L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Il comando biblico “Crescete e moltiplicatevi” potrebbe portare l'umanità al punto di non ritorno. Il conseguente pericolo di questo assunto biblico dimostra che nessun principio, nessuna dottrina, nulla di ciò che viene sancito nei testi religiosi, come in ogni legge laica, ha valore imperituro.
Durante l'anno zero, cioè la nascita di Cristo, la popolazione mondiale era di 350 milioni di anime. Si calcola che nel 1800 la popolazione fosse di 700 milioni e che nel giro di un trentennio sia aumenta di un terzo fino a raggiunge un miliardo di unità nel 1830. Un secolo dopo sulla terra si contano 2 miliardi di esseri umani e nel 1975 4 miliardi . Oggi, 2021, la popolazione mondiale è di circa 7,8 miliardi di persone e si prevede che un fine secolo sarà di 100 miliardi. Ma molto prima sarà superato il numero
massimo di esseri umani tollerato dal pianeta.
Thomas Robert Malthus all'inizio dell'800 già affermava che se la moltiplicazione del genere umano non fosse stata regolata sarebbe stata causa di carestie e fame nel mondo ed il motivo della sua stessa rovina.
Anche se l'incremento demografico venisse arrestato e la fertilità umana diminuisse, la tendenza all'affollamento rimarrebbe. Alcuni esperti sono concordi nell'affermare che anche riuscendo a stabilizzare le nascite a livello zero (uguale a quello dei decessi) la popolazione mondiale raggiungerebbe ugualmente 16 miliardi di individui prima di una assestamento definitivo, cioè il doppio della popolazione attuale.
Se in un ascensore per capienza di 4 persone ne entrano 8 tra i gli occupanti si manifestano segni di insofferenza, di ansia, di paura e qualunque incidente degenera in aggressività. Allo stesso modo, se una tavola è imbandita per nutrire 10 persone, a mano a mano che si aggiungono nuovi commensali le porzioni diventano sempre più piccole e quando l'esigua porzione non è più sufficiente a sfamare nessuno dei presenti, si manifestano azioni di forza e di violenza secondo la legge mors tua vita mea. Questo è quanto succederà al genere umano se responsabilmente non si impegnerà a contenere l'incremento demografico.
Il maschio supremo dell'uomo sta nella sua indifferenza verso gli effetti che hanno prodotto le scelte individuali. Mettere al mondo un essere, per realizzare se stesi o appagare il proprio desiderio di essere genitori, è puro egoismo.
Anche quando la procreazione è concepita per la gioia di avere un figlio da amare, è sempre l'egoismo che ci muove. La sola cosa che può giustificare la messa al mondo di un nuovo essere è l'amore per la vita, la volontà di chiamare un nuovo essere al bene dell'esistenza, la volontà di dare al mondo un elemento armonico e positivo per il bene di tutti; non per propria soddisfazione, non per assicurare a se stessi la propria discendenza, non per avere sostegno nella fase della vecchiaia, nè per lasciare il proprio patrimonio finanziario o immobiliare, ma nell’intento di contribuire a rendere migliore questo mondo.
Donare la vita è l'esperienza più meravigliosa dell'universo (e nello stesso tempo più pericolosa e drammatica), per questo è grande la responsabilità verso chi (forse) non chiede di esistere.
La realtà antropologica mostra che quanto più una popolazione vive nella povertà e nell'ignoranza tanto più tende a moltiplicarsi, mentre quanto più c'è civiltà e benessere economico più si restringe il numero dei componenti familiari. Ma tutto è interconnesso e solo da una volontà politica generale intesa a favorire la prosperità e la cultura anche delle popolazioni indigenti può nascere il vero piano di contenimento delle nascite e scongiurare inquietanti prospettive future.
Le aggressioni israeliane in corso nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, contestuali alla brutale repressione delle proteste dei cittadini israeliani arabi, mostrano i limiti degli accordi Abramo, che avevano di fatto estromesso la questione palestinese dalla diplomazia; intanto, l’esercitazione a guida USA Defender-Europe, quest’anno particolarmente imponente, aumenta le tensioni con la Russia, aprendo un fronte tra i Balcani, il Mar Nero e l’Asia centrale; sul piano interno, nelle “democrazie neo-liberali” l’emergenza sanitaria globale ha favorito una militarizzazione progressiva delle società, e non solo per via della terminologia caratteristica della narrazione della pandemia
Dejà-vu?
Il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese è in apparenza un déja-vu geopolitico. Lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, reazione sproporzionata e aggressiva dell’esercito israeliano, i soliti vani inviti della comunità internazionale alla cessazione delle ostilità. In realtà, sono almeno tre gli elementi nuovi di questa crisi: il primo è l’apertura, per Tel Aviv, di un fronte interno in diverse città finora caratterizzate dalla coesistenza pacifica tra arabi ed ebrei, sia pure fondata sulla disponibilità dei primi di godere dei pochi benefici sociali che si potevano trarre da una cittadinanza di serie b. Ora, le proteste mostrano una maggior intraprendenza civile e politica delle giovani generazioni di cittadini arabi dello Stato di Israele, per i quali la crisi sociale innescata dall’emergenza Covid-19 ha solo aggravato una condizione di oppressione già dominata dall’espansionismo dei coloni israeliani e da espulsioni ed espropri forzati. Dinamiche consolidate, negli ultimi quattro anni, dall’ex presidente USA Donald Trump e, soprattutto, dal suo alto consigliere per il Medio Oriente, il genero Jared Kushner. Uomo d’affari del settore immobiliare, storico sostenitore delle campagne elettorali dei democratici, nel 2016 cambiò bandiera, sostenendo l’elezione del suocero sia dal punto di vista finanziario, sia con una febbrile attività di marketing politico attraverso le reti sociali.
Tra Tehran e Ankara: il pendolo di Washington
Premiato con una nomina di profonda sensibilità strategica, Kushner è stato dunque l’artefice della politica mediorientale dell’amministrazione Trump, riassumibile nella linea della massima pressione sull’Iran (fino alle pretese di un cambiamento di regime), mediante il ritiro di Washington dagli accordi denominati Piano di azione congiunto globale (JCPOA) e la creazione di un solido e agguerrito fronte anti-iraniano che aveva tra i suoi pilastri il premier israeliano Benyamin Netanyahu, l’Egitto di Mohamed Abd-al-Fattah a-Sissi e le petro-monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (ai cui regimi la diplomazia petrolifera frutta sempre meno), in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Un fronte consolidato dagli accordi di Abramo, che hanno favorito l’instaurarsi di una cooperazione tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Ne è rimasta fuori, invece, l’Arabia Saudita, che, da un lato preferisce non contrariare l’opinione pubblica in gran parte filo-palestinese, dall’altro non ha alcuna necessità di aumentare o rivedere il suo rapporto di collaborazione con Tel Aviv. Gli Accordi di Abramo, insieme ad altri accordi bilaterali di normalizzazione tra Israele, Egitto e Sudan, hanno stabilito un assetto geopolitico diverso da quelli nei quali si erano inserite le precedenti aggressioni israeliane contro i territori palestinesi, in particolare nella Striscia di Gaza. Il secondo elemento nuovo del conflitto in corso, è, appunto, il quadro geopolitico stabilito da questa rete di accordi, che hanno coinvolto, lo scorso anno, anche la Serbia (storicamente alleata del popolo palestinese) e il Kosovo, primo paese musulmano (il cui statuto, peraltro, non è unanimemente riconosciuto dalla comunità internazionale) ad aver aperto un’ambasciata a Gerusalemme.
Un’altra eredità dell’era Kushner, è infatti il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e dal conseguente trasferimento delle sedi diplomatiche dalla capitale amministrativa. Una mossa che ha estromesso la questione palestinese dal dominio della diplomazia, legittimando implicitamente la colonizzazione israeliana e favorendo, così, l’ascesa delle forze politiche più intransigenti. Complessivamente, dunque, durante i quattro anni di mandato di Trump, Washington ha adottato la linea dura nei confronti di Tehran, lasciando, di contro, che gli altri attori regionali, Turchia, Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, accrescessero il proprio peso geopolitico. Al contrario, l’amministrazione di Barack Obama era caratterizzata da un approccio più costruttivo nei confronti dell’Iran, ma più diffidente nei confronti di Ankara. Lo stesso approccio, almeno finora, adottato dall’attuale inquilino della Casa Bianca, con il quale Kushner, nell’editoriale del Wall Street Journal del 14 maggio, si è congratulato per l’astuzia strategica della sua decisione di riaprire il dialogo con l’Iran. In altri termini, quelle che sembrano virate strategiche altro non sono che strumenti per portare avanti la stessa strategia, tipica degli USA in Medio Oriente (e non solo), divenuta particolarmente evidente a partire dalla guerra del Golfo del 1990 e delle sue devastanti conseguenze. Una sua variante, osservabile nell’ex sfera di influenza sovietica, risponde al principio (simile, ma calato in un approccio più interventista da parte di Washington) per cui gli alleati di oggi sono quelli che bombarderemo domani.
