L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1298)

Free Lance International Press

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September 17, 2015

Per questo, sulle rovine e sulla distruzione di popoli, il capitalismo costruisce i propri affari.

Nel 1933 il cittadino statunitense Smedley D. Butler, dopo aver trascorso trentatrè anni e quattro mesi in servizio militare effettivo permanente in qualità di membro della più versatile e agile forza militare degli USA, il Corpo dei Marines, ricoprendo tutti i gradi della scala gerarchica, da sottotenente a maggiore generale fino a generale di divisione, ormai fuori dal lavoro, si sentì libero di parlare, ed ebbe a dire (e lo riportò nel libro "War is racket"): "In tutto quel periodo ho trascorso la maggior parte del mio tempo a fare il superman di prima classe, tutto muscoli e niente cervello, per il Grande Business di Wall Street e per i banchieri. In poche parole, ho fatto il racketeer, sono stato un delinquente, un gangster ed ho operato come emissario del capitalismo."

Quando il capitalismo, nella sua pratica di rapina, oltrepassa i confini della Nazione, diventa Imperialismo, ovvero crimine internazionale, ed è lo stesso Butler che ce ne dà la conferma: "Ripassando con lo sguardo tutto quanto feci allora, sento di poter impartire tante lezioni allo stesso Al Capone che avrebbe avuto parecchie cose da imparare da me. Il massimo che lui era riuscito a fare era stato di organizzare un racket in tre distretti cittadini. Noi Mariners operavamo su tre continenti."

Attualmente l'economia americana è completamente dipendente e intrecciata con il militarismo statunitense, così come ieri l'economia nazista era intrecciata con il militarismo tedesco. La spesa militare degli Usa è maggiore di quella di tutti gli altri paesi al mondo messi insieme. La maggior parte delle imprese dipende in un modo o nell'altro dai profitti della guerra e del militarismo: l'ottanta per cento delle commesse sono militari. Più di 250 miliardi di dollari all'anno vengono bruciati per le spese militari. Questo è l'unico settore della spesa federale che non subisce notevoli tagli. Lo scopo ultimo degli USA è il controllo dei destini del pianeta, militarmente, politicamente ed economicamente. E' guidato da un insaziabile appetito del profitto…

Dal 1945 ad oggi gli Stati Uniti d'America direttamente o mediati dalla maschera della NATO, hanno bombardato da due a tre Paesi all'anno. Gli interventi dell'imperialismo nordamericano hanno come obiettivi i punti di resistenza alla penetrazione neoliberista presenti ancora sul nostro Pianeta.

La Jugoslavia ha rappresentato (e in parte lo rappresenta ancora oggi) uno dei punti più pericolosi per la realizzazione del dominio globale (la cosiddetta globalizzazione!) del Mondo. In quest'area gli Stati Uniti hanno puntato all'utilizzo dell'elemento nazionalista ora semplicemente nazionalista (Croazia) ora anche religioso, in questo caso,musulmano (Bosnia, Kosovo), esasperando i conflitti etnici e teorizzando una situazione favorevole al loro intervento.

Un rapporto segreto della Cia del 1990, reso pubblico il giorno della festa nazionale della Jugoslavia, il 29 novembre, quasi come un macabro segnale del tipo "vi spaccheremo",  prevedeva che entro diciottomesi, sarebbe avvenuto uno smembramento della Jugoslavia, con esplosioni di violenze che — affermava il documento — hanno "molte probabilità" di trasformarsi in guerra civile. Sempre secondo la Cia "l'esperimento jugoslavo è fallito e il Paese sarà smembrato" e aggiungeva che tutto ciò "sarà molto probabilmente accompagnato da esplosioni di violenza etnica e disordini che potrebbero portare ad una guerra civile". Il rapporto giungeva a definire con precisione che il presidente Slobodan Milosevic era da ritenere come "il principale istigatore" dei predetti conflitti jugoslavi.

Questo rapporto "segreto" della Cia faceva seguito all'approvazione delle legge 101-513 da parte del Congresso degli Stati Uniti, il 5 novembre del 1990. Tale norma prevedeva lo stanziamento di fondi per le operazioni internazionali e nella fattispecie essa distribuiva fondi oppure li attribuiva alle dirigenze delle varie repubbliche jugoslave in base a criteri politici, con la regola dell'appoggio ai secessionisti., una legge che praticamente ha segnato la condanna a morte della Jugoslavia. Una delle misure previste era così letale che il rapporto della Cia sopra riportato, si riferiva proprio a questa legge.

Un rapporto pubblicato durante i colloqui di Dayton (1995) dal Dipartimento di Stato Usa, "Bosnia Fact Sheet: Economic Sanctions Against Serbia and Montenegro", spiega che

"Le sanzioni hanno contribuito a un significativo declino della Jugoslavia. La produzione industriale e il reddito effettivo sono calati del 50% dal 1991. Ottenere un allentamento delle sanzioni è diventata una priorità per il governo jugoslavo". Il ricatto aveva funzionato e ora si poteva agire.

L'attuazione pratica di questo piano ha visto gli USA intervenire attraverso: 1.Fornitura di armi ai nazionalisti anti-serbi; 2.Copertura mediatica di crimini commessi dai nazionalisti allo scopo di far ricadere le responsabilità sui serbi; 3.Organizzazione e copertura del traffico di armi e droga i cui profitti sono stati destinati al finanziamento delle guerriglie anti-serbe. Da notare che qui è stato adottato lo stesso meccanismo utilizzato in Nicaragua dove i contras venivano finanziati dal commercio di droga fiorente in California. Oltretutto, nel Kosovo hanno agito gli stessi personaggi con la busta paga della Cia, fra cui lo statunitense Walker, già organizzatore degli squadroni della morte in San Salvador.

Da tempo gli Stati Uniti avevano aspirato a diventare i "padroni" dei Balcani. Un documento del Pentagono in parte pubblicato dal "New York Times" asserisce il bisogno di una totale supremazia mondiale degli Stati Uniti sia in termini politici che militari e il medesimo documento contiene esplicite minacce nei confronti di quei Paesi che aspiravano (o che aspirassero ancora oggi) ad aumentare il proprio ruolo nei Balcani.

