte al Festival di Sanremo 2015 con il singolo ‘Elisa’, una serie innumerevole di concerti, l’album ‘Musica per persone sensibili’, un periodo davvero intenso per voi. Dal vostro esordio come si è evoluta la vostra musica? Quali sono le caratteristiche che vi distinguono dai tanti gruppi presenti nel panorama musicale odierno?
Da circa tre anni la mole di lavoro sul nostro progetto si è decuplicata rispetto agli esordi. Siamo impegnati tutti i giorni in diverse attività, quali la scrittura di nuovi brani, la prosecuzione del “perpetuo” tour, le interviste e le collaborazioni con i nostri colleghi. Le nostre vite sono totalmente assorbite dalla musica e, dato che non siamo delle grandi popstar ricche ed affermate, non possiamo permetterci vacanze o stop per periodi troppo lunghi, pena la nostra sparizione dalla scena. Siamo degli stacanovisti, degli operai instancabili ed estremamente determinati. La nostra peculiarità musicale è la volontà di infondere gioia, energia e propositività rivoluzionaria. Le nostre canzoni a volte sono degli scherzi provocatori, a volte invece toccano temi cupi, tragici, mortiferi e crepuscolari, che fanno da contraltare ad una parte melodica solare, immediata e potente. La nostra musica è un guazzabuglio agrodolce di luce e buio, tensione emotiva e apertura disperata alla vita, vissuta fino all'ultimo secondo senza remore o tabù.
‘Musica per persone sensibili’ è un mix di energia, simpatia, ma anche provocazione. E’ divertimento e satira sociale. E’ così?
Le canzoni dei kuTso scaturiscono da un contorcimento interiore, esse si possono definire in questo senso “espressioniste”. Spesso i brani sono delle invettive contro tutto e tutti, vi trovano spazio temi sociali, ma anche discorsi più prosaici. In genere, come per tutti gli artisti che cerchino un'espressione sincera di se stessi, la nostra musica è un insieme di pensieri, considerazioni, paure e sensazioni nate in noi dal confronto quotidiano con gli eventi della vita, a cui reagiamo variabilmente con fatalismo, rabbia, ironia, sarcasmo e disfattismo. Tutto ciò viene mitigato dalle armonie maggiori che utilizziamo come lenitivo energizzante contro le difficoltà dell'esistenza.
Il disco vanta la collaborazione di tanti artisti, da Piotta ad Alex Britti. Come avete affrontato queste opportunità?
Suonando ormai da molti anni nella scena romana, ci siamo fatti molti amici (e qualche nemico) che si sono prestati volentieri a collaborare sui nostri lavori. Soprattutto con Alex c'è un rapporto di amicizia che dura da tutta la vita. Quest'anno con Sanremo si è concretizzata la possibilità di collaborare e ne abbiamo approfittato subito per poter usufruire dell'aiuto di uno dei più grandi musicisti che l'Italia possa vantare. Lo scambio tra artisti è essenziale per creare una rete di mutua assistenza e anche per imparare dagli altri, conoscere altri stili e pensieri. Noi abbiamo sempre collaborato con tanti nostri colleghi, quasi tutti estremamente lontani stilisticamente da noi e questo è un aspetto che ci ha permesso di crescere e maturare tantissimo.
Baudelaire scrisse: “La sensibilità è il genio di ciascuno di noi.” Che significato ha per voi?
La sensibilità è ciò che permette all'individuo di scavare nella superficie delle cose, maturando una propria opinione indipendente dalle chiacchiere altrui.