L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Marzia Carocci
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la bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l'altro d'angoscia, e taglia in due il cuore (VW)
Virginia Woolf nacque a Londra il 25 gennaio del 1882 con il nome di Adeline Virginia Stephen.
Divenne una delle scrittrici e saggiste più importanti e influenti di sempre per la sua modernità nei suoi romanzi per esempio "la signora Dalloway" del 1925, "Gita al faro" del 1927 o "Orlando" del 1928. Famosa per le sue sperimentazioni di scrittura come quella di riportare subito sulla pagina bianca i pensieri così come si trova nella mente senza strutturarli fissando così quel flusso di coscienza senza elaborazioni particolari. Amava la lettura e la scrittura in modo quasi ossessivo,
La Woolf si avvicinò al nascente movimento femminista ea quello delle suffragette, donne forti, decise, che si batterono per l'emancipazione femminile e per il diritto al voto. Ricordata per il suo impegno attivo a favore dell'emancipazione e dei diritti delle donne, temi che insieme in moltissime sue opere letterarie. Fu una delle prime donne a scrivere romanzi. Ebbe inoltre relazioni omosessuali, intenso il rapporto con la poetessa Vita Sackville West che le fu di ispirazione per il romanzo “Orlando”.
Virginia era figlia del famoso filosofo, critico e alpinista britannico Leslie Stephen e di Julia Prinsep Stephen modella per i pittori sopratutto in Inghilterra.
Virginia aveva sette fratelli alcuni naturali e altri acquisiti. Nel 1895 all'età di tredici anni iniziarono i primi lutti della scrittrice; morì la madre e qualche anno dopo anche il padre e una delle sorellastre. Virginia iniziò ad avere le prime crisi nervose, diceva spesso di avere la sensazione di sentire “spilli nella testa”; la vita l'aveva già messa a dura prova appena adolescente, non solo per i lutti ma per le violenze sessuali subite dai fratellastri Gerard e Geoge. Di questi episodi ne parlò anche nel libro “Momenti di essere e altri racconti”. Visse sempre con i sensi di colpa di non avere dimostrato amore al padre e alla madre, visse lotte interiori per tutta la vita.
Giovanissima si trasferì con il fratello Thoby e la sorella Vanessa nel quartiere di Bloomsbury a Londra dove con un gruppo di intellettuali contribuì a creare uno dei più influenti circoli culturali del Paese denominato come Bloomsbury Group, il circolo era aperto a tutti gli artisti non avvezzi alle convenzioni siano quella religiose, di razza o di scelta sessuale.
Una donna eclettica, intelligente, coraggiosa nelle scelte e determinate anche verso decisioni per molti discutibili. Spesso etichettata come snob, borghese, fredda e eternamente depressa, giudicata, additata e non compresa da molti. Anticonvenzionale e libera nel senso più ampio della parola.
Nel 1912 sposò Leonard Wolf, teorico politico e scrittore con il quale nel 1917 fondò la casa editrice Hogart Press. Una casa editrice che portava avanti un'idea rivoluzionaria; non dovevano esserci scismi fra le varie forme artistiche. Qui iniziarono a stampare libri a mano anche per gli autori stranieri (Cechov, Dostoewskij ecc)
Virginia, quasi quarantenne si innamorò di Vita Sackville West conosciuta al circolo Bloomsbury. Si frequentarono per tre anni fino a che Vita stessa invitò Virginia a casa sua dando così inizio alla loro relazione sentimentale. Nel libro “Scrivi sempre a mezzanotte” di E. Munafò sono raccolte centinaia di lettere che le due donne si scrissero nei lunghi 15 anni di relazione.
Virginia non fu mai interamente felice, un moto interiore la trascinava di continuo fra momenti belli e baratri da tenere sotto controllo. Più volte tentò il suicidio, più volte cedette al male interiore. La sua intelligenza, genialità e determinazione in un mondo maschilista e antiquato non la fece mai sentire completamente a proprio agio. Visse di sensi di colpa, insicurezze che mai dette a vedere. Il marito non l'abbandonò mai, sempre premuroso e attento nonostante le difficoltà che le crisi nervose gravavano nell'entourage matrimoniale. Comprese sempre Virginia, conosceva la sua psiche più di chiunque altro e mai la giudicò.
Nel 1941 il 28 marzo, a soli 59 anni, Virginia si dirige verso il fiume Ouse nel Sussex, mentre lentamente cammina appoggiata al suo bastone, inizia a riempirsi le tasche di sassi… uno… due… tre ... dieci e dopo un ennesimo crollo psichico cede alla “gabbia” della sua vita; si suicida immergendosi nell'acqua. Era una giornata di primavera ma Virginia non vede più il sole ne tanto meno ne sente il suo calore. Virginia stanca di vivere va portando via con sè una mente eccelsa chiusa in una testa piena di spilli.
Prima di morire lascia una lettera al suo compagno di vita
Carissimo,
sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone potrebbe essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere.Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo - tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n'è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possono essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.
V.
In via Borgo Ognissanti al numero 12 a Firenze, si può notare che il balcone di una palazzina ha una forma curiosa, osservando attentamente ci accorgeremo che la sua costruzione è inconsueta perché montata al contrario, ogni elemento è stato assemblato in modo rovesciato. le balaustre, le colonnine, le mensole e persino le decorazioni.
Nella vecchia Firenze tale bizzarria veniva chiamata “il palazzo con il balcone alla rovescia”
Siamo nel 1530, a quel tempo il proprietario del palazzo di Borgo Ognissanti era Messer Cristofano Baldovinetti, egli voleva fare costruire un elegante e spazioso balcone per rendere ancora più elegante la sua proprietà.
Fece domanda di concessione all'allora Duca Alessandro de 'Medici, (ultimo discendente del ramo principale de' Medici detto il Moro), che negò la richiesta dal momento che proprio in quell'anno fu da lui emanata un'ordinanza che sostanzialmente vietava la costruzione di balconi e elementi architettonici troppo invadenti, dato che le strade della città erano particolarmente strette.
Baldovinetti non accettò quell'imposizione e per moltissime volte ritentò la richiesta di concessione sempre in modo garbato ma deciso, voleva ad ogni costo una grande terrazza per la sua dimora; un balcone imponente ed elegante.
Inutile la spiegazione del Granduca che esasperato dall'insistenza del Baldovinetti continuava infastidito a chiarire in modo perentorio l'ordinanza; non si potevano costruire in alcun modo elementi architettonici su muri e palazzi per non sovraccaricare le già strette strade del centro storico.
Baldovinetti convinto che l'ubicazione del suo palazzo si ergesse in una via non particolarmente stretta, non intendeva demordere alla sua richiesta inviando ad ogni diniego di tale domanda, un'ulteriore pretesa.
Un giorno, stanco delle incessanti richieste del Baldovinetti, Alessandro de 'Medici pensò a uno stratagemma convinto che finalmente le pressanti e continue pretese cessassero una volta per tutte.
Disse così al Baldovinetti che gli avrebbe concesso la possibilità di costruire il grande balcone desiderato ma che questo però, fosse costruito al contrario.
Contento di sé il Duca si convinse di non sentire finalmente mai più quella pretesa.
Baldovinetti invece, non si perse d'animo, prese per buone le parole del Duca e costruì il suo stravagante balcone. Alessandro de 'Medici ovviamente non potette che acconsentire ammirando la determinazione e riconoscere il lavoro ben fatto nonostante la stramberia della cosa.
