L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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GUERRA AI VEGAN
Non c’è giorno in cui un nutrizionista in televisione non attacchi la scelta vegan considerandola avventata e pericolosa specialmente per i bambini. Una vera e propria dichiarazione di guerra in cui i vegani sono ritenuti gente sprovveduta, avulsa da cognizioni scientifiche, che segue la tendenza del momento ma che rischia la propria salute. E considerando gli immensi interessi economici in ballo ritengo tutto questo fisiologico. Infatti in una civiltà vegan tireranno la cinghia le lobby degli allevatori, dei macellai, dei cacciatori, dei caseifici, dell’industria chimico-farmaceutica, dei pellicciai, della pesca, dei vivisettori ecc.E non c’è da stupirsi se ad attaccare furiosamente la scelta vegan siano personaggi di bassa risma: aggressivi, sanguigni, volgari. La nostra filosofia di vita è per gente gentile, sensibile, compassionevole, giusta, lungimirante: qualità difficilmente riscontrabili in chi ritiene legittimo fare a pezzi una splendida creatura (come un vitellino, un cavallo, un maialino, un coniglio) per deliziare il proprio palato.Naturalmente l’alimentazione ritenuta migliore è quella in cui si mangia un pò di tutto, ma con moderazione e, in fatto nutrizionale, occorre farsi seguire da un nutrizionista perché, come per le medicine, la gente non è in grado di capire cosa è utile mangiare. Ma il principale nemico dei dietologi e nutrizionisti palesemente carnofili è eccellente salute dei vegani che attribuiscono non all’alimentazione ma all’eventuale stile di vita più sano, mentre noi sappiamo che la robustezza di un edificio dipende inevitabilmente dalla qualità dei materiali utilizzati per la sua costruzione. E utile ricordare che i medici allopatici non hanno mai dato alcuna importanza all’alimentazione né mai relazionato la salute alla qualità degli alimenti: il medico in genere chiede all’ammalato se ha mangiato, mai che cosa ha mangiato.E quando si verifica un episodio di malattia di un bambino di genitori vegan si approfitta per screditare tale scelta e dimostrare la sua dannosità, trascurando di menzionare le migliaia di bambini e adolescenti, vegan dalla nascita e in ottima salute, nati da genitori vegan.
Sfortunatamente alcuni si definiscono vegan senza avere la giusta conoscenza dei principali requisiti della scienza alimentare e questo può mettere in cattiva luce la causa vegana. Anche chi si nutre di solo di patatine e Coca Cola può, erroneamente, definirsi vegan anche se è lontano anni luce dalla vera filosofia vegan il cui fulcro principale è la consapevolezza, la conoscenza, e la responsabilità verso se stessi e verso il nostro prossimo universale.
“L’ALIMENTAZIONE VEGETALE INVECE DEL CIBO ANIMALE È LA CHIAVE DELLA RIGENERAZIONE UMANA”. (RICHARD WAGNER 1813-1883 MUSICISTA TEDESCO)
Milano, 27 marzo 2018 - Secondo le più recenti stime di Fondazione ISMU , gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017 che professano la religione cristiana ortodossa si confermano come l’anno precedente i più numerosi (oltre 1,6 milioni, +0,7%), seguiti dai musulmani (poco più di 1,4 milioni, -0,2%) e dai cattolici (poco più di un milione, -0,1%) [1] . Passando alle religioni di minor importanza quantitativa, i buddisti stranieri sono stimati in 188mila (+3,5% rispetto al 1° gennaio 2016), i cristiani evangelisti in 124mila (+2,3%), gli induisti in 73mila (+0,8%), i sikh in 72mila (+0,9%), i cristiani copti in 19mila (+2,1%). Considerando anche cristiani di altre confessioni non comprese tra le principali (111mila in totale al 1° gennaio 2017, +3,8% rispetto ad inizio 2016), i cristiani (compresi i cattolici) stranieri residenti in Italia risultano in tutto 2,9 milioni, in aumento dello 0,6% nell’ultimo anno. Anche se non includono gli stranieri non iscritti in anagrafe le elaborazioni di ISMU mettono in mostra che il panorama delle religioni professate dagli stranieri è variegato e sfata in particolare il pregiudizio secondo cui la maggior parte degli immigrati professa l’Islam. Per quanto riguarda le provenienze si stima che la maggior parte dei musulmani stranieri residenti in Italia provenga dal Marocco (408mila), seguito dall’ Albania (206mila), dal Bangladesh (103mila), dal Pakistan (100mila), dall’ Egitto (96mila), dalla Tunisia (93mila) e dal Senegal (87mila). Circa un terzo dei cristiani ortodossi vive in Lombardia o nel Lazio. La regione in cui la presenza di stranieri di fede cristiana ortodossa è maggiore è la Lombardia , con 268mila presenze, seguita dal Lazio con 263mila e poi più a distanza da Veneto (174mila), Piemonte (161mila), Emilia Romagna (158mila) e Toscana (117mila).
I musulmani si concentrano soprattutto in Lombardia . La regione in cui vivono più stranieri residenti di fede musulmana, minorenni inclusi, è la Lombardia: sono 360mila, pari ad oltre un quarto del totale degli islamici presenti in Italia . Al secondo posto troviamo l’Emilia Romagna con 178mila musulmani, al terzo il Veneto dove i musulmani sono 134mila, al quarto il Lazio con 120mila presenze appena davanti al Piemonte (117mila).
Gli immigrati cattolici sono presenti soprattutto in Lombardia e secondariamente nel Lazio. La regione italiana in cui vivono più immigrati cattolici è la Lombardia, con 273mila presenze, seguita dal Lazio (153mila), dall’Emilia Romagna (94mila), dalla Toscana (84mila), dal Veneto e dal Piemonte (76mila in entrambe le regioni).
La provincia di Milano è in cima alla classifica per residenti musulmani e cattolici. Quella di Roma per numero di stranieri cristiano-ortodossi. La provincia di Milano è capolista per numero di stranieri residenti sia musulmani (115mila pari all’8,1% del totale nazionale) sia cattolici (143mila pari al 13,8% del totale nazionale), in entrambi i casi leggermente davanti a quella di Roma (che conta 98mila stranieri musulmani e 134mila stranieri cattolici). La provincia di Roma invece primeggia per numero di cristiani ortodossi (211mila, pari al 13,0% del totale nazionale), seguono le provincie di Torino (99mila) e Milano (88mila).
Dopo le province di Milano e di Roma, i musulmani si concentrano soprattutto in quelle di Brescia (61mila) e Bergamo (50mila).
[1] In questi conteggi non sono compresi né gli stranieri irregolari nel soggiorno o non iscritti in anagrafe, né coloro i quali hanno acquisito la cittadinanza italiana. Sono inclusi invece i minorenni di qualsiasi età, neonati compresi, ipotizzando per loro la medesima appartenenza religiosa dei connazionali come appurate dalle più recenti indagini regionali lombarde.
La Free lance International Press appoggia la campagna di denunzia del prof. Giuseppe Altieri contro i pesticidi e le istituzioni che ne appoggiano la diffusione con grave danno per la nostra salute.
Per chi fosse intenzionato ad aderirvi basta inviare una mail di adesione con nome e cognome alla seguente mail: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Richiesta di adesione al seguente documento:
Glifosate: Campi di sterminio chimico, spesso sovvenzionati con i soldi delle nostre tasse (tutti fuorilegge)
Girano su internet pubblicità illegittime di un prodotto che dovrebbe essere vietato, sia perché probabile cancerogeno che per gli obblighi di agricoltura integrata vigenti in tutta Europa.
Norme che vengono allegramente falsificate, per un disastro ambientale e sanitario che va avanti da 40 anni...
Fermiamo questo Scempio Criminale ? !!!
(inviate le vostre firme) la vostra adesione va inviata a: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
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Ormai sono tutti fuori legge…
1)...La Monsanto, che continua a pubblicizzare e vendere il Glifosate, vietato dalle norme europee di agricoltura integrata obbligatoria per tutti gli agricoltori (Decisione CE del 30.12,1996 All. 1 Norme OILB), che non prevede uso di disseccanti chimici totali… tantomeno chiamandola falsa semina, in quanto con questo termine si intende... il lasciar nascere le erbe per interrarle e non disseccarle…
2)...Lo Stato italiano, che invece di applicare le norme UE sulla produzione Integrata come livello minimo stabilito per la sicurezza ambientale e sanitaria dell'attività agricola, consente uso di pesticidi chimici sintetici pericolosi per la salute, senza obblighi di tecniche sostitutive prioritarie, rispettose del Principio di Precauzione Europeo. Trasformando così la Produzione Integrata… in Pesticidi Integrati… Ed inventandosi addirittura due livelli di Produzione Integrata (una obbligatoria e l'altra facoltativa), nessuno dei quali rispettoso delle norme minime di tutela comunitarie… ...al fine di consentire alle Regioni di pagare con i soldi delle nostre tasse l'acquisto del Glifosate… invece che la sua sostituzione…Quando a livello UE si è stabilito che l'Agricoltura integrata è obbligatoria per tutti come requisito minimo per coltivare. E pertanto non può godere di Pagamenti dei Agroambientali previsti nei PSR Regionali solo per impegni facoltativi (tantomeno per comprare il Glifosate).