Movimenti di truppe tra Oriente e Occidente
In generale, nell’ultimo mese, si sono acuiti gli attriti tra potenze mondiali e regionali nelle zone di maggior frizione tra Russia e Stati Uniti. Meno interessata al fronte mediorientale, Mosca guarda infatti con inquietudine lo svolgimento in corso di Defender-Europe 21, l’esercitazione militare annuale congiunta, condotta dalle forze armate USA in coordinazione con i paesi partner della regione, non necessariamente appartenenti all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico Nord (NATO). Le operazioni previste quest’anno interessano 16 paesi e coinvolgeranno un totale di 28 mila soldati. Tra i paesi partecipanti figurano, a titolo di esempio, l’Italia e il Kosovo, mentre tra le aree maggiormente interessate (dall’esercitazione principale e da altre ad essa correlate) ci sono i Balcani, il Mar Nero, il Baltico e il Maghreb. Per descrivere la portata di questo pantagruelico apparato, la cui grandiosità spicca sullo sfondo del disastro sociale provocato dall’emergenza sanitaria, il generale statunitense Tod Walters, a capo del comando USA in Europa, ha citato il D-Day, lo sbarco degli anglo-americani in Normandia nel 1944. I sospetti russi riguardano in particolar modo due delle regioni che ospiteranno le operazioni: i Balcani, zona di attrito tra Russia e USA dagli anni ‘90 del secolo scorso, e il Mar Nero. Quest’ultimo costituisce per Mosca una minaccia di non poco conto, soprattutto considerando la concomitanza temporale di Defender-Europe 21 con altri due fatti. Primo, il recente riacuirsi, in aprile, del conflitto russo-ucraino, che ha indotto Mosca a schierare truppe vicino al confine con l’Ucraina. Secondo, il progetto folle di Kanal İstanbul, il nuovo canale sul Bosforo, annunciato dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan nel 2011. I lavori, ha dichiarato lo stesso Erdoğan, inizieranno l’estate prossima e si concluderanno, prevedibilmente, nel 2028.
Un nuovo fronte sul Mar Nero?
A parte le mire neo-ottomane di Erdoğan, Mosca guarda con inquietudine a questi sviluppi, in particolare da quando si sono acuite le tensioni con l’Ucraina. Queste ultime, infatti, hanno fatto riemergere la questione storica della Crimea, e più in generale del Mar Nero, che da secoli costituisce un fronte caldo tra Russia e Turchia. Infatti, lo scorso gennaio, il presidente turco ha dichiarato che il nuovo canale non sarà vincolato ai termini della Convenzione di Montreux, firmata nel 1936 da Francia, Bulgaria, Grecia, Romania, Jugoslavia, Turchia, Regno Unito, Unione Sovietica, Giappone e Australia per regolamentare il transito di navi da guerra attraverso gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, la cui gestione fu affidata alla Turchia. Il trattato prevede, in tempo di pace, la libera circolazione delle imbarcazioni civili e restrizioni per le navi da guerra dei paesiche non si affacciano sul Mar Nero. Norme, quindi, che garantiscono la sicurezza non solo della Russia, ma anche della stessa Turchia: escludere Kanal İstanbul dalla giurisdizione della convenzione di Montreux sarebbe dunque un azzardo, soprattutto con la crisi delle relazioni russo-ucraine non ancora risolta. Ankara, infatti, si è schierata con Kiev, muovendo un ulteriore passo verso il deterioramento delle relazioni con Mosca, già messe a dura prova dal conflitto libico (nel quale le due potenze sono rivali).
C’è il rischio di un cesarismo regressivo
Contro il progetto folle di Erdoğan, si sono espressi, all’inizio di aprile, anche 104 ammiragli turchi in pensione, con una dichiarazione pubblica firmata costata a dieci di loro l’arresto con l’accusa di “attentato all’ordine costituzionale”. Le loro critiche, secondo il presidente turco, sono “allusioni a un golpe”, anche se la loro posizione è simile a quella manifestata qualche giorno prima da 126 ambasciatori: la Convenzione di Montreux protegge gli interessi turchi. L’arresto dei dieci ammiragli sarebbe, pertanto, l’ennesimo atto dello scontro tra Erdoğan e i militari kemalisti (laici), oppure il tentativo di Ankara di gestire gli equilibri tra le componenti del suo stato profondo, in particolare tra quella più allineata con la NATO e quella cosiddetta “eurasiatica”, cui appartiene Cem Gurdeniz, uno dei militari fermati e l’ideologo della teoria della “Patria blu” (Mavi Vatan).
È forse possibile che la militarizzazione della narrazione (e, in alcuni paesi, della gestione) dell’emergenza sanitaria, diffusa attraverso l’omnipervasiva Rete (in particolare mediante le reti sociali), abbia mutato la percezione che le opinioni pubbliche delle democrazie neoliberali hanno delle guerre vere e proprie e degli apparati militari? Sarebbe prematuro dirlo, ma in due paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Francia e USA, le forze armate hanno recentemente, per così dire, esortato i rispettivi presidenti a prendere le redini delle rispettive società, prima che le tensioni sociali diventino incontrollabili senza l’indispensabile intervento degli eserciti. In Francia, peraltro, l’appello firmato da 20 generali in pensione conteneva il riferimento a un potenziale di pericolo nelle minoranze musulmane. Inoltre, vale la pena osservare che il testo è stato pubblicato dal settimanale di destra Valeurs actuelles lo scorso 21 aprile, anniversario del tentato golpe messo in atto ad Algeri contro il generale Charles De Gaulle. Negli USA, invece, più di 100 generali in pensione hanno indirizzato una lettera aperta al presidente Biden, accusandolo di cercare di instaurare “una forma marxista di governo tirannico”. Due episodi che, se isolati, dimostrano l’emergere di forze (nelle società civili e negli apparati istituzionali) che guadagnano consensi strumentalizzando il timore e la collera di tessuti sociali dissestati dalla tirannide del mercato. E degli imperi.
Il mio primo contatto, una specie di innamoramento, con Franco Battiato è stato con Fetus, il suo primo disco di musica elettronica che ha fatto da colonna sonora a notti insonni, passate a dipingere acquerelli astratti quanto le sue “melodie”.
Quando è passato a scrivere canzonette l'ho vissuto come una specie di tradimento. Tra i miei amici si diceva che si fosse “venduto al mercato”, che fosse “passato dall'altra parte”; frasi rigorosamente in bianco e nero, prive delle sfumature della vita, in un'epoca di schieramenti a priori.
Solo più tardi ho capito cosa stava facendo, forse; stava scrivendo i mantra del XX secolo; il praticante canta i mantra ignorando le parole di sanscrito di cui sono composti, la Parola di Dio è solo suoni; sono proprio quei suoni che risuonano in certi punti del corpo, stimolano certi centri e favoriscono certe risposte. Il praticante non lo sa, canta e basta. Le canzonette del suo periodo pop , con le loro allusioni ei loro deliziosi nonsense svolgono la funzione di moderni mantra; l'inconsapevole fan le canta ei chakra cantano e risuonano con lui, danno delle piste, aprono possibilità.
Potrebbe essere una delle tante spiegazioni di un essere umano inspiegabile, come tutti i misteriosi personaggi che hanno illuminato il XX secolo e che sono sfuggiti alle definizioni banali, all'essere da una parte o dall'altra, soprattutto dalla parte dei potenti.
Non diremo che Franco Battiato ha letto Gandhi, Silo o Martin Luther King, non lo tireremo dalla nostra parte come si suol fare con i morti che, di norma, non hanno più la possibilità di smentirti. Lo lasceremo in pace .
Semplicemente salutiamo l'essere umano, lo studioso di Gurdjieff, dei mistici e del Libro Tibetano dei Morti, il musicista poliedrico e mai soddisfatto, lo studiooso e praticante sempre alla ricerca del prossimo passo dell'ascesa. Nel Suo ultimo lavoro Fondamentale Attraversando il Bardo, Sguardi sull'aldilà, libro e documentario e Capisce Che il percorso verso il DOPO fosse Già tracciato e conosciuto.
Forse gli accadimenti degli ultimi anni, gli incidenti, le dicerie sulla malattia erano l'ultima dissimulazione per partire con la dovuta calma e consapevolezza. Senza inutili distrazioni.