Ecco alcuni stralci del documento: "Il nostro primo obiettivo è prevenire il riemergere di un nuovo rivale… ("nuovo" si intende dopo quello "vecchio", cioè l'URSS, ormai messa fuori combattimento- n.d.c.). Innanzitutto gli Stati Uniti devono sottolineare la necessità della loro leadership per stabilire e mantenere il nuovo ordine, convincere i potenziali competitori che non possono aspirare a un ruolo maggiore o perseguire un atteggiamento più aggressivo per proteggere i loro legittimi interessi".

"Dobbiamo essere responsabili degli interessi delle nazioni industrialmente avanzate per indurle a non cercare il rovesciamento dell'ordine politico ed economico stabilito. Infine, dobbiamo mantenere il meccanismo militare per scoraggiare potenziali competitori dall'aspirare ad allargare il loro ruolo regionale o globale".

"É di importanza fondamentale preservare la Nato come principale strumento di difesa e sicurezza… Dobbiamo cercare di prevenire l'emergere di accordi di sicurezza fra i soli Stati europei che potrebbero indebolire e mettere in discussione l'esistenza della Nato".

In un discorso tenuto nel settembre 2001, il deputato USA Lester Munston, ha dichiarato: "Voi non vedrete mai apparire i piloti della NATO dinanzi ad un Tribunale dell'ONU. La NATO è accusatrice, procuratrice, giudice ed esecutore, poiché è la NATO che paga le bollette. La NATO non è sottomessa al diritto internazionale. Essa è il diritto internazionale".

Gianni Viola

September 17, 2015

Il 10 Settembre si sono accesi i riflettori sulla 40esima edizione del Toronto Film Festival, la grande kermesse internazionale sul cinema. Prosegue fino al 20 settembre con una ricca programmazione, che spazia da grandi produzioni a film indipendenti, con oltre trecento lungometraggi, di cui ben sette italiani: Sangue del mio sanguedi Marco Bellocchio, Youthdi Paolo Sorrentino, L’attesa di Piero Messina,Mia madredi Nanni Moretti, Bella e perdutadi Pietro Marcello, Louisianadi Roberto Minervini e Exit/Entrance or Trasumanardi Federica Foglia.

La nuova edizione è iniziata con un colpo di scena: il ritorno sul grande schermo del re dei documentari, Michael Moore. Dopo Bowling a Columbine, Capitalism – A Love Story e il campione di incassi Fahrenheit 9/11, il regista e autore premio Oscar torna a far parlare di sé con un nuovo documentario, cui ha lavorato in gran segreto dal 2009: Where to invade next. La costante ricerca di un nemico da combattere che mantenga e alimenti l’industria bellica americana, ha spinto Moore a dedicarsi a questo nuovo progetto, da lui stesso definito “epico”. Where to invade nextè un’aspra critica alla politica estera americana, perennemente e opportunisticamente orientata al where to invade next 1conflitto: se il nemico non c’è, bisogna inventarlo. Il regista, con il suo stile inconfondibile e il suo graffiante sarcasmo, si appresta a invadere il Mondo per conto dell’America, prima fra tutti l’Europa. Si tratta però di un’invasione atipica, volta alla conoscenza di quello che si ritiene essere il “nemico”. È un’indagine sulla quotidianità, sulle contraddizioni e sulle usanze dei vari Paesi. Nonostante i tempi difficili, lancia un messaggio positivo: basta problemi, è arrivato il momento di trovare soluzioni. Girato in tre continenti, Moore viaggia portando con sé la bandiera americana che puntualmente pianta in ogni luogo in cui si reca, nella disperata ricerca del cosiddetto “american dream”. Una “commedia” provocatoria in cui si racconta l’America, stavolta però uscendo dal suo territorio e osservando gli altri Paesi, che da “nemici” diventano fonte di crescita e arricchimento.

Quello di Moore è un cinema di inchiesta e di denuncia, con importanti messaggi sociali conditi da una buona dose di ironia.

Il documentario, della durata di due ore, sarà proiettato a ottobre durante il New York Film Festival. Non è stata ancora resa nota la data di uscita nelle sale cinematografiche, che si vocifera essere entro la fine dell’anno. Chissà che questa nuova pellicola non porti a Michael Moore anche un altro Oscar.

Nella modernità la tradizione e il coraggio di San Paolo nel libro di Pierfranco Bruni al Premio Scanno 19 settembre dialogando con Giulio Rolando, Neria De Giovanni e Francesco D’Episcopo

Neria De Giovanni: “Il San Paolo di Bruni Un linguaggio nella contemporaneità con la cultura della tradizione”.

 

“E’ come se parlasse il linguaggio della ‘modernità’ nella cultura della tradizione, che resta l’elemento portante per comprendere la figura di Paolo nella storia, nella teologia e nel tempo dei nostri viaggi. Lo scrittore è come se ‘traducesse’ nella contemporaneità la forza e il mistero di San Paolo”. Sono parole di Neria De Giovanni che presenterà il San Paolo di Pierfranco Bruni. Neria De Giovanni, conoscitrice attenta della letteratura cristiana, ha letto nel libro di Bruni un Paolo che ha la lingua dei nostri giorni nella identità delle fedi.

Infatti attraversare la teologia di San Paolo è percorrere un viaggio tra fede, mistero e storia. Con San Paolo non si può prescindere dal rapporto tra archeologia e storia e tra mondo ebraico, cristiano e mediterraneo nella sua complessità. Una dimensione che pone una ragione d’essere anche in una lettura sia geopolitica che religiosa del Mediterraneo. Un Mediterraneo tra tre religioni che si leggono come filosofie, come teologie, come storia. Infatti il San Paolo di Pierfranco Bruni è un intrecciare il senso della religiosità con il mistero (ovvero misticismo) dei padri del deserto non dimenticando la storia. Il libro di Pierfranco Bruni su San Paolo: “L’altare della speranza. Paolo di Tarso, i linguaggi e la parola nella fede del viaggio” sarà presentato a Scanno per la XLII Edizione del Premio Scanno.