3)...Le Regioni, molte delle quali finanziano attraverso i pagamenti agroclimatico ambientali l'acquisto di Glifosate… chiamandola illegittimamente "Agricoltura Conservativa" o "Integrata Volontaria"…
4)...La Commissione UE - DG Agri, coordinata dal Dr. Gianfranco Colleluori, che continua ad approvare queste schifezze al 400%, da circa venticinque anni... Non si capisce cosa si aspetta ancora a denunciare penalmente tutte queste illegittimità …oltretutto "probabilmente mortali" per molti esseri Umani PS - Il Glifosate essendo classificato dallo IARC di Lione "probabile cancerogeno" dovrebbe essere automaticamente vietato dagli stati membri…
A dire il Vero, un DM Sanità stabilisce che il Glifosate è vietato in tutti gli ambiti frequentati dalla popolazione……agricoltori inclusi ovviamente,... o i campi coltivati non sono frequentati da esseri umani?
Fermiamo questo Scempio Criminale ? !!!
Ad uso e consumo per tutti i sindaci che tengono a cuore la salute dei propri concittadini alleghiamo la sottostante documentazione
Tensioni diplomatiche, strappi all'interno di alleanze storiche, violazioni più o meno velate della sovranità degli Stati, tentativi di ritorno al protezionismo o di rispolverare dinamiche da guerra fredda, ma se il prossimo assetto geopolitico mondiale dovesse affermarsi nel cyberspazio?
Il duro botta e risposta tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il premier israeliano Benjamin Netanyahu riaccende uno scontro innescato nel 2010 dalla morte dei nove attivisti turchi, uno dei quali con cittadinanza statunitense, a bordo della nave Mavi Marmara. Commentando la brutale repressione da parte dell'esercito israeliano delle proteste nella Striscia di Gaza, Erdoğan ha chiamato Netanyahu “occupante” e “terrorista”, aggiungendo: “ciò che fai ai palestinesi oppressi sarà parte della storia e noi non lo dimenticheremo mai”. Immediata la reazione del premier israeliano, che ha respinto gli “insegnamenti morali” di un paese, la Turchia, che “da anni bombarda i civili indiscriminatamente”. Abbandonata la linea moderata dell'ex ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu, Erdoğan mira ad affermare il ruolo di potenza regionale della Turchia. Da un lato, quindi, con l'operazione ramo di ulivo, lanciata a gennaio, continua il suo progetto di sottrarre più territori possibili dal controllo delle forze curde siriane; dall'altro affianca Russia e Iran nelle vesti di garante del cessate il fuoco in Siria del dicembre 2016, ponendosi tra i promotori di una soluzione politica del conflitto; infine, ospita la delegazione statunitense in visita ufficiale per la quinta riunione del vertice sull'industria della difesa di Turchia e USA, confermando l'intenzione di cooperare con Washington e con la NATO in materia di sicurezza e lotta al terrorismo. Una tanto complessa quanto pragmatica costruzione di reti diplomatiche, che nelle intenzioni di Erdoğan dovrebbe assicurare ad Ankara un significativo peso geopolitico, anche attraverso il controllo di regioni che si estendono oltre i suoi confini riconosciuti.
La quasi totalità degli attuali focolai di tensione internazionali riguarda più o meno esplicitamente la nozione di sovranità nazionale, imperniata su due presupposti: primo, il diritto di ogni Stato a gestire autonomamente le proprie vicende interne; secondo, più controverso, la fondatezza e l'opportunità dell'identificazione di uno Stato con una nazione. Un concetto, dunque, già svuotato di senso dalla globalizzazione degli anni '90 del secolo scorso, nuova fase evolutiva del sistema capitalista. Ma la questione era resa ancor più urgente dagli interventi militari pseudo-umanitari a guida statunitense, ad esempio nel Golfo e nei Balcani, e dalle guerre civili a sfondo etnico o religioso in Asia e Africa (per citare qualche esempio, Nagorno Karabagh, Cecenia, il decennio nero in Algeria, Ruanda, Liberia, Sierra Leone, Somalia, Etiopia ed Eritrea). Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, e la conseguente demonizzazione dell'utopia socialista fondata sulla solidarietà sociale e internazionale, era necessario dunque gestire nel modo più efficace possibile la transizione dal bipolarismo mondiale a un assetto dominato da un'unica potenza, gli Stati Uniti. L'obiettivo era fare in modo che tale processo recasse vantaggio alle economie “vincitrici” conglobandole in un unico sistema, in grado al contempo di garantire profitti e limitare al massimo le tensioni sociali e politiche interne e internazionali. Tuttavia, se il mercato è globale, la sovranità tenderà a essere parimenti globale, e se l'economia si basa più sulla finanza che sulla produzione, saranno gli interessi degli organismi finanziari a prevalere. Per le istituzioni politiche dei singoli Stati il margine di manovra iniziava a essere quasi nullo.
Parallelamente, già durante la guerra fredda, e con rinnovato vigore dagli anni '90, Washington ha incoraggiato l'emergere di potenze regionali. Anzitutto, per l'area europea e africana, è stata rafforzata la Comunità europea (oggi Unione Europea, il cui progetto iniziale risale al 1957), con la stipula del trattato di Maastricht e la definizione di precise responsabilità geopolitiche: la Germania riunificata avrebbe dovuto gestire le relazioni con l'Europa dell'Est anche in vista dell'ampliamento della NATO, mentre la Francia si sarebbe occupata dei rapporti con l'Africa (in primis la galassia soprannominata Françafrique). Quanto alle regioni economicamente strategiche dei Balcani e del Caucaso ex-sovietico, Washington ha scelto come riferimento la Turchia, in parte su basi storiche ma principalmente per il suo peso all'interno della NATO. Per il Medio Oriente e il mondo arabo (attraversato dalla diatriba tra nazionalismo e islam politico) la scelta è ricaduta invece sull'Arabia Saudita, sede dei principali luoghi santi dell'islam, ma soprattutto eminente produttore di petrolio, con i suoi satelliti nel Golfo. Infine, in funzione anti-cinese, Washington ha rinsaldato l'alleanza con il Giappone, oggi resa ancor più significativa dalle tensioni con la Corea del Nord e dall'eventualità che le velleità protezionistiche del presidente Donald Trump deteriorino le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Particolare riguardo è stato poi riservato da Washington alle relazioni amichevoli con Israele: dopo gli accordi di Camp David del 1978, due tappe fondamentali sono state gli accordi di Oslo e l'intesa siglata lo stesso anno alla Casa Bianca dal premier israeliano Yitzhak Rabin e dal capo dell'Organizzazione di Liberazione della Palestina Yasser Arafat, alla presenza del presidente USA Bill Clinton.
In realtà la riduzione, o l'abolizione di fatto, della sovranità nazionale (e peggio ancora del principio di sovranità popolare, pilastro della democrazia) intesa come controllo e gestione di un territorio, rappresenta l'altra faccia della medaglia di un fenomeno meno evidente, ma più incisivo. L'avvento e la diffusione della “rete” internet, e successivamente l'estensione capillare dell'uso di computer portatili, tablet e smartphones, ha consentito di svolgere in uno spazio virtuale importanti operazioni che fino a un paio di decenni fa erano compiute in uno spazio fisico, come acquisti e pagamenti. All'interno della nuova società di massa 2.0 (o meglio 4.0) è praticamente impensabile una vita sociale “ordinaria” senza una connessione a internet. Le dispute sulla vendita dei dati degli utenti delle reti sociali, e soprattutto le restrizioni all'uso della rete imposte in paesi come la Russia, la Cina o l'Iran mostrano che il vero scacchiere geopolitico mondiale potrebbe ben presto spostarsi dagli spazi “tradizionali” di terra, acqua e aria a quello meno definibile e perciò più penetrante della rete.
15.01.2018 - Ormai è evidente, e viene spesso ripetuto, che Trump costituisce la più grave minaccia alla pace e alla sicurezza mondiali per lo meno degli ultimi 3 decenni (dopo che il Trattato INF del 1987 allontanò la minaccia di un conflitto nucleare, che il Doomsday Clock aveva valutato in soli 3 minuti dalla Mezzanotte), oltre che all’ambiente. Più volte ho commentato che la crisi coreana è stata causata in primo luogo dalla politica di minacce e di ricatti esercitata dagli Usa nei passati 20 anni, e che attualmente il vero irresponsabile è Trump che dichiara “fuoco e fiamme” mentre si trova sotto scacco, ben più che Kim Jon-un, il quale ha deciso di correre un rischio calcolato per uscire dalla crisi e da tempo offre la sua disponibilità a negoziare.