Dunque, buon cammino e arrivederci, Franco. Felici di aver condiviso insieme qualche istante del misterioso viaggio come Esseri Umani.
per gentile concessione dell'agenzia di stampa PRESSENZA
Non sembra ma è uno scontro che dura da secoli. Il mondo come una scacchiera. Le parole nordiche da sempre prediligono la “bionda”. Quelle comprese tra il 30 ° e 50 ° parallelo sia Nord che Sud più propense verso il “nettare di Bacco”. Poi le eccezioni in tutte e due le fasce.
Ma è nata prima la birra o il vino?
Confrontando le datazioni di cui siamo certi si potrebbe affermare che la birra sia più antica , tuttavia nessuno ne ha la
abbinamento con ostriche |
certezza.
Anche perché a far ruotare l'ago della bilancia a favore del vino pesa il processo di produzione della birra che generalmente è “meno spontaneo”.
Altri dati, temi della contesa:
- la birra rappresenta la bevanda meno nobile, il vino più ricercata, sofisticata;
- la birra è prodotta con i cereali di diversa natura, il vino è solo oggetto di fermentazione del mosto, la pigiatura dell'uva;
- la birra da sempre è prevalentemente pagana ( ad eccezione degli studi e produzioni dei monaci francesi, belgi e tedeschi), il vino bevanda sacra legata “al sangue di Cristo”. E via, via, via.
Una cosa è certa; nel mondo in cui viviamo ambedue le bevande sono oggetto di continui studi, produzioni diversificate, volte e invadere i territori reciproci cercando di primeggiare sui mercati.
Ecco che la vite esce dai propri confini e colonizza territori nuovi come la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, la Svezia. Esplode il fenomeno in Cina e nei paesi asiatici, raggiungendo anche limiti di altitudini mai pensate (allevamenti di Malbec a 3.150 mslm nella regione andina del Salta-Argentina) o latitudini equatoriali come in Brasile,
fruit Beer con i dessert |
nello stato del Par á .
La birra, dal canto suo, con il confermare sempre più le "sue" zone di competenza, invade i tradizionali territori vinicoli "sdoganandosi" e sostituendosi con prodotti più ricercati e attenti soprattutto ai gusti giovanili, giocando in particolare sulla bassa tenuta alcolica ea tutto quanto ne consegue.
Avete notato che nei film di produzione americana si beve meno vino, champagne e superalcolici e più birra? Direttamente dalla bottiglia risparmiando il lavaggio dei bicchieri? Più “fico e green”.
E non parliamo dell'attuale sfida lanciata su uno dei “dogmi” fondanti della Scuola del Vino: l'abbinamento con il cibo.
Minata la figura del sommelier che deve reinventarsi una cultura birra-cibo per la crescente richiesta di questa bevanda.
Non solo pizza e birra ma carne, pesce, verdure e, udite udite, abbinamenti con la cucina vegana .
Accanto alla Carta dei Vini anche quella delle Birre.
" L'abbinamento di cibo e birra è un elemento fondamentale per raggiungere una perfetta armonia tra tutte le sensazioni percepite durante la degustazione, quindi la migliore valorizzazione delle caratteristiche organolettiche di entrambi gli alimenti". Così ho trovato scritto in una Carta di un noto Ristorante stellato.
Sapidità, tendenza dolce, grassezza, tendenza acida, tendenza amarognola, untuosità, succulenza, persistenza gusto - olfattiva , non sono più appannaggio della scienza dell'abbinamento cibo-vino.
Abbinamento per contrasto e abbinamento per concordanza si insegnano anche ai Corsi della Birra sempre più frequenti.
Una volta, ricordo, costituivano materia di una sola lezione durante i tre livelli per ottenere l'attestato di sommelier. Oggi sono Corsi mirati, maggiormente conoscitivi della materia della “bionda”.
Di seguito un elenco dei piatti abbinati a stili di birra:
ALE LEGGERO: Tramezzini, formaggi a media stagionatura
BRITISH BITTER: Sandwich, tramezzini, formaggi freschi
ALES SCOZZESI: Carni rosse, arrosti e stufati, se dolce adatte ai dessert
PALE ALE: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi
INDIA PALE ALE: Primi piatti con verdure, ortaggi, carciofi ed asparagi
ALTBIER: Primi piatti saporiti, formaggi, selvaggina, se dolce adatte ai dessert
MARRONE ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature
NEWCASTLE BROWN ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature
ALES FORTI: Carni rosse, formaggi a media e lunga stagionatura, anche erborinati
PORTIERE: Carni rosse
STOUT: Carni rosse, selvaggina e formaggi a lunga stagionatura
ALES FRANCESI: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi
ALES BELGA: Primi piatti saporiti, formaggi, selvaggina, se dolce adatte ai dessert
FORTE ALES BELGA: Arrosti e spezzatini, salumi, molluschi e pesce alla griglia, formaggi a lunga stagionatura e caprini
SPECIALITÀ BELGA ALE: Carni rosse, arrosti e stufati, formaggi a media stagionature
WEIZEN: Carni di maiale, pesce
EUROPEAN LIGHT LAGER: Antipasti, insalate, pomodori ed ortaggi aciduli, pizza, formaggi a pasta filata
AMBRA TEDESCA: Carni rosse, arrosti, formaggi a media stagionatura, salumi
LAGER SCURO EUROPEO: Carni rosse, arrosti, formaggi a media stagionatura, salumi, se con residuo zuccherino adatte ai dolci
BOCK: Primi piatti, carni leggere, salumi, formaggi
FARO: Fuori pasto o con alimenti a forte tendenza dolce (riso e pasta al burro)
GUEUZE: Alimenti a tendenza dolce, anche con dessert alla frutta se aromatizzate
Ora et labora |
Parlare di birra e molluschi può sembrare un po 'audace. Ma non è così.
Birra e cozze è un grande classico, lo stesso tra birra Stout e ostriche (per gli amanti del vino non è solo una bestemmia, è una assurdità, sovversiva e scandalosa).
Abbiamo finito di mangiare, è il momento del dessert. Moscati, passiti, spumanti dolci. Il classico abbinamento per concordanza.
Ecco che si fanno strada le Fruit Beer , premuroso l'abbinamento più classico. Addirittura si va oltre: se abbiamo una torta a base di frutta, possiamo creare equilibrio con l'amarezza di una Porter, se prevalgono gli agrumi invece, meglio una Blanche. A seguire le Sour, Berliner Weisse, Gueuze, Italian Grape Ale o Lambic dal sapore secco e vinoso.
La guerra è in corso. Comunque la si pensi, sottovalutarla è un errore. Chapeau!
Urano Cupisti
Tempo che soffre e fa soffrire,
tempo che in un turbine chiaro
porta fiori misti a crudeli apparizioni.
(Mario Luzi)
Il tramite della poesia rimane l'uomo, l'uomo con la sua mentalità, intelligenza, scaltrezza, l'uomo con le proprie esperienze, sensazioni e cammini emotivi.
Senza alcun dubbio Mario Luzi è stato fra i maggiori esponenti della poesia ermetica anche se incanalarlo solo in uno stile poetico è a dir poco riduttivo e insufficiente.
Mario Luzi era molto di più; era una persona attenta, sofferente di un mondo ai suoi occhi immorale, scorretto dove l'essere umano è l'artefice di tanta nullità. Era un viaggiatore ma sopratutto un trasformatore della parola mosaico ogni terminologia trasformando con gli anni la sua poetica di ari passo con i tempi e le concezioni del momento cambiando spesso le strutture strutturali del proprio stile.
Fin dall'esordio con "La barca" (1935), il giovane Luzi, inizia la metamorfosi del suo lungo dire passando da una sospensione metafisica, seguendo poi con i settori emetico-cattolici fino ad arrivare a una visione simil-fotografica degli ambienti e luoghi fino ad arrivare poi alla contestualità della morte e della sofferenza.
Il suo versificare sul dolore, sulla certezza dell'incomunicabilità, la serrata sensazione dell'inquietudine, l'ansia come insopportabile resa di un'epoca sorda e sterile, lo rendono un meraviglioso uomo pensante e non un ennesimo scrittore di poesia elegiaca. Già dopo il 1943 Luzi si stacca dal suo essere ermetico intraprendendo un cammino di neorealismo sia poetico che letterario che abbandonerà in seguito per uno stile del tutto personale addentrandosi su tematiche di una società moderna e post moderna. Un continuo evolversi del poeta che non si sofferma e un cliché forzato ma che si lascia trasportare da un'interiorità complessa di riflessi emotivi da spingerlo liberamente verso una ricerca liberatoria del sé svincolato da stili, correnti o forme poetiche “obbligate”.
Nella raccolta “Nel magma” (1963), il poeta ormai adulto, diventa coscienza e scrutatore di vita e di morte rimanere libere le parole di “agire” e formare ciò che la propria mente partorisce costruendo così testi e conversazioni di stile prosastico, lontani da creazioni ermetiche ma simbiotici alla vita. Una silloge di impronta eliotiana dove l'ombra filosofica-metafisica aleggia fra simbolismi e tracciati di vita reale.
