L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1382)

Free Lance International Press

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Circa venti opere realizzate da Giovanni Neri negli ultimi due anni, sono disposte negli spazi del Palazzo Santa Chiara nel cuore di Roma. Sono disposte più che esposte, perché entrano quasi a far parte dell’arredo dei particolari ambienti del palazzo, adibiti soprattutto ad ospitare eventi. Una parte dell’edificio seicentesco viene trasformata in teatro nel 1873.

I dipinti sono dislocati lungo le mura perimetrali di quello che possiamo definire il foyer del piccolo teatro, che, sul fondo, si apre su uno spazio minore dove si trova l’accesso alla Cappella del Transito di Santa Caterina da Siena. Il corpo della Santa è visibile al di sotto dell’altare centrale della Chiesa di Santa Maria sopra Minerva. La cappella fu realizzata nel 1638 negli ambienti che l’avevano ospitata, ormai spogli di qualsiasi memoria materiale.

Nel foyer, al di là di una tenda, si accede ad un disimpegno che conduce al piccolo teatro, mentre sulla sinistra parte una breve scalinata. Sui gradini, il Banner di Giovanni Neri è una sorta di guida che conduce al dipinto posto alla sommità, creando un allestimento suggestivo.

Le opere sono costituite in maggioranza da acrilici su masonite.

L’effetto dripping, che ricorda la pittura gestuale di Pollock, è accompagnato da quello che sembra generato dalla stessa interazione chimico-fisica del colore con se stesso e con la superficie. Una sorta di interferenza o onda, è quella che sembra di vedere, o come se il colore avesse una consistenza elastica e fosse stato tirato e deformato.

Proprio nel gesto e nel colore Giovanni Neri, in questi ultimi anni, ha trovato la migliore espressione dell’emozione e della sua ricerca. Questa si svolge per temi, gran parte delle opere esposte appartengono alla serie Leggendo Ungaretti.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo che rende conto del lavoro dell’artista, le immagini coprono un arco temporale che dal 1989 arriva al 2018.

Nella pubblicazione si parla anche del documentario Terre incolte. Giovanni Neri e la sua pittura, che fa capire come l’arte sia per lui una necessità di evasione dal quotidiano lavoro della terra.

 

 

Giovanni Neri

Opere recenti

17 maggio-12 giugno 2018

Roma, Palazzo Santa Chiara

Ingresso libero

Orari: dalle 10 alle 20.30, lunedì chiuso

Catalogo: Palombi Editori €. 19,00

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 
 Terenzio Medri

Un’altra figura storica del mondo della sommellerie internazionale ci ha lasciato. Addio a Terenzio Medri, albergatore con la passione del vino: È stato presidente dell’A.I.S, Associazione Italiana Sommelier. CIN Presidente!

 

 

 

La Riflessione!

 

“Vini prodotti con metodi di lavoro che prevedono il minor numero possibile di interventi in vigna e in cantina e che escludono l’utilizzo di additivi chimici e di manipolazioni da parte dell’uomo”. Questa una delle tante definizioni che troviamo in giro in riferimento ai cosiddetti “vini naturali”. Quando poi vengono organizzate tavole rotonde per osannare i vini veri, a mio avviso, tocchiamo il fondo nella comunicazione: vero è proprio inganno per i consumatori. Il contrario di Naturale: artificiale, alterato. Il contrario di Vero: falso, ingannevole. “Dobbiamo giocare tutti con le stesse regole. Vini naturali, vini veri, sono termini ambigui” ( Ruenza Santandrea. Coordinatrice Alleanza Cooperative Agroalimentari). Aggiungo:” Il vino naturale non esiste. È frutto del lavoro dell’uomo. Altra cosa è biologico”.

  

Frammento n. 1

Cerea, Vini Veri.

Si è svolta a Cerea, pochi chilometri da Verona, in concomitanza con il Vinitaly, la quindicesima edizione di Cerea ViniVeri, “nel rispetto dei ritmi e delle risorse naturali”. Tema conduttore per questa edizione è stato:” Amore per la natura e i suoi cicli”. Amore come arte del saper attendere, come “certezza che la natura non tradisce mai”, nel rispetto dei ritmi e delle risorse naturali. “Amore, in un’epoca di standardizzazione e omologazione, per i frutti di un’agricoltura sostenibile che preserva ed esalta la ricchezza e l’unicità dei territori e della loro biodiversità”. Così è stato sostenuto da Giampiero Bea, Presidente di ViniVeri. Filosofia pratica che è e vuole diventare anche stile di vita. Non importa se il vino non è buono. L’importante è che sia frutto di amore, natura, passione, ambiente, rispetto, sostenibilità, identità. Quindi al centro il vignaiolo, la vigna, la cantina. Al bando i trattori inquinanti, le vendemmiatrici, tutta la tecnica di vinificazione che ha rappresentato studi e conquiste per il viniviticoltura. E dato che ci siamo chiudiamo le Facoltà di Agraria ed Enologia che sfornano di continuo i “personaggi del male”. Però, attenzione, udite udite, un piccolo peccato può essere ammesso: l’aggiunta in “modeste” dosi di solfiti. Viva Cerea e i suoi Vini Veri. Se non ci fosse saremmo tutti senza una parte di “filosofia di vita”. Un consiglio: continuate questo tipo di produzione e lasciate agli assaggiatori dire che il vino così ottenuto è Vino Buono.