Adesso tanti turisti che non sanno la storia di quella particolarità, guardano con il naso all'insù tale curiosità pensando forse, che i fiorentini son tutti “grulli”
Il cavallo eretico - video-intervista ad Antonio Presti |
E niente… ci piace chiudere e aprire un anno così… con la favola dell'Eresia, la bella storia di un visionario e del suo viaggio nella Bellezza. A incarnare ancora una volta lo spirito eretico quale valore della scelta è Cavallo eretico, la sontuosa scultura in lamiera zincata che Antonio Presti ha donato alla valle dell'Alesa. Iconico e imponente, Cavallo eretico, si pone a custode della verità e dall'alto dei suoi 4 mt di altezza ci impone il diritto di scegliere.
Esortazione e monito, dunque, in un periodo storico che è sicuramente il più critico della storia moderna, dalla Seconda guerra in poi! Ma poiché di Favola… oggi… vogliamo parlare… diciamo pure che Cavallo eretico è il Dono, (l'ennesimo di una lunga serie peraltro!) Che un mecenate, eretico per scelta e per dogma di fede, fa all'umanità tutta.E 'il dono dell'amore che, stanco di dormire, nella notte, si volge indietro a guardare il giorno appena trascorso, quasi fosse l'ultimo giorno di dolore, nell'ingenua, forse, ma ostinata e dannata speranza che quel misterioso Salvatore del mondo segretamente custodito e abitato nei meandri più o meno reconditi dell'umana esistenza… si svegli e venga a sdoganare gli animi dal pregiudizio, a districare i nodi che sono divenuti grovigli, ad allentare le maglie di quella fitta rete che è la Soglia della gabbia dorata che dispoticamente tiene il pensiero ostaggio di libertà negate.
E questa è la Favola bella che Presti racconta instancabilmente agli alunni di Librino, realtà ai margini di una Terra a margine. E i ragazzi ascoltano, e… fiduciosi… si adoperano affinché lo stereotipo del vecchio adagio che da più di un secolo anima le coscienze di chi ama pensare che nella Terra del Gattopardo “nulla mai cambierà” si tradisca da sé. In questa terra inquieta che vive le profondità del suo mare azzurro,
Antonio Presti |
dilaniata e accecata dalle sue intime contraddizioni si consuma il mistero della vita, della morte e della bellezza generatrice.
Sarà colpa della Luna che annega nel nero di un orizzonte indecifrabile, a renderla così inquieta… questa
terra che invoca gli abbracci ei baci negati. Mentre quell'orizzonte nero si fa strada in un pensiero segreto e diventa l'Orizzonte altro, quello possibile, quello da cui ripartire, feriti forse, provati sicuramente, ma prostrati Mai. A tutti… cittadini del mondo auguriamo di correre come gitani, verso quel mare dalle onde salmastre che ci tenta con le sue rughe salate perché custode della nostra memoria e delle nostre Speranze. Grazie ancora Antonio perché ci restituisci fiducia e speranza!
“Credo che i demoni approfittino della notte per traviare gli sprovveduti”. Non sembra certo una frase scritta dal padre della narrativa macabra. In realtà Edgar Allan Poe (Boston 19 gennaio 1809-Baltimora 7 ottobre 1849) aveva paura anche del buio. Figlio di una coppia di attori girovaghi perse la madre da piccolo. Il padre già aveva abbandonato la famiglia e morì poco tempo dopo la moglie. Orfano dall’età di 3 anni fu adottato da una famiglia benestante ma anaffettiva e che certo non lo comprese mai veramente. Crebbe in Virginia nella città di Richmond. Alcolizzato fin da giovanissimo e dedito al gioco d’azzardo si indebitò moltissimo; con i soldi che gli mandava il padre non pagava le rette Universitarie tanto che abbandonò la scuola dove aveva studiato lo spagnolo, l’italiano e il francese, iscrivendosi in seguito all’Accademia militare a West Point. Entrò nel 1830 e già l’anno successivo fu estromesso per comportamenti non idonei e disubbidienza agli ordini. Fu processato alla corte marziale.
Sgradevole, ubriacone, attaccabrighe e giocatore d’azzardo. Di aspetto cagionevole e trasandato da dimostrare più della sua età. Lottò per tutta la sua breve vita contro le proprie dipendenze e debolezze. Fu diseredato dal padre adottivo per il suo comportamento e addirittura minacciato se si fosse ripresentato presso la sua abitazione. Sposò sua cugina Virginia Clemm di soli 13 anni, lui ne aveva 27. Iniziò a scrivere racconti e storie per alcune riviste. Non si riprese mai psicologicamente, la sua vita fu un tormentoso viaggio annegato nell’alcool e nel delirio oltre che all’abitudine del gioco d’azzardo.. E’ nota la vicenda dei cinque giorni nel quale lo scrittore/poeta fece perdere le proprie tracce. Fu ritrovato svenuto e emaciato di fronte a un pub Irlandese. Ricoverato in ospedale, morì in preda all’incoscienza invocando più volte un nome: Reynolds… Reynolds… All’inizio i medici pensarono che fosse morto a causa di un delirium tremens o congestione celebrale da alcool e narcotici. E’ probabile invece che la causa della sua morte stesse racchiusa tutta in quei cinque giorni dove forse lo scrittore fu rapito da alcuni assoldati per motivi politici. Pare fosse stato obbligato a votare più volte lo stesso nome per l’elezione del sindaco contro la propria volontà; probabilmente fu fatto bere fino al coma etilico. Si dice inoltre che fosse malato di sifilide e di diabete ma di tutto questo vi è totale mistero dal momento che le cartelle cliniche non furono mai ritrovate.
Il suo poema preferito fu “Il corvo” nonostante non avesse avuto alcun successo. Ne era così compiaciuto da inviarlo a tutte le riviste dell’epoca ma se ne crucciò poiché il testo era diventato talmente noto che quando arrivò a pubblicarlo, non fu acquistato praticamente da nessuno.
I suoi pensieri erano spesso imbrigliati fra le righe dei suoi racconti dove nella finzione esponeva anche le proprie verità di pensiero.
*Nel racconto Eleonora del 1841 scrisse:
«Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d'intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell'intelletto generale.»
Scrisse romanzi, racconti, raccolte grottesche, racconti di terrore ma anche di temi vari, scrisse satira letteraria e critica oltre ai saggi. Iniziò anche una drammaturgia che lasciò incompiuta (Poliziano) e scrisse molte poesie che dimostravano la sua grande sensibilità spesso occultata dietro a opere di spessore diverso. Molti non sono a conoscenza che Poe non amava solo dedicarsi alla letteratura ma era anche appassionato di spazio e cosmologia. Durante la sua breve vita Edgar Allan Poe fu conosciuto più come critico letterario che come scrittore. Soffrì dei suoi stessi errori. Morì a soli 40 anni.
Un aforisma ci offre parte della sua profondità.
"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte".
Paolina Leopardi, (Paolina Francesca Saveria Placida Blancina Adelaide)è stata una traduttrice e scrittrice italiana. Nata il 5 ottobre del 1800, era la terzogenita e unica figlia femmina del conte Monaldo Leopardi e di Adelaide Antici (cugini fra oro).
Ricordata spesso solo come la sorella del poeta di Recanati, sottolineando soprattutto il suo aspetto gracile e la non bellissima presenza estetica.
Vestiva sempre di nero, carnagione olivastra e capelli corti e neri, religiosa tanto da dir messa, fu soprannominata “Don Paolo”, visse nella sua “casa prigione” 57 anni fino alla morte della madre dispotica trovando finalmente una sorta di libertà nella seconda stagione della sua vita. Iniziò a viaggiare, andare a teatro a conoscere persone e avere così una vita sociale.
Non dava amicizia nell’immediatezza, ma quando accadeva era devota a questo sentimento.
Timida ed erroneamente giudicata non cordiale. In realtà Paolina aveva sempre avuto pochissimo contatto con le persone da sembrare schiva ma era solo schiava della propria timidezza tanto che quando si trovava in presenza di estranei, non riusciva quasi a proferire parola.
