L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1370)

Free Lance International Press

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Lo scorso 20 ottobre a Roma, al Palazzo dei Congressi dell'Eur, si e' svolta la manifestazione Roma Music Expo' 2019. Scuole di musica, studi di registrazione, rivenditori del settore, musicisti e tecnici hanno avuto modo di presentare il loro repertorio migliore.
Il Palazzo è stato trasformato in una grande piazza interattiva nella quale gli operatori del mondo della musica hanno avuto modo di intessere rapporti e stabilire intese per il futuro delle proprie aziende, mentre  i visitatori interfacciarsi con le stesse aziende. Durante la giornata si sono susseguite performance del settoredi ogni tipo. E' la piu' grande manifestazione italiana del centro-sud: 3000mq di estensione, music live, demo e dibatitti dedicati a musicisti e appassionati.
October 21, 2019

Chi è, veramente, il clown? E cosa vuole rappresentare la figura del clown nella società?E' semplice: il clown siamo proprio noi, il clown cioè è la persona normale, ordinaria, direi, che è costretta a portare una maschera, ogni singolo giorno - fare buon viso a cattivo gioco, si dice - per poter partecipare alla società, al sistema del lavoro, che spesso non si digerisce.Maschera dietro alla quale si nasconde tutta la propria sofferenza, incessante.
Questo appunto, giusto come introduzione alla mia lettura del film Joker.

Joker è senza dubbio un grande film, forse anche una perla rara, cinematografica, (sulla scorta di un “Fight Club” o di uno “Shining”), destinato ad essere rivisto tante volte dagli spettatori, negli anni a seguire.

Di questo ne sono più che certo. Tantissimi altri film, spesso stracolmi fino all'orlo di clichè e pattern, riadoperati mille volte - oggi il cinema, ricordiamolo, qualche rara volta è cultura, spesso solo un bene di consumo - sono scomparsi senza lasciare traccia alcuna, nello spettatore, nella memoria collettiva.

Nonostante venga indicato come un film violento, non è un film di violenza, non è una pellicola, cioè, dove, nonostante un discreto numero di scene in cui la violenza sia presente (alcune anche certamente forti) , è la violenza il cuore o il tema vero e proprio, trattato.

La violenza, nella società di Joker, infatti è semplicemente il pane quotidiano, il caffè per colazione, come lo è, nella nostra società occidentale moderna, la comunicazione di massa, tanto per dirne una. La violenza qui insomma è qualcosa di intestino, di proprio, e di inscindibile dalla società in cui vive e si manifesta.


Volendo, Joker, lo si potrebbe anche considerare un “prequel” di Batman, ma è in realtà un film che si discosta grandemente dalla serie, non solo perché qui Batman non ha praticamente posto (se non uno appena tangenziale); non solo perché non è un film strettamente di azione, ma sopratutto perché qui è il Joker - o meglio la figura dell'uomo che diventerà passo dopo passo il Joker - ad essere totalmente centrale, tanto appunto da lasciare uno spazio marginalissimo al Batman che verrà.

Qui lo si intravede, Batman, nelle vesti di bambino, figlio del miliardario Wayne, e lo si vede ancora nel drammatico evento che lo porterà, nei film/fumetti successivi, a diventare il supereroe: l'assassinio dei genitori, per mano di criminali di strada, sospinti dal “vento del Joker”.

Ma questo non intacca di un centimetro la totale centralità del Joker e della sua storia di vita, che domina appunto il film.

Credo che questo film sottenda agevolmente una serie di tematiche diventate centrali e sempre più “pulsanti” nella nostra società, ragion per cui merita una attenzione speciale, che va oltre l'uomo raccontato e la sua storia.

 

Parlo del ruolo dei deboli, all'interno di una società sempre più lontana dai veri bisogni dell'uomo; dalle concentrazioni di ricchezza e di proprietà privata che fanno il bello e il cattivo tempo sugli interessi pubblici; della rabbia, ovunque serpeggiante fra le classi meno abbienti e gli esclusi, ecc.. Una serie di tematiche che ci mettono davanti allo specchio - lo schermo cinematografico - quella che, con un certo margine di approssimazione, potrà diventare la nostra società, se un certo tipo di globalizzazione continuerà ad essere sostenuta e perpetrata dalla maggioranza.

Passando al protagonista, c'è da dire che quella di Joachim Phoenix, molto più che una interpretazione, è una vera e propria identificazione completa col personaggio, tanto è forte e pervasiva la sua parte, che lo ha costretto a dimagrire di ben venticinque chili, ma che lo ha obbligato, ancor di più, ad avere orrende crisi di risate, auto-soppresse e ricorrenti, nelle immagini. Come appunto quelle di un malato neurologico, vero e proprio, che deve giustificarsi, davanti al prossimo, per il comportamento, mostrando un bigliettino da visita plastificato che ne spiega la condizione patologica.

 

Per concludere, ma ritengo che sarebbe davvero utile ed interessante aprire un dibattito su questo film, cosa può mai dirci, o insegnarci, in fondo, Joker? Forse, che chi si segue, fino in fondo, segue sè stesso, alla fine, per quanti errori possa avere compiuto, per quanto abbia dovuto fare i conti con i propri limiti e la pazzia, sarà comunque destinato a trionfare sulla massa. Oppure, invece, sarà destinato ad una stolida camicia di forza..

October 19, 2019

L'operazione Fonte di pace ha per il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan una duplice significazione: da un lato è un mezzo per affermarsi come riferimento per tutti i musulmani, arabi e non; dall'altro è un modo per vincere la partita sul fronte interno

 

 

Gli ultimi colloqui tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il vicepresidente statunitense Mike Pence, in visita ad Ankara, si sono conclusi con un accordo per un cessate il fuoco di 120 ore, per consentire il ritiro dei curdi dalla zona di sicurezza che si estende per 32 km in territorio siriano, lungo il confine con la Turchia. Un “bisogno” che Washington ha pienamente riconosciuto ad Ankara nel corso di negoziati salutati con tono trionfale sulle reti sociali dal presidente USA Donald Trump. Il disimpegno statunitense in Siria e il via libera all'offensiva militare turca contro le forze curde delle Unità di difesa popolare (YPG) è servita quantomeno a offrire a Erdoğan l'opportunità di acquisire peso nel contesto geopolitico regionale e forza sullo scacchiere politico interno. Infatti, se negli anni '90 la Turchia estese l'area di proiezione della sua potenza sulle popolazioni musulmane e turcofone dei Balcani, del Caucaso e dell'Asia centrale, fino al Xinjiang, regioni storicamente legate alla cultura turca, a partire dal decennio successivo ha concentrato i suoi sforzi nella realizzazione di un progetto detto neo-ottomanesimo, che mina la supremazia religiosa e culturale dell'Arabia Saudita, da decenni centro di irradiazione del wahhabismo. Il progetto di Erdoğan preoccupa anche Mosca, il cui territorio include aree a maggioranza musulmana dalle quali provengono migliaia di miliziani dei cartelli del jihad partiti per la Siria. Anche per questo, dal dicembre 2016, il presidente russo Vladimir Putin è impegnato con i suoi omologhi turco e iraniano, Hassan Rohani, nel processo di pace di Astana per la Siria, cui partecipano rappresentanti del governo siriano e di una dozzina di gruppi dell'opposizione. Peraltro, sempre nel 2016, la Federazione russa ha ospitato a Grozny una conferenza islamica mondiale, la cui dichiarazione finale ha escluso dall'islam sunnita i due due poli tradizionali dell'islam politico del secolo scorso: il wahhabismo, con le sue varianti takfirite, il cui centro di irradiazione è l'Arabia Saudita e i Fratelli musulmani, organizzazione fondata in Egitto da Hasan el-Banna e sostenuta, tra gli altri, da Turchia e Qatar. Basti ricordare, a titolo di esempio, l'accoglienza riservata a Erdoğan in Egitto dopo la rivoluzione del 2011, come il leader islamico in Medio Oriente, o le sue vigorose prese di posizione per la causa palestinese, in favore del movimento Hamas. In questa chiave va probabilmente letto il coinvolgimento da parte di Erdoğan, nell'offensiva in Siria, dell'Esercito siriano libero (ESL), che con Ankara collabora da anni, al punto da aver stabilito la sua base nella provincia di Hatay, e da trovare rifugio e rifornimenti in territorio turco. Così, nel 2013, con il supporto della Turchia, del Qatar e dei Fratelli Musulmani, l'ESL era entrato nella Coalizione nazionale siriana, un'alleanza di forze politiche di opposizione al presidente Bashar al-Assad, fondata a Doha e con sede a Istanbul. Un potenziale strumento per pilotare il corso del conflitto in Siria.

