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«L'Occidente ha la mania dei distinguo», diceva il pianista canadese Glenn Gould, primo artista nordamericano a esibirsi oltre la cortina di ferro; così, nel quadro della sbandierata antinomia tra democrazie e autocrazie, divenuta, dopo l'implosione dell'Unione sovietica, uno degli slogan della globalizzazione neoliberista trionfante, si sono accumulate contraddizioni che si trovano modo di affiorare, a tratti, nelle maglie del riassetto geopolitico in corso
Calcio(e)mercato
Mentre le polemiche sull'assegnazione al Qatar del ruolo di paese ospitante dell'edizione 2022 dei campionati mondiali di calcio, una volta iniziata la competizione, si sono concentrate per lo più sulla questione dei diritti della comunità LGBTQ, poco o nulla attivisti e governi del blocco occidentale hanno obiettato sulla scelta di Doha come uno dei principali fornitori di gas alternativi alla demonizzata Russia, o sulla sua designazione, da parte del presidente statunitense Joe Biden, come uno dei maggiori alleati di Washington al di fuori dell'Organizzazione del trattato dell' Atlantico Nord (OTAN/NATO). Analogamente, da un lato, i calciatori della nazionale tedesca, in occasione della prima partita del mondiale, si sono fatti fotografare con una mano sulla bocca, esprimendo il loro sdegno per la decisione della Federazione internazionale di calcio dell'Association (FIFA) di impedire agli sportivi in campo di indossare simboli della difesa dei diritti LGBTQ; dall'altro, il 29 novembre, la direzione della Qatar Energy ha annunciato di aver stipulato un accordo con Berlino per l'esportazione di due milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (gnl) ogni anno, a partire dal 2026. Inoltre, il Qatar , uno dei primi paesi al mondo per reddito pro capite e che possiede il più grande giacimento di gas della Terra (il North Field, nel Golfo persico), dai primi anni Duemila ha continuato ad accrescere il proprio potere economico-finanziario in Europa, Germania in primis , senza neanche il bisogno di ricorrere al cosiddetto sportwashing . Ci ha pensato, infatti, il fondo sovrano Qatar Investment Authority , istituito nel 2005 dall'allora emiro Hamad ben Khalifa Al Thani, che, investendo somme di denaro stratosferiche tra Stati uniti ed Europa (si veda, per l'Europa, l'inchiesta Il miraggio dello sceicco , realizzato da Report ). Simili contraddizioni, dunque, hanno dato spunto al presidente della FIFA Gianni Infantino, che nella conferenza di apertura del mondiale a Doha ha aspramente criticato l'ipocrisia e il doppio standard dell'Occidente , ricordando non solo le dure condizioni dei lavoratori stranieri nel vecchio continente (con un riferimento ai suoi ricordi di infanzia, da figlio di migranti italiani in Svizzera), ma anche i disastri causati dalle potenze coloniali «negli ultimi 3500 anni» , per i quali «noi europei dovremmo chiedere perdono per i prossimi 3500 anni, invece di impartire lezioni morali» .
Divisioni Europee
Quanto ai diritti dei lavoratori, benché nelle democrazie neoliberiste euroatlantiche non sia formalmente in vigore un istituto simile alla kafala qatariota, non sono mancati studiosi che, come Marco D'Eramo (si leggano, ad esempio, Il maiale e il grattacielo e il più recente Dominio ), hanno evidenziato il tragico impatto sociale e antropologico del tritacarne iperproduttivista del famigerato mercato del lavoro. D'altronde, se, come ha riportato il quotidiano britannico The Guardian , in Qatar sono morti 6500 lavoratori migranti in dieci anni, tra il 2010 e il 2020, secondo il rapporto annualedell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), nel solo 2021 in Italia le morti accertate sul lavoro sono state 685. Inoltre, prendendo sempre ad esempio l'Italia, numerosi sono state le inchieste diffuse dai media sulle condizioni di sfruttamento dei migranti (come nei casi accertati di caporalato nelle aziende agricole che servono la grande distribuzione organizzata) e sui fenomeni di tratta in cui incappano nel tentativo di sfuggire alle guerre e alla miseria che affliggono i paesi di origine. Per questo, Infantino, nella conferenza stampa sopra citata, ha invitato il vecchio continente , nel caso in cui tenga davvero alle condizioni dei migranti lavoratori, a « creare canali legali con cui possono andare a lavorare in Europa, come ha fatto il Qatar» (sì!). Peraltro, nella gestione dei flussi migratori il doppio standard europeo è stato velatamente messo in luce dal presidente della Commissione delle Nazioni Unite per la Siria Paulo Pinheiro, che, in un'intervista al canale Euronews , ha richiamato l'attenzione sulla disparità di trattamento ricevuto dai rifugiati ucraini e da quelli siriani (cui si potrebbero aggiungere i profughi dall'Afghanistan, dal resto del Medio Oriente e dal continente africano). Differenza che si è riproposta in occasione delle ultime schermaglie franco-italiane esplose in merito all'approdo della nave Ocean Viking , dell'organizzazione non governativa Sos Méditerranée, ma che potrebbero celare dissidi geostrategici più profondi, a partire dalle posizioni di Roma e Parigi sullo scacchiere libico, che coinvolge, oltre alla Russia, anche la Turchia, potenza regionale dalle aspirazioni (o dalle velleità) imperiali crescenti.
I dilemmi della globalizzazione
Nondimeno, anche Infantino sembra sfuggire al doppio standard euroatlantico, visto che, pur difendendo il Qatar come ospite dell'edizione 2022 dei mondiali di calcio, ha escluso la Russia dalle qualificazioni alla medesima competizione, cui ha preso parte, di contro, l'Arabia Saudita, spesso bersaglio di critiche su questioni sensibili, come la sua partecipazione in prima linea al conflitto in Yemen o l'uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. Dunque, due pesi geopolitici, due misure: una logica che espone all'etichetta di dittatore o invasore capi di Stato e di governo non (più) disposti a servire la superpotenza statunitense ei suoi satelliti europei, che sulla nozione di democraziaappaiono sovente più severi con gli altri che con se stessi. Con conseguenze che, talvolta, rasentano il ridicolo, come nel caso dell'accordo di adesione dell'Italia alle nuove vie della seta cinesi ( Belt and Road Initiative – BRI ), fortemente osteggiato dagli Usa, che, opponendosi agli investimenti di Pechino nel porto di Trieste, hanno, di fatto, aperto la strada a un'iniziativa analoga nel porto di Amburgo (si veda, in proposito, la puntata di Presa Direttadel 14 marzo scorso). A proposito delle relazioni tra sino-europee, inoltre, il presidente francese Emmanuel Macron, nella sua ultima visita a Washington, ha esortato gli Usa a non utilizzare l'Europa nella loro rivalità con Pechino. Un atteggiamento pragmatico ed equidistante, che, tuttavia, nessun paese europeo (e neppure i rappresentanti di Bruxelles) ha consigliato in merito alla rivalità tra Washington e Mosca e che ha permesso alla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan di acquisire peso geopolitico presentandosi come mediatore, anche in virtù del controllo esercitato sugli stretti strategici che conducono al Mar nero. In altri termini, l'Europa, appiattendosi sugli interessi statunitensi fino ad escludere dalla propria sfera geostrategica due paesi, Russia e Turchia, che storicamente ne hanno sempre fatto parte, ha mancato un'ulteriore occasione di costituirsi come entità geopolitica autonoma, dopo quella clamorosa dell'inizio degli anni '90 del secolo scorso. Una scelta le cui conseguenze rischiano di andare oltre la distruzione dell'Ucraina o le crisi alimentare ed energetica globale.
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Corinne Clery e Francesco Branchetti |
IL 19 e il 20 Novembre al Teatro "Le Laudi" di Firenze si è tenuto lo spettacolo "Il diario di Adamo ed Eva" tratto dal capolavoro letterario di Mark Twain. Sala piena e gradimento del pubblico presente.
Attori: Corinne Clery e Francesco Branchetti accanto a loro Giorgia Battistoni e Mario Biondino. Le musiche originali a cura di Pino Cangialosi movimenti coreografici e pantomine: Francesco Branchetti e Giuliana Maglia.
Lo spettacolo messo in scena è tratto dai diari di Mark Twain scritti separatamente in un primo tempo dal letterato ma così complementari che furono pubblicati in un unico libro per la prima volta nel 1906.
Lo spettacolo che è una reinterpretazione satirica del celebre mito di Adamo ed Eva si è svolto con grande abilità e preparazione incantando piacevolmente un pubblico interessato fino alla conclusione della rappresentazione. Un Adamo cinico, rude, con la tendenza ad essere solitario e un Eva romantica e loquace resi "vivi" dai bravissimi attori Francesco Branchetti e Corinne Clery che hanno interpretato con grande trasporto, dialoghi e narrazioni, spazi, esclamazioni e punteggiature, toni di voce , espressioni e alterazioni vocali che hanno reso il senso di naturalezza e di espressività riuscendo a trasmettere in modo inequivocabile ogni tipo di sensazione e di percezione di un testo sicuramente molto gradevole. Questo accade solo quando gli attori sono di grande calibro e di indubbia autorevolezza attoriale.
Francesco Branchetti e Corinne Clery hanno riempito la sala con grande competenza a dimostrazione di quanto attraverso un'ottima dizione, capacità d'espressione vocale e la competenza artistica si possa rendere il teatro una "vita in diretta".
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Marzia Carocci con gli attori |
Due grandi attori che attraverso l'esperienza, la professionalità e l'abilità ci hanno trasportato in un Eden che ha regalato sorrisi e approvazione di un pubblico attento e appagato anche dagli interventi dei giovani e bravissimi Giorgia Battistoni e Mario Biondino. Che dire del regista? un insuperabile Branchetti dall'intuito e la previsione a vedere "oltre".
Musiche indovinate, mimi preparati e soprattutto l' eccelsa recitazione di un Branchetti e una Clery inossidabili sono sicuramente una miscellanea di bello e di soddisfazione da gustare.
Come il piccolo così il grande.
Se, come dice la fisica, nulla si crea e nulla si distrugge, si può supporre che le cose esistano da sempre, anche se mutano nel tempo e nello spazio. E su questa logica la materia, come noi la conosciamo, muta e nel suo mutare passa da dimensione in dimensione, a seconda della sua composizione energetica, e le forme/vita si manifestano a seconda dei regni e della specie; ma alla fine del ciclo vitale nulla si dissolve nel nulla perché il Nulla si presume che non esista. Per questo si può pensare che la materia (le cose, i viventi, il cosmo, l'universo) sia infinita ed eterna.
Probabilmente un centro primigenio ha dato vita ad un meccanismo chimico che nel tempo a formato alla materia come noi la conosciamo e alla molteplicità delle cose. ma la domanda è: o l'universo ha generato se stesso all'interno del Nulla (ma il Nulla non può contenere qualcosa) o vi è un principio esterno alla materia di natura diversa che ha generato la materia. Ma un principio esterno/eterno/infinito può generare cose transitorie? Le cose eterne non hanno né principio né fine.
Se l'universo è infinito non può essere all'interno di qualcosa di finito e quindi di transitorio. Se fosse transitorio sarebbe all'interno di qualcosa di transitorio, cioè di materiale che lo contiene, e questo, a sua volta, di qualcos'altro di transitorio; quindi è probabile che l'universo materiale sia all'interno di qualcosa di eterno ed infinito e che le cose esistono da sempre e sempre esisteranno anche se, in forme e dimensioni diverse.
Ogni cosa materiale è energia concentrata. La materia è composta di atomi. L'atomo di particelle sub atomiche (elettroni, protoni, neutrini, quark). Se più atomi fanno una cellula, più cellule formano i tessuti, più tessuti un organo e più organi un apparato e, più apparati un corpo, più corpi formano le galassie, più galassie l'universo: l'indagine non può fermarsi all'universo : più universi che si formano? Il Cosmo? E più cosmi che formano?
Ogni pensiero individuale è parte del pensiero collettivo. Ogni coscienza individuale è parte della coscienza collettiva e questa della Coscienza Cosmica. Se un corpo è dotato di coscienza e intelligenza non possono esserne prive le singole parti che lo compongono.