Una donna coltissima che privata di contatti e di possibilità riuscì solo in piccola parte a esprimere il suo grande sapere e la sua enorme cultura. Studiò la lingua francese in modo ottimale, sapeva inoltre tradurre sia il tedesco che l’inglese. Conosceva ed approfondì il latino. Studiosa di musica e di storia oltre che di testi biblici.
In età adulta fu un valido ed indispensabile aiuto per il padre Monaldo nel tradurre articoli di giornali in lingua francese che inoltre recensiva. Fu autrice di diverse traduzioni dal francese e di una biografia di Mozart (fu la prima donna che lo ha fatto in lingua italiana).
Paolina dunque crebbe in un ambiente ferreo con il padre Monaldo e la madre Adelaide, quest’ultima era particolarmente despota costringendo la figlia a regole continue che la privavano anche di semplici libertà quali il ridere o il piangere vivendo una sorta di clausura domestica.
In una lettera scritta il 26 maggio 1830 a Marianna Brighenti scrisse:
Fra gli altri motivi che hanno renduto così triste la mia vita e che hanno disseccato in me le sorgenti dell’allegrezza e della vivacità uno è il vivere a Recanati, soggiorno abominevole ed odiosissimo; un altro poi è l’avere in Mamà una persona ultra-rigorista, un vero eccesso di perfezione cristiana, la quale non potete immaginarvi quanta dose di severità metta in tutti dettagli della vita domestica. Veramente ottima donna ed esemplarissima, si è fatta delle regole di austerità assolutamente impraticabili, e si è imposta dei doveri verso i figli che non riescono punto comodi …
Ebbe un rapporto stretto per molto tempo con il fratello Giacomo che adorava; fu al suo fianco quando egli iniziò a non vedere più molto bene e addirittura scriveva sotto dettatura le poesie che Giacomo le dettava. Ascoltava ogni suo progetto, desiderio, confidenza. Tutto questo fino a quando il poeta risedeva a Recanati. Cambiò in seguito il loro rapporto, nel periodo che il Leopardi si instaurò a Napoli, quando a causa di diverse opinioni politiche e religiose dei due, il legame si freddò. Paolina era religiosa come il padre Monaldo, mentre Giacomo portava avanti le idee ateiste. Non si scrissero quasi più nonostante il poeta chiedesse alla sorella di farsi sentire più spesso. Lui si ammalò ma lei non andò mai a trovarlo.
Solo nel 1867 rese omaggio alla tomba del fratello a Napoli
Gli ultimi anni di Paolina si conclusero viaggiando finalmente libera da tanta segregazione.
Visitò spesso Pisa che era la città amata dal fratello Giacomo. Andò spesso a Firenze.
Morì sola a Pisa nel 1869 probabilmente per una pleurite. Fu in seguito trasportata a Recanati e seppellita al cimitero civile.
Ci lascia un bagaglio di opere, epistolari vari, traduzioni, recensioni e molti inediti.
Una donna forte nonostante le privazioni, le segregazioni, le imposizioni. Con la mente e la voglia di sapere studiò tutto quello che voleva conoscere quasi fosse un lungo viaggio oltre il luogo fermo della sua casa a Recanati.
Paolina non era l’ombra di Giacomo, ma il suo alter ego. L’incomprensione e l’anaffettività della famiglia la limitò molto tagliandole le ali ancor prima di volare.
La ondulata morfologia del territorio romano, avvenuta nell’ultimo milione di anni, è stata determinata dall’attività della tettonica, proveniente dall’apparato vulcanico dei monti Sabatini a nord-ovest e dei Colli Albani a sud -est.
Tuttavia sono state le diverse oscillazioni del livello del mare, scandite nelle diverse epoche glaciali, insieme alla presenza dei corsi d’acqua che la percorrevano, che esercitando l’alternanza sedimentaria ed erosiva ne hanno disegnato il suo dolce collinare andamento, che non supera quasi mai i 50 mt lm., conformato essenzialmente da tufo ed argilla.
Andamento comodo, fertilità delle terre, presenza di acqua anche navigabile, vicinanza al mare, clima mite, va da se, che da sempre hanno reso comoda l’antropizzazione.
Va da se che Roma si fondò proprio qui!...
Si ma come e dove esattamente?
E come erano formate queste alture ? Ma perché il numero sette?
…tra leggenda e storia …
I primi insediamenti nella fase 900 a.C. - 770a.C erano diffusi su villaggi a spazi aperti adibiti a pascolo e all’agricoltura, sulle pendici perlopiù del Palatino e del Campidoglio, ma anche nella piana del Velabro
Tuttavia la difesa primitiva era affidata alla conformazione orografica del territorio, quindi il leggendario solco di Romolo della “Roma quadrata “ per la forma vagamente trapezoidale del Palatino, attestata proprio sulla sommità del colle , ci riporta ad un tracciato di confine verosimile, una sorta di recinto sacro il “pomerium”, nel centro del quale secondo Festo e Properzio vi era scavata una fossa sacrificale il “mundus” , dove venivano interrati simboli religiosi che avrebbero dovuto assicurare alla futura città benessere, prosperità, pace e giustizia.
La fondazione di una città infatti sia latina sia etrusca, seguiva un complesso insieme di solenni cerimonie e suggestivi riti .
Innanzitutto un sacerdote, “l'àugure” provvedeva a conoscere gli “auspici,” ovvero la divinazione tratta dal volo e dal canto degli uccelli.
Una volta espresso il vaticinio favorevole, si procedeva a scavare una fossa circolare nel punto ove le due strade principali “cardo e decumano” si incontravano formando un angolo retto :il “mundus”. Il fondatore vi gettava una zolla della terra di provenienza , seguito dalla stessa azione dai patres familia
Finalmente si tracciava il solco di confine, al quale si aggiungeva un secondo solco parallelo.
La fascia di terra compresa fra i due solchi era il “pomerium”.
In questo spazio territoriale, considerato sacro, sacerdoti isolavano ogni sorta di avversità e sciagura potesse abbattersi sulla città e sulla sua popolazione ed era alienato da ogni tipo di attività, compresa quella del semplice passaggio.
Era quindi per tale ragione, ovvero per evitare di infrangere i divieti rispettandone la divinità, che nei tempi successivi, proprio su questi solchi, venivano erette le mura di recinzione. Spesso all'esterno del muro veniva anche scavato un fossato, tale da rendere quanto meno difficoltoso l'avvicinamento nemico, sui lati non difesi naturalmente.
Nascevano così le “urbes”, chiamate così perché consacrate dagli dei.
A differenza delle città fortificate prive di un confine sacro che erano invece le “oppidi”.
Verosimilmente quindi la tradizione ci riporta ad una origine della “Roma Quadrata” di Romolo, secondo le usanze riportate dall’archeologia storica. Sorta dunque nell’VIII° sec. a.C., Roma era cinta da mura e fossato con tre porte, dove il primitivo muro si suppone sia stato costruito a cavallo fra le alture del Germalo e del Palatino, alla base del quale sorgeva il Lupercale, ovvero la grotta, dove la leggenda ci narra, Faustolo aveva trovato i gemelli Romolo e Remo.
Alla fondazione della “Roma Quadrata” seguiva il Septimontium, che come ci riporta Varrone , era così denominato dal numero dei monti che lo costituivano , legato all’estensione degli insediamenti delle circostanti popolazioni.
Cominciava così la tradizione che identificherà nel numero sette i colli di Roma.
Nella lista più arcaica delle alture compaiono solo le selle che costituiranno in seguito il Palatino e l’Esquilino oltre al singolo Celio.
- il mons Palatium
- il mons Germalus o Cermalus - Germalo
- la Velia,
- il mons Fagutal
- il mons Oppius
- il mons Cispius
- il mons Caelius o Querquetulanus
- la Subura che non era un mons ma la pianura di collegamento
Bisognerà arrivare a Plutarco e Cicerone per le acquisizioni delle rimanenti alture .
