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Marzia Carocci
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C’era una volta Piazza della Baldracca
E’ noto a tutti che l’edificio di Piazza Signoria fu commissionato da Cosimo I dei Medici, Granduca di toscana per la costruzione di uffici (uffizi) giudiziari ed amministrativi
Fu richiesto a Giorgio Vasari che doveva progettare il palazzo proprio vicino all’abitazione del Duca e andava esteso fino al fiume Arno. Era il 1560 c.a.
In cinque anni fu costruita buona parte del Palazzo nel 1565 fu completato anche il famoso “corridoio Vasariano” costruito per l’occasione del matrimonio fra il figlio di Cosimo de Medici, Francesco e Giovanna d’Austria.
Alla morte del Vasari nel 1574, i lavori furono continuati dal Buontalenti e Francesco I dei Medici, a lui si deve la creazione della Galleria.
Negli anni a venire molte le collezioni sono entrate a fare parte del museo fra più importanti al mondo; opere d’arte antiche e moderne comprensive di armi, gemme e strumenti appartenuti a grandi scopritori, scienziati e inventori come ad esempio Galileo Galilei.
La galleria fu aperta al pubblico nel 1789 con milioni e milioni di visitatori all’anno.
Settecento anni prima, nello stesso spazio dove adesso ci sono gli Uffizi, in pieno medioevo, vi ergeva uno dei quartieri più malfamati della città: il quartiere di Baldracca. Ladri, ubriaconi, assassini, bordelli e malcostume serpeggiavano in quell’ambiente losco e equivoco. Volgarità, degrado e sporco erano il vivere comune di chi ci abitava. Il nome “baldracca” non è derivato dal modo come i fiorentini definivano la prostituta ma dall’osteria in sito che era nominata “osteria di Baldracca”. L’osteria si denominò Baldracca per una storpiatura del nome Bagdad, la città dei califfi erroneamente scambiata all’epoca per Babilonia considerato il luogo dove tutto è fuori controllo dove caos e disordine prendono il controllo di tutti e tutto. L’osteria per voler dei medici viene del tutto cancellata e sostituita dal “teatrino di Baldracca” dove gli attori stessi pagano affitti per mostrare i propri spettacoli alla presenza di donnine succinte e provocatorie. Un piccolo teatro che non può contenere più di 400 posti e dove vi sono piccoli spazi per la nobiltà che segue dietro a grate per vedere in anonimato.
Nel XV secolo però i Medici presero potere e commutando Firenze da Comune a Signoria decisero di fare “pulizia” da quel degrado allontanando quel ceto non certo “elegante” e di classe. Il quartiere, con il suo giro poco raccomandabile si spostò così in Piazza della Passera rinominata dopo Piazza dei Sopiti fino a quando nel 2005, l’allora Assessore Eugenio Giani, le ridette il suo nome autentico. Riguardo al toponimo originale, pare che in quella zona vi fosse una casa di tolleranza dove fu “ospite” perfino Cosimo I dei Medici Granduca di Toscana.
Firenze che respira, che incanta che risorge che declina e risale. Firenze segreta fra grettezza e nobiltà ma sempre immersa nella bellezza da guardare, da scoprire da amare proprio come una bella donna dai mille riflessi, dai sorrisi limpidi o sornioni, dagli sguardi aperti o indagatori. Firenze culla di artisti, pittori, scultori, inventori e che dire di Dante?
Intrighi di potere, leggende da respirare e misteri da scoprire in ogni angolo della città. Possiamo amarla, criticarla, additarla, viverla ma è indubbio che la sua storia è ancora storia in ogni angolo dove solo l’uomo ne scalfisce la bellezza. Ma questa è un’altra storia...
Calamity Jane non si disintossicò mai dall’alcol; la bottiglia fu sempre presente nella sua vita. Morì sola, depressa e alcolizzata in un hotel il primo agosto 1903. Aveva 51 anni. Non si saprà mai se a causa dall’alcolismo, da una polmonite o altro. Il suo corpo verrà sepolto vicino al cadavere di Hickok nel cimitero di Mount Moriah all’interno di una fossa comune. Fu una sua espressa richiesta in vita.
Jane fu sicuramente una figura scomoda e imprevedibile, ma non va dimenticata anche la sua generosità verso i bisognosi. Diede prova di altruismo durante l’epidemia di vaiolo che si abbatté sugli abitanti di Deadwood nel 1876. Lavorò giorni e notti come infermiera: donò cibo, imboccò gente, lenì ferite, confortava i malati. Non si risparmiò fisicamente. Mai un grazie o un riconoscimento. Dopo la sua morte fu trovato un diario dove Calamity Jane scrisse fino agli ultimi giorni della propria vita. Il diario era rivolto a Janey, il figlio. Per molti studiosi però quel diario non fu altro che uno scrivere a se stessa.
L’epistolario fu scritto fra il 1877 e il 1902
Al termine di questo, Jane scriverà:
“Io credo che questo diario sia quasi finito” riferendosi alla propria vita giunta quasi al termine.
Di seguito la sua ultima lettera impressa nella raccolta (giugno 1902) era chiaramente rivolta a Janey
“Mi sento male e non ho molto da vivere. Porterò con me molti segreti Janey: Cosa sono e cosa avrei potuto essere. Non sono nera come mi hanno dipinta. Voglio che tu lo creda. Gli occhi mi hanno privata del piacere che provavo guardando la tua foto. Non ci vedo più a scrivere. Devo dirti qualcosa. Se mai venissi quaggiù, metti a posto la mia vecchia casa e sii certa di trovare il Generale Allen di Billings. E’ stato un buon amico. C’è una cosa che ti dovrei confessare ma proprio non posso. Me la porterò nella tomba. Perdonami e tieni conto che ero sola”.
Calamity Jane diverrà a breve cieca e non continuerà mai più il suo diario.
Jane fu sicuramente una figura scomoda e imprevedibile, ma va ricordata anche la sua generosità verso i bisognosi. Diede prova di altruismo durante l’epidemia di vaiolo che si abbatté sugli abitanti di Deadwood nel 1876. Lavorò giorni e notti come infermiera: donò cibo, imboccò gente, lenì ferite. Non si risparmiò fisicamente. Mai un grazie o un riconoscimento.
Ndr Non so quanta realtà ci fosse nella figura di Calamity.Jane ma sono certa di quanto potesse essere scomodo esaltare una figura femminile forte, determinata, reazionaria oltre che prevaricatrice verso l’uomo. Una donna dall’atteggiamento volgare che sparava come un uomo, cavalcava come un buttero, si ubriacava nei saloon, si prostituiva, comandava spedizioni e spesso surclassava intere schiere di uomini. Tutto ciò sarebbe stato come ammetterne la forza o addirittura la superiorità della donna in un mondo e in un’epoca estremamente maschilista. Certo è che vi sono storici che ne cancellano addirittura l’esistenza, altri che la reputano solo bugiarda e infingarda, altri ancora che nemmeno si sono presi la briga di approfondirne il passaggio.
Non tutto fu verità nella sua vita, molti fatti furono inventati da lei. Molte date infatti non collimano con ciò che asseriva come l’avere avuto il figlio con Bill Will (i tempi erano improbabili) Quello che è certo fu la sua presenza nella storia del West, donna guerriera, pistolera, combattente e determinata.
A questo punto facciamoci una domanda: “Come sarebbe stata la sua vita se la madre (prostituta) non fosse morta in quel viaggio e il padre non avesse abbandonato i sei figli lasciandola a 13 anni con un’enorme responsabilità?.
Chi era Martha Jane Cannary?
La sua leggenda continua...
Enzo Martano nasce a Calimera in provincia di Lecce nel 1965. Il suo percorso artistico inizia da autodidatta nel 1991, con le prime realizzazioni di opere ispirate ai bellissimi paesaggi locali dove il fascino della natura salentina immersa tra mare e ulivi secolari, guidano i primi passi della sua arte. Affetto da retinite, Enzo è costretto a fermarsi per sottoporsi a vari interventi che gli consentono, dopo qualche anno, di riprendere i suoi lavori con una rielaborazione del tutto nuova di colori, forme e tecniche. Enzo inizia quindi un nuovo percorso artistico e tanti nuovi lavori. Tra questi, le figure umane, spesso di natura etnica, ricorrono il suo repertorio. Figure che emozionano e che suscitano sentimenti forti, come i drammi e le loro storie di vita.
Le sue opere sono state selezionate alla Biennale d'Europa che partirà a ottobre 2022, esporrà a Parigi, Barcellona, Londra, Venezia, Padova, Firenze, Mantova, Gravina di Puglia, Lecce, Matera e Roma. E’ stato visionato da critici Internazionali come Mario Salvo e il Principe Alfio Borghese che ne hanno decantato l’operato artistico. Ha partecipato a Concorsi Internazionali come il Premio Raffaello Sanzio, Premio Art Key Agropoli, Premio Michelangelo Buonarroti dove ha ricevuto il premio d’onore con encomio, Premio Luxemburgo 2021, e Premio Giacomo Balla con mostra collettiva assieme all’ attrice Adriana Russo.
In basso le mostre e i concorsi a cui ha partecipato.
MOSTRE
Giugno 2020 Varaggio Art ( Liguria)
Agosto 2020 mostra personale presso Centro Accademico Maison d’ art Padova
Settembre 2020 mostra collettiva presso Galleria On Art Firenze
Dicembre 2020 Collettiva Mincio arte Mantova
Maggio 2021 Trofeo Citta’ di Lecce
Giugno 2021 Collettiva MY TOWN Gravina di Puglia BA
Luglio 2021 Collettiva presso Galleria Internazionale Area Contesa Via Margutta
Rassegna D’Arte Woman presso Galleria Casa Cava Matera
CONCORSI
Premio Intenazionale Raffaello Sanzio Roma
Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti Lucca
Premio Luxembourg Art Prize Lussemburgo
Premio Internazionale Art Key prize Salerno
Enzo Martano |
Renata Mazzei è attrice dal 1998, insegnante di teatro dal 2002 e PhD in Performing Arts presso l'ECA-USP. Nel 2009 ha completato il suo master all'ECA-USP con la ricerca "Aikido e il corpo dell'attore contemporaneo", un'arte marziale praticata per 13 anni. Come risultato pratico, ha ideato il monologo "Separação de Corpos", di cui è autore e che è stato presentato a São Paulo (BR), Ouro Preto (BR), São José (Costa Rica) e Città del Messico (Messico). Nel 2007 è entrato a far parte del CEPECA (Centro di ricerca e sperimentazione scenica degli attori) con sede presso l'ECA-USP e insieme agli altri membri del CEPECA ha lanciato i libri “CEPECA: Uma Oficina de Pesquisas 1 e 2” (2010/2014) . Nel corso della sua carriera ha partecipato a spettacoli che spaziano dal realismo al teatro fisico come "Medo...desejos", sempre di lei e Uma Questão de Tempo, di Alberto Guiraldelli.Nel 2011 ha vissuto in Inghilterra dove ha partecipato al corso “Act Creation Course” al Circomedia-Bristol e ha tenuto workshop con rinomate compagnie teatrali britanniche come Complicitè e Trestle. Nel 2012 ha partecipato al film "Do Lado de Fora" di Alexandre Carvalho (2013), nel telefilm "A Grávida da Cinemateca" di Christian Saagard (2015) e un episodio della serie HBO brasiliana “O Negócios” (2015) Per undici anni ha insegnato in corsi professionali come Recriarte e Teatro Escola Macunaíma. Nel 2017 si ‘e trasferita a Firenze e ha fatto diversi corsi e workshop di approfondimento come una specializzazione sulla tecnica di Meisner all'Accademia di Inflorence, un workshop con Thomas Richards su Grotowski, e lo workshop - La voce nella dimensione gestuale e performativa con Francesca della Monica. Nel 2018 e 2019 a Roma ha partecipato allo spettacolo Le Tre Sorelle, adattamento del testo di Anton Chekov, per la regia di Daniele Nuccetelli.