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La vedova Pommery |
Un luogo straordinario dove oggi, grazie alle esposizioni di arte contemporanea “Expéerience Pommery”, realizzate dagli artisti direttamente e appositamente nei tratti della cave aperta al pubblico, l'arte di fare perlage si incontra con opere atte a nobiliare il complesso di gallerie e cunicoli lungo ben 18 chilometri ad una profondità di trenta metri.
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Etichetta |
Benvenuti da Madame Pommery.
Ogni anno nel mio vinovagare nella terra del perlage abbino alle mie visite sempre differenti, conoscitive dei territori, dei nuovi metodi di allevamento, costruzione dei vins Clair, spumantizzazioni, una visita doverosa alle Grandi Maison che hanno fatto la Storia di questo vino unico ed ineguagliabile . Quest'anno ho scelto la Maison Pommery.
“Qualitè d'abord”, la qualità innanzitutto, fu il motto di Madame Pommery, vedova anch'essa, quando nel 1858, prese le redini della Maison. Creò con grande successo il primo champagne “brut”, secco, dalla leggendaria annata del 1874 sconvolgendo la Londra vittoriana di allora.
Il mercato inglese era quello maggiormente di punta e la nostra vedova riusciva a portare il dosaggio zuccherino a 6/7 grammi litro. Lo champagne si produceva ancora dolce con tenori zuccherini che oggi classificheremmo extradry o addirittura dry.
Altra mossa vincente di Madame Pommery fu l'acquisizione di 120 cave sotterranee di gesso scavate in epoca romana (profonde oltre 60 metri), allora in periferia sud di Reims (oggi in centro città) che furono riempite fino alla profondità di 30 metri e collegate tra loro con cunicoli, passaggi, rese abitabili con diverse prese d'aria.
La visita è iniziata scendendo i 116 gradini che portano il visitatore direttamente alla massima profondità (30 metri con una umidità rilevata del 98%). Da qui è iniziato un percorso guidato che ha portato l'ospite, meglio definirmi turista, alla conoscenza di un mondo operativo “da miniera”, con luci tenue di candele o simili, carrucole con cesti che servivano a
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La bottega storica |
trasportare i grappoli da premere con i Torchi e procedere con le tecniche conosciute allora.
Interessante è la storia della cava di Notre Dame, chiamata così per la presenza di una statua della Vergine, “Notre-Dame des Crayères” , posta a vegliare su questo mondo sotterraneo.
Nella profondità della grotta sono presenti tutte le condizioni per raggiungere al vino la maturità necessaria con un perfetto regolatore termico. Temperatura costante di 10°.
E mentre osservavo le opere d'arte poste di sala in sala, meglio dire di cava in cava, il silenzio veniva interrotto dal rumore dei carrelli elevatori trasportanti le bottiglie pronte per il remuage con i potenti gyropalet.
Interessanti i nomi dati alle singole grotte. Riportano nomi di città a significare i luoghi nel moNdo raggiunti dal marchio Pommery.
Impressionanti i numeri che selezionano da questi cunicoli: 25 milioni di bottiglie giacenti sui lieviti.
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Discesa verso la cave nel gesso |
La Storia recente ci racconta il “travaglio” di questa Maison. Nel 1990 entra a far parte della scuderia LVMH (acronimo Luis Vuitton, Moët, Hannessy a guida Moët). Successivamente, dopo diverse altre vicissitudini, è passata sotto il controllo del gruppo belga Vranken presente sul mercato con numerose etichette come Desmoiselle, Charles Lafitte, Monopole Heidsieck e Barancourt.
Come dimenticare la Botte Foudre di É mile Gallé?
Foudre termine nato come unità di misura (indicava 1.000 litri), nel tempo ha assunto un significato più ampio : botte fatta su misura.
Questa della Maison Pommery contiene ben 75.000 litri, equivalente a 100.000 bottiglie 0,75 .
Costruita nel 1903 per rappresentare la Maison all'Esposizione Universale di Saint-Louis nel Missouri (USA).
Lo scultore É mile Gallé ne realizza la parte frontale con al centro una giovane donna che emerge da un terreno di vigneti ricchi d'uva,
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La grotta a 30 metri sotto |
rappresentante la Francia. La giovane donna tende un calice di champagne alla giovane America che cavalca la vecchia America. Altri elementi decorativi la testa di un indiano, una terza figura femminile (genio del commercio), la nave che ha trasportato il grande foudre, la Cattedrale di Reims ed infine la Statua della Libertà.
Oggi, la mastodontica botte dà il benvenuto al visitatore della Maison Pommery.
Dopo questa full-immersion nella Storia di questa Maison, il calice dello champagne Royale, bevuto sotto lo sguardo intimidatorio della vedova Louise, l'ho definito eccezionale. Influenzato? Direi di sì. Capoau!
Urano Cupisti
Visita effettuata il 3 ottobre 2022
Vranken – Pommery
Avenue de Champagne
Reims
Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita.
(Edoardo De Filippo)
La professione del regista e dell'attore sono quanto di più difficile ci sia in ambito artistico. La difficoltà è riuscire ad entrare in empatia con il pubblico, risultare credibile, essere in equilibrio tra la propria umanità e la dimostrazione dell'umanità da esibire. Un cambiare se stessi restando comunque tali. L'attore non è parodia, non è pura falsità, non è recitare solo una parte ma è portare se stessi dentro un copione, pur facendo vivere personaggi veri o inesistenti. Guai lasciare fuori la propria emozione, guai non farsi assorbire da ciò che in scena deve portare. Il pubblico vede l'oltre, il pubblico comprende e sente quanto trasporto e trasferisce l'attore rivive dentro se per condividerlo con chi "giudica"
Francesco Branchetti, è indubbio che tu sia un attore e regista di successo di film, serie e produzioni teatrali.
Fra i più annoverati dal pubblico sono senz'altro "un medico in famiglia", "una donna per amico" "Elisa di Rivombrosa", "Cronache del terzo millennio" e "Le ombre rosse"...
D-Francesco dirigi spettacoli teatrali di successo e godi meritatamente della grande attenzione del pubblico vuoi parlare dei tuoi lavori teatrali ai quali sei o sei stato più legato?
R- Il cuore è una cosa, la mente è un’altra: il primo vorrebbe che ti elencassi tutta quella serie di lavori a cui sono legato “solamente” per motivi affettivi, la seconda mi mette di fronte tutte quelle volte in cui raggiungere il risultato che mi ero prefissato è stato più arduo, per motivi tecnici o di inconciliabilità artistiche di vario tipo e così via. Devo dire però che per me, come regista, la regola è cercare di fare in modo che questi miei due motori dialoghino sempre fra loro e, per risponderti, quando ci sono riuscito il risultato è stato qualcosa di cui andar fiero, com’è il caso del mio “Antonio e Cleopatra” e de “Il bacio” con Barbara De Rossi.
D- Qual è stato il tuo primo impatto nell'esperienza teatrale?
R- La nostra era un’altra generazione, diversa rispetto alle nuove generazioni, profondamente diversa. Avevamo un altro modo di vivere questo lavoro, che non era per noi solo un lavoro. Fare le differenze è sempre imbarazzante, per chi c’è stato, chi c’è ancora e chi ci sarà. Posso dire di aver avuto dei grandi maestri, da Albertazzi a Ferzetti, Quartucci, Reim e così via e senza i quali non sarei l’uomo di teatro che sono oggi. Lavorare, e da subito, con tali giganti, se non sei corazzato, può avere un impatto persino distruttivo, umanamente ed artisticamente. Io vengo da una piccola provincia e, caso raro, per me l’impatto invece è stato al contempo meraviglioso, facile e rigenerativo e profondamente formativo e nutro profonda gratitudine per questi Maestri. Mi ha profondamente cambiato l'incontro con i grandi maestri con cui ho avuto la fortuna di lavorare: forse posso dire di essermi innamorato di questo lavoro e innamorarsi vuol dire conoscersi profondamente.
L'attività teatrale è certamente la forma artistica più diretta, più vera, emozionale che esista, una condivisione emotiva con chi viene ad assistere allo spettacolo, anche la più difficile visto l'impatto in diretta fra il pubblico e l'attore. Cercare l'empatia e l'attenzione immediata non è cosa da poco; riuscire ad entrare in simbiosi, convincere ed essere improvvisamente incanto, mistero, tensione e persuadere il pubblico è qualcosa di straordinario.
D- Quanto ti è mancato tutto questo nel periodo covid? Quanto ha cambiato, se lo ha fatto, il desiderio di essere di nuovo in scena?
R- Il covid, quella terribile fase collettiva di paura e insicurezza, non mi ha piegato. Sono lo stesso di sempre. Il vero nemico siamo noi stessi, per esempio nel senso del corpo che si ammacca, si ripiega su se stesso. Ma lo spirito vince sul corpo ed il mio viaggio è ancora lungo almeno spero.
D-Molti giovani vorrebbero avvicinarsi al mondo del cinema o del teatro. Quali sono i tuoi consigli riguardo a questo?
R- Siate onesti con voi stessi. Selezionate da chi imparare. Non è vero che “in scena, alla fine, tutto si accomoda”. Detto questo, riconosco nelle nuove generazioni una grande spontaneità ed energia creativa, le quali però vanno spesso scontrandosi con pastoie di altro tipo, assai meno artistiche.
Non sempre è semplice portare spettacoli in scena, spesso burocrazie, regolamenti, scelte ostacolano le organizzazioni degli eventi stessi.
D- Vuoi dire qualcosa riguardo alle difficoltà che hai trovato se ne hai trovate?
R- Le difficoltà fanno parte di questo mestiere come della vita in generale. Sono la normalità ma ti permettono di distinguere due tipi di persone: coloro che sanno risolvere i problemi e coloro che non sanno come fare. L’esperienza, nel mio caso decennale, e la caparbietà sono le doti capaci di misurare ed affrontare una difficoltà. Si può anche finire al tappeto ma ci si deve rialzare e, ripeto, non è una regola che vale solo per questo mestiere..
D-Essendo tu un eclettico che sa gestire più forme artistiche e tutte in modo ottimale, vuoi dirci alcune delle tue più belle soddisfazioni in campo, televisivo, cinematografico, teatrale?
R- In campo teatrale potrei farti miriadi di esempi (sono molto fiero del mio percorso artistico), dai già citati “Antonio e Cleopatra” e “Il bacio” ai miei due “Macbeth” o al “Faust” . Per non parlare de “Il diario di Adamo ed Eva”, testo eccezionale nella sua semplice profondità, attualmente in tournée. Alcune esperienze televisive e cinematografiche le hai ricordate tu ad inizio intervista: anch’esse sorta di banco di prova del mio essere attore e, più in generale, creatore. Ricordo con molto piacere la collaborazione con Maselli ne “Le ombre rosse” e in "Cronache del terzo Millennio "e con Marzocchini in “Empoli 1921”. Quando facevo il giudice cattivo in “Elisa di Rivombrosa” la gente ha cominciato a fermarmi per strada. Sto ancora riflettendo se è stato più utile o gratificante.
D-Hai avuto compagne -colleghe bellissime e bravissime accanto a te; vuoi menzionarcene qualcuna? Con chi, hai avuto più affinità lavorativa?
R- Come si fa a risponderti? Ho avuto moltissime compagne di scena: un elenco sarebbe noioso e soprattutto rischierei di offendere qualcuna che non ci si ritrovasse. Posso dire di amare molto la compagnia femminile in scena: l’attrice è due volte più distante dall’attore rispetto a quanto una donna sia distante da un uomo. E non ce n’è stata una di cui , anche a distanza di tempo, non abbia avuto un ricordo piacevole ricordando gli spettacoli fatti insieme. Citerò per puro piacere ma anche dovere, Nathaly Caldonazzo, Corinne Clèry, Denny Mendez, Barbara De Rossi, Milena Miconi, Isabella Giannone, Gaia de Laurentiis, ognuna diversa, ognuna speciale a modo suo, ognuna con una luce diversa.