A discutere con Pierfranco Bruni, nell’aprire le manifestazione del Premio Scanno 2015 della Fondazione Tanturri, sabato 19 settembre alle ore 9.30, ci saranno Giulio Rolando, direttore de “Il Cerchio”, Neria De Giovanni, Presidente Associazione Internazionale Critici letterari, Francesco D’Episcopo, Università Federico II Napoli e storico della letteratura. Sarà una importante discussione perché il legame è tra la religiosità, il carisma, le etnie, il Mediterraneo nei viaggi di San Paolo.

Tre sono i viaggi che compie Pierfranco Bruni con il San Paolo tra i linguaggi e la parola nella fede, come sottolinea Giulio Rolando, di recente pubblicazione (Prospettive Meridionali, collaborazione CSR – SLSI, e Progetto Etnie del Mibact).

Il primo disegna la teoria di un Mediterraneo geo-religioso vissuto tra terra e mare in una prospettiva che è quella della “metafisica della parola”, come egli stesso afferma. Il capitolo ha questo titolo: “L’incontro con Paolo”.

Il secondo è un percorso filosofico e teologico nel corso del quale si incontrano Pascal, Kierkegaard e anche Benedetto XVI. Ma il punto centrale resta il concetto mistico di “confessione” e di fede in un intreccio tra tempo e memoria. Da queste pagine, chiaramente, si evince la sua formazione filosofica esistenzialista che trova in Maria Zambrano il punto centrale di un incontro tra Platone e Agostino e prima ancora Seneca. Il capitolo ha questo titolo: “San Paolo e l’esistenzialismo cristiano”.

Il terzo è tutto costruito su punti di riferimento che sembrano geografici, ma sono marcatamente spirituali, ovvero Damasco e Malta. Il viaggio, in fondo, lungo le rotte del Mediterraneo vive a Malta un approdo che è lo snodo dei venti e delle acque del viaggio. D’altronde il suo far scorrere il linguaggio tocca due porti metafisici: la civiltà e la tradizione. Il capitolo ha questo titolo: “L’altare della speranza”. È il capitolo che offre la sintesi al libro.

Un capitolo finale “Un tassello per non concludere” chiude questo mosaico, che come dice spesso Bruni, resta sempre incompiuto. Un bel lavoro che vede la prefazione del Vescovo Vincenzo Bertolone e la posta fazione del swgiornalista Gerardo Picardo. Una splendida copertina di Valentina Marelli.

Un San Paolo dei viaggi lungo gli itinerari della fede nei Mediterranei delle civiltà. Un libro che si lega strettamente al romanzo “La pietra d’Oriente” (Pellegrini) che è stato già tradotto in diverse lingue e presentato di recente in Rai.

 

 Pierfranco Bruni

 

Per la Religione cattolica (e non solo) gli esseri umani sbagliano ad impegnare tempo e risorse per aiutare gli animali che, secondo la Bibbia, sono stati creati per i bisogni ed i piaceri dell’uomo. Ma secondo tale giustificazione la Chiesa dovrebbe attenersi non solo a prescrizioni inerenti gli animali ma a tutto ciò che prescrive l’Antico Testamento, compresi i sacrifici di animali, la schiavitù, l’uccisione di gente di fede diversa, la demonizzazione e il disprezzo per la donna, la prescrizione ad uccidere colui che percuote sua madre o suo padre (Es. 21,15); chi pratica la magia (Lev. 22,17); chi lavora di sabato  (Es. 31,15); l’adultero e l’adultera (Lev.20,10); chi  ha rapporto con una donna durante le sue regole (Lev.20,18); chi  bestemmia il nome del Signore (Lev. 24,16); il  figlio che non obbedisce ai suoi genitori (Dt 21, 18-21) ecc. Se invece ritiene che lo spirito dei tempi richiede l’apertura a nuove e più giuste realtà allora è drammaticamente indietro rispetto l’evoluzione civile, morale e spirituale del mondo laico, e di questo dovrebbe interrogarsi e fare ammenda, anche sul perché una moltitudine sempre più numerosa di persone emigra verso religioni rispettose del mondo animale.

Ma chiedere compassione anche per gli animali fa sorridere il clero che ad ogni istanza di apertura verso il non umano trattano con sufficienza o con commiserazione coloro che si interessano di animali, considerandoli persone che si perdono dietro realtà senza valore, gente che dissipa le proprie energie in problematiche inesistenti, mentre dovrebbero impegnarsi nei problemi che attanagliano il genere umano. E naturalmente resta lontana l’idea che la compassione o il senso di giustizia, se posseduta, si manifesta in qualunque circostanza, indifferentemente dalla specie.

Il prete se la ride di noi che chiediamo amore anche per gli animali; se la ride della nostra sofferenza; ci considera gente sprovveduta, che ha perso la visione reale della vita. Nella sostanza insegna a non nutrire compassione per gli animali, perché ci sono cose più importanti. “Non spendete i vostri soldi per nutrire o curare gli animali” (come affermava ultimamente don Mazzi) “ma donateli per i nostri progetti a favore dei disagiati. Con tanti problemi che abbiamo noi umani perdete tempo, energia e denaro ad interessarvi di animali”? Gli stessi disagiati che se ne infischiano della sofferenza degli animali che mangiano a tavola con la benedizione e la partecipazione dei preti, e adepti in genere. Per la maggior parte dei preti sposare e condividere le due realtà è troppo impegnativo, ed è certamente considerano un ingiustificabile spreco il mio contributo versato annualmente sia a beneficio di associazioni umanitarie sia animaliste.

Inoltre probabilmente il prete non considera che il mangiar carne oltre a togliere la vita ad una creatura che voleva vivere e non morire uccisa, causa inquinamento, deforestazione e fame nel Terzo Mondo ecc.; come non considera il fatto che tutti i problemi umani sono la conseguenza della mancanza di compassione repressa dalla cultura antropocentrica che abitua l’uomo al disprezzo del piccolo, del minuto, dell’umile, del diverso e che questo preclude all’uomo la possibilità di essere giusto anche nei confronti del suo simile. Il cardinale Ettore Scola in una conferenza di alcuni anni fa a proposito dell'antropocentrismo della Chiesa Cattolica ha detto:  "Bene ha fatto la Chiesa Cattolica ad approvare i macelli e la sperimentazione animale nel suo Catechismo perché così facendo abbiamo salvato l'antropocentrismo. Perché se rimane l'antropocentrismo resta in piedi la Chiesa Cattolica altrimenti crolla".