E troviamo la lista a tutti conosciuta.
- l'Aventino
- il Campidoglio
- il Celio
- l'Esquilino
- il Palatino
- Quirinale
- il Viminale
Nel periodo imperiale la città continuava ad espandersi, quindi ai 7 colli si aggiunsero il Vaticano mons Vaticanus ed il Gianicolo mons Ianiculum
Non erano più 7!.... ed allora come mantenere il numero magico per eccellenza?
Semplice ai tempi di Costantino i sette colli erano nuovamente cambiati ….
- il Palatino, ,
- il Germalo,
- la Velia
- l'Esquilino
- il Vaticano
- il Gianicolo
- la Suburra
Ed allora quanti erano veramente questi colli ?...
Illustriamoli e contiamoli una volta per tutte……chissà se ne veniamo a capo!
Il Colle Palatino comprendeva le tre alture :
del Palatino propriamente detto , del Germalo , della Velia.
Il Colle Aventino comprendeva le due alture:
dell'Aventino Maggiore e dell' Aventino Minore o collina San Saba.
Il Colle Esquilino comprendeva le tre alture :
del colle Oppio, del Cispio , del Fagutale, della zona delle Carinae, della Velia scomparsa che collegava il colle Esquilino al Palatino.
Il Colle Quirinale comprendeva le quattro alture:
del Colle Quirinale propriamente detto , del colle Latiaris, del colle Mucialis e colle Salutaris.
Colle Campidoglio con le tre alture :
del colle Capitolino , della sella Asylum, della Arx Capitolina, della Rupe Tarpea,
Colle Viminale : con l'altura del colle Viminale
Colle Celio: con l'altura del colle Celio
Vi era un ulteriore sella, che collegava il colle Campidoglio al colle Quirinale.
Veniva completamente sbancata per l'edificazione del complesso del Foro di Traiano.
La stessa Colonna di Traiano, mostrerebbe l’altezza originaria dell’altura rasa al suolo….
Allora questi colli sono 18 forse 19…..ma anche di più ….
come la mettiamo infatti con il Gianicolo e il Vaticano ? ….
Beh! … ma sono al di là del Tevere….
D’accordo, ed il Pincio? Ma è fuori dal sacro pomerio …si, però comunque entro le mura
Per non parlare per quei monti di terreno di riporto e da discarica: Monte Citorio e Monte Testaccio…. Ok …. questi non sono naturali…. tuttavia ci sono….
E allora quanti sono questi colli?
I colli di Roma non erano e non sono mai stati soltanto sette…..
Di certo il numero sancito dalla tradizione è basato più sul suo valore sacro che sulla realtà.
Il "sette", era un numero magico per Roma, una sorta di perfezione che emergeva dal caos, una costante del 7 nella tradizione, nella storia e nella cultura della Città Eterna, perché:
7 erano i Re di Roma,
7 i Magistrati incaricati nella distribuzione delle Terre,
7 le Coorti dei Vigiles,
7 i septemviri epulones
7 i Colossi (Apollo sul Campidoglio, Giove in Campo Marzio, Apollo nella biblioteca di Augusto, altri due Giove in Campidoglio, Nerone nel Colosseo e Domiziano nel Foro Romano.)
7 le Cose fatali dalle quali dipendevano le sorti di Roma ( l’Ago di Cibele, la Quadriga dei Vejenti, le Ceneri di Oreste, lo Scettro di Priamo, il Velo d’Ilione, il Palladio e gli Ancili)
7 le lucerne dell'Arco di Tito,
7 le meraviglie di Roma narrate da Polemio Silvio nel "Laterculus".
I COLLI NON POTEVANO CHE ESSERE SETTE…..
E 7 SIANO!... Noi li amiamo così!....
con un famoso passo di Tito Livio: (ab urbe condita , V, 54)
“Non senza motivo gli dèi e gli uomini scelsero questo luogo per fondare la Città: colli oltremodo salubri, un fiume comodo attraverso il quale trasportare i prodotti dell’interno e ricevere i rifornimenti marittimi; un luogo vicino al mare quanto basta per sfruttarne le opportunità ma non esposto ai pericoli delle flotte straniere per l’eccessiva vicinanza al centro dell’Italia, adattissimo per l’incremento della città; la stessa grandezza di quest’ultima ne è la prova“.
…..vi do appuntamento ai prossimi racconti , dove vi porterò su ciascun colle per scoprirne, storia, misteri, segreti e leggende …………………..
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Bernini tornò nelle “grazie “ del papa perché protetto dalla “Pimpaccia”?..... Si tratta di anacronismo storico, quindi leggenda popolare... più che altro una "pasquinata" ...
Bernini non godeva della "protezione" dell'avida Donna Olimpia, (la “Pimpaccia “ come la chiamavano le “pasquinate” )......ma per imbonirsela, l’astuto scultore le regalò il bozzetto in argento della fontana.........
....Correva l'anno Santo 1650 e l'occasione fu ghiotta per la senza scrupoli Donna Olimpia, che non si fece sfuggire occasioni in tutto quel fermento, tra truffe ai pellegrini e raggiri a corte.... non si fece mancare proprio nulla !!....
Con nomina di direttrice dei lavori giubilari, promosse il nuovo assetto architettonico della nuova monumentale "Platea": piazza Navona che, oltre ad officiare la grandezza del suo casato, avrebbe simboleggiato, rappresentandolo nella sua magnificenza, l'intero spirito plateale del Barocco. Il progetto fu affidato per il palazzo come per la chiesa ai Rainaldi, quest'ultima conclusa poi nella facciata da Borromini, impegnato a sua volta alla progettazione della Galleria, poi affrescata da il Berrettini: Pietro da Cortona .
Il Bernini, fuori dai giochi,ma ansioso di riconquistare il suo ruolo di prestigio nella corte pontificia, dalla quale era stato allontanato per i faziosi motivi politici che lo avevano visto vicino al precedente papa, per aggiudicarsi la prestigiosa commissione almeno della costruzione della Fontana , ne fece pervenire un bozzetto in argento alto un metro e mezzo alla terribile confidente di Innocenzo X, che indirizzò solo allora la scelta del potente cognato sullo scaltro ma geniale scultore..... ......fu così che Bernini rientrò in scena ...
OSSERVAZIONE ............
....c'è qualcosa di diverso da ciò che accade al giorno d'oggi?.... Risposta...Si ...non esistono più i geni come Bernini! .............. ......
Beh!, in verità non erano poi così tanto in competizione ... anche perché..... ... SCULTORE magnifico.... elegante e salottiero, cavaliere a suo agio in società, autoreferenzialista fino al narcisismo: Bernini, che rivelava, attraverso virtuosi e tortuosi panneggi passionali e sapienti maliziosità espressive, l'intero spirito plateale controriformista...............
Misantropo ed introverso, aspro ed esasperato ARCHITETTO innovativo Borromini, che genialmente tramandava proprio in virtù delle commesse meno ricche, la necessità di plasmare la materia come cera, muovendo facciate ed interni, in concavità , convessità ed infiniti stucchi infarciti di sentimenti mistici fusi ad esoterismo , .... per arricchirli in mancanza dei policromi marmi a disposizione dell'altro..... .. .. ..ma entrambi fini conoscitori dell'illusione anamorfica declinata nella nuova sintassi che dava al classico quel che di "broken ", (rottura con il passato) che in maniera dispregiativa si chiamerà "barocco"...