Che Trump stia irresponsabilmente alzando la posta anche per quanto riguarda le armi e la minaccia nucleari è confermato una volta di più dalle indiscrezioni che sono trapelate sulla Nuclear Posture Review che la sua amministrazione adotterà a fine mese. La Nuclear Posture Review (NPR) è un documento che definisce la “postura”, la strategia nucleare che ogni amministrazione statunitense stabilisce all’inizio del proprio mandato. Quella precedente dell’amministrazione Obama risale a 8 anni fa: essa senza dubbio tradiva decisamente il discorso visionario pronunciato da Obama nel 2009 a Berlino su “un modo libero dalle armi nucleari” (e il Trattato Nuovo START che un anno dopo stabilì con la Russia confermava questa delusione), ma tuttavia questi atti, pur timidi e insufficienti, depotenziavano la minaccia nucleare immediata che era stata riaccesa dall’amministrazione Bush Jr. (il quale nella guerra all’Iraq del 2003 esplicitamente non aveva escluso il ricorso a qualunque tipo di arma, con evidente riferimento all’arma nucleare; e ho anche ricordato recentemente le sbronze con allucinazioni nucleari di Nixon https://www.pressenza.com/it/2017/10/alla-fiera-delle-follie-nucleari-mondo-sempre-meno-sicuro/, in che mani siamo!).
Trump ci riporta indietro di tre decenni, quando però i demenziali arsenali nucleari con 70.000 testate erano per così dire “motivati” con l’intenzione della deterrenza per la minaccia della “Distruzione mutua assicurata”, mentre oggi le armi nucleari vengono sviluppate dichiaratamente per potere essere usate!
Forse è opportuna una riflessione prima di esaminare i provvedimenti in materia nucleare. Trump ha recentemente proclamato la sua intelligenza superiore, ma credo che anche lo psicoanalista più in erba possa dire che egli è in preda a fobie, ossessioni, deliri di persecuzione (quindi in realtà senso di inferiorità) – sublimate, mascherate da deliri di onnipotenza – che come presidente della potenza militare più grande di tutti i tempi ne fa un pericolo capitale per tutta l’umanità. Ovviamente non si può ignorare che Trump impersona enormi interessi del complesso militare-industriale, e la componente più retriva, i falchi, del Pentagono.
La NPR di Trump
La sua NPR ne è una testimonianza emblematica: la paranoia che che gli Usa rischino di perdere la loro supremazia nucleare e debbano rafforzare negli altri la dissuasione ad usare queste armi portano a decisioni e provvedimenti che invece aggravano ulteriormente questo rischio, e finiscono per ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti e diminuire la loro sicurezza (il paranoico è spesso autolesionista). Sapendo che gli Usa si sono preparati con le modernizzazioni in corso (avviate dall’amministrazione del Nobel per la Pace Obama!) per poter sferrare un first strike disarmante alla Russia (https://www.pressenza.com/it/2017/05/lallarme-un-first-strike-nucleare-alla-russia/), gli ulteriori potenziamenti e minacce rischiano di indurre uno Stato che sia minacciato a sferrare un primo colpo prima di venire annientato! E Trump di queste micce nucleari ne ha innescate più di una (https://www.pressenza.com/it/2017/12/bando-nucleare-urgente-molte-micce-innescate-la-santa-barbara-nucleare/).
Veniamo specificamente alla NPR di Trump. Alcune cose si sapevano, erano nell’aria o già dichiarate e le ho commentate su Pressenza, ma l’imprimatur ufficiale pone il sigillo definitivo, il punto di non ritorno.
Gli aspetti cruciali si possono così riassumere: gli Usa svilupperanno nuove testate nucleari di piccola potenza – “più utilizzabili” (more usable) –, e ampliano le circostanze in cui potranno fare ricorso a queste armi, abbassando così la soglia per il loro uso. Si deve sottolineare che il citato Nuovo START del 2010 vieta espressamente lo sviluppo di testate nucleari nuove (anche se questa norma è già stata aggirata dalle modifiche sostanziali della testata termonucleare B-61, che diventa di fatto una testata nuova, con nuove capacità militari). Vediamo i due aspetti separatamente.
Nuove testate di piccola potenza
La nuova NPR stabilisce lo sviluppo di due nuovi tipi testate nucleari:
1) Una nuova testata low yield, profondamente modificata, per i missili Trident D5 lanciati dai nuovi sommergibili nucleari della classe Columbia (con una sola parte della testata termonucleare, quella a fissione). Wolfsthal, che fu assistente speciale di Obama per il controllo degli armamenti e la nonproliferazione, commenta che questo progetto è “decisamente stupido” (dumb) perché il lancio di una testata di piccola potenza rivelerebbe la posizione del sommergibile: “spendiamo 5 miliardi di $ per ogni sommergibile per renderlo invisibile, e gli mettiamo testate il cui lancio lo renderebbe vulnerabile a un attacco russo; per me è inconcepibile dal punto di vista della strategia navale”. La paranoia che si tramuta in autolesionismo.
2) La reintroduzione di missili cruise, pure lanciati dai sommergibili: questa decisione, che Trump aveva preannunciato qualche settimana fa, viene giustificata con il pretesto di rispondere all’accusa alla Russia di violare il trattato INF (che ho già commentato in: https://www.pressenza.com/it/2017/12/bando-nucleare-urgente-molte-micce-innescate-la-santa-barbara-nucleare/).
Anche un bambino capisce che sviluppando testate nuove si va in direzione diametralmente opposta a quella del disarmo nucleare!
Inoltre, l’affidamento a testate di piccola potenza è estremamente pericoloso perché alimenta l’illusione, e quindi la tentazione, che esse possano venire realmente utilizzate, e quindi abbassa pericolosamente la soglia per una guerra nucleare. Ormai è chiaro da molto tempo che una guerra nucleare non può rimanere limitata, poiché l’escalation e la generalizzazione sarebbero inevitabili, e gli effetti dell’esplosione o di uno scambio anche limitati di testate nucleari avrebbe conseguenze catastrofiche e livello globale (si veda Alfonso Navarra, “Gli ordigni nucleari come arma di distruzione climatica”, https://www.pressenza.com/it/2018/01/gli-ordigni-nucleari-armi-distruzione-climatica/).
Allargamento delle circostanze per l’uso delle armi nucleari
In questa direzione va anche un notevole allargamento delle norme che consentono il ricorso alle armi nucleari. La precedente NPR di Obama escludeva tale uso contro “ Stati non nucleari aderenti al Trattato di Non Proliferazione che ottemperano gli obblighi del trattato”. La nuova NPT di Trump apre invece la possibilità di ricorrere alle armi nucleari in risposta a un attacco non nucleare “che causi vittime di massa (mass casualties)” o sia “diretto contro infrastrutture critiche o siti di comando e controllo nucleare”: l’ambiguità di termini quali “mass casualties” e “critical infrastructure” implica che gli Stati Uniti possono considerare il ricorso alle armi nucleari praticamente in qualsiasi conflitto armato!
Vale la pena di ricordare che nella Conferenza di Revisione del TNP del 2010 gli Stati Uniti e gli altri Stati nucleari si impegnarono solennemente a “diminuire il ruolo e il significato delle armi nucleari in tutti i concetti, le dottrine e le politiche militari e di sicurezza” e di perseguire negoziati per l’ulteriore riduzione degli arsenali nucleari.
Inutile dire che la NPR ribadisce esplicitamente le note tesi dell’amministrazione Trump sul nuovo trattato TPAN del 7 luglio scorso, dichiarando che esso “ha alimentato aspettative completamente irrealistiche”, e danneggia il regime di non proliferazione.
Oltre a quanto detto, gli Usa non ratificheranno il Trattato di messa al bando dei test nucleari (CTBT) del 1996: gli Usa non lo avevano mai ratificato nei trascorsi 21 anni (perché si sono sempre riservati di poter riprendere i test nucleari, e avevano potenziato il poligono del deserto del Nevada), ma ora questo rifiuto è ufficiale.
La NPR non fa assolutamente menzione dell’Art. VI del TNP.
Per gentile concessione dell'agenzia di Stampa Pressenza
F. Boa - F. Colangelo - V. Morgia - V. Loprete - G.Vancheri e A. Coppola |
Successo del corto “Sogni a Orologeria” ideato da Vitaliano Loprete, sceneggiatura e regia di Francesco Colangelo
L’attore francese Philippe Boa, protagonista di “Sogni a Orologeria” nato da un'idea di Vitaliano Loprete con la sceneggiatura e la regia di Francesco Colangelo è stato premiato come miglior attore al Cortoreggio 2018 del Reggio Calabria FilmFest.