Conosciamo meglio Renata:
D- Vuoi parlarci dei tuoi inizi?
Ho iniziato a fare teatro amatoriale quando ero adolescente perché ero appassionata di teatro fin da bambina. Quando ho sperimentato nella pratica, ho visto che essere un'attrice era la mia più grande passione. Questo mi ha portato a seguire un corso tecnico professionale e subito dopo ho avviato una compagnia teatrale col marito di allora e altri due attori a Sao Paolo. È stato un inizio difficile perché non avevamo i soldi e nemmeno un posto per lavorare, ma poco a poco abbiamo ottenuto riconoscimenti, uno spazio per i laboratori e presentare spettacoli, abbiamo ottenuto alcuni bandi e abbiamo iniziato a vendere spettacoli. In quell'inizio, parallelamente al teatro, insegnavo inglese e portoghese. Era molto dura perché spesso lavoravamo tutto il mese senza alcun profitto, ma piano piano venivamo ricompensati per quello sforzo. Nel 2006, dopo il divorzio, ho lasciato questa compagnia teatrale e ho iniziato ad agire in autonomia. Questa é stata un'altra fase difficile, portandomi comunque molte soddisfazioni. È stato durante questo periodo che ho iniziato ad insegnare al Teatro Escola Macunaima, la piu grande scuola di recitazione a San Paolo, dove ci sono rimasta per 10 anni.
D- Molte sono state le tue esperienze teatrali, vuoi parlarcene?
Ho concluso il corso professionale in Teatro nel 1998 e poco tempo dopo ho iniziato la prima Compagnia di teatro. Con questa compagnia di cui ho fatto parte dal 2000 al 2007, ho creato insieme agli altri attori "Nasus e Flora- una storia d'amore" (2003-2006), presentato in Brasile e in Australia, "Solitudine" (2004) di Steven Berkoff, spettacolo presentato al 9 ° Festival de Cultura Inglese in cui sono stata anche traduttrice e produttrice, "A Proposito di Sogni e di Speranza" (2006) spettacolo ispirato alle opere di Paulo Freire e "Itas Odu Medea" (2006) adattamento del mito di Medea, ispirata dai rituali del Candomblé.
Dopo la mia esperienza con questa compagnia ho fatto diversi corsi per migliorare sia come attrice sia come insegnante di recitazione. Per cui dal 2006 al 2009 ho fatto un Master in Arte Scenica presso l'Università di São Paulo (USP) con la ricerca "Aikido e il corpo dell’attore contemporaneo”, arte marziale praticata per 15 anni. Come risultato pratico ho realizzato il monologo “Separação de Corpos", il cui debutto è avvenuto nel maggio 2009. Questo spettacolo è stato presentato a São Paulo (BR), Ouro Preto (BR), San Jose (Costa Rica) e Città del Mexico (Mexico). Da questo lavoro ho sviluppato il workshop "Aikido e la poesia del corpo dell'attore", che ho insegnato in Brasile nelle officine culturali Oswald Andrade, SP Escola de Teatro, vari campi della USP per attori e non-attori. Dal 2013 al 2018 ho fatto il Dottorato di ricerca in Arte Scenica con la ricerca "Aikido e capoeira come fonti di ispirazione per la drammaturgia dell'attore" presso l'Università di São Paulo (USP). Durante questa ricerca ho realizzato “Amleto", spettacolo basato sul lavoro omonimo di William Shakespeare.
Nel 2007 sono entrata a far parte di CEPECA (Centro di Ricerca e Sperimentazione Scenica dell'attore) con sede presso ECA-USP. Insieme con gli altri membri del CEPECA, ho contribuito ai libri "CEPECA: Uma Oficina de PesquisAtores" (2010) e "CEPECA: Uma Oficina de PesquisAtores 2" (2014).
Dal 2007, quando ho iniziato il percorso autonomo, ho realizzato gli spettacoli di teatro fisico “Separação de Corpos”, "Medo ... desejos” ed ho partecipato a Uma Questão de Tempo", di Alberto Guiraldelli, regia Monica Granndo. La drammaturgia di tutte e tre gli spetacoli fu il risultato di una creazione collettiva.
Nel 2012 sono entrata a far parte del gruppo di cinema AP 43 come attrice ed ho partecipato al film “Do Lado de Fora” di Alexandre Carvalho (2013), al telefilm “A Grávida da Cinemateca” di Christian Saagard (2015) e ad un episodio della serie brasiliana HBO “O Negócio" (2015).
Nel 2015 ho fondato con Christiane Lopes la “Das Duas Cia” ed in teatro il primo spettacolo fu “Memorie Postume di Brás Cubas” di Machado de Assis, uno fra i piú grandi scrittori brasiliani.
Nel 2011 mi sono recata in Inghilterra dove ho partecipato del corso di teatro fisico “Act Creation Course" a Circomedia- Bristol e ho partecipato a workshop con rinomate compagnie teatrali britanniche come Complicitè e Trestle.
Per undici anni ho insegnato recitazione e linguaggio del corpo in corsi professionali in Brasile come Recriarte e Teatro Escola Macunaíma.
Nel 2017 mi sono trasferita a Firenze per fare corsi e workshop con Francesca della Monica, Thomas Richard e Tim Daish e nel 2018 sono stata invitata a fare parte dello spettacolo Le Tre Sorelle, un adattamento del testo Ti Anton Tchekov, a Roma.
Dal 2019 impartisco lezione privata di recitazione e oratoria e collaboro con la Associazione Sconfinando come insegante di teatro in Inglese ai bambini.
D- Non è sempre facile che la meritocrazia aiuti chi della sua professione metta anima e corpo: tu hai trovato difficoltà?
Si è vero. La meritocrazia non è sempre presente in questo settore ed è per questo che è sempre molto difficile lavorare col teatro. Sono pochi soldi per molti artisti e in questa competizione non sempre vince il progetto migliore. Ma non mi sono mai abbattuta. Anche se non ho guadagnato o vinto premi come meritavo, ho sempre fatto del mio meglio perché a prescindere da questi aspetti, il pubblico merita sempre il meglio dell'artista.
D- Nella tua lunga esperienza di attrice cosa ti è entrato più nel cuore?
Il rapporto con il pubblico è ciò che apprezzo di più in questo lavoro. Mesi di fatica, crisi, problemi, vengono sempre premiati quando siamo davanti a quelle persone che sono venute a vedere cosa è stato fatto. E questa connessione è sacra.
D- Cosa consiglieresti ai giovani che si apprestano a studiare per essere un giorno attori?
Fare del proprio meglio e fallo sempre con il cuore. Essere un attore di teatro è un lavoro che richiede molto sudore e se non è fatto con tanto amore e dedizione, o se è fatto solo per il perseguimento della fama, è meglio non farlo. Prima che il pubblico provi piacere nel vedere il lavoro di un attore, credo che l'attore debba provare molto piacere in ciò che fa. E inoltre, deve leggere molto, andare a mostre, vedere film, guardare spettacoli, osservare la gente per strada, viaggiare, conoscere culture diverse e tutto ciò che serve ad ampliare la prospettiva di se stesso e del mondo che ci circonda.
D- Vuoi raccontarci del pro e del contro che s’incontrano nella tua professione?
Ci sono molti pro e contro. Come contro, vedo la mancanza di meritocrazia e principalmente la mancanza di apprezzamento dell'arte nel suo insieme in diversi paesi. L'arte è spesso vista solo come un intrattenimento superfluo che ne possiamo fare anche a meno. È necessario guardare all'arte come a qualcosa di essenziale per l'educazione di chiunque perché l'arte ci aiuta a vedere meglio il mondo e le persone. Così come può essere un vantaggio per tutti, può essere un vantaggio anche per l'attore. Come attrice ho imparato a vedere l'essere umano più profondamente. Viviamo così tante vite diverse che questo ci fa capire la complessità degli esseri umani. Penso sia una esperienza molto ricca. Inoltre, riuscire ad avere questo rapporto vivo ed energico con il pubblico, solo il teatro te lo può dare, e questo non ha prezzo.
Cara Renata, lascio sempre una “domanda bianca” che non contiene quesiti ma solo uno spazio libero perché ogni artista da me intervistato, possa avere libertà di parola e di richiesta.
Per tanto scrivi i tuoi desideri, le tue paure, le tue gioie o incertezze.
A te la parola…
Come artista teatrale vorrei che il teatro, nella sua accezione più artigianale, fosse valorizzato come una grande arte. L'attore riconosciuto e aprezatto è di solito il famoso, quello che lavora con i grandi media. L'artista teatrale stesso dovrebbe essere valutato per la qualità del suo lavoro, indipendentemente dal suo nome. Gli operatori teatrali hanno diritto ad una vita dignitosa come qualsiasi altro professionista.
Un'altra cosa che vorrei dire sul teatro è che il teatro è uno strumento con un forte potenziale di trasformazione e consapevolezza sociale. Può affrontare in profondità i problemi sociali e umani al fine di sensibilizzare le persone a determinate questioni. Ha il potere di sollevare le persone dall'inerzia e farle pensare a ciò che le circonda. Ma non credo sia sfruttato in questo modo come dovrebbe. E uno dei motivi è la mancanza di fondi. Secondo me dovrebbero esserci più spazi teatrali con finanziamenti per mantenere gli attori nella produzione di spettacoli, ricerche, insegnamento, promozione di discussioni e dibattiti. Questo aiuterebbe anche la formazione del pubblico che spesso non ama il teatro perché non lo conosce.