Ma d’altronde per un’istituzione che per duemila anni è stata guerrafondaia, schiavista, sterminatrice di comunità religiose, di eretici, streghe e filosofi, ebrei, gnostici, pagani, indios, negri, comunisti, gay ecc. aprirsi alla compassione anche degli animali è come sperare che le galline  tornino a volare come i gabbiani. Ma come diceva Gesù, quello che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.

Non ci sarà pace sulla terra finché  le religioni monoteiste non si libereranno dall’influsso negativo del Vecchio Testamento che tra l’altro ribadisce  “Ogni volta che ne sentirai desiderio potrai uccidere animali e mangiare la carne, secondo la benedizione che il Signore ti avrà elargito… ma non ne mangerete il sangue; lo spargerai per terra come l’acqua” (Deut. 12:15).  In tempi recenti un cardinale affermava che mangiare l’agnello pasquale non solo è lecito ma rappresenta un preciso dovere ed è fonte di meriti. E un gesuita asseriva “Come possiamo avere dei doveri verso creature che a nostro piacimento possiamo fare a pezzi, arrostire e mangiare?

Ma la maggior parte dei preti nei confronti della sofferenza animale ha il cuore sotto la suola delle scarpe e la loro pietà non supera il loro naso. Parlare loro di rispetto per gli animali è come rievocare il diavolo. Questi preti, questa Chiesa, resta refrattaria al rinnovamento dello spirito, dell’intelligenza positiva, al progresso civile, morale e spirituale, all’evoluzione, che spinge tutto in avanti, eccetto loro. Non dovrebbero forse emulare il Cristo? In quale episodio dei Vangeli Gesù mangia la carne o invita a farlo? E anche in tale indimostrabile ipotesi, tra la violenza e la morte non dovrebbero protendere per il rispetto e la vita?

Anche l’ipotesi che il cristianesimo possa un giorno trionfare su tutta la terra sarà impossibile realizzare il regno di Dio se i popoli continueranno ad allevare, torturare e massacrare i loro fratelli animali. Qualunque concetto morale, filosofico, teologico o spirituale, limitato alla sfera dell’umano, se non contempla una visione universalistica della vita, è storicamente inefficace a rendere l’uomo migliore. Se l’essere umano resta incapace di percepire il valore della vita in tutte le sue manifestazioni, se resta insensibile al dolore degli animali, se resta autorizzato a sfruttare i più deboli, qualunque principio risulta positivamente inefficace nei confronti anche dell’uomo e lo rende incapace di porre le basi per un mondo migliore.

 

Franco Libero Manco

Grazie alla collaborazione tra Musei Vaticani e Gruppo FS Italiane, ogni sabato, turisti e appassionati avranno la possibilità di salire a bordo di un treno dedicato in partenza dall’antica Stazione Vaticana, all’interno dello Stato Pontificio, e arrivare alle stazioni di Castel Gandolfo e Albano Laziale.

Il nuovo collegamento ferroviario intende idealmente unire i “due Vaticani” e concretamente avvicinare due scrigni di cultura e bellezza quali sono i Musei Vaticani e le Ville Pontificie di Castel Gandolfo, luogo magnifico e segreto dove lo splendore dell’arte e la gloria della natura convivono in mirabile equilibrio.

Qui, per la prima volta, sarà possibile avere accesso al Palazzo Apostolico, da sempre riservato solo al Papa e ai suoi più stretti collaboratori, per visitare i nuovi spazi museali della Galleria dei Ritratti dei Pontefici.

Il nuovo servizio, pensato anche in vista del Giubileo straordinario della Misericordia, è stato inaugurato l’11 Settembre con uno speciale treno storico con locomotiva a vapore della flotta della Fondazione FS Italiane, che ha ospitato a bordo Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, Osvaldo Gianoli, Direttore delle Ville Pontificie e Michele Mario Elia, Amministratore Delegato del Gruppo FS Italiane.

In tal proposito ““Nei nostri 110 anni di storia – ha dichiarato l’AD del Gruppo FS Italiane, Michele Mario Elia – abbiamo accompagnato numerosi Pontefici in giro per l’Italia, con veri e propri bagni di folla nelle stazioni e lungo le linee”.

Tra i viaggi storici, vale ricordare il pellegrinaggio che San Giovanni XXIII intraprese per Assisi nel 1962: fu il primo pontefice ad usare la stazione ferroviaria della Città del Vaticano inaugurata nel 1932 e il primo Papa a viaggiare in treno, dopo l’unità d’Italia, varcando i confini del Lazio.

Il pellegrinaggio avvenne ad una settimana esatta dall’apertura del Concilio Vaticano II: il “Papa Buono” trascorse quasi tutto il tragitto affacciato al finestrino , raccontano le cronache dell’epoca, e al ritorno, sceso dal treno disse : “contento di aver fatto un buon viaggio”, frase che riempì di orgoglio tutti i ferrovieri.

“Le Ville Pontificie, per secoli inaccessibile segreta dimora estiva dei Papi di Roma – ha commentato il Direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci – dal 12 settembre sono aperte al pubblico e ci si arriva con il treno, il più popolare, il più democratico fra i mezzi di trasporto. È un fatto che stringe in emblema con plastica evidenza la politica di Papa Francesco; un Papa che ha rinunciato alla sua residenza estiva per aprirla alla gente. Se non è questo un segno dei tempi! ...