Il sostegno di Ankara ai Fratelli musulmani è motivo di tensioni anche tra Turchia ed Egitto, il cui presidente, Abd al-Fattah al-Sissi, nel 2013 ha conquistato il potere rovesciando il governo eletto di Mohammed Morsi (Fratelli Musulmani). Arrestato dall'esercito egiziano, Morsi è morto lo scorso giugno, secondo Erdoğan non per cause naturali, ma perché sarebbe stato ucciso. Accuse giudicate irresponsabili dal ministro degli Esteri egiziano Sameh Choukri, ma per il presidente turco Morsi si deve considerare un martire, della cui morte sono responsabili i tiranni al potere in Egitto. Dietro la retorica del presidente turco, si cela in realtà un contrasto al contempo politico e geopolitico con al-Sissi, schierato in prima linea con chi annovera i Fratelli musulmani tra le organizzazioni terroristiche, in primis il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e il presidente israeliano Benyamin Netanyahu. Con il presidente egiziano, peraltro, Erdoğan ha esteso la competizione anche sul piano energetico: la posta in gioco è la conquista del ruolo di centro nevralgico nella distribuzione di gas in Medio Oriente, con prospettive di guadagno anche nel mercato europeo. Tuttavia, l'Egitto, con Italia, Grecia, Israele, Cipro, Giordania e con l'Autorità nazionale palestinese, ha annunciato la creazione del Forum del gas del Mediterraneo orientale, con sede al Cairo. L'obiettivo è creare un mercato regionale del gas, per rafforzare la sicurezza dell'approvvigionamento di energia, lo sviluppo e la stabilità dell'area. Non potendo puntare sull'espansione della propria influenza attraverso un qualche slancio ideologico (come fece l'ex presidente Gamal Abd al-Nasser) o religioso (come fanno tutt'ora i movimenti islamici), al-Sissi ha optato sin da subito per una politica estera basata su accordi bilaterali di cooperazione economica e militare, soprattutto nel settore della sicurezza e della lotta al terrorismo. Un approccio che interessa parimenti l'Occidente e il Mondo arabo, e un modo per non compromettere la propria posizione geopolitica in una fase in cui l'evoluzione degli equilibri di potenza non è determinabile con ragionevoli margini di errore.

Con l'Arabia Saudita, anch'essa un tempo provincia ottomana, la Turchia ha avuto, fino agli anni '90 del secolo scorso, buone relazioni economiche, diplomatiche e militari: negli anni '90 il Consiglio di cooperazione del Golfo (di cui l'Arabia Saudita ospita la sede) ha concesso ad Ankara aiuti per circa sei miliardi di dollari, una sorta di risarcimento per le perdite subite durante la guerra del Golfo. Riyadh ha sostenuto politicamente ed economicamente la Turchia persino in occasione dell'invasione turca di Cipro, nel 1974, in favore della quale si pronunciarono solo Iran, Afghanistan, Pakistan e Libia. Tuttavia, negli ultimi anni le relazioni turco-saudite si sono deteriorate, soprattutto da quando l'AKP ha consolidato la sua supremazia politica nel paese. Le tensioni si sono acuite nel 2017, quando, nella crisi diplomatica tra il Qatar e gli altri paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), Ankara si schierò con Doha e inviò persino un contingente a difesa del governo qatariota, in caso di tentativo di colpo di Stato eterodiretto da parte di Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. Per questa ragione Mohammed bin Salman, intimorito da quello che ha definito espansionismo turco, aveva minacciato sanzioni contro Ankara. La presenza militare turca nell'emirato del Golfo risale infatti già al 2015, dopo un accordo bilaterale di cooperazione difensiva firmato dai due paesi l'anno precedente. In Qatar, Ankara può contare inoltre sulla base militare Tariq bin Ziyad e negli ultimi anni ha rafforzato l'alleanza politica e militare con Doha. Un nuovo picco di tensioni diplomatiche tra i due paesi è stato raggiunto nell'ottobre 2018 a seguito dell'uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi (da tempo residente negli Stati Uniti, dove scriveva per il Washington Post) nel consolato di Riyadh a Istanbul. Un caso controverso, di cui Erdoğan ha attribuito la responsabilità al governo saudita, in difesa del quale si era peraltro schierato due mesi prima, quando la ministra degli Esteri canadese Chrystia Freeland aveva espresso preoccupazione per episodi di detenzione arbitraria, in Turchia, di attivisti per i diritti umani. In tal modo, il presidente turco mantiene con alcuni alleati relazioni diplomatiche sul filo della tensione, proponendosi come indispensabile ago della bilancia degli equilibri regionali.