 

 

Frammento n. 2

Spesso ci dimentichiamo delle Pietre Miliari della ViniViticoltura.

I 40 anni di Banfi ci ricordano, in questo mondo di ricerca del diverso a tutti i costi, che esistono realtà che rappresentano la viniviticoltura italiana nel mondo. Era il 1978, l’anno della messa a dimora della prima barbatella di sangiovese a Montalcino. Ogni tanto corre l’obbligo di ricordarlo per primo a noi stessi: cosa sarebbe oggi Montalcino senza Biondi-Santi, Fattoria de’ Barbi e Banfi? Festeggerà i traguardi raggiunti, oltre a degustazioni particolari e iniziative sia in Italia che all’estero dove l’etichetta Banfi è presente, con un vino celebrativo, prodotto solo in 2.000 esemplari, che non sarà in vendita ma omaggiato a selezionati clienti che propongono Banfi in tutto il mondo.

 

 

 

Frammento n. 3

Sandro Gini eletto Presidente del Consorzio Tutela Vino Soave.

 
 Presidente Gini

Sandro Gini, enologo classe 1958 e titolare dell’azienda “Gini Sandro e Claudio” è il nuovo Presidente per il mandato 2018/2020. Subentra ad Arturo Stocchetti, storico Presidente rieletto per 14 anni. Conscio di essere a “capo” di circa tremila piccole aziende distribuite su circa 7.000 ettari di territorio vitato. La sfida è quella di proporre un nuovo Soave sia in Italia che all’estero, arricchito di valori basati sull’unicità del territorio. Occasione per vedere alla prova il Nuovo Presidente è stata Soave Preview, dal 17 al 20 maggio scorso. Dove, davanti ad una platea formata da stampa specializzata e buyer da tutto il mondo, ha ben spiegato i nuovi progetti di tutela e valorizzazione della denominazione. Buon lavoro Presidente!

 

 

 

 

Frammento n. 4

Terremoto nel Consorzio dell’Oltrepò Pavese.

Era nell’aria già da tempo. 15 aziende hanno lasciato il Consorzio perché “legato a schemi passati”. Gli “aventiniani” che da tempo partecipavano passivamente alle riunioni consortili, si sono riuniti presso l’Azienda Torrevilla sottoscrivendo le lettere individuali di dimissioni irrevocabili. Pare che, alle prime quindici, seguiranno altre. Una cosa è certa: viene meno il ruolo del Consorzio su controllo e vigilanza delle produzioni nel territorio. Il futuro? Auspicabile le dimissioni di tutto l’apparato consortile, apertura di un serio dibattito e riscrivere nuove politiche di rinnovamento. Altrimenti questa scissione non sarà che l’inizio di un nuovo percorso che porterà alla costituzione di un Consorzio alternativo. Diciamo la verità: l’Oltrepò non ci guadagnerà.

 

 

Frammento n. 5

Tar: la nocciola delle Langhe è solo delle Langhe.

Svolta storica: la sentenza del Tar Lazio ha accolto il ricorso presentato da circa cento comuni piemontesi per difendere il nome e l’identità di un territorio. La sentenza mette fine alla generica definizione “Langhe” e apre la strada al riconoscimento di una nuova Igp che farà storia: Langhe è solo delle Langhe. Quindi cancellazione dal Registro Vivaistico Nazionale “Tonda Gentile Langhe” che permetteva ad altre nocciole, di quella specie prodotte nel resto d’Italia, di portare in etichetta Langhe creando nel consumatore una evidente confusione.

 

 

Osservo, scruto, assaggio e…penso.

Fino al 26 maggio è visibile presso Cosarte a Roma, la mostra collettiva Contemporanea-mente. Non c’è un tema univoco che collega le opere, differenti anche per il mezzo espressivo prescelto dai diversi autori. In prevalenza sono state realizzate con una tecnica mista, come le opere di Luciano Antonacci, ma anche con colori acrilici, Maurizio Campitelli, o olio su tela, Anna Cunicella. In gran parte sono dipinti, ma sono presenti anche alcune fotografie di Giorgio Cirillo e di Debora Gloriani, delle illustrazioni di Cinzia Isabella Chitti e una scultura di Enzo Romani, forse il più classico degli autori presenti.

Figurativo, Debora Mazzone e astratto, ricorda la tecnica del dripping di Pollock, Maria Grazia Lunghi, ma anche recupero e riutilizzo di materiali, proposto da Roberto Fantini.