Io, da storico dell’arte, Direttore dei Musei Vaticani, penso all’emozione e allo stupore dei visitatori quando nel parco di Villa Barberini vedranno il geometrico splendore dei giardini all’italiana, quando entreranno nel criptoportico di Domiziano e avranno l’impressione di essere dentro una stampa delle rovine di Piranesi, quando, dalla terrazza della Villa di Castel Gandolfo vedranno l’occhio azzurro del lago dopo aver percorso la Galleria che raccoglie i ritratti dei romani Pontefici. Penso all’emozione e allo stupore, ma anche alla gratitudine che ciascuno dei visitatori proverà per questo imprevisto regalo del Papa.”

Per venire in possesso del biglietto del Treno delle Ville Pontificie, l’ingresso agli spazi museali del Palazzo Apostolico e per consultare l’intero ventaglio delle nuove offerte di tours, itinerari e soluzioni di mobilità,è agevole consultare il sito dei Musei Vaticani www.museivaticani.va.

Gabriele Garagnani

September 09, 2015

Looking for Grace” , film in Concorso della regista australiana Sue Brooks, è il viaggio di due genitori in cerca della loro figlia, un po’ scapestrata, che si è allontanata da casa all’improvviso. Grace, la protagonista inquieta , è interpretata da Odessa Young, giovane attrice che compare anche nel cast del film “The daughter”, di Simone Stone ( presente alla Mostra nella sezione “Giornate degli Autori”). Carina, ma di una bellezza molto standard, ha sfilato sul red carpet i primi giorni della Mostra . Il film racconta la storia di una ragazzina sedicenne che decide di partire,insieme alla sua amica, per raggiungere la città dove si terrà un concerto della sua band preferita. E lascia ai suoi genitori soltanto un enigmatico biglietto. Durante il viaggio Grace fa di tutto per fare conoscenza con un ragazzo carino , che vede sul pullman. Le intemperanze di Grace scoraggiano l’amica, che, a metà viaggio, decide di tornare indietro. E l’avventuretta che Grace ha con il bel ragazzo si dimostrerà deludente. Nel frattempo i suoi genitori – Dan (Richard Roxburgh) e Denise (Radha Mitchell) - si mettono in cerca di lei, in auto, per le strade deserte australiane. Il contesto dei luoghi non è mai ben chiaro ed inoltre la tecnica di scomporre i tempi, e sovrapporre passato e futuro, già trita, ha reso il film sconclusionato ed incomprensibile, oltre che frammentario. Il film si perde nella descrizione di tutti i personaggi, e questo distoglie lo spettatore dall’azione principale.

Poi, per giustificarne la “drammaticità” la regista ha inventato che alla fine la madre di Grace finisce all’improvviso sotto un camion. Il marito e la figlia Grace, attoniti, assistono alla scena   con una tiepida espressione di distacco. Reale , surreale o insignificante?

“Beasts of non nation” (“Bestie senza una patria”) è un film in concorso del regista statunitense Cary Fukunaga, basato sul libro “Bestie senza una patria”, di Iweala Uzodinma.   Il tema è quello dei bambini che vengono addestrati alla guerra. In un paese dell’Africa, non ben definito, scoppia una guerra civile. Il protagonista è Agu (Abraham Attah), un bambino che, dopo la distruzione del suo villaggio, erra, disperato, provato dalla fame, e terrorizzato dalla violenza, e finisce per arruolarsi con i mercenari guidati da un brutale comandante (interpretato da Idris Elba). Agu è costretto, per sopravvivere, ad assistere ad ogni tipo di atrocità e ad uccidere nei modi peggiori. L’argomento, che rappresenta una cruda e risaputa realtà di certi paesi, è stato già più volte trattato, e nel caso di questo film, non si vede nulla di nuovo.

Winter on fire”, del regista russo Evgeny Afineevsky, presentato nella sezione “Fuori Concorso”, è un documentario, ma più una cronaca, sui novantatre giorni che hanno sconvolto l’Ucraina tra il 2013 e il 2014: la sanguinosa rivolta per i diritti civili svoltasi nella centrale Piazza Maidan di Kiev, la lunga e ostinata protesta popolare contro il presidente Viktor Janukovic. Una storia vera che cattura l’attenzione dello spettatore fino all’ultimo minuto, senza mai cedere in momenti di lentezza o di opacità.

Il giovane regista ha spiegato che non si sono potute ottenere le migliori inquadrature, perché l’obiettivo principale era quello di registrare in diretta scene scioccanti come i violenti attacchi della polizia contro i civili disarmati, e contemporaneamente scene che dimostravano quanto il popolo ucraino, fiero di essere tale, stesse cambiando definitivamente il Paese. E’ fantastico vedere così tanta gente, così unita e così determinata, disposta a soffrire per novantatre giorni consecutivi , a resistere al gelido inverno e ai soprusi della polizia, per un ideale di patria e di paese libero e moderno. Un documento imperdibile che passerà alla storia e che è importante conoscere. Bellissimi commenti musicali.

Jolanda Dolce

September 08, 2015

L'emergenza umanitaria dei rifugiati delle zone di conflitto è uno degli esempi più visibili della necessità di affrontare le questioni razionalmente e alla radice.

 Dopo decenni di terrore del conflitto nucleare, la caduta del muro di Berlino avrebbe potuto segnare l'inizio di un nuovo percorso, di confronto e di partecipazione politica anche di paesi fino ad allora condannati a vivere da satelliti di una delle due grandi potenze. Un cammino che si sarebbe potuto avviare già dalla fine del colonialismo “diretto”, ma che sarebbe stato spianato solo da una revisione radicale dell'assetto mondiale, dei modelli economici vigenti e degli equilibri geopolitici su questi fondati. Una simile opera di profonda riconsiderazione avrebbe messo dunque in discussione il nucleo del sistema capitalistico, soprattutto in tema di giustizia sociale e redistribuzione equa delle ricchezze, a livello sia nazionale che internazionale. Ad esempio, sarebbe stato un gesto di distensione la dissoluzione dell'Alleanza Atlantica (NATO), la cui ragion d'essere, dallo scioglimento del Patto di Varsavia, era venuta meno. Quanto al Medio Oriente e al continente africano, sarebbe stato necessario riflettere su quanto il modello dello stato nazione, peraltro imbrigliato da confini artificiali disegnati da vecchi dominatori, si weweadatti ad aree geografiche le cui popolazioni locali non ne hanno mai avvertito il bisogno. Si pensi ad esempio agli stati nati, e non nati (come il Kurdistan), a seguito della caduta dell'Impero Ottomano e dalla fine dei protettorati delle grandi potenze.

