L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Economics (240)

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Roberto Casalena
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Ancora sacche di disagio e difficoltà economiche per gli italiani, tanto che quasi la metà delle famiglie non riesce a far quadrare i conti e arrivare a fine mese. L'impasse emerge dal Rapporto Italia 2017 diffuso i dall'Eurispes. Secondo l'Istituto di Studi Politici Economici e Sociali, ben il 48,3% delle famiglie non riesce ad arrivare alla fine del mese e il 44,9% per arrivarvi sono costrette a utilizzare i propri risparmi, così solo una famiglia su quattro risparmia.

Le rate del mutuo per la casa sono un problema nel 28,5% dei casi, mentre per il 42,1% di chi è in affitto lo è pagare il canone. Il 25,6% delle famiglie ha inoltre difficoltà a far fronte alle spese mediche. Molti hanno dovuto mettere in atto strategie anti-crisi come tornare a casa dai enitori (13,8%), farsi aiutare da loro economicamente (32,6%) o nella cura dei figli per non dover pagare nidi privati o baby sitter (23%).

Un italiano su 4 si sente povero - Dai dati raccolti dall'Istituto, circa una persona su quattro afferma di sentirsi 'abbastanza' (21,2%) e 'molto' (3%) povero. L'identikit di chi denuncia la propria povertà disegnato dalla ricerca Eurispes mostra in primo piano il single (27,1%) o monogenitore(26,8%) che vive al Sud (33,6%) ed è cassaintegrato (60%) o in cerca dinuova occupazione (58,8%). La ricerca evidenzia inoltre che alla domanda 'Conosce direttamente persone che definirebbe povere?', il 34,6% degli italiani risponde 'alcune', il 20,1% risponde 'molte', il 33,2% risponde 'poche' e solo il 12,1% 'nessuna'. Nella povertà, segnala il rapporto, sisprofonda soprattutto a causa della perdita del lavoro (76,7%), ma anche aseguito di una separazione o un divorzio (50,6%), a causa di una malattiapropria o di un familiare (39,4%), della dipendenza dal gioco d'azzardo(38,7%) o della perdita di un componente della famiglia (38%).Sale potere acquisto ma tagli a cibo e medicine - Anche se la maggioranza delle persone (51,5%) sostiene di non aver perso il proprio potere d'acquisto, un dato in crescita rispetto al 46,8% dello scorso anno, allo stesso tempo per l'acquisto degli alimentari sale dell'1,7% la percentuale di consumatori che cambia marca di un prodotto se più conveniente e ben il 3,9% in più delle persone è costretto a tagliare le spese mediche. E nel corso dell'anno si è risparmiato sui pasti fuori casa (70,9%), l'estetista, il parrucchiere, gli articoli di profumeria (66,2%), i viaggi e le vacanze (68,6%). Sono rimasti pressoché stabili, evidenzia l'Istituto, i tagli sui regali (75,6%) e per il tempo libero (64,8%). Stabile anche il ricorso ai saldi (80,6%) mentre diminuisce la quota di risparmio che incide sulle nuove tecnologie (5 punti: dal 69,4% del 2016 al 64,4% del 2017). Si riduce, rileva ancora il report, il numero dei consumatori che per l'abbigliamento prediligono punti vendita più economici come grandi magazzini, mercatini e outlet (73,2%; -2,8%)".

La Sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano, la n. 3831/01/16, ha decretato che, nel caso in cui Equitalia non esibisce la cartella di pagamento “originale” al contribuente che ne fa richiesta, il debito vero il Fisco decade.

La stessa Sentenza si è espressa a favore del contribuente, il quale, sosteneva come ““la mera riproduzione fotostatica delle presunte cartelle non assume alcun valore giuridico trattandosi di meri documenti di parte, non muniti di alcuna attestazione di autenticità proveniente da pubblico ufficiale, che non garantiscono alcuna prova certa in ordine alla loro corrispondenza all’originale”.

