L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Politics (409)

    Carlotta Caldonazzo

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June 06, 2020

I romani hanno preferito andare al mare a “mostrar le chiappe chiare”

Roma 6 giugno 2020 -  Momenti di tensione al Circo Massimo - scene di panico alla manifestazione indetta dagli Ultrà e Forza Nuova a Roma. Si doveva manifestare pacificamente contro l’attuale governo giallo-rosso, ma sin dall’inizio alcuni manifestanti hanno cominciato a lanciare oggetti e bombe carta verso le forze dell’Ordine e giornalisti, alcuni di questi sono stati inseguiti. La situazione dopo pochi minuti dall’inizio è degenerata nonostante l’esiguo numero di manifestanti. Sebbene abbiano giocato in casa i romani hanno preferito disertare, vista la bella giornata per andare forse, al mare, e hanno lasciato campo libero nel maestoso spazio del Circo Massimo ai poveri Ultrà del Nord, svegliatisi all’alba per venire a Roma senza bandiere e con la maglietta bianca per testimoniare lo spirito patriottico. A causa degli incidenti e delle defezioni la manifestazione si è rivelata purtroppo un flop. Imponente lo schieramento delle forze dell’ordine intervenute anche con elicotteri per controllare dall’alto. Molte persone identificate, otto i fermati.

June 04, 2020

 

Gli ARANCIONI denunciano l'illegittimità della classe politica (video)

 

Il pensiero economico degli ARANCIONI (video)

June 03, 2020

Roma 2 giugno 2020

 

 

 

 

May 30, 2020

Roma 30 maggio 2020

May 23, 2020
 video - clicca sull'immagine
May 10, 2020

In un mondo dominato dalla speculazione finanziaria la lotta per la sopravvivenza è una lotta per il denaro e, mentre chi ha capitale può creare altro capitale, chi non ne ha lotta per la stessa sopravvivenza fisica. Tutto è condizionato ad ottenere questo elisir di lunga vita; conta chi ha i soldi, quindi potere, e potrà condizionare il comportamento degli altri. Lo si può fare in tanti modi, soprattutto con l’informazione. Siamo prigionieri di un sistema dominato da convenienza mista ad ipocrisia. I nostri politici non sono da meno, salvo rare eccezioni. In tutti questi anni abbiamo assistito a scandali di tutti i tipi, inutile soffermarsi tal’ è l’evidenza, soldi e potere sono ambiti più che mai, nulla a che vedere con il servizio a favore della collettività. Per essere eletti ci vogliono tanti soldi che in un modo o nell’altro vanno restituiti con gli interessi. Dal dopo guerra in poi abbiamo perso quella sovranità che ci avrebbe impedito di essere condizionati da influenze esterne, palesi e occulte. Il buonismo dei magistrati e le acrobazie dei nostri legulei hanno fatto il resto. Il danno è enorme, ci vorranno anni per poter ridare dignità alla giustizia, quella vera.

Da anni assistiamo allo sradicamento della nostra cultura, delle nostre radici a favore di un mondialismo che ha quasi annullato le nostre conquiste sociali, i centri produttivi creati con il sudore dei i nostri padri, la nostra identità. Occorrerebbe un’altra razza di politici, di persone che mettano al servizio della collettività il cuore con l’aiuto della mente e non viceversa, furono chiamati “onorevoli” per questo, non per altro, ma non gli viene data possibilità di accesso a causa di questa barriera insormontabile che si è creata nel tempo. Intanto il Paese vive in situazioni precarie soprattutto dopo la bastonata di questo virus.

C’è tanto bisogno di questo tipo di uomini, razza alquanto rara e forse in via di estinzione. La forza del cuore è l’unica che può trasformare il veleno in medicina e i problemi in occasione per risolverli. Finché non ci saranno politici coraggiosi, che sapranno interpretare con il cuore soprattutto e poi con la mente i bisogni reali del paese non avremo via di scampo, torneremo a vivere, né più né meno, quel periodo che i nostri antichi progenitori vissero dopo il crollo dell’impero romano, almeno per quelli che rimarranno in Italia.