D-So che stai portando in scena alcuni lavori teatrali. Vuoi darci notizia di questi?Vuoi dirci dove possiamo trovarti?
R- Attualmente i miei spettacoli in giro che ho diretto e interpreto sono “Il diario di Adamo ed Eva” da Mark Twain e “Le relazioni pericolose” di Pierre Choderlos de Laclos adattato da David Conati, entrambi con Corinne Clèry, “Sunshine” di William Mastrosimone con Nathalie Caldonazzo e tra non molto “Cose di ogni giorno” con Denny Mendez. Guarda caso, di nuovo, tutte donne. Sono spettacoli molto diversi fra loro per azione ed ambientazione, alcuni di loro addirittura attingono al canone del classico della letteratura, ciò che però hanno tutti in comune è il desiderio di raccontare una storia che rimanga nel cuore di chi la ascolta (anzi la vede), che riesca a strappare un sorriso e, magari, un pensiero.
Siamo in tutta Italia: non sarà difficile venirci a trovare.
D-Cosa provi alla fine di ogni tua interpretazione o lavoro di regista?
R- Mi sento vivo.
Carissimo Francesco, quando chiudo una mia intervista, amo fare una domanda "bianca". Si tratta di uno spazio libero all'artista dove può aprirsi e dire qualsiasi cosa voglia fare sapere al proprio pubblico.
Risposta libera; a te la parola
R- Non posso fare a meno di chiedermi dove sarei se avessi dovuto affrontare tutto questo da solo. La risposta la so: io non sono solo. Viva il Teatro!
In una piccola via del centro di Palermo, quasi per sbaglio, la mia compagnia si è imbattuta in questa singolare libreria. Vista la mia passione per la lettura, mi ha voluto portare subito a vederla. Eravamo qui per vacanza, dunque passeggiare in cerca di luoghi particolari era d'obbligo, figuriamoci incappare in questa “Stanza di carta”…
La libreria è deliziosa. Il libraio, Piero Onorato, capisce subito che siamo incuriositi dalla sua attività e molto gentilmente ci invita ad entrare per poi cominciare a raccontarci…
Questo esercizio nasce nel 1922 come libreria scolastica e sopravviverà fino al 1999 per poi chiudere i battenti. Negli anni le serrande chiuse hanno accumulato polvere cambiando di colore, mentre i passanti palermitani dimenticavano sempre più cosa ci fosse stato in quel luogo. Vent'anni dopo, nel 2019, Piero riapre quest'attività scegliendo di vendere libri nuovi, vecchi o rari, spesso mai aperti, forse acquistati o regalati a qualcuno e poi finiti qui, nelle mani di un compratore più attento, accuditi e preservati come oggetti di culto in questo piccolo tempio del sapere. Questo magico luogo si sviluppa verso l'alto, proteso verso chissà quale divinità depositaria della conoscenza. I suoi clienti non sono solo palermitani, ma selezionati da tutta Italia, qualcuno anche dall'estero.
Piero ci racconta che questa è una delle librerie più piccole del mondo, solo diciannove metri quadrati ricavati dal vecchio campanile della vicina chiesa di San Giuseppe dei Teatini, dunque può solo sfruttarne l'altezza, di circa sei metri. Gli scaffali si arrampicano colmi di libri verso il soffitto emanando un buon odore che sa di carta datata. I libri insieme compongono una sorta di mosaico colorato, dove non manca neanche un tassello. Anzi, sembra che dietro ogni libro esposto ve ne sia un altro pronto a sostituire quello sfilato da qualche cliente interessato. Un piccolo divano sotto la scala accoglie il lettore, che seduto si ritrova come incorniciato in quello che sembra essere un teatro. Per uno strano effetto ottico, questa posizione fa sembrare la libreria più grande di come in realtà è. Una scala piccola laterale si arrampica sopra di noi per affacciarsi sulla libreria, permettendoci da lì di vedere anche la “stanza del piacere”. Si tratta di un luogo posto al piano superiore, con una porta che rimane socchiusa, che all'interno ospita libri che trattano di erotismo. Scorgo, infatti, tra gli scaffali una rivista di un vecchio Penthouse con una modella poco vestita che svetta in copertina. Proprio dietro quella parete riposano ancora i frati della chiesa... Riscendendo, si scorgono altre due rampe di scale, che però sono cieche e oggi non conducono da nessuna parte, ma che sicuramente in passato avevano una loro utilità per noi ignota. Queste rampe si confondono con quelle che ci hanno fatto accedere al piano di sopra, portando inevitabilmente alla mente la stessa illusione ottica che provocano le scale fantastiche di Escher,
Il gestore sembra nato per dare vita a questo luogo, i suoi occhi trasmettono la passione per questo lavoro e per questo negozio, luogo che esprime una sua particolare personalità. Con Piero sembra di trovarsi in compagnia di Alice nel paese delle meraviglie. Quei libri pulsano di vita propria; dormienti, sembrano in letargo in attesa della loro futura destinazione. Ho avuto timore di ripassare in quella piccola stradina che è via Giuseppe D'Alessi e di non ritrovare più questo luogo così magico, scomparso in quella stessa magia che emana e che mi ha tanto affascinato...
Sette accademici italiani* hanno recentemente diffuso un documento-manifesto con il quale esprimono giudizi fortemente critici nei confronti delle strategie antipandemiche adottate dai governi Conte e Draghi (accusate di essere dogmaticamente antiscientifiche e di essere risultate fallimentari), salutando invece con favore l’inizio di un nuovo corso avviato dal nuovo governo.
Queste, in sintesi, le loro argomentazioni:
Ciò dovrebbe farci riflettere in merito alla scarsa qualità delle nostre strutture sanitarie e in merito alle modalità adottate nella registrazione dei decessi.
nello scoraggiare le autopsie “(che ci avrebbero permesso di capire in anticipo la fisiopatologia del virus)”;
nell’imporre “regole assurde (paracetamolo e vigile attesa, banchi a rotelle)”.
“Si voleva che il vaccino emergesse come salvifico e insostituibile? Questo è il modus operandi delle tecniche di persuasione basate sulla paura, che hanno ispirato i media con l’obiettivo di sostenere il vaccino finanche a negarne gli effetti collaterali.”
Per cui, se un vaccino non è in grado di mettere al riparo dal contagio, se non previene l’infezione, perché continuare a considerarlo tale?
In base, quindi, alla chiara assenza di fondamento scientifico, sarebbe pertanto “saggio e logico” che l’imposizione liberticida del green pass (che ha avuto, tra l’altro, il tragico effetto di alimentare “risentimento e divisioni all’interno del nostro stesso popolo”), venisse al più presto rimossa.
E’ insensato invitare a “credere” in un qualche vaccino. Per avallare una terapia non è certo necessario abbracciare la via della fede: occorre, bensì, essere “convinti dai dati”.
Fideismo e dogmatismo sono radicalmente antitetici al metodo scientifico.
Inoltre, non andrebbe ignorato o sottovalutato il fatto che la principale azienda impegnata nella produzione vaccinale anticovid “in passato si è resa responsabile di fatti eticamente inaccettabili, spesso penalmente rilevanti.”
Incomprensibile, poi, risulta la “segretezza sui contratti di acquisto dei vaccini e sulle modalità di produzione degli stessi”.
Anche l’ossessivo ricorso ai tamponi (dimostratisi incapaci di fornire dati affidabili) andrebbe prontamente accantonato.
Pertanto, le misure adottate dal nuovo governo vengono salutate come “frutto del buon senso che rifugge dall’ideologia”, volte a sanare “una frattura con quei medici che, spinti dal dubbio critico, si erano sottratti a un obbligo che costituzionalmente resta dubbio se non arbitrario e che ora sono doverosamente riabilitati per quanto ancora attendano il giusto risarcimento.”
*Mariano Bizzarri, Francesco Fedele, Gennaro Sardella, David Conversi (Università La Sapienza, Roma)
Marco Cosentino (Università Insubria)
Vanni Frajese (Università di Roma Foro Italico)
Paolo Bellavite ( Università di Verona-in quiescenza)
Ciro Isidoro (Università del Piemonte Orientale)
Roberto Verna (Università La Sapienza, Presidente WASPaLM)
“Chi se ne frega” è la logica che governa il comportamento della stragrande maggioranza degli umani, di quelli non proprio avvezzi a comportamenti rispettosi delle norme, o al limite ritengono che le regole devono essere gli altri a rispettarle. Di solito l’essere umano si comporta incurante degli effetti che producono le sue azioni e così succede che i potenti fanno la guerra distruggendo uomini e cose perché se ne fregano degli effetti devastanti che producono; se ne fregano se nel mondo un miliardo di persone soffre la fame; se ne fregano se le classi meno abbienti hanno salari da fame, o se manca il lavoro; il ladro se ne frega del danno che procura; lo stupratore se ne frega del dramma che causa alla sua vittima; lo spacciatore se ne frega se induce allo sbandamento e anche al suicidio il tossico dipendente; il mafioso se ne frega; l’assassino se ne frega; l’usuraio se ne frega; lo scafista se ne frega se prosciuga le ultime gocce di sangue ai migranti; se ne frega chi usa mangiare le carne, il pesce, i formaggi, le uova se quelle creature vivono in un inferno per poi essere crudelmente uccise. La stessa logica che muove il vivisettore, il cacciatore, il pescatore è sempre la medesima: “Chi se ne frega”.
Questo modo di pensare, di sentire questa mentalità egoistica, insensibile, indifferente accompagna il genere umano fin da dai primordi ed è la causa di ogni violenza, di ogni ingiustizia, di ogni prevaricazione, di ogni guerra: è la logica di chi considera propri interessi, i propri vantaggi, i propri piaceri prevalenti sulle sofferenze e sulla vita degli altri. Con una mentalità ed una coscienza comune improntata sul “Chi se ne frega” come si può sperare che l’umanità migliori.
Ma se qualcuno ti chiede aiuto e tu te ne freghi probabilmente quando sarai tu ad aver bisogno d’aiuto saranno gli altri e fregarsene. Perché nella vita prima o poi si raccoglie quello che si semina. Non fare ad altri ciò che non vorresti per te stesso, questa è la regola aurea valida sotto ogni cielo che noi universalisti/vegan estendiamo dall’uomo ad ogni essere senziente.
“Chi se ne frega” sono modi di essere e di agire agli antipodi della nostra visione in cui l’empatia, la capacità di condividere le esigenze degli altri, in senso lato, è alla base dei nostri principi, del nostro vivere quotidiano. Se, come diceva B. Pascal “Nulla è più plasmabile dell’animo umano”, quello che manca è la volontà di intervenire sull’indole umana, rimasta eticamente, mentalmente e moralmente allo stato dell’uomo delle caverne. Ma l’evoluzione etica, mentale e spirituale è inevitabile e l’essere umano arriverà a capire che la soluzione di tutti i suoi problemi non sta nei sistemi politici o economici; non sta nell’essere efficienti nell’arginare gli effetti prodotti dagli errori ed orrori umani, ma nella volontà di intervenire sull’uomo attraverso programmi di informazione e formazione del pensiero e della coscienza umana.
Il dolore è ancor più dolore se tace (Giovanni Pascoli)
La fibromialgia è una malattia cronica caratterizzata da dolore diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, della memoria, stanchezza cronica, e conseguente riduzione del tono dell'umore. Può compromettere seriamente lo svolgimento delle comuni attività quotidiane, oltre ad avere un impatto negativo sulla maggior parte degli aspetti legati alla qualità della vita. Vi è un continuo, costante, a tratti intenso malessere fisico, causato da tutta questa serie di disturbi e relative difficoltà giunte a minare la vita del paziente. Tutto ciò, arriva nel tempo a creare un umore deflesso, soprattutto perché fibromialgia e relative difficoltà ribaltate nel quotidiano, sono spesso sottovalutate o incomprese sia a livello medico, che familiare, che lavorativo.
Questa malattia colpisce circa 2 milioni di italiani ed il suo esordio si manifesta generalmente tra i 25 e i 55 anni, con una particolarità: le donne hanno molta più probabilità di sviluppare la fibromialgia rispetto agli uomini.