Nello specifico è accaduto che la contribuente era venuta a conoscenza delle cartelle emesse nei suoi confronti solo dopo aver chiesto a Equitalia un estratto di ruolo al fine di verificare i propri debiti col Fisco. Ebbene, dopo aver appreso la presenza di numerose cartelle a suo carico, la contribuente chiedeva di poter visionare gli atti esattoriali nonché le prove attestanti la corretta notifica; al rifiuto del concessionario di fornire tale documentazione (Equitalia si limitava a esibire solamente un estratto di ruolo, ossia un mero elenco dei debiti) la contribuente veniva costretta ad agire in giudizio per tutelare i propri diritti.

La Commissione Tributaria ha deciso che: “nonostante la richiesta da parte del contribuente sin dal ricorso introduttivo del giudizio di produzione degli originali (o valide copie) degli atti e della documentazione inerente la rituale notifica delle cartelle … la società Equitalia non ha prodotto anche in questa sede alcun originale relativo sia alle cartelle (non prodotte anche in mera fotocopia) che alla loro notificazione” (pagina 3 della sentenza).

Ovviamente in mancanza di prove e soprattutto circa l’esistenza degli atti e della loro regolare notifica, i Giudici non hanno potuto fare altro che constatare l’illegittima pretesa dal Fisco con conseguente annullamento del debito tributario.

Ricordiamo che vi sono state altre Sentenze in merito come: Sent. Tar Napoli n.3820/2015, Sent. Comm. Trib di Parma n.15/07/10 e n.40/01/10.

Finisce cosi il potere eccessivo di Equitalia.

Il colosso bancario britannico HSBC ritiene che l’economia mondiale sia in recessione, con il commercio globale in calo del 8,4 % da giugno 2014 a giugno 2015 e il Pil mondiale, espresso in dollari, in calo del 3,4 %. Il denaro fugge dai mercati emergenti a un ritmo sostenuto.

Inoltre, le grandi banche sono danneggiate da prestiti enormi che non verranno mai rimborsati e sembra sia in atto una contrazione importante del credito a livello globale.
Il Fondo monetario internazionale, le Nazioni Unite, la Bank of International Settlements di Basilea e Citibank avevano avvisato che una crisi economica sarebbe imminente, ma la maggior parte delle persone pensa che tutto andrà bene. Il livello di fiducia cieca nel sistema è stupefacente.

Le cifre attuali mostrano che l’economia mondiale non è mai stata così negativa dalla recessione del 2008. Il commercio mondiale è in calo, da giugno 2014 su un anno, di -8,4 %. Da un punto di vista tecnico siamo già in recessione. Il Pil mondiale espresso in dollari è negativo di 1.370 miliardi di dollari, o -3,4 %.

I maggiori problemi sono nei paesi emergenti, come si legge in un articolo del quotidiano britannico The Guardian :

Il terzo atto inizia in paesi meno capaci di concepire misure per bloccare il contagio finanziario e le cui banche sono più fragili. Durante la prossima crisi finanziaria, nelle economie emergenti come Turchia, Brasile, Malesia, Cina, l’aumento dei prezzi dei prodotti di base, già a livelli molto alti a causa del boom economico cinese (alimentato dal debito) sembra non volersi fermare. La Cina ha fabbricato più cemento in tre anni, dal 2010 al 2013, di quanto gli Stati Uniti abbiano prodotto nel 20esimo secolo. Questo non poteva continuare.”

Le banche cinesi sono il punto chiave : qualcuno dei grossi prestiti che hanno concesso non potrà mai essere rimborsato, in modo che oggi non possono prestare con la stessa facilità di prima, per mantenere il tasso di crescita, elevato ma illusorio. I prezzi delle materie prime sono crollati.
I soldi inondano le economie emergenti che però non dispongono di istituzioni finanziarie centrali per attuare piani di salvataggio. Eppure questi paesi rappresentano oltre la metà del Pil mondiale. Non sorprende che il Fondo monetario internazionale sia preoccupato.