La comunità internazionale, tuttavia, ha scelto di procedere in direzione contraria, come dimostrano sia l'inclusione di nuovi paesi nella NATO, ormai divenuta un gendarme a servizio degli interessi degli Stati Uniti e dei loro satelliti (a discapito delle Nazioni Unite, che dal dopoguerra, dopo un'enfasi iniziale, hanno perso capacità e volontà di intervento), che l'irrigidimento dei sistemi capitalistici in vigore, con la conseguente erosione progressiva delle conquiste sindacali e delle lotte per i diritti civili degli anni '60 e '70. Un processo in parte favorito dalla mancanza del “termine di paragone” sovietico in materia di tutela economica da parte dello stato in favore delle classi meno abbienti. Inoltre, l'assenza di contrappesi geopolitici allo strapotere di Washington ha aperto la via a nuovi conflitti e, recentemente, all'innalzamento di numerose nuove barriere tra stati. Si pensi al muro costruito nel 1990 dalla Spagna per “proteggere” le sue enclaves marocchine di Ceuta e Melilla, al muro di Tijuana, eretto nel 1994 dagli USA al confine con il Messico, alla “barriera di sicurezza” innalzata a partire dal 2002 dallo Stato di Israele in Cisgiordania. Per arrivare, quindi, alle muraglie più recenti, come quella eretta nel 2010 tra Israele ed Egitto, quella costruita nel 2013 dall'Arabia Saudita al confine con lo Yemen, quella tra Bulgaria e Turchia (costruita nel 2014) e quella tra Ungheria e Serbia (fresca di costruzione).

Sono solo alcuni esempi di un atteggiamento dilagante su scala mondiale, di rifiuto del dialogo e di una miopia geopolitica che induce a preferire la “riduzione del danno” (peraltro controproducente) alla soluzione condivisa dei problemi.

Il risultato è stato una globalizzazione fallimentare, che da un lato ha imposto la “regola” dei due pesi e due misure, dall'altro ha garantito la libera circolazione e il libero scambio delle merci, in base agli interessi delle potenze regionali e mondiali, ma ha limitato la libera e sicura circolazione degli individui. Una situazione caratterizzata da continue tensioni, in cui l'Unione Europea non ha saputo, e probabilmente non ha voluto, crearsi uno spazio. Dagli anni '90, dunque, si sono susseguiti conflitti dalle conseguenze disastrose e ingestibili. Si pensi a quello divampato nella ex Jugoslavia (della cui dissoluzione Germania e Vaticano sono stati tra gli attori principali), che, coinvolgendo l'intera regione balcanica, ne ha dissestato l'economia e il tessuto sociale. Al punto che paesi come Bosnia Erzegovina, Albania e Kosovo, sono divenuti terre di nessuno nelle mani di trafficanti di droga, armi ed esseri umani (organi compresi) e, ultimamente, una delle maggiori sacche di reclutamento dei cartelli del jihad del cosiddetto “stato islamico” (noto come ISIS, IS, o con l'acronimo arabo Daish). Gli attentati dell'11 settembre 2001, inoltre, sono stati pretesto per ulteriori operazioni militari in paesi come l'Afghanistan (già devastato dal conflitto con i Sovietici e dalla guerra civile) e l'Iraq. Tutte guerre classificate ufficialmente come “interventi umanitari”, ma che hanno mostrato il vero volto dei meccanismi innescati da quella che l'economista, politologo ed esperto analista militare Edward Luttwack ha definito la “dittatura del capitalismo”. Ne sono esempi eloquenti lo scandalo delle torture nel centro di prigionia di Abu Ghraib, in Iraq, l'uccisione dell'ex presidente iracheno Saddam Hussein nel giorno della Festa del Sacrificio (ricorrenza religiosa importante per l'islam). In nessuno di questi frangenti l'ONU ha difeso i diritti degli oppressi, al punto che, mentre a Russia o Iran sono state imposte sanzioni (come all'Iraq di Saddam Hussein o alla Jugoslavia di Slobodan Milosevic), l'uso di ordigni al fosforo bianco sganciati dalla coalizione internazionale a guida USA su Falluja, in Iraq, o l'uso di armi non convenzionali da parte di Israele in Libano nel 2006 non sono stati puniti.

Le cosiddette “primavere arabe” (nate come rivolte della società civile), in concomitanza con gli annunci di apertura e cooperazione del presidente USA Barack Obama nei confronti del mondo arabo-islamico (strategia ben diversa da quella delle “guerre preventive” del suo predecessore), avevano lasciato sperare in un nuovo processo storico, che avrebbe condotto verso una democratizzazione e un maggior rispetto dei diritti nei paesi interessati. Tuttavia, anche in questo caso, l'intervento in Libia sponsorizzato da Francia e Gran Bretagna, il soffocamento delle proteste in Bahrein, il divampare di guerre civili in Yemen (dei cui rifugiati nessuno si cura) e Siria e infine l'ascesa dei cartelli del jihad in Iraq e Siria hanno riportato alla luce le disastrose ripercussioni delle strategie geopolitiche delle grandi potenze. Ne è un esempio eloquente la sorte del colonnello libico Muammar Gheddafi, la cui “funzione” per Europa e USA lo ha preservato da inchieste e condanne internazionali, persino quando è stato coinvolto nell'assassinio dell'ex presidente del Burkina Faso Thomas Sankara.

Sarà una coincidenza il fatto che sia stato ucciso prima che, in un eventuale processo alla Corte Penale Internazionale, potesse fornire spiegazioni di numerosi tragici eventi degli ultimi decenni?