Questo tipo di uomini potrebbe risvegliarci dal torpore in cui siamo caduti, o meglio dall’acquiescenza cui ci hanno abituato da anni, e risvegliare le nostre migliori qualità, quelle che ci contraddistinguono nel mondo e che sono la nostra parte più nobile: la nostra creatività, la nostra arte, il nostro ingegno, quanto di meglio abbiamo regalato all’umanità.

Quanto all’Unione europea non è più il caso di temporeggiare: o si crea un’unione europea effettiva, come una mamma che accudisce i propri figli, per usare una metafora, o è bene fuggire il prima possibile da questa unione che i più sentono oramai un’ entità astratta, quasi ostica. Qualora non ci siano queste condizioni, per la nostra stessa sopravvivenza, il buon senso suggerisce di riprendere in mano le redini cedute a terzi, mai con l’avallo del popolo. Questo ultimo passo non sarà di facile attuazione, bisognerà vigilare e vigilare ancora perché il canto delle “sirene” esterne non comprometta la delicata operazione.

Dobbiamo essere attivi e vitali, benessere e libertà vanno difesi ogni giorno, non sono diritti acquisiti. Nel “Faust” Johann Wolfang von Goethe (1749-1832) scrive:” Questa è l’ultima conclusione della sapienza: merita la libertà e la vita, unicamente colui che la deve conquistare ogni giorno”. Non c’è motivo di aver paura se dovremo rimanere da soli, anzi, potremo riprendere le nostre redini, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, che è la cosa più importante, e risorgere come ci è capitato di fare già molte volte, il genio che è nel nostro dna ci assisterà sicuramente, e allora avremo modo di riprendere anche la nostra dignità. Un villaggio sulle rive del Tevere conquistò, da solo, il mondo che si conosceva duemila anni fa e un re della piccola Macedonia, Alessandro Magno, conquistò mezza Asia, non c’è motivo perché non si possa aspirare agli antichi splendori e si possa tornare dalle stalle alle stelle, quelle vere.

April 21, 2020

 

 
 Amram Petrosyan

"Rilanciare un nuovo sistema internazionale sociale e politico fondato sui valori Cristiani". L'Armenia è l'ultima roccaforte del cristianesimo e La dichiarazione è stata fatta dal leader del movimento internazionale " Vostok" (Oriente) Amram Petrosyan in un'intervista al corrispondente della testata russa "Pravda". L'Armenia è il primo Stato al mondo ad annunciare ufficialmente il suo impegno per il Cristianesimo, ciò è dovuto ai profondi valori cristiani del suo popolo. Non si tratta solo del cristianesimo come fede religiosa, ma anche del cristianesimo come fenomeno culturale, sociale, internazionale, di cui L'Armenia" ne è un esempio reale”, ha sottolineato Petrosyan.

 

Nel 21 ° secolo, molti pensano che la percezione religiosa del mondo abbia perso la sua importanza nelle relazioni e nella politica internazionale. Tuttavia gli eventi del 11 settembre 2001 e l'ingresso nella scena internazionale di Al-Qaeda hanno dimostrato il contrario.  Oltre la convivenza pacifica tra religioni e la lotta contro il terrorismo, bisogna considerare altrettanto pericoloso il concetto di " liberalismo estremo ", che fino a poco tempo fa era l'ideologia dei leader dell' Occidente moderno. Il "liberalismo estremo" è molto pericoloso per qualsiasi sistema di valori tradizionali e tutta la sua debolezza si è mostrata in questo periodo a causa del Covid 19; basti pensare a quanti Paesi hanno inizialmente preferito salvaguardare l'interesse economico piuttosto che la salute, sottovalutando il pericolo. Secondo il diplomatico, è giunto il momento per la comunità internazionale di attuare un progetto umanitario a sostegno del Cristianesimo in generale, ed in particolare considerare l’Armenia quale un Paese leader in questa lotta di valori. Va sottolineato che non si tratta di un nuovo clericalismo, ma della rinascita dei valori universali che sono alla base della civiltà umana. A questo proposito il leader del Movimento Internazionale "Vostok" ha dato vita ad una iniziativa per la creazione di uno Stato Maggiore internazionale, con sede in Armenia, per la conservazione di tali valori.