Un recente articolo di CBNC è intitolato “La tormenta nelle economie dei paesi emergenti è la terza fase della crisi finanziaria?” La banca Goldman Sachs pensa sia vero e in una nota di settimana scorsa ha dichiarato :

I mercati emergenti non soffrono solamente della deriva dei mercati, si assiste a una nuova fase della crisi. L’incertezza aumenta circa la debolezza delle ricadute economiche dei mercati emergenti, mentre il calo delle materie prime e il potenziale aumento dei tassi d’interesse americani preoccupano.

Questa ondata sui mercati emergenti coincide con il crollo dei prezzi delle materie prime, che ha fatto seguito alla fase americana, segnata dagli effetti della crisi immobiliare e la fase europea, quando la crisi americana era dilagata sottoforma di problema del debito sovrano in Europa, ha indicato Goldman Sachs.
E’ noto che quando questo colosso bancario lancia l’allarme, di solito è già troppo tardi.

Fonte: The Economic Collapse.com

Nel 2017 si prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) italiano pari allo 0,8% in termini reali, cui seguirebbe una crescita dello 0,9% nel 2018.

In entrambi gli anni, la domanda interna al netto delle scorte contribuirebbe in misura significativa alla crescita del Pil: 1,2 punti percentuali nel 2017 e 1,1 punti percentuali nel 2018; la domanda estera netta e la variazione delle scorte fornirebbero un contributo lievemente negativo.

Nel 2017 la spesa per consumi delle famiglie in termini reali è stimata in aumento dell'1,2%, alimentata dall'incremento del reddito disponibile e dal miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro. La crescita della spesa proseguirebbe ad un ritmo analogo nel 2018 (+1,1%).

Nell'anno in corso si prevede un rafforzamento degli investimenti (+2,0%) e una successiva accelerazione nel 2018 (+2,7%). Oltre che al miglioramento delle attese sulla crescita dell'economia e sulle condizioni del mercato del credito, gli investimenti beneficerebbero delle misure di politica fiscale a supporto delle imprese.

L'occupazione aumenterebbe nel 2017 (+0,9% in termini di unità di lavoro) congiuntamente a una riduzione del tasso di disoccupazione (11,5%). I miglioramenti sul mercato del lavoro proseguirebbero anche nel 2018 ma a ritmi più contenuti: le unità di lavoro sono previste in aumento dello 0,6% e la disoccupazione si attesterebbe all'11,3%.

Una ripresa più accentuata del processo di accumulazione del capitale potrebbe rappresentare un ulteriore stimolo alla crescita economica nel 2018. Tuttavia le incertezze legate al riaccendersi delle tensioni sui mercati finanziari potrebbero condizionare il percorso di crescita delineato. Le previsioni incorporano le misure descritte nel disegno di legge sul Bilancio di previsione dello Stato.

Secondo l’Indagine sulle Forze Lavoro di Eurostat, a fine 2015, escludendo il settore agricolo, i lavoratori autonomi stranieri nell’Ue-28 sono aumentati del 52,6% rispetto a dieci anni prima (e de 53,7% in Italia), e rappresentano il 6,3% di tutti gli autonomi complessivamente attivi nell’Ue. In Italia i non comunitari rappresentano la maggioranza (69,9%). Un sesto di essi ha dei lavoratori alle dipendenze (15,8% vs una media del 25,7%).

Sono più di 550mila le aziende a guida immigrata registrate in Italia alla fine del 2015, il 9,1% del totale, e producono 96 miliardi di euro di valore aggiunto, il 6,7% della ricchezza complessiva.

Tra il 2011 e il 2015 sono aumentate di oltre il 21% (+97mila), mentre nello stesso periodo il numero delle imprese registrate nel Paese ha fatto rilevare un calo complessivo dello 0,9%.