Non essendone note le cause, a tutt’oggi non esistono cure specifiche per la fibromialgia. Sono tuttavia disponibili diversi farmaci, studiati ed usati per la cura di patologie appartenenti ad altre branche specialistiche, e che per alcune caratteristiche compatibili, sono usati per cercare di controllare ed alleviare i disturbi (sintomi) della fibromialgia.
Di questa patologia vorremmo saperne di più, e vorremmo conoscere anche a che punto siamo arrivati con la medicina.
Chiederemo a Rosaria Mastronardo, di Firenze, facilitatrice del Gruppo Auto Aiuto "Fibromialgia: affrontiamola Insieme", socia di "Cittadinanza Attiva Toscana" e socia del Coordinamento Toscano dei Gruppi di Auto Aiuto, malata lei stessa da anni di questa patologia.
D-Buongiorno Rosaria, prima di porti nello specifico domande inerenti al tuo impegno per rendere sempre più nota ai più questa patologia, vorrei sapere quando ti sei resa conto del tuo personale problema e soprattutto delle difficoltà che hai incontrato per farti riconoscere "fibromialgica"
R-Purtroppo, lo ricordo benissimo, era il 2015.
Iniziai a non sentirmi bene: ero particolarmente stanca e pensavo fosse influenza, oppure fosse solo stanchezza causata dalla mia frenetica routine. Mi facevano male le gambe e facevo fatica a camminare: dolori ovunque. All’inizio, proprio perché convinta si trattasse di un virus influenzale, cominciai ad assumere paracetamolo. Andai avanti per qualche tempo, ma senza risultato, anzi, i dolori aumentarono a tal punto che mi accorsi di non avere più sensibilità dal bacino in giù.
Purtroppo, ricordo molto bene quel periodo, perché fu l’anno della tesi di mio figlio. Strano vero? Arrivò il giorno della laurea, il livello di euforia era alto, ero stanca ma con la felicità alle stelle, perché vedevo finalmente realizzarsi un sogno, quello che è uno dei più bei traguardi nella vita del proprio figlio, soddisfazione infinita per tutta la famiglia. Era il 1° dicembre del 2015: non posso dimenticare quello che è avvenuto dopo, perché ancora oggi soffro terribilmente, non solo per la fibromialgia ma per tutte le altre patologie che in questi anni sono emerse. Subito dopo i festeggiamenti, non avevo nessuna intenzione di rovinare la festa a mio figlio e a tutti gli invitati, convinsi mio marito a portarmi al pronto soccorso. Quel giorno non si può dimenticare, avevo paura, tanta paura. Mi sottoposero a numerosi esami, ma fortunatamente tutti i risultati erano buoni; gli stessi medici che mi visitarono non sapevano dare una collocazione a quei sintomi. Alla fine, il medico di turno mi disse che mi avrebbe fatto visitare da un neurologo. Fece lui stesso le pratiche per affidarmi a questo specialista. Fui fortunata: mi affidarono al primario di neurologia di quella struttura. Intanto la mia paura aumentò, insieme ai miei dolori: quella sensazione di non avere sensibilità, quelle scosse che avvertivo quando mi toccavo le gambe erano sempre lì: sentivo le gambe pesantissime come se fossero di cemento. Passarono 9 mesi tra esami di tutti i tipi, risonanze al cervello, radiografie, ecografie, esami ematici, di tutto e di più. Nel frattempo, cominciai a perdere i capelli a manciate. Stress, confermato anche dal dermatologo a cui mi rivolsi. Furono mesi lunghissimi, durante i quali mi imbottirono di farmaci per alleviare i dolori, i quali si attenuavano ma non più di tanto, quel poco da permettermi di non stare ferma immobile nel letto. Farmaci che mi portarono anche ad un notevole aumento di peso, che non aiutava; mi si continuava a dire che non sapevano cosa darmi e che, soprattutto, non sapevano cosa io avessi. Alla fine, quando tutti gli esami furono finiti e non vi era nulla che giustificasse quella condizione, il neurologo pronunciò la diagnosi: fibromialgia.
Relativamente alla domanda sulle difficoltà che si incontrano per farsi riconoscere "fibromialgica", ti dirò che, ancora oggi, così come nel 2015, come tutti coloro che convivono con questa malattia, ho difficoltà, abbiamo tante difficoltà. Ci sono diversi motivi. Il primo motivo è caratterizzato dal sintomo principale della malattia: il dolore. Il dolore è qualcosa che nessuno vede, nessuno può toccare, il dolore lo sente e lo vive chi lo porta con sé, chi lo subisce in tutta la sua intensità, cupa e sorda; tieni presente che il dolore della fibromialgia è un dolore sì, fluttuante come intensità, ma costantemente presente, perché trattasi di dolore cronico. In alcuni momenti il dolore è talmente intenso, che quando l’ondata di picco passa, ti sembra quasi di stare bene, ma non è vero, è solo passato il picco. Nessuno di noi sa più cosa sia una giornata senza dolore, piccolo o grande che sia. Per capire cosa possa essere il quotidiano da gestire quando il dolore ti sovrasta, prova ad immaginare la tua vita, i tuoi tantissimi impegni di lavoro e famiglia, che già fatichi a coordinare. Fatti davanti che improvvisamente cominci a sentire dolori costanti, che ti tolgono la concentrazione in ogni momento, qualsiasi sia l’attività a cui ti stai dedicando. Esiste una linea di demarcazione fra malattia acuta e malattia cronica. Il nostro corpo riesce a tollerare benissimo una malattia acuta, benché fortemente debilitante, perché come è sorta, poi finisce. Ma quando si entra nel cronico, si inserisce anche un meccanismo psicologico di sempre meno sopportazione, che ti fa piombare nella non accettazione della tua sopravvenuta condizione. Bisogna lavorare molto su sé stessi per poter gestire questa nuova realtà.
La stessa OMS, nel 1992 definì la fibromialgia una malattia cronica ed invalidante ma, ad oggi, pochi la considerano, ancora pochi la conoscono, e alla diagnosi purtroppo si arriva per esclusione, non essendoci un marcatore, un qualsiasi tipo di esame che individui incontrovertibilmente la malattia, nonostante i significativi e numerosi sintomi che la caratterizzano (ad oggi se ne contano più di 200).
Un altro motivo, legatissimo al primo, è la tua “invisibilità”. Il paziente fibromialgico è un malato cronico a tutti gli effetti, ma non ha nessuna tutela, questo perché la malattia in Italia non è riconosciuta, o meglio, lo è solo in alcune Regioni. La situazione in Italia, sulla fibromialgia, per far capire a tutti, è a “macchia di leopardo”. Ciò è dovuto all’autonomia regionale in ambito sanitario, ogni Regione decide da sé. Quindi c’è questo paradosso assurdo, cittadini di una stessa Nazione, ma tutelati dai 20 Sistemi Sanitari diversi, in modalità diverse, a seconda della propria regione di residenza.
Ulteriore motivo di difficoltà nel farmi riconoscere fibromialgica, e che riguarda tutti noi malati fibromialgici, è la difficoltà di far comprendere ai datori di lavoro quali siano le difficoltà nello svolgimento delle nostre mansioni lavorative, ed il motivo è sempre lo stesso: il mancato riconoscimento ufficiale della malattia, con definizione precisa della patologia, relative cure, cut-off e tutele. Anche se ci presentiamo al nostro datore di lavoro con il referto del medico specialista che attesta la nostra malattia, non è che si possa chiedere tanto, quasi sempre il gesto non sortisce alcun effetto. A volte, anzi direi quasi sempre, devi spiegare tu al datore di lavoro che cos’è la fibromialgia, questa sconosciuta, perché la maggior parte dei manager non sa che cosa sia la fibromialgia e cosa comporti.
A noi capita spesso di non riuscire a svolgere la nostra mansione come vorremmo, o di non riuscire a svolgerla affatto, dobbiamo di conseguenza spiegare al nostro datore di lavoro il tipo di sofferenza e difficoltà che la malattia porta giorno dopo giorno, durante tutto l’arco lavorativo, con connotazione di ingravescenza progressiva. A questo punto bisogna solo sperare che l’interlocutore dinnanzi a noi, sia dotato di una buona dose di empatia, e capisca sia meglio chiudere un occhio davanti alle nostre eventuali defaiance, se ad esempio ci vede fermi o seduti per un attimo per recuperare le forze. Se è intelligente, può comprendere che la scelta migliore per lui, per entrambi, sia tentare un nostro cambio mansione. Se si trattasse addirittura di datore di lavoro dal cuore d’oro, potrebbe arrivare addirittura a proporre un part time, o l’attivazione del telelavoro o dello smartworking, quando possibile. Se invece al posto del cuore, il datore di lavoro, ha un sasso, appena notata la discontinuità di rendimento, grafici e statistiche alla mano diventi automaticamente una zavorra, una voce passiva di bilancio, e senza alcun rimorso mette in atto tutto un meccanismo che ti spinge a licenziarti, a trovarti una soluzione più consona, praticamente ti stringe la mano e ti accompagna alla porta.
D-Quali ostacoli burocratici hai incontrato prima di essere riconosciuta fibromialgica?
R- I miei ostacoli sono quelli di tutti i fibromialgici. Noi siamo malati cronici “invisibili”, in assenza totale di diritti e di una vera e propria presa in carico da parte del Sistema Sanitario Regionale, per alcune Regioni per il motivo che ho spiegato sopra, come succede per tutti i malati cronici. Senza dimenticare i problemi legati al lavoro. Io mi reputo fortunata, rispetto alle altre malate come me, perché lavoro in una Pubblica Amministrazione e usufruisco della legge sul telelavoro ma solo perché il mio lavoro è tele-lavorabile però tutte le volte, ogni anno, questo è l’assurdo, devo ripresentare tutti i miei referti sulla fibromialgia per il rinnovo del Telelavoro. Come se una malattia per definizione cronica come la fibromialgia, potesse da un anno all’altro, smettere di esistere, quando invece di fatto non può guarire mai. Dimmi, spiegami questo: che senso ha rifare tutto, ogni anno d’accapo quando hai una malattia cronica? Il termine “cronica” sta a significare che NON PASSA MAI, quella c’è e ti rimane. Ho scritto che mi reputo fortunata perché sono venuta a conoscenza di tante altre “amiche di sventura” che come me soffrono di fibromialgia, e pur lavorando in una Pubblica Amministrazione ed avendo un lavoro tele-lavorabile, non hanno la possibilità di usufruire di questa legge. Siamo all’assurdo, perché addirittura si tratta di aziende pubbliche sanitarie locali, che dovrebbero per prime tutelare il lavoratore, in quanto sono proprio le aziende che si occupano di controllare rischi e sicurezza sui luoghi di lavoro, ed hanno inoltre al loro interno un team di medici legali, e medici competenti che possiedono tutti i mezzi possibili per poter valutare il rischio che può comportare far continuare un malato a svolgere una determinata mansione. Chi controlla il controllore?
D-Quale impegno stai portando avanti? con chi?
R-In questi anni i miei impegni sono stati tantissimi, avevo “solo” la fibromialgia, che “gestivo” alla meglio, ora con un farmaco ora con altri. All’inizio ho collaborato con due associazioni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nostra condizione, poi ho lasciato, anzi sono stata costretta a lasciare le associazioni, e faccio da sola, quello che posso, sempre la stessa cosa, sensibilizzazione a 360° sulla fibromialgia, per il suo riconoscimento, sulla presa in carico del paziente e tanto altro. Durante la malattia sono entrata in contatto con il Coordinamento Toscano dei Gruppi di Auto Aiuto, ho conosciuto la referente scientifica Francesca Gori, sono diventata facilitatrice e attualmente facilito due gruppi, uno in presenza e l’altro on-line. Il primo è attivo da ben 4 anni e vorrei ricordare che per il Coordinamento Toscano è il primo gruppo sulla Fibromialgia sorto a Firenze, l’altro è nato durante il periodo della pandemia. Il Covid ci aveva rinchiuso in casa, non potevamo incontrarci in presenza e così mi è venuta l’idea di vedersi on-line. La cosa ha fatto “colpo” sulle altre fibromialgiche della regione ma anche fuori dalla Toscana ed è rimasto attivo anche dopo la fine del lockdown. Con il Coordinamento e grazie alla loro collaborazione ho potuto realizzare tante cose, eventi, dibattiti discussioni sulla nostra condizione, mi sono stati sempre vicini, mi hanno accolta e sostenuta, posso affermare, senza piaggeria che nel Coordinamento ho trovato quello che le associazioni non ho avuto: ascolto, vicinanza, comprensione e appoggio, supporto, in tutto L’altro mio impegno è con Cittadinanza Attiva e il Tribunale del Diritto del Malato. Ricordo che ho cercato io il Coordinatore, il Dottore Franco Alajmo, persona, umana, preparata e interessato molto alle mie idee, iniziative per la fibromialgia. Insieme abbiamo fatto tante cose, tantissime e altre sono ancora da fare e sono sicura si porteranno a termine, perché con Franco Alajmo credo di avere una cosa in comune, siamo entrambi, determinati e testardi.