Il trait d’union è da rintracciarsi proprio nel titolo, in cui mente e contemporanea sono separati. Il protagonista è quindi il mondo contemporaneo interpretato, però, o meglio filtrato, pensato dalla mente, che condivide e vive il medesimo momento.

Lo spazio espositivo di Simona Gloriani nasce come scelta di vita, a contatto con il quotidiano del quartiere Garbatella. Si apre sulla strada come spazio creativo che invita a partecipare a corsi di pittura, ad eventi di varia natura, disponibile alla collaborazione con altre iniziative culturali ad ampio spettro presenti sul territorio.


Nel 1933 i bambini di Gruaro vennero sacrificati sull’altare della conoscenza: cavie umane a cui non è stata dedicata nemmeno una lapide

In questi giorni, nel silenzio generale, ricorre l’85° anniversario di una strage sconosciuta ai più ma non per questo meno terribile e assurda.

         Nel 1933 si decise di avviare la sperimentazione di un nuovo vaccino antidifterite sui bambini dai 13 mesi agli 8 anni residenti nel comune di Gruaro, un paesino tra i più piccoli e poveri del Veneto. Il vaccino costava 80 centesimi e sarebbe stato inoculato gratuitamente.

         L’ufficiale sanitario, il dott. Bettino Betti, si rifiutò di praticare i vaccini poiché non vi erano focolai epidemici di difterite (si erano verificati soltanto due casi negli ultimi tre anni) ma sotto le pressioni del prefetto di allora fu costretto a procedere. In una settimana, a partire dal 10 gennaio 1933, furono vaccinati 253 bambini, nonostante la diffidenza della gente e la contrarietà del parroco di Guaro e di quello di Bagnara. Dopo i primi “eventi avversi” (eritemi, esantemi, orticaria, edemi, disturbi gastrointestinali), il 18 aprile il dott. Betti riscontrò il primo caso allarmante su un bimbo di 3 anni, “colpito agli arti inferiori,” e dal giorno successivo cominciarono a moltiplicarsi i casi di paralisi.

         Alla fine, 28 dei 253 bambini vaccinati morirono e altri riportarono danni neurologici permanenti.

         Ariego Rizzetto, nel libro “Gruaro, venti secoli di storia”, racconta questo episodio, oggetto anche delle testimonianze di Adamo Gasparotto che alla strage sopravvisse insieme alla sorellina di 3 anni e cercò – del tutto inutilmente – di mantenere viva la memoria su questa storia vergognosa. Infatti, ogni famiglia colpita da lutto ricevette 7mila lire e tutto fu insabbiato. Visto ciò che stava succedendo le autorità salirono a Gruaro per far sparire ogni traccia del vaccino passando addirittura di famiglia in famiglia per raccattare tutte le scatole vuote. Il fascicolo scomparve e non risulta che sia stata avviata alcuna indagine giudiziaria per accertare eventuali responsabilità.

         Si diceva che la storia di questa strage è sconosciuta ai più e si capisce il perché. E’ una storia molto, molto scomoda. Specialmente di questi tempi. Tempi in cui anche i nostri bambini fungono da cavie, sottoposti d’autorità a dosi massicce di vaccini di cui non si conoscono le sperimentazioni, non si conoscono i componenti, non si conoscono gli effetti e non si conoscono le controindicazioni. Tutto in nome di una scienza sovrana lasciata nelle mani di pochissimi eletti spesso in palese conflitto di interessi. Ci sono però tantissimi Gasparotto che non ci stanno e continuano a battersi per un approccio più democratico, più dialettico e più responsabile del problema, in modo da evitare che l’elenco dei 28 bambini di Guaro continui ad allungarsi con l’inclusione di tante piccole vittime ignote.

        



Di seguito gli articoli sull’argomento usciti su “Il Gazzettino”:

“Quei bambini usati come cavie per testare un vaccino: morirono in 28” di Gabriele Pipia, martedì 2 dicembre 2013.

“Bimbi usati come cavie: sparito il fascicolo sulla strage di Gruaro” di Maurizio Marcon, mercoledì 3 dicembre 201

“Fecero la foto per la lapide ma io sono sopravvissuta” di Gian Piero del Gallo, giovedì 5 dicembre 2013.

Articolo sulla Rivista la bassa, anno XXXV, n. 66, giugno 2013 di Giacomo Tasca.