April 16, 2020

Mentre i tempi delle collettività confinate dalle misure adottate dai governi come mezzi di contrasto della diffusione dei contagi da Covid-19 sono scanditi da bollettini quotidiani e decreti, la transizione tecnologica, ed energetica, definita terza rivoluzione industriale è ormai accettata come il male minore; talvolta come unico baluardo contro un nemico invisibile, quindi più minaccioso persino del terrorismo; e come conseguenza di un cambiamento di stile di vita imposto da due emergenze di fronte alle quali ogni dibattito è azzerato: la salute e l’ambiente

 

Ben prima della diffusione globale dell’allarme Covid-19, serie riflessioni sull’organizzazione delle società contemporanee e sulle diseguaglianze e le contraddizioni che le contraddistinguono erano sorte a seguito della crisi finanziaria globale del 2008 e, risalendo ancora nel tempo, in occasione della crisi petrolifera degli anni ‘70 del secolo scorso. Due cataclismi economici e soprattutto sociali, che hanno messo in discussione il rapporto dell’essere umano con la natura e con le sue risorse da un lato, e con il sistema di produzione capitalista e i suoi risvolti finanziari dall’altro. Con una differenza di non poco rilievo: nel 2008 la globalizzazione aveva già da tempo esteso il modello capitalista al mondo intero, ben al di là della linea di demarcazione tra i due blocchi, e aveva individuato nella Cina, entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) nel 2001, un anello fondamentale, soprattutto nell’estrazione e nella lavorazione a buon mercato di materie prime essenziali allo sviluppo dell’industria hi-tech, ma dall’impatto ambientale devastante, e nello smaltimento dei rifiuti. Già nel 1992, mentre gli Stati Uniti si apprestavano a gestire l’ordine mondiale come unica superpotenza dopo il crollo sovietico, Deng Xiaoping, padre dello sviluppo economico cinese, aveva intuito il futuro peso geopolitico di Pechino: il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare, che nella terza rivoluzione industriale hanno lo stesso ruolo che ebbe il petrolio nella seconda. Da esse dipende infatti l’industria aerospaziale, militare ed elettronica, tre settori strategici, tanto per l’organizzazione delle società, quanto per la gestione delle relazioni internazionali, poiché in grado di assicurare il controllo del globo terracqueo, dello spazio e del cyberspazio. Su questi tre assi si proietta attualmente la potenza di un’entità politica affermata.

 

Come rilevato dal documentario La sale guerre des terres rares di Guillaume Pitron e Serge Turquier, fino agli anni ‘90, il monopolio nell’estrazione dei metalli rari era degli Stati Uniti, ma la loro raffinazione avveniva in buona parte in Francia. In tal modo, Washington si spartiva con il satellite europeo (che allora includeva la Gran Bretagna) l’amministrazione di un ordine mondiale che immaginava unipolare, lasciando che Parigi, che con il sistema euro-atlantico non è stata sempre allineata, svolgesse una sorta di ruolo di co-gestore. L’azienda statunitense Molycorp, che estraeva questi minerali dalla miniera più grande del mondo, situata a Mountain Pass, nello Stato dell’Indiana, iniziò tuttavia a perdere progressivamente i suoi acquirenti, che preferivano comprare gli stessi elementi dalla Cina, a costi inferiori. La chiusura della miniera nel 2002, imposta dalle leggi di mercato, segnò infine il passaggio del monopolio estrattivo da Washington a Pechino, che attirava nel suo territorio investitori e tecnologie industriali occidentali. Fu questo spostamento a consentire la produzione di telefoni portatili a costi ridotti, quindi la loro diffusione come mezzo di comunicazione di massa su scala globale. E fu questa evoluzione, la cui portata è stata probabilmente sottovalutata, a permettere alla Cina di intraprendere, nel quadro della terza rivoluzione industriale, un cammino di sviluppo economico ipercapitalista, sul quale ha potuto fondare una crescente e inarrestabile crescita geopolitica, a costo della devastazione ambientale irreversibile di intere porzioni del suo territorio, soprattutto le più ricche del petrolio del XXI secolo. Dai tempi di Deng Xiaoping, che ne è stato l’ideatore, ma soprattutto dai primi anni Duemila, l’ascesa cinese è avvenuta lungo due assi fondamentali, tra loro correlati: primo, l’affermazione all’interno del mercato mondiale e grazie alle sue stesse leggi (in un momento in cui, verosimilmente, l’attenzione di Washinton era concentrata sugli effetti dello sprofondamento di Mosca e sulla conquista e la gestione dei suoi ex-satelliti); secondo, l’occupazione progressiva di posti di rilievo nell’Organizzazione delle nazioni unite (ONU), ancora in corso.