Il corto s’interroga su cosa accade nella vita di un personaggio famoso quando si spengono i riflettori attraverso la storia di Boa, che vanta una straordinaria carriera di attore alle spalle che lo ha visto protagonista di fiction e film come “Il mercante di stoffe”, “Un caso di coscienza” e “Il maresciallo Rocca” per diverse stagioni, trasmettendo al pubblico le più intime emozioni di un uomo che lotta per realizzare il proprio sogno, ci riesce, e poi viene tradito dalla sorte che gli toglie tutto.
Un racconto che attraversa, con raffinata delicatezza, tematiche forti come l’amicizia, la solidarietà, l’amore tradito, il dolore per la caduta e il desiderio di morte e l’inizio di una rinascita.
Oltre al protagonista, Philippe Boa, che recita sé stesso, la pellicola, girata interamente a Roma in location originali come il Contesta Rock Hair, marchio italiano dall'anima rock che conta undici saloni dedicati all' hair styling, è interpretata da un cast di giovani attori di assoluto talento come Enrico Oetiker, Alessandro Massini, Georgia Manci, Veronica Bettarelli, Alessandro Coppola, Daniela Ayala, Ivo Ambrosi, Giuseppe Vancheri, la ballerina della Rai, Miriam Della Guardia. Valentina Morgia è l’aiuto regia, straordinaria la fotografia, a cura di Federico Annicchiarico, e suggestive le musiche del cantautore The Niro.
Il Mondo Fluttuante di Hiroshige torna a Roma dove era già stato nel 2009, in un luogo diverso, le Scuderie del Quirinale, ma più o meno con la stessa estensione temporale, dal 1 marzo al 29 luglio 2018. Anche questa mostra propone soprattutto xilografie dove la natura ha il ruolo predominante.
Le pareti ci avvolgono in una atmosfera blu che cresce in intensità verso l’alto, al contrario delle stampe, dove il blu appartiene soprattutto alla terra e all’acqua, mentre i cieli hanno sfumature giallo-arancio. La nostra guida in questa immersione in un mondo altro, seppure naturale e familiare ai nostri sensi, è l’artista stesso. Il suo ritratto lo mostra sereno, in abito da monaco shintoista.
Anche l’arte occidentale conferisce alla figura dell’artista una forte connotazione spirituale, investendolo di una carica sacerdotale di messaggero e guida.
In mostra sono riportate le parole di Vincent van Gogh, che in una lettera al fratello Theo, scrive: «Studiando l’arte giapponese si vede un uomo indiscutibilmente saggio, filosofo e intelligente, che passa il suo tempo a fare che? A studiare la distanza fra la terra e la luna? No. A studiare la politica di Bismarck? No. A studiare un unico filo d’erba. Ma quest’unico filo d’erba lo conduce a disegnare tutte le piante, e poi le stagioni, e le grandi vie del paesaggio, e infine gli animali, e poi la figura umana. Così passa la sua vita e la sua vita è troppo breve per arrivare a tutto. Ma insomma, non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori? E non è possibile studiare l’arte giapponese, credo, senza diventare molto più gai e felici, e senza tornare alla nostra natura nonstante la nostra educazione e il nostro lavoro nel mondo della convenzione».
Non c’è molto da aggiungere alle parole del grande artista per quello che riguarda l’essenza delle opere in mostra, ma molto altro c’è da dire sulle singole stampe, sulla tecnica.
Sono presenti disegni preparatori destinati ad essere distrutti una volta assolta la loro funzione e invece miracolosamente sopravvissuti. Ci mostrano in modo più diretto la mano di Hiroshige, che, nella stampa, risulta mediata dall’opera dell’intagliatore della matrice di legno. Il formato ha anche grande importanza e le opere erano parte di pubblicazioni. Illustrazioni di viaggi, panorami e temi cari alla società e alla cultura dell’epoca. La scrittura calligrafica accompagna le linee del disegno, riporta titoli e, a volte, piccoli componimenti poetici.
Le immagini raccontano leggende, tradizioni e storie. Attraverso gli occhi ci arriva il silenzio del paesaggio ovattato sotto la neve di sera o le raffiche della pioggia battente o le voci del mercato. Ma anche gli odori e i sapori, tutti i sensi sono sollecitati e rievocati dalle e nelle immagini.
La collaborazione dell’Istituto Giapponese di Cultura offre un programma di incontri, conferenze, laboratori e attività culturali di approfondimento.
La brochure della mostra, una volta dispiegata, diventa un piccolo poster. Nel bookshop pubblicazioni e gadgets sono tentazioni a cui è difficile resistere.
Hiroshige
Visioni dal Giappone
1 marzo-29 luglio 2018
Roma, Scuderie del Quirinale
Orari: da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00
venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30
Ingresso: intero 15,00€.
Ridotto 13,00€.
Info: https://www.scuderiequirinale.it/mostra/hiroshige-visioni-dal-giappone-roma
Catalogo: Skira
Pensare ai dipinti di Turner significa evocare masse e vortici di colore e luce, bagliori e superfici specchianti. La mostra in corso al Chiostro del Bramante guida alla visione e all’approfondimento di ulteriori aspetti della personalità e dell’opera dell’artista inglese.
Il Lascito Turner alla Tate Britain è costituito soprattutto da acquerelli e da opere che si trovavano nello studio dell’artista, che li considerava come bozzetti e appunti, non destinati ad essere conservati e tantomeno esposti. Eppure sono proprio queste caratteristiche a renderli estremamente interessanti. Già il solo medium in se stesso, l’acquarello, conduce ad un’epoca, l’Ottocento, e all’Inghilterra, dove questa tecnica ha avuto una grande diffusione. Le sue caratteristiche di immediatezza, trasparenza e rapidità, ne hanno fatto il mezzo espressivo d’eccellenza del paesaggio romantico, specchio dell’animo e delle emozioni dell’autore. Il mezzo ideale per esprimere quel sentimento del sublime alla base dell’estetica e di una nuova concezione dell’arte e del suo significato.
Per Turner l’acquerello è il mezzo con cui realizzare bozzetti e appunti per la ricerca tecnica e la sperimentazione, ma anche opere su committenza o destinate all’incisione. Usa anche carte colorate che esaltano gli effetti di luce e colore che l’artista cerca e vuole comunicare. Allo stesso modo l’allestimento della mostra ha dato colori diversi alle sale, per far risaltare le opere esposte. In alcuni casi, un diverso colore, guida dal pavimento, fino al dipinto a cui si vuole dare risalto attraverso un approccio progressivo e frontale. La presenza di alcuni specchi, invece, amplifica gli effetti luministici e specchianti delle opere.
L’esposizione segue una disposizione cronologica e tematica. Turner debutta come disegnatore topografo, cioè inserisce progetti architettonici all’interno di vedute paesaggistiche da mostrare ai clienti.
Come pittore di paesaggio è influenzato dal Lorrain, oltre la natura, nei dipinti trova spazio anche la storia. Le figure, diversamente dal paesaggio, trovano forme e tocchi definiti, non sono destinate ad esprimere un sentimento o una sensazione, ma a narrare una storia.
Una sezione della mostra è dedicata ai viaggi e all’Italia, oltre al fascino delle rovine, tipologia caratteristica del Grand Tour, è Venezia la protagonista ideale dell’opera di Turner. Le architetture della città lagunare segnano la linea dell’orizzonte, labile e impercettibile confine tra gli specchi di acqua e cielo, in un’atmosfera abbacinata dalla luce, ora scintillante e dinamica, ora immota e soffusa.
Affascinante è l’accenno al Turner illustratore di libri, sarebbe interessante un approfendimento in tal senso.
Nell’ultima sezione esplode il Turner che conosciamo maggiormente, il maestro del paesaggio interiore, dove le masse di colore e la luce sono specchio dei moti dell’anima. Questo è il Turner che ispira gli Impressionisti, ma anche artisti del Novecento come Mark Rothko e Cy Twombly e contemporanei come James Turrell. La mostra rende conto anche di questi importanti e affascinanti collegamenti.
Turner
Opere dalla Tate
22 marzo – 26 agosto 2018
Roma, Chiostro del Bramante
Orari: lunedì-venerdì 10.00-20.00
Sabato e domenica 10.00-21.00
Ingresso: intero 14,00€.
ridotto 12,00€.
Anche la pianta soffre e voi vegetariani mangiate molte piante.