Lasciando da parte le reazioni emotive (che nel mondo appaiono tragicamente selettive), risolvere le crisi umanitarie significa eradicarne le cause, che si possono rintracciare nei rapporti di sopraffazione che alimentano l'attuale sistema economico, in particolare da quando ha spostato il suo asse portante dalla produzione alle speculazioni finanziarie. La crisi greca, i conflitti, le brutalità dei cartelli della droga in America Latina e dei cartelli del jihad in Siria e Iraq, ne sono solo alcune conseguenze. La violenza, peraltro, non riguarda solo i rapporti tra stati, ma anche le relazioni tra individui inseriti in un tessuto sociale dissestato. Una soluzione potrebbe essere adottare un sistema economico (come il modello della decrescita felice) più equo, che sappia garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo e al contempo favorire la distensione delle relazioni internazionali. Infatti, come è impossibile gestire i conflitti all'interno di una società infestata da diseguaglianze, così è impensabile arginare le guerre continuando sulla linea della mercificazione degli esseri umani e della legittimazione dell'oppressione.

 

 Carlotta Caldonazzo

    

La nascita del Cristianesimo, il ruolo della romanità nella diffusione del movimento religioso, sono solo alcuni dei temi della mostra presentata presso la Sala Stampa dei Musei Vaticani.

L’evento permetterà dal 3 Ottobre 2015 al 7 Febbraio 2016 di ammirare presso la Nieuwe Kerk (la Chiesa Nuova) di Amsterdam tesori d’arte davvero unici.

Tutto è stato realizzato grazie alla rilevante collaborazione con prestigiose istituzioni di Roma (Musei Capitolini, Museo Nazionale Romano) e del Vaticano (Musei Vaticani, Fabbrica di San Pietro).

Gli eccezionali prestiti racconteranno una delle storie più affascinanti dell’età antica: come, nel IV secolo, Roma intraprese la sua trasformazione da capitale imperiale a centro del Cristianesimo. Questo passaggio, come è stato sottolineato, fu reso possibile dal ruolo di una persona: l’Imperatore Costantino il Grande.

Sono intervenuti:

Arnold Nesselrath, Delegato per i Dipartimenti scientifici ed i Laboratori dei Musei Vaticani;

Sible de Blaauw, Università Radboud di Nimega, Curatore della mostra;

Eric Moormann, Università Radboud di Nimega, Curatore della Mostra;

Umberto Utro, Curatore del Reparto di Antichità Cristiane dei Musei Vaticani.

Sible de Baauw ha sottolineato che l’esposizione mette in luce la nascita e soprattutto la crescita del movimento religioso del cristianesimo nella metropoli multiculturale e multireligiosa di Roma tardo antica. Non si tratta di un’investigazione teologica, ma piuttosto di una contestualizzazione culturale, utile a fare nuova luce sulle origini del Cristianesimo. Punto di partenza è la conversione di Costantino e le conseguenze che essa ha prodotto nella società romana del quarto secolo.

I curatori hanno ricercato testimonianze nei Musei Romani e Vaticani e il risultato è una raccolta di 86 opere, 37 delle quali in prestito da vari settori dei Musei Vaticani.

Nonostante la delicatezza di manufatti antichi e nonostante l’ambizione dei Musei Romani e Vaticani di presentare continuamente una collezione intera e coerente ai loro visitatori, gli organizzatori si sono dichiarati particolarmente grati per la generosità dei musei che hanno concesso in prestito alcune opere di grande valore e di massima prominenza.

Una testimonianza centrale viene dall’incontro di due statue dell’arte paleocristiana rappresentate in molti libri di studio di Storia dell’Arte. Sia il cosiddetto Cristo Docente del Museo Nazionale Romano e la famosa scultura Il Buon Pastore verranno espose insieme nella parte iniziale della mostra. Si tratta di un confronto eccezionale tra due sculture del quarto secolo,confronto che sicuramente susciterà nuovamente il dibattito sull’identità religiosa o no delle persone raffigurate.

Altro pezzo di notevole importanza è una delle mani di marmo appartenenti ad una statua colossale dell’Imperatore Costantino proveniente dal cortile dei Musei Capitolini. Tra le opere in mostra figurano sarcofaghi, altre sculture, vetri dorati ben conosciuti ma pure delle opere raramente esposte.

La collezione della mostra viene completata con belle monete e manoscritti poco conosciuti provenienti dai Paesi Bassi.

Si tratta dunque di un evento di singolare interesse per Amsterdam tant’è che già un notevole numero di scuole hanno prenotato una visita alla mostra. Ed è inoltre anche ambizione degli organizzatori e dei curatori di effettuare una connessione tra la nascita del cristianesimo lontano da Roma e, in questo caso, la storia olandese. Inoltre, la società multireligiosa della Roma tardontica può offrire uno specchio ad una società contemporanea multiculturale in cerca di nuove identità e nuove forme di coesione.

La ex Chiesa di Nieuwe Kerk in Amsterdam è un monumento di importanza nazionale nel cuore della capitale, accanto al Palazzo Reale, e fu tramandata alla Fondazione Nazionale De Nieuwe Kerk, che da quest' anno l’ha destinata ad eventi culturali.

In fine c’è da sottolineare il grande interesse suscitato dalla visita guidata dal Dott. Umberto Utro, curatore del reparto di Antichità Cristiane dei Musei Vaticani, che ha accompagnato i giornalisti presso il reparto ove sono in fase di preparazione per la spedizione sia la statua de Il Buon Pastor, che del calco (in quanto non ancora presente il loco l’originale) della statua del Cristo Docente.

Tutto è pronto: ovviamente saranno massime le misure di sicurezza per la spedizione, adottate a tutti i livelli, in considerazione della grande importanza dei reperti.

 

Gabriele Garagnani
Dalla Sala Stampa dei Musei Vaticani

Lo zafferano è una spezia dalle proprietà medicamentose. Non solo.

 

L’occasione dell’incontro con Zafferano il Re dei Re è stata la mia visita, nei primi giorni di Maggio, a TuttoFood di Milano, l’Esposizione internazionale dedicata agli operatori del settore Agroalimentare. Una vetrina per scoprire le idee nuove del settore e far incontrare le specialità provenienti da ogni angolo del mondo non solo con gli operatori ma anche con i visitatori per una conoscenza a 360°.

