L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Cultural Events (222)

    Marzia Carocci

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Fino al 7 aprile 2024, Firenze (città come pochissime altre già immensamente straripante di bellezza artistica) offrirà la possibilità di entrare in contatto con la particolare sensibilità estetica di Alphonse Mucha, considerato uno dei grandi padri dell’Art Nouveau.

La Mostra, allestita in maniera intelligente e suggestiva, presenta un percorso tematico e cronologico abbracciante oltre 170 opere, tra manifesti, libri, disegni, olii e acquarelli, nonché fotografie, gioielli e opere decorative, in modo tale da consentire di assaporare efficacemente la variegata sinfonia della raffinata iconografia di uno dei pittori più originali di fine Ottocento e di inizio Novecento.

Pur essendo prevalentemente dedicata alla produzione destinata al mondo dello spettacolo e a quello pubblicitario,  l’esposizione permette anche di intravedere il grande lavoro di riflessione teorica e di sperimentazione pratica che caratterizza un cammino artistico improntato alla ricerca della Bellezza, ma anche della Verità e dell’Amore. Mucha, infatti, come tanti altri artisti dell’epoca (da Kandisky a Balla, da Malevic a Mondrian), ha coltivato forti e sinceri interessi nel campo della filosofia spiritualistica, avvicinandosi, in particolare, alla cultura teosofica e finendo poi per  abbracciare il pensiero e l’opera della Massoneria. La sua arte, di conseguenza, nonostante l’apparente leggerezza che potrebbe, a volte, apparire  sconfinante nell’effimero, è animata e sorretta da un sincero anelito verso un mondo valoriale alternativo a quello della forza e del potere che divide e separa, che aggredisce ed opprime.

Lo scopo del mio lavoro - ci rivela -  era costruire, creare ponti; perché dobbiamo tutti nutrire la speranza che l’umanità si unisca”.

In lui, quindi, accanto all’appassionato amore verso la sua terra e la sua gente (che lo porterà a creare l’immenso ciclo della Epopea slava, senza alcun dubbio una delle vette più alte dell’intera arte contemporanea), incontriamo, in maniera analoga a quanto accaduto nei nostri Mazzini e Garibaldi, un indomito desiderio di affratellamento fra tutti i popoli in vista del raggiungimento di una agapica era di Pace.

L’Arte secondo Mucha è, pertanto, non solamente gioia sensoriale e sognante festosità, ma anche invito a colorare di allegrezza il vivere quotidiano, un invito rivolto indistintamente a tutti e non più alle cerchie ristrette ed esclusive delle élites dominanti. “Sono stato felice - potrà dire, operando una sorta di bilancio della sua produzione - di essere coinvolto in un’arte per il popolo e non per salotti privati. E’ stata poco costosa, accessibile al pubblico e ha trovato casa in famiglie povere, così come nei circoli più ricchi.”

Ed è forse questo l’aspetto della sua personalità che meglio emerge dalla Mostra fiorentina: il suo desiderio di coltivare un’ Arte capace di far entrare qualche raggio di delicata bellezza nelle case di tutti, rendendo le singole esistenze più ricche di colore, di gentilezza e di armonia.

 

 

ALPHONSE MUCHA. LA SEDUZIONE DELL’ART NOUVEAU

Museo degli Innocenti, Firenze

Fino al 7 aprile 2024

Informazioni: TEL. 0550981881

 

 

 

 

 

 

 

 Il premio a Carmen Lasorella

Nello splendido Teatro Civico di Alghero si è svolta sabato 16 dicembre la cerimonia di premiazione dell’edizione 2023 del Premio Nazionale Alghero donna di letteratura e giornalismo: vincitrici Carmen Lasorella nella sezione Prosa per il romanzo “Vera e i gli schiavi del terzo millennio” (Marietti1820); Antonetta Carrabs per la sezione Poesia con “La casa della poesia di Monza”; per il giornalismo sportivo Novella Calligaris e la prof.ssa Giuseppa Tanda Premio Speciale della Giuria per il progetto Domus de Janas da presentare all’UNESCO.

Apertura e chiusura musicale affidate al cantautore Antonello Colledanchise, in lingua algherese con il suo cuatro venezolano accompagnato dalle maestre di flauto traverso Isa Sanna e Elisa Ceravola .

I saluti istituzionali sono stati portati da sindaco di Alghero Mario Conoci, dal presidente del Consiglio Regionale della Sardegna on. Michele Pais e dall’assessore alla cultura della città di Alghero, Alessandro Cocco.

Come sempre la serata è stata condotta da Neria De Giovanni, ideatrice del Premio, che ha intervistato sul palco le premiate.

 

Della Giuria presente soltanto Giuditta Sireus, direttrice artistica del Club Jane Austen Sardegna, poiché i giurati Antonio Casu e Massimo Milza non sono interventi perché bloccati a Roma dai mali di stagione e Antonio Maria Masia per un concomitante evento del Gremio dei sardi di cui è presidente.

Proprio la Sireus ha aperto la serata con la motivazione al premio di Carmen Lasorella, Neria De Giovanni ha letto quella per la poesia mentre Speranza Piredda, presidente della Rete della Donne e Silvana Pinna della FIDAPA e UNICEF hanno letto rispettivamente le motivazioni per il giornalismo e il Premio speciale.

Media partner La Fiera Letteraria e portaleletterario.net

 

 

Le relazioni pericolose di Pierre-Ambroise-Francois Choderlos de Laclos a teatro con la regia di Francesco Branchetti 

“Nessuno può prevedere fin dove arriverà un desiderio contrastato.” — ( CIT. Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos)

  

"Le relazioni pericolose" è un romanzo epistolare di ben 175 lettere scritto da de Laclos del 1782, considerato un capolavoro della letteratura francese. Una narrazione sulle avventure libertine di due nobili francesi; la marchesa Merteuil e il visconte di Valmont.

Sabato 18 e domenica 19 novembre al Teatro di Cestello di Firenze, è stato portato in scena questo dramma molto difficile da eseguire in teatro poiché rendere lo scambio delle missive fra i due nobili scena visiva, è possibile solo se gli attori sanno ben interpretare i loro ruoli. In questo caso la rappresentazione è stata superiore alle aspettative. Un Branchetti che ha interpretato magistralmente il visconte di

                Francesco Branchetti e Corinne Clery

Valmont riuscendo a dare forza, carisma e carattere ad un personaggio difficile e controverso. Il modulare la tonalità di voce, le pause, il respiro, l'empatia attraverso la lettura è quanto di più difficile e complicato ci sia nel lavoro teatrale; Francesco Branchetti ha espresso con energia e maestria un ruolo che va oltre il dicitore riuscendo a convincere per tutto lo spettacolo lo spettatore attento e coinvolto fino alla fine. Una Corinne Clery meravigliosa che grazie al suo accento naturalmente francese, ha reso realistico ancor più il suo ruolo di marchesa Merteuil, maliziosa, induttrice, astuta, insinuante e femminile. Un'attrice di grande spessore e di immane qualità artistiche.