È netto il protagonismo delle ditte individuali: 8 casi su 10 (79,9% vs il 50,9% delle imprese guidate da nati in Italia). Le imprese a gestione immigrata, quindi, rappresentano quasi un settimo di tutte le ditte individuali del Paese (13,6%) e meno di un ventesimo delle società di capitale (4,1%).

Il commercio, in continuo aumento, rappresenta il principale ambito di attività (200mila aziende, 36,4% vs il 24,5% delle imprese a guida autoctona); segue, seppure fortemente provata dalla crisi, l’edilizia (129mila, 23,4% vs 13,1%). Notevole è anche il comparto manifatturiero (oltre 43mila aziende, 9%), caratterizzato come l’edilizia da una forte dimensione artigiana. Sono artigiane, infatti, oltre 4 imprese edili immigrate su 5 (83,2%) e oltre 2 su 3 di quelle manifatturiere (68,4%). Proprio nell’edilizia e nella manifattura, infatti, si concentrano i tre quarti (76,0%) delle aziende immigrate artigiane (180mila in tutto). Ma cresce soprattutto la partecipazione nei servizi. Dai dati di Unioncamere risulta che alla già consolidata presenza immigrata tra imbianchini e carpentieri o nel trasporto merci e nella confezione di abbigliamento, si affianca una crescente partecipazione alle aziende (per lo più individuali) che nella sartoria, nel giardinaggio, nelle pulizie, come pure nella panetteria o nella ristorazione take away.

Più in generale, si affermano le attività di alloggio e ristorazione (41mila, 7,5%) e i servizi alle imprese (29mila, 5,3%).

I dati Sixtema/Cna sui responsabili di imprese individuali confermano il protagonismo di specifici gruppi nazionali. I più numerosi sono i marocchini (14,9%), seguiti da cinesi (11,1%) e romeni (10,8%) e, quindi, da albanesi (7,0%), bangladesi (6,5%) e senegalesi (4,4%): sei collettività che, da sole, ne raccolgono più della metà del totale (54,7%).

Ciascun gruppo si concentra in peculiari comparti di attività: il commercio nel caso di marocchini, bangladesi e soprattutto senegalesi (attivi in questo ambito rispettivamente per il 73,3%, il 66,8% e l’89,2% del totale); l’edilizia per i romeni (64,4%) e gli albanesi (74,0%); il commercio (39,9%), la manifattura (34,9%) e le attività di alloggio e ristorazione (12,9%) nel caso dei cinesi, che mostrano insieme a un’accentuata vocazione imprenditoriale, una maggiore diversificazione degli ambiti di attività in cui, nel tempo, tale capacità si è distinta e radicata. Ne consegue che sono cinesi la metà di tutti gli immigrati responsabili di ditte individuali manifatturiere (49,3%), come pure un quarto di quelli dediti al comparto ristorativo-alberghiero (25,0%). Quasi la metà di quelli attivi in edilizia, invece, sono romeni (27,1%) o albanesi (20,1%); e quasi 3 su 5 di coloro che operano nel commercio sono marocchini (26,7%), cinesi (10,9%), bangladesi (10,7%) o senegalesi (9,5%).

Operano al Centro-Nord 8 imprese immigrate ogni 10 (77,3% vs il 66,0% delle aziende autoctone) e quasi un terzo solo in Lombardia (19,1%) e nel Lazio (12,8%). Seguono la Toscana (9,5%) – in cui si rileva anche la più elevata incidenza delle imprese immigrate sul totale (12,6%) –, l’Emilia Romagna (8,9%), il Veneto (8,4%) e il Piemonte (7,4%) e, quindi, la Campania (6,8%), prima regione meridionale di questa graduatoria.