In queste poesie alloggia nel poeta il ricordo, l'ansia, la nostalgia, la spiritualità, la costruzione, l'arresa, l'invitabilità e il tutto abbracciato in quell'inquietudine che in questa raccolta intera vibra.
Mario Luzi crea la poesia dai fatti, dalla speranza fra avvicinamenti e distacchi dove il tutto convola fra l'etereo e la materia dove sempre perdura quell'ansia sconvolgente creata dall'assenza del valore umano.
Fu traduttore, giornalista, professore universitario, scrittore, opinionista, collaboratore di riviste, autore di monologhi di pezzi teatrali. Nominato Senatore a vita della Repubblica Italiana; fu un grande letterato che mai dimenticò di essere UOMO. Nessuno più di lui dimostrò tanta umiltà, sempre disponibile a interviste, dialoghi, conferenze. Amava tardare con gli studenti anche ben oltre i normali orari di lezione. Molti ragazzi venivano da tutta Italia per incontrarlo e lui dimostrò sempre molta attenzione e ascolto per ognuno di loro dando sempre la propria disponibilità.
Ci sono uomini che lascino di sé i loro operati, ma ci sono anche uomini che oltre ai doni da loro elaborati, lasciano ricordi e orme indelebili del loro passaggio grazie al loro enorme senso morale e civile. Questo e molto di più era Mario Luzi.
Mario Luzi nasce a Castello allora frazione di Sesto Fiorentino adesso è in provincia di Perugia il 20 ottobre 1914 e muore a Firenze il 28 Febbraio 2005.
Marco Taddei , è un dinamico e intraprendente giovane, conosciuto come il blogger di Simply Mr. T , una piattaforma italiana focalizzata prettamente sullo stile maschile, luxury e travel.
Dopo aver maturato un'esperienza di quattro anni in Showroom , Marco decide di seguire la sua inclinazione nel panorama del mondo della moda , così intraprende il percorso del web , spinto dalla passione per la ricerca di brand capaci di raccontare la storia e la tradizione dell 'Italia , patria del Made in Italy. Questo giovane ed effervescente designer , riesce ad esprimersi con forte energia ma anche seguendo con naturale entusiasmo ciò che gli viene 'da dentro', con grande naturalezza. Durante la manifestazione del Pitti Uomo, a Firenze nel mese di giugno e di gennaio , è sempre al centro degli obiettivi dei fotografi di tutto il mondo, e ormai rappresenta un vero punto di riferimento dell'eleganza maschile da parte di molti giovani.
Il suo blog - curato personalmente, con attenzione e scrupolo - si caratterizza proprio per il suo gusto italiano, raffinato, artigianale ed estremamente ricercato: mai banale . Dai suoi scatti è possibile leggervi la storia dell'Italia, oltre al forte carattere identitario di Marco che non propone mai una moda da vetrina e da manichino, ma una moda identitaria che rivela il suo carattere, la sua personalità.
Marco Taddei, coglie ogni occasione utile per affermare il proprio orgoglio di lavorare con aziende che hanno più di cento anni di storia : atelier sartoriali di alta gamma, e-commerce, hotel di lusso e ristoranti di spessore internazionale, che egli con gioia a far apprezzare nel mondo.
Alla vigilia di un importante evento a Milano, in programma il 13 maggio 2021 - che potrete seguire al link https://virum.it/trunk-show-milano-virum/ -, tra una prova e un'altra, siamo riusciti a ottenere una breve intervista da Marco: utile presentazione di sé stesso e del lancio della nuova linea: Urban Safari ( per visionarla, https://virum.it/categoria-prodotto/abbigliamento/giacche-sartoriali/urban-safari/ ).
Bentrovato, Marco… può dirci qualcosa di più di questo evento?
L'evento nasce per presentare la collezione di giacche Urban Safari disegnata da me in esclusiva per la sartoria Virum di Napoli . Nel corso della presentazione, verrà mostrata la collezione nelle varianti colore, mentre i più esigenti potranno procedere anche a ordini personalizzati, ordinandole su misura . L'evento avrà luogo nell'elegante cornice di un esclusivo salotto di Milano , sede del Lanificio F.lli Cerruti 1881 : prestigioso brand del Made in Italy di spessore internazionale che, oltre a ospitare l'avvenimento, è partner attivo del progetto, in quanto le giacche sono realizzate con un loro nuovo tessuto denim / seta chiamato Genova , in onore del luogo d'origine del Denim .
Cosa l'ha ispirata?
Il progetto Urban Safari prende ispirazione dall'eleganza classica del passato. Mi sono ispirato dalla consultazione di vecchi cataloghi di abbigliamento maschile e di vecchie pellicole, nelle quali le giacche sahariane proposti in molte versioni. E 'un capo molto versatile che, prima di esordire in ambiti civili, era parte integrante delle divise dei soldati britannici nella seconda metà del XIX Secolo, in piena epoca coloniale. Il modello di sahariana proposto oggi, possiede tutte le caratteristiche delle classiche giacche del passato, ma è realizzato in un tessuto più urbano come il denim. Per questo il nome Urban Safari .
C'è anche un messaggio, attraverso questo evento?
Certamente: ed è un messaggio di energica positività. Mi auguro che l'evento rappresenti una boccata d'ossigeno in un momento che si spera comunque transitorio, e che possa rappresentare un nuovo inizio dopo questo lungo periodo di incertezze sociali e sanitarie.
Marco… in prospettiva, come vede il futuro?
Difficile avere oggi una visione chiara di quelli che potranno essere gli scenari futuri. Il futuro prossimo sarà certamente digitale e credo che questo sia comunque un dato certo. Che si tratti di commercio o di comunicazione, la direzione sembra ben delineata. Cambieranno diverse dinamiche fino ad oggi date per scontate ma non si perderà il desiderio di vivere la realtà e il gusto per il bello.
Qualche anticipazione su future iniziative?
Sicuramente rinnoveremo l'evento in estate a Milano e probabilmente accresceremo la Comunicazione on-line sulla Urban Safari. I diversi modelli sono già in vendita e la cosa che già mi gratifica molto è sapere che in poco tempo sono arrivate molte ordinazioni non solo dall'Italia ma anche da diversi paesi della Comunità Europea.
Grazie, Marco Taddei, per questa intervista flash e 'buon tutto' !. Per chi volesse seguire le idee e il work'n'progress del giovane stilista, consultando il link https://instagram.com/marcotaddeiofficial?igshid=222kv3hjas6f potrete restare sempre informati.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
La “famosa” luce in fondo al tunnel sembrerebbe raggiungibile. Per il momento a far sperare e respirare tutto il confronto eno-gastronomico sono le parole del Presidente del Consiglio pronunciate nell'ultima conferenza stampa. Anticipando le misure che dal 26 aprile sono in atto finalizzate ad alcune aperture graduali con il ritorno della zona gialla in tutta la penisola, il presidente Mario Draghi ha parlato di un "rischio ragionato" . Ma è davvero così? Una cosa è certa; l'affermazione ha scatenato da subito tutta una serie di possibili e probabili attuazioni di manifestazioni, al momento congelato, da effettuare un breve per una "bisognosa ripartenza" che i più hanno definitonecessaria . Qualcuno già da tempo ipotizzava questa decisione (se pur non definitiva) fissando i dati precisa ed avviando le macchine organizzative (Milano Wine Week). VeronaFiere (Vinitaly) subito con la diffusione di una dichiarazione circonstanziata ( ad ottobre Vinitaly in presenza ), Champagne Experience inviando un post con scritto TUTTI PRONTI , le Anteprime Toscane a dire “ci siamo anche noi” e via, via, via. Date ritenute impossibili, logisticamente parlando, che vengono definite “con la buona volontà possono essere possibili”. Personalmente assisto a questa grande confusione che più di una ripartenza ragionata sembra essere il tipico “assalto alla diligenza”.E i “poveri” vignaioli?
Frammento n. 1
Giovanni Mantovani |
Vinitaly ad ottobre in presenza.
“Rischio ragionato docet”. Il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, cogliendo la partecipazione ad un convegno di Coldiretti, ha dichiarato: "Dopo un anno di assenza di eventi vinicoli, Veronafiere sarà operativa con una programmazione straordinaria proprio sul brand Vinitaly. Dal 17 al 19 ottobre (in piena vendemmia ndr) torna Vinitaly con una special edition in presenza ”. Fantastico, dal 2 al 10 Milano Wine Week, poi si smontano gli stand e via a Verona dal 17 al 19. Nel bel mezzo anche Champagne Experience a Modena (10-11 ottobre) Avanti c'è posto per qualcos'altro !!!