Altre due voci narranti sono quelle della presidentessa Madame de Tourvel e di Cecile Volanges interpretate con grande passione e trasporto da Isabella Giannone  e da Claudia Tortora. Una Giannone che non solo, ha doti espressive interpretative vocali ma pur restando immobile nel suo status attoriale di scena, pare ovunque tanta è la sua forza mimica facciale. Una storia fatta di gelosie, rabbie, imposizioni, sotterfugi e tradimenti dove ogni forma d'amore non è mai solo sentimento reale ma manovra infima con una conclusione amara per chiunque.

Corinne Clery, Marzia Carocci e Francesco Branchetti  

Il teatro è una rappresentazione dei riflessi umani, la difficoltà dell'attore è riuscire a renderli reali spesso soffocando momentaneamente se stessi lasciando entrare nel proprio corpo il personaggio da interpretare. Francesco Branchetti e Corinne Clery per un'ora e mezzo, hanno lasciato parlare un visconte e una marchesa da ricordare con i loro difetti, le loro gelosie, i loro inganni e le loro interminabili lettere al veleno.

 

"Le relazioni pericolose"con Corinne Clery, Francesco Branchetti, traduzione e adattamento di David Conati con Isabella Giannone e Claudia Tortora e Elisa Carta con Paolo Sangiorgio. Musiche di Pino Cangialosi.

Regia di Francesco Branchetti

 

 “Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto!”  (Eduardo De Filippo) 

 

Marco Predieri, classe '77 attore, drammaturgo,  giornalista, produttore, esperienza in radio e in politica.

Formatosi giovanissimo all’Accademia dei Piccoli con il maestro Dino Paretti

Oltre a lavorare in teatro dal 2007 partecipa alla registrazione di fiction radiofoniche e docu-fiction per Radio Tre Rai e Rai International . Ricopre anche incarichi come dirigente provinciale Acli, Consigliere d'Amministrazione Firenze dei Teatri, Direttore Artistico associazione culturale Altrove e Direttore artistico del Premio Stelle delle Spettacolo.

 

D-Buongiorno Marco, la tua attività di attore è ormai consolidata da tempo. Il Teatro è una tua grande passione fin dagli esordi.

Vuoi parlarci di questi?

 

R: Rispondere a questa domanda è semplice in apparenza. Potrei dire che da oltre 25 anni ormai calco il palcoscenico, con alterne vicende all'inizio, come tutti, e come tutti i teatranti sempre in cerca di nuove occasioni. Non so come sia nata in me questa passione, nel senso che, da che ho memoria di me stesso, c'è sempre stata. Io la sento come una vocazione, che poi è quella di raccontare, attraverso le mie possibilità; corpo, voce, sensibilità, la nostra storia umana, il nostro essere animali sociali nel bene e nel male, il nostro scorrere nel tempo. Questo fa sostanzialmente il teatro e infatti è qui che la risposta si complicherebbe. Ma per restare su un binario lineare e più personale posso raccontarvi di quando da bambino facevo la messa in salotto per mia nonna, che non usciva più. Lei pensava forse tipo di vocazione più "canonica", ma io sapevo già che stavo facendo teatro, la mia prima recita. Può apparire blasfemo, anche se è normale che un bambino non distingua, ma a guardare bene non lo è neppure da adulti. Il teatro rappresenta la sacralità della vita; per secoli è stato inteso proprio come un atto religioso collettivo, e anche in epoca cristiana le sacre rappresentazioni, per esempio, hanno svolto un ruolo apicale nella formazione popolare. Oggi mi considero in viaggio, nel senso che ogni nuovo spettacolo è una nuova prima volta, un nuovo tassello nel mio studiare da attore e in questa scuola spero di essere sempre un ripetente. 

 

D Hai lavorato con tanti attori e con numerosi registi. Nonostante la tua giovane età, hai avuto moltissime esperienze teatrali e non solo. Cosa ti ha entusiasmato di più e perché?

R: Grazie per la giovane età ... anche se tanto giovane ormai non sono più. Beh come detto mi entusiasma la possibilità di imparare sempre qualcosa di più, di giocare con me stesso e i miei strumenti, sperimentarli in nuove esperienze, siano nuovi ruoli o nuovi colleghi con i quali condividere la scena o da dirigere da regista, o dai quali farmi dirigere. Una delle cose meravigliose del teatro e dello spettacolo dal vivo è che non esiste una routine che ti invecchia nello svolgere il mestiere e se mai questa dovesse sopraggiungere allora vorrebbe dire che è arrivato il momento di mollare, perché non si potrebbe trasmettere più nulla di vero al pubblico. Mi entusiasmano gli incontri umani che questa vita un po' randagia ti pone di fronte, certo possono non essere sempre positivi, ma anche in quei rari casi offrono elementi di conoscenza e di crescita. Mi entusiasma poi, questo veramente tantissimo, ora che appunto non sono più di primo pelo, incontrare i ragazzi, lavorare con i giovani e giovanissimi e se ne ho modo, diventare io un po' sostegno per le loro gambe all'inizio del cammino. Personalmente non ne ho trovato molto quanto ho cominciato, per questo è per me un egoistico atto di amore, se e quando posso, mettere a disposizione quel poco di esperienza che ho, professionale e umana, per chi sta iniziando a percorrere questo sentiero. Poi dai ragazzi anche noi un po' più agè abbiamo sempre tantissimo da imparare o da ricordare di noi stessi. 

 

D Molti giovani vorrebbero approcciarsi al teatro; tu che consigli gli daresti?


R: Avere pazienza, costanza, nessuna fretta di arrivare, essere curiosi della vita, oltre la scena, e di tutto sulla scena, senza porsi pregiudizi o preclusioni di generi (cosa che spesso le scuole, mediocri, ti inducono a fare). Essere prima di tutto spettatori avidi e attenti, perché il più si impara osservando, carpendo e rubando dalle emozioni, ma anche dalla noia, che può trasmetterci un attore o lo spettacolo che stiamo vivendo dalla platea. Ricercare il passato, i grandi attori che sono scomparsi, anche nel bianco e nero, dove ancora si trovano i maestri da cui poi noi, contemporanei, abbiamo copiato e stiamo copiando tutto. Non farsi scoraggiare né da chi non li capisce, per esempio a scuola dove spesso chi ha interessi e orizzonti diversi  dal branco, rischia di trovarsi di fronte a episodi spiacevoli di bullismo, né dalle prime porte sbattute in faccia, perché tante se ne incontrano su questa strada. Il tempo alla fine è galantuomo e quello che non si considera mai da giovani, è che in realtà è il nostro primo alleato, perché davanti se ne ha tantissimo, per imparare, per sbagliare, per correggere il tiro e formarsi, costruire basi solide che sono fondamentali. Ovviamente tentare la strada delle scuole, ma di quelle serie e accreditate, che possono offrire anche possibilità di lavoro. Non ricercare mai il successo last minute o immediato, concetto oggi, nel mondo social assai complicato. La gavetta in sostanza resta il pane più nutriente di questo mestiere. Poi vorrei dire sia ai ragazzi che ai loro genitori di parlarsi apertamente, perché molti genitori vivono la vocazione allo spettacolo con preoccupazione e hanno ragione, è un mestiere instabile, ma se un ragazzo ce l'ha dentro di sé, non ci puoi fare nulla: cercare di impedirgli la strada non lo indurrà a cercare altro, anzi. Oggi tra l'altro la stabilità non esiste spesso neppure tra i lavori "canonici", pertanto, se ci sono i mezzi, il mio consiglio è sostenere sempre, se sincere e fondanti, le aspirazioni artistiche dei figli e a questi dico di parlare sempre molto apertamente con i loro genitori in tale senso, senza timori. 