 

 

Come rilevato dal quotidiano francese Libération, in un articolo pubblicato il 15 aprile, sulle 15 agenzie ONU, quattro sono dirette da cinesi, tra le quali l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e l’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale (OACI), mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), accusata di recente di inclinazioni filocinesi, è guidata da Tedris Adhanom, ex ministro degli Esteri dell’Etiopia, bastione della Cina in Africa. La presa di coscienza del peso geopolitico di Pechino avvenne, tardivamente, nel 2010, lo stesso anno in cui la Cina scavalcava il Giappone divenendo la seconda potenza economica del pianeta. Un incidente marittimo apparentemente banale nel Mar Cinese orientale impose allora all’attenzione internazionale, in particolare a Washington, la questione della dipendenza da Pechino dei settori chiave del mercato mondiale, sempre più bisognoso di terre rare. Le autorità giapponesi arrestarono infatti l’equipaggio di un peschereccio cinese che, entrato nelle acque territoriali di Tokyo, aveva rifiutato di fermarsi entrando in collisione con due imbarcazioni della guardia costiera. Immediata la reazione di Pechino, che interruppe le esportazioni di terre rare al Giappone, paralizzandone un quarto dell’economia nazionale. Malgrado gli allarmi lanciati dal Senato statunitense nel 2010, dopo la sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump ha ridotto drasticamente i finanziamenti americani all’ONU, mentre la Cina ha continuato a impegnarsi incessantemente sui due fronti, economico e geopolitico, della sua affermazione, che dal 2013 si concretizza nel progetto delle nuove vie della seta, la Belt and Road initiative, estensione della strategia marittima del filo di perle. Analogamente, la guerra commerciale nel settore tecnologico lanciata da Washington contro Pechino non è bastata a ridimensionarne il peso economico e geopolitico.

 

Negli ultimi mesi, la diffusione su scala globale dell’allarme per i contagi da Covid-19, che ha avuto origine nella provincia cinese di Wuhan, ha messo in discussione gli stili di vita dominanti nelle società europee, asiatiche e americane. I governi di quasi tutti i paesi occidentali hanno adottato misure di confinamento e di reclusione che hanno radicalmente trasformato sia i sistemi di relazioni interpersonali, sia il rapporto dell’individuo con la collettività, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per il tessuto sociale. La sfera relazionale, finora articolata nelle due dimensioni della realtà fisica e di quella virtuale, si è vista quindi privare della sua componente concreta e materiale. In altri termini, il distanziamento sociale sta trasferendo le relazioni sociali della maggioranza degli individui che vivono nelle collettività organizzate nella Rete, che in molti paesi, come l’Italia, si sta rivelando (ancora) insufficiente a soddisfare le esigenze di una società attuale, proprio mentre la terza rivoluzione industriale sembra apprestarsi a raggiungere il suo momento culminante. Quello che i media descrivono come un cambiamento, forse irreversibile, degli stili di vita imposto dall’allarme per la minaccia invisibile del virus potrebbe avere quindi per effetto un’accelerazione dei due processi storico-economici iniziati dopo la guerra fredda: in primo luogo, la transizione energetica dai combustibili fossili alle terre rare, indispensabili per fabbricare le apparecchiature per la produzione di energia green o le batterie per i veicoli elettrici; in secondo luogo, la transizione economica verso la sparizione di buona parte dei mestieri tradizionali e la dipendenza sempre maggiore del mercato del lavoro dalla Rete, e in generale dal progresso tecnologico, che senza terre rare sarebbe impossibile.