Questi dati, selezionati tra quelli presentati nel Rapporto, consentono di concludere, con il Sottosegretario Luigi Bobba, che è possibile passare dall’imponente crescita dell’imprenditorialità immigrata a una fase di piena maturità, con grande beneficio per il “Sistema Italia”. Una fase che includa non solo l’aumento delle imprese, ma anche la crescita dell’innovazione e della dimensione transnazionale. La stabilità del soggiorno, come ha evidenziato una indagine dell’Ocse, favorisce questo sviluppo.

 

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Mentre volano le quotazioni del petrolio dopo l'accordo tra i Paesi Opec e non sui tagli della produzione. I contratti sul greggio Wti con scadenza a gennaio guadagnano più di 3dollari a 54,5 dollari a barile, ai massimi da luglio 2015, in Italia le cose non vanno come dovrebbero. nel terzo trimestre 2016, le nuove assunzioni a tempo indeterminato, hanno registrato un calo del 18,7% rispetto allo stesso periodo del 2015. i contratti attivati sono stati 406.691 mentre le cessazioni di rapporti fissi sono state 483.162 (- 3,2%). i dati emergono dal report pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e risentono della riduzione degli incentivi sulle assunzioni a tempo indeterminato. Cresce, invece, del 10,6% rispetto allo stesso periodo del 2015 e 20 volte più dell'aumento nazionale il dato delle esportazioni del Sud Italia nei primi nove mesi del 2016. Questi i dati Istat, secondo cui crolla l'export delle isole (-21%) e cala quello del nord - ovest (-0,8%). In crescita nord - est e centro a più 1,5% e aumento medio nazionale fermo a più 0,5%. Sul trimestre, sud e isole segnano - 1,5% ed il nord - est - 0,2%, mentre crescono nord-ovest e centro (più 2,1% e più 0,8%). Per l'Istat sul PIL resta forte i divario tra nord e sud. Crescita nazionale dello 0,7% nel 2015, per il Pil in volume, con variazioni che vanno da più 1,1% nel Mezzogiorno a più 0,3% nel Centro, passando per più 0,8% a nord-ovest e più 0,7 a nord-est. Nel periodo 2011 - 2015 il Pil ha segnato il passo soprattutto nel Centro e nel Mezzogiorno (-1,2% e -1,1%), mentre la flessione è stata piu' contenuta nel nord - ovest (-0,9% e nord-est (-0,5%). Resta forte il divario tra nord e sud, Pil pro capite a 33,4 mila euro a nord-ovest, 32,23 mila euro nel nord-est, nel centro 298,3 mila euro e 17,8 mila a sud, - 44,2% rispetto a centro-nord.


Cari italiani lo volete cambiare o no questo Paese? Volete dare una sforbiciata al senato e far ripartire l'Italia? Ve l'hanno raccontata cosi la bella storia sul Referendum. Renzi vi ha proposto di votare "si", per cambiare verso al nostro Paese. Inizia cosi il video di un servizio di LA7 che sta spopolando in internet e che vi propongo un breve cenno in questo articolo. le Riforme non sono state scritte dal Partito Democratico, sono troppo intelligenti, ma da qualcuno che a livello mondiale conta un po' di più, ma poco poco, ossia, dalle lobby delle Banche d'affari ed in particolar modo dalla JP Morgan, sotto inchiesta per lo scandalo dei mutui “subprime". La crisi dei "subprime" è una crisi finanziaria scoppiata alla fine del 2006 negli Stati Uniti, che ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, innescando la grande recessione che ancor oggi stiamo pagando. Nel 2012 la Procura di New York denuncia per frode Bear Stearns e EMC Mortgage, per truffa dei mutui. Le perdite della Bear Stearns ammontano a 22,5 miliardi di dollari e provocano, solo negli USA, 7 milioni di disoccupati e la crisi che da anni imperversa in tutti i Paesi d'Europa. Il 28 maggio del 2013 JP Morgan ha pubblicato un documento intitolato "aggiustamenti nell'aera euro"; la prima parte spiega per filo e per segno come vanno riformati i Paesi, tra cui l'Italia. In particolare la JP Morgan scrive che la Costituzione italiana va cambiata perché "i sistemi politici dei Paesi del Sud ed in particolare le loro Costituzioni, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell'area europea". E sapete perché secondo questa brava gente dobbiamo cambiare la nostra Costituzione? Perché è troppo "socialista e garantisce la protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori e contempla il diritto alla protesta contro i cambiamenti dello Status Quo politico. JP Morgan scrive proprio cosi nero su bianco: "la protezione dei diritti dei lavoratori è un ostacolo e anche il diritto a protestare". Ma secondo voi è un caso che le stesse schiforme volute da questa banca d’affari le vuole lo "spara balle" Renzi, a Firenze detto “ il bomba”? Certo che NO, Matteuccio sta facendo i compiti che le ha assegnato la grande Banca d'affari JP Morgan. E sapete chi lo ha consigliato? Tony Blair, il quale, da alcuni anni guadagna molti milioni di euro come consulente.