 

D Quali sono le difficoltà nel portare la gente a teatro? Quali difficoltà si incontrano a livello organizzativo nell'ambiente artistico/teatrale?

 

R: Ho visto i dati Agis recenti e sinceramente sono molto preoccupanti. Lo spettacolo dal vivo dalla ripresa post pandemica ha perso il 25% del pubblico, un quarto di quella platea, già minoritaria, che andava a teatro. Questo non è preoccupante solo per gli addetti ai lavori, che ovviamente vivono di questo, ma anche per la società in generale. Il teatro è un momento di socialità pulita, una forma di comunicazione che stimola le emozioni, anche collettivamente, oltre che del singolo spettatore, induce a riflessioni, apre la mente e aiuta a consolidare o a formare l'indipendenza del pensiero e delle opinioni in chi ne usufruisce. In teatro ogni spettatore è allo stesso tempo regista di ciò che vede e partecipe di un'azione reale, che avviene lì tra esseri umani. Questo non è sostituibile da Netflix o dalla realtà virtuale, da internet, da quelle forme di intrattenimento che impigriscono e atrofizzano muscoli e mente. Non che siano negative a prescindere, per carità non dico questo, danno lavoro a loro modo, raccontano storie, ma non sono sostitutive e non lo saranno mai. Il covid ha mutato molto la mentalità del pubblico, lo ha reso sedentario, se si esce lo si fa per andare a mangiare, poi si rientra a casa a vedere un film in salotto: Oggi il teatro lotta anche contro questa nuova abitudine.  Bisogna anche ammettere che non sempre nelle ultime stagioni la qualità dell'offerta è stata eccelsa, a livello generale, il che non aiuta, ma questo va anche di pari passo a una contrazione delle risorse economiche o a un loro spreco, in certi casi evidente. A livello organizzativo non si sfugge da ciò che che complica ogni libero professionista o esercente di qualsivoglia genere, la burocrazia, a cui vanno aggiunti i costi di esercizio. nel caso di uno spettacolo i costi di tournée che non sono pochi, trasporti, alberghi, facchini. E' tutto aumentato, tranne le paghe degli attori e dei tecnici e, giustamente, per non scoraggiare il pubblico, i prezzi medi dei biglietti, che sono rimasti ai livelli del 2019/2020. Ma non voglio essere pessimista, Albertazzi diceva sempre che il teatro è un eterno moribondo da che è nato ma che non è mai morto perché non può morire. Io la penso come lui.

 

D Hai interpretato numerosi personaggi, spesso per farlo dobbiamo entrare in simbiosi con chi dobbiamo interpretare. A quale sei più legato? Perché?

 

R: Quei pochi che mi conoscono hanno già risposto ... Cyrano. Un personaggio in cui mi rispecchio anche come essere umano, nella vita di tutti i giorni. Perché? Io purtroppo sono così, e lo sono da prima di aver letto il libro e poi  di aver visto l'opera da ragazzo. La prima volta che l'ho incontrato, ed ero ben lungi dal fare l'attore, ci siamo capiti subito benissimo e siamo diventati ottimi amici, era destino che poi un giorno lo portassi in scena. Ma ogni personaggio ha il suo fascino, permette a chi lo veste di ricercarne dentro di sé gli aspetti più profondi, le pulsioni che lo spingono ad agire. Di un personaggio devi comprenderne il percorso umano per poterlo trasmettere in modo credibile al pubblico e in questo è molto utile il vissuto stesso di chi lo interpreta, per questo penso che ogni età abbia il suo personaggio giusto. Da giovani per esempio non si potrebbe mai interpretare Frate Lorenzo ma Romeo si, per fare un esempio concreto. Poi ci sono i cattivi, che sono forse i ruoli più belli  anche se io non ne ho

     Marco Predieri

interpretato nessuno,  non vedo l'ora che accada, magari Iago ... 

 

D Come in tutti gli ambienti artistici vi è spesso una difficoltà nel farsi conoscere, amare, approvare. Hai mai avuto personalmente momenti critici a causa anche di incomprensioni, di ostacoli anche a livello burocratico o organizzativo?

R: Momenti critici? Continuamente. Ultimamente non passa settimana in cui non pensi di smettere, credo sia la prima volta che lo confesso apertamente. Sono sempre molte le delusioni, sia professionali, lavori che saltano o non arrivano, difficoltà a intercettare il pubblico, che delusioni a livello  umano, magari con collaboratori o colleghi; non sempre è facile farsi capire o comprendersi a vicenda, forse però è così in ogni ambito, quello che le aggrava in questo è la totale precarietà e incertezza economica e non si può prescindere dalle necessità materiali della sopravvivenza. Però quando il tuo non è un lavoro ma una vocazione diventa difficile, se non impossibile, persino mollare, alla volontà si contrappone una forze più prepotente che ti induce ad andare comunque avanti, ma è una lotta faticosa, che spesso sfianca e serve equilibro in certi momenti per non "dare di matto", per usare un termine colloquiale. Come già detto la burocrazia sì ... ci si mette anche quella. Attenzione però, mi rendo conto che può sembrare mi contraddica, rispetto al consiglio di non ostacolare il percorso di un giovane che vuole fare questo mestiere. Non è così. Quello che racconto fa parte del bagaglio. Sono momenti, e quella forza prepotente che ti spinge è poi anche quella che ti salva e ti fa trovare le soluzioni. Fa tutto parte del gioco, se lo accetti non c'è ragione per non farlo il viaggio. Che poi qui, in questo contesto, rispondo a una domanda sulle delusioni, ma ci sono anche le soddisfazioni e magari sulla bilancia a conti fatti pesano di più e ci sono anche gli angeli che poi incontri e ti ritirano su.

 

D Qual è il pubblico migliore? sembra una domanda retorica e me ne rendo conto ma in realtà penso  che un pubblico non sia mai come un altro...