La vera competitività la impostarono i tre papi che si succedettero Urbano VIII (Barberini)Innocenzo X (Pamphili) Alessandro VII (Ghigi) ...furono le loro "simpatie" alterne che agevolando e privilegiando prima l'uno poi l'altro poi entrambi, a far nascere la leggenda della discordia fra i due .. . Non avrebbe mai potuto Borromini che amava lavorare da solo, al massimo con un mastro che gli preparava i fondi , gestire l'industria che da eccellente imprenditore, aveva allestito Bernini, vantando l'intero parco
Simona Perazzini (video) |
disponibile dei contemporanei scultori, nessuno escluso...
Lo scontroso asociale Borromini corse in aiuto più volte dell'accattivante Bernini, che si rifiutava in onestà di operare da architetto, ad esempio quando fu costretto da ricattuccio papale alla realizzazione del Baldacchino di San Pietro.... senza i disegni delle colonne tortili e dei calcoli statici del Borromini, (notizia questa che Bernini si guardò bene dal pubblicizzare egocentrico come era , quindi rimasta sconosciuta, fin quando non sono stati rinvenuti gli originali disegni progettuali di mano del cantonese ) ..... poco infatti avrebbe potuto la pur fertile mente del Bernini di fronte all'oscuro dimensionamento statico .... che comunque, nella sua brillante intelligenza, ben presto imparò ed impeccabilmente mise in pratica, nella straordinaria fontana commissionata dallo stesso papa Pamphilj che lo aveva messo al bando, in quanto nemico del precedente Barberini ed ovviamente dei suoi protetti.
Opera con la quale sfidò l'ingegneria facendo sgorgare l'obelisco, rinvenuto dallo stesso papa in quattro pezzi nella villa di Massenzio, da un vuoto in bilico della sottostante scogliera .... ....
Bernini......Borromini non si possono non si DEVONO confrontare ....si devono amare......e poi il terzo incomodo il Berrettini :Pietro da Cortona .....queste le tre B del Barocco romano ....come i tre papi che commissionarono.........
Ricordatelo così... ricordatelo sempre......................................opere grandiose non hanno mai una sola mano..... . .....l'architettura è sempre espressione dei potenti e non è mai innocente !! ..
Avete presente quella finestra "serliana" che decora l'ospedale San Giacomo degli Incurabili in Augusta (queste l'esatta denominazione) sito in via del Corso?
Ve ne racconto la storia in pillole ....
Fondato nel 1339 dal cardinale Pietro Colonna per riscattare lo zio Giacomo Colonna, scomunicato da Bonifacio Vili (schiaffo di Anagni)
- Metà del 1400, (pontificato di Nicolò V) passò alla Confraternita di S. Maria del Popolo che realizzò un primo riassetto.
- Inizio 1500 durante il pontificato di Leone X, la Confraternita assunse il nome di San Giacomo e grazie all’apporto di numerosi finanziamenti fu ampliato ed elevato al rango di Arcispedale, anche per la cura nel nuovo morbo gallico ( sifilide).
- 1579 Antonio Maria Salviati, nominato Cardinale da papa Gregorio XIII, ( alla cui casata era passato in alterne vicende) iniziò l'opera di rifondazione dell'Ospedale, finanziandola personalmente , ricostruendo il fabbricato dalle fondamenta , realizzando fin da allora, una struttura di eccellenza .
Il Cardinale donò infine il bene alla città di Roma con vincolo inflessibile ad un utilizzo ospedaliero,venendo meno il quale sarebbe tornato in asse ereditario.
- 1834 Papa Gregorio XVI (dopo la soppressione napoleonica della Confraternita di Santa Maria del Popolo),stabilì nell'ospedale le Suore Ospedaliere della Misericordia , affidandone successivamente l'amministrazione ai religiosi dell'Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio ("Fatebenefratelli"), dando impulso ad una fase di grande ristrutturazione che fu completata sotto Pio IX nell863.
-1896 su Regio decreto entrò a far parte del “Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali Riuniti”
-1978 passò all’Istituzione del “Servizio Sanitario Nazionale
-2008 l'Ospedale venne chiuso e l’edificio fu alienato dalla Reqione Lazio.
La giunta regionale di Marrazzo deliberò la chiusura dell'Ospedale , dopo un restauro costato 30 milioni di euro,per subito dopo decretarne la vendita come struttura alberghiera, giustificandol l'operazione come risanamento del deficit regionale. .
Lo stato attuale vede il bene in progressivo sempre più grave stato di degrado , dovuto soprattutto ad un evidentemente premeditato scempio esercitato dopo la chiusura dell'edificio che ha visto operare vandalismi di ogni tipo,, dalle finestre lasciate deliberatamente spalancate per consentire l'accumularsi di guano da uccelli, alla asportazione di ogni nuova attrezzatura apposta neN'avvenuto restauro .Tutto ciò a fronte di una leggina che recita che se un immobile dovesse rimanere in disuso pe un anno può cambiare destinazione d'uso.
Ma tale lampante quanto iignobile speculazione, non aveva fatto i conti con l'irremovibile vincolo apposto dal lungimirante ed accorto Cardinale!
Da anni perciò la discendente deN'illuminato filantropo , Oliva Salviati, al centro dell'accesa contesa , vede rivendicare il vincolo posto dall'antenato nell'atto di donazione.
Ne scongiurò la vendita ora sta tentando in tutti i modi di farlo riaprire., ma noi aiutiamola tutti.
il patrimonio che rappresenta ...lo dimostra la storia .... lo dimostra stato attuale di emergenza ed è di tutti noi!!!!....................................
Stiamo vivendo uno dei peggiori momenti della nostra storia e ci stiamo rendendo conto quanto l’essere umano sia estremamente fragile di fronte al male sia a livello fisico, psicologico, economico. Il Covid ce lo ha ampiamente dimostrato.
Quando sono arrivate le prime notizie a febbraio di questa pandemia, eravamo tutti estremamente impauriti; non sapevamo cosa fare, come difenderci e quanto sarebbe durato il tutto. I politici e il governo dopo essersi sputati addosso rabbiosi, ogni tipo di decisione, mai completamente accettata da tutti, hanno concluso con alcune norme e restrizioni. Per ogni spostamento era necessaria un’autocertificazione. Tutti con la mascherina, a volte i guanti e con in tasca il disinfettante spesso irreperibile inizialmente nei negozi.
Tantissime le vittime, situazioni portate all’esasperazione; difficoltà a seppellire i morti, medici infettati, infermieri stanchi e provati, volontari in prima linea. File interminabili davanti ai centri commerciali, mascherine aderenti ai volti, fiati corti, paura dello sconosciuto virus.
Alle finestre appuntamenti per cantare unanimi la voglia di farcela, canzoni stonate e lacrime agli occhi. Amici e parenti perduti, genitori morti soffocati in case di cura mai più rivisti. Le giornate di fronte al tg in attesa di notizie migliori mentre invece si parlava solo di numeri e vittime, di dati assurdi, e sofferenza data dall’impotenza di fronte a qualcosa di sconosciuto. Un Presidente che ogni volta riportava dati e scelte da fare, scienziati mai sicuri di niente perché di qualcosa di troppo grande, troppo diverso, troppo sconvolgente stava mietendo vittime mentre noi eravamo e siamo privi di armi per difenderci.
Ma quale è il male maggiore adesso? Cosa è che ci provoca malessere oltre che alle restrizioni, agli allontanamenti da amici e parenti, oltre alla propria libertà e al malcontento economico?
E’ lo scoprirsi deboli di fronte al male, impotenti contro chi non sai come combattere e soli… soli senza realmente qualcuno che possa darci certezze. Non almeno nell’immediatezza. E noi? Siamo migliorati noi? L’essere umano è l’animale meno coerente al mondo; è colui che basa il proprio comportamento a secondo del momento. Se ha paura si sente parte del branco, se si sente forte, diventa dominatore, se accusato addirittura vendicatore. Questa maledetta pandemia è l’unica a essere coerente con se stessa. Uccide chiunque e mina la libertà di tutti. Come ne usciremo da questo virus che ci ha minati fisicamente della libertà e della sicurezza? Soli, poveri, rabbiosi e forse ancora più egoisti se possibile. L’umano difende solo il proprio gregge, degli altri spesso vige il menefreghismo.