E infine, vorrei parlare di qualcosa di più personale. Fare l'attore o l'attrice non è facile, richiede molti sacrifici e abdicazioni per la mancanza di risorse, le ore di prove, la natura stessa del teatro chè creare usando il proprio corpo, e a volte, mi sono chiesta se fosse la decisione giusta seguire il teatro o se sarebbe stato meglio optare per qualcosa che mi desse una maggiore sicurezza finanziaria. Non mentirò che ci ho pensato più volte, anche per la paura del futuro in un mondo capitalista che punisce l'invecchiamento. Ma finisco sempre con la stessa conclusione, che non avrei avuto le meravigliose esperienze che ho avuto nella vita se non fosse stato per il teatro.
Sabrina Capurro |
Sabrina Capurro nasce a San Giovanni Valdarno il 10.09.1968. Inizia la sua avventura artistica quasi per caso, grazie all'artista Carmelo Librizzi che vede una sua opera. Le propone una mostra personale. Il successo è immediato; la pittura di Sabrina è molto apprezzata sia dalla critica che dalla stampa.
Cinque le collettive con pittori Americani e Indiani; espone a Firenze al Teatro della Pergola e alle Giubbe Rosse
Nel 1998 Sabrina crea una nuova tecnica di pittura denominata “tecnica diamante” lavorata con gli smalti cosmetici da unghie. Altro successo immediato dal 2000 al 2005 Sabrina espone alla Fortezza Da Basso a Firenze e al Borro presso lo stilista Ferragamo.
Nel 2006 l'artista si ferma con mostre personali e collettive tornando sulla scena nel 2014 con la seconda nuova tecnica di pittura personalizzata “Oil_Seta” eseguita con i colori ad olio e gli ombretti per il trucco. . Nuovo successo. Dal 2014 al 2017 la Capurro espone in otto mostre personali, sette collettive e tre mostre /concorso.
Nel 2018 espone per sei mesi alla Galleria d'Arte Rocca Gallery a Firenze; nello stesso anno partecipa alla biennale a Venezia in una collettiva a Capri ea Napoli, sempre nel 2018 è presente sul CAM catalogo Arte Moderna per la Cairo Editore.
Nel 2020 in piena pandemia covid mentre il mondo si ferma, la Capurro dà vita alla sua terza tecnica personale “Cristal” elaborata con cristalli e ombretti da trucco; tecnica unica al mondo tanto che per evitare plagi, l'artista decide di autenticarla con la propria impronta digitale dando vita così a dei quadri-gioiello.
Nel 2019 partecipa per pura curiosità ad un concorso di pittura su internet: viene in seguito contattata per la sua arte moderna e particolarmente innovativa oltre che unica nel suo stile. Le viene proposto di farsi conoscere nel mondo. L'artista prende tempo molto tempo nella sua carriera ha incontrato profeti che le hanno proposto e promesso in realtà che non hanno mai mantenuto le promesse fatte.
Ma qualcosa le dice che stavolta non sarà così e ricontatta la persona interessata e accettando l'allettante proposta. Il suo istinto aveva ragione; oggi la sua arte è certificata a livello europeo e mondiale con stima economica. Attualmente parte del suo lavoro si trova in Austria, a dicembre 2021 sarà a Miami.
Sabrina però non si ferma: attualmente sta creando dei veri quadri- gioiello dove non usa colori e pennelli ma perle per creazioni. Ecco che nasce”Fantasy new art”. Sarà la sua ultima tecnica?.
La Capurro è stata definita genialità e cuore: All'attivo ci sono premi a molti concorsi nazionali e internazionali; molti vinti, altri con menzioni di merito e di onore. Sabrina Capurro è anche poetessa e creatrice di gioielli ma questa è un' altra arte...
D- Quando hai iniziato a scrivere poesie?
Qui sorrido: ho iniziato a scrivere da bambina; mia madre raccontava le favole e io riscrivevo a modo mio quelle che non amavo. Avevo circa 7 anni. Col passare degli anni essendo di natura una persona molto timida ho scritto le emozioni che provavo, con frasi e pensieri; a 14 anni ho partecipato ad un concorso per una casa editrice di fotoromanzo. Si trattava di scrivere una breve storia d'amore: Eravamo 400 partecipanti ed io sono arrivata al decimo posto vincendo prodotti cosmetici e il mio nome venne pubblicato sui giornali poi sono passata a scrivere in prosa i miei libri
D- Quali libri hai pubblicato?
Ho pubblicato fino ad oggi tre libri; due auto auto il primo nel 1999 dal titolo “Parole e immagini” d'amore il secondo nel 2015. Entrambi sono stati dei successi il terzo, nel 2018 “la rosa nera” pubblicato da una casa editrice che ad oggi, posso dire un vero flop dal momento che la casa editrice non gli ha dato la giusta attenzione. In programma ho altri tre libri: uno di cucina, un romanzo e la mia autobiografia ma prima vorrei tornare a ripubblicare “la rosa nera” perché ci credo con tutta me stessa.
Vuoi condividere una tua poesia con noi?
La rosa nera
Eri una rosa bellissima
di un colore unico e raro:
nera.
Eri ammirata e amata
in tutto il tuo mistero
ma qualcuno non ha sopportato
tutto quel risonante interesse
intorno a te,
ti voleva negare.
Ha cominciato a strapparti
i petali e le foglie con rabbia,
dovevi soffrire.
Ha tagliato i tuoi rami
ed infine ti ha strappato alla terra
e lasciata lì a morire,
su di te sono passate
tempeste, freddo e gelo,
nella totale indifferenza di tutti.
Ma una mattina hai avuto
una nuova vita,
sei rinata
da una piccola radice rimasta
più forte e robusta di prima, sei rinata
di un colore diverso
rosso fuoco
i tuoi petali sono puro velluto.
Si, sei rinata
contro la società cinica
in cui viviamo.
Lotta e vinci
non permettere
che ti uccidano ancora.
Hai una manualità invidiabile. Quando hai iniziato a creare oggetti?
Qui torno a sorridere e torno bambina, ho iniziato con le bambole, il cotone la lana le perline ei bottoni.
Mi spiego meglio: a 10 anni creavo i vestiti ad uncinetto per le Barbie, poi pupazzi che lavoravo con la lana, ricordo che adoravo fare le lumache ei polpi. Creavo poi i braccialetti col nome a telaio ma non usai mai i telai benché mi aiutavo con i libri. Credo di avere la manualità nel mio DNA.
D- Che tipi di oggetti crei adesso?
Adesso creo gioielli di alta bigiotteria frutto del mio ingegno creativo con perle e cristalli. Gioielli particolari e pezzi unici che indossano le miss del concorso di bellezza denominato “Miss bellezza Latina e questo dal dal 2016. Poi creo oggetti particolari e unici di uso comune con le mollette di legno ma solo su richiesta…
D- I tuoi quadri hanno la particolarità di un genere che non credo sia attuato da altri.
Vuoi parlarcene? Quali sono i materiali che usi?
Sì faccio un tipo di arte personalizzata; amo creare, non mi piace fare parte della massa artistica etichettata. Sono autodidatta e gestisco da sola i miei eventi e le mie mostre personali: Le ho sempre organizzate e gestite personalmente. Dipingo su tela, vetro, muro, legno. Oltre ad usare colori da pittura, uso cosmetici per il trucco: smalti, ombretti, cipria, adesso uso anche cristalli e perle.
D- Hai fatto mostre? Colomba?
Nel mio percorso artistico fino ad oggi ho fatto molte mostre, tante personali, collettive mostre concorso viaggiando per tutta Italia e adesso in Europa.
D- So che hai novità importanti nel settore dei gioielli e dei quadri/gioiello. Vuoi parlarcene?
Nel settore dei gioielli il mio obiettivo quello è diventare stilista e avere un atelier personale per la mia linea di gioielli. Adesso sto creando gioielli dove in genere si usa il telaio mentre io uso un’altra tecnica che non svelo. A dicembre la mia nuova collezione denominata “Sogno ed Eleganza” sarà presente in una rivista artistica a Miami e di questo sono molto contenta.
D-Adesso vorrei fossi tu in prima persona a dirci dei tuoi propositi, le tue scelte e cosa ti aspetti da questo fantastico e matto mondo artistico.
Qui tocchiamo una nota dolente. Nel mio percorso artistico ho incontrato tanti pagliacci, profeti, chiacchieroni. E’ vero non sempre c'è meritocrazia, molto spesso si va avanti con le conoscenze e le spinte. Personalmente ho creduto molto nella mia potenzialità artistica e sono andata avanti. Ho incontrato persone che dicevano di non potermi recensire perché non sono famosa, molti che non credevano nelle mie potenzialità e nelle mie qualità Oggi dimostro il contrario e a futuri artisti dico di andare avanti, di perseverare negli obiettivi previsti e molto importante di non farsi illudere da nessuno ma credete solo in se stessi..
D-In questo mondo artistico spesso vi sono vari tipi di ingiustizie o comunque di una scarsa meritocrazia. Sei d’accordo? Vuoi spiegarci la tua personale esperienza?
Cara Marzia, dopo quasi 25 anni in questo mondo fatto di luci e ombre i miei progetti sono decisi e concreti. Sono determinata a fare conoscere la mia arte nel mondo in tutti i miei riflessi artistici:pittura, gioielli, scrittura. Resterò comunque me stessa anche se più forte perché l’arte si ama e si difende!
PS dimenticavo: è in cantiere un cd di canzoni fatte dalle poesie ed un lavoro teatrale ma... ne parleremo più avanti.
E noi dopo avere ascoltato dalle parole di Sabrina le auguriamo tutto il meglio possibile n questo mondo artistico non sempre puro come l’acqua di fonte.
Di seguito una mia recensione personale fatta a Sabrina qualche tempo fa ma che riassume un po' il suo viaggio fra parole e colori.