R: Il pubblico non è mai uguale, non lo è nella stessa città e lo è ancora meno viaggiando. Non esiste però un pubblico migliore e un pubblico peggiore, purché sia un pubblico educato. Lo spettacolo si fa sempre in due, chi sta sopra il palco e chi davanti, è uno scambio simbiotico, l'attore prende molto anche da ciò che gli trasmette la platea e lo usa, lo condiziona, nell'atto di recitare. E' sempre un incontro unico. Poi ovviamente oggi capita, neppure tanto di rado purtroppo, di trovare qualcuno che anziché guardati ti riprende, perché poi vallo a sapere, oppure che durante lo spettacolo risponde ai messaggi WhatsApp mentre l'attore sputa l'anima in scena e parlo anche da spettatore, oltre che da attore in questo caso, poi ci sono quelli che scartano caramelle di continuo... Sono atteggiamenti irrispettosi, sia di chi è in sala, che di chi sta lavorando, non solo disturbano ma sono indicatori di un diffuso malcostume, incapace ormai di distinguere l'uso privato del telecomando nel proprio salotto, dall'assistere un momento unico dal vivo  insieme ad altre persone e potendo avere di fronte il professionista che dona se stesso nel fare di tutto per provare a darti emozioni. Che poi, svelo un segreto ... chi sta in scena la luce del cellulare che illumina il muso da ciuco, mi si consenta la battuta, di chi si fa i cavoli suoi col cellulare, lo vede eccome, pure se miope!

 

D- A cosa stai lavorando in questo momento? Vuoi dircelo?

 

R: Ho tre spettacoli che si intrecciano. Sto per debuttare in un nuovo lavoro, con musica dal vivo e una compagna di scena formidabile, una grande artista, a livello internazionale, Donatella Alamprese, per la quale ho scritto un copione dove avrò anche l'onore di dirigerla, "E la musica va", la storia di un vecchio locale che sta per chiudere definitivamente, perché il gestore non c'è più e il suo erede, che in scena interpreterò io, è decisamente più interessato a vendere le mura che a proseguire l'attività. Mentre si stanno facendo gli scatoloni e si valutano le offerte, la cantante del nightclub proverà a convincere il nuovo proprietario che non è affatto necessario tagliare i ponti con il passato. Ovviamente non posso raccontare di più, se non che in scena ci sarà un band live e le musiche sono molto molto belle. Poi con Francesca Nunzi, altra straordinaria collega (quest'anno mi sono circondato di dive, ma sopratutto di persone bellissime), sto portando in giro "La governante di Cavour", una brillantissima farsa che racconta un Camillo Benso decisamente inedito, alle prese con il progetto dell'Unità d'Italia, tra stress, vizi e pasticci, dove poi sarà l'intervento di Mena, la sua Tata a sbrogliare le carte e portare a destinazione la nave dell'irredentismo. Uno spettacolo dove si ride moltissimo, con il contributo anche di un giovanissimo artista, a cui tengo molto, che ci ha prestato la voce e ci sostiene in molti modi, Giorgio Andolfatto, con una Nunzi pazzesca e dove però c'è anche tutta la storia, per come poteva andare e per come realmente è andata. Sempre con Francesca, con la sua regia, riprendo "Il Costruttore di valigie", un testo molto più personale che sta andando molto bene, due stagioni a Roma, dove si ritrovano molte tematiche che affronto in questa intervista, raccontando di teatro, aneddoti, di tenacia ma anche di figure delle grandi opere, come lo stesso Cyrano, accostate a me e alla nostra contemporaneità. Ci sono poi piccole cose che sto facendo per la tv ... e altri impegni in via di definizione. Chi vorrà potrà trovarmi in giro per teatri, un po' meno a Firenze quest'anno però, ma è bene non inflazionarsi troppo, altrimenti si rischia di venire a noia, che per un attore è sempre la cosa peggiore.

 

Lascio sempre uno spazio "bianco" ad ogni mio intervistato; uno spazio dove non vi è una mia domanda ma dove c'è la possibilità di comunicare, spiegare, annunciare tutto ciò che l'artista desidera.

Inizia da qui...

 

R: Ehhh il futuro di un artista è sempre un libro bianco, mentre il passato una catena di romanzi. Io mi considero un viaggiatore e davanti spero di avere tanti nuovi bagagli da riportare con me. Tanti sono i desideri, uno l'ho detto e lo rilancio come appello: interpretare un grande cattivo in teatro, mentre in cinema o in una fiction, vorrei interpretare il ruolo di una professore, che è la mia carriera mancata, se non avessi tentato la strada dell'arte. Poi mi servirebbero alcune cose si, altro appello, se qualcuno magari può "soccorrermi" ne sarei felice: mi manca un agente, ne avevo uno ma purtroppo non c'è più ... e non è facile trovarne di validi, vorrei mettere a disposizione la mia esperienza per aiutare i più giovani a camminare, se a qualcuno servisse un docente mi chiami, ne sarei molto felice, perché non credo riuscirò mai ad aprire una mia scuola, per altro troppe ce ne sono e non tutte troppo serie, poi non saprei da che parte cominciare anche solo burocraticamente. A molti artisti mancano spesso le figure tecniche di rifermento, commercialisti, organizzatori, chi si occupa di bandi e comunicazione ... produttori, ma anche solo esecutivi, non necessariamente che mettano i soldi, poi ovviamente anche quelli, dei mecenati. Ecco io concluderei con questo appello. Diciamo che i miei desiderati non sono successo, gloria, fama, ma possibilità di lavoro in serenità e sicurezza, il resto è fuffa, per carità se arriva si prende, purché arrivi però con l'amore del pubblico.

 

 

 

 

 

“Poesia semplicemente poesia” è un libro dove traspare fortemente la sensibilità  dell’anima dell’autore. Enzo Casagni  negli ultimi nove anni ha scritto tre libri autobiografici,  cinque quaderni poetici e con quest’ ultimo libro  è arrivato a cinque libri di poesie. Diverse negli anni sono le sue partecipazioni  a concorsi letterari dove ha ricevuto molte menzioni di merito, targhe e medaglie.

Enzo ha sempre mostrato fin da giovane, una predilezione per la poesia, dal momento che  amava  Catullo,  Saffo e D’Annunzio, proprio con  “la pioggia nel pineto”  apprese la musicalità del verso. Nel libro precedente “il deserto dipinge la mia anima”  le poesie  risentivano molto di  due realtà molto molto aggressive e dolorose: il Covid e la Guerra in Ucraina.. Le  strofe  di “Poesia semplicemente poesia”   invece sono  intime e spirituali scritte prima d quelle gravi problematiche e colpiscono come un canto liberatorio. Alcuni prose sono frutto di meditazioni avvenute dopo incontri spirituali, altre   sono espressioni esclusive del sentire dell’autore, dal momento che  la sua anima aveva  necessità di esprimersi. Tutti i versi di “Poesia semplicemente poesia”   non sono frutto di una ricerca intellettuale, ma di  espressioni spontanee  che rivelano immediatezza e spontaneità. Il Poeta in alcuni versi con  una semplicità intrinseca, descrive la bellezza del creato e  si  commuove alla vista di  un tramonto e dell’alba..

La prefazione di “Poesia semplicemente poesia” è a cura di Cinzia Baldazzi, critico letterario di fama internazionale, l’edizione grafica  è  elaborata alla perfezione da Maria Grazia Vai di Immagine ed Arte e la pubblicazione è stata resa  possibile grazie alla  Iucant Print.

 

Abbiamo incontrato Enzo Casagni per conoscere le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere il suo nuovo libro.  

Cosa provi Enzo dopo l’uscita del tuo libro?