D'altronde, il progetto neo-ottomano include, se non il controllo sui luoghi santi dell'islam, almeno la possibilità di estendere l'area di proiezione di potenza della Turchia anche tra i musulmani arabi, storicamente zona di influenza di Riyadh. Il neo-ottomanesimo riprende infatti la sintesi turco-islamica concepita da Necmettin Erbakan e da Turgut Özal, ex primo ministro ed ex presidente della Repubblica di Turchia, negli anni '70, quando costituì una coalizione di governo con il Partito repubblicano del popolo (CHP): una fusione di nazionalismo (ideologia pericolosa per una società che ha mantenuto la struttura comunitaria dell'impero ottomano), militarismo, kemalismo e “valori morali” dell'islam ottomano, che avrebbero dovuto rafforzare l'ordine incarnato dal nazionalismo turco. Nel 1983, questa sintesi fu adattata al contesto successivo al colpo di Stato del12 settembre 1980, nella veste di un nuovo nazionalismo, fondato non sull'appartenenza etnico-culturale, ma sull'unità comunitaria dei cittadini musulmani, che avrebbe dovuto, secondo i piani, portare all'assorbimento graduale delle etnie minoritarie. Negli anni Duemila, Erdoğan e il suo partito hanno integrato quindi tali idee in una teoria elaborata dall'ex presidente Ahmet Davutoğlu, nel suo pamphlet Profondità strategica (2001). Tra i suoi punti cardine, ci sono relazioni di buon vicinato con i paesi vicini (zero nemici) ed espansione per vie diplomatiche della proiezione della potenza turca nei territori un tempo di dominazione ottomana. Anche se, quando prese le distanze da Erdoğan (essendo in disaccordo con la sua politica autoritaria e con il presidenzialismo), aveva giurato di non criticare mai pubblicamente il presidente, lo scorso luglio, Davutoğlu in un'intervista ha accusato l'AKP di essersi allontanato dai suoi obiettivi originari. Il partito ha pertanto avviato una procedura di espulsione a suo carico, ma il 13 settembre, Davutoğlu ha annunciato le sue dimissioni e l'intenzione di fondare una forza politica alternativa, biasimando la scelta di Erdoğan di far ripetere le elezioni amministrative a Istanbul. Simili espressioni di dissenso nei confronti del presidente sono arrivate anche da altre personalità di spicco del partito, tra le quali l'ex presidente Abdullah Gül e l'ex primo ministro Ali Babacan.

L'operazione Fonte di pace, dunque, offre a Erdoğan l'occasione di giocarsi la carta curda in funzione propagandistica, per aumentare i suoi consensi in primo luogo rispetto a quelli che un tempo erano suoi alleati di partito (e che quindi condividono il progetto neo-ottomano). In tale contesto, l'operazione Fonte di pace spiana la via al presidente turco per chiudere una partita aperta a metà degli anni '70 del secolo scorso, quando l'ex presidente siriano Hafez al-Assad, che sosteneva sia il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), sia l'Esercito armeno segreto per la liberazione dell'Armenia (ASALA), offrì asilo alla guida del PKK Abdullah Öcalan. In secondo luogo, l'attacco alle postazioni curde siriane può essere uno stratagemma per sottrarre voti ai partiti nazionalisti: il Partito di azione nazionalista (MHP), fondato nel 1969 dal colonnello Alparslan Türkeş e guidato dal 1997 da Devlet Bahçeli; e il Partito del bene, creato nel 2016 da Meral Akşener, uscita dall'MHP perché giudicava la linea di Bahçeli troppo accondiscendente nei confronti di Erdoğan. L'MHP, noto anche per il suo braccio armato, i Lupi grigi, aderisce al panturchismo e si oppone in linea di principio al dialogo con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e a un qualsiasi negoziato politico con il Partito democratico dei popoli (HDP). A differenza dell'MHP, il Partito del bene di Meral Akşener (che si definisce una forza politica di centro) include nel suo programma il kemalismo e non è contrario all'integrazione della Turchia in Europa. A proposito di kemalismo, un'altra minaccia interna per Erdoğan potrebbe venire dal CHP di Kemal Kılıçdaroğlu, che lo scorso giugno alle elezioni amministrative ha riconquistato il comune di Istanbul dopo 25 anni di amministrazione quasi ininterrotta dell'AKP. Nondimeno, la dialettica politica interna turca era e resta fortemente influenzata dalle scelte geopolitiche degli USA, che soprattutto nella fase monopartitica (1923-1950), hanno contato sullo Stato profondo della Turchia repubblicana, costituito principalmente da militari kemalisti e paramilitari nazionalisti. In seguito, con l'avvento del multipartitismo, Washington ha optato per la linea del divide et impera, strumentalizzando e talvolta fomentando lo scontro di fazione all'interno degli apparati profondi, inclusi quelli maggiormente legati al crimine organizzato locale. Risultato, esercito e magistratura, per anni portavoce e promotori del kemalismo, hanno ordito colpi di Stato a cadenza quasi decennale, spesso realizzati dagli stessi uomini su cui Washington contava in Turchia. Ad esempio, Türkeş, orchestratore del colpo di Stato del 1960 e membro del Comitato di unità nazionale allora creato, era tra i sedici ufficiali turchi che nel 1948 furono addestrati negli USA per fondare la Gladio turca, denominata kontrgerilla. Egli stesso, alla fine degli anni '60, fondò da un lato l'MHP, dall'altro i Lupi grigi, che vantano di avere dei servizi di intelligence meglio organizzati di quelli di Stato e nella cui orbita si è formata Meral Akşener, con il nome in codice Asena, la donna-lupo del mito di fondazione turco. Tra le manifestazioni fenomeniche della longa manus di Washington sullo Stato profondo turco c'è infine il predicatore islamico Fethullah Gülen, dal 1999 rifugiato negli USA, che sin dagli anni '80 aveva infiltrato i suoi uomini nelle istituzioni, come l'università, l'esercito, la burocrazia e la polizia. A lui si rivolsero infatti, per avere sostegno politico, prima Turgut Özal nel 1989, che si presentò come garante degli interessi statunitensi in Turchia, poi Erdoğan negli anni Duemila. Anche per questo, la visita ufficiale di Mike Pence ad Ankara pone non pochi interrogativi sul presente e sul futuro della regione. Con un occhio all'Iraq.

Jimmy Ingrassia è un cantautore ed interprete di origini siciliane, ha all’attivo un EP ed un album, è stato vincitore di prestigiosi concorsi canori, alcuni dei quali l’accademia di Sanremo

“ SANREMOLAB ” ed il festival internazionale TOUR MUSIC FEST.


E’ stato finalista al festival MUSICULTURA, NUOVE PROPOSTE DEL FESTIVAL DI SANREMO, DEEJAY ON STAGE e PREMIO MUSICA CONTRO LE MAFIE.

Vanta inoltre diverse esperienze televisive, soprattutto RAI e MEDIASET, alcune delle quali: THE VOICE OF ITALY, DOMENICA IN, DORECIAKGULP e AMICI, ed ha cantato in mondovisione per PAPA FRANCESCO.

Nel novembre 2016 è stato ospite del celebre programma ROXY BAR di Red Ronnie per presentare il suo nuovo disco “ Sotto i piedi dei giganti ”.

Nel febbraio 2017 ha aperto il concerto di Erriquez (BANDABARDO’) nel locale NA COSETTA di Roma, nell’aprile 2018 è stato ospite del prestigioso CLUB TENCO in occasione del format IL TENCO ASCOLTAche si è svolto presso il teatro Francesco Ramarini di Monterotondo (RM).

Nell’ottobre 2018 il suo brano dal titolo LIBERO, che tratta il tema dell’immigrazione, è stato scelto dal CLUB TENCO ed inserito nella compilation MIGRANS abbinata alla rivista IL CANTAUTORE, pubblicata in occasione del PREMIO TENCO.

Nel marzo del 2019 viene contattato ancora una volta dal CLUB TENCO, ed invitato a fare un concerto a Sanremo direttamente nella sede del club.

Nel mese di agosto apre il concerto del cantautore RON, presso le Cantine Fina di Marsala (TP).