Sabrina Capurro è un’artista che spazia in più dimensioni creative. Nasce a San Giovanni Valdarno dove vive. La sua dote e particolarità è il comunicare la propria interiorità in qualsiasi arte si appresti. Una fine poetessa che attraverso la musicalità dei versi rende il proprio pensiero forte o delicato, di monito o di soffusa femminilità. Spesso sono poesie introspettive dove non nasconde mai le proprie debolezze o la rabbia strappata a morsi dai ricordi che le hanno fatto male. Non si nasconde, anzi si apre al mondo quasi per bisogno vitale, non mente, non indora la parola per piacere ma la produce per testimoniare la sua presenza in questo mondo dove tutto non è rose e fiori, ma dove la lotta è spesso il male odierno. Poetessa d’amore, di rabbia e dolore, poetessa del tempo che scorre, che toglie e che a volte pietoso qualcosa regala. Un’artista di grande talento anche attraverso l’arte dei gioielli di ricca bigiotteria. Elaborazioni eleganti, sofisticate, indubbiamente di alto livello sia di materiale che di impatto visivo dove bellezza del risultato artistico, chiara a tutti le rende il giusto successo di pubblico. Pietre di ogni colore, modelli unici spesso abbinati in parure di un’eleganza unica. I monili sono richiesti anche per concorsi di bellezza. Sabrina Capurro è inoltre creatrice di oggetti di utilizzo comune ma con quell’eleganza che la contraddistingue in qualsiasi attività di adoperi. Sabrina non è solo una particolare artista ma anche una creatrice di eventi. Sua è la promozione dell’estemporanea di poesia che ha portato avanti per alcuni anni in modo encomiabile e con la grande umiltà che la rende ancora migliore di quello che già in realtà è. Pittrice appassionata e di grande inventiva. Ha creato nuove tecniche: “tecnica diamante”dove il materiale è lo smalto per unghie, “tecnica oil seta”dove l’artista usa principalmente colori ad olio in miscellanea a ombretti per il maquillage. Palette di colori che lei sfuma con grande maestria e dimestichezza riuscendo a comporre pezzi unici nel suo genere. E’ di questi giorni la nuova tecnica che Sabrina Capurro va a sperimentare e dalle richieste pare che sarà un successo; si tratta della “tecnica cristal”dove la pittrice dopo avere disegnato il soggetto, lo rende attraverso luci ed ombre fatte di cristalli colorati, un dipinto dalla luce multicolore. Una policromia che attira. Se il dipinto verrà esposto sotto riflessi naturali(finestre) o sintetici (lampade) l’effetto sarà sorprendente. L’eleganza dell’oggetto può fare arredamento in qualsiasi ambiente, anche per i negozi, ambulatori, sale d’intrattenimento, abitazioni di città e di campagna. Un punto luce che non può mancare. Un dipinto/gioiello da avere. Ogni quadro con questo tipo di tecnica, sarà apportato da una firma particolare e unica come l’artista: la propria impronta digitale e il logo che le appartiene. Sabrina Capurro, una donna dalla grande sensibilità e dal grande valore umano, porta se stessa in ogni lavoro che crea, ogni volta pare di vedere passo, passo, parte del suo carattere. Elegante, femminile, forte ma dalla sensibilità illimitata.
Marzia Carocci
Italo Calvino nasce nel 1923 a Santiago de Las Vegas e muore a Siena a soli 61 anni nel settembre del 1985 a seguito di un intervento al cervello per ictus celebrale. Italo Calvino riposa nel cimitero-giardino di Castiglione della Pescaia, nella provincia di Grosseto.
Nel 1925 la famiglia Calvino si trasferisce a Sanremo, dove lo scrittore trascorrerà l'infanzia e l'adolescenza. Nel '41 si sposta a Torino, dove si iscrive alla Facoltà di Agraria. Inizia già a comporre i primi racconti, poesie e testi teatrali. Nel 1943, per evitare di essere arruolato nell'esercito repubblichino di Salò dopo l'8 settembre, entra nella brigata comunista Garibaldi.
Nel 1945, dopo la guerra, Calvino lascia la Facoltà di Agraria e si iscrive a Lettere. Nello stesso anno aderisce al PCI. Entra in contatto con Natalia Ginzburg e Cesare Pavese a cui sottopone i suoi racconti. Inizia a collabora con il quotidiano "l'Unità" e con la rivista “Il Politecnico” di Elio Vittorini. In questi anni si afferma la casa editrice torinese Einaudi (fondata nel 1933) con famosi collaboratori e consulenti, tra cui Pavese e Vittorini stessi. Proprio su suggerimento di Pavese viene pubblicato nel 1947 il primo romanzo di Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno” di stampo neorealista, come la successiva raccolta di racconti.Nel 1952 viene pubblicato “Il Visconte dimezzato” - il primo della trilogia I nostri antenati - nella collana Einaudi “I gettoni”, diretta da Vittorini.
Si assiste in seguito a un cambiamento di stile di Calvino da neorealista a quello fiabesco-allegorico, che diventerà lo stile dell'autore.
Nel 1956 vengono pubblicate le Fiabe italiane, un progetto di raccolta, sistemazione e traduzione di racconti della tradizione italiana popolare. Nel '57 lascia il PCI, dopo l'invasione da parte sovietica dell'Ungheria. In questi anni scrive diversi saggi, tra i più importanti “Il midollo del leone” (1955), sul rapporto tra letteratura e realtà. Collaboratore con diverse riviste, tra cui “Officina”, fondata da Pier Paolo Pasolini, dirige con Vittorini la rivista "Menabò". Il suo stile fiabesco-allegorico si esprime al meglio nel “Barone rampante” (1957) e nel “Cavaliere inesistente” (1959), completando così la trilogia cominciata nel '52 con “Il visconte dimezzato”.
Nel 1962 conosce Esther Judith Singer una traduttrice di origine argentina con cui si sposa nel 1964. Si trasferiscono a Parigi nello stesso anno. Nel 1963 pubblica “La giornata di uno scrutatore”, un romanzo breve. Nello stesso anno esce, nella collana einaudiana “Libri per ragazzi”, Marcovaldo, una serie di racconti incentrati sulla figura di Marcovaldo, un modesto operaio di una ditta del boom economico. A Parigi entra in contatto con lo strutturalismo di Roland Barthes.
In questo clima speculativo e filosofico, Calvino frequenta gli intellettuali del movimento OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle, un laboratorio di letteratura di cui fa parte anche Raymond Queneau, autore de “I fiori blu” e degli “esercizi di stile”.
Da questi incontri e influenze letterarie nascono nel 1965 “Le cosmicomiche” e altre opere di grande interesse. Queste opere fanno parte del cosiddetto “periodo combinatorio” dell’autore, strettamente dipendente dalla riflessione strutturalista sulle forme e le finalità della narrazione.
Nel 1980 esce la sua raccolta di saggi “Una pietra sopra”. Seguono nel 1983 “ racconti di Palomar,” in cui il protagonista attraverso le proprie osservazioni sul mondo circostante, porta il lettore a riflettere sull'esistenza umana e sull’importanza della parola. Questi racconti sono caratterizzati da un profondo pessimismo, e da un senso di solitudine.
Nel 1984 Italo Calvino lascia Einaudi e con Garzanti, pubblica “Collezione di sabbia”. Nel 1985 viene invitato dall'università di Harvard a tenere una serie di conferenze ma, in quel periodo viene colto da un ictus nella sua casa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena.
Molti non sanno che Calvino si interessò anche al cinema e alla musica.
Il film “I soliti ignoti” di Monicelli fu tratto dal suo racconto “furto in una pasticceria”. Partecipò inoltre in “Boccaccio 70” sempre diretto dal maestro Monicelli. In campo musicale scrisse alcuni testi che vennero musicati da Sergio Liberovici.
Nel 1981 riceve la Legion d’Onore
Frasi e aforismi
Se infelice è l'innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato.
Chi ha occhio, trova quel che cerca anche ad occhi chiusi.
D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
La fantasia è un posto dove ci piove dentro
Provenienti dalle omonime corazzate austriache, veri e propri trofei della Grande Guerra , i due cimeli rappresentano la più eloquente ed immediata simbologia per l'identificazione dell'edificio.
- A destra dalla “Viribus Unitis” : affondata durante la 1° guerra mondiale, nel 1918 nella rada di Pola, dal primo mezzo d'assalto subacqueo :la torpedine semovente detta “mignatta”, ideata dall'ufficiale Raffaele Rossetti, dal medesimo pilotata , insieme ad altro ufficiale Raffaele Paolucci .
- Sulla sinistra dalla “Tegetthoff” : dall'omonimo nome dell'Ammiraglio che la comandava.
Alla conclusione delle ostilità, la corazzata requisita dai vittoriosi Alleati, dopo aver raggiunto Venezia, il 22 marzo 1919, privata della bandiera e con a bordo equipaggio italiano, in conseguenza delle disposizioni del trattato di Saint-Germain-en-Laye del 10 settembre 1919 , fu assegnata, su esplicita richiesta, all'Italia, come bottino di guerra. Trasferita successivamente nei cantieri di La Spezia, fu demolita nel 1924 /1925.
Si lavava così l'onta subita dalla grande sconfitta di Lissa del 1866, durante la III guerra di Indipendenza, che aveva visto, l'austro- ungarica Ammiraglia, sconfiggere la più ben perfomante flotta italiana.
Leggendaria rimane la nota asserzione attribuita all'ammiraglio Tegetthoff , che recitava così :
«Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno combattuto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno»... con chiaro riferimento all'inettitudine dei comandi italiani.
Ecco quindi come le due ancore, simboleggiano la tradizione marinara italiana e l'epopea risorgimentale che ha condotto all'Unità d'Italia, riconquistata dopo la prima Guerra mondiale.
Ma proprio sopra le ancore, sull'avancorpo centrale della facciata nel romanissimo travertino, il progettista Giulio Magni, nipote di Giuseppe Valadier, si distacca dai dei primi cantieri post-unitari del Vittoriano, ai quali contribuì con il suo stesso autore Sacconi, rinunciando quindi a monumentali statue e fastigi, affidando “la funzione comunicativa” alle più antiche glorie italiane sul mare, di Venezia, Genova e Roma, iscritte sui cartigli degli architravi delle monumentali finestre a timpano centinato del secondo registro, scandite dalle michelangiolesche paraste di ordine “gigante ” che sorreggono una rigorosa trabeazione.
Accostamento dei variegati stili che riconosciamo, fin da questo primo impatto, in neoclassico, neo- rinascimentale e neo-barocco, ben orchestrato, diventa allegoria densa di riferimenti culturali, evolvendo in quello che in architettura chiamiamo “eclettismo”, ovvero un insieme di tratti distintivi e di stilemi declinati in una nuova sintassi, di grande capacità e qualità, che si sviluppa nei primi del '900 e che connoterà i grandi Palazzi ministeriali, le grandi Banche , le Prefetture ecc.
Tale architettura , ornata da rimandi continui alle marinare tradizioni, fatti di timoni, rostri, ancore, navi, tritoni , prore ed animali marini , coniugata ad un enfatico linguaggio di regime, ci accompagnerà nella lettura degli interni dell'edificio...