Sento in fondo al mio animo una gioia profonda per essere riuscito a manifestare quello che io realmente sento e provo. Ho partecipato  recentemente ad una esposizione di libri alla  Prima Book festival  una interessante manifestazione che si è svolta a Roma nel quartiere della  Bufalotta a Roma .E’ stata grande la mia soddisfazione quando  Cinzia Baldazzi ha presentato  il mio libro. Quello che mi ha colpito soprattutto è quando ha affermato  che la distanza fra l’uomo e Dio per quanto mi riguarda è stata accorciata   dalla mia esperienza con Cristina, la mia adorata moglie che ho perso alcuni anni fa.  Per me lei è sempre stata la mia musa ispiratrice, senza fare un paragone eccessivo, quello che è stato  Beatrice per Dante e quello che è stato Laura per Petrarca.

 Cristina è sempre stata un punto fondamentale della tua vita e non la dimenticherai mai.

 

Si infatti nel libro c’è molto di Cristina. Nella prefazione c’è una lettera che io ho scritto a lei che sta lassù e le dico  “ti prego leggi questi versi lassù tra le nuvole e le stelle” e poi nell’epilogo del libro c’è un poesia che io ho scritto nel ricordare il nostro primo incontro avvenuto a Monte Follonico in Toscana.  Ricordo anche il giorno ed era il 24 luglio del 1962 quando ci incontrammo per la prima volta  in una pensione che si chiamava  Anna. Quando entrai e  vidi  Cristina seduta su una sedia la invitai ballare, era una canzone di Gino Paoli, Sapore di Sale. In quel momento è come  se intorno a noi non esisteva  più niente, soltanto noi due, poi da quel giorno, non ci siamo più lasciati..

 

Nelle poesie del tuo ultimo libro traspare ottimismo, sei d’accordo?

 

Non lo chiamerei  ottimismo,  piuttosto realismo perché la vita esiste e nessuno può distruggerla.  La vita è una forte realtà che si rivela  con la venuta di Gesù Cristo che poi con il suo sacrificio  si rivolge  all’uomo “non vi dovete preoccupare perché la vita è con Voi e vi seguirà sempre”. La morte è solo un riposo temporaneo, perché poi  lo spirito e l’anima riprenderà il corpo in cui è vissuta. Dobbiamo sempre tener presente chi è l’autore di questi doni ed io dico che bisogna ringraziare ogni momento che noi respiriamo e bisogna rivalutare quello che noi abbiamo. Oggi siamo abituati a dare tutto per scontato,   ma non è assolutamente così.

 

Sorge spontanea una domanda, ma tu quando stavi con Cristina, già scrivevi?

 

Io ho sempre avuto un grande amore per le poesia e fin da ragazzo già scrivevo. Mi ricordi di aver scritto  un piccolo libro dove c’erano annotate  diverse mie poesie ma poi smisi di scriverle  quando conobbi Cristina. Quel libricino che poi lo regalai si chiamava “sentieri”  perché attraverso questi sentieri io vedevo una piccola luce che era la nostra speranza. Con il tempo  continuai a scrivere soltanto qualche meditazione a livello spirituale, perché ho sempre frequentato gruppi spirituali. Quando stavo con Cristina ritenevo di avere tutto e quindi non avevo bisogno di scrivere, nel momento in cui  lei se ne è andata  alla vigilia dei nostri cinquanta anni di matrimonio, una parte di me si è dissolta  e la poesia  si è improvvisamente  rifatta viva. Ha cercato di aiutare a esprimermi e mi aiuta a manifestare tutto il  mio amore nella solitudine.  Il mio  dolore come scrivo in una poesia  non è fine a se stesso è anche calore, perché ha come origine, l’amore.

 

C’è vita oltre  la morte, cosa ti ha spinto a scrivere questa poesia ?

 

Questa poesia è il frutto di incontri spirituali, perché dobbiamo riflettere  al sacrificio che Gesù ha fatto per noi, quando  si è incarnato e ha detto  all’uomo “guardate che la morte è stata sconfitta da me  e quindi oltre la morte c’è la vita”.  Questa è una realtà che  molti  non riconoscono, oltre la morte c’è sempre vita ed è anche una legge fisica perché siamo fonte di una energia che non si  può distruggere. Questo è un esempio per chi ci vuole credere:  la vita esiste  oltre la morte e l’anima non può morire e  continua a vivere.

 

Cosa ci puoi dire del tuo modio di intendere la poesia?

 

Oggi compio 82 anni e vorrei ringraziare chi ha creduto in me e mi ha concesso di vivere  questa realtà che  non avrei mai immaginato. La poesia io credo che aspettasse solo l’occasione giusta per manifestarsi. Quando ho un’idea, scrivo di getto la poesia, la lascio in un file e poi la riprendo dopo qualche tempo per vedere la sua musicalità, ma in genere non modifico quasi   niente. C’è stato un periodo in cui scrivevo quasi esclusivamente di notte e quando sentivo un’emozione, andavo subito al computer a fissare l’idea.  Tu sai che io per abitudine mi porto con me copie delle mie poesie e alcune volte le faccio leggere a persone che incontro occasionalmente, così  la gente rimane sorpresa, si commuove e alcune  volte mi abbraccia. E’ questo che apprezzo maggiormente, vedere nei loro volti la soddisfazione. 

Grazie Enzo Casagni

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  Mimmo Castellano

Ormai è un evento riconosciuto. Il Premio di giornalismo "Mimmo Castellano" si svolge domani 20 ottobre a Pagani in provincia di Salerno.

E' organizzato per la XII volta dell'Assostampa Campania della Valle del Sarno. Mimmo Castellano è stato un autorevole giornalista della carta stampata, scomparso nel 2008. Per lunghi anni è stato Segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa e Vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti della Campania.

Il 20 ottobre con inizio alle ore 15,30, al  Teatro S. Alfonso M. dei Liguori si ritroveranno giornalisti, personalità della cultura e delle istituzioni per ricordare il collega ma anche per riflettere sui mali della professione in Italia.

La libertà di informazione corre rischi molto seri, sia per gli effetti della crisi economica generale, che per errori strategici degli editori.

In questi due estremi si inserisce  la qualità dell'informazione sempre più alla ricerca di scoop e con notizie prive di approfondimento.

 E' noto che nelle redazioni dei giornali il clima non è sereno se solo si considera il ricorso a cassa integrazione, prepensionamenti, precariato, revisione di contratti di collaborazione. Più della metà dei giornalisti italiani, risulta iscritta all'INPS con l'altra metà stressata da vendite che calano, bilanci in rosso e proteste senza efficacia.

Dove si andrà a finire di questo passo? Si fanno i conti con le storiche battaglie per la libertà e la tutela della professione.

Anche una libera organizzazione come la FLIP contribuisce a difendere il prestigio di una professione fondamentale per la democrazia.

A Pagani si parlerà di tutto questo a partire dal ruolo della stampa locale. Il focus è dedicato a : " Il valore Il valore della stampa locale, attraverso l'etica e la deontologia del giornalismo in un mondo rivoluzionato dalla comunicazione-informazione. Due universi in contrasto". 