Frammento n. 2
Champagne Experience, Modena 10-11 ottobre
Tutti Pronti, torna Champagne Experience, la quarta edizione. Nel padiglione A di ModenaFiere. Sicuramente il più importante appuntamento italiano dedicato al “perlage” più famoso al mondo: lo champagne. Biglietteria on line già aperta.
Frammento n. 3
Acque agitate a Montalcino
Di più a Firenze (Assessorato regionale all'Agricoltura). Il contendere? L'invio dei giornalisti da parte della Regione al Benvenuto Brunello. Il Consorzio di Montalcino è per una selezione di persone e testate che garantiscano ritorni comunicativi effettivi ed inoltre richiede lo spostamento a novembre dell'evento (non più febbraio). “Indietro non si torna anche se siamo aperti ad un confronto per trovare soluzioni” ha dichiarato Fabrizio Bindocci, Presidente del Consorzio.
Frammento n. 4
Concorso Nazionale Sauvignon Blanc.
Non solo Pinot Nero e Riesling ma anche Sauvignon Blanc. I tre concorsi nazionali organizzati in Alto Adige. Ottantacinque campioni provenienti da diverse regioni italiane si sono confrontati quest'anno a Kurtatsch (Cortaccia) nella Bassa Atesina. Questo il podio: 1) Ansitz Waldgries Myra, 2) Weingut Franz Hass, 3) Kellerei Tramin Pepi . Andreas Kofler e Peter Dipoli, rispettivamente Presidente e Vice Presidente del Comitato organizzatore, alla fine di questa edizione, hanno constatato l'elevato valore della competizione stessa. Prossimo appuntamento sempre in Alto Adige per la manifestazione Sauvignon Experience , dedicata al pubblico degli appassionati e momento di approfondimento sul Sauvignon Blanc.
Frammento n. 5
Arriva la menzione Pieve in etichetta.
Il Vino Nobile di Montepulciano si arricchisce, in etichetta, di una nuova menzione: riscopre le Pievi . “Una terza tipologia, quella che metterà insieme nella stessa bottiglia, passato presente e futuro del nostro vino”. Così il commento di Andrea Rossi, Presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano. Nobile, Riserva e Pieve, ovvero sottozone come unità geografiche aggiuntive. Considerati i tempi di affinamento che sono di 36 mesi, la prima annata con scritto Pieve dovrebbe essere messa in commercio nel 2024.
Frammento n. 6
Effetto SuperLega anche nella Birra!
Qualsiasi provvedimento che appare diretto a privilegiare solo alcuni, viene etichettato con il paragone della SuperLega calcistica e l'invito all'insurrez
ione del tipo "fans inglesi del Chelsea", auspicato con proclami. Così anche nel mondo della Birra !!! È bastato un provvedimento di tipo finanziario che agevolerebbe solo otto “grandi” birrifici artigianali a scatenare l'ira dell'UnionBirrai . “Un provvedimento che rappresenterebbe un duro colpo per i piccoli birrifici indipendenti che da circa un anno fanno i conti con grossi cali di fatturato, causa pandemia. No alla SuperLega della Birra !!! " ha tuonato Vittorio Ferraris, direttore generale UnionBirrai.
Osservo, scruto, assaggio e… penso. (urano cupisti)
I TRE PRINCIPALI OSTACOLI AL PROGRESSO CIVILE, MORALE E SPIRITUALE DELL'UOMO
Tre sono i principali ostacoli al progresso che apre alla cultura del bene, dell'intelligenza critica positiva, dell'etica universale: i mezzi di informazione di massa al servizio delle grandi lobby agroalimentari / zootecniche / chimico / farmaceutiche, la medicina sintomatologica e l ' insensibilità umana originata dalla visione antropocentrica. Tutti e tre contribuiscono a frenare l'evoluzione integrale dell'uomo.
I mass media condizionano la mente della popolazione rendendo indispensabile ciò che è sempre stato superfluo, spingendo la gente a consumare prodotti propagandati come necessari e benèfici mentre sono un vantaggio solo delle grandi lobby e spesso causano danno alla salute delle persone e del pianeta. I mezzi di informazione che dovrebbero contribuire al vero progresso culturale, morale e spirituale della popolazione, sono improntati a dare al popolo quello che il popolo (condizionato) chiede, non quello di cui ha realmente bisogno, favorendo la società dell'apparenza, dell 'esteriorità, dell'immagine, del cattivo gusto, della volgarità. Propongono violenza, sesso, arrivismo, edonismo, senza curarsi del danno che procurano. Quanto più un popolo è ignorante, affamato e bisognoso di protezione tanto più è vulnerabile e facilmente manovrabile. La medicina sintomatologica considera la malattia un fatto ineluttabile; interviene sui sintomi; non cerca di rimuovere le cause e autorizza implicitamente a persistere nei cattivi stili di vita e negli errori alimentari assoggettandolo passivamente alla cure farmacologiche che spesso causano effetti iatrogeni (naturalmente senza disconoscere il grande contributo dalla medicina in tutti i casi di urgenza ed in fatto di chirurgia ). Un meccanismo che asseconda le aspettative del popolo inerte e bisognoso di avere buone notizie sulla propria cattiva condotta; un popolo che esige dal medico la pillola che consente di non rinunciare alle abitudini indotte dal sistema. Il medico tende a sottovalutare l'importanza dell'alimentazione mentre questa è in grado di condizionare non solo la salute del corpo ma della mente e della coscienza.
Il vero medico dovrebbe operare per prevenire più che curare, correggendo gli errori e gli stili di vita delle persone. La mancanza di sensibilità umana, che trae la sua origine nella cultura antropocentrica e autorizza l'essere umano a dispone di un suo vantaggio di ogni altra forma di vita; lo inclina alla logica della supremazia del forte sul debole, al fine che giustifica i mezzi, al deprezzamento del valore della vita e delle differenze in natura, e all'indifferenza verso la condizione dell'altro; questo preclude i valori di compassione e condivisione imprescindibili per una società umana giusta, civile e solidale.
Quel che succede nel mondo è la sommatoria del livello evolutivo dell'intelligenza e delle coscienze individuali. Se ciò che rende l'uomo capace di compiere il male, di usare violenza e commettere ingiustizie di qualsiasi natura, è la mancanza di compassione, l'incapacità di immedesimarsi nella vittima e di condividere le esigenze vitali; questo lo abitua all'accettazione passiva della guerra, alla morte per fame e malattie di milioni di persone ogni anno nel mondo, all'uccisione di miliardi di animali nei mattatoi, nei laboratori di vivisezione, nei boschi, nei mari… rallenta, ostacola il vero progresso integrale dell'uomo.
L'azienda in Franciacorta |
2021: doppia celebrazione. il 60 ° del primo Franciacorta ei 90 anni del suo fondatore.
Nel 1961 Franco Ziliani dette vita al primo Franciacorta Spumante metodo classico. Una data epocale per la spumantistica nazionale.
Per la prima volta in Italia una zona vitivinicola, se pur modesta nelle dimensioni, si pose come competitor nel mondo del perlage mondiale.
Vigneti |
Nel 2021 Guido Berlucchi entra nell'anno delle celebrazioni per il 60 ° anniversario del primo Franciacorta nel migliore dei modi, ottenendo il “sigillo” di Wine Spectator che ha attribuito al suo vino di vertice , il Palazzo Lana Extreme 2009 , il massimo punteggio ( 93/100 mai raggiunto da un Franciacorta) ed un set di valutazioni per Guido Berlucchi Linea '61 , tutte superiori ai 90/100.
L'INIZIO.
Ci sono domande capaci di cambiare il destino di persone e di luoghi. "E se facessimo uno spumante alla maniera dei francesi?" è stata una di quelle.
Le purpitre |
Nel 1955 il giovane enotecnico Franco Ziliani la rivolse a Guido Berlucchi , gentiluomo di campagna. Berlucchi cercava un consulente capace di migliorare il suo Pinot del Castello e trovò invece il partner per un'avventura di gusto che avrebbe modificato il destino della Franciacorta.
Tutto nato da un incontro, da una domanda. Oggi l'azienda ancora guidata dalla famiglia Ziliani affronta una fase di profonda innovazione , di nuove sfide nei rivoluzionari scenari di mercato, con lo stesso spirito con cui Franco Ziliani si immaginò di creare ex novo nel 1961.
Franco Ziliani e Guido Berlucchi |
Il “messaggio” è chiaro : capacità dell'azienda di produrre non solo ottimi vini, ma anche Cultura ed Azione sul Territorio.
In autunno la linea Cuvée Imperiale rinnoverà il suo abito e vedrà ampliata la sua gamma. Un restyling dinamico, contemporaneo in linea con la sua storia di 60 anni.