Ed allora entriamo, in questa magniloquente monumento, ma rispettoso della tradizione costruttiva romana , fatto di mattoni vestiti di “marmoraccio romano” ...
ATRIO
Nel grande atrio, le tre sculture in bronzo a patina oro delle Vittorie alate, disegnate da Magni (modello di riferimento: dal bronzetto conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli , proveniente da Pompei) e due rappresentazioni statuarie di Cristoforo Colombo e del trecentesco Ammiraglio veneziano Vittor Pisano ci danno il benvenuto, prima di approdare nel “Cortile d'Onore”…
CORTE D'ONORE
E' una fontana di berniniana memoria, evocante quella di piazza San Pietro, che fa da punto focale centrale alle quattro “eclettiche” facciate, che racchiudono la Corte, dove , corrono nei lati lunghi due gallerie sovrapposte sottolineate dai ritmi delle lesene che le incorniciano . Inseriti nei fregi delle maestose finestre, simboli vegetali quali la quercia= forza, la palma= vittoria e l'alloro= pace vittoriosa, si alternano a locuzioni dei patriottici poeti Carducci, Pascoli e D'annunzio, tipo “Memento Audere Sempre” (ricorda di osare sempre) desunta direttamente dall'acronimo MAS, (Motoscafo armato silurante ).
Punteggiati simboli marini, rifiniscono sofisticamente questa straordinaria fantasia.
SCALONE CENTRALE
In illusionistica prospettiva, Magni svela la sua grande conoscenza dell'architettura tardo barocca, che realizza, con grande respiro, in questa monumentale scala, con l'audace suggestione delle onde del mare, materializzate in pregiati marmi italiani, nei sedili-corrimano laterali della prima rampa si arrampica fino ad un secondo livello, per lì dividersi a “tenaglia”. Sorvegliata dai busti del generale Caio Duilio ( primo grande ammiraglio della storia romana, II secolo ac) e dell'ammiraglio Andrea Doria ( Repubblica di Genova 1466 -1560 ) Tiene tutto sotto spicco un colorato sfondo vetrato, del maestro romano Cesare Picchiarini (Roma, 1871 – 1943 ) .
Sulla volta nella parte centrale, un dipinto firmato da Giuseppe Rivaroli 1928, raffigurante “ Roma Trionfante ” sul mare tanto cara ai miti del Governatorato.
Stesso autore, sulle pareti corrono i suoi dipinti dei tre mari d'Italia Adriatico, Ionio, Tirreno che si ricompongono, dallo strappato controllo all'Austria dell'Adriatico, il Mediterraneo “Mare nostrum ”.
SALONE DEI MARMI
Preceduto da un anticamera, illuminata da ancora una magia di vetri colorati disegnati anche questi da Cesare Picchiarini, che fissano, incastrano ed imprigionano il fascio littorio con numero VI ( sesto dell'era fascista 1928 anno di inaugurazione del palazzo ) con gli ormai riconosciuti richiami marini, si apre nella sua esuberanza per la policromia del barocco, il grande salone, dove marmi pregiati che incorniciano pareti e portali, si riflettono nel tavolo centrale, ricco di simboli, che fedelmente alludere alla marineria, in costante con il circostante che va da inedite maniglie a forma di ippocampo, ai singoli copritermosifoni con profili di antichi velieri, alle insolite poltroncine con conchiglie e animali marini . Tutte le opere del maestro Umberto Bellotto che rappresenterà anche nella suggestiva biblioteca.
Sulle pareti stucchi pregiati raffiguranti figure allegoriche dipinte a finto bronzo, sullo sfondo prospetti baroccheggianti ed emblemi marittimi.
Al centro del soffitto il dipinto di Antonio Calcagnadoro, “La nave di Roma nuovamente sospinta in mare dalle giovani energie della stirpe” (1928),che ricalca la migliore retorica di sapore littorio .
Bacheche contenenti reperti e cofani portabandiera oltre a vessilli preunitari completano l'arredo punteggiando con sobria eleganza l'ambiente.
LA BIBLIOTECA
Artista poliedrico nell'uso dei metalli , ma anche del vetro, Umberto Bellotto, interpreta il progetto iconografico del Magni nella maniera più suggestiva, dipanando, nello stile più Liberty di Palazzo, nel rispetto dell'individualità degli elementi di composizione , disegni da lui stesso elaborati, nel ferro battuto grezzo o colorato in oro, delle austere balaustre dei ballatoi, della serie di spirali a chiocciola affidatarie dei collegamenti verticali degli scaffali, insieme ai divertenti saliscendi.
Ed ancora negli ottoni dei copritermosifoni. Raffinate, sopra di loro le forgie, degli ormai noti elementi, fino ai tre monumentali lampadari puntati verso l'alta sfera armillare, a segnalare il planisfero celeste, necessario nell'arte della navigazione.
Tanti altri sono gli ambienti che si infilano in altri ambienti, dove tutte le arti applicate concorrono per evocare e rievocare la contagiosa emozione di una costante sinergia fra mare, cielo, terra, passato e presente per un futuro, dove la seduzione del mare sempre ci affascinerà...
La natura umana è di per sé un viaggio di difficile interpretazione. L’uomo nasce come animale istintivo che solo la coscienza lo rende conoscitore del giusto e dell’errore, del bene e del male. Ma la coscienza si può reprimere? E quanto è possibile fare entrare o uscire il male? Quando la propria coscienza si lascia condizionare a favore di un potere, dal denaro, dell’onnipotenza? Chi riesce a fermarsi? Chi si lascia trasportare dall’ingordigia del proprio ego?
Michele Giuttari prima di essere scrittore è stato un poliziotto, la sua esperienza in campo investigativo lo ha portato in vari campi d’indagine dove spesso la coscienza non è stata mai padrona dell’individuo. Anni di indagini: terrorismo, omicidi, mafia, notti insonni e difficoltà fra giorni di luce e momenti di grande oscurità lo hanno portato a scrivere nero su bianco fatti, esperienze o semplicemente intuizioni che ha trasformato in storie di fantasia ma che portano quel sé di esperienza attraverso i suoi libri itinerari fra il giallo e il noir che appassionano il lettore fin dai suoi primi esordi in campo letterario.
L’ultima uscita è “Sangue sul Chianti”, per F.lli Frilli editore, un libro dove con grande maestria e consolidata competenza nel campo poliziesco, il Giuttari ci porta in una spirale tensiva fino all’ultima pagina.
Niente è a caso, ogni tassello viene assembrato mano a mano che ci immergiamo nella lettura. Ogni personaggio è ben strutturato e abilmente descritto così come è esposta in modo convincente ogni azione di uomini scaltri, immorali e corrotti che ruotano intorno a gente insospettabile, ricattabile, influenzabile a servizio di un potere che decide la sorte di uomini e donne. Inizia tutto da un saccheggiatore che diventa il testimone di un omicidio all’interno di una villa situata nel Chianti. Mauro Sacco, si trova nel posto e nel momento sbagliato dove l’inferno e il male daranno inizio a intrighi e grovigli di conseguenze inaspettate.
Sarà l’acume, la caparbietà, la professionalità di Michele Ferrara commissario di polizia a indagare là dove nessuno si sognerebbe di scrutare. Niente lo fermerà, nessuno potrà plasmare il suo senso del dovere come uomo e come servitore dello Stato. Una tela di ragno dove violenza, ricatti, droga, omicidi, silenzi e sangue, si dipaneranno in una convulsa corsa alla risoluzione anche se amara come il fiele.
Un libro scritto sapientemente attraverso immagini che non restano mai statiche ma che anzi, danno al lettore l’impressione di sentirsi testimoni di un qualcosa che prende movimento mano a mano ci si addentri nel plot del romanzo che è talmente realistico nelle modalità d’indagine e di descrizione da sembrare un reale fatto di cronaca dei nostri giorni.
La descrizione dei luoghi è così vivida da vederne i contorni. Le vie di una Firenze con i suoi personaggi, locali, storia, la minuziosità dei particolari, l’accuratezza nel delineare i caratteri e la meticolosità descrittiva sui difetti e i pregi dei vari personaggi rendono il romanzo meritevole di successo. Fluida e intuitiva la forma letteraria, nessuna lungaggine o verbosità complessa. I dialoghi, il ritmo e la descrizione sono piacevoli e scorrevoli rendendo la lettura comprensiva nell’immediatezza lasciando il lettore smanioso di sapere lo svolgimento dei fatti. Un libro che potrebbe essere la trama di un film.
Giuttari è degno di essere nelle classifiche fra i migliori scrittori di libri polizieschi.
“Sangue sul Chianti”: il commissario Michele Ferrara e il suo alter ego Michele Giuttari intersecati da una forza comune: fermare il male ovunque si trovi!.
“Sangue sul Chianti” di Michele Giuttari (F.lli Frilli editore)
Il giardino delle rose |
armonia, estetica e poesia dai suoi pennelli, le risposte di un artista.
I suoi quadri sono cartoline di una Firenze che incanta. Tetti rossi, tramonti e albe dai colori caldi e avvolgenti. I protagonisti che dipinge hanno anima e movimento; niente è statico, perfino i sorrisi e gli sguardi di ogni personaggio hanno vita.
Osservando i suoi lavori si percepisce l'amore e la passione per ciò che immortala su tela. Immagini su immagini che sono poesie di dipinti. I particolari della sua pittura sono così ben definiti da lasciare affascinato l'osservatore.
Andrea Gelici ha pubblicato anche due libri di poesia.
“Ragione al tempo”( 2018) per A&A di Marzia Carocci edizioni e “Dove dir di Luna” (2020) per A&A di Marzia Carocci edizioni.
Conosciamolo meglio:
Andrea Gelici nasce a Firenze il 2 marzo 1956. Sempre attratto dall'arte in tutte le sue forme ottiene il diploma di specializzazione tecnica artistica presso l'Accademia Sprone di Firenze nell'anno 1980 sotto la guida del maestro Otello Scacciati. Dedicatosi al disegno e al ritratto fino all'inizio degli anni 90 si evolve attraverso l'olio e l'acquerello fino alla tecnica mista su tavola. "FIRENZE DEI MIEI GIORNI DIPINTI" Una città di antichi ricordi, fatta di vicoli e scorci, rivive nei colori
Il mae dentro |
e nella luce di un'epoca sospesa tra il vecchio e il nuovo. Ed è un mondo che appartiene a quei ricordi, ad anni vissuti intensamente, nel segno dell'impressione e della figura dipinta come in una storia che regala sulla tela il gusto di ogni giorno. Un'epoca romantica, specchio di un'
Quattro chiacchiere con l'artista:
Ciao Andrea, grazie per avermi dato la possibilità di intervistarti.