I numeri danno un’idea dell’importanza di questo Evento. Tremila espositori posizionati in dieci padiglioni negli spazi SAM 0178messi a disposizione dalla Fiera di Milano- Rho. Rappresentanza di circa 7.000 marchi, su una superficie di 180.000 mq. E a due passi il sito dell’Expo. Stesso tema, il cibo ma ruoli diversi. TuttoFood a rappresentare “l’anima business”, quella in movimento. L’Expo a rappresentare l’anima ludica e niente più.

Girando tra gli stand ho avvertito, percepito l’ambizione da parte degli espositori italiani, di rappresentare una grande vetrina del cibo nazionale. Valorizzare le eccellenze e creare occasioni di incontro in uno dei settori trainanti del Made in Italy. Ambizione ovvero quel desiderio di affermarsi e distinguersi; divenire la vetrina internazionale del Cibo.

Ho incontrato Fabio Eletrico di fronte al suo stand, ben arredato con i prodotti posizionati in modo da non stancare la vista ne confonderla. Tutti hanno da raccontare la loro storia e nessuno è banale. La cura del packaging mi ha catturato. Non ho potuto fare a meno di soffermarmi a leggere, capire. E Fabio pronto con il suo “fare” talentuoso a spiegarne i segreti. Personalità esuberante? Tutto tranne questo. Il suo carattere si traduce efficacemente nei suoi prodotti esaltandone la personalità e complessità.

Elemento portante ed importante è lo zafferano. Conosciuto come spezia dalle proprietà medicamentose, come rewafrodisiaco naturale dagli attributi “stimolanti” già noti persino nella mitologia greca, ricopre oggi un ruolo importante anche come condimento e colorazione dei cibi. Fabio è andato oltre.

Partendo dall’affermata consapevolezza delle numerose doti nascoste dal fiore di questa pianta come contrastare l’invecchiamento, favorire la digestione, abbassare la pressione, ha dato il via alla produzione di numerosi prodotti “allo zafferano”.

La Grappa di Chianti e zafferano in stimmi, il Liquore del dopo pranzo sempre con zafferano in stimmi, la Sambuca allo zafferano, le numerose creme vegetali (ai peperoni gialli, alla zucca, alla carota, al tartufo) ideali da abbinare e arricchire i sapori dei formaggi , al miele d’acacia fino ad impreziosire il cioccolato bianco ed ottenere un tagliolino dalla straordinaria ed inconfondibile piacevolezza di questa spezia preziosa.

Il tempo passato con Fabio Elettrico è stato quanto di più interessante, e a tratti anche divertente, che mi potesse capitare in quella giornata fieristica milanese. Un full immersion arricchito da racconti che hanno legato tra loro Storia e capacità imprenditoriale anche con i risvolti meno felici, i “necessari” punti deboli che rendono il tutto “reale”. Senza retorica; un racconto narrato con gli occhi curiosi e appassionati, con maestria e consapevolezza. Una squisita ospitalità non limitata alla sola presentazione e SAM 0198degustazione dei prodotti ma far capire, intendere il suo stile: preciso, scrupoloso, sempre alla ricerca di armonia ed equilibrio espressivo e gustativo.

Lo zafferano è una spezia dalle proprietà medicamentose. Lo Zafferano è anche “Il Re dei Re” di Fabio Elettrico. Chapeau!  

Urano Cupisti

September 07, 2015

Dopo il grande successo del debutto nel 2013 al Théâtre du Châtelet di Parigi, arriva al Teatro dell’Opera di Roma in Prima Nazionale: I was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky (Stavo guardando il soffitto e all’improvviso ho visto il cielo), “song play” in due atti del noto compositore statunitense vincitore del Premio Pulitzer, John Adams, su libretto di June Jordan. Un’opera rock contemporanea con tre tastiere, chitarra e basso elettrico, sax, clarinetto e batteria, composta da elementi dell’Orchestra del Teatro dell’Opera e diretta dal  02 corsettiMaestro australiano Alexander Briger, con la regia di Giorgio Barberio Corsetti. Uno spettacolo brillante dalla raffinata

Giorgio Barberio Corsetti 

originalità in cui confluiscono differenti generi musicali, dal rock al jazz, passando in rassegna Stan Getz, Miles Davis, John Coltrane, Pink Floyd e Michael Jackson, in linea con lo stile complesso di Adams che “misura la potenza espressiva e l’autenticità paradossale delle musiche commerciali”.

“I was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky – spiega il compositore Adams – è la frase pronunciata da uno dei sopravvissuti al terremoto di Northridge del 1994, una catastrofe che ha devastato un’ampia parte del nord di Los Angeles. La lesse il librettista June Jordan sul Los Angeles Times e mi offrì il titolo perfetto per quello che volevo fosse uno spettacolo stile Broadway”.

Definito “un dramma sullo sfondo di un cielo blu”, racconta l’intensa e commovente storia di sette giovani ventenni di Los Angeles, diversi per etnia ed estrazione sociale, le cui vite cambieranno radicalmente all’indomani del devastante terremoto. Sette giovani adulti che si interrogano sull’amore e sul senso della vita, tra desideri, john adamspulsioni e paure vengono affrontati temi molto attuali come il

 John Adams

conflitto razziale, i rapporti con la polizia e l’autorità, la persecuzione degli immigrati e l’identità sessuale. “Sulla scena saranno presenti quattro parallelepipedi – afferma il regista Giorgio Barberio Corsetti - come fossero quadri in movimento raffiguranti luoghi e città in cui confluiscono le aspirazioni dei vari personaggi, che si sviluppano con dinamismo e in sintonia con le parole e la musica”. Interpreti internazionali per questa avvincente storia d’amore “polifonica” dallo stile shakespeariano: Daniel Keeling (Dewain); Jeanine De Bique (Consuelo); Joel O’Cangha (David); Janinah Burnett (Leila); Grant Doyle (Mike); Patrick Jeremy (Rick); Wallis Giunta (Tiffany).

I was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky sarà al Teatro dell’Opera di Roma dall’11 al 17 Settembre 2015.

Maggiori informazioni su www.operaroma.it

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