Ho collaborato anche con la SISP (Società Italiana per la Promozione della Salute) con loro ho partecipato a diversi meeting organizzati ogni anno in città diverse. Ho preso parte a quello di Potenza e Bari, dove ho portato la mia testimonianza sull’esperienza con i gruppi di auto aiuto. Purtroppo la mia situazione di salute si è aggravata e non posso più partecipare ai loro meeting, però devo tanto, tantissimo alla Dott.ssa Filomena Lo Sasso e al Dottore Sergio Ardis che mi hanno permesso di fare queste belle esperienze. Ad oggi con loro, quando posso, in modalità webinar seguo i loro interessantissimi lavori e sono onorata di averli conosciuti e di avermi dato queste opportunità.
D- Vuoi spiegare a chi soffre di questa malattia subdola come iniziare a chiedere aiuto? che passi deve fare?
R- Solitamente, quando c’è un problema di salute, la prima cosa da fare, è consultare il proprio medico di medicina generale, è giustissimo. I medici di medicina generale occupano una posizione diagnostica chiave, perché guidano la gestione precoce del dolore e hanno un ruolo cardine nella selezione dei pazienti per specifici approcci terapeutici. La terapia farmacologica è selezionata in base al tipo di dolore: determinare se esso sia nocicettivo o neuropatico è il prerequisito per adottare l’approccio corretto. Lo stesso medico di medicina generale può prescrivere esami per capire la natura del problema. Ma ciò, dobbiamo sottolinearlo, succede solo se il medico di medicina generale ha una minima conoscenza della fibromialgia, perché se ne è a digiuno, tu malata ti trovi in una “gabbia”, non sai dove sbattere la testa, sei confusa, disorientata. Cosa posso consigliare a chi, nonostante tutti i suggerimenti del medico di famiglia, continua a dover gestire il proprio dolore sul tutto il corpo, la stanchezza invalidante che non va via… posso dire di rivolgersi al medico indicato per questo tipo di patologia, cioè il reumatologo. Oppure sarebbe ancora meglio recarsi in un centro multidisciplinare per la fibromialgia. L’elenco di questi centri può essere consultato dal sito della SIR (Società Italiana di Reumatologia) anche se devo ammettere, non è sempre aggiornato. In ogni modo questo è il sito: https://www.reumatologia.it/registro-fibromialgia
Se cerchiamo la Toscana, ad oggi sono indicati 3 soli centri. Consiglio i centri in modo particolare, perché si possono trovare in queste strutture, medici che non ignorano la malattia e che sanno come trattare il paziente fibromialgico. Non suggerisco nessuno dei tre, solo perché so per certo che la scelta del medico che ti deve seguire deve avere la tua fiducia, la scelta del medico è molto soggettiva, suggerisco però caldamente i centri multidisciplinari perché presso la SIR, con il patrocinio del Ministero della salute, con cui è stata costruita la partnership scientifica ed istituzionale, è stato istituito un Registro della Fibromialgia, il quale ha l’obiettivo di realizzare uno strumento che consente ricerche nel campo della fibromialgia e favorisce lo sviluppo della medicina di precisione, in questo ambito. Grazie al registro sarà possibile definire l’incidenza della malattia, misurare il grado di severità, migliorare la conoscenza della storia naturale della malattia, definire l’intervallo di tempo tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, monitorare ed aggiornare il percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) e valutare gli esiti e l’impatto socio/economico. Quello sulla fibromialgia rappresenta uno dei primi registri relativo alle malattie da dolore cronico in Europa. Il registro Italiano per la fibromialgia è un progetto strategico, che consente una raccolta osservazionale e prospettica dei dati clinici e clinimetrici dei pazienti fibromialgici sul territorio nazionale.
D- Che tipo di lamentele ti senti di esprimere? Cosa manca affinché questa patologia sia riconosciuta?
R-Manca sicuramente un marcatore, un qualsiasi tipo di esame che permette subito l’identificazione della malattia e il suo riconoscimento ufficiale, ed è quello che nelle varie udienze presso le commissioni al Senato, ci siamo sentiti dire, dietro le numerose richieste di riconoscimento della malattia. da parte di tante associazioni ma, non è semplice anzi sembra una meta irrealizzabile. Io credo, questo è un mio parere personale, ci tengo a precisarlo subito, che ci sono tante altre malattie riconosciute che però non hanno un marcatore, oppure un esame diagnostico che la definisca con precisione. Pensiamo ad esempio alle malattie come il disturbo bipolare di personalità. In alcune malattie tipo questa, non c’è un marcatore, non c’è un esame diagnostico, sono sintomi che il paziente riferisce, eppure nel caso di disturbo bipolare di personalità, il riconoscimento c’è, nei soggetti fibromialgici, che riferiscono di avere “sintomi”, numerosi sintomi, pretendono debba esserci un marcatore, questa cosa io personalmente non l’ho mai capita.
Poi è necessario fare una precisazione, dobbiamo distinguere tra l’approvazione di un disegno di legge per il riconoscimento della fibromialgia e il suo inserimento nei LEA - Livelli Essenziali di Assistenza, che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale.
Infatti, a livello Nazionale, si sta tentando di lavorare su questi due fronti:
l’inserimento della patologia nei LEA e l’approvazione di un disegno di legge.
Però mi preme raccontare un po’ di storia VERA su questo tema.
Per quanto riguarda l’inserimento della fibromialgia nei LEA, le associazioni coinvolte, e non le indico, il motivo si capirà dopo, hanno cominciato con un’istanza presentata al Consiglio Superiore della Sanità, che ha seguito il suo iter fino a fermarsi all’Istituto Superiore di Sanità. Questo perché, in parallelo, si stanno discutendo a livello politico ben 5 disegni di legge. Il primo, a firma della Senatrice Paola Boldrini, è stato accorpato in Commissione sanità con altri quattro disegni di legge, a favore del riconoscimento della fibromialgia. La Commissione sanità ha convocato le Associazioni e gli specialisti: il documento è stato finalizzato per passare in aula al Senato. Purtroppo l’iter si è poi fermato a Giugno 2020, a seguito dei cambiamenti politici. Il percorso dei LEA e dei disegni di legge ha indotto il Ministero a procedere, incaricando la Società italiana di reumatologia (SIR) di presentare uno studio prospettico sulla definizione dei Cut-Off e della cronicità sulla fibromialgia, anche in virtù del famoso registro di cui abbiamo accennato sopra. La SIR ha trasmesso i suoi risultati e il Ministero della Sanità ha poi ufficializzato l’intenzione di convocare in audizione il responsabile della Società Scientifica per approfondimenti. Quindi, lentamente, ma si sta andando avanti. Ma come malata mi sto chiedendo questo: perché mai si è voluto dare tutto in mano alla SIR, premetto che a me sta benissimo, senza interpellare le associazioni?
Questa è la famosa domanda da un milione di dollari che tutti i malati che hanno seguito le vicende tortuose, difficili delle varie associazioni in questo lungo lasso di tempo si devono fare. Io me la sono posta, la domanda. Le associazioni dei malati sono le istituzioni che dovrebbero ben rappresentare le varie e numerose esigenze dei malati. Perché allora sono state scavalcate? È semplice: perché a livello Nazionale le Associazioni sono varie e numerose, molte delle quali sono piccole realtà non presenti su tutto il territorio nazionale. Spesso non si accordano fra loro, e per questo motivo non sono ancora riuscite a mettere in disparte certi protagonismi ed a presentarsi con voce univoca dinnanzi alle istituzioni. Spesso si sono presentate alla spicciolata, ognuna con personali idee su come risolvere il problema del riconoscimento, atteggiamento che ha fatto spazientire chi all’interno delle istituzioni, aveva la responsabilità di decidere in merito previa consultazione degli addetti ai lavori (le associazioni stesse). Questa è la cosa più ignobile, secondo me, che possa capitare a noi malati, non esistono malati di serie A e malati di serie B, siamo tutti malati italiani, e tutti dobbiamo avere gli stessi diritti. E allora mi chiedo ancora una volta: le associazioni rappresentano davvero gli interessi dei malati? Se avessero a cuore realmente il nostro benessere, la risposta sarebbe sì. Siccome in linea generale si può affermare il contrario, forse dobbiamo rimettere in discussione parecchie cose.
D- Ci sono novità scientifiche a livello farmaceutico? ci sono terapie funzionali al momento?
R- Purtroppo la risposta è no. Tutto ciò che abbiamo attualmente a disposizione sono farmaci che non curano la malattia, ma tamponano solamente i sintomi, se si ha fortuna. Non esiste purtroppo una cura, si prova prima un farmaco e poi l’altro, ma non ti curano, hanno solo la funzione di alleviare il dolore, alleviare non curare, perché curare è tutt’altro.
Cara Rosaria, ogni volta che intervisto qualcuno, lascio all’intervistato uno spazio "bianco", ossia la possibilità di scrivere un proprio pensiero libero, una richiesta, un annuncio.
A te lo spazio:
R
Marzia, prima di tutto, grazie. Pubblicamente, ti ringrazio di avermi dato questa opportunità, ci fossero in giro persone come te, il mondo sarebbe migliore, non è piaggeria la mia, è quello che penso. Chi mi conosce sa benissimo come sono fatta, io sono sincera, schietta, dico quello che penso senza giri di parole. A volte, sono consapevole che questo mio modo di fare, di pormi, può dar fastidio a qualcuno ma, è più forte di me, devo dire SEMPRE la verità ed essere SEMPRE sincera.
Premesso questo, le mie richieste e il mio annuncio.
Richieste
1) Ascolto.
Per esperienza personale, in quanto affetta da diverse malattie croniche e autoimmuni e per la mia esperienza di facilitatrice di un gruppo di Auto Aiuto sulla Fibromailgia posso affermare che le difficoltà che incontriamo noi pazienti affetti da questa patologia, sia prima che dopo la diagnosi, sono enormi, spesso troppo onerosi da poterle sopportare.
Ci rivolgiamo a diversi medici di diverse specializzazioni , spesso senza aver ricevuto una diagnosi precisa ma soprattutto senza una terapia mirata.
E' un girovagare tra specialisti che porta inevitabilmente in noi la frustrazione di non essere compresi, oppure, nel peggiore dei casi, di non essere assolutamente creduti.
Come già detto, la diagnosi di fibromialgia è al momento esclusivamente clinica e si basa sull'applicazione di criteri diagnostici del 2016 che valutano la presenza di dolore diffuso, stanchezza, disturbi di memoria e concentrazione, sonno non ristoratore, dolori al basso addome, depressione e mal di testa secondo una precisa combinazione e gradazione.
Purtroppo, si arriva alla diagnosi solo per esclusione.
Personalmente credo che il rapporto fiduciario tra medico e paziente sia importantissimo, esso consente di affrontare ogni tentativo terapeutico con una migliore consapevolezza e aspettativa di miglioramenti dei sintomi.