 

 

Ciò significa che, dopo anni di crescente sensibilizzazione sull’emergenza ambientale, sul riscaldamento climatico, sulla necessità di trovare forme di energia cui ricorrere preservando le risorse del pianeta, l’emergenza sanitaria ha accresciuto notevolmente l’importanza strategica delle terre rare, con due conseguenze gravide di pericoli: anzitutto ha creato i presupposti per una competizione tra potenze sulla loro estrazione e lavorazione, forse analoga alla corsa agli imperi coloniali della fine del XIX secolo; inoltre, ha impedito qualsiasi dibattito sull’impatto ambientale e sulla salute umana dello sfruttamento di questi minerali. Infatti, si tratta di 17 elementi senza i quali il progresso tecnologico non sarebbe possibile, dal LED ai pannelli fotovoltaici, dagli impianti eolici ai droni. Che cosa direbbe dunque la coscienza (o la sensibilità) ecologica di fronte al fatto che, ad esempio, per estrarre un kilo di lutezio occorrono 1.200 tonnellate di roccia, 8,5 per un kilo di vandalio, 16 per un kilo di cerio, 50 per un kilo di gallio? E che cosa penserebbero coloro che esortano ad agire prontamente per arrestare l’impatto distruttivo dell’attuale modello economico sulla natura e sull’uomo, considerando che nei villaggi situati nei pressi della miniera di terre rare di Baoutou, nella provincia cinese della Mongolia interna, la radioattività è 32 volte superiore alla norma? Lo stesso discorso varrebbe peraltro per l’estrazione del cobalto nella provincia del Katanga, nella Repubblica democratica del Congo, dove la concentrazione di questo elemento nelle urine degli abitanti è 43 volte più elevata della media. Eppure, senza alcun dibattito pubblico, le misure restrittive imposte alla circolazione e all’assembramento degli individui in nome dell’emergenza sanitaria stanno di fatto rendendo necessario lo sfruttamento intensivo di terre rare, litio e cobalto.

April 14, 2020

 
 Alberto Bradanini

14/04/2020. L’illusione può soddisfare irrealistici bisogni immediati dell’essere umano, producendo un appagamento transitorio, ma in seconda battuta si rivela una patologia generatrice di sofferenze ben più gravi di quelle derivanti dal confronto con la realtà.

Di cosa si ha ancora bisogno per concludere che l’Italia deve prendere le distanze al più presto e nel modo più soft possibile dalle patologiche politiche imposte dalla Germania, distruttive sia del benessere dei popoli europei (in primis quello italiano) sia di quel residuo ideale di Europa solidale che ha un fondamento solo nel rispetto del principio di autonomia delle politiche fiscali e monetarie di ciascun paese membro e dei valori della democrazia (ricordo, en passant, che le istituzioni Ue non sono democratiche, come conferma l’esclusione dalla pre-riunione dell’Eurogruppo del 7 aprile scorso del Presidente del Parlamento Europeo, vale a dire del solo organismo democraticamente eletto dell’Ue). È quanto mai evidente che l’approdo ultimo della cosiddetta Unione Europea non saranno mai gli Stati Uniti d’Europa, che il direttorio Europeo (Berlino-Parigi) non ha mai inserito nel proprio orizzonte politico. Il miraggio di coltivare questa onirica ingenuità viene lasciato allo sprovveduto ceto dirigente italiano, ignaro della storia e della geopolitica dei popoli, mentre le nostre risorse nazionali vengono saccheggiate. Qualcuno potrebbe aggiungere che vi sono in Italia forze sottostanti che agiscono nell’ombra per impedire questo recupero di consapevolezza, seppure tardiva. È probabilmente così. Secondo il modesto ragionare dello scrivente una di queste forze è costituita dalla barriera invalicabile della grande informazione pubblica-privata, televisiva e stampata, vale a dire – le eccezioni sono ovunque e non cambiano la scena – il clero mediatico-accademico, colonna portante per ogni gruppo politico che intenda accedere al potere.