  Lettera aperta al Sindaco di Gruaro (281,3 KiB, 1.858 download)

  La strage di Gruaro del 1933, Il Gazzettino (198,3 KiB, 639 download)

  estratto da 'Gruaro, venti secoli di storia': la strage del 1933 (489,3 KiB, 832 download)

http://www.veneziatoday.it/cronaca/strage-gruaro-2933-bambini-morti-vaccino.html
http://www.facebook.com/pages/VeneziaToday/252463908142196

May 10, 2018


 
 Aldo Moro e Peppino Impastato

08.05.2018 - Il 9 maggio è la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Sono passati 40 anni da quando nello stesso giorno, il 9 maggio 1978, sono stati trovati morti Aldo Moro e Peppino Impastato. Il primo ucciso dai terroristi che volevano abbattere lo Stato e l’altro dalla mafia che si presentava come Stato alternativo.
Di Aldo Moro sono fissate nella memoria collettiva le immagini del corpo fatto ritrovare nel bagagliaio di una R4 rossa a pochi passi dalle sedi dei due partiti popolari italiani del dopoguerra, la DC e il PCI. Di Peppino Impastato furono ritrovati soltanto brandelli del corpo, dilaniato dall’esplosivo, sparsi nel raggio di decine di metri.
Aldo Moro è stato il politico che più di tutti ha cercato di costruire un ponte tra cattolici e comunisti, che ha consentito di approvare riforme importanti per i diritti nel lavoro, nella scuola e nella sanità. Peppino Impastato si è ribellato al sistema mafioso, che abitava a 100 passi di distanza, che permeava la sua famiglia e il suo paese (Cinisi), denunciando gli interessi economici perseguiti dai clan con la connivenza di apparati dello Stato.


Aldo Moro fu tra coloro che scrissero la Costituzione e fu il primo firmatario dell’Ordine del giorno approvato all’unanimità l’11 dicembre del 1947 in cui si dice: “L’Assemblea Costituente esprime il voto che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado”. Nel 1958, quando Moro fu nominato Ministro dell’Istruzione, mantenne la promessa Costituzionale e istituì l’insegnamento obbligatorio dell’Educazione Civica nelle scuole medie e superiori. Peppino Impastato è nato nel gennaio del 1948 insieme alla Costituzione della Repubblica Italiana. Nel 1967 partecipò alla “Marcia della protesta e della speranza”, organizzata da Danilo Dolci, dalla Valle del Belice a Palermo, così descritta: “gruppi di giovani, con cartelli inneggianti alla pace e allo sviluppo sociale ed economico della nostra terra, confluiscono con incredibile continuità nella fiumana immensa dei manifestanti”.
Aldo Moro trascorse le ultime settimane di vita in un cubicolo di 2 metri quadrati, senza spazio per camminare. Fu ucciso per una sentenza pronunciata da un sedicente “tribunale del popolo”, che intendeva colpire il cuore dello Stato. Peppino Impastato non sopportava le ingiustizie, soprattutto quelle autorizzate dallo Stato. Negli anni ’70 fu in prima linea nelle lotte contro la speculazione edilizia, l’apertura di cave da riempire di rifiuti, la realizzazione di un villaggio turistico su un terreno demaniale, la costruzione di una nuova pista dell’aeroporto. L’art. 9 della Costituzione stabilisce che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.


Aldo Moro nelle lettere scritte dalla “prigione del popolo” mise a nudo la logica aberrante del potere, con il suo “assurdo e incredibile comportamento”, a tal punto di arrivare a chiedere alla moglie di “rifiutare eventuale medaglia”, essendo ben consapevole della fine. Peppino Impastato contrastò le collusioni della politica con la mafia, con grande creatività, organizzando un carnevale alternativo, con una sfilata di cloni che dileggiavano i potenti del paese e con la trasmissione radiofonica “Onda pazza”, in cui si raccontavano in modo dissacrante le storie di “mafiopoli”.
Il funerale di Aldo Moro venne celebrato senza il corpo dello statista per esplicito volere della famiglia, che non vi partecipò, ritenendo che lo Stato italiano poco o nulla avesse fatto per salvare la sua vita. Al funerale di Peppino Impastato parteciparono migliaia di giovani compagni, nell’indifferenza della gente del paese di Cinisi, nascosta dietro l’omertà delle finestre chiuse. Nelle prime indagini si ipotizzò che Peppino Impastato fosse saltato in aria mentre stava compiendo un attentato. In nome del popolo italiano furono i giudici Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto a riconoscere la matrice mafiosa dell’omicidio di Peppino Impastato.


Aldo Moro fu rapito mentre si stava recando in Parlamento, il giorno della presentazione del nuovo Governo, sostenuto da un’alleanza innovativa, che si era “tanto impegnato a costruire”. Il 6 maggio 1978 il gruppo politico di Peppino Impastato, con riferimento ad Aldo Moro, diffuse nel paese di Cinisi un volantino in cui si leggeva: “Di fronte alla possibilità, che trapela dal modo in cui si conclude il comunicato delle B.R., che l’assurda condanna a morte non sia stata ancora eseguita, rivolgiamo un ultimo appello alla trattativa in nome della vita e per la difesa del diritto a lottare delle masse popolari”. Peppino Impastato, candidato nella lista di Democrazia Proletaria, alle elezioni del 14 maggio 1978 fu eletto consigliere comunale da morto.
Le immagini di Aldo Moro e di Peppino Impastato, persone molto diverse, per una coincidenza di data, per un destino che li accomuna, tendono ad avvicinarsi. Tutti noi siamo in debito verso entrambi, uomini coerenti e attenti al nuovo che avanza, assetati di giustizia e con la voglia di cambiare, ognuno nel proprio contesto, al di fuori e dentro le istituzioni.
Aldo Moro scrisse che commemorare significa “non solo ricordare insieme, ma ricordare rendendo nuovamente attuale” e parlò della necessità di “pulire il futuro”.