Il compito di Blair è quello di andare in giro per il mondo a fare "lobbying" (gruppo di pressione). Nel 2012 Renzi e Blair si sono incontrati per cena a Palazzo Corsini a Firenze e sapete chi ha organizzato l'incontro? L'amministratore Delegato di JP Morgan. Nel 2014 i due amiconi si sono incontrati nuovamente a Londra e subito dopo Blair ha rilasciato una bella intervista a Repubblica, spiegando che Renzi aveva uno splendido programma di riforme per cambiare il Paese e rilanciare l'economia. Le stesse riforme che chiede JP Morgan! Queste non sono accuse dei complottisti e sapete perché? Vi ricordate la storia delle Bad Bank (cattive Banche)? Sapete chi ha scelto come consulente il Governo Renzi per chiudere l'affare? La JP Morgan! Nello stesso tempo la stessa Banca, mentre faceva consulenza al nostro Governo, nei suoi report consigliava i propri clienti di evitare le Banche italiane. Ecco da chi prendiamo lezioni! JP Morgan scrive le riforme e Renzi le esegue e non vi meravigliate se tra qualche anno lo vedrete advisor ( consulente) di qualche altra Banca d'Affari, come il figlio di Mario Monti, consulente della Goldman Sachs, Banca Commerciale Comit, generali, FIAT, Coca Cola, Trilateral etc. Cittadini, vi fidate ancora di Renzi e dei suoi uomini di "regime" che organizzano meetings per farvi votare "si"? Poi che dire dei ricatti di Napolitano e Boschi! Il primo ha minacciato gli italiano con lo "spread", arma usata dagli usurai per cacciare Berlusconi e meritevole di indagine per queste dichiarazioni, la seconda, figlia del vicepresidente della fallita Banca Etruria, che ha mandato sul lastrico migliaia di correntisti truffati e tanta osannata a Turi durante la sagra delle ciliegie" (solo in questo Paese poteva trovare tanta ospitalità), ha ricattato a "Porta a Porta" gli italiani dicendo che: "se vince il NO, addio agli 80 euro"", convinta lei ed inconsapevole di aver detto una cazzata!

Per chi ha letto la puntata del Diario della crisi finanziaria che parla di cosa è davvero Goldman Sachs questa di oggi è un po' inutile, in quanto in quel testo che mette insieme quattro puntate dedicate al potente ma ancor più preveggente colosso della finanza strutturata vi sono tutti gli elementi per capire perché, nonostante il vero e proprio crollo della domanda di petrolio evidenziata dal calo del 10 per cento circa registrato di recente in Italia, il prezzo del greggio, dopo una breve puntata al di sotto della soglia psicologica dei 40 dollari, si sia riportato rapidamente in vista della soglia altrettanto psicologica dei 50 dollari (parlo del WTI naturalmente, perché il Brent è ormai prossimo a quella soglia).