E’ vero, ma la quantità di piante che mangia un manzo per produrre un solo kg di carne è mille volte di più. Dire che anche la pianta soffre per giustificare se stessi alla disponibilità a rinunciare alla carne solo una patetica scappatoia. Cioè: si usa giustificare la mancanza di rispetto per gli animali perché la pianta è in grado di soffrire. E’ il solito ritornello di chi ritiene inutile fare poco dal momento che non è possibile fare tutto, che è come dire: è inutile sfamare un singolo indigente dal momento che non si può abolire la fame nel mondo; oppure che dal momento che la città è sporca lascio pure la ia immondizia sul marciapiede; e ancora: siccome l’aria è inquinata allora fumo due pacchetti di sigarette al giorno.
Questa logica porta alla giustificazione di qualunque delitto. In guerra il soldato uccide perché così farebbe il suo nemico; il ladro ruba pensando che tutti sono disonesti; c’è chi rifiuta di fare l’elemosina al barbone anteponendo i tanti problemi personali e c’è chi rinuncia a qualunque rispetto per gli animali dal momento che ci sono tanti bambini che muoiono di fame.
Tutto ciò che esiste vuole vivere, non morire. Senza la capacità di accusare dolore ogni essere vivente si lascerebbe mutilare, uccidere senza reagire.
Ma l’umanità non è pronta a considerare alla stessa stregua la vita della pianta con quella della mucca, il cavallo, la pecora il maiale ecc. che, probabilmente, a differenza dei vegetali hanno i nostri stessi meccanismi fisici, chimici e biologici, i nostri stessi ricettori del dolore.
E’ la legge della natura in cui il più forte domina sul più debole.
E’ la legge che noi siamo portati ad attuare quando le vittime sono gli altri. Se fossimo noi le vittime sicuramente considereremmo ingiusta questa legge. Se fossimo invasi da extraterrestri e ci trattassero nel modo in cui noi trattiamo gli animali; se allevassero noi e i nostri figli per divorarci; se costringessero le nostre donne a partorire, perché avidi del loro latte e per mangiare la tenere carni dei nostri bambini; se ci torturassero, per sperimentare su di noi le loro armi e le loro medicine; se ci costringessero a ucciderci a vicenda nelle arene per loro divertimento, allora non saremmo tanto propensi a giustificare la legge del più forte. Allora non bisognerebbe uccidere neppure le zanzare. Il diritto alla vita di un animale non dipende dalla sua dimensione fisica, altrimenti un elefante avrebbe più diritto di un uomo ad essere rispettato: è la vita che dà valore ad ogni essere vivente. Nell’universo c’è posto per tutti. E’ meglio evitare di essere molestati che dover uccidere un qualunque animale. a anche se è impossibile vivere senza nuocere ai più minuti esseri viventi, l’importante è cercare di fare male possibile. Esiste una scala di valori che la nostra coscienza ci impone di rispettare; la capacità di condivisione dipende dal livello spirituale di ognuno. C’è chi percepisce solo la propria condizione, chi anche quella dei suoi famigliari, parenti e amici e chi oltre a questi condivide anche la condizione dell’universo non umano.
La nostra filosofia di vita, la nostra etica vegan, ci porta gradualmente ad escludere anche la pianta nella nostra nutrizione e nutrirci dei frutti della stessa, e questo non è affatto difficile farlo: oltre tutti i frutti succosi e commestibili degli alberi, noi vegan cerchiamo di consumare pomodori, melanzane, zucchine, peperoni, carciofi ecc., tutti i semi, tutti i cereali e tutte le leguminose. Ma c’è chi ci accusa che anche mangiare i frutti si causa violenza alla pianta, che è come volere paragonare il taglio di capelli all’uccisione di un uomo, o le bombe alle parolacce.
Chi vuole migliorare il mondo deve iniziare da se stesso “Ogni filo d’erba ha il suo angelo chino su di lui che sussurra:”Cresci, cresci” (Talmud)
“Nessuno ha fatto un errore più grande di chi non ha fatto nulla perché non poteva fare tutto”. John Stuart Mill (filosofo ed economista britannico)
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Dal momento che il mondo cristiano trae le sue motivazioni per mangiare l’agnello, per coerenza dovrebbe osservare le stesse prescrizioni. (Esodo 12, 3-14) Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: Parlate a tutta la comunità di Israele e dite “Il dieci di questo mese ognuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone calcolerete come dovrà essere l’agnello, secondo quanto ciascuno può mangiare. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno e lo serberete fino al 14 di questo mese: allora tutta ’assemblea della comunità di Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in retta. E la pasqua del Signore. In quella notte io passerò per l paese d’Egitto e colpirò ogni primogenito, uomo o bestia. Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio quando io colpirò il paese d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore; di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne.”
L'argomento “432 hz”, o “LA Verdiano”, è diventato da qualche anno oggetto di discussioni, dibattiti e scambi di opinioni nei più disparati ambiti e ambienti pseudo-culturali. Quasi un chiacchiericcio di moda.
Certo è che la stragrande maggioranza delle persone non conosce l'oggetto del contendere. Se domandi cosa è la 432hz a qualcuno è possibile che ti risponda: "forse è una legge del codice civile o penale". Oppure puoi sentirti dire: " si tratta forse di una distanza fra un punto e un altro misurato in hz invece che in chilometri o miglia".
In realtà si tratta semplicemente della frequenza sonora con la quale Giuseppe Verdi, da qui “LA Verdiano”, intonava il diapason di riferimento per accordare l'intera orchestra con la nota LA . Nel 1884 Verdi, con una famosa lettera, chiedeva alla Commissione Culturale Italiana di unificare come unico diapason o intonazione, su tutto il territorio nazionale, il LA a 432 hz.
Date le differenti dominazioni subite dal popolo italiano, francesi, spagnole, austriache, l'Italia non aveva un unico riferimento musicale a riguardo. Il suono della nota FA, piuttosto che del MI o del DO, non risultava lo stesso se eseguito a Torino invece che a Palermo. Era d'obbligo una misura per tutti uguale.
Verdi, esperto di canto, propose la frequenza 432 hz in quanto si accorse che la voce umana trova in questa intonazione il miglior ambiente sonoro per esprimere il meglio di sé. Dal punto di vista del colore, del calore e dell'espressività nessuna intonazione offre tale opportunità alla voce umana, che in questa condizione è perfettamente naturale.
La bellezza estetica e la piacevolezza percettiva di un'esperienza d'ascolto in intonazione 432 hz era già ben nota a Stradivari, il quale progettava e costruiva i suoi violini per essere intonati a 432 hz ed era voluta da Mozart per le esecuzioni delle sue Opere.
Ma veniamo a noi. Chi ha voluto e perché il diapason (ovvero lo strumento che offre l'odierna intonazione) a 440 hz? Ormai la storia ci consegna i fatti come certi e dimostrati. Il Ministro della cultura e della propaganda nazista Paul Joseph Goebbels dopo aver verificato l'effetto eccitante delle marce militari russe sui soldati sovietici eseguite a 440 hz decise di imporre, nel 1939, in tutta la Germania e successivamente in Europa il diapason a 440 hz. Più avanti nel '57 Londra ratificò con molta leggerezza questa intonazione come ufficiale in tutto l'occidente.
Si assiste oggi ad un nuovo interesse nei confronti della 432 hz per arginare una ulteriore, irresponsabile, volontà di alzare ulteriormente il diapason. Oramai le orchestre, i gruppi e i cantanti accettano di intonarsi a 442 hz pur di ottenere maggiore attenzione, tensione, ed eccitazione da parte di un pubblico sempre più saturo ed affamato di momenti di esaltazione emotiva.
Si racconta di un esperimento eseguito nel 2015 a Milano con una Carmen a 445 hz. Le persone all'uscita erano eccitate, nervose, reattive oltre il normale. Un pubblico così “drogato” avrà sempre più bisogno di dosi massicce per appagare il desiderio di una vita adrenalinica.
Ora, a voler recitare la parte del complottista sarebbe semplice imputare tutto questo alla volontà di "QUALCUNO" che ha l'obiettivo di creare una forma di dipendenza per meglio gestire i comportamenti della massa. Ma lasciamo questi argomenti ai sovversivi. Che magari hanno pure ragione.
Il fatto è che se usciamo dal mondo naif della New Age commerciale e banalizzata, ci togliamo di dosso gli abiti orientali, ci sfiliamo dal capo improponibili turbanti che dovrebbero legittimare improbabili pseudo guru indiani delle borgate romane, e rivolgiamo lo sguardo alla ricerca seria chiedendo aiuto alla scienza, troveremo risposte esaustive e convincenti sulle buone ragioni per un ripristino salutare della 432 hz.