In Estate, con un evento a Palazzo Lana a Borgonato (BS), dimora storica risalente alla fine del 1400 e sede della Guido Berlucchi, saranno celebrati in contemporanea i 90 anni del fondatore Franco Ziliani ed i 60 anni della sua “creatura”, il primo Franciacorta.
Per l'occasione uscirà un'edizione speciale “Franco Ziliani” , un tributo al fondatore, un vino da collezionisti.
Tiratura limitata in Magnum di un Franciacorta Nature , una base Pinot Nero ricavato dai migliori vigneti di proprietà, con 96 mesi sui lieviti ; un “vino miliare” che resterà nella storia aziendale.
Senza dimenticare quell '”Officina” di lavoro dove Saperi , Culture aziendali e Visioni trovano spazi per confronti con personalità provenienti da ambiti diversi. Quell'Agora chiamata nel 2018, ACADEMIA BERLUCCHI .
la famiglia Ziliani |
Ebbene, l'Accademia Berlucchi s'appresta a trasformarsi da crisalide a farfalla in un soggetto attivo e progettuale per il proprio territorio, mettendo a comune la rete di pensiero e di contatti in questi 3 anni, con l'idea di sviluppare importanti progetti di CSR (CSR è un acronimo inglese, Corporate Social Responsibility, che troviamo in Italia come RSI, Responsabilità Sociale d'Impresa) per la Franciacorta ed anche oltre.
Il primo, ambizioso progetto verrà comunicato nel primo weekend di Ottobre.
Diciamoci tutta la verità; per molti della mia generazione il Franciacorta Berlucchi è stato il nostro "primo champagne" , parte profonda degli albori della nostra passione per il vino.
La strada che mi portò verso le sue storiche cantine, molti anni fa, rappresentò un viaggio enoico nel mio intimo. Come non festeggiare il 90esimo di Franco Ziliani con la “sua” Magnum?
Urano Cupisti
A pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Albania, tra le tensioni tra Russia e Stati Uniti e il nuovo pericoloso riemergere della questione kosovara, le indiscrezioni su un documento non ufficiale che il presidente del governo sloveno Janez Janša avrebbe inviato al presidente del Consiglio europeo Charles Michel per la ridefinizione dei confini dei Balcani hanno destato preoccupazioni nella regione; Washington, dopo aver tentato di rinvigorire in Asia il Dialogo quadrilaterale per la sicurezza, si prepara dunque ad affrontare Mosca su due fronti: Balcani e Mar Nero; con l’incognita (almeno apparente) di Ankara
Non esiste alcun documento ufficiale che preveda la dissoluzione della Bosnia ed Erzegovnia (BiH). Questa la sostanza delle rassicurazioni che, lo scorso 16 aprile, il presidente del governo sloveno Janez Janša ha rivolto a Šefik Džaferović, esponente bosniaco della presidenza della Repubblica di Bosnia ed Erzegovnia. Durante lo stesso colloquio telefonico, Janša ha espresso il suo sostegno alla sovranità, all’integrità territoriale e al cammino euro-atlantico bosniaci, nel rispetto degli accordi di Dayton del 1995. Nondimeno, il non-documento (1) diplomatico non-ufficiale diffuso qualche giorno prima dai siti di informazione sloveni politicki.ba e necenzurirano.si, ha suscitato interrogativi e timori, per almeno due ordini di motivi: la mancanza di una reazione univoca da parte delle istituzioni europee ufficiali e il fatto che il prossimo primo luglio sarà Ljubljana ad assumere la presidenza del consiglio dell’Unione europea. Secca (benché tardiva), invece, è stata la smentita da parte di Janša, secondo il quale la Slovenia sta veramente cercando soluzioni per lo sviluppo della regione e per la sua integrazione nell’Unione europea (UE), ma che queste affermazioni cercano di impedire tale obiettivo. Negli stessi giorni, il membro croato della Presidenza bosniaca Željko Komšić ha convocato l’ambasciatrice slovena a Sarajevo, ricordando che il presidente della Repubblica sloveno Borut Pahor, durante la visita dello scorso marzo, aveva domandato ai tre componenti della Presidenza bosniaca un parere su una possibile separazione pacifica del territorio, ricevendo un parere positivo solo dal membro serbo Milorad Dodik, che successivamente ha portato la questione in parlamento. Peraltro, non è stata questa la prima volta che Ljubljana avanza l’ipotesi di una divisione della Bosnia ed Erzegovina: già nel 2010, quando era a capo del governo, Pahor inviò in Bosnia l’ex presidente della Repubblica Milan Kučan, che, una volta tornato, sottolineò l’impossibilità di dialogo tra le tre componenti, serba, croata e bosniaco-musulmana, tale da rendere preferibile una separazione consensuale a una coesistenza forzata.
Una linea simile, dunque, a quella emersa dal controverso non-documento che Janša avrebbe inviato a febbraio al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, intitolato “Balcani occidentali, la via da seguire”: la bozza di un piano per ridisegnare su base etnica i confini della regione, che comporta l’unificazione di Albania e Kosovo (che nel 2008 ha proclamato unilateralmente la sua indipendenza, ma ancora non ha ottenuto un pieno riconoscimento internazionale, come dimostrano le ultime vicende della nazionale di calcio kosovara in Spagna - 2) e lo smembramento della Bosnia ed Erzegovina, buona parte della quale dovrebbe essere suddivisa tra Serbia e Croazia. I bosniaci in tal modo guadagneranno uno Stato che funziona in modo indipendente e se ne assumeranno la piena responsabilità. Si organizza un referendum per far scegliere il popolo tra un futuro UE o non-UE (Turchia). Si ventila, inoltre, l’ipotesi di negoziati accelerati per l’accesso dei paesi della regione nell’UE e nell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), ma nessun provvedimento verrà preso prima di aver consultato i governi per vagliarne la disponibilità a realizzare il piano, né prima di aver lanciato un programma completo di comunicazione per presentarlo. E di aver attuato un controllo silenzioso nella regione e in seno alla comunità internazionale, per accertarne la fattibilità. Nondimeno, Komšić, che ultimamente ha espresso in via ufficiale a Bruxelles i propri timori per l’integrità territoriale bosniaca, messa a rischio da ingerenze straniere, ha dichiarato di aver sentito da Pahor che nel vecchio continente si ipotizza un processo di integrazione dei Balcani occidentali nella UE che parta dal completamento della dissoluzione della Jugoslavia. D’altro canto, la scorsa settimana il presidente del Consiglio albanese Edi Rama ha confermato di aver avuto per le mani un documento non ufficiale contenente una carta con alcuni confini modificati nella regione dei Balcani occidentali. L’ho visto prima che me lo mostrasse il mio collega Janša e ne abbiamo discusso di recente, ha aggiunto Rama, precisando di aver visto anche un documento pubblico sul tema, ma di non poter rilasciare commenti al riguardo. Il che lascerebbe intendere che non si tratti di un documento sloveno, come dicono da Bruxelles.
A complicare il quadro, l’esistenza di un altro non-documento (3), firmato da Croazia, Slovenia, Ungheria, Bulgaria, Grecia e Cipro, e presentato lo scorso 22 marzo dal ministro degli Esteri Gordan Grlić Radman a Bruxelles. In esso, il partito croato di governo (Unione democratica croata, HDZ, fondata nel 1989 dal signore della guerra ed esponente nazionalista Franjo Tuđman) sostiene gli sforzi del suo omologo bosniaco, il partito fratello HDZ BiH, per modificare la legge elettorale in modo tale da assegnare una posizione di preminenza alla componente croata nel controllo dei processi legislativi e, più un generale, delle decisioni che interessano la Bosnia. In altri termini, anziché lo smembramento, il testo propone di affidare a un elemento egemone il controllo di un territorio tradizionalmente caratterizzato dal pluralismo e situato in una posizione strategica, in cui si intrecciano quasi tutte le vie commerciali in senso lato, dalle nuove vie della seta cinesi (la Belt and Road initiative, BRI), ai traffici illeciti, fino al reclutamento di mercenari. In tal modo, come in passato, si accresce l’esposizione dei Balcani (e non solo della Bosnia) alla tendenza delle potenze rivali a considerarlo come terra di conquista e teatro di conflitti per procura. Ciò priva la multietnicità del suo potenziale costruttivo, rendendo vano qualsiasi tentativo di autentica pacificazione: un meccanismo detto balcanizzazione e riprodotto mutatis mutandis in altre regioni strategiche, come l’Asia centrale (Afghanistan in testa), il Medio Oriente, il Maghreb o il Sahel. Per citare qualche esempio, si pensi in primo luogo a come queste regioni finiscano per diventare terre di nessuno, ridotte a zone di sfruttamento ambientale intensivo o a sacche di reclutamento di manodopera a basso costo (ai limiti della schiavitù) e, di conseguenza, regioni spopolate e dipendenti da paesi più ricchi. Nel giugno 2018, il mensile francese Le Monde Diplomatique ha pubblicato un reportage (4) eloquente sulla crisi democrafica che affligge i Balcani, dove, persa ogni speranza di cambiamento, alle generazioni più giovani non resta che aspirare a un lavoro all’estero, in particolare in Germania.