Nella nostra società, le malattie croniche gravi ed invalidanti continuano ad essere invisibili. Ci riferiamo a malattie come la Fibromialgia, il Lupus, Emicranie, Reumatismi, Sensibilità Chimica Multipla (MCS) e di Elettrosensibilità (EHS) e tantissime altre. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie croniche socialmente invisibili rappresentano quasi l'80% dei disturbi attuali. Queste malattie sono da molti considerate frutto di un dolore immaginario con cui le persone giustificano le assenze sul lavoro.
NON È VERO, NON SONO IMMAGINARIE, ESISTONO.
Manca l'ascolto, mancano le cure, manca un riconoscimento in alcuni casi. La malattia cronica è "invisibile" non è immaginaria. Bisogna cambiare mentalità: non c’è bisogno di una ferita evidente perché il dolore e il disagio, siano autentici. Per iniziare il cambiamento dobbiamo saper ascoltare e non giudicare.
È essenziale comunicare con il paziente in modo che esso possa prendere coscienza della propria condizione attraverso informazioni precise.
Oggi la "medicina” non deve essere più centrata sulla malattia. La malattia è l’oggetto cruciale dell’agire del medico.
Al medico sono affidati due grandi compiti: raggiungere una diagnosi corretta e intervenire attraverso strategie terapeutiche adeguate.
L’approccio del medico alla malattia dev’essere gradualmente modificato, bisogna lasciare molto più spazio al “Paziente” nella sua globalità ed alla “Relazione” come strumento fondamentale, imprescindibile e basilare nel processo di diagnosi e cura.
Non più la malattia al centro dell’interesse del medico, ma il paziente, quel paziente, con la sua storia e all’interno di quel contesto specifico e con il quale viene instaurata una relazione.
La comunicazione, verbale e non verbale, come strumento di relazione, deve diventare con il tempo il centro di interesse nei vari corsi di formazione rivolti, nello specifico, al personale sanitario (medico e paramedico) ed estesi, spesso, anche al personale front-office inserito in contesti di cura.
La comunicazione e l’Ascolto DEVONO diventare parte della terapia, il tempo della comunicazione e dell’ascolto sono fondamentali per la crescita della relazione di cura.
Sono i momenti nei quali la relazione tra medico e paziente trova la sua massima espressione. Senza comunicazione senza l’ascolto non c’è alleanza, non c’è rapporto di fiducia.
Se manca l'ascolto, se manca la comunicazione, ogni ambulatorio, ogni casa di cura, ogni struttura sanitaria diventa una catena di montaggio, il paziente un bullone, il medico un mero esecutore.
Deve a mio avviso, cambiare il sistema di interagire con soggetti portatori di queste malattie, se ciò non avviene, se ciò non si realizza al più presto è una “sconfitta” per lo Stato, per le Istituzioni.
2) Richieste
Più centri multidisciplinari: per ora sono stati ideati solo sulla carta, mentre la realtà è assai diversa
Il mondo della cronicità è un’area in progressiva crescita, si è visto soprattutto anche dopo la pandemia. Questo comporta un notevole impegno di risorse, richiedendo continuità assistenziale per periodi di lunga durata e una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali, necessitando nel contempo anche di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro territorio, nel nostro Paese.
Il Piano Nazionale della Cronicità (PNC) nasce dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo, proponendo un documento, condiviso con le Regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona ed orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza.
Il fine è quello di contribuire al miglioramento della tutela per le persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla sua famiglia e sul contesto sociale, migliorando la qualità di vita, rendendo più efficaci ed efficienti i servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai cittadini.
Questi sono tutti buoni propositi, ma solo sulla carta. A Firenze, il Governo Clinico, nel 2009 redigeva per la Fibromialgia un PDTA che divenne immediatamente operativo dal giorno in cui venne pubblicato sul BURT, con Delibera 1311 del 28 ottobre 2019 dove al punto 2 si legge (riporto quanto trascritto):
“di impegnare le Aziende Sanitarie ad organizzare, tenuto conto delle diverse aree vaste, le modalità con le quali realizzare il percorso assistenziale per la presa in carico delle persone con sindrome fibromialgica, con particolare attenzione alle differenze di genere”
Ecco, sono passati diversi anni ma, noi fibromialgiche non abbiamo ancora visto nulla e se tu chiedi agli interessati, ti rispondono sempre allo stesso modo: ci stiamo lavorando.
Ora io mi chiedo e chiedo a voi tutti è mai possibile tutto questo? A cosa servono le Delibere, gli Atti, i Regolamenti se poi non vengono attuati?
Sembra proprio una presa in giro e noi fibromialgiche , siamo stanche di attendere e di essere prese in giro.
Siamo stanche di mozioni, non sai quante ne sono state presentate, anzi lo so, eccole:
In Regione Toscana nel luglio e nell’ottobre del 2014, nel dicembre 2015 e nel maggio 2016 ha prodotto ormai ben quattro mozioni (la 844/14, la 911/14, la 138/15 e la 361/16), di grande sensibilità che avevano ricevuto un consenso unanime dell’aula; e nello specifico dette mozioni impegnavano la Giunta Regionale a:
Considerato che il Consiglio Regionale con parere N° 65/2015 ha approvato il documento recante “Aggiornamento e PDTA sulla Sindrome Fibromialgica” con il quale sono definite le modalità diagnostiche e il percorso terapeutico per la presa in carico del paziente affetto da fibromialgia, tenuto conto che la sindrome fibromialgica è una malattia non omogenea sia per i sintomi sia per la risposta al trattamento e che non esiste, al momento attuale, una terapia ideale;
Considerata la presenza di una ulteriore interrogazione del consigliere Regionale Andrea Quartini in merito “alla presa in carico dei malati di fibromialgia da parte dei Centri di Terapia del Dolore e dei centri di Reumatologia appartenenti o convenzionati con il SSN N IS 1247, del 13 luglio 2017
Atto N° 235 del 12/02/2019 In merito alla recente definizione del percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) sulla fibromialgia da parte dell’Organismo toscano per il governo clinico (OTGC) ed alla sua implementazione.
Atto N° 1019 del 07/11/2017 In merito al riconoscimento di un codice identificativo di patologia per la fibromialgia, un pacchetto di prestazioni regionali, il riconoscimento quale patologia cronica della stessa e la relativa esenzione dal costo del ticket, ai sensi del DM 329/1999
Atto N° 286 del 13/4/2021 In merito alla Giornata mondiale della fibromialgia (12 maggio 2021).
Atto 797 del 09/03/2022 In merito all’inserimento della fibromialgia nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Mozione n. 559 – Per il riconoscimento del Centro di Coordinamento Regionale per la Fibromialgia presso la SODc (Struttura Organizzativa Dipartimentale complessa) di Reumatologia di Ponte Nuovo (AOU Careggi) .
Ecco il mio primo ACCORATO APPELLO:
Non fate più mozioni ne abbiamo già tante, VOGLIAMO I FATTI IN REGIONE TOSCANA.
2) secondo ACCORATO APPELLO.
L’associazionismo e le sue controversie
Secondo il mio punto di vista, fare volontariato in associazioni di malati dovrebbe essere un'attività libera e gratuita da svolgersi per ragioni di solidarietà e di giustizia sociale.
Il volontariato nasce dalla spontanea volontà di persone di fronte a problemi non risolti o non affrontati dallo Stato.
A mio avviso, una delle caratteristiche del volontariato è l'anteporre il benessere collettivo al massimo profitto individuale senza lasciare nessuno sotto il livello di sussistenza. Il volontariato è sempre una testimonianza di solidarietà umana; è l'espressione della volontà di una o più persone di rendersi disponibili per aiutare chi è in difficoltà.
La sua dimensione sociale consiste nel rappresentare e promuovere il bene comune di quella parte di persone che sono deboli, sfruttate ed abbandonate.
Il ruolo delle associazioni dei pazienti è fondamentale nel nostro Paese, nell'incoraggiare politiche mirate, ricerche ed interventi di assistenza sanitaria.
In alcuni casi, è merito proprio delle attività di queste associazioni, che hanno permesso alla nostra società di acquisire consapevolezza della specificità sia di malattie rare che di quelle croniche, e dei problemi che esse comportano.
Sempre in alcuni casi, il lavoro delle associazioni ha anche contribuito a modificare i rapporti tra le Istituzioni siano esse centrali, regionali o locali, e la comunità dei malati, rimuovendo molte delle barriere esistenti.
È un diritto del paziente orientare le scelte sulla propria malattia o sulla propria condizione, sulle modalità di trattarla e sul percorso da seguire, poichè tutto questo incide positivamente sul successo della terapia. Inoltre, è dimostrato anche che il rafforzamento dei gruppi di sostegno porta ad una maggiore appropriatezza nell'uso dei servizi e il miglioramento dell'efficienza di chi presta le cure.
Il punto di forza delle malattie croniche insieme a quelle rare è la consapevolezza e l’autodeterminazione del paziente, il quale, oltre a condividere i bisogni collegati alle difficoltà del trattamento della malattia, chiede a gran voce sforzi coordinati tra le varie associazioni per migliorare la conoscenza e l’assistenza.
Inoltre, all'esigenza di condividere difficoltà e problemi, e alla volontà di vedere riconosciuti i propri diritti e di ricevere tutela, si aggiunge il valore peculiare del lavoro svolto dalle associazioni che, partendo dalla condivisione di esperienze, possono costruire un bagaglio di conoscenza diverso da quello del medico, ma non di meno utile nell'affrontare correttamente la malattia.
È perciò necessario che gli operatori sanitari e i professionisti medici si facciano promotori di un rapporto costruttivo e collaborativo con i pazienti, incoraggiando la loro informazione e sostenendo atteggiamenti solidali e comunitari. Per contro, la partecipazione ai processi decisionali da parte delle organizzazioni dei pazienti richiede forte senso civico e capacità di agire nell'interesse della collettività, e a questo non giova la frammentazione delle loro rappresentanze.
Le associazioni che si occupano di noi malati dovrebbero nascere per l’esigenza di fare da tramite parlante delle informazioni più concrete sull’arrivo e il decorso della malattia; dovrebbero essere i soggetti principali del supporto e del sostegno dei malati nella loro esperienza di cura; dovrebbero essere i veri portatori dei bisogni e delle attese dei malati nei confronti delle strutture sanitarie e dei relativi decisori politici.
Per la mia esperienza, ma anche alla luce di quello che è accaduto nel 2020, già descritto sopra, in particolare alla domanda D e nella mia relativa risposta, non è possibile avere “nei cassetti” 5 disegni di legge a favore di un riconoscimento di una malattia, qualunque essa sia. I malati hanno bisogno di risposte concrete e subito, non dimentichiamoci che l’OMS definì la Fibromialgia “malattia cronica ed invalidante” nell’ormai lontano 1992, quanti anni ancora bisogna attendere?
Altra cosa di non poco conto: le associazioni che dovrebbero essere le entità che meglio rappresentano i pazienti, in questo caso hanno fallito, perché si sono presentate al cospetto delle istituzioni, disunite e quasi sempre in contrasto. Ecco che mi sorge spontanea una domanda: se le associazioni in questione sono nate per rappresentare tutti i malati affetti da una stessa malattia, perché si presentano ad un appuntamento così importante, disunite?
Cosa posso dedurre io malata? Qui non si tratta di fare il tifo per una squadra di calcio, qui non siamo in una competizione canora o sportiva, qui si decide il futuro di un malato! Si decide da chi deve essere preso in carica, quali sono i percorsi da attuare per il suo benessere fisico e psichico, quali farmaci prescrivere e altro ancora.
Questo a me fa rabbia, molta rabbia, perché la nostra Carta Costituzione, all’articolo 32 recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Il diritto alla salute coincide col diritto al rispetto dell’integrità fisica dell’individuo; ma esso comporta anche il diritto all’assistenza sanitaria: infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ha esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la popolazione. TUTTA LA POPOLAZIONE.
Ricordo inoltre che, la protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Noi fibromialgici non ci sentiamo tutelati, come non lo sono tutti coloro che sono nelle nostre stesse condizioni, cioè invisibili davanti allo Stato; siamo tutti “orfani” di un SSN che ci ignora fin da quando si è potuto, nei secoli, dare un nome alla nostra malattia.