E' divertente che, ogni volta che assistiamo a movimenti repentini del genere, gli analisti un po' improvvisati, quelli competenti e con le mani in pasta ovviamente tacciono, si precipitano a parlare di vertici a due o a tre in corso per stabilizzare la produzione al fine di riavvicinare la domanda e l'offerta, ma è altrettanto evidente come a questi vertici non seguano mai decisioni o ancor meglio azioni decise e non è solo l'Iran che sta mandando gli impianti a tutta caldara, ma un po' tutti i produttori stanno accelerando l'estrazione, per non parlare di quel Venezuela ridotto oramai letteralmente alla fame pur disponendo di riserve di grandissimo rilievo.

Cosa sta allora accadendo? Sta accadendo che il prezzo dei future sul petrolio è nelle mani delle banche più o meno globali, entità spesso di grandi o grandissime dimensioni ma che si accodano pedissequamente a quello che fanno i loro esperti e superpagati colleghi di Goldman Sachs che decidono quando, spesso al di là delle decisioni dei ministri del petrolio arabi od occidentali, il prezzo deve andare verso l'alto o verso il basso e il bello è che, essendo i primi ad imprimere la direzione, guadagnano in entrambi i casi!

Di fronte a uno scenario di questo tipo, tollerato e ampiamente accettato dai Governi di tutto il mondo, non posso non pensare a quando, alla borsa merci di Chicago, Raul Gardini, soprannominato in patria il pirata, fu crocifisso dall'organismo che vigila su quella borsa per avere comprato tutti i contratti futuri sulla soia e fu costretto a venderli realizzando una grande perdita e subendo un colpo che forse ha influito sulla sua tragica fine.

Nulla di tutto questo accade a Goldman e alle sue sorelle che continuano imperturbate a influire sui prezzi del greggio e delle altre materie prime, per non parlare dei metalli preziosi, influendo così anche sulle condizioni di vita degli ignari abitanti del nostro pianeta.

Da quando, nell'agosto del 2007, si bloccò completamente la liquidità nel mercato interbancario europeo, ho seguito con la dovuta attenzione i numerosissimi vertici internazionali che allora avevano cadenza settimanale, tra incontri formali e informali, incluso il famosissimo intervento a porte chiuse in cui Mario Draghi, allora Governatore della Banca d'Italia e capo dell'organismo ristretto incaricato di riscrivere le regole del gioco in quello che l'allora presidente francese, Nicholas Sarkozy, ebbe a definire un casinò a cielo aperto, ebbe con i massimi esponenti del mondo bancario operante negli Stati Uniti d'America, un incontro del quale ovviamente non trapelò nulla se non la testimonianza di quanti ebbero modo di vedere i volti dei banchieri più potenti del mondo all'uscita dall'albergo in cui si era svolto l'incontro, facce che testimoniavano di quanto era stata dura la reprimenda che Super Mario aveva rivolto loro.

Come dicevo, di vertici ne ho seguiti davvero tanti, cercando di decifrare dai comunicati ufficiali quale era lo stato dell'arte delle decisioni prese o meno per disinnescare la mina vagante dei titoli strutturati della finanza creativa escogitati dagli apprendisti stregoni delle potentissime divisioni di Corporate Investment Banking delle banche più o meno globali, operazione che, come ricordavo in una recente puntata del Diario della crisi finanziaria, è in qualche modo riuscita, anche se dopo un vero e proprio bagno di sangue, negli Stati Uniti d'America, mentre in Europa siamo ancora al carissimo amico.
Come tutti sanno, lunedì scorso si è svolto a Ventotene un incontro al vertice tra il premier italiano, Matteo Renzi, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, Francoise Hollande, un vertice che sancisce l'esistenza di un triumvirato tra i tre paesi più grandi dell'Unione europea dopo la vittoria al referendum della posizione che sanciva l'uscita della Gran Bretagna dalla UE dopo una travagliata e pluridecennale permanenza di quella grande nazione nel consesso europeo, una permanenza segnata da una tale quantità di ricorso alla clausola di opting out da rendere la sua adesione più simile ad un trattato bilaterale che ad un'adesione piena e convinta ai valori che animano l'Europa unita.