Oggi sarebbe un segno dei tempi se un Comune italiano intitolasse una via ad “Aldo Moro e Peppino Impastato”, uniti nella memoria. Facile immaginare che quella strada ogni anno il 9 maggio sarebbe inondata da tanti giovani, per rendere vive le vittime della violenza, per promettere impegno e dare gambe a quelle speranze che Aldo Moro e Peppino Impastato hanno cercato di realizzare.

Per gentile concessione dell'agenzia di Stampa PRESSENZA

Eleonora Bordonaro è una cantante siciliana di Paternò in provincia di Catania.
L’occasione al Teatro Vascello, in prima assoluta a Roma, è la presentazione del nuovo disco “Cuttune e lamè - Trame streuse di una canta storie”.
La Bordonaro abbandona momentaneamente il progetto dell’Orchestra Popolare Italiana di Ambrogio Sparagna di cui è la voce, per dedicarsi a questa parentesi solistica.
La cantante siciliana si muove tra sonorità folk con predilezione allo stile dei cantastorie (quelli che con chitarra e cartellone giravano le piazze con il tetto dell’auto come palco), tra brani originali, tradizionali e poesie popolari dell’800 interpretati in lingua siciliana, nello stile ricorda molto Rosa Balistreri e Carmen Consoli quando quest’ultima canta nel proprio dialetto.
Il concerto inizia con “Sentimi Rosa” brano di apertura anche il suo ultimo disco, qui eseguito in una veste scarna solo chitarra e voce, per continuare, con l’arrivo della band sul palco con “La tassa di li schetti” che racconta (fatto realmente accaduto nel ventennio fascista) di una giovane fidanzata molto esigente che chiede al proprio spasimante una vita agiata con tanto di servitù e l’aspirazione al lusso più sfrenato; lo sventurato che non può permettersi quel tenore di vita alla fine chiederà indietro l’anello di fidanzamento, che gli servirà per pagare la tassa mussoliniana (inflitta al celibe) che lui ribattezza “ tassa per la mia libertà”.
Arriva anche “Tri tri tri” con un ospite d’eccezione il percussionista Arnaldo Vacca con la sua inseparabile tamorra, che vanta collaborazioni con Antonello Venditti, Edoardo Bennato e Teresa De Sio solo per citane alcune.


La produzione di questo nuovo disco “Cuttuni e Lamè” è affidata a Puccio Castrogiovanni membro de I Lautari, polistrumentista, presente anche lui sul palco che interviene in voce nel bel duetto “E poi ci su i paroli”, sfoggiando tra i tanti strumenti anche uno strano scacciapensieri (marranzano in siciliano) ucraino.
Il concerto prosegue con la canzone “Li fomni” (le femmine) cantato nel dialetto di San Fratello paese dei monti Nebrodi occupato fin dall’ invasione Normanna da una popolazione proveniente dalla Francia( Provenza, Bretagna e Normandia) e dall’ Italia del nord (Piemonte e Liguria),dove si parla un sorta di dialetto né francese né italiano detto anche gallo-italico utilizzato solo in questa zona, le sonorità del canto di questa misteriosissima lingua ricordano uno struggente 'fado' portoghese.
Dopo aver ascoltato i canti della tradizione del venerdì santo “Lamento di Maria”,
“Ucch’i l’arma” e ”Maria passa pi na strata nova“ si arriva alla title track in stile tango
“Cuttuni e Lamè” brano con cui l’autrice divide l’universo femminile in due categorie “donna-Cuttuni” una donna al naturale con un’innocenza disarmante, fragile e sempre in cerca di protezione e di comprensione, una sorta di vittima inconsolabile e la “donna-Lamè” astuta sofisticata con abiti eccentrici, trucco pesante, sicura di sé - la cosiddetta mangia-uomini -, ma nessuna delle due donne troverà una degna redenzione e una realizzazione personale.


Concludono il concerto una struggente “Vuci” e “A partita” quest’ultima con una chiara impronta blues.
La cantante concede il bis proponendo un brano della sua prima formazione musicale quella dei Majaria Trio “Niura mi dicisti”.
Ho assistito a una serata ricca di tradizione, musica folk, melodia e suoni contemporanei al profumo degli agrumi di Sicilia.

Annunciati a Murcia i narratori e i poeti delle quattro lingue ufficiali vincitori del Premio conferito dall’Associazione Spagnola dei Critici letterari

 

 

Come ormai da tradizione a fine aprile sono stati proclamati i vincitori dei Premi Nazionali di poesia e narrativa decisi dall’Associazione Spagnola dei Critici Letterari, l’unico premio nazionale che dal 1975 include a pari merito gli scrittori delle quattro lingue ufficiali dello Stato spagnolo: castigliano, catalano, basco e galiego.