L’evoluzione dei sistemi di comunicazione e delle tecnologie non può andare a danno della correttezza e della pluralità delle voci.

La stampa locale resta un presidio di civiltà e di cultura per chi vive il territorio.

In Campania ci sono testate giornalistiche regolarmente in edicola o on line da 40 anni.

La loro testimonianza farà da cornice al dibattito tra il tesoriere del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti, Gabriele Dossena, il presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli, il presidente del Movimento Unitario dei Giornalisti, Mimmo Falco.

 

 

   

 


“Premio Italia diritti umani 2023” ®

 

Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Free Lance International Press Antonio Russo.
via Ulisse Aldovrandi 16 c/o Unar - ROMA

ROMA 14 Ottobre 2023


Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.


In collaborazione con  -

 

 

               Modera e presenta il premio: Neria De GiovanniFree Lance International Press
Presidente dell’associazione Internazionale Critici Letterari

Saluti del Pres. della Free Lance International Press Virgilio Violo e Antonio Masia Pres. dell’UnAR - Ore 15. 50

Interventi

Massimo Tomaselli –Coord. Resp. coop. “il Futuro Quadrifoglio”
ore 16,00

L’assistenza domiciliare integrata nel trattamento delle dipendenze patologiche

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Patrizia Sterpetti – Presidente di Wilpf Italia – ore 16.20
"Diritti umani e militarismo"

 

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           Ornella Mariani Forni –  scrittrice - ore 16,40
 
“Informazione e diritti umani”

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Buffet ore 17.00

 

I vini offerti

Spumanti

Corte Aura

Cascina San Pietro

Barone Pizzini

Ferghettina

Vini Bianchi

Moncaro

Livon

Scubla

Ricasoli

Elena Walch

Masottina

Pievalta

La Scolca

Vini Rossi

Casale del Giglio

Sannio Consorzio Tutela Vini

Fontanavecchia

La Guardiense

 

Cantina di Solopaca

Fattoria La Rivolta

Cantine Tora

Cantine Iannella 1920

La Miniera del Convento

 

Serra degli Ilici

Il Poggio

Corte Normanna

Elena Catalano

Torre Varano

Viticoltori San Martino

 

 

 

 

Ore 17,30 - FerdiNando Maddaloni  presenta un estratto da

“SE CHIAMI UN DIRITTO RISPONDE UN DOVERE”

di & con Ferdinando Maddaloni
monologo ispirato alla vicenda giudiziaria relativa al duplice delitto di Ponticelli del 1983

 

                          PREMIAZIONE ore 18.00   

 
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Coordinatrice l’attrice Mariella Guarnera, consegnano i premi e leggono le motivazioni gli attori:
Annalena Lombardi, Patrizia Tapparelli, Alessandro Peccolo 

 

PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI  A  MONICA LENTINI
legge la motivazione Alessandro Peccolo

 

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PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI  A  ANNA SELINI
legge la motivazione Annalena Lombardi

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PREMIO ITALIA DIRITTI UMANI  A  ARNALDO VITANGELI
legge la motivazione Patrizia Tapparelli 

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PREMIO ITALIA ALLA CARRIERA A  SERGIO TIBERTI
legge la motivazione Mariella Guarnera 

 

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PREMIO ITALIA ALLA CARRIERA A  GIORGIO VITALI
legge la motivazione Virgilio Violo

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Galleria d’arte “Sempione” - Donate opere degli artisti: 
Stefania Pinci, Sergio Saviantoni, Stefano Sesti

 

A sorpresa hanno concluso la serata gli amici della Guarner Bros

 

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foto di gruppo

 

 

 

 

                                 

Sabato 7 ottobre inizia la due giorni di manifestazioni e degustazioni enogastronomiche nel borgo di Lollove, che oggi appartiene alla Città di Nuoro, posto ad una ventina di chilometri dal capoluogo barbaricino, scelto quale tappa della rassegna annuale “Autunno in Barbagia”, con il contributo dell’organizzatore Assessorato alle Attività Produttive e Commercio del Comune di Nuoro. 

“Carrèras de Lollobe”, in lingua sarda, sono denominate le due giornate di sabato 7 e domenica 8 ottobre che si apriranno ricordando Grazia Deledda. Sarà infatti Neria De Giovanni a raccontare alle ore 10:30 in una lectio magistralis il coinvolgimento narrativo di Lollove, teatro della vicenda narrata nel romanzo “La madre” del 1920. La descrizione delle case e delle strade di Lollove, che nel romanzo la Deledda chiama Aar, sarà preceduto da una apertura istituzionale in cui verrà presentato il pannello turistico-letterario che l’Associazione Salpare, presieduta da Neria De Giovanni stessa, ha realizzato all’interno di un vero e proprio percorso turistico- culturale che coinvolge 19 paesi, uniti nel progetto “Il cammino di Grazia – The path of Grazia” finanziato dal Comitato per le Celebrazioni Deleddiane, a memoria dei 150 anni dalla nascita della scrittrice. 

Spazio anche alla musica e alla poesia itinerante lungo le casette e i vicoli in pietra del paese, con i componimenti musicali di Valentino Sedda all’organetto e Marco Mura del Movimento Artistico “Poesie per Strada”, che intratterranno i visitatori tra note e versi tanto il sabato quanto la domenica sino a sera. Intrattenimento anche per piccoli e adulti grazie al laboratorio ludico dei Grandi Giochi di Legno, allestito presso il Giardino Casa Gusai in via Roma, dall’Associazione Culturale Lughené. 

Previsto inoltre l’Infopoint attivo mattina e sera presso la Chiesa di Santa Maria Maddalena, monumento storico seicentesco del paese e, sul medesimo sagrato, lo scrittore algherese Massimiliano Fois che presenterà il suo “Breviario per notturni campestri” (Nemapress edizioni), con un concerto poetico accompagnato da radiofrequenze, chitarra armonica e voce di Quirico Solinas e violino di Dario Pinna. 

Conclusione del sabato alle ore 20:00 presso la corte di Casa Borra con la videoproiezione del film “I Giorni di Lollove”, dei registi Figus e Piras e la collaborazione dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico e del Consorzio per la Pubblica Lettura Sebastiano Satta che, attraverso le riprese fatte dal vero nel 1989, mostrano una Lollove di ben 34 anni fa, ricreando così una ambientazione agropastorale, la cui vita era scandita dai tempi delle campagne e delle festività religiose.

 

 

«Se ne sta seduta tutta dritta sulla poltrona, con il braccio proteso a ricevere la medicazione e, mentre io suono per lei a ripetizione il tema dell'Andante del Trio op. 100 di Schubert, la luce sul suo viso è così intensa da irradiare di un flusso scintillante tutta la stanza, le infermiere e perfino me. All'esterno, anche la quercia dai larghi rami riceve quel luccichio copiosamente. Almeno così mi sembra, quando la saluto per andarmene». Quando Claire Oppert, violoncellista di fama internazionale, non è in giro per il mondo a dare concerti o impegnata con i suoi allievi, suona per i malati terminali, per gli autistici o per gli afflitti da demenza. Con penna delicata e poetica, la musicista racconta gli incontri straordinari che ha avuto. Donne e uomini che il canto del violoncello ha rasserenato, stimolato o confortato.