Questa maledetta pandemia è l’unica a essere coerente con se stessa. Uccide chiunque e mina la libertà di tutti.
L’egoismo è sempre stata la peste della società e quanto è stato maggiore, tanto peggiore è stata la condizione della società (Giacomo Leopardi)
E’ un dato di fatto che nei vari tg e su numerosi quotidiani pare tutto congelato nella notizia Covid.
Sono scomparse le notizie sulle violenze alle donne che ora più che mai vengono consumate all’interno delle mura domestiche, pare non ci siano altre malattie oltre che l’infezione al Coronavirus; non vengono menzionate le guerre nei luoghi dimenticati dai più, non si fa cenno dei bambini che ogni giorno muoiono per un miliardo di altre infezioni oltre che di fame.
Vi è dolore in tutto il mondo; piaghe continue, orrori, sofferenze. Siamo viaggiatori di un tempo difficile che schiaccia senza pietà e senza guardare in faccia nessuno. Il nostro dolore è forse “pilotato”? Sono le notizie dei giornali e dei media in genere a definire il nostro stato d’animo?
Se da domani alla televisione o nei vari quotidiani si andasse a smorzare le notizie sul Covid, se ne parlassero ogni tanto adducendo solamente i cambiamenti e le novità, vivremmo meglio almeno a livello psicologico? Il terrore psicologico non è modo di fare stampa; la gente ha bisogno di essere informata ma non tediata, ha bisogno di capire ma solo quando si hanno le facoltà di sapere spiegare. L’allarmismo causa confusione, depressione, e crea anche mostri e stupidità come l’esercito dei negazionisti.
Siamo uomini e donne in balìa a una tempesta emozionale e fisica difficile da gestire. Guardiamo dentro di noi e cerchiamo di uscirne forti nonostante le gravi e irrecuperabili perdite di chi ci ha lasciati più soli. Non sarà facile, sarà una salita irta e faticosa, non facciamo che ci manchi il fiato!
E’ uscito dalla porta principale anche se nella sua vita non si era mai sopravvalutato.
E’ morto il giorno del suo compleanno, il 2 novembre, giorno che commemora i defunti. Una “mandrakata” per usare la parola ormai cult degli anni settanta estrapolata dal film “Febbre da cavallo” interpretata da “Gigi”. Gigi il maestro, Luigi Proietti classe 1940.
Non parleremo di lui e di cos’era, tutti lo sanno, non faremo lodi alla sua bravura né tesseremo parole per quanto fu estesa la sua arte. Fu direttore artistico, regista di opere liriche, regista teatrale, regista televisivo, attore, cantante, musicista, doppiatore, suonava il pianoforte, il contrabbasso, la fisarmonica, la chitarra.
Attore di cinema, di teatro, di televisione, mattatore e show man, ironico, comico, mai prevedibile. Dai primi anni 60, iniziò anche a doppiare, dai cartoni animati della Warner Bros a grandi attori come: Marlon Brando, Richard Burton, Dustin Hoffman, George Segal, Robert De Niro, Silvester Stallone e tanti altri.
Si cimentò persino con la poesia componendo sonetti pubblicati negli anni ‘90 sul Messaggero e pubblicò il “Decamerino”Novelle dietro le quinte (Rizzoli 2015)
Scrisse libri ricchi di aneddoti, dove raccontava i retroscena nei vari teatri, di quei camerini dove cipria, costumi e parrucche riempivano ogni spazio. Scrisse di Roma, dei suoi personaggi, ne scrisse con amore, dolore, ricordo e tanta vita da rievocare. Un grande attore ma non solo, un grande protagonista, un ballerino, una macchietta, un saltimbanco, un mondo di arte da condividere con chiunque.
Luigi Proietti non rinchiuse in sé la sua bravura e la sua esperienza: volle giovani da indottrinare, ragazzi da fare crescere artisticamente e là dove trovava talento, spremeva fino in fondo per fare venire fuori da loro l’essenza dell’uomo o della donna per farli salire capaci, sul palco polveroso del teatro.
Laboratorio di Esercitazioni Sceniche nasce nel 1978 sotto la direzione artistica di Luigi Proietti e di Sandro Merli presso il Teatro Brancaccio di Roma; qui Proietti porterà in scena con i suoi allievi moltissimi spettacoli di successo. Per anni l’attore mantenne quella scuola da solo fino a che arrivarono i primi contributi Regionali. Molti attori furono formati grazie alla sua esperienza e qualità d’insegnamento.
Più scaviamo sulla sua vita e più scopriremo le attività artistiche svolte e non è questo il senso dell’articolo. Vogliamo ricordare l’uomo, le sue capacità, il suo prendersi in giro e la forza indomabile dell’interiorità istrionica che pareva esplodere ogni volta dal suo corpo. Vogliamo ricordare quel suo sorriso contagioso, quella sua mimica, quella sue pause, respiri e battiti che si sentivano pulsare nel silenzio di un palco di anime incantate da lui.
Erano anni che Proietti non stava bene, ma non resisteva la chiamata del teatro che era sua casa, il suo modo di vivere, la sua vita tutta d’un fiato. Non è retorica dire che ci mancherà, lui era grande davvero e come lui pochi portavano in scena l’ironia, l’allegria, la contagiosità di un mondo migliore. Se n’è andato da grande e se n’è andato nello stesso giorno in cui è nato come per chiudere un cerchio. Luigi Proietti nasce il 2 Novembre 1940 e muore il 2 novembre 2020. Giorno dedicato ai defunti. La sua ultima mandrakata. Vorremmo tanto che fosse una fake news
A tutte/i le Pacifiste/i, in concomitanza con un traguardo importante quale la ratifica da parte di 50 Stati del Trattato di Proibizione degli ordigni nucleari (TPAN), questa mattina 25 ottobre alle 7.00 è deceduta l’artista Silvana Simone, che per noi di WILPF-Italia e per me, che le sono stata amica, ha rappresentato una complice fervente dell’obiettivo di contrastare la guerra e profetizzare una vita di equilibrio, di rispetto per gli esseri umani, per gli animali e il Pianeta.
Come una vate, come una santa, convinta e brillante nella sua capacità di esprimersi – ovvio sbocco di un’Artista che sente, capta e restituisce agli altri il proprio pianeta interiore di intuizioni ed emozioni – Silvana ha prodotto sempre in modo indipendente tre CD. Negli Anni Ottanta “Almeno tentare”, nel 1998 “L’utopia ti cingerà la vita” e nel 2005 “Armonia Novella”. Appassionata di Bob Dylan, Joni Mitchell, ha vissuto a Ginevra il primo periodo di attività artistica e poi si è trasferita a Roma. Ha sempre lamentato la difficoltà di essere sulla scena musicale come artista che compone, scrive testi, interpreta e suona, senza essere supportata da discografici, spaventati dallo spessore del suo messaggio troppo poco commerciale e pronti solo a sfruttarne l’avvenenza e la voce, per interpretare canzoni scritte da uomini.
Per smarcarsi da questi meccanismi odiosi, descritti nella canzone “Mercati mentali”, Silvana si apre al mondo digitale e lì finalmente comunica con centinaia di followers che scaricano le sue canzoni e le scrivono ammirati. Così diventa invitata speciale della radio argentina “Nuevas Sensaciones Italianas” che le ha dedicato un’intervista il 1° maggio 2020. Intelligente e volitiva Silvana ha costruito il monumento a sé stessa, il proprio sito a disposizione dell’umanità, quando questa sarà pronta a capire e a ritrovarsi in parole così sagge.