In secondo luogo, dopo la dissoluzione della Jugoslavia e la transizione all’economia di mercato, i Balcani si sono tristemente trasformati (secondo modalità che ricordano le tratte degli schiavi delle epoche coloniali) in un bacino di reclutamento di mercenari per vari schieramenti e sui fronti più disparati. Come nel caso dei combattenti stranieri (per lo più tra le comunità musulmane locali) per i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico. Viceversa, durante i conflitti degli anni ‘90 del secolo scorso, Bosnia e Kosovo avevano assistito a un considerevole afflusso da un lato di moudjaheddine provenienti da vari paesi accorsi a sostenere i fratelli musulmani, dall’altro di combattenti anti-musulmani, come i mercenari greci che gravitavano attorno al gruppo di estrema destra Alba Dorata (in un numero stimato tra 150 e 300 nel 1995). Nel primo caso si possono citare i 1500 (5)soprattutto Turchi, ma anche Egiziani, Algerini, Tunisini e Sudanesi, che si erano stabiliti in Bosnia anche dopo il conflitto, ottenendo la cittadinanza. Una parte non insignificante dei quattro o cinquemila moudjaheddine arabo-musulmani che, in base agli accordi di Dayton, avrebbero dovuto lasciare il paese. Una clausola comprensibile, visto che nel 1992 il loro arrivo (6) era stato gestito da organizzazioni non governative (ONG) islamiche, a partire dalla Croazia, mentre nel 1993 è avvenuta la loro integrazione nell’esercito bosniaco, ad opera del generale Rasim Delić. La loro parabola sembrava parzialmente conclusa nel 2007, quando il nemico numero uno era non più il sistema sovietico, ma il fondamentalismo islamico, e questi nuovi cittadini divennero indesiderabili. Il parlamento bosniaco adottò pertanto una legge per la revisione delle loro naturalizzazioni. Quanto ai serbo-bosniaci e ai serbi del Kosovo, uno scambio simile si è avuto con la Russia, in particolare dallo scoppio della crisi ucraina (e conseguente crisi crimea), nel 2014. Da allora, infatti, molti mercenari sono stati e sono reclutati, soprattutto in Serbia e nella Republika Srpska, da organizzazioni (7) come Kosovo Front, Balkan Cossack Army, che oltre alla remunerazione, promettono impunità e la narrazione gloriosa della fratellanza tra popoli slavi. Tanto più che molti sono stati i volontari russi partiti per i fronti balcanici a sostegno dei serbi.
Oltre alle mire di Ankara e di Mosca, a capotavola al banchetto balcanico siedono, dall’ultimo decennio del XX secolo, gli Stati Uniti, che al hard power degli interventi militari, presentati ovviamente come umanitari (in difesa della libertà e della democrazia e contro i regimi autoritari), hanno affiancato un soft power che si è tradotto soprattutto nel sostegno-controllo di organizzazioni non governative locali, spesso fondate da personalità che si lanciavano sullo scenario politico come difensori dei diritti umani e civili. Una di esse, Otpor! (“resistenza”), divenuta un importante attore politico, è stata un trampolino di lancio per Srđa Popović e Slobodan Đinović, i due fondatori del Centro per le azioni e le strategie non violente applicate (Canvas - 8), una sorta di centro di formazione che attualmente mette a disposizione i propri consulenti in una cinquantina di paesi, tra i quali la Georgia, l’Ucraina, la Bielorussia, la Russia, il Kirghizistan, l’Uzbekistan, il Libano, l’Egitto, l’Albania e il Kosovo. Regione, quest’ultima il cui statuto innesca ancora dibattiti accesi tra chi ne riconosce l’indipendenza (117 paesi) e chi rifiuta di farlo, come la Cina, la Spagna o la Russia, il cui rappresentante, nella video-conferenza (9) sul Kosovo del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) del 13 aprile, ha chiesto, invano, che ne fosse rimossa la bandiera che campeggiava dietro il suo rappresentante, argomentando che otto paesi su quindici… non lo riconoscono come paese. Tale mancanza di riconoscimento internazionale, peraltro, lo pone al di fuori di qualsiasi giurisdizione, ivi inclusa quella del Consiglio d’Europa, il cui Comitato contro la Tortura (CPT) ha chiesto di avere accesso a Camp Bondsteel (10), base militare della NATO installata, vicino la città di Ferizaj / Uroševac, nel 1999, dai soldati statunitensi, immediatamente dopo il conflitto kosovaro. A fine 2005, l’inviato speciale del Consiglio d’Europa per i diritti umani descrisse il centro di detenzione all’interno della base come una versione ridotta di Guantanamo. Qui Washington teneva reclusi molti prigionieri catturati durante le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq. Dopo anni di vane richieste, nel 2008 la proclamazione unilaterale di indipendenza da parte di Priština, ne ha escluso il territorio dalle competenze della Convenzione europea contro la tortura.
Questa mossa, fortemente caldeggiata dagli USA, è stato un precedente di sostegno al separatismo in quanto esercizio del diritto di autodeterminazione dei popoli: così la Russia post-sovietica del presidente Vladimir Putin ha giustificato il suo sostegno alle repubbliche georgiane separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud nel 2008, e l’annessione della Crimea nel 2014. Tuttavia, per il Kosovo sembra non ci sia nulla da fare, almeno nel breve termine, visto che sia Priština, sia Tirana negli ultimi anni hanno contato in misura crescente sul sostegno di Washington. Al punto da accettare la presenza di Camp Bondsteel o, per quanto riguarda l’Albania, da accogliere un gruppo islamico-marxista iraniano dissidente, installato fino a una decina di anni fa nella base di Ashraf in Iraq. Viceversa, le diaspore albanese e kosovara negli USA hanno accresciuto progressivamente il loro peso nei paesi di origine, fino a costituire forze politiche influenti negli scenari locali, dall’Esercito di liberazione del Kosovo fino ai nuovi democratici albanesi. Specularmente, questi gruppi rappresentano sostanzialmente gli interessi statunitensi nella regione, anzitutto conquistare il potere di alzare i toni dello scontro con Mosca e arginare le velleità neo-ottomane di Ankara, che sembra attenersi sempre meno alla linea atlantista per perseguire obiettivi propri. Il Kosovo, appunto, rappresentava, con la Bosnia, un significativo punto di appoggio nel mezzo dei Balcani occidentali. Almeno finché Priština non ha aperto una sua rappresentanza diplomatica a Gerusalemme, ottenendo così il riconoscimento da parte di Israele (117esimo paese), ma al contempo scatenando le ire della Turchia, che per mesi ha esercitato pressioni per indurre i fratelli kosovari a tornare sulla retta via. Oltretutto, il 14 aprile il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki ha inviato un appello ufficiale al Segretario generale dell’Organizzazione della conferenza islamica di interrompere le relazioni con il Kosovo. Un retaggio dell’era Trump o il preludio all’era del presidente globalista Joe Biden?
(1) - https://necenzurirano.si/clanek/aktualno/objavljamo-slovenski-dokument-o-razdelitvi-bih-ki-ga-isce-ves-balkan-865692
(2) - https://www.repubblica.it/sport/calcio/esteri/2021/03/31/news/spagna_kosovo_politica_indipendenza-294469124/
(3) - https://www.dw.com/hr/neslu%C5%BEbeni-papiri-prave-kaos-na-balkanu/a-57243246
(4) - https://www.monde-diplomatique.fr/2018/06/DERENS/58727
(5) - https://www.liberation.fr/planete/2007/05/17/la-bosnie-expulse-ses-moudjahidin_93331/
(6) - https://www.cairn.info/revue-strategique-2013-2-page-219.htm
(7) - https://balkaninsight.com/2021/04/16/as-ukraine-conflict-intensifies-serb-volunteers-prepare-for-battle/
(8) - https://www.monde-diplomatique.fr/2019/12/OTASEVIC/61096
(9) - https://www.lefigaro.fr/flash-actu/incident-a-l-onu-lie-au-kosovo-de-l-importance-de-l-arriere-plan-lors-des-visioconferences-20210413
(10) - https://www.theguardian.com/world/2009/jan/23/secret-prisons-closure-obama-cia
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
La voglia di ripartire è tanta ed i motivi tantissimi. È necessario un cambio di passo e strategie nuove nell'affrontare le evoluzioni del corona virus comprese le innumerevoli varianti. Questo il momento di programmare le aperture future, questo il momento, anche da parte di noi comunicatori, di diffondere le notizie con allegate le proposte di superamento di eventuali difficoltà. E se Wine Paris & Vinexpo Paris rinvia al 2022 le sue manifestazioni, la notizia che l'enoturismo si sta preparando per una pronta ripartenza, ci rincuora. Intanto le “guide” di ogni genere continuano ad elencarci le eccellenze che l'uomo e la natura (che non si sono mai fermati) hanno prodotto recentemente.I produttori si riuniscono in nuovi consorzi per promuovere e valorizzare terre, territori, vitigni autoctoni e nel mondo della ristorazione personaggi famosi si mettono in gioco aprendo nuovi locali sotto la spinta "della nuova speranza" Tutti speranzosi; Tocca a chi ci guida a dirigere l'orchestra delle nuove prospettive e previsioni.