Cercando di rimanere comprensibili per un ampio pubblico, evitando quindi di entrare in tecnicismi, cercherò di illustrare quanto è stato scoperto in riferimento al rapporto tra l’intonazione 432 hz e la sostanza di cui siamo fatti per il 99 %, L’ACQUA ( il 99 % di acqua si riferisce al numero di molecole di cui siamo composti e non alla massa o peso).
I numeri che confermano la perfetta risonanza tra gli atomi della molecola di acqua, idrogeno e ossigeno, e le frequenze della nota DO intonata a 432 hz sono impressionanti.
Dividendo il numero del peso atomico dell’idrogeno per il numero del peso atomico dell’ossigeno, stabiliamo il loro rapporto frequenziale ottenendo il coefficiente 0,125.
Moltiplicando il numero atomico dei due atomi , idrogeno e ossigeno, per questo coefficiente 0,125 scopriamo che la cifra risultante è perfettamente uguale al numero della frequenza della nota DO grave e di un altro DO a tre ottave superiori intonate sempre a 432 hz.
Ma se non bastasse questo a dimostrare la naturale relazione risonante fra l’acqua e il “La Verdiano”, un’ulteriore scoperta ha dato certezza all’idea di quanto sarebbe salutare l’ascolto della musica intonata a 432 hz.
Se prendiamo lo stesso coefficiente 0,125, utilizzato per gli atomi di idrogeno e ossigeno, e lo impieghiamo proponendo la stessa operazione con l’atomo di Carbonio (elemento presente in tutta la materia esistente compreso l’essere umano) ci sorprenderemo scoprendo che la cifra risultante sarà uguale al numero della frequenza della nota più importante legata al famoso DO dell’acqua. Ovvero la nota SOL, naturalmente intonata a 432 hz.
Questo argomento scientifico dovrebbe bastare per convincere i più scettici, ma soprattutto i musicisti, a prendere in seria considerazione l’opportunità di schierarsi compatti per affermare la validità di un ripristino dell’intonazione 432 hz. Prima di tutto per fermare questa folle corsa alla tensione sonora alla quale siamo sottoposti che ci crea distrazione, dipendenza da eccitazione, stati d’ansia e stress e in secondo luogo, per riproporre quello che sarebbe salutare per il nostro organismo.
Basterebbe leggere, a suffragio di quanto sopra esposto, quanto viene riportato da Graham Jackson nel suo importante saggio musicale “The Spiritual Basis of Musical Harmony” sulle esperienze d’ascolto della pianista Maria Renold che per vent’anni ha sperimentato test d’ascolto con lo stesso pubblico sottoposto ad audizioni a 440 hz e gli stessi brani a 432 hz. Invito tutti a leggere le osservazioni della Renold riguardo le reazioni del pubblico inconsapevole.
La stessa Maria Renold, nel suo libro “ Intervals, Scales, Tones and the concert Pitc c = 128 Hz”, racconta che quando il suo pianoforte era intonato a 432 Hz, gli astanti osservavano non solo un incremento della ricchezza del timbro e qualità del tono, ma che quest'ultimo sembrava provenire da alcuni punti imprecisati al centro della stanza, piuttosto che dal pianoforte stesso riferendosi al celebre “LIBERO TONO ETERICO” citato da Rudolf Steiner.
Potrei continuare mettendo in scientifica relazione la frequenza 432 Hz alla replicazione del DNA, alla sincronizzazione dei due emisferi celebrali, alla frequenza del pianeta Terra, al numero de battiti cardiaci o della vicinanza della 432 Hz al RAPPORTO AUREO e alla SEQUENZA DI FIBONACCI.
Credo che quanto detto sia sufficiente per porsi qualche domanda e suggerire alcune riflessioni sull’argomento.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
Siamo pronti. Dopo Prowein è in arrivo Summa, il bellissimo evento ideato ed organizzato da Alois Lageder. Il piccolissimo e “lindo” paesino Magrè, nella Bassa Atesina, in Alto Adige, appena al di là del “confine” è pronto ad accogliere la moltitudine di wine-lovers provenienti dal resto d’Italia, Austria, Francia e Germania. Una due giorni di full-immersion nella filosofia legata alle tradizioni sud-tirolesi, alla bio-dinamica e non solo. E poi, raggiungendo Verona, a partecipare al Vinitaly, il sempre discusso evento nazionale del vino italiano che proverà a “stupirci” ancora. Sarà così o saremo costretti a riportare le ataviche “lagne e piangistei” dei “soloni nostrali” sempre pronti a distinguersi nel denigrare la “nazional-manifestazione”?
Frammento n. 1
Cantine Storiche Italiane al Vinitaly
Associazione Dimore Storiche e Cantine Storiche saranno presenti al Vinitaly 2018. 64 tenute storiche con cantina parteciperanno all’evento veronese forti di una produzione vinicola di ben 35 milioni di bottiglie prodotte da circa 30.000 ettari di proprietà. “I Soci ADSI (Associazione Dimore Storiche Italiane) sono proprietari di beni culturali vincolati come monumenti nazionali che, nel caso delle tenute viticole, comprendono, oltre alle cantine, giardini, vigneti, oliveti e boschi, in un insieme di straordinaria bellezza al tempo stesso architettonica e paesaggistica. Gaddo della Gherardesca, Presidente dell’Associazione, nella conferenza-stampa tenuta per spiegare i motivi della partecipazione ha insistito sull’impegno costante dei soci a mantenere e conservare questa parte rilevante del nostro patrimonio culturale.(Fonte Cronache di Gusto)
Frammento n. 2
Il Pinot Grigio ha la sua DOC.
La DOC delle Venezie, ovvero il Consorzio di Tutela Doc delle Venezie è una denominazione interregionale che comprende i territori vitati della Provincia Autonoma di Trento, della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, della Regione Veneto e nasce dalla volontà di tutelare e valorizzare l’intera produzione del Pinot Grigio. In queste terre viene attualmente prodotto l’85% del Pinot Grigio italiano. 23.374 ettari vitati e dedicati a questo vitigno, 750 milioni di euro il fatturato. La nuova DOC rappresenta ed opera sulla più grande area vitata a Pinot Grigio nel mondo. (Fonte: Zed.Comm)
Frammento n. 3
Passione e soldi, petrolio e vino: Bulgheroni
Alejandro Bulgheroni, miliardario argentino. La storia d’investimenti da sogno per noi comuni mortali. Pensate:”non mi diverto più con il petrolio. Mi butto nel vino, olio, cantine e frantoi”. Direte voi: butta via tutto e cambia vita. Scherzate? Per niente. Non si diverte più ed investe in altro campo e continua a fare soldi a palate. Ha speso 125milioni di euro per l’acquisto di 330 ettari di filari tra Montalcino, Bolgheri e Chianti Classico. Da 4 etichette a 27. Le Aziende rilevate? Dievole nel Chianti Classico Castelnuovo Berardenga, Poggio Landi e Podere Brizio a Montalcino, Tenute le Colonne e Tenuta Meraviglia a Bolgheri. 850.000 bottiglie per un fatturato di 5milioni. Così, tanto per iniziare. I possedimenti italiani si aggiungono a quelli tenuti in Argentina, Uruguay, Australia, Napa Valley e Bordeaux. E accanto al vino e cantine, i lussuosi agriturismo per gli enoturisti facoltosi. Chiamala passione. (fonte Corriere.it)
Frammento n. 4
Info per i consumatori: etichetta “salva-pummarola”
La Coldiretti annuncia:”in arrivo l’etichetta di origine obbligatoria per la provenienza dei pomodori.” Pubblicato in G.U. il decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse. Sembrerebbero tolte dall’anonimato tutte le coltivazioni di pomodoro illegali. Paese di coltivazione e paese di trasformazione. Come al solito ci troveremo di fronte a diciture come: Paesi UE, Non UE, UE e non UE insieme. Attualmente i paesi non UE dai quali arriva concentrato di pomodoro per diventare “italiano”, sono l’Usa e Cina. Vedremo se sarà tutela vera.
Frammento n. 5
È primavera, torna lo StreetFood
Come esce il sole lo street food, il cibo da strada riprende il suo ruolo “del mangiare all’aperto”. Non solo. Inizia di nuovo il Giro d’Italia con decine di tappe promosse in tante città. Opera dell’Associazione Streetfood, l’associazione che riunisce gli operatori che negli anni hanno puntato sulla qualità. “ Da quando siamo nati la nostra associazione non ha pensato solo ad organizzare eventi pubblici ma promuovere la cultura del cibo di strada rispettando le tradizioni familiari di ogni Regione di provenienza”. Parole del presidente dell’associazione Massimiliano Ricciarini. Prato, Novara, Arezzo, Bergamo, Castelfiorentino, Foggia, Castiglioncello e altre località reperibili sul sito web www.streetfood.it.