Attualmente è al lavoro per la realizzazione del nuovo album.

“ Suoni tra il folk e il pop più orecchiabile, trasformerebbero l’esistenza in refrain da cui risulta difficile liberarsi. Allora lo prescriveremmo agli amanti di Mannarino e di Silvestri, di Cristicchi e Gazzè: ascoltatori attenti che cercano musica per spazzare nuvole dal cuore ”

Recensione ROCKIT

-Nel 2015 esce il singolo LIBERO, che affronta il delicato tema dell’ immigrazione, come nasce questa canzone?

L’idea del tema è venuta a me e a Francesco Musacco, già produttore artistico ed arrangiatore di Cristicchi, Alex Baroni, Luca Carboni, ecc., l’ho scritta in una notte, tutta di getto, poi il giorno dopo in studio con Francesco l’abbiamo completata.

Allora mancavano pochi giorni per presentarsi alle selezioni per il Festival di Sanremo, e oltre all’audio era necessario un videoclip, così chiamai il regista Marco Gallo e in quattro e quattr’otto, con considerevole fretta, confezionammo il tutto.

Ebbene, credo che questo brano sia un’alchimia, perché anche se fu fatto tutto in velocità, (sia il pezzo che il videoclip), penso non potesse uscire fuori meglio di così, sono soddisfatto.
 

-nel testo citi, ringrazi Lampedusa, quanto c’entra il tuo coinvolgimento in quanto siciliano?

Beh io mi sento estremamente coinvolto, ancor di più in quanto siciliano, perché purtroppoLampedusa è sempre stata una delle mete principali degli sbarchi, però conosco i miei conterranei, e so quanto la loro accoglienza sia straordinaria, fatta nel modo più umano possibile, perché si parla di esseri umani, non certo di altro.

Spesso sento quei discorsi assurdi, di gente che dice che devono stare a casa loro, che devono tornarsene da dove sono venuti, così, come se si parlasse di oggetti, la trovo una cosa sconcertante, il fatto è che il problema non sono loro, come non siamo stati noi nel passato quando migravamo, la storia ce lo insegna.

C’è una canzone, cantata proprio da Simone Cristicchi, dal titolo “ Cigarettes ”, dove è stato musicato un testo che risale all’anno 1912, tratto da una relazione dell’ispettorato del congresso americano sugli immigrati italiani negli stati uniti d’America, che descrive la visione che hanno gli americani di noi (al tempo immigrati), ebbene, parlano allo stesso identico modo in cui parliamo noi degli immigrati che provengono generalmente dall’Africa.

La storia è ciclica, dobbiamo ricordarci da dove veniamo, che non siamo oggetti ma esseri umani, che sono esseri umani.

-tu forse sei stato il primo a sollevare in note questo fenomeno, poi dopo in tanti lo hanno cantato, ognuno affrontandolo dal proprio punto di vista, quel’è stato il tuo?

Non so se sono stato il primo, anzi credo di no, dato che come ti dicevo prima, so che proprio Cristicchi ne aveva già parlato in quella canzone del 2013, ma chiaramente non è affatto questo che conta, l’importante è che se ne parli il più possibile, poi è normale che ognuno lo debba affrontare sotto chiavi diverse.

Per esempio il mio amico Mirkoeilcane, che nel 2018 ha partecipato al Festival di Sanremo proprio con una canzone che parla di immigrazione, che trovo straordinaria, ha usato una sorta di metafora, io invece ho cercato di affrontare il tema descrivendo in maniera molto semplice ciò che accade ormai quasi regolarmente, e ciò che spinge questa gente a fare un passo così azzardato.

-Preferivo cantare canzoni d’amore…e invece continui a cavalcare palcoscenici con canzoni di denuncia, come per esempio al “ PREMIO MUSICA CONTRO LE MAFIE con il brano

“ ALZA LA BANDIERA” in cui ti posizionasti fra i finalisti

Eh si, cerco di affrontare temi che mi stanno a cuore, che mi colpiscono, “ alza la bandiera ” è un brano di contestazione, di protesta, nonché di consapevolezza, anche in questa canzone descrivo ciò che accade, racconto semplicemente la verità.

Il politico di turno infatti, come sempre, pensa solo a se stesso, non di certo al popolo, anche questa è mafia.

Tento di risvegliare la “ piazza piena ma stanca ” , ricordando che “ ci hanno messo le ali ma strisciamo per terra ”.

In quasi tutto l’album SOTTO I PIEDI DEI GIGANTI incito a riflettere e ad aprire gli occhi.

-“ scusa effendi ”, continui a mettere in gioco i potenti, “ effendi ” è una parola turca che significa signore, indica un potente

Si è un termine che mi ritrovo spesso a dover giustificare nei concerti, perché molti pensano che io dica FENDI, quello delle borse ah ah ah (ride).

È una canzone ironica, anzi sarcastica, che racconta il controllo che avviene su di noi.

In realtà la maggior parte dell’album parla di questo sistema che ci schiaccia, che ci opprime, il gigante ovviamente è il sistema, in copertina infatti c’è una mia foto nella quale vengo ritratto a sorreggere questo gigante per non rischiare di farmi schiacciare.

C’è una deviazione delle menti, di cui continuerò a parlare in questo nuovo album che sto scrivendo.

-cosa sono i diritti umani?

Non è cosi semplice rispondere , credo sia il rispetto per il prossimo, cercare di fare delle azioni che non vadano a ledere il prossimo.

 

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Ricordate la delusione della Nazionale italiana di calcio (Campione in carica 2006) ai successivi Mondiali del 2010 in Sudafrica? Un dis-astro, d’accordo, sotto un cielo però con tante storie di stelle…

 

A chi giunge dall’Atlantico al promontorio sudafricano di Buona Speranza, oltre la baia e la “dinamica” ciambella del “Green Point Stadium” si presenta - inclusa nella Città del Capo - la sagoma quasi innaturale della “Montagna della Tavola” (Table Mountain): cima piatta evidentemente, a poco più di 1000 metri s.l.m., frequentata da una nuvola bianca detta “Tovaglia” perché l’altopiano le fa proprio da mensa, per tre km circa verso la Città.

Più di 2 secoli e mezzo prima del debutto calcistico dell’Italia campione (con débâcle finale), l’astronomo francese Nicolas L. de Lacaille si trovò ad attendere, in questo magnifico ambiente naturale, alla redazione della sua carta del cielo australe (1751-1752).

All’orografia particolare del “Tafelberg” (la “Tavola” in “afrikaans”) fu certo molto sensibile il Lacaille; tanto da immortalarne il nome in una delle 14 nuove costellazioni create per l’orientamento, in cieli evidentemente non “letti” dalle antiche mitologie euroasiatiche. Dette così il nome latino di “Mons mensae” (Montagna della Tavola) a un settore circumpolare di firmamento visibile da poco a nord dell’Equatore fino al polo Sud, dotato di stelle deboli ma pure di qualcosa d’interessante.

Si estende infatti in esso parte della “Grande Nube di Magellano”, l’oggetto extragalattico più luminoso tra quelli visibili col solo occhio nudo: uno scrigno di miliardi di stelle come fu scoperto però in seguito (1834-1838) dall’astronomo inglese John F. W. Herschel, che aveva proseguito le osservazioni “in loco” con strumenti di livello superiore.