Frammento n. 1
Anche Wine Paris & Vinexpo Paris rinviato al 2022.
Alla fine anche i francesi gettano la spugna: le nuove date 14-15-16 febbraio 2022. Tuttavia, per continuare a mantenere il collegamento tra gli espositori ei visitatori di ogni parte del mondo, a giugno si svolgerà Vinexposium Connect, una piattaforma digitale con eventi chiave incentrati sul business. Un evento simile a quelli studiati dalla tedesca ProWine e dal nostro Vinitaly.
Frammento n. 2
L'enoturismo come leva per la ripartenza.
La presentazione di un libro scritto a quattro mani dal senatore Dario Stefàno e Donatella Cinelli Colombini è stata occasione per parlare di “Enoturismo come leva strategica per la ripartenza”. Presenti i ministri Franceschini (cultura), Garavaglia (turismo) e Patuanelli (politiche agricole). Luogo: Sala Stampa del Senato. “Turismo del Vino in Italia” il titolo di un vero e proprio “manuale” che ha recepito la nuova normativa nazionale. Ribadito il ruolo sempre più centrale dell'enogastronimia nel turismo.
Frammento n. 3
Ora c'è la guida dei marchi dei vini più ammirati.
Basta parlarne. In questo particolare momento le iniziative di questo tipo non possono che far bene. “I marchi di vino più ammirati 2021”, una lista dei marchi stilata da “Drinks International”. I produttori più iconici, entusiasmanti e innovativi al mondo. Roba da far rabbrividire i “naturalisti”. Per il nostro Paese segnalati nell'ordine: Antinori (9 °), Planeta (17 °), Frescobaldi (24 °), Gaja (26 °), Tenuta San Guido (Sassicaia) (40 °) sui primi 50. Spagnoli e argentini in pole, seguiti da francesi e neozelandesi.
Frammento n. 4
Un nuovo Consorzio nel Lazio
Costituito il nuovo Consorzio Volontario per la Tutela e la Valorizzazione dei Vini Doc CORI, accreditato come il primo in provincia di Latina. Tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura degli interessi generali relativi alla denominazione “Cori”. Sarà data una attenzione particolare al “Nero Buono”, vitigno locale, esclusivo della zona circoscritta al Comune di Cori. Soci fondatori: lo stesso Comune di Cori, la cooperativa Cincinnato, l'azienda (già affermata) Marco Carpineti, l'azienda Pietra Pinta, Molino7cento e azienda Filippi.
Frammento n. 5
Passioni non sopite: Sophia Loren
Sophia Loren Original Food la nuova insegna dei Ristoranti che la famosa attrice aprirà presto in Italia e non solo. A monte la nuova società che vede la bella Sophia insieme all'imprenditore di moda (Yamamay e Carpisa) e amico da una vita Luciano Cimmino. La notizia è di questi giorni pubblicata dal Corriere della Sera. Prima apertura Firenze poi Napoli e Milano (risto e pizzeria), Dubai, Miami, Hong Kong e Shanghai. Del resto la passione dell'attrice verso la cucina è ben nota. Basti pensare alle “veraci” interpretazioni di alcune scene dei suoi film ei libri di ricette pubblicati nel passato. Passioni non sopite che ritornano.
Frammento n. 6
Ristorante “underwater”.
Non è proprio una novità. Ricordo l'Under Spangereid in Norvegia, l'Ithaa nell'atollo Alif Dhaa alle Maldive, Al Mahara a Dubai, Aquarium a Nashville e poi Altri in Sud Africa, Messico ecc… Ma questo ricopre una particolare importanza perché rappresenta la voglia di investire e ripartire dopo la chiusura forzata per la pandemia. Andrea Berton, stella Michelin si prepara a dirigere il suo primo ristorante Underwater. Location l'atollo di Raa alle isole Maldive all'interno del resort You & Me by Cocoon. Sarà una esperienza gastronomica caratterizzata dalle suggestioni italiane unite a un twist internazionale.La “cucina”, intesa come ambiente riservato e attrezzato per la preparazione e la cottura dei cibi, sarà valorizzata dal contesto esclusivo caratterizzato da ampie vetrate immerse nei fondali corallini della laguna.
Osservo, scruto, assaggio e… penso. (urano cupisti)
Nei primi cento giorni dall'insediamento si delineano le linee guida che una nuova amministrazione seguirà. Biden sembra voglia continuare la politica aggressiva nei confronti della Russia e dei suoi protetti, prova ne è che in Ucraina si continui ad ammassare truppe a ridosso del Dombas, territorio abitato da popolazione russa. Questa politica nei confronti di Putin, tesa forse a costruire un nemico esterno teso a deviare l'attenzione pubblica da problemi interni, ci sembra essere più una teoria propagantistica che una concreta deduzione suffragata da fatti. Ne parliamo con il Presidente della Vision & Global Trends , Istituto Internazionale di Analisi Globale, Tiberio Graziani.
Come spiegherebbe la decisione dell'amministrazione Biden di imporre sanzioni alla Russia subito dopo aver offerto un incontro a Putin? Qual è il messaggio?
Le nuove sanzioni contro la Russia e l'espulsione dei diplomatici ci dicono che tra gli USA e la Federazione russa è in atto una guerra ibrida. L'Amministrazione Biden fa tesoro delle precedenti guerre commerciali promosse da Trump, e al ventaglio delle azioni offensive ne aggiunge nuove che investono anche il dominio della diplomazia ed altre di tipo economico-finanziario. In particolare, per quanto riguarda i diplomatici russi espulsi, il messaggio di Biden è rivolto principalmente agli alleati di Washington ai quali dice chiaramente: diffidate della diplomazia del Cremlino e dei canali diplomatici e seguite il nostro esempio. Il Regno Unito si è subito accodato all'iniziativa statunitense, il governo Johnson si è affrettato a convocare l'ambasciatore russo!
Si aspetta che le ultime sanzioni si traducano in un annullamento del vertice? Quali sarebbero le conseguenze di questo?
Queste ultime azioni riducono, al momento, i margini delle manovre diplomatiche. Dovranno passare alcune settimane prima che si possa riparlare di un dialogo tra Biden e Putin. Settimane che Biden utilizzerà al meglio per: - consolidare i rapporti con i suoi alleati, in particolare, per quanto riguarda l'Europa, con la Germania in funzione antirussa; - amministrazioneare al centro del sistema occidentale la NATO, che l'attuale ritiene importante tassello della sua strategia in Europa orientale e nel Mediterraneo allargato.- perfezionare il sistema di sicurezza QUAD nel quadrante dell'indo-pacifico.
Il rapporto tra le due nazioni può ulteriormente degradarsi a seguito di questi sviluppi? Quali sono i rischi?
I rischi ci sono, eccome! Tuttavia, al momento mi sembra che l'opzione militare sia molto lontana. Uno scontro di tipo militare anche mediante una guerra per procura, ad esempio ai confini dell'Ucraina, non conviene a nessuno dei due contendenti.
Se il vertice avrà ancora luogo, quali sono le sue aspettative da un simile incontro? Potrebbe cambiare qualitativamente il rapporto tra i due leader ei loro paesi? O è probabile che sia un fallimento, viste tutte le differenze tra le due parti?
Non credo che si terrà a breve un summit, soprattutto non penso che gli USA cambieranno il loro approccio nei confronti della Federazione russa. Fondamentalmente i rapporti tra Washington e Mosca, come quelli tra Biden e Putin, dipendono dalle contraddizioni interne all'amministrazione USA e dalla sua difficoltà ad accettare la perdita del ruolo egemonico che Washington ha esercitato negli ultimi trent'anni. Comunque, va sottolineato che per quanto riguarda la sicurezza globale, Stati uniti e Russia hanno trovato un punto di equilibrio, volenti o nolenti che siano.