La prima domanda che vorrei porti è piuttosto consueta ma servirà per conoscere ciò che non tutti sapranno:
La città del fiore |
D- Come hai scoperto questa tua passione per la pittura?
R- Leggendo.
Avevo dieci anni e mio padre mi portato a casa un fumetto, ricordo le sue parole:_Questo lo leggevo da ragazzo, forse piacerà anche a te._
L'albo era quello di Flash Gordon, i disegni del grande Alex Raymond. Rimasi stupido.
Le tavole erano eccezionali, saranno stati i colori, il tratto, le inquadrature, la storia, fatto sta che la prima cosa che mi venne in mente fu quella di prendere un foglio e provare a quella meraviglia.
D- Qual è stato il tuo primo dipinto e che tipo di emozione hai provato?
R- Avevano portato dei fiori ad una parente che abitava al piano superiore. Mi ritrovai davanti ad un vaso di vetro con dei gigli.
Usavo le tempere, quelle che adoperavamo in classe nell'ora di disegno.
Disegnai un giglio, in primo piano, e una strada immaginaria che si perdeva dietro una curva.
Le tempere come acquerelli, non avevo nessuna conoscenza delle tecniche, solo una grande voglia di raccontare.
D- Quali sono state le più grandi soddisfazioni che hai vissuto grazie a questa tua forza
artistico?
R- Le mostre sono state certamente una grande soddisfazione. Soprattutto quelle dove mi hanno invitato. La possibilità di proporsi. La capacità di sostenere un'intervista con la telecamera che ti guarda, il saper esprimere con le parole quello che hai dipinto, ma soprattutto, il più grande piacere, per me è il cogliere nelle persone che vedono i tuoi dipinti quel senso d'intesa , di condivisione, quello che un paesaggio o un ritratto possono suscitare, ricordare e rivivere.
D- Quali delusioni se ce ne sono state?
R- Non riuscire a completare che un quadro, rendersi il giorno prima eri contento di quello che stavi facendo e il giorno dopo non capire il perché. Entra in quello stato particolare in cui tu sei i colori che stai mescolando sulla tavolozza e poi, niente, non ci sei più. È come essere colpiti da un'immagine bellissima, che poi svanisce lasciandoti un senso di sconfitta e di vuoto.
Delirio, perdita di idee, incapacità nel proseguire.
Uno straccio sulla tela, a cancellare quella parte di te per ricominciare. A volte mi è capitato, ed è comunque una piccola ferita, una ruga, che si aggiunge e ti aiuta a pensare.
D- L'arte è qualcosa di sublime, per farla conoscere vi è senza dubbio necessità di
esporre. Quali tipi di difficoltà hai incontrato?
R- All'inizio, negli anni settanta dipingevo solo per mettermi alla prova. La matita era però il mezzo che preferivo. Chiaroscuro, tratteggio, carboncino. Fu in un negozio di cornici dove lavoravo, che il titolare prese in mano un mio lavoro e mi consigliò di portarlo a far vedere ad un pittore famoso. “Questo è bello puoi fare strada.” Parole che galvanizzavano. Mi sentivo come se avessi salito un gradino importante. Non ci fu nessun incontro. Il giorno dopo una cartolina azzurra lasciai il lavoro, la casa, e partii
per la caserma di Viterbo.
Tutto ricominciò negli anni ottanta l'accademia dello Sprone di Firenze, il diploma.
Quasi una fantasia |
I primi approcci con il mondo dell'arte. La prima mostra, curata da Roberto Cellini. Tanta emozione, gli amici che hanno ricevuto a congratularsi con te, facce note e meno note, sconosciuti che ti esaltavano, qualcuno anche troppo.
Poi altre mostre, dove ho conosciuto tanti pittori, gente del "giro" critici, artisti e non.
Ed è lì che ho capito molte cose. Vuoi esporre in gallerie importanti? Devi essere importante, quotato, ci vuole un promotore, e, soprattutto molti soldi. Devi creare uno stile, più o meno sempre gli stessi soggetti, lo stile è importante tanto da prevaricare il talento. È difficile esporre, specie a Firenze, la città dell'arte e anche se sembra un controsenso è così.
Il problema è che sono cambiati i termini. Negli anni cinquanta, mi hanno raccontato, che erano le gallerie che acquistavano i lavori dai pittori, pagandoli poco, sì, ma permettendo a chi aveva talento di emergere e farsi un nome.
Oggi è diverso, gli "artisti" sono moltiplicati sono una marea, e su questa, e non sugli acquirenti si basa sulla gran parte del lavoro degli "addetti".
Nella posta elettronica ho tutti i giorni richieste di partecipazione a quella mostra, a quel concorso, tutti importanti, come i cataloghi dove ti vogliono iscrivere, presentare, recensire. Poi vai a leggere bene il tutto e su dieci richieste non più di una sono serie. Credo di parlare a nome anche di tanti altri valenti artisti che conosco. Se vuoi entrare a far parte di una certa élite fare con l'adulazione, il tuo adattamento a richieste richieste, alla moda, a quel senso del mercanteggio e della compiacenza che non mi ottenere.
Le mostre più belle sono quelle dove mi hanno invitato, dove mi hanno cercato e dove sono andato felice di incontrare persone vere.
D- Hai opere esposte in varie zone d'Italia. Vuoi farci conoscere alcune località di
queste?
R-Ho esposto al museo Kunstart
A Bolzano con la galleria Gaudi di Madrid, a Parigi, Pantin,con il Centro d'arte Modigliani, a Napoli a Castel dell'Ovo, a Palazzo Rospigliosi nel museo del giocattolo, a Genova alla mostra d'arte contemporanea, a Firenze alle Giubbe Rosse, e alla galleria FirenzeArt e poi tante personali in toscana e collettive in Italia. Alcuni miei quadri sono anche andati più lontani, ad Amburgo, in Germania, nel nord Carolina in USA, in Brasile.
D- Sei un artista dalle grandi capacità espressive sia per quanto riguarda l'arte figurativa
che quella poetica. I tuoi dipinti e le tue liriche hanno in comune l'introspezione e la
nostalgia. Vuoi parlarci di entrambe?
R-Sono passati molti anni da quando ho iniziato a dipingere.
Ai tempi della scuola, durante le lezioni mi piaceva ascoltare e nello stesso momento disegnare, qualsiasi cosa, che mi passava per la mente.
Il tratto, il segno, mi hanno sempre seguito. Poi il colore.
Ancora oggi cerco sempre l'ultimo colore, quello che ispira la luce, il ricordo.
Anni fa ne usavo meno nei miei quadri, di colore. Erano per lo più immagini soffuse, ovattate.
Oggi no, sto cercando la luce, quella più vivida. Amo i contrasti e le visioni istantanee.
Scrivo qualcosa, ogni tanto, l'ho sempre fatto da quando avevo sedici anni, ma lo tenevo per me. A volte una frase può racchiudere un pensiero importante, poche parole un concetto fondamentale, così provo a metterle sulla tela, e il risultato, spesso, mi lascia interdetto, trovo sempre qualcosa di diverso dall'idea originale, a conferma della nostra impermanenza.
D- In genere gli artisti amano l'arte in genere ma non tutti gli stili e tutte le varie correnti.
Hai preferenze di pittori classici? E contemporaneo?
RI pittori che amo di più sono gli impressionisti ei macchiaioli.
Vado spesso nell'ultima sala di Palazzo Pitti quella più in alto.
E resto a guardare, come fossi in un altro mondo, proprio quel mondo che è stato ed è, per me, il vero senso della pittura. Si impara tanto a guardare. Si riesce a sentire tutta la voglia di raccontare ed esprimere ciò che fino agli anni antecedenti era stato nascosto.
Fattori, Cabianca, Segantini, Banti, Lega, Boldini, Borrani, Gioli, Signorini, Lloyd e tutti gli altri di cui adesso non ricordo i nomi, e poi , Monet, Manet, Renoir, Van Gogh, ci vorrebbe un giorno per elencarli tutti .
Uno che mi colpì da giovane e che non fa parte della categoria è il grande pittore olandese Johannes Vermeer, i suoi dipinti ti assalgono con una luce straordinaria.
Amo un po' tutta la pittura in genere, l'arte americana prima dell'avanguardia, tra tutti, Hopper. Ci potrebbero le potenzialità per poter fare un lungo discorso su tutto questo, ma potrei essere tacciato come conservare incapace di comprendere e apprezzare l'arte moderna, specie quella contemporanea. Non è così una banana attaccata ad un muro lì ci sono sicuramente dei grandi, solo che il mio gusto personale non riesce a così un muro animale ucciso lì ci sono sicuramente dei nastri attaccati con del adesivo e tanto meno un palo nero bruciato con pseudopodi scarnificati nella più bella piazza del mondo.
D- A questa intervista sono accusati alcuni tuoi dipinti, vuoi inserire anche un paio delle tue liriche?
R- Come ho detto prima, scrivere è l'altra mia passione.
Lascio qui due pensieri, uno scritto quando avevo diciott'anni, l'altro adesso.
IMPRESSIONI (1974)
Vi conosco
siete i miei libri
i miei quadri
impressioni
della mia vita
siete i colori
che spando su questa tela
senza soluzione.
Il mondo mi libera
e fermandosi
la mia passione
s'avvinghia al domani
Se terrete così il mio vivere
sempre
nelle vostre vostre richieste
costruita una terra
un porto
in premio alla mia fatica
Oggi non guardo
perché non voglio immaginare
ma il domani s'avvicina
prende i colori dal mio viso
ed io rimango
stanco
assolo
inutilmente
Disegno dai contorni
di matita scura
che si schiude per ridere
un po' di sé
per non morire
veramente
QUESTE POCHE PAROLE (2020)
Sono volute di fumo
non volute da me
Queste poche parole
abbandonare alla sera
rincorrono strade
con lo sguardo che era
quello sguardo per te.
In spirali di fumo
fra i riflessi di un vetro
sulla linea di un muro
una sedia dov'era la figura di ieri
dondola vuota
non è il vento che spira
ad alzare la mira al ricordo
di dove ho nascosto
quel lume che indicava il cammino
due piccole lune
una eclissi sul fiume
un sorriso arlecchino
si è contratto in un grumo
in volute di fumo
Non voluta da me.
D- Chi conosce le mie interviste sa che lascio una parte “bianca “ all'artista.
Uno spazio dove l'autore si senta libero di scrivere ciò che sente, nel bene e nel male del
proprio ambiente. Noi amiamo la libertà di stampa e di pensiero per tanto Andrea sentiti
libero di esprimerti come vuoi su questo meraviglioso mondo dell'arte che
indubbiamente, come tutto, ha i suoi pro ei suoi contro
Grazie di cuore Andrea, grazie di ciò che sai darci attraverso la bellezza.