Quella della quasi definitiva formalizzazione di queste consultazioni a tre è forse l'unica vera notizia emersa dal vertice, in quanto le dichiarazione dei tre leader europei sono state più o meno una ripetizione di cose già dette in risposta alla richiesta italiana di andare oltre il Piano Juncker sugli investimenti e la riaffermazione della piena sovranità della Commissione dallo stesso presieduta sulla valutazione delle richieste di flessibilità più o meno rilevanti avanzate dagli Stati membri, Italia ovviamente inclusa.
Abituato a leggere tra le righe delle dichiarazioni di politici e banchieri, devo dire che la realtà dell'incontro a porte chiuse e dei contatti che lo hanno precedute appare diversa, in quanto su un punto c'è certamente un accordo ed è rappresentato dalla questione delle banche, sulle quali il relativamente facilmente gestibile problema dei Non Performing Loans delle banche italiane sta servendo come grimaldello per ottenere un via libera della Commissione europea per ottenere la possibilità di gestire il problema dei rischi collegati alla montagna di derivati e titoli più o meno tossici in pancia alle banche tedesche e francesi, ma, si sa, una mano lava l'altra e tutte e due lavano il viso.

Così come la riaffermazione che sulla flessibilità sui conti pubblici italiani sarà la Commissione a decidere non esclude che Francia e Germania non si adopereranno perché le richieste dell'ormai importante partner italiano non vengano, in tutto o in parte esaudite, per non parlare dell'avvicinamento delle posizioni dei tre paesi sul cruciale capitolo della gestione dei flussi migratori.

Dopo aver testato per diverse sedute livelli molto prossimi ai recenti minimi storici legati in buona parte ai timori di un maxi aumento di capitale per soddisfare le richieste della vigilanza bancaria europea presso la BCE che chiede che la banca milanese porti il Tier 1 dal poco più del 10 per cento attuale all'alquanto proibitivo 12,25 per cento, Unicredit è rimbalzata martedì in borsa sulle voci di una prossima vendita del 40 per cento di Banca Pekao che è valutato intorno ai 3,5 miliardi di euro, mentre non è escluso che si arrivi anche all'alienazione totale di Finecobank, la banca prevalentemente online che dovrebbe portare ulteriori risorse, due mosse che, se andranno in porto, potrebbero limitare l'aumento di capitale a 5 miliardi di euro.

Faccio parte della non folta schiera di quanti hanno visto con un certo sospetto la nomina del nuovo Chief Executive Officer francese di Unicredit, un banchiere molto versato nel campo della finanza ma con trascorsi non sempre chiari nel mondo del Corporate & Investment Banking, come quando si trovò nella posizione di capo del trader infedele Kerviel che arrecò danni miliardari alla sua banca francese, ma devo ammettere che, rispetto ai templi biblici del precedente CEO, De Mustier appare un razzo e sono molto curioso di vedere come si articolerà il nuovo piano industriale atteso entro la fine dell'anno.

E' chiaro che Unicredit non uscirà dalla sua crisi solo vendendo i pezzi dell'argenteria, saldi nei quali ricompresi Bank Austria, mentre ancora nulla si sa della sorte di HVB (quarta banca tedesca), ma quello che è certo è che, alla fine di un percorso di dimissioni che non sarà né facile né breve, la banca di piazzetta Gae Aulenti sarà una banca molto, ma molto meno internazionale, anche se questo non sarà necessariamente un male.

Quello che ancora non è ufficialmente sul tavolo è il taglio delle sedi e del personale che però tutti, a partire dalle organizzazioni sindacali di categoria, danno per inevitabile e del quale si aspettano solo i dettagli.

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