Sotto i colpi del virus, tuttavia, stanno vacillando molte certezze, persino quella di un popolo tenuto sinora deliberatamente all’oscuro del significato delle decisioni assunte dal ceto politico italiano (il fondamentale e distruttivo Trattato di Maastricht fu approvato nel 1992 senza nemmeno un dibattito parlamentare) di fronte all’impietosa realtà di un’Unione Europea dominata dal nazionalismo-sovranismo tedesco e dei paesi satelliti.

Il cosiddetto Eurogruppo (organismo informale formato dai Ministri delle finanze dell’Ue) sta in questo momento cucinando piatti prelibati nel sempiterno interesse dei paesi del Nord. Qualsiasi sarà l’esito di quell’incontro, si può tuttavia scommettere che coronabond, eurobond, prestiti della Banca Europea degli Investimenti ovvero il famigerato Meccanismo Europeo di de-Stabilità (Mes), tutti comporteranno inevitabilmente un aumento del debito pubblico italiano.

Il 6 aprile, sempre a reti unificate, il Presidente del Consiglio Conte ha illustrato le misure di rilancio della nostra economia tra cui 400 miliardi di garanzie statali su prestiti a favore delle imprese in difficoltà.

A fine anno, rebus sic stantibus, l’Italiavedrà quindi aumentare l’ammontare del debito pubblico, sia in valore assoluto che in termini di Pil. Facciamo alcune congetture. Alle maggiori spese per 25 miliardi decretate la settimana scorsa, possiamo ipotizzare che si aggiungeranno almeno altri 40 miliardi nella ragionevole ipotesi che lo Stato debba intervenire per evitare fallimenti di imprese (un 10% circa del totale delle garanzie pubbliche). Un altro numero imprecisato di miliardi (altro debito) sarà necessario per tenere semplicemente in vita lo Stato, dal momento che cittadini e imprese non potranno pagare le imposte corrisposte fino a ieri. In totale, per essere conservativi, il debito pubblico potrebbe aumentare di altri 70 miliardi. Anche gli eurobonds, a meno che non vengano congeniati dalla Bce per sparire prima o poi nella capiente pancia della Bce (come farebbe una banca centrale normale, se tedeschi, olandesi e altri nordici non vi si opponessero), questi titoli faranno comunque aumentare il debito complessivo dei paesi beneficiari.

Quanto al denominatore del rapporto debito/Pil, le previsioni indicano che, a causa del coronavirus, secondo Goldman Sachs[1] in Italia nell’anno in corso il Prodotto Interno Lordo scenderà almeno dell’11,6 % (in Germania del 9%). Il Pil italiano nel 2019 è stato di 1788 miliardi di euro[2], mentre il debito pubblico, al 31 gennaio 2020, ammontava a 2443 miliardi di euro[3]: Oggi il rapporto debito/Pil si attesta dunque intorno al 135%.

Con un incremento di almeno 70 miliardi, il debito complessivo raggiungerà i 2513 miliardi, mentre il Pil dovrebbe scendere a 1581 miliardi. Di conseguenza, il rapporto debito/Pil sfiorerà, si tratta come detto di una stima conservativa, il 159%.

Pur non potendo anticipare le reazioni dei mercati, della Bce, dell’Eurogruppo, della Commissione e via dicendo, e soprattutto della Germania, un punto appare chiaro sin d’ora: il quadro debitorio italiano sarà assai peggiore di oggi. A quel punto, per non veder schizzare lo spread a livelli stellari, il governo italiano – se non lo avrà fatto già prima – potrebbe essere costretto ad accettare il ricorso allo sciagurato Meccanismo Europeo di (de-)Stabilità, con esiti imprevedibili sulla tenuta del governo e catastrofici sui servizi sociali e sui beni pubblici essenziali. 