La musica al capezzale dei pazienti diventa un riparo contro la malattia, contro il dolore. Il momento musicale fa emergere ricordi e tocca quella parte di ognuno di noi che è viva e integra. 

Nata a Parigi in una famiglia di medici e artisti, Claire Oppert è diplomata presso il rinomato Conservatorio statale di Mosca “P. I. Tchaikovsky”, laureata in filosofia e ha conseguito il diploma universitario in arteterapia. Riconosciuto e apprezzato nel mondo scientifico, il suo protocollo

medico – la Cura Schubert – allevia il dolore e l’ansia dei malati. 

Tradotto in più lingue, La Cura Schubert ha vinto il prestigiosissimo Prix Littéraire des Musiciens. 

L’artista al termine della presentazione del suo libro, svoltasi qualche giorno fa presso la “Galleria Sempione” a Roma, ha fatto un piccolo recital riscuotendo successo incondizionato; sono stati eseguiti alcuni brani del repertorio che ha ideato per i suoi pazienti nei quali spicca il tema dell’Andante del Trio per pianoforte n. 2 in mi bemolle maggiore, op. 100, di Franz Schubert.

 

Su  IBS

 

Ciao Riccardo, ti ringrazio per l'opportunità che mi dai ad intervistarti.

Inizi la tua carriera nel 1979 con gli Extra, nel 1983 ti presenti al Festival di Sanremo, hai inciso diversi album oltre che avere collaborato con Aleandro Baldi e Don Backy. Tanti impegni, tante serate e buona musica. Vivi in un bosco, immerso nella natura dove lavori ai tuoi progetti, ti occupi da anni  come volontario a impegni con anziani e disabili ai quali porti musica e canzoni. Un bell'esempio per molti.

D- Come vedi l'attuale panorama musicale?

R- Non vedo positivamente il panorama musicale attuale, trovo che vi sia più una ricerca della spettacolo, della visibilità che dell'attenzione alla musica. Lo dimostra anche il fatto che si vendono più chitarre elettriche che quelle acustiche e questo purtroppo dimostra anche la fine del cantautorato che era tipo del nostro mondo musicale italiano. Adesso con i talent che non amo, si va alla ricerca di qualcosa o qualcuno che a distanza di qualche tempo verrà sicuramente dimenticato. Negli anni 70 mai nessuno si sarebbe messo di fronte a una giuria a farsi dire cosa cantare, come cantare, come muoversi ecc... La musica è ben altro. Anche Sanremo ha perduto il suo antico fascino, tutto adesso è solamente spettacolo da vedere. Mi spiace affermare quanto dico ma confermo che il panorama attuale non è un contenitore di buona musica ma di esibizioni senza anima. Amo Battisti, e fare un confronto mi resta così difficile con quello che vedo in giro.

D- L'ambiente della musica come quello di ogni tipo di spettacolo, ha i suoi pro e i suoi contro:

     Vuoi parlarcene?

R- Ho iniziato a "frequentare" la musica a 12 anni con la chitarrina che mi regalò mio padre, ho fatto parte di gruppi durante il mio excursus giovanile fino all'incontro con Foffo Bianchi produttore che mi ha dato diverse possibilità portandomi in quella che adesso è la Sony. L'ambiente della musica è un po' quello che si trova in altri mondi artistici fatti di impresari, di sottobosco, di gelosie, parole non mantenute ecc. Personalmente e fortunatamente io non ho fatto questo tipo di incontri. Anzi, ci tengo a ringraziare fra tanti amici, Carlo Conti che mi ha proposto partecipazioni importanti che ho fatto con piacere. Io sono comunque un solitario, non amo la mondanità. Conosco e frequento forse più attori che cantanti. Comunque, tutto sommato devo dire che io non ho conosciuto quelle brutture che si dicono cattiverie o sgambetti.

D- Quale la più grande gioia e quale la peggiore delusione in ambito artistico?

R- La mia più grande gioia è sicuramente quella che avevo atteso e sognato fin da ragazzino, arrivò a 27 anni; un contratto vero, l'attenzione di un produttore di un'importante  casa discografica, la realizzazione del mio primo 45 giri, sentire la mia musica nelle radio, avere le prime interviste, le prime esperienze alle quali ci tenevo veramente tanto e soprattutto essere accettato da chi amava la mia musica. Le delusioni? certo che ci sono; perché non parlarne? ogni anno propongo per esempio a Sanremo due canzoni e non vedere mai alcuna attenzione, non avere risposte e riscontri non è certo un piacere. Forse qualcuno avrebbe potuto aiutarmi ma non è stato così Ho sempre pensato che dovremmo piacere al pubblico, all'ascoltatore e non al produttore, al discografico, alle agenzie, non sono loro che decretano il successo di un brano. Ma come ho già detto sopra, il mondo musicale ha preso una strada diversa, c'è un cliché di base, si sceglie ciò che non è melodia, non escono più quelle canzoni che si possono fischiettare finito il Festival. E' chiaro però che non dobbiamo incasellarci solo ed esclusivamente nella kermesse di Sanremo, ci sono tantissimi altri spettacoli, serate, e incontri musicali- Io ho avuto ultimamente per esempio la collaborazione con il grandissimo Don Backy  e cantare con lui una canzone scritta da me dal titolo "Araba fenice". Lui carinamente mi ha regalato un suo brano, molto bello intitolato "Vi lascerò". Io credo che la vita di un artista non deve mai proiettarsi solo sul domani ma sul dopodomani. In attesa di accadimenti e voglia di fare. Questo atteggiamento a me non manca.

D- Cosa nei pensi dei talent?

R- So benissimo che con questa mia risposta verrò "massacrato" dai più giovani perché sono molto negativo nei confronti dei talent- Questi, a mio parere, rovinano i ragazzi, li piegano e li rendono privi di personalità. Non tutti arrivano, non tutti sono all'altezza di una certa bravura. A mio parere i talent sono solo un business, una modalità come un'altra per fare soldi e audience; un contenitore mediatico dove vengono inseriti giovani speranzosi con poco o niente talento per altro giudicati da chi a volte non ha neppure la giusta esperienza e tutto per un ascolto molto alto. Personalmente, per mia esperienza, ho avuto un produttore che non ha mai voluto plasmarmi a suo gradimento, ma anzi, ha cercato la gemma artistica dentro di me senza mai condizionarmi o snaturarmi. Ho cullato per anni  un sogno che poi ho finalmente avverato ed è quello di entrare nella scuola di cantautorato a Firenze alla ricerca di talenti senza però doverli cambiare o renderli diversi da ciò che sono. Cerco quella "gemma" di cui ti ho detto prima, quel qualcosa che ci riporti alla melodia, all' armoniosità della musica italiana. I talent sono solamente un mercificare alle spalle di quei giovani che spesso vengono illusi...Siamo un popolo di naviganti, pittori, scrittori, musicisti e artisti e tali dovremmo restare senza condizionamenti e manipolazioni alcune.