Particolarissima nuvola insomma, che non poteva non richiamare quella più vicina alla terra, che scende a rivestire la “Tavola” della Città del Capo. Forse anch’essa un po’ stordita in quel particolarissimo Inverno australe, riscaldato dal concerto delle “vuvuzelas” nel sito poco lontano del “Green Point Stadium”.

 Domenico Ienna

Un’oasi ai Musei Vaticani, una piccola mostra nel cuore della Pinacoteca Vaticana: Chiara da Montefalco e Jean d’Amiel. Devozione e committenza in due dipinti restaurati dei Musei Vaticani

All’interno della frenetica attività dei Musei Vaticani sopravvivono, in qualche modo, delle sacche di tranquillità. Come delle oasi, dove l’impegno si concentra sulla tutela e la valorizzazione, altrimenti dette ricerca e restauro-conservazione.

Con la ripresa delle attività dopo le vacanze, che non sono state tali per i Musei Vaticani che, anzi, hanno lavorato a pieno ritmo, vengono riprese quelle iniziative che esulano dalla estenuante gestione degli imponenti flussi di visitatori.

Chi conosce la realtà dei Musei Vaticani potrebbe percepire come ironico il titolo di Museums at work, dato all’iniziativa, nata per comunicare attività di restauro e di studio, presentate attraverso piccole mostre, solo nel senso dello spazio ristretto, allestite in una delle salette della Pinacoteca Vaticana.

In questo caso si tratta dell’esposizione al pubblico di due gioielli del XIV secolo, il Polittico della Chiesa di San Francesco e il Dossale della Cappella di Santa Croce a Montefalco in provincia di Perugia.

I dipinti sono stati restaurati dai Musei Vaticani per la mostra Capolavori del Trecento. Il cantiere di Giotto, Spoleto e l’Appennino, tenutasi lo scorso anno in diverse sedi nel territorio di Spoleto, in risposta ai distruttivi eventi sismici.

Per l’occasione le due opere, che ora decorano gli appartamenti di rappresentanza del Pontefice, sono tornate a Montefalco, loro luogo d’origine.

L’attuale esposizione Chiara da Montefalco e Jean d’Amiel. Devozione e committenza in due dipinti restaurati dei Musei Vaticani, rende conto di quanto emerso dai restauri. Tessere di un puzzle tutt’altro che concluso e che, al contrario, offre spunti per lo studio di argomenti ancora inediti e di indagini sul territorio.

Il Polittico della Chiesa di San Francesco è formato da cinque scomparti, nel maggiore e centrale, campeggia la Crocifissione con, al di sotto, la Comunione degli Apostoli. Nei laterali sono distribuite le Storie della Passione.

Nel 1336 Jean d’Amiel ha incaricato l’artista convenzionalmente indicato come Maestro di Fossa, della realizzazione del polittico destinato alla Chiesa di San Francesco a Montefalco.

L’opera è giunta in Vaticano a seguito delle requisizioni napoleoniche succedute al trattato di Tolentino del 1797.

Il restauro ha determinato la ricomposizione delle parti nell’assetto originario, ma soprattutto l’emersione dell’iscrizione nascosta dalla cornice.

Sempre Jean d’Amiel, ma nel 1333, aveva fatto decorare la Cappella di Santa Croce nel convento delle monache di Santa Chiara a Montefalco.

Il Dossale si trovava probabilmente sull’altare centrale della Cappella, nel centro è “replicata” la Crocefissione ad affresco sul muro di fondo. La decorazione è attribuita al Primo, probabilmente autore anche del Dossale, e al Secondo Maestro della Beata Chiara da Montefalco.

Ai lati della Crocefissione si dispongono, nel Dossale, scene del martirio di San Biagio e di Santa Caterina d’Alessandria.

A testimonianza di quanto le immagini fossero veicolo per la preghiera e la devozione personale, i volti dei carnefici sono stati “sfregiati” dai devoti, che li hanno colpiti e graffiati.

Storie nelle storie si incontrano e si sovrappongono, così come le discipline, le tecniche artistiche, i materiali.

Una storia infinita di cui le opere costituiscono traccia e documentazione.

Info:

http://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/eventi-e-novita/iniziative/Eventi/2019/museums-at-work-chiara-da-montefalco.html

Bernardetta Olla è una pittrice nata a Quartu Sant’ Elena, provincia di Cagliari.

È molto conosciuta in tutta l’isola: le mostre in cui ha esposto le sue opere, non si contano.

È  stata premiata a New York. Ha esposto anche a Montmartre – Parigi, Italia Vogue, Spoleto Art Festival, Berlino, Dioscuri del Quirinale, al palazzo della Cancelleria Vaticana a Roma.

Sempre a Roma, ha partecipato ad una mostra interamente a lei dedicata; ha inoltre ricevuto una menzione speciale e vinto un concorso con premio nella galleria, Frammenti d’Arte.

Ha partecipato a prestigiosissime mostre a Bergamo e a Milano. Sofia Falzone, una delle amministratrici del Focus-Group-Art, la descrive così :

“L’adesione alla matrice figurativa,rivisitata con personale sensibilità, è un aspetto essenziale dell’operatività pittorica di Bernardetta Olla, un’artista che intende l’arte come espressione di forme e di concetti, da proporre alla fruizione degli osservatori senza astruse mediazioni deformanti.

Nelle sue opere si individua una tensione narrativa.

Bernardetta è anche ritrattista. In questo campo la sua maestria tecnica, sisposa ad un notevole ed approfondito studio psicologico, per decifrare l’animo dei soggetti oltre che le fattezze esteriori, per fare emergere con eleganza un fraseggio generato da tratti precisi”.

Il percorso di Bernardetta è sempre in salita.  Di recente ha partecipato alla Biennale di Venezia, a Palazzo Zenobio.

Ha esposto a Roma, Via Margutta nella Galleria Arte Area Contesa.

A Cagliari ha partecipato alla 33esima edizione del Festival Sciampitta , che da sempre mette a confronto tradizioni e folklori di vari paesi.

Molto legata alle bellezze e tradizioni della sua terra, sta lavorando a un progetto che parla di fate e streghe, creature fantastiche della mitologia sarda: Janas e Cogas.

È bello ascoltare Bernardetta quando si racconta ma è altrettanto affascinante cogliere femminilità, forza e delicatezza dai suoi lavori.

Ho avuto il piacere di chiacchierare con lei e scoprire una tecnica particolare, usata per impreziosire le opere e renderle sempre più suggestive.

Quanti anni avevi quando hai scoperto la passione per la pittura?

Penso di essere nata con questa passione, dal momento che non ho ricordi nitidi che possano in qualche modo indicare il periodo preciso in cui ho cominciato a dedicarmi all’arte.

Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Inizia quando grazie ad un’amica d’infanzia riscopro la mia passione.

Ho detto “riscopro”, perché dopo essermi sposata, vari impegni familiari, mi hanno allontanata,pur avendo sempre vivo in me il pensiero.