Grazie
PS: Voglio dedicare questa intervista a tutte le persone che hanno condiviso con me l'esperienza dei Gruppi di Auto Aiuto, quelle che non saltano un appuntamento, quelle che si avvicinano, si allontanano e poi ritornano, quelle che entrano e poi escono senza ritornarci, a tutti coloro che dal gruppo hanno preso qualcosa e l'hanno fatto proprio.
Rosaria Mastronardo
E dopo questa esaustiva risposta alle domande da parte di Rosaria Mastronardo speriamo di avere fatto più chiarezza su questa sindrome "fantasma" che purtroppo dilaga a dismisura.
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Locandina dell'evento |
Da sempre sono uno strenuo difensore del Vino come Arte. O meglio fare Vino è un Arte. E quando mi coinvolgono in serate, incontri dove l’Arte pittorica, scultorea, musicale viene avvicinata, accostata, equiparata al vino, mi esalto ricordando che…”Il vino è una vera e propria opera d’arte da ammirare e degustare in tutte le sue forme”.
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Opera di Elia Inderle |
È stato fonte d’ispirazione per molti artisti. Da sempre collegato alla figura dell’uomo come frutto del suo lavoro. Basti pensare al giovane Mozart che non riusciva a comporre se non aveva un calice di “marzemino” a portata di mano o il poeta Charles Baudelaire, poeta maledetto, che costruiva la sua poesia sull’alternanza di contrasti, passioni, sprofondando nell’abisso del dolore e del tormento e riusciva a superarli affidandosi al Vino al quale dedicò un Ode, L’anima del vino, dove descrisse il rapporto con una materia viva che riusciva ad innalzarlo, provvisoriamente, verso la vita.
Il vino ha accompagnato e accompagna l’uomo in tutta la sua sfera sensoriale, (udito, vista, olfatto, tatto e gusto) e questo ha fatto in modo che l’arte lo descrivesse nelle diverse situazioni.
Pietrasanta, via del Marzocco. Evento promosso da ARTEARTI che si è posto lo scopo di mettere in relazione “tre mondi” che, seduti a tavola, hanno dialogato parlando di finanza, arte e cibo.
Nedo Mallegni, consulente di San Paolo Investimenti, presentando dati economici sul vino e arte si è soffermato sulle prospettive e opportunità per le aziende;
Nicola Rosi, presidente di Slow Food-Versilia, ha ricordato l’azione dell’associazione che promuove la conoscenza del territorio, delle materie prime, dei prodotti e produttori presentando in particolare l’azienda biologica Le Vigne del Grillo;
Veronica Ferretti, storica dell’arte ed animatrice della serata. Partendo dalla Storia del Vino, le arti figurative dei Greci e Romani, le opere sacre del medioevo, l’esplosione rinascimentale in tutte le sue forme ha lasciato al sottoscritto il compito di “abbinare” opere pittoriche e scultoree presenti ai vini dell’Azienda Vigne del Grillo di Camaiore.
Artista: MASSIMO GARRONE
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Opera di Massimo Garrone |
Minimalista, ha lavorato nel cinema di animazione e per il regista Dario Argento.
Queste le opere presentate e gli abbinamenti :
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Agrigento di Gianfranco Meggiato |
Artista: ELIA INDERLE
Informale pittore e scrittore presente quest’anno alla 59° Biennale di Venezia.
Queste le opere presentate e gli abbinamenti :
Artista GIANFRANCO MEGGIATO
Scultore astratto famoso per le sue installazioni monumentali, opere che gli sono valse il prestigioso PREMIO ICOSMOS/UNESCO per l’Arte.
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Vini della Fattoria "Le Vigne del Grillo" |
Le sue maggiori opere raccolte in un libro esposto per ammirarne la magnificenza. Sulla base di bellissime foto ho potuto procedere con gli abbinamenti:
Il vino è riuscito ad abbinarsi con le opere presenti. Vino come motore del Mondo, in questo caso nettare per intenditori d’arte che sono riusciti a capirne il valore.
La conclusione della serata lasciata a Veronica Ferretti. “Esperienze che lasciano un ricordo nella memoria di tutti i presenti. Memoria come capacità di regalare emozioni e creare nuove relazioni tra settori diversi. Dimostrazione che possono lavorare insieme sinergicamente creando interazione con altre persone e nuovi legami”.
Connubio tra Arte e Vino. Chapeau!!!
Urano Cupisti
Seminario
PROCESSO ALL'ITALIA
Dal sistema dei partiti alla crisi della democrazia
Lunedì 17 ottobre 2022 Orario: 15:00 - 19:00 Sala Italia dell'UnAR
- via Ulisse Aldovrandi 16 - Roma 15:00
- Apertura lavori
Dott. Virgilio Violo - Presidente di Free Lance International Press
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Dott. Tiberio Graziani - Presidente di Vision & Global Trends, Direttore di Geopolitica
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Relazioni
Dott. Paolo Cornetti - La Fionda
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Dott.ssa Maria Alessandra Varone - Vision & Global trends
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Prof. Giuseppe Romeo - Università del Piemonte Orientale
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Nel corso del seminario sono state discusse le tesi di “Una Nazione incompiuta. L'Italia dal sistema dei partiti alla crisi della democrazia. del Prof. Giuseppe Romeo –
- Ronzani Editore - 2022
Giuseppe Romeo
Una nazione incompiuta - L'Italia: dal sistema dei partiti alla crisi della democrazia.
Anno 2022.
L'essere umano si è completamente affidato alla tecnologia diventando il pilota a capo di un tempo sempre più freddo e calcolatore dove la genialità non è più il risultato di un ragionamento celebrale ma l' affidamento totale a ciò che il cervello umano ha inventato. Ci siamo trasformati senza neppure accorgersene.
Si è imparato a fare la spesa on line, si viaggia in macchine sempre più autonome dove l'essere umano si limita ai soli input; il cellulare è l'unico dialogo possibile: gente in autobus, nei treni, con le cuffie per la strada, nei posti di lavoro, a tavola durante i pasti sempre con in mano il telefonino di ultima generazione dove all'interno ci sono le anime (virtuali) del possessore: fotografie, messaggi, agenda, sveglia, mappe, indirizzari, applicazioni varie. Si può fare tutto con un clic. E' così che gli auguri si fanno per messaggio, si acquista attraverso specifiche applicazioni, con i figli si comunica attraverso messaggerie varie: wathsap, telegram, sms. Coppie che si lasciano attraverso post glaciali nei vari social. salviamo indirizzi email, password, codici. Non parliamo poi del lavoro in remoto dove il collega spesso è visibile solo in video chat. Comodissimo in periodo pandemico ma diventato soluzione in tanti campi lavorativi dove il computer è il mezzo. Non vi è così lo stacco casa e ambiente lavorativo che alimenta uno stato di staticità e sedentarietà poco salutari. Perfino lo psicologo, il dietologo, e tanti altri professionisti si possono contattare attraverso una chiamata diretta dal proprio pc.
Potrei continuare ore ed ore a dimostrazione della nostra involuzione di emotività umana. L'intelligenza ci ha reso schiavi di noi stessi; il calore umano è diventato qualcosa di inesistente. Sono finiti i tempi nei quali gli amici s'incontravano nelle piazze o ai muretti dove chiacchierare e condividere i loro vissuti. Troppe sale giochi con macchine ruba-soldi, troppe case con videogiochi dove la gente si paralizza di fronte a un nulla. IL virtuale non ruba solo il tempo ma la fantasia, la libertà, la creatività. Il virtuale ti entra dentro e ti indottrina se lasci che prenda il comando sul vivere reale. Siamo soffocati da innovazioni continue, siamo alla mercé di qualcosa ormai fuori controllo. Adesso se non sai usare la tecnologia, se non riesci ad adeguarti, se resti indietro con tutti gli aggiornamenti che i vari marchingegni necessitano, sei fuori dal mondo. Sempre più soli, sempre più impegnati ad imparare, a seguire il tutto per non stare fuori da un contesto che non aspetta e che non comprende. La burocrazia, fa il resto. Cud, ISEE, 740, modelli vari che cambiano di continuo, anziani che si rivolgono a figli, nipoti o centri specializzati che molto spesso complicano ancora di più. L'umanità è il vero "grande fratello": siamo sotto gli occhi di chi ci scruta, ogni nostro clic sulla tastiera, sul cellulare, sugli A.T.M, ogni volta che compiliamo un qualsiasi codice, che andiamo al supermercato, che paghiamo online, che passiamo di fronte a un negozio, una banca, una qualsiasi strada, siamo visti, osservati, controllati. La cosa divertente è che per tante azioni ci danno moduli per firmare la privacy. Ma quale privacy? Ci sono grandi interessi dietro questo stato tecnologico che ci ha portato a cambiare per essere continuamente tracciati.
C'è stato un tempo nel quale l'essere umano viveva nella semplicità della vita stessa. Eppure lavorava, faceva la spesa, i ragazzi andavano a scuola, a ballare, in palestra, al bar, al cinema, teatro, concerti. Esisteva comunque il medico, il giornalista, il parrucchiere, il segretario, il professore, l'operaio, il farmacista ecc...Quando le mamme portavano i figli ai giardini, si giocava a pallone, ai quattro cantoni, a nascondino, a un due tre...stella e i bambini avevano gote rosse e sudavano dal divertimento; non erano a sedere sulle panchine a guardare i cellulari. Sono veramente più felici di come eravamo noi? Conoscono le favole? qualcuno gliele legge? o le seguono su Youtube? E' vero: adesso siamo più istruiti, più tecnologici ma quanto abbiamo perduto? quanto meno calore sentiamo? E' veramente servito tutto questo? Lo abbiamo scelto noi questo modo di vivere o ci hanno portato ad essere così e quindi per forza di cose accettarlo?
Tutto questo è indubbiamente un'evoluzione scientifica, meccanica, tecnologica ma si può affermare anche che siamo arrivati a un'involuzione umana. Il potere da sempre ci fa credere liberi ma sa bene come manovrarci. Noi siamo quelli che il burattinaio ha voluto che fossimo. Loro decidono, noi ubbidiamo. Chi ci difenderà? un robot? Chissà!