Nella sua Arte e nella sua Vita c’è un’impronta: la Resistenza, la Solitudine, il Possibile “La chiarezza non si coglie come un fiore però, come montagna si può scalare”... c’è l’imperativo di rimanere sé stessa con le proprie convinzioni aldilà delle deficienze e dell’assurdità degli eventi, che si accumulano ispirati da logiche nefaste. Un’immensa solitudine ha circondato quest’artista dallo sguardo inquieto e il sorriso africano. Raccontava Silvana di avere fatto un’improvvisazione in Francia con Dizzy Gillespie (morto dello stesso male), che la voleva con sé; di un concerto in cui sentì dalla folla un ragazzo africano chiamarla estasiato: “Silvana!!!!”. L’ultima volta che ci siamo viste prima che si trasferisse a Lecce nel gennaio 2019 è stato nel dicembre 2018, quando mi ha accolto nella sua casa per fornire a tre ragazzi gambiani rifugiati - venuti con me - coperte, lenzuola, suppellettili…
Essere notturno, di grandi meditazioni e filosofia, Silvana ha utilizzato la sua musica per educare e per sfogarsi. E’ mancato tragicamente il nesso tra la sua genuina identità di artista capace di esprimersi solo attraverso la musica e un contesto militante che sapesse sostituirsi a quell’impresariato musicale che voleva solo deviarla. Ma ci sono state occasioni d’oro: un concerto a Bonn il 17 aprile 1999 invitata dalla diaspora curda, un’esibizione a Roma a piazza bocca della Verità il 10 novembre 2001, un’esibizione a Berlino invitata dalla WILPF tedesca, la realizzazione della versione italiana dell’inno della “Marcia mondiale delle donne contro guerra, violenza e povertà” nel 2002. C’era in programma un concerto presso la Casa Internazionale delle Donne a Roma…
Credeva nella dimensione dell’amore Silvana, nel tentativo di dialogare con il mondo maschile, che ha espresso in canzoni come “Uomo”, “Almeno tentare”, “Apriti come un fiore” “E’ amore”, “Sulla sabbia”. Credeva nei rapporti tra donne, anche se le trovava impreparate a cogliere la sua disponibilità artistica per le loro lotte. E’ stata adorata da Adele Faccio che le regalò la sua Enciclopedia della Musica. Bellissima è la canzone dedicata alla madre “Che tenerezza” e alle amiche “Aspetti”.. Amava i bambini e diceva sempre che non avrebbe potuto essere madre perché sarebbe stata troppo apprensiva. “Armonia novella” fa riferimento alla pedofilia quando parla di “oscenità naviganti e piccoli cuccioli offesi, di indifferenze colpevoli” e nella bellissima “Piccolo Tom” fa un omaggio a un bambino immaginario. Credeva nella Pace e nel Disarmo e lo ha espresso in modo imperativo e veemente in canzoni come “Non si può più aspettare” “A voi guerrafondai maledetti” e nella sua preghiera laica “Merçi”. La Musica era il suo grande conforto, la sua grande amica e “stella luminosa” a cui ha dedicato “Euterpe” e “Spontaneamente”. La sua mortificazione di fronte a scenari di violenza e guerra è espressa in “Anima” mentre l’incoraggiamento a non desistere mai è in “L’utopia ti cingerà la vita” e in “Armonia novella”. Una canzone in particolare è dedicata all’immigrazione: “La danza nel freddo”, ispirata dalla sofferenza dei curdi accampati a Roma nel 1998, vittime della repressione dei governi turchi. Ha conosciuto Dino Frisullo Silvana e Hevi Dilara le ha dedicato un ringraziamento, conservato nel suo sito. Al rispetto e al godimento dell’ambiente è dedicata “Non si interrompono i sogni”. La sua terrazza romana in Via di Casal del Marmo era piena di rose gialle, le scale di casa e gli interni erano tappezzati di ghirlande rampicanti, di ciuffi di piante: un’ evocazione di quel mondo naturale che stiamo uccidendo. Il giallo era il suo colore (insieme al rosso, all’azzurro, al nero e al bianco). Il suo cane lassie che apostrofava “O cuccolo” si chiamava “Sole”. Silvana era energia solare, vocale e mentale, consacrata alla liberazione dalla crudeltà umana, maschile in prevalenza. Chiara è per Silvana la femminilità. La sua una voce da opera prestata al blues. Quanta voglia di vivere e di fare aveva Silvana, di partecipare a concerti per sostenere delle cause, di collaborare con artisti africani che le proponevo di incontrare… D’altronde Karl Potter è stato per anni il suo percussionista (insieme a Roberto Genovesi, alle chitarre e tastiere)!
Giuliano Bucarella, suo compagno di vita, fotografo e marito in questi ultimi giorni, ha rivelato che la notte del 21 ottobre nel dormiveglia Silvana ha detto: «Non lo sanno che chi non sogna non sa amare…!» E’ stato proprio per stare vicino a Giuliano, “…la mia esigenza di vita più vera, viva, intensa…è anche la tua, la nostra tenera convenienza” (“Almeno tentare”).. - afflitto da problemi di salute - che lealmente Silvana ha sospeso la sua attività negli ultimi anni, sperando arrivassero tempi migliori. Dal 2020 invece, è stato Giuliano a prendersi cura di lei. Abbracciamo Giuliano, tutta la famiglia di Silvana e in particolare il fratello Donato, che ha sempre condiviso l’impegno civile di questa sorella speciale.
Sciogliamo le barriere che a volte lasciano scompagnate le persone impegnate in obiettivi comuni e facciamo risuonare la voce profetica di Silvana nelle nostre lotte per migliorare l’esistente e renderlo libero, positivo e dolce, come lei. Andatelo allora a vedere il suo sito dedicato all’utopia: www.silvanasimone.com, Silvana Simone Biografia.
Inno della Marcia Mondiale delle Donne (2002)
Nell’utopia il seme da coltivare
Per la gioia di un mondo da liberare,
da un mondo vile di guerre e povertà
ci dissociamo, complici non ci avrà,
in marcia, unite e vere
controvento
vogliamo, esistiamo
in marcia, unite e vere
la stella che brilla in noi mondializzata sì va, sì che va
il multicolore, vita alla vita,
armonia, armonia sarà
in marcia unite, futuro con dignità
amore e pace di certo sarà!
(a cura di Patrizia Sterpetti, Presidente di WILPF-Italia)
OSSERVAZIONI SULLA POETICA DEL PROF.RE ALBERTO MANCINI
In angoli di terra
poco più in là, o sperduti
in luoghi un tempo visti più lontani,
risuonano clamori
e fremiti di vita non umani
A.M.
La poetica di Alberto Mancini è un ricamo di osservazioni e di contemplazioni dove la tessitura letteraria è nicchia dell'uomo al centro dell'universo in attesa di risposte e d'incanti.
La forza nella parola che il poeta esprime non solo diventa eco nella mente del lettore, ma si trasforma con grande trasporto in musica e immagine in continuo movimento.
Odori, rumori, colori, sensazioni vivide che il Mancini esterna con una limpidezza del verso da sentirne la sua stessa voce, voce che è sussurro, soffio gentile, preghiera e confessione.
L'arte del poetare è l'esasperazione dell'introspezione umana dove il bisogno dell'immediato, si fonde con l'accettazione delle nostre convinzioni. Chi scrive poesia, esprime ciò che l'occhio osserva e la mente indaga, fino ad assorbire la coscienza del proprio ego che non conosce menzogna e che non ha freni né catene.
Solo con la grande capacità d'espressione e la tecnica dell'idioma, si rende arte l'immaterialità del pensiero. Alberto Mancini è questo.