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Un gruppo di autorevoli scienziati lancia una lettera aperta agli stati Ue, che oggi discutono del divieto permanente per i pesticidi più usati al mondo, i neonicotinoidi. “È un’occasione decisiva per proteggere le api, i nostri figli e i campi coltivati, e ripensare l’intero sistema di produzione del cibo”, scrivono
Abbiamo bisogno delle api. Circa un terzo delle nostre riserve di cibo sparirebbe senza il lavoro di api domestiche e selvatiche e di altri impollinatori. Non è esagerato dire che questi insetti sono di importanza vitale, sia per gli ecosistemi naturali che per la nostra stessa sopravvivenza.
Molti governi sostengono che gli attuali standard di protezione degli impollinatori siano sufficienti. Ma in qualità di scienziati che hanno dedicato decenni di studio ai delicati equilibri che esistono tra insetti, ambiente, e coltivazioni da cui tutti dipendiamo, ci permettiamo di dissentire.
Molte specie selvatiche hanno già subito un enorme declino, mentre altre si sono addirittura completamente estinte. Anche se i motivi di questo declino sono complessi, come la perdita degli habitat e la diffusione di malattie non native, l’esposizione ai pesticidi è emersa come una probabile causa determinante. In particolare, esiste ormai una sempre più consistente letteratura scientifica sugli insetticidi neonicotinoidi, che suggerisce come questi abbiano una serie di effetti nocivi sulle api, causandone la morte, la perdita delle capacità di orientamento, la ridotta fertilità e la compromissione del sistema immunitario.
Come conseguenza del sempre più evidente collegamento tra neonicotinoidi e declino delle api, nel 2012 la Commissione Europea ha richiesto una revisione degli studi disponibili. Pubblicata nel gennaio 2013, questa revisione ha concluso che i 3 neonicotinoidi più usati al mondo (imidacloprid, thiamethoxam and clothianidin) rappresentano un “rischio inaccettabile” per le api. La Commissione ha quindi proposto un bando all’uso di questi 3 composti sulle colture in fiore che attirano le api. Nonostante la grande pressione dei produttori di pesticidi, che teorizzavano una grande perdita di raccolti se il divieto fosse stato approvato, il divieto parziale è entrato in vigore nel dicembre 2013. A livello europeo, questo divieto sembra non aver avuto alcun impatto sui raccolti.
Da allora, le prove sulla minaccia portata da questi pesticidi alle api non hanno fatto che aumentare. Un nuovo rapporto dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha appena confermato, di nuovo, che la quasi totalità degli usi correnti dei neonicotinoidi mette in serio pericolo le api.
Pubblicato il mese scorso, dopo aver esaminato in 2 anni oltre 1500 studi da tutto il mondo, le valutazioni dettagliate di 588 esperimenti scientifici e l’impatto su varie specie di api, il rapporto ha confermato la nocività dei neonicotinoidi per le api, sia domestiche che selvatiche, una conclusione in linea con una serie di altre analisi pubblicate da scienziati indipendenti nell’ultimo anno e con il rapporto del 2015 della European Academy of Science Advisory Council (EASAC). È ormai chiaro che i neonicotinoidi usati sui campi in fiore non solo mettono in pericolo le api, ma rimangono nel suolo dopo il raccolto anche a lungo, contaminando il successivo ciclo di coltivazione e le piante selvatiche ai margini dei campi.
Questo rapporto va sicuramente a sostenere la richiesta di maggiori restrizioni sull’uso dei neonicotinoidi in tutta Europa -- e non solo. Gli stati membri dell’UE, gli USA, il Canada, che stanno tutti riconsiderando come gestire questi pesticidi, hanno ora la responsabilità di ridurne l’uso. Inoltre, ci sembra utile sottolineare come sia necessario anche un ripensamento generale dei metodi di coltivazione stessi.
Sono 60 anni che continuiamo a girare sulla giostra dei pesticidi: generazioni dopo generazioni di prodotti chimici vengono messi in commercio per essere vietati 10 o 20 anni dopo, quando emergono i danni ambientali da essi causati. Ogni volta vengono sostituiti con qualcosa di nuovo, e ogni nuova sostanza porta nuovi problemi e imprevisti. Considerata l’intelligenza della nostra specie, è straordinario come noi esseri umani riusciamo a ripetere sempre gli stessi errori.
Un’analisi recente delle riserve naturali in Germania ha riscontrato un calo del 76% nella biomassa degli insetti volanti nei 27 anni precedenti al 2016. Potrebbe essere una coincidenza, ma questo periodo coincide quasi del tutto con l’adozione dei neonicotinoidi da parte degli agricoltori (il cui uso è in aumento costante dal 1994), ma più in generale non può più esserci alcun dubbio che inondare le campagne di pesticidi abbia un ruolo chiave nel declino di questi insetti. Se perdiamo gli insetti, non perdiamo solo gli impollinatori, ma anche l’alimento principale di innumerevoli specie di uccelli, pipistrelli, rettili, pesci e anfibi. L’ecosistema della Terra collasserebbe. È certamente arrivata l’ora di scendere dalla giostra dei pesticidi e di e sviluppare metodi sostenibili per dar da mangiare al mondo. Servono restrizioni globali sull’uso dei neonicotinoidi, subito, e dobbiamo anche assicurarci che non siano semplicemente sostituiti con qualcosa di ugualmente pericoloso.
Non serve guardare lontano per trovare le alternative. Uno studio pubblicato il mese scorso dimostra che è possibile controllare i parassiti in modo integrato salvaguardando sia l’ambiente che i risparmi degli agricoltori. In molte fattorie convenzionali si coltiva già con successo senza neonicotinoidi. E l’agricoltura biologica ha una resa media dell’80%: con una piccola riduzione degli sprechi di cibo (attualmente intorno al 35%) e del consumo di carne rossa, potrebbe facilmente sfamare il mondo intero. L’agroforestazione su piccola scala e i sistemi di permacoltura offrono rese addirittura maggiori dell’agricoltura convenzionale. Per produrre il cibo di cui abbiamo bisogno, ci sono modi molto migliori invece di continuare con gigantesche monocolture da spruzzare costantemente con varie miscele di pesticidi.
firmatari
Prof Dave Goulson, School of Life Sciences, University of Sussex, Brighton, Regno Unito
Prof Dr Randolf Menzel, Department Biologie, Freie Universität Berlin, Berlino, Germania
Dr.ssa Cristina Botías, Departamento de Ecología Integrativa, Estación Biológica de Doñana, Siviglia, Spagna
Dr Christopher N Connolly, Associate Director of CECHR, School of Medicine, University of Dundee, Dundee, Regno Unito
Prof. Dr. J. Wolfgang Wägele, Director, Zoologisches Forschungsmuseum Alexander Koenig,
Leibniz-Institut für Biodiversität der Tiere, Bonn, Germania
Prof. Dr. Jeroen P. van der Sluijs, Copernicus Institute for Sustainable Development, Utrecht University, Paesi Bassi, e University of Bergen, Norvegia
Prof. Dr. Hans de Kroon, Professor of Plant Ecology and Director Institute for Water and Wetland Research, Radboud University, Nimega, Paesi Bassi
Prof. Dr. Rien Aerst, Professor of Systems Ecology, Vrije Universiteit Amsterdam, Paesi Bassi
Prof. Dr. Frank Berendse, Emeritus Professor, Plant Ecology and Nature Conservation, Wageningen University, Paesi Bassi
Prof. Dr. ir. Paul Struik, Centre for Crop Systems Analysis, Wageningen University, Paesi Bassi
Dr. Simone Tosi, Division of Biological Sciences, Department of Ecology, Behavior, and Evolution, University of California San Diego, USA e Department of Agricultural and Food Science (DISTAL), Alma Mater Studiorum - University of Bologna, Italia
Prof. Stefano Maini, Prof. Giovanni Burgio, Dr Claudio Porrini, Dr Giovanni Giorgio Bazzocchi, Dr Fabrizio Santi, Dr Paolo Radeghieri, Department of Agricultural and Food Science (DISTAL), Alma Mater Studiorum - University of Bologna, Italia
Giuseppe Altieri, Dottorato di Ricerca in Agroecologia e Biodiversità per lo Sviluppo Rurale e la tutela della Salute Ambientale - Università di Firenze . Docente di Agroecologia, Fitopatologia, Entomologia, Biotecnologie, Istituto Agrario - Todi
Da “La Stampa – tutto green” del 18-03-2018
La accettazione di Trump a trattare direttamente la questione coreana con Kim Jong – Un, pone il Presidente USA in una posizione molto più vulnerabile di qualsiasi altro capo di Stato.
Le conseguenze del negoziato - In tema di politica estera la mossa coreana, ossia, la proposta di una trattativa, che adesso Trump ha in mano, sarebbe molto perniciosa per la stessa leadership USA qualora il Presidente non ottenesse un risultato di tutta evidenza nel negoziato diretto con la Corea del Nord.