R-Penso di aver già fatto capire cosa penso di questo mondo.
Come in tutte le cose, c'è chi vive PER l'arte e chi vive CON l'arte. Le due cose, a volte si mescolano, e, da lì può sortire fuori un genio o un impostore.
Forse è il bello dell'avventura, alcuni hanno capito come andrà a finire, altri no.
Io sono tra quelli che resta nel dubbio, non ho avuto mai certezze assolute, l'unica a cui mi rivolgo e chiedo ascolto è quella di non acquistare un quadro, una scultura, per il valore del mercato, o perché ci sta bene con il mobile ed il divano, ma perché ti ha colpito, ti ha incuriosito, fa nascere un ricordo, o semplicemente perché ti piace.
Grazie Marzia, grazie dal cuore.
La musica è la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che l’ascolta
(Khalil Gibran)
Il nostro paese, è ricco di arte, di cultura, di emozioni. Nel fronte musicale abbiamo diversi cantanti e componitori italiani di tutto rispetto. Vorrei puntare sul cantautorato che arricchisce ancora di più il panorama della musica: comporre musica e parole è arte pura, cantare i propri costrutti, ancora di più. Riuscire a farlo per sé, per gli altri e farlo bene è già un successo ma se questo viene fatto in punta di piedi, con delicatezza, umiltà, professionalità e impegno, si arriva alla vetta.
Mariella Nava è tutto questo-
Maria Giuliana Nava, Mariella Nava per tutti, nasce a Taranto dove inizia a studiare con profitto al pianoforte. Scrittrice da sempre come da sempre estremamente sensibile.
Questa attività la porta dopo consigli di amici di fare leggere le sue composizioni e così inizia la strada di un grande talento. Fu con Gianni Morandi che iniziò i suoi primi successi con la canzone “ Questi figli”. Segue il contratto discografico con la RCA, l’apparizione al Festiva di Sanremo nel 1987 e poi innumerevoli meritati successi. Ha collaborato con illustri nomi della musica, ha scritto per Eduardo De Crescenzo, per Renato Zero, per Andrea Bocelli. Ha duettato con Mango, Amedeo Minghi, Dionne Warwick… Riceve premi per l’attività di scrittura, riconoscimenti al suo lavoro cantautorale e tantissime altre soddisfazioni che ha meritato appieno. La sua emotività e sensibilità l’hanno portata spesso ad essere presente in occasioni di beneficenza in eventi solidali.
Cerchiamo di conoscerla attraverso le sue parole che gentilmente mi ha concesso-
D- Ciao Mariella, intanto grazie per la gentilezza nell’avere accettato l’intervista:
ci piacerebbe conoscere il tuo imprinting con la musica. Quando è stato il primo momento nel quale hai compreso questo amore?
R.: Non ne ho una percezione temporale esatta ma credo che la musica si sia palesata a me come interesse insostituibile nel momento in cui entrò in casa mia un pianoforte verticale.
Sarebbe dovuto essere oggetto di studio per mia sorella di qualche anno più grande di me e quindi più pronta a iniziare ma invece mi ci appassionai io, fu una specie di folgorazione da cui non sono mai guarita. Avevo 7 anni.
D-Hai collaborato artisticamente con grandi nomi della musica? Vuoi parlarci di queste tue emozioni?
R.: grandissime emozioni tutte le volte e tutte diverse.
Le assimilo ad una scala piena di gradini da salire. Ogni volta era per me come un respiro nuovo ed un test importante da superare che insieme mi onorava ma mi metteva alla prova con me stessa. Anche perché il più delle volte era una richiesta che mi arrivava da artisti affermatissimi e non un mio propormi. Tutte le volte aggiungevo un valore alla mia scala e componevo la mia piccola storia. Era come dire: “ Ce L’ ho fatta anche questa volta!”
Ci sono state alcune occasioni in cui mi sentivo troppo inesperta per tenere testa alla domanda di collaborazione ma poi venivo esortata proprio da chi me la chiedeva a mettermi al lavoro con fiducia con il fatto di poter essere benissimo all’ altezza.
Questo è successo con RENATO Zero con “Spalle al muro“ nel 1991 o con Dionne Warwick nel 2004 con “It’s forever”.
D- Hai duettato con diversi artisti, vuoi dirci chi ti ha particolarmente coinvolto? Perché?
R.: Tutte le volte ho provato un grande coinvolgimento.
Ricordo “ Crescendo” con Renato Zero di cui girammo anche un bellissimo videoclip diretto da lui e poi ancora Amedeo Minghi con “ Futuro come te “ portata insieme al Festival di Sanremo del 2000.
Nel cuore ho anche il bellissimo ricordo di Pino Mango con cui cantammo “ Il mio punto di vista”. Due timidi che si incontrano puoi immaginare? Una tenerezza infinita se ci penso!!!!
Però quel giorno intero in studio a registrare e nostre voci insieme resta dentro me come uno dei momenti più emozionanti e belli.
D- La canzone “Vecchio” presentata a Sanremo nel 1991 è stato un enorme successo di Renato Zero e tuo. Quanto è contato per te l’incontro con il carismatico Renato?
R.: L’ ho sempre raccontato. Devo a lui moltissimo per come ha accolto nel suo repertorio questa mia creatura musicale.
Non sarebbe diventato il successo che è se non avesse goduto di quella insuperabile interpretazione su quel magico palco dell’ Ariston.
Tutto era perfetto per scrivere storia.
Io devo a lui il piacere di avere potuto partecipare a quel brillante momento della storia della musica leggera italiana.
Poi tutto il resto. Tutto quello che si può capire e imparare da un grande della nostra scena musicale.
D- L’ambiente della musica come di ogni altro mondo artistico è indubbiamente un cammino tortuoso, difficile e non sempre sinonimo di meritocrazia. Quanto ti sei sentita compresa? Quante altre volte hai avuto la percezione di insoddisfazione?
R.: posso dirti la verità? Incompresa molte volte. Nonostante la stima guadagnata essere donna in musica è davvero complicato.
Ho versato molte lacrime ma posso dirti oggi che sono state proprio la mia forza. Perciò benedico quei no. Benedico tutte le porte in faccia. E ad ogni delusione ricevuta corrisponde la mia crescita interiore e una mia canzone nuova che poi mi ha dato le più grandi soddisfazioni. Oggi sono molto più consapevole delle mie possibilità, del mio posto e non ho più paura di essere quello che sento e che voglio.
Un artista ha bisogno anche di questo per formarsi.
D- Sei una “scrittrice di vita” e porti in musica incanti di emozioni, hai la qualità di saperti esprimere in modo ottimale con la parola, la metafora e l’espressione emozionale. Quanto è contato tutto questo nella tua carriera? Quale è stata la tua prima importante collaborazione?
R.: è arrivata con una canzone sul rapporto genitori figli. La inviai a Gianni Morandi che come vedi è sempre pronto a voler scoprire e cantare nuovi generi musicali ancora oggi.
Lo lessi su di un giornale che avrebbe cantato volentieri nuovi autori.
Era il 1985. Così gli spedii una cassetta con su una canzone registrata voce e piano in diretta.
In una lettera di accompagnamento dicevo di essere di Taranto, studentessa e un numero di telefono di quelli fissi perché non c’ erano ancora i cellulari.
Rispose mia madre a quel telefono che squillò inaspettatamente in un pomeriggio ed era lui che mi cercava. Pensai che fosse uno scherzo ma era vero. Tutto iniziò da lì.
Cantò per primo le mie note e le mie parole.
Il brano si intitolava “ Questi figli”.
D- Mi piacerebbe che tu ti esprimessi liberamente su quanto è cambiata la musica, gli stili e la richiesta del pubblico.
R.: La richiesta del pubblico ? E chi la ascolta più? Con quale metodo? Se la ascoltassimo almeno una volta potremmo sapere qualcosa in più, per esempio perché non si compra più la musica mentre una volta si correva in un negozio a prenotarne il disco in uscita, perché non la si vuole più possedere ma ascoltare e basta? Ormai sono saltati molti parametri e se ci fermassimo a fare domande semplici avremmo moltissime sorprese.
Come in politica…
La musica è quella che sentiamo perché è quella che gira e forse quella che si sa fare con più facilità da molti ( forse troppi?) in questo momento.
La si “ compone “ con dei campionamenti e il più delle volte il vestito supera di gran lunga il nucleo della canzone, il contenuto, ammesso che ci sia. Spesso la linea musicale se la analizziamo è inconsistente, costruita su una nota sola, a volte due, se si arriva a tre si festeggia, scherzo naturalmente, però è vero che diventa insopportabile, troppe volte ripetuta e monotona.
Tutte le produzioni si assomigliano, in una sorta di overdose di brani poco distinguibili e destinati a non lasciare molto ricordo di sé dopo poco tempo.
Con questo non voglio dirti che tutto quello che si produce non sia valido, anzi, ci sono cose concepite e realizzate molto bene ed anche affascinanti nei nuovi generi, ma generalmente arrivano dall’ estero, dove hanno imparato a scrivere meglio di noi le canzoni che un tempo ci invidiavano.
Però, per farti un esempio, se un esperto musicista compositore si chiudesse in uno studio e capisse come si creano le canzoni in voga adesso, credo che con un po’ di impegno imparerebbe presto e ne potrebbe fare tante.
Il difficile è invece L’ esperimento contrario, scrivere le canzoni, trovare passaggi musicali unici, con cognizione di causa, parole inconfondibili, insomma scrivere quelle canzoni che riescano a rimanere nel tempo e parlare a più generazioni, quelle che non si scrivevano a chili per le stagioni, ma che venivano pensate con cura prima di vestirle con giusti strumenti, quelle che nascevano prendendo una chitarra e cantando come faceva Battisti con Mogol o Modugno o De Andrè, oppure sedendosi ad un pianoforte come faceva Burt Bacharach, tirando fuori un giro di accordi e di melodia di ineccepibile bellezza.
D-Hai qualcosa che vorresti dire ai nuovi talenti?
Si, di essere veri, soprattutto veri , di non scimmiottare mai nessuno e di scriverle loro le mode, non di seguirle!
D- Cosa ne pensi dei Talent che si aprono ai giovani?
Non mi dispiacciono, L’ ho detto già tante volte ma farei qualche cambiamento sui giudici scelti, altrimenti diventa puro show televisivo non al servizio della musica.
D- Una domanda di pura curiosità che rivolgo spesso a ogni tipo di artista: “La tua passione è nata in autonomia o nella tua famiglia vi era già il seme artistico?”