Il Premio della Critica che era sempre convocato a Saragoza, Barcellona e Madrid ha iniziato a proporsi in diverse città spagnole cambiando ogni anno sede di conferimento. Le ultime città che lo hanno accolto, tra le altre, sono Soria, Santa Cruz de La Palma, Pontevedra, Logroño, Cáceres, Santander, La Coruña, Sevilla, Lugo.

Il rituale si ripete dal 1956 quando un gruppo di critici spagnoli propose di organizzare un premio indipendente, dal prestigio riconosciuto, che sottolinea l’influenza della critica letteraria in contrasto con i premi più commerciali. Infatti la peculiarità di questo Premio è che viene assegnato senza alcun compenso in denaro o altro riconoscimento materiale; addirittura i premiati sono assenti perché sanno del premio soltanto cinque minuti prima che la Giuria lo annunci alla Stampa.

E’ veramente singolare assistere allo spoglio delle preferenze espresse dalla giuria dei critici spagnoli che via via si assottiglia eliminando i meno votati fino alla discussione sui due più votati che devono arrivare allo spareggio!
Serietà e continuità nel tempo caratterizzano così questo Premio che conta tra i suoi vincitori i più affermati scrittori nelle lingua della Spagna: dal premio Nobel Camillo José
Cela a Torrente Ballester e Delibes fino a Luis Mateo Díez passando per Ana Matute, Vargas Llosa, Aldecoa, Cristina Fernández Cubas e Aramburu, tra gli altri grandi narratori di ieri e di oggi; Vicente Aleixandre, Luis Rosales e Blas de Otero, José Ángel Valente, José Hierro, Caballero Bonald e María Victoria Atencia, passando per Guillermo Carnero, García Montero, tra gli altri poeti di prima linea.

Così anche i più importanti poeti e narratori catalani, baschi e galieghi hanno vinto il Premio della Critica tra cui Cunqueiro, Méndez Ferrín, Celso Emilio Ferreiro, Carlos Casares e Manuel Rivas tra i galieghi  Salvador Espriu, Mercè Rodoreda, Josep Pla, Joan Margarit e Pere Gimferrer tra i catalani e Ramón Saizarbitoria, Bernardo Atxaga, Kirmen Uribe e Anjel Lertxundi tra i baschi.

Per il 2018 I Premi della critica sono andati, per la lingua castigliana al narratore Javier Marías per il libro Berta Isla e al poeta catalano Luis Bagué Quílez per Clima Mediterráneo; per la lingua catalana in narrativa, Els fills de Llacuna Park di María Guasch e in poesía, Convivència d'aigüe di Zoraida Burgos; in lingua galiega Emma Pedreira, per Bibliópatas e fobólogos,ey Lupe Gómez in poesia, per Camuflaxe; in lingua basca Aingeru Espaltza, perr Mendi-joak e Luis Garde, per la poesia Barbaroak baratzean.

Il Presidente della Giuria Angel Basanta ha sottolineato come pochissimi nei lunghi anni del Premio lo hanno vinto due volte, tra cui proprio Javier Marìas che giusto 25 anni fa ha vinto per un altro racconto ed oggi è annoverato tra i massimi scrittori spagnoli.

Come Presidente internazionale dell’Associazione Internazionale dei critici letterari sono stata invitata, così come già a Soria, dal presidente Angel Basanta a seguire i lavori della Giuria e la premiazione. Mi ha entusiasmato e profondamente colpito la serietà di questa scelta critica e soprattutto mi pare che sia da onorare una selezione che prescinde dalla visibilità commerciale e mondana per privilegiare invece soltanto la qualità letteraria del testo.

Angel Basanta e tutta la Giuria mi dicono che dopo l’annuncio di questo riconoscimento anche le vendite dei libri premiati vola perché i lettori si fidano del giudizio dell’Associazione Spagnola dei Critici Letterari.

Mi adopererò per portare in Italia questo modello grazie anche all’aiuto di Angel Basanta che oltre ad essere il Presidente dell’Associazione Spagnola dei Critici Letterari è anche il Segretario generale dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari .

Murcia, con il suo prestigioso Sindaco José Ballesta, già Magnifico rettore dell’Università di Murcia e lo splendido barocco delle sue piazze e della Cattedrale, con l’ottima ospitalità offerta, sarà la culla del Premio della Critica letteraria italiana?