Le condizionalità imposte dal Mes sarebbero analoghe a quelle imposte alla Grecia, con l’obiettivo di completare il saccheggio delle ricchezze dell’Italia e dei risparmi privati degli italiani. Eppure, anche le pietre sanno ormai che i tagli alla spesa pubblica costituiscono una misura ciclica controproducente, poiché riducono il Pil, gli introiti dello Stato e la stessa capacità di ripagare il debito. Se lo sanno le pietre, lo sanno dunque anche i tedeschi. La sola spiegazione di tale scenario è pertanto costituita dall’esistenza di una strategia che ha una dimensione economica e una politica, volta alla colonizzazione e all’asservimento della nazione italiana da parte della Germania (in parte già raggiunto attraverso le non democratiche istituzioni europee che rispondono solo agli interessi tedeschi).

Il nostro Paese rischia oggi la sottrazione definitiva della sua democrazia e l’umiliazione del suo benessere a favore dell’oligarchia finanziaria tedesco-centrica (e sottostante quella mondialista). Una prova generale di come si spolpa la prosperità di una nazione e si abbatte la resistenza dei ceti subalterni che insistono a voler difendere lo Stato sociale e i beni pubblici.

Vi è d’altra parte una buona notizia che fa ben sperare per il futuro. La fiducia degli italiani nelle istituzioni europee si è dimezzata in poco tempo. Secondo SWG, nel settembre 2019 il 42% degli italiani aveva ancora inspiegabilmente fiducia nell’Unione Europea. Oggi, aprile 2020, costoro sono scesi al 27%. Un crollo simile si registra anche per le principali istituzioni europee, verso la Commissione la fiducia si riduce dal 41% al 24%, verso la Bce da 43% al 25%. Gli sprovveduti son sempre troppi, ma ormai in netta minoranza, e gli euro-inomani al governo sono in fibrillazione.

Sulla carta avremmo un’occasione unica – anche in adesione alla volontà popolare – per uscire dal tunnel, dal momento che la bestia è ferita. Il carnefice soffre, anche se molto meno, come la vittima, e non avrebbe la forza per reagire, nel giustificato timore di veder – metaforicamente – scorrere il sangue. Si tenga inoltre a mente che l’anello debole di una catena è in realtà il più forte, perché può spezzare la catena. L’Italia è dunque in grado di agire a tutela della propria sopravvivenza utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, senza chiedere o aspettarsi il consenso dei cosiddetti partner (non certo amici) europei.

La prima cosa da fare è il recupero di una parziale sovranità monetaria. È vero che è l’intero impianto dell’eurozona che andrebbe ridiscusso, ma per ridurre i traumi si potrebbe procedere – subito e tra le altre cose – all’emissione di biglietti di stato a corso legale (solo in Italia, e nel rispetto delle norme europee), per consentire alla nostra economia di riprendersi, ai nostri disoccupati di trovare un lavoro, ai nostri servizi pubblici di non affondare. Qualche piccolo shock ci sarà, ma contenuto e gestibile, con l’ausilio ad esempio di validissimi economisti italiani e internazionali, persino premi Nobel, su cui il Governo potrebbe contare, e i quali sono in grado di suggerire gli accorgimenti tecnici necessari, dall’operatività di una banca pubblica, a una gestione diversa delle aste di collocamento del debito, alla diffusione di Certificati di Credito Fiscale e via dicendo. La sola cosa da non fare ora è non far nulla. Se non si agisce con coraggio, se prevarrà ancora il fascino della servitù nei riguardi di paesi e tecnostrutture centrate su interessi altrui, chiamato vincolo esterno (basti vedere quanto la Germania abbia rispettato gli impegni comuni sottoscritti), beh allora questo ceto politico avrà meritato tutto il nostro biasimo e quello dei posteri, per aver abbandonato al suo destino un popolo intero, insieme ai suoi figli e nipoti.  


[1] https://www.agi.it/economia/news/2020-03-24/coronavirus-pil-italia-7817778/

[2] http://grafici.altervista.org/prodotto-interno-lordo-e-debito-pubblico-lordo-in-italia/

[3] https://www.soldionline.it/notizie/macroeconomia/debito-pubblico-italiano-2020

Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i molti incarichi ricoperto, è stato anche Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.

 

fonte www.vision-gt.eu

 

 

 

 

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