E’ però, altrettanto vero che il fronte politico contrario, composto dagli avversari di Trump, subirebbe in caso di un accordo con la Corea un notevole spiazzamento; spiazzamento soprattutto se questo ipotetico accordo fosse sufficiente a riportare la sicurezza del mondo fino adesso vicino al conflitto nucleare, nei ranghi dell’accettabilità.
Il previsto imminente colloquio Usa – Corea per un incontro diretto sulla contesa nucleare - di questo in effetti si tratta – ha sicuramente imbarazzato la stessa Cina, tradizionale alleata della Corea del Nord.
La Cina infatti, finora avvantaggiata dall’escalation delle ostilità tra Pyongyangd e Washington, avrebbe potuto far leva sul pragmatismo della Corea del Sud stretta tra i due fuochi, per incoraggiare l’unificazione territoriale tra le due Coree per affinità culturale, in tal caso, a gravissimo discapito degli americani in stanza nel sud-est asiatico.
Questo sarebbe equivalso per la Cina ad estendere anche a Seul, la medesima influenza che ha su Pyongyang. Invece, il colloquio diretto per un concordato tra USA e Corea del Nord, non ha dato alla Cina - che comunque si è dovuta diplomaticamente congratulare per questo tentativo di conciliazione - la ambita possibilità di fungere da mediatrice con i propri indirizzi politici. Attualmente, gli eventuali possibili suggerimenti della Cina, non possono contare sulla propria supremazia ideologica comunista, perché come si vedrà, il comunismo coreano ha uno stampo politico diverso.
Le convergenze tra USA e Corea su questo ipotetico accordo, saranno così svincolate dalle dirette pressioni cinesi su Pyongyang; pressioni che sicuramente avrebbero salvaguardato la politica espansionistica della stessa Cina nell’Oceano Pacifico.
L’ anima della Corea - La Corea del Nord è formalmente uno stato socialista aderente ai principi del marxismo leninismo, ma è anche uno degli Stati che reggono il passo della necessità interne con la convenienza dei rapporti internazionali. L’ideologismo politico della Cina maoista e comunista, non trova perciò, riscontro nel regime coreano, quantunque alleato strategico fin dagli anni 50. L’aiuto alla guerra coreana contro gli Stati Uniti che la Cina ha assicurato attraverso le proprie forniture militari alla Corea del Nord, ha garantito l’ attuale regime prima e dopo l’accordo di suddivisione territoriale lungo la linea del 38º parallelo tra le due Coree.
La Corea del Nord è piuttosto uno Stato retto da un governo che dal punto di vista occidentale, assume i connotati dittatoriali di uno Stato nazionalista che concepisce l’amministrazione del Paese a immagine e somiglianza della stessa impostazione politica dominante. Non a caso, appaiono dei parallelismi tipici dell’estremismo di tutta evidenza, come l’emozione delirante e la dedizione fino al sacrificio del popolo coreano per il suo capo a cui tutto è dovuto, in quanto egli esprime simbolicamente l’anima della nazione.
L’interesse cinese - Merita una rapida digressione non sottovalutare il rilevante interesse della Cina anche nei confronti delle risorse minerarie coreane perché le immense potenziali ricchezze del sottosuolo coreano sono stimate dai 5 mila ai 10 mila miliardi di dollari. Tra queste vi sono i giacimenti delle cosi dette “terre rare” tra i più capienti del mondo, recentemente scoperti nelle alture della Corea del Nord. Attualmente la richiesta di mercato di questi elementi per una vasta gamma di applicazioni industriali, soprattutto del settore elettrico, è strategica. La Cina infatti, sensibilizzata pelosamente dal cosiddetto ambientalismo occidentale, ha investito enormi risorse economiche per la rapida trasformazione nel mondo dell’ attuale trasporto, da motori endotermici a benzina e diesel, a motori elettrici. Come poi se qui da noi, la ricarica delle batterie, avvenisse senza inquinamento, per grazia ricevuta.
La forza dei negoziati - La possibilità di successo per un colloquio di tal genere per le due Coree, poggia su aspetti di sicura convenienza politica interna, soprattutto della Corea del Nord, prima ancora che su valori internazionalmente riconosciuti a Trump.
Per quanto riguarderà l’eventuale successo americano, soprattutto di fronte all’opinione occidentale, questo dovrà superare con ampio margine, le attuali frontiere strategiche commerciali americane nell’est asiatico, e, dimostrare che il risultato ottenuto dalla Corea del Nord ha sicuramente rafforzato la leadership USA nel mondo, attraverso il Presidente Trump.
Svincolare la Corea del Nord dalle dipendenze cinesi e favorire in questo caso, una confederazione coreana aperta all’Occidente in cambio della denuclearizzazione militare, sarebbe un notevole successo per Trump e per il tutto l’ Occidente. Questa possibilità non è proprio così remota anche se del tutto in salita.
Altrettanto allettante sarebbe per il popolo coreano un novello “piano Marshall” USA che giocherebbe a favore del dittatore Kim Jong-un per l’improvviso benessere che si riverserebbe sulla popolazione e che sarebbe comunque a lui attribuito. La sopravveniente abbondanza dei beni di prima necessità, perennemente carenti, costituirebbe infatti per Kim Jong-un, un rafforzativo del consenso interno di grande rilevanza politica.
Il paradosso della razza - Altro fattore coreano di carattere emotivo tradizionale molto sentito dall’intero Paese è il concetto della cosiddetta purezza di razza, della quale noi occidentali disconosciamo da un pezzo ogni valore. Per i coreani del Nord invece, che si considerano l’espressione genuina della purezza asiatica, la riunificazione della propria gente assume un valore di notevole importanza anche per la Corea del Sud. Disse infatti, Kim Young-sam, il primo Presidente sud coreano eletto democraticamente, che nessun alleato è migliore di uno della stessa razza.
In conclusione - Ciò starebbe a significare che un eventuale Stato federale tra le due Coree avrebbe una motivazione interna in più, per preferire questa nuova realtà.
Se così avvenisse il successo del Presidente Trump consisterebbe nella denuclearizzazione militare della Corea del Nord e nel relativo allentamento coreano dai vincoli strategici dalla Cina. La Cina però non si limiterà a guardare.
Non è semplice essere la cover band di Joe Bonamassa, uno tra i più grandi chitarristi americani e di chiara origine italiana, ma i Black Rock esibitisi ieri sera al ''Let it beer'' (piccolo pub romano, una piazza per concerti cover di molti gruppi rock) riescono a rappresentarlo al meglio grazie alla magica chitarra di Giorgio Meletti, al possente basso di Leo Cuomo, alla forza della batteria di Gianni Campanella e alla splendida voce solista di Francesco Volpe.
Il chitarrista Giorgio Meletti ci raccontava che secondo la sua opinione, Joe Bonamassa sarà il chitarrista che prenderà il primo posto sul podio negli States, ricordando anche i famosi Steve Ray Vaughan ed Eric Clapton sempre grandi interpreti del rock-blues. Giorgio ci spiegava con tanta energia e gioia, la sua passione per le chitarre, il suo hobby principale è quello di assemblare chitarre di ogni genere. Per avere il suono di Joe si devono utilizzare l’accoppiata Gibson per la chitarra e Marshall per l’ampli, utilizzando una Custom Shop modello Joe Bonamassa, la quale la Gibson ripropone in commercio su specifiche dello stesso Joe Bonamassa riprodotta in soli 300 esemplari.
Giorgio ci ricordava che non dobbiamo dimenticare l’effettistica, anche se Joe ne usa davvero poca, per saper suonare e studiare a fondo Bonamassa, bisogna capire i diversi modi di stili usati . Figlio di un negoziante di strumenti musicali di New York, come insegnante Joe prendeva lezioni da un grande come Rick Derringer e nientemeno che da B.B. King e all'età di soli 13 anni, Joe gli apriva i suoi concerti.... B.B.King, il re indiscusso del blues !
Concludendo Giorgio consiglia ai giovani che amano e vogliono suonare pezzi di Joe Bonamassa di avere tanta passione e senza l'applicazione giusta non si possono avere risultati decenti, ma la fortuna dei giovani di oggi e' che con internet possono vedere decine di video su come suonare qualsiasi pezzo. In altri tempi tutto era più difficile se si voleva studiare qualche musicista si avevano solo i vinili o le cassette, i quali impegnavano le persone a pulire o sostituire le puntine dei giradischi e le seconde a riavvolgere nastri nei registratori a cassette o le piastre stereo.
Noi di Freelance International Press abbiamo filmato alcuni spezzoni dei ''Black Rock e ne siamo usciti veramente entusiasti !...Grandi veramente !