Con lei ho iniziato un corso di pittura a olio, ritrovando così, l’emotività, l’incanto, il sogno e soprattutto riscoprendo un posto che mi piace definire magico dove potermi rifugiare e ritrovare quella parte di me stessa che avevo trascurato.

Ti va di parlarmi ,in modo più dettagliato, dei motivi per cui sei stata costretta ad interrompere il tuo percorso creativo e di come hai vissuto quel periodo?

Domanda dolente, cara Cristina.  Posso dirti che forse dentro di me non ho mai smesso di creare, anche se la vita per molto tempo mi ha portata altrove.

Penso che sia difficile per una donna conciliare i ruoli di mamma e moglie con le passioni, soprattutto quando si hanno figli piccoli.

Mi sono sempre interessata di arte e ho notato con piacevole sorpresa che i tempi sono cambiati e a favore delle donne.

Anni fa, alle mostre erano rare le esposizioni di artiste femminili, mentre sempre più presenti quelle di artisti maschili.

Ora, direi che quasi si equivalgono.

Ciò dimostra che il tempo è stato utile per far sì che non fosse penalizzato il percorso artistico delle donne.

Ti sei ispirata ad un’artista in particolare?

Per la rappresentazione degli alberi, con la tecnica dell’acquarello, mi sono ispirata a Kersey , mentre per i fiori a Whittle.

Ho incontrato e lasciato per strada, tanti maestri.

Amo Caravaggio, per come riesce a far emergere la bellezza del buio. Adoro Van Gogh.

Hai partecipato a vari eventi dedicati a Frida Kahlo, ti va di parlarmi di questa esperienza?

A Bergamo, presso Sala Manzù, l’ambasciatore del Mexico, En Milan Hernan De J. Ruiz Bravo, si è complimentato con me ed ho provato un’emozione grandissima che custodisco nel cuore, come si fa con le medaglie.

Ha commentato la mia opera con queste parole, che non dimenticherò: “Quest’opera è bellissima, è un vero omaggio a Frida che amava gli animali e la natura”. Mi sono commossa.

 
 Jennifer Lopez - Versace

Settembre 2019 a Milano:una Milano dai grandi nomi e le grandi Griffe, da Armani a Gucci,da Fendi a Bottega Veneta e poi Prada,Maxmara,Alberta Ferretti,Versace con la sua testimonial d'eccezione l'attrice

 
 Prada

Jennifer Lopez ed ancora Marras, Scervino.Etro,Marni, Peter Pilotto, Tommy Hilfinger e tanti altri che si alternano su passerelle classiche o reinventate per stupire e fare tendenza, capitanate da supermodels quali Gigi e Bella Hadid,Cara Delevigne,sempre coloratissime e pronte per un estate a suono di ritmi Cafe del Mar e procrastinar...

Collezioni ben rifinite e totalmente ecosostenibili predominate da una rigida concettualita'' con spennellate che ricalcano sempre di piu' le immagini iconiche dei precursori del bello: obsolete tra il virtuale ed il reale, un azzardo che travolge asimmetrie e seduzione, un caldo di dolce quotinianita' per un intraprendente femminilita' innovativa e diversa che compiace le nostre esigenze.


I settings effervescenti e climatizzati, dalle piscine metropolitane al teatro La Scala, senza dimenticare gli

 
 Gucci

street parties.
Il nome Moda che si ripropone come sempre per quanto definita e pronta da indossare come una seconda pelle e che indossiamo regolarmente con sicurezza, e' indispensabile,gioca e dirige le nostre azioni alternandosi su tutte le passerelle del mondo e nella sua raffinatezza e' un

 
Julien Mac Donald

demaquillant del make up della couture, come infatti si e' visto a Roma, al Prati Bus District,durante le sfilate di Luglio, dove Patrick Pham,ci ha proposto dei materiali intrecciati a mano dagli artigiani della citta' imperiale della Dinastia Nguyen del Vietnam,di alto pregio,mentre una Sabrina Persechino, con la sua maestria ci offre come tributo alla scuola Bauhaus,di Architettura,Arte e Deign,una collezione Be Sign antivirale, che esalta il funzionalismo del movimento moderno con un razionalismo tecnologico e che si contrappone al decoupage Milanese anch'esso incontaminato ma piu' organico e trascendente, come nelle collezioni ispirate ai figli dei fiori,Woodstock,movimenti pacifisti e liberta', che con naturalezza sfocia in produttivita',un pozzo senza fine dove sete,ricami, colori pastello sono gli integratori che lo nutrono. Per quest'estate 2020 tuffiamoci nel nuovo che e' ancora antico ma attuale, classico e sobrio in questa girandola di caroselli sparsi per tutta la citta' di Londra,cominciando da Burburry, con il suo tocco magico di eleganza e' Victoria Beckham con capi molto ricercati e pieni di stile.un effetto total space oddity si rivela nella collezione di Julien Mac Donald. Christopher Kane affronta marine oceaniche tra svolazzi di onde mentre Erdem ti catapulta in Messico e tra le pampas argentine.


L'effetto bonbon questa volta esordisce con i vestiti baloom di Richard Quinn e la powder box cipria di Molly Goddard cosi delicata ed effettivamente semplicemente bella tanto da arrivare anche a pensare se il potenziale sviluppo dell'industria della Moda nei prossimi anni potrebbe emarginare il perbenismo di quanto si e' visto fin'ora e diventare uniforme per una popolazione sempre piu' robotica e priva di personalita' o potrebbe deragliare su campi inaspettati a sorpresa ed entusiasmarci ancora di piu'.


Una Parigi sadomaso si estrinseca in un Randez Vous di fashion parties dove la domination e' un must, una Parigi dove

 
 Burburry
 
 Richard Quin

Chanel e Dior se ne contendono lo scettro.

I Gioielli.

 

Scultura di Marina Corazziari esclusivamente fatti a mano hanno anche quest'anno soverchiato e superato di gran lunga tutte le altre proposte gioiello che si sono alternate da una parte all'altra del globo durante le settimane della moda. Da Roma a New York e' stato un successo clamoroso...il pubblico internazionale ha ammirato l'originalità,la creatività,la perfezione e l'unicità di questi pezzi prestigiosi che ti vestono dalla testa ad i piedi,arricchendo  sfolgoranti qualunque corpo possa permetterselo. Nella loro regalità esaltano l'esuberanza ed il portamento di qualsiasi donna facendoti sentire regina unica ed incontrastata nel tuo microcosmo. Questi ornamenti aderiscono sul corpo coinvolgendosi con la personalità di chi li indossa,rafforzandola e dandole quel tocco magico e di mistero dovuto al loro splendore...Marina questa artista poliedrica ha saputo cogliere in pieno quello che e' il gusto ed il desiderio di tutte le donne.



 Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 

 

La Riflessione!

 

 

Di nuovo Le Guide

Anche quest’anno è giunta l’ora della pubblicazione delle Guide. Quelle più note, famose e quelle che cercano faticosamente di emergere magari specializzandosi in specifici settori (vini biologici, biodinamici, naturali). Bollate di cattiva e pessima fama, famigerate da alcuni produttori e/o soloni del vino, osannate, acclamate, attese da altri per sapere se i propri vini sono new entry o celebrate conferme. Il grande circo del Vino si ritrova comunque coinvolto in manifestazioni, eventi aperti o limitati negli inviti o, come gentilezza vuole, a ringraziare questa o quella guida per il giudizio dato.