D- Tornassi indietro rifaresti tutto daccapo o cambieresti qualcosa?

R- Ho pensato spesso a tutto ciò che ho passato nei miei anni fin dagli esordi, tanto da avere scritto un libro che uscirà a Natale; il libro mi è stato richiesto dall'editore dopo avere partecipato ai Migliori anni di Carlo Conti. Scrivendo il libro nel silenzio del mio bosco, mi sono reso conto di ricordate tutto ciò al quale non avevo più pensato e ho riflettuto che se tornassi indietro nel tempo, rifarei  ogni singola cosa. Ho tanti progetti e tante cose belle già in cantiere; la collaborazione con il tenore Stefano Fini, molti progetti con Silvia Papucci un video da presentare e tanti sogni da sviluppare. Tutto quello che ho fatto lo rifarei, tutto quello che ho fatto è il Riccardo che sono.

D- Descrivi il valore della musica

R- Bellissima domanda: cosa è la musica? io devo molto alla musica, la musica mi ha aiutato a sopperire dolori e sofferenze, prima fra tutte la morte di mio padre. Ricordo il mio primo chitarrista, Franco, che mi portava in un paesino vicino a Firenze dove suonando per ore dimenticavo il dolore  insieme ad altri musicisti che suonavano con me. E' stato molto importante, in quei momenti la musica, quella musica che sapeva darmi calore e riusciva a staccarmi dalla sofferenza e da ogni pensiero negativo. Questo è accaduto anche per altre forme di dolore che non menzionerò, il dolore legato alle persone che ho perduto nel tempo. Chiaramente il valore della musica non è solo analgesico per i momenti dolorosi: il valore della musica io l'ho scoperto a volte andando a cercare qualcosa che neppure sapevo cosa fosse.

La musicoterapia per esempio che svolgo  da tanti anni nelle strutture sanitarie per anziani è un qualcosa di così stupendo che non andrebbe raccontata ma vissuta. Ho avuto esperienze meravigliose in mezzo a quelle persone stupende che a causa di malattie neurologiche e legate alla senilità avevano ormai racchiuso nei cassettini della loro memoria il loro vissuto ma che al sentire una melodia, un suono, una canzone riuscivano per qualche attimo a riaprirli vivendo istanti di scintille di memoria subito richiusi con il finire della canzone. Sono cose che non si dimenticano e ti fanno capire quanto sia importante la musica; ognuno può farla sua, ognuno può sentirla in modo differente ma l'impatto con il suono musicale ha grande empatia con l'essere umano. Un'altra esperienza che mi da molto è quella della condivisione della musica con i ragazzi disabili che seguo. Vedi nei loro occhi tanta felicità che è impossibile da descrivere. Va vista! Nicola che è sulla sedia a rotelle balla a suo modo sulle note delle canzoni di Zucchero; Patrizia napoletana, ama quando le canto una canzone della sua terra e muove il solo arto che può muovere; una mano. La musica è un dono, la musica può dove nient'altro arriva. Non sono un santo né un benefattore ma adoro portare la musica là dove si può assopire il dolore e la tristezza. La sanità dovrebbe inserire in più residenze la possibilità di creare questo tipo di spazi che a mio parere hanno una grande importanza a livello emotivo-emozionale.

D-Hai qualcosa che vuoi tirare "fuori dai denti"?

R- Sembrerà impossibile ma non ho mai avuto situazioni così negative da poter prendere posizioni negative verso qualcuno o qualcosa. Io ho sempre pensato che la gelosia e l'invidia ci siano ma come scelta di vita sono distaccato da questa problematica che non mi tocca assolutamente. Non fa parte di me.

D- Hai sogni nel cassetto? novità in arrivo?

R- Sono un Ariete, e ne rispetto il segno perché amo molto lavorare, lo faccio spesso sradicando l'erbacce e i rovi intorno a casa, sistemare la stalla del mio cavallo, pulire dietro casa e tanti altri lavori. Mi piace farlo. Sogni artistici nel cassetto?  ne ho diversi e molti ancora da completare bloccati dal periodo covid. Uno di questi è elaborare la seconda parte di "Amici miei" che realizzai nel 1999. Si tratta di un cd audio dove nella seconda fase c'è fra i tanti amici, Sergio Forconi, Giovanni Lepri, Massimo Antichi e tanti altri. Poi dovrò dare il via a un video ormai finito e che dovrà avere poi il suo excursus. In atto anche un progetto che dovrò andare a discutere con la fondazione Turati, si tratta di un video per un canto popolare; una storia molto bella di un amore durante la guerra, una storia emozionale. La canzone fu molto apprezzata da Francesco Guccini. Sto lavorando inoltre a un mio nuovo cd per il quale ho già scritto le musiche. Nella testa anche un progetto forse ambizioso del quale non voglio ancora esternarne i dettagli

D- Come uomo, cosa ti fa più male e cosa invece ti da energia interiore?

R- Ti rispondo subito: mi fa male vedere come l'uomo distrugge l'ambiente, gli alberi, le foreste, il verde che sono gli elementi naturali che ci servono per la vita e mi fa molto male anche notare come l'essere umano fa del male agli animali, non sopporto vedere il massacro delle balene, il dovere ridurre gli animali della foresta africana a numeri esigui. Che mondo lasceremo ai posteri? Mi chiedo che futuro avranno i nostri figli, nipoti (ne ho uno di sei anni), e poi che dire dei mari? ormai recipienti di plastica, sporco da non possedere più l'ossigenazione giusta per la fauna acquatica.

La spinta positiva invece? sperare che ci siano importanti scoperte nel campo medico, trovare una farmacologia che possa lenire i dolori di quei mali complicati e dolorosi. Ho sempre pensato però che forse, se qualcuno avesse fatto meno breccia sul danaro per arricchirsi, tagliare ciò che invece si doveva ampliare, qualcosa in più si sarebbe potuto fare. Spero di sbagliarmi, lo spero proprio...

Hai qualche riga per te, un piccolo spazio libero dove esprimerti liberamente. Cosa vuoi dirci?

Voglio ringraziare Marzia per questa intervista, ciò mi ha dato la possibilità di raccontarmi e raccontare tutto ciò che mi ha circondato fino ad oggi. Mi reputo una persona felice perché ho potuto coltivare la mia passione senza che nessuno mi abbia mai ostacolato; persino i miei genitori mi hanno in qualche modo aiutato e mai scoraggiato.

La felicità la troviamo anche nei piccoli spazi con i quali possiamo condividere con le persone. Qualcuno ha detto che sono un asociale perché ho deciso di vivere in un bosco a contatto con la natura. Amo invece stare con le persone che non m'impongono però di essere diverso da ciò che sono. Un tempo non amavo i social ma mi sono ricreduto perché ho potuto ritrovare attraverso questa modalità tante persone delle quali avevo perduto il contatto. Anche un saluto, uno scambio, uno ciao da un social è sempre bello.

Grazie di cuore Riccardo, grazie di essere sempre molto disponibile...

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