 

 

 

  •  (nella I°  Foto) Il Sindaco di Murcia, José Ballesta, al centro accanto al Presidente della Giuria, il presidente dei Critici spagnoli, Angel Basanta e la presidente internazionale Neria De Giovanni

  • (nella II°  Foto) Murcia La Giuria del Premio della critica in visita al Museo Ramòn Gaya


Lattanzio: grande emozione dopo anni di lavoro


Mosca, 7 mag. (askanews) – Concerto al Cremlino e tra i cantanti c’è anche una voce italiana. Si tratta di Luca Lattanzio, di Numana (Ancona) invitato a partecipare al concerto dello scorso 5 maggio. L’artista, attivo da anni in Russia, si dice fiero di aver avuto l’onore di rappresentare l’Italia. Ha cantato la celebre canzone Russa “Katiuscia” sia in italiano che in russo, accompagnato dal celebre coro dell’Armata Rossa e dalla grande orchestra del Cremlino. “Una grande emozione dopo anni di lavoro e studio all’estero” ha detto. “Un momento della mia carriera che ricorderò per sempre” ha aggiunto.
L’esibizione molto applaudita ed apprezzata dal pubblico in sala verrà trasmessa sul primo canale della Tv russa in prima serata davanti a oltre 60 milioni di telespettatori.

 

May 03, 2018

Dal 7 al 13 maggio, presso il Teatro Palladium di Roma, si terrà la XIII edizione del Roma Tre Film Festival, tra omaggi ai 50 anni del ’68 e a C’era una volta il West, incontri con grandi personaggi e il doveroso ricordo di Vittorio Taviani, recentemente scomparso, che insieme al fratello, Paolo Taviani, ha realizzato pellicole che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del cinema, capace di influenzare intere generazioni.

 

Un programma ricco di appuntamenti e riflessioni culturali caratterizza la nuova edizione della rassegna, ideata e diretta da Vito Zagarrio, nata come "Carta bianca Dams", all'interno del Festival romano "Arcipelago", per valorizzare i cortometraggi degli studenti, per poi evolversi gradualmente e conquistare, ormai da tredici anni, un proprio spazio di rilievo, diventando il Festival del cinema dell’Università di Roma Tre. Da manifestazione per gli studenti si è trasformata in un laboratorio aperto a giovani professionisti provenienti dai Dams italiani o dalle scuole di cinema, ma anche ad autori di varie generazioni.

 

Negli anni il Festival ha monitorato l'immaginario di una generazione, seguito l'irruzione del digitale, tastato il polso di un "cinema espanso", di un’immagine in movimento che, attraverso numerose contaminazioni, ritrova la propria vitalità.

 

E anche quest’anno la manifestazione si propone come punto di incontro di appassionati di cinema attraverso proiezioni, anteprime e dibattiti alla presenza di studiosi nazionali ed europei, addetti ai lavori, operatori del settore e studenti delle discipline audiovisive.

 

Placido, Montaldo, Bellocchio, sono solo alcuni dei nomi che contribuiranno a rendere gli appuntamenti della kermesse avvincenti. E poi Giovanna Taviani, Claudio Sestieri, Wilma Labate, tutti illustri rappresentanti della Settima Arte, accompagnati dalla nuova generazione emergente, tra documentario e fiction, come Bellino, Bertozzi e Aiello.

 

Si parte lunedì 7 maggio alle 20.30 con Il cratere di Luca Bellino e Silvia Luzi, alla presenza dei registi del film e di Luciana Della Fornace. Martedì 8 maggio, il DAMS dell’Università Roma Tre (via Ostiense, 139, aula 1) dedica un omaggio ai 50 anni del ’68 con la proiezione del provocatorio Teorema di Pier Paolo Pasolini, cui seguirà una tavola rotonda a cura di Giacomo Martini con la partecipazione, tra gli altri, di Giacomo Marramao, Enrico Menduni, Stefania Parigi, Wilma Labate, Daniele Vicari, Simone Isola, Paola Dalla Torre, Vito Zagarrio. In serata, alle 20.30, incontro con Michele Placido al Teatro Palladium dove verrà proiettato Il grande sogno per la regia dello stesso attore.

 

Mercoledì 9 maggio continuano le proiezioni dei film realizzati o prodotti da “Quelli del DAMS” mentre in serata, a partire dalle 20.30, per i 50 anni di ’68, al Teatro Palladium, Giuliano Montaldo, uno dei grandi maestri del cinema, racconta la nascita e i retroscena del film La morte legale: Giuliano Montaldo racconta la genesi del film Sacco e Vanzetti, di Silvia Giulietti e Giotto Barbieri. Dopo quasi cinquant’anni, nel 1971, il regista Giuliano Montaldo realizza un film sul commovente e straziante racconto dei due italiani finiti ingiustamente sulla sedia elettrica, nel penitenziario di Charlestown, che diventa immediatamente un manifesto contro l’intolleranza, l’ingiustizia, la pena di morte, oltre a un grande successo internazionale; la colonna sonora, “Here’s to you”, di Ennio Morricone e Joan Baez è il simbolo della libertà e difesa per i diritti umani. Giovedì 10, giornata dedicata alle proiezioni dei film in concorso (dalle 15.30), come pure quella di venerdì 11, che ha il suo clou, alle 20.30, nell’incontro con Paolo Taviani e la proiezione dell’ultimo film girato insieme al fratello Vittorio, Una questione privata, una storia toccante e struggente, tratta dal romanzo di Beppe Fenoglio. L’omaggio a Vittorio Taviani continuerà la domenica pomeriggio con una master class (h. 18.00) di Giovanna Taviani e la proiezione di estratti da I nostri trent’anni. Generazioni a confronto (2004) e Fughe e approdi (2011) della documentarista, figlia di Vittorio Taviani