Mi sovvien un dialogo avuto con una azienda nel marzo scorso durante Terre di Toscana proprio sulla validità delle Guide. Peste e corna a non finire, “se paghi ti includono e il giudizio è correlato al quantitativo di denaro che tu versi” , “giornalisti prezzolati”, ecc… Di solito si dice “vox populi, vox dei”. Ma è anche vero che “il trasformismo è sempre in agguato” (senza fare alcun riferimento alla politica di oggi). Perché, proprio quel produttore ha pubblicato in questi giorni che il suo vino di punta è entrato nelle “grazie” di una Guida Importante. Ne ha fatto riferimento inneggiando, magnificando la Guida in questione. Sono sicuro che alla prima manifestazione dove sarà presente troverò sul tavolo d’assaggio la Guida aperta alla pagina dedicata.

Meditate gente, meditate. Mi sovvien Niccolò di Bernardo dei Machiavelli (anch’io riporto una citazione storica visto che va di moda): il popolo nel mondo non è se non vulgo.

A voi la mia riflessione. Viva le Guide.  

 

 

 

Frammento n. 1

 

Vino naturale o Vignaiolo Naturale?

Nell’ambiente, sui social, nel mondo del vino italiano Alessandro Dettori, noto vignaiolo sardo, accreditato come produttore di “vini naturali”, ha voluto precisare il suo pensiero di vignaiolo naturale.

Per brevità riporto il suo pensiero che condivido.

“Per vignaiolo naturale intendo colui che in vigna lavora seguendo i principi, i processi e i metodi che la natura usa per se. Colui che vinifica solo le proprie uve che ha personalmente coltivato. Imbottiglia solo il proprio vino. Determina personalmente o in famiglia le scelte e le decisioni di ogni fase e processo della propria azienda agricola. Vive della sola professione di vignaiolo. Rispetta il lavoro agricolo riconoscendone il valore economico. Produce il proprio vino con i seguenti ingredienti/additivi/coadiuvanti: Uva e pochi solfiti, solo prima dell’imbottigliamento. Il vino deve essere un degno e vero rappresentante della cultura del luogo” Aggiungo: il vino è opera dell’Uomo.

 

 

Frammento n. 2

C’è Prosecco e Prosecco

Non possiamo abbandonare il Prosecco alla deriva degli Spritz

Nel mare sempre più agitato dei prosecchini è sempre più difficile trovare quello eccellente. E finché i numeri registreranno la crescita attuale c’è poco da stare allegri. Il cassetto impera, da Trieste a Rovigo, rotonde comprese, perfino in laguna, in barba al sito Unesco (una farsa).

Ma noi, fedeli estimatori dei vini buoni non ci perdiamo di coraggio.

Evitiamo gli aperitivi a base di prosecchino (quando ci va bene ci rifilano prodotti da € 2,50 la bottiglia o addirittura simil-prosecco), rinneghiamo gli Spritz e andiamo alla ricerca di qualcosa che rivaluti il vitigno di appartenenza: il (la) Glera.

Cominciare a capire che il vitigno di partenza può essere vinificato in maniera diversa (vini base) riducendo il tenore zuccherino ed uscire con 8/9 g/l (Brut) e 3 g/l (Extra-Brut).

Ed allora puoi ipotizzare di tentare di proporre Prosecco garantito Superiore Docg (Valdobbiadene e Asolo) a “tutto pasto” così come i Metodi Classici e gli Champagne.

Una novità, rivoluzione nel campo dei Prosecco che apre a questo “fenomeno”, un nuovo percorso di vita senza abbandonare il Metodo Charmat ancora unico sistema valido per spumantizzare il (la) Glera. Prosecco del tutto particolari tendenti ad emergere dalla “sbornia che ci affligge” con “prosecchini da due soldi”. Nuove esperienze per elevare il Prosecco al rango che merita.

 

 

Frammento n. 3

Dai dai l’aggiunta dello zucchero al Vino è arrivata.

Ce lo suggerisce l’Europa. Le Notizie che passano in sordina.

"Avanti miei prodi, mettiamo zucchero nel Chianti per aumentare i nostri profitti" Chapeau!!!

In barba ai terroir, al biologico, al biodinamico, al naturale (del resto lo zucchero è naturale).

Il Chianti cambia disciplinare. Non il Chianti Classico, quello del Gallo Nero, l’altro. Quello che estende il territorio da Pistoia ad Arezzo, dalla Rufina alle Colline Pisane.

L’annuncio del Consorzio Vino Chianti, il Chianti Docg (ma Docg non vuol dire Denominazione di Origine Controllata e Genuina?), cambia il disciplinare. La possibilità di adottare il nuovo limite zuccherino a partire dalla vendemmia 2019/2020. Il presidente Busi: “Finalmente ci adeguiamo alle normative europee. Prevediamo aumento delle vendite”

Firenze, 3 settembre 2019 - Un cambiamento importante, che permetterà alle aziende di adeguarsi alle normative europee e produrre vini di alta qualità e allo stesso tempo in grado di venire maggiormente incontro ai gusti dei mercati stranieri, soprattutto statunitensi, sudamericani e orientali. È l’obiettivo della modifica sulle caratteristiche al consumo del disciplinare del Vino Chianti Docg pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 agosto 2019 e diventata quindi realtà in ambito nazionale. La modifica interessa il residuo zuccherino massimo e arriva dopo un lungo lavoro di istruttoria che ha visto in prima fila il Consorzio Vino Chianti come portavoce delle aziende toscane e della loro necessità di allinearsi alle normative europee (ma quando mai). Un processo di riqualificazione e riposizionamento sui mercati internazionali che segue la tendenza manifestata già da altre denominazioni in Europa (quelle tedesche).

“Dopo lungo lavoro che ci ha visti impegnati per tanto tempo, il Ministero ha approvato la richiesta di modifica del disciplinare - ha dichiarato il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi - Un processo di adeguamento alle normative europee che garantisce maggiore competitività e una maggiore capacità del vino Chianti docg di allinearsi ai gusti dei consumatori che inevitabilmente si modificano nel tempo (prosecchini docet). Ciò permetterà alle aziende interessate di poter presentare dei vini secchi, sempre di altissima qualità ma più graditi al palato dai mercati prevalentemente orientali e americani (non proporre il nostro vino, la nostra eccellenza). Un passaggio atteso da tante aziende che, se vorranno, potranno adeguarsi a questi nuovi standards.

Ci aspettiamo dunque un aumento delle vendite su mercati esteri, che già presentano grandi potenzialità e su cui ci sono più ampi margini di sviluppo”.

FARE IL VINO COME RICHIESTO DAL MERCATO E NON COME TRADIZIONE.

Il Consorzio ha già inviato una circolare a tutte le aziende con i dettagli delle modifiche. ( Fonte: Consorzio Vino Chianti)

Lascio a voi ogni giudizio. (Cosa si fa per il cassetto)

 

 

Frammento n. 4

La segnalazione:

Il Mondo del Sake, straordinario, magico, fiabesco.