Grande espositore di vissuto e di analisi esplicativa, uomo di grande cultura e di enorme sensibilità, egli sa trasportarci nei luoghi che lui stesso vede, sia fisicamente che visitati con la mente, sa condurre alla riflessione, alla contemplazione del bello e allo stesso tempo ci indica l'innegabile filosofia della vita che attraverso la continua osmosi del tempo cambia e si trasforma.
Niente passa a lui inosservato e niente è senza valore per i suoi occhi che sanno scrutare i volti, le movenze, gli atti di chi intorno a lui si muove.
Pare quasi di vedere il poeta dietro ad una finestra dove il tutto è alla sua portata, perfino il vento e le stelle gli sussurrano parole e del cielo ne sente il pianto perché conscio del male che sotto esso, sovrasta in luoghi lontano e vicino a noi.
Mancini parla del tempo, dell'amore, dei ricordi, ha note di nostalgia del padre, parla dei Natali e non dimentica il dolore ch'egli assopisce con le carezze amiche delle parole dove le stelle, il cielo, il vento e il mare, lo accompagnano silenti e comprensivi al suo dire emozionale.
La poesia è sicuramente la branca letteraria più difficile in assoluto da scrivere; è facile cadere in retoriche o scadere nelle banalità, non è cosa semplice riuscire a intersecare le giuste metafore e la giusta tonalità o ritmo e molto spesso non emerge alcuna emozionalità, questo non è assolutamente il caso di Alberto Mancini che è indubbiamente uno fra i poeti più espressivi e più interessanti del nostro tempo, la sua classicità ci riporta a poeti del '900 quando la parola, la forma, l'eleganza erano priorità assolute del verso poetico.
Ogni lirica da lui esposta ha maestria evocativa e possiede una naturale inclinazione alla nitida sintesi verbale; egli sa ben fondere in un unicum l'immagine e la realtà e grazie alla fluidità del verso, alla levità e efficacia espressiva, una musicalità delicata si sprigiona dalle sue parole dove ogni accento cade con regolarità facendo scandire un ritmo armonico e gradevole all'orecchio oltre che alle corde dell'anima attenta.
...Che sarebbe la vita
senza un grumo di luce,
senza un sole che dentro
illumina le cose,
le fa più belle o scialbe di colori,
dall'ombra le solleva
e le ruba alla notte?…
In quella luce espressa dal poeta, tutta la speranza che dentro l'uomo è continua ricerca e motivazione a quel buio che ci circonda, il buio della fine, della paura e della morte stessa.
La luce, la vita, la riflessione, il quesito di un uomo che ha compreso quanto fondamentale possa essere la ricerca interiore di quel bagliore che è faro nella nebbia, la luce che è la forza per resistere.
Alberto Mancini, un grande osservatore, un eccelso uomo di cultura ed esemplare poeta del pensiero, quello stesso pensiero dove ognuno di noi trova una parte di sé poiché Mancini parla di vita, di attimi, di tempo di limiti umani.
Solo chi ha grande esperienza, chi ha della vita visto le ombre e le luci, può arrivare a rendere chiari concetti di grandi impatti emotivi cogliendone la filosofica trama che è appartenenza al mondo intero.
Note sull'autore:
Alberto Mancini fiorentino residente per moltissimi anni ad Arezzo è stato Docente di glottologia per molti anni all'Università di Urbino e docente Universitario in Linguistica Generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze. Sue molte pubblicazioni scientifiche riguardanti soprattutto le iscrizioni preromane dell'Italia Settentrionale e il latino arcaico e le lingue indoeuropee. Ha scritto numerose recensioni e prefazioni di testi di poesia e narrativa. Ha collaborato con vari siti e blog di letteratura. Presidente di giuria di dalle prime edizioni dello storico Premio Letterario Tagete di Arezzo.
Ha pubblicato libri di poesia “Frammenti di voce”nel 2006 (Editore Guerra di Perugia)
“Il riflesso nell'acqua e il vento” nel 2012 (Pubblicato per Edizioni Polistampa Firenze)
Nel 2017 ha pubblicato per Florence Art Edizioni la silloge “Nelle curve del tempo” dove il Prof. Giuseppe Panella nella sua prefazione sottolinea:
Mancini scrive della poesia, insistita metafora rocciosa e pietrosa della vita, soggetto che si identifica con la storia finora vissuta, delibata o rifiutata ma accettata nel tempo come percorso, come tragitto che valeva la pena di compiere."
Facebook, Instagram, Twitter, You Tube, Linkedln, Pinterest e altri social sono diventati ormai da anni un modo di essere, di esibire, di dire la propria attraverso post, link, video, foto e quant’altro. Una virtualità con la quale ci siamo abituati a convivere.
Secondo l’ultimo conteggio, gli utenti di facebook superano i 2.150 milioni di utenti attivi, praticamente una persona su quattro si connette a questo social, a seguire con circa 1.500 milioni di utenti di You Tube, seguito da Instagram con oltre 800 milioni di utenti attivi.
E’ innegabile che i social siano diventati indispensabili sia dal punto di vista personale che a livello commerciale. Vengono usati nei modi più disparati: per pubblicità, per ricerche, per creare collegamenti da una parte all’altra del mondo.
Le industrie, le aziende, i grandi colossi commerciali spesso si avvalgono del web agency, una figura professionale delle ultime generazioni che si occupa di rendere visibile quel brand, quell’industria o qualsiasi prodotto da pubblicizzare; i web agency sono richiesti anche dai alcuni partiti politici nei periodi di campagne elettorali o dai personaggi cinematografici e televisivi per avere più visibilità e consensi.
Chiunque può creare il proprio profilo, pagina o gruppo, chiunque può farsi pubblicità anche a livello imprenditoriale e organizzativo (advertising) attraverso quei strumenti esistenti all’interno dei social. Un mezzo che diventa indispensabile ma come ogni mezzo, anche il migliore, è opinabile e non porta solamente a risultati positivi.
Vi è l’altra faccia dei social; quella della solitudine, dell’incapacità a stringere rapporti umani, quella delle persone sole, annoiate, gente che cerca negli altri quella comunicazione che non riesce ad avere nella vita reale dove il giudizio spesso è una lama tagliente. Non parliamo poi dei danni anche psicologici (ansia, depressione, stanchezza) riconosciuti verso la popolazione dei teen ager per un uso e abuso dei social sia su smartphone che computer. E’ ormai comprovato quanto l’utilizzo su queste piattaforme abbiano la capacità di influire sul nostro stato d’animo, veder cosa capita di fronte a noi e malgrado noi, a volte può essere deleterio sopratutto in una persona con patologie di fragilità psichica. Ricordiamo che sui social è tutto visibile: le foto, gli stati, i post, i video. Pensiamo per un attimo a chi viene preso di mira e viene ferito, umiliato, dileggiato.
Molto spesso si dimentica che il social non è vita privata, ma siamo nomi e cognomi, siamo facce, siamo controllati da un indirizzo ip, siamo rintracciabili e riconoscibili. Siamo tutti personaggi dentro un social ma persone reali nella vita comune.
Lasciarsi assorbire da una dipendenza digitale che esula spesso dalla necessità del mezzo, diventa per molti, l’unico modo per creare legami, scambi di opinioni e discussioni anche con perfetti sconosciuti. Una dinamica sociale che crea una discrepanza nei rapporti reali.
Dall’avvento dei social, persino una telefonata diventa messaggio su WathsApp, su Messanger.
E’ indubbia l’utilità del social, aiuta in molte situazioni, è un deterrente fondamentale ai tempi di oggi ma restarne schiavi ci ha reso freddi e distanti ora più che mai. La vita è sulle strade, dove si lotta, dove si incontra, dove si tende una mano; la vita vera non si alita da un monitor, non si creano empatie reali attraverso una fredda tastiera.
Là fuori ci sono occhi da guardare, situazioni e possibilità che qualsiasi social esistente non potrà mai dare. La vita ha un respiro, il social si spegne con un clic.