 

Sabato 12 si segnala alle 18.30 una master class su "La fotografia nel cinema di Sergio Leone” a cura di Patrizia Genovesi in collaborazione con Libera Università del Cinema, mentre alle 20.30 Christian Uva e Vito Zagarrio introdurranno la proiezione del capolavoro di Sergio Leone C’era una volta il West, in pellicola grazie alla collaborazione con la Cineteca nazionale. Sarà un’occasione di “cinema- vintage”, in cui il pubblico potrà vedere il film di Leone in 35 millimetri cinemascope. Ospite d’onore Dario Argento, soggettista del film.

 

Domenica 13 maggio gran finale del Roma Tre Film Festival. Alle 20.30 incontro con il regista Marco Bellocchio, storico interprete del ’68, che proporrà un director’s cut del suo Nel nome del padre.

La manifestazione si concluderà con la premiazione dei vincitori del Concorso Carta Bianca DAMS e l’assegnazione del premio del pubblico, con conseguente proiezione del corto vincitore.

 

Il Roma Tre Film Festival è realizzato con il patrocinio della Regione Lazio e della Fondazione Roma Tre – Teatro Palladium in collaborazione con Università di Roma Tre, Dipartimento Fil.Co.Spe., DAMS, Centro Produzione Audiovisivi Università Roma Tre, Università di Enna – Kore e Libera Università del Cinema.

 

Maggiori informazioni al sito: http://romatrefilmfestival.wixsite.com/romatrefilmfestival

Consumare latte per assicurarsi il calcio è come bere acqua salata per estinguere la sete. Più latte e latticini si consumano e più viene sottratto calcio ai muscoli e al sistema scheletrico e a predisporre l’organismo all’osteoporosi; i latticini, infatti, sono sostanze altamente acidificanti e questo costringe l’organismo a sottrarre calcio alle ossa per tamponare l’acidità prodotta. Le statistiche mostrano che più le popolazioni consumano latticini più sono colpite da osteoporosi e da fratture.
Non è la quantità di calcio presente in un alimento ciò che conta ma la quantità che il nostro organismo è in grado di assimilare. Il calcio dei latticini è scarsamente utilizzabile perché reso inorganico dalla bollitura o dalla pastorizzazione. Solo il 30-35% viene utilizzato contro il 40-60% delle verdure. Il mondo vegetale è ricchissimo di calcio (verdure a foglia verde, legumi, semi ecc.) ma soprattutto è privo degli effetti collaterali del latte (che è una specie di discarica di tutti gli inquinanti consumati dall’animale), da quello che mangia ai residui dei medicinali e alle malattie dell’animale. Tra il latte umano e quello vaccino vi è la stessa differenza tra una donna ed una mucca.
Nessuno si sognerebbe di consumare latte di una donna; nessuno darebbe al proprio bambino il latte di una donna che fuma, che si droga, che prende medicinali, ormoni o ammalata; eppure si ritiene logico e salutare dare il latte di una mucca, in catene dalla nascita alla morte, disperata, ammalata. Il calcio noi vegani lo prendiamo dalle stessa fonte dove lo prendono gli animali erbivori e frugivori, cioè dal mondo vegetale. Un quarto della popolazione mondiale non usa bere latte e gode di una salute migliore delle popolazioni che ne fanno uso. Ma la fissazione del calcio richiede la presenza di vitamina D che un’adeguata esposizione giornaliera alla luce sole è in grado di assicurare.

IL CALCIO nei vegetali: (mg/ 100 gr)

Tarassaco: 316

Ruchetta: 309

Soia secca: 257

Fichi secchi: 286

Mandorle: 240

Prezzemolo: 220

Farina di soia: 210

Spinaci: 170

Nocciole secche: 150

Cicoria: 150

Ceci secchi: 142

Fagioli secchi: 135

Pistacchi: 131

Agretti:131

Bieta bollita: 130

Radicchio verde: 115

Crusca di frumento integrale: 110

IL CALCIO nei prodotti animali: (mg/ 100 gr)

Grana: 1169;

Pecorino siciliano: 1162;

Parmigiano: 1159;

Emmental: 1145;

Latte vacca parz. screm.: 1124;

Groviera: 1123;

Latte di vacca, intero: 1050;

Fontina: 870;

Caciocavallo: 860;

Provolone: 720;

Crescenza: 577;

Stracchino: 567;

Scamorza: 512;

Formaggino: 430;

Cacio ricotta: 396;

Ricotta di bufala: 340;

Cioccolato al latte: 262;

Latte di bufala: 198;

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