A Novembre arriva la prima edizione della Milano Sake Challenge.

L'evento Sake Challenge è un appuntamento annuale che si svolge dal 2012 a Londra e quest’anno, dopo l’enorme successo riscosso nella capitale inglese, per la prima volta arriva in Italia e lo fa grazie alla Sake Sommelier Association Italiana cavalcando l’onda del grande risultato raccolti nel nostro Paese che dall’Ottobre 2018 è diventato il primo paese importatore di sake in Europa. L'11 Novembre 2019, all’interno del concept store giapponese Tenoha (Via Vigevano 18 a Milano), si svolgerà la prima edizione della Milano Sake Challenge dove i produttori di sake giapponesi sono chiamati a partecipare con le loro etichette per eleggere i "Migliori Sake per l'Italia" secondo il palato italiano. Il focus infatti non sarà mirato al miglior sake in assoluto ma al prodotto più apprezzato dal gusto del paese organizzatore. Oltre 50 giudici tra sake sommelier professionisti e giornalisti di settore, prenderanno parte all'evento per valutare le centinaia di etichette che arriveranno direttamente dal Giappone, un’altra ventina circa invece valuterà l’aspetto estetico. In questa prima edizione infatti verranno assaggiate circa 3 00 etichette provenienti da quasi tutte le prefetture del paese; saranno suddivise in 6 tipologie, ognuna delle quali verrà valutata per il suo profilo gusto-olfattivo da una giuria di 8 persone composta da un giornalista ed alcuni sake sommelier, mentre un secondo gruppo capitanato da un esperto di design valuterà la parte visiva relativa all’etichetta.

L’evento si svolgerà in due momenti diversi: dalle 09:30 alle 17:00 ogni giudice assaggerà tutti i sake di una tipologia ed esprimerà il proprio giudizio condiviso con gli altri componenti della giuria, poi dalle 18:00 le porte apriranno al pubblico che avrà l’occasione di assaggiare gratuitamente tutte le 300 etichette di sake tramite la formula “Free sake tasting” (registrandosi sul sito) ed avrà a disposizione anche una card per 10 assaggi gratuiti di food delle aziende sponsor. Il weekend del 8-10 Novembre invece è in programma una piccola anticipazione della Sake Challenge, sempre all'interno di Tenoha. Degustazione guidate da un esperto sake sommelier con sfiziosi abbinamenti food durante l'aperitivo, dalle 18:30 alle 20:30.

Il motore di tutto, dalla Milano Sake Challenge alla Sake Sommelier Association Italiana, fino ai numerosi altri progetti realizzati che uniscono Italia e Giappone, è composto dalla coppia Lorenzo Ferraboschi e Maiko Takashima. Uniti nella vita e nel lavoro sono un punto di riferimento inequivocabile dell’autenticità nipponica in Italia: il ristorante Sakeya, Wagyu Company, Sake Company, solo per citare alcune delle realtà che da anni portano avanti con lavoro e passione e tra l’inverno e la Primavera altri progetti interessanti progetti del Sol Levante sono ai nastri di partenza.

www.milanosakechallenge.it

 

 

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

September 18, 2019

Centinaia di giovani cinesi, davanti al Consolato britannico a Hong Kong, cantano «Dio Salvi la Regina» e gridano «Gran Bretagna salva Hong Kong», appello raccolto a Londra da 130 parlamentari che chiedono di dare la cittadinanza britannica ai residenti dell’ex colonia.

 

La Gran Bretagna viene fatta apparire così all’opinione pubblica mondiale, specie ai giovani, quale garante di legalità e diritti umani. Per farlo si cancella la Storia. 

E’ quindi necessaria, prima di altre considerazioni, la conoscenza delle vicende storiche che, nella prima metà dell’Ottocento, portano il territorio cinese di Hong Kong sotto dominio britannico. 

Per penetrare in Cina, governata allora dalla dinastia Qing, la Gran Bretagna ricorre allo smercio di oppio, che trasporta via mare dall’India dove ne detiene il monopolio.

Il mercato della droga si diffonde rapidamente nel paese, provocando gravi danni economici, fisici, morali e sociali che suscitano la reazione delle autorità cinesi. 

Ma quando esse confiscano a Canton l’oppio immagazzinato e lo bruciano, le truppe britanniche occupano con la prima Guerra dell’Oppio questa e altre città costiere, costringendo la Cina a firmare nel 1842 il Trattato di Nanchino. 

All’Articolo 3 esso stabilisce: «Poiché è ovviamente necessario e desiderabile che sudditi britannici dispongano di porti per le loro navi e i loro magazzini, la Cina cede per sempre l’isola di Hong Kong a Sua Maestà la Regina di Gran Bretagna e ai suoi eredi». 

All’Articolo 6 il Trattato stabilisce: «Poiché il Governo di Sua Maestà Britannica è stato costretto a inviare un corpo di spedizione  per ottenere il risarcimento dei danni provocati dalla violenta e ingiusta procedura delle autorità cinesi, la Cina acconsente a pagare a Sua Maestà Britannica la somma di 12 milioni di dollari per le spese sostenute». 

Il Trattato di Nanchino è il primo dei trattati ineguali attraverso cui le potenze europee (Gran Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Austria e Italia), la Russia zarista, il Giappone e gli Stati Uniti si assicurano in Cina, con la forza delle armi, una serie di privilegi:

  • la cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna nel 1843,

  • la forte riduzione dei dazi sulle merci straniere (proprio mentre i governi europei erigono barriere doganali a protezione delle proprie industrie),

  • l’apertura dei principali porti alle navi straniere,

  • il diritto di avere aree urbane sotto propria amministrazione (le «concessioni») sottratte all’autorità cinese. 

Nel 1898 la Gran Bretagna annette a Hong Kong la penisola di Kowloon e i cosiddetti New Territories, concessi dalla Cina «in affitto» per 99 anni. 

Il vasto malcontento per tali imposizioni fa esplodere verso la fine dell’Ottocento una rivolta popolare – quella dei Boxer – contro cui interviene un corpo di spedizione internazionale di 16 mila uomini sotto comando britannico, al quale partecipa anche l’Italia.

Sbarcato a Tianjin nell’agosto 1900, esso saccheggia Pechino e altre città, distruggendo numerosi villaggi e massacrandone la popolazione. 

Successivamente, la Gran Bretagna assume nel 1903 il controllo del Tibet, mentre la Russia zarista e il Giappone si spartiscono la Manciuria nel 1907.

Nella Cina ridotta in condizione coloniale e semicoloniale, Hong Kong diviene la principale porta dei traffici basati sul saccheggio delle risorse e sullo sfruttamento schiavistico della popolazione. 

Una massa enorme di cinesi è costretta ad emigrare soprattutto verso Stati Uniti, Australia e Sud-Est asiatico, dove è sottoposta a condizioni analoghe di sfruttamento e discriminazione. Sorge spontanea una domanda: su quali libri di storia studiano i giovani che chiedono alla Gran Bretagna di «salvare Hong Kong»?
 
(il manifesto, 17 settembre 2019)
 
 

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