No in realtà è nata da me anche se mia madre, che era insegnante, ha sempre gradito
un’ educazione all’ arte per i suoi tre figli. La riteneva fondamentale per il nostro crescere e la nostra sensibilità e non posso darle torto.
D- Cara Mariella, è mia abitudine lasciare uno spazio bianco a qualsiasi artista perché sono convinta che l’arte non debba avere alcuna catena e limite d’espressione. Mi piacerebbe un tuo pensiero sul panorama musicale e dicendo panorama musicale, intendo spaziare a 360°.
Sentiti libera di dire che…
R- ho già un po’ detto tutto per cui mi limiterò a lanciare un annuncio:
Sappiate che la bella musica c’ è, non morirà mai, basta andare a cercarla.
Tempo che soffre e fa soffrire,
tempo che in un turbine chiaro
porta fiori misti a crudeli apparizioni.
(Mario Luzi)
Il tramite della poesia rimane l'uomo, l'uomo con la sua mentalità, intelligenza, scaltrezza, l'uomo con le proprie esperienze, sensazioni e cammini emotivi.
Senza alcun dubbio Mario Luzi è stato fra i maggiori esponenti della poesia ermetica anche se incanalarlo solo in uno stile poetico è a dir poco riduttivo e insufficiente.
Mario Luzi era molto di più; era una persona attenta, sofferente di un mondo ai suoi occhi immorale, scorretto dove l'essere umano è l'artefice di tanta nullità. Era un viaggiatore ma sopratutto un trasformatore della parola mosaico ogni terminologia trasformando con gli anni la sua poetica di ari passo con i tempi e le concezioni del momento cambiando spesso le strutture strutturali del proprio stile.
Fin dall'esordio con "La barca" (1935), il giovane Luzi, inizia la metamorfosi del suo lungo dire passando da una sospensione metafisica, seguendo poi con i settori emetico-cattolici fino ad arrivare a una visione simil-fotografica degli ambienti e luoghi fino ad arrivare poi alla contestualità della morte e della sofferenza.
Il suo versificare sul dolore, sulla certezza dell'incomunicabilità, la serrata sensazione dell'inquietudine, l'ansia come insopportabile resa di un'epoca sorda e sterile, lo rendono un meraviglioso uomo pensante e non un ennesimo scrittore di poesia elegiaca. Già dopo il 1943 Luzi si stacca dal suo essere ermetico intraprendendo un cammino di neorealismo sia poetico che letterario che abbandonerà in seguito per uno stile del tutto personale addentrandosi su tematiche di una società moderna e post moderna. Un continuo evolversi del poeta che non si sofferma e un cliché forzato ma che si lascia trasportare da un'interiorità complessa di riflessi emotivi da spingerlo liberamente verso una ricerca liberatoria del sé svincolato da stili, correnti o forme poetiche “obbligate”.
Nella raccolta “Nel magma” (1963), il poeta ormai adulto, diventa coscienza e scrutatore di vita e di morte rimanere libere le parole di “agire” e formare ciò che la propria mente partorisce costruendo così testi e conversazioni di stile prosastico, lontani da creazioni ermetiche ma simbiotici alla vita. Una silloge di impronta eliotiana dove l'ombra filosofica-metafisica aleggia fra simbolismi e tracciati di vita reale.
In queste poesie alloggia nel poeta il ricordo, l'ansia, la nostalgia, la spiritualità, la costruzione, l'arresa, l'invitabilità e il tutto abbracciato in quell'inquietudine che in questa raccolta intera vibra.
Mario Luzi crea la poesia dai fatti, dalla speranza fra avvicinamenti e distacchi dove il tutto convola fra l'etereo e la materia dove sempre perdura quell'ansia sconvolgente creata dall'assenza del valore umano.
Fu traduttore, giornalista, professore universitario, scrittore, opinionista, collaboratore di riviste, autore di monologhi di pezzi teatrali. Nominato Senatore a vita della Repubblica Italiana; fu un grande letterato che mai dimenticò di essere UOMO. Nessuno più di lui dimostrò tanta umiltà, sempre disponibile a interviste, dialoghi, conferenze. Amava tardare con gli studenti anche ben oltre i normali orari di lezione. Molti ragazzi venivano da tutta Italia per incontrarlo e lui dimostrò sempre molta attenzione e ascolto per ognuno di loro dando sempre la propria disponibilità.
Ci sono uomini che lascino di sé i loro operati, ma ci sono anche uomini che oltre ai doni da loro elaborati, lasciano ricordi e orme indelebili del loro passaggio grazie al loro enorme senso morale e civile. Questo e molto di più era Mario Luzi.
Mario Luzi nasce a Castello allora frazione di Sesto Fiorentino adesso è in provincia di Perugia il 20 ottobre 1914 e muore a Firenze il 28 Febbraio 2005.
Foto di Tolkien presa da Wikipedia |
" La Fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione; né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà. "
—Tolkien da "Sulle fiabe"
John Ronald Reuel Tolkien nacque a Bloemfontein in Sud Africa da genitori inglesi il 3 gennaio 1892 e morì a Bournemouth nello Hampshire il 2 settembre 1973 a 81 anni.
Nel luogo della nascita rimase solo per tre anni, subito dopo la morte del padre si trasferì con la mamma e il fratello a Serehole in Inghilterra.
All'età di 9 anni perde anche la madre; viene affidato con il fratello a un prelato; padre Xavier, un prete cattolico degli Oriatoriani.
Nel 1921 divenne docente di lettere all'Università di Leeds, successivamente Professore di filosofia e glottologo a Oxford e in un secondo tempo insegnante di letteratura medievale al Merton College. Arrivò persino ad insegnare la lingua norrena, l'antenata della lingua scandinava.
Tra il 1920 e il 1930, inizia la sua grande attività letteraria; leggende, fiabe, mitologie dall'ingente fantasia. Al termine degli anni '20 in un foglio bianco scrive la frase: “In un buco nel terreno viveva uno hobbit”. Così nasce Lo hobbit ”, opera che viene pubblicata nel 1937, nata inizialmente per i più giovani ma complessa e articolata tanto da diventare un libro amato da tutti gli amanti del fantasy di ogni età.E pensare che Tolkien scriverà "Il Signore degli anelli" solo dopo la richiesta di Stanley Unwin (editore) che riteneva "Lo hobbit" bisognoso di un seguito, ciò non fu semplicissimo inizialmente, Tolkien si sentì infatti costretto e svogliato nella stesura dell'epico volume tanto da non dargli un titolo nell'immediatezza, ci mise oltre un anno, poi se ne innamorò lui stesso.
Le saghe di tematiche medievali “Lo hobbit”, “il Signore degli anelli”, “il Silmarilion” e “racconti incompiuti”, sono le opere che si svolgono nel periodo delle tre ere della terra di mezzo, un continente di Arda che Tolkien sosteneva essere una terra all'interno della nostra stessa terra. Un mondo circondato da oceani e privo di ombre ...
L 'abilità di Tolkien è di essere riuscito con stile mitopoietico a creare romanzi fantasy epici, ricchi di colpi di scena, di personaggi veri e improbabili, di storie e ambienti dove il lettore nonostante si renda perfettamente conto che di solo lettura si tratta, viene catapultato quasi per magia in quella “realtà” inverosimile capace di ipnotizzare la parte coerente del sé.
Un mondo in altri mondi dove le vicende e le gesta nonostante siano frutti della mente di Tolkien, rasentano il dubbio del reale per la modalità in cui sono scrupolosamente descritti.
Le opere più conosciute
“Lo Hobbit” (1937), “La compagnia dell'anello” (1954), “Le due torri” (1954) e “Il ritorno del Re” (1955) sono indubbiamente capolavori uniti in un unico volume dal titolo “Il Signore degli anelli ”la trilogia che ebbe ed ha ancora, un successo planetario scritto in una lingua molto simile all'inglese medievale, ha venduto oltre cento milioni di copie in tutto il mondo. Parker lo portò nelle sale cinematografiche diventando così anche un cult del cinema fantasy.
Chistopher John Reuel Tolkien, il figlio, scrittore editore fu il disegnatore delle mappe originali all'interno dei libri del padre e fu lui che dopo la morte di questo, fece la revisione del materiale che non era ancora pubblicato.
Le opere postume alla morte di Tolkien furono:
1977 “Il Silmarillon”
1981 “I racconti incompiuti”
2007 “I figli di Hurin”
2017 "Beren e Luthien"
2018 “La caduta di Gondolin”
Curiosità sull'autore:
- Tolkien ha passato l'intera vita allo studio delle lingue. Sua madre, fin da piccolissimo gli parlava in latino, in tedesco e in francese. Questo acuì il suo interesse personale verso lo studio di queste, tanto che negli anni imparò il russo, l'italiano, il greco, il gallese antico e moderno, l'inglese medioevale, lo svedese, il danese, lo spagnolo, il norvegese, il finlandese. Una volta che completò questa sua voglia di sapere, annoiato, inventò 14 lingue con alfabeto completo.
-Taccagno per natura, s'irritava quando doveva pagare le tasse che trovava essere un ladrocinio.
Fra i suoi documenti trovati dopo la sua morte, ci fu un ritaglio della dichiarazione dei redditi dove in calce vi era scritto: "Nessun penny per il Concorde" ha scritto un decreto britannico che chiedeva di usare fondi pubblici per finanziare il famoso aereo.
-Lo hobbit fu bandito dalla Germania perché ritenuto scritto da un autore che si era rifiutato di rendere omaggio al nazismo. Nel 1937 un editore tedesco prese in considerazione di pubblicare il libro di Tolkien, s'insinuò nella trattativa un ufficiale del Terzo Reich che contattò lo scrittore per domandargli se era di origini ariane, egli rispose che "purtroppo" non aveva avi ebrei e che era dispiaciuto per questo visto che erano un popolo dotato. Ovviamente con questa risposta, Tolkien finì nel registro nero delle autorità naziste.
-Tolkien visse la sua vita facendo il professore di filologia inglese, a lui non interessava essere famoso e conosciuto, amava ciò che scriveva per pura passione e per dare sfogo alla sua fantasia geniale. Morì nel 1973 due anni dopo la moglie ed è seppellito con lei in un cimitero vicino ad Oxford.
-Una curiosità: le tombe della coppia non riportano i reali nomi: Edith Bratt e John Ronald Reuel Tolkien ma sono siglate da nomi di fantasia “Luthien” e “Beren” nomi tratti dal romanzo postumo scritto da Tolkien ambientato nell'universo fantasy della terra di mezzo che narra la storia di un amore contrastato, lui umano e mortale della terra di Mezzo e lei un'elfa regale immortale.