Spesso si è sentito o letto, soprattutto negli ultimi mesi, che l’esplosione del conflitto tra Russia e Stati uniti in Ucraina ha frantumato le reti di interdipendenza economica tessute a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, con la globalizzazione a guida statunitense. Eppure, a lanciare il gioco delle esclusioni eccellenti è stato il blocco euro-atlantico; anzitutto, dopo il crollo dell’Unione sovietica, quindi con i partenariati economici degli anni 2010
«Guerra senza spari»
Il cambio di rotta nei commenti ufficiali di Kiev riguardo l’esplosione dell’8 ottobre sul ponte di Kerč, corretto pubblicamente dall’intelligence statunitense, che ne ha attribuito la responsabilità agli omologhi apparati ucraini, è emblematico del peso e delle insidie della narrazione. Un discorso valido per tutte le guerre, ma in modo particolare per l’attuale conflitto in Ucraina, attorno al quale la polarizzazione delle posizioni e delle propagande finora appare quasi totalizzante, coinvolgendo anche settori come la cultura e lo sport. Si pensi, ad esempio, al corso sullo scrittore russo Fëdor Dostojevskij, annullato agli inizi di marzo dall’università Bicocca di Milano (poi ripristinato per le polemiche suscitate da una simile decisione), o alla pressione subita da direttori d’orchestra come Valeri Gergiev, congedato dall’Orchestra filarmonica di Monaco per non aver condannato esplicitamente la guerra. Una polarizzazione analoga è sottesa al dossier «Disinformazione sul conflitto russo-ucraino», curato dalla Federazione italiana diritti umani e da Open Dialogue e presentato alla Camera dei deputati il 28 giugno su iniziativa di qualche deputato del Partito democratico e di +Europa: una lista di intellettuali e giornalisti giudicati simpatizzanti del presidente russo Vladimir Putin, tra i quali figuravano personalità quali Corrado Augias, Alessandro Barbero, Alessandro Orsini, Marc Innaro, Franco Cardini e Sigfrido Ranucci. Anche nello sport, del resto, si assiste a quella che si potrebbe definire con George Orwell una «guerra senza spari», combattuta a colpi di esclusione dalle competizioni internazionali non solo delle nazionali russe e bielorusse, ma anche di singoli atleti colpevoli di essere cittadini di questi due paesi, in barba al mito della neutralità dello sport. 260
Doppio standard
Eppure, negli ultimi anni la Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa) aveva multato giocatori e club per aver lanciato messaggi «politici» in occasione di alcune partite. Com’era accaduto all’ex calciatore egiziano Mohamed Aboutrika, censurato dalla Fifa nel 2008 per aver esibito sulla propria maglia una scritta contro il blocco israeliano a Gaza. Per questo, lo scorso marzo aveva esortato la stessa Fifa, accusata di doppio standard, a estendere a Israele il divieto di partecipazione alle competizioni internazionali imposto a Russia e Bielorussia. A fine febbraio, invece, Aykut Demir, difensore della squadra turca di seconda divisione Erzurumspor, aveva rifiutato di indossare una maglia con la scritta «no alla guerra» in turco e in inglese, spiegando che un simile gesto è ammesso solo «quando si tratta di Europa», mentre migliaia di persone muoiono ogni giorno in Medio Oriente nell’indifferenza generale. Dall’inizio del conflitto ucraino, del resto, la stampa mediorientale tanto in arabo, quanto in inglese, ha parlato spesso di doppio standard a proposito della diplomazia euroatlantica, bollata, in modo più o meno esplicito, come incoerente e ipocrita. Soprattutto in materia di accoglienza dei rifugiati: ad esempio, l’emittente qatariota Al-Jazeera ha dedicato diversi articoli alle discriminazioni subite dai profughi africani in fuga dall’Ucraina (per lo più studenti) al confine con la Polonia, che, di contro, ha mostrato solidarietà ai loro omologhi ucraini. Il sito di informazione Middle East Eye, inoltre, ha riportato i commenti razzisti di giornalisti ed esponenti politici occidentali sui rifugiati africani, siriani e afghani, messi a confronto con gli ucraini. Spiccavano, in particolare, le parole del presidente bulgaro Rumen Radev, che ai giornalisti aveva detto: «questi sono europei… sono intelligenti, acculturati. Non è l’ondata di rifugiati cui siamo abituati, persone della cui identità non siamo sicuri, persone con un passato oscuro, che potrebbero anche essere stati terroristi».
Equilibri (e squilibri) mediorientali
Similmente, il sito Middle East Monitor, il 4 ottobre ha pubblicato un articolo di opinione intitolato «Perché a Israele è permesso di annettere territori occupati, ma alla Russia no», in cui si sottolinea come, a fronte della mobilitazione euroatlantica per Kiev, dal 1967 la comunità internazionale non abbia preso alcun provvedimento concreto per fermare l’espansione coloniale di Tel Aviv ai danni dei palestinesi, né per condannare l’occupazione israeliana delle alture del Golan o del Sinai. Una bella lezione, dunque, per quegli alleati degli Usa delusi da quello che reputano uno scarso impegno di Washington nel riconoscere un’adeguata remunerazione geostrategica al loro sostegno. Soprattutto dopo che l’amministrazione dell’ex presidente statunitense Barack Obama aveva optato per la linea dell’equilibrio regionale tra Turchia, monarchie del Golfo, Israele e Iran, siglando con quest’ultimo, nel 2015, assieme a Cina, Russia, Francia, Regno unito, Germania e Unione europea (Ue), il Piano d’azione globale comune, noto con l’acronimo inglese JCPOA, ossia l’accordo sul programma nucleare della Repubblica islamica. Al punto che, poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, non pochi dignitari di Arabia saudita, Emirati arabi uniti (Eau) e Qatar, come buona parte della stampa panaraba o egiziana, hanno esortato i governi arabi a trovare una propria linea emancipandosi da Washington (come sintetizza il sito di informazione Memri ). Un discorso analogo potrebbe valere per la Turchia, che dopo aver giocato, negli anni ‘90, il ruolo di alfiere regionale degli interessi geopolitici statunitensi (dalla guerra del Golfo del 1990 alla disintegrazione di Balcani, Caucaso e Asia centrale), dal 2020 subisce le sanzioni di Washington per aver acquistato il sistema di difesa antimissilistica russo S-400. Una rappresaglia che, di contro, non ha colpito l’India, che pure, anche per le storiche relazioni con la Russia nel settore della difesa, ha comprato lo stesso sistema antimissile. 296
Diplomazia fluida
In sostanza, gli Usa hanno di fronte alleati come Ankara, Riyadh e Abu Dhabi, che, soprattutto alla luce delle profonde mutazioni dell’assetto geopolitico globale, preferiscono temporeggiare, mantenendo un equilibrio pragmatico tra potenze. Anche per questo, intrattengono relazioni fruttuose con paesi come la Russia (cui, per sauditi ed emiratini, si affianca la Cina) e con Israele, ma non più solo per servire gli interessi strategici statunitensi in Medio Oriente, come auspicava l’ex presidente Usa Donald Trump con i cosiddetti Accordi di Abramo. Inoltre, Arabia saudita ed Eau stanno cercando di seguire ciascuna una propria linea autonoma, in particolare nei rapporti con Tehran: se Riyadh ne vuole, come Tel Aviv, la neutralizzazione geopolitica, Abu Dhabi ha recentemente aperto uno spiraglio di dialogo. In terzo luogo, le monarchie del Golfo perseguono i propri interessi anche per mezzo dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opep), allargatasi nel 2016 in Opep+ con l’inclusione di altri 10 paesi, tra cui la Russia. Quest’ultima, il 5 ottobre, ha deciso un taglio della produzione di petrolio di due milioni di barili al giorno a partire da novembre, suscitando l’irritazione di Washington (e non solo), che di conseguenza ha preso in considerazione l’ipotesi di alleggerire le sanzioni ai danni del Venezuela, in cambio di un impegno da parte del presidente Nicolas Maduro a dialogare con l’opposizione e a organizzare libere elezioni per il 2024. Un’irritazione tanto maggiore, se si tiene conto delle polemiche suscitate dalla visita del presidente Usa Joe Biden, lo scorso luglio, in Arabia saudita (a proposito di doppio standard in materia di rispetto dei diritti umani), che aveva l’obiettivo di ottenere dall’Opep+ un aumento della produzione di greggio per ridurre l’impatto delle sanzioni alla Russia sul mercato globale dell’energia. 283
Partenariato o dominio?
Sul fronte ucraino, intanto, Washington porta avanti la sua partita a scacchi, lanciando sporadici segnali a Kiev perché non esca dai binari degli interessi regionali del cuore dell’impero. I due casi eclatanti sono l’uccisione di Darya Dugina e l’esplosione sul ponte di Kerč, entrambe attribuite pubblicamente dall’intelligence Usa ai servizi segreti ucraini, malgrado i tentativi di smentita di Kiev. Gli Usa, infatti, mentre mirano a indebolire la Russia anche (o forse soprattutto) per le sue relazioni strategiche con la Cina, non sono disposti a rischiare uno scontro diretto né con l’una, né con l’altra potenza rivale. Meglio mandare avanti l’Unione europea, che durante la guerra fredda era stata un utile cuscinetto per arginare a Ovest la potenza sovietica. Parimenti, da oltre un decennio (forse con l’eccezione della presidenza Trump), Bruxelles è diventata un importante cuneo per insidiare le sfere di influenza russa e cinese dall’Europa orientale, ai Balcani all’Asia centrale, di pari passo con l’espansione economica di Pechino e con l’ascesa geopolitica di Mosca. La prima, realizzata mediante accordi bilaterali, sfociati dal 2013 nel progetto unitario delle nuove vie della seta (Belt and Road Initative, Bri), cui nel 2017 aveva aderito anche l’Ucraina. La seconda, invece, portata avanti con il sostegno, spesso in coordinazione con la Cina, a organismi regionali (come il Consiglio di cooperazione di Shanghai) e con accordi per la compravendita nei settori della Difesa e dell’energia (come quello storico con l’India). Per fronteggiare entrambe, soprattutto l’assertività dell’Impero del Centro, dalla fine degli anni Dieci, l’Ue ha lanciato due meccanismi di Ostpolitik, entrambi caldeggati da Washington: il partenariato orientale con Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldavia, Ucraina e Bielorussia (che ha abbandonato i negoziati a giugno 2021), e l’accordo di associazione con l’Ucraina. A quest’ultimo, in particolare, siglato a febbraio 2014, dopo il rovesciamento del governo ucraino guidato dall’ex presidente Viktor Janukovyč, Mosca aveva reagito annettendo la Crimea e sostenendo la proclamazione delle repubbliche di Donetsk e Lugansk.
https://i.imgur.com/xOulgfr.jpg
Nel 1969 due malviventi si intrufolarono nell’oratorio di San Lorenzo, nel capoluogo siciliano; ritagliarono la tela dalla cornice che rappresentava l’unica Natività mai dipinta da Caravaggio e l' asportarono. I due improvvisati ladruncoli non si resero conto, evidentemente, del reale valore del dipinto; non fu lo stesso per un esponente della mafia, che intercettò l’opera sottraendola ai due (o forse fu proprio lui a commissionare il furto). Da allora non se ne seppe più nulla. Oggi alcuni pentiti raccontano che la tela fu tagliata in piccole parti, altri che sia stata usata come scendiletto da qualche capo mafioso, altri ancora che sia arrivata in Svizzera per essere venduta; e poi che sia stata rosicchiata dai topi, nascosta insieme a della droga sottoterra e mai più ritrovata, bruciata perché troppo rovinata... È stato anche detto che si tentò di usarla come merce di scambio per alleggerire il 41 bis, ma che lo Stato rifiutò...
Di fatto, a parte queste dicerie, il destino, o più probabilmente la fine della tela è ancora avvolta nel mistero. Nell’oratorio per anni è rimasto quello spazio vuoto sulla parete bianca, finché fu esposta una sua copia, considerata perfetta dagli esperti. Tutto iniziò dalle foto scattate in occasione del restauro del 1951, e da due persone: Bernardo Tortorici, presidente degli Amici dei Musei Siciliani, e Peter Glidewell, un inglese appassionato d’arte. Sapendo dell'esistenza degli scatti fotografici conservati nell’Istituto Centrale di Restauro, Glidewell ottenne le foto, e insieme a Tortorici si rivolse ai più grandi specialisti di riproduzione d’arte, quelli della società “Factum Arte” di Madrid, per commissionargli una copia del capolavoro.
Fu l’emittente televisiva Sky a finanziare la realizzazione dell’opera, acquisendone poi i diritti per produrre un docufilm dal titolo “Operazione Caravaggio, mystery of the lost Caravaggio”, dedicato a questa storia singolare.
Oggi la copia del dipinto è ancora nell'oratorio, in compagnia degli stupendi stucchi in stile barocco eseguiti dal Serpotta.
Probabilmente Caravaggio non venne mai a Palermo, secondo molti studiosi accreditati dipinse questo quadro su commissione a Roma. L'artista approdò in Sicilia dopo la sua rocambolesca fuga da Malta, dove venne arrestato per aver sfidato a duello un Cavaliere di Malta, ordine al quale per breve tempo appartenne. Si mosse sull’isola siciliana tra Siracusa e Messina, da dove sarebbe stato più facile raggiungere la terra ferma per poter arrivare a Napoli e poi a Roma. Ad avvalorare questa tesi c’è la constatazione che la tela risponderebbe allo stile e alle caratteristiche tecniche più vicine alle opere eseguite dal pittore nel 1600, quando era a Roma.
Entrati nell’oratorio, si rimane incantati dalla tela, come avviene sempre davanti ad ogni opera di Caravaggio. L’oratorio di San Lorenzo si trova in via dell’ Immacolatella, in prossimità di via Vittorio Emanuele e piazza Marina.
Per saperne di più:
http://izi.travel/browse/7ec7fcf5-51f6-4adb-97c8-9ad97c7b2a90
Apr 08, 2022 Rate: 5.00