L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1382)

Free Lance International Press

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December 14, 2017

ljklhWillem Dafoe, attore versatile in grado di spaziare con grande facilità da ruoli comici a drammatici, è stato nominato ai Golden Globe per il film The Florida Project di Sean Baker, stimato regista di Tangerine, in sala il 1° Febbraio con Cinema di Valerio De Paolis, già ricco di riconoscimenti da tutto il mondo.

La pellicola ha appena ricevuto una nomination ai Golden Globe per l’interpretazione di Willem Dafoe, come attore non protagonista. Presentato con grande successo alla Quinzaine des Realisateurs, il film ha iniziato un lungo percorso di Festival - da Toronto a New York, da San Sebastian a Londra, fino a Torino dove è stato il film di chiusura - e moltissimi riconoscimenti: nomination ai British Indipendente Film Awards, agli Spirit Awards ai Gotham e Satellite Awards; film dell’anno all’American Film Institute Awards, ha vinto anche il Toronto Film Critics Associations, il Los Angeles Film Critics Association, il New York Film Critics Circle Awards, San Francisco Film Critics, e molti altri.

La storia è incentrata sul mondo dell’infanzia, la sua innocenza, le scoperte, la spensieratezza, contrapposto all’universo degli adulti, con le loro difficoltà e i loro problemi. Una vivace bambina di sei anni, il suo gruppo di amici e le vacanze estive che si riempiono della sorpresa, dello spirito di possibilità e del senso di avventura tipici di quella fase della vita, mentre gli adulti intorno a loro attraversano tempi difficili. Hanno circa sei anni e riescono ancora a trasformare una realtà fatta di fast food, trash televisivo e quotidiana miseria in un’avventura. Moonee è una piccola canaglia, la sua giovane mamma Halley si muove lungo il confine tra legalità e crimine e l’unico che cerca di tenere insieme le cose è Bobby (Willem Dafoe), il manager del Magic Castel Hotel dove vivono Moonee e Scooty.

Ambientato a Orlando, Florida, la capitale mondiale delle vacanze, un paradiso ricco di sole al quale accorrono, ogni anno, milioni di turisti da tutto il mondo, un regno incantato con una miriade di parchi tematici, spettacoli e resort, il film rivela però che, a pochi passi di distanza, c’è un mondo completamente diverso, in cui vivono personaggi descritti da Baker senza pietismi e con una gran dose di allegria.

Il debutto dell’ala del Vittoriano destinata alle mostre temporanee d’arte, anni or sono, era stata nell’ambito impressionista. La vocazione e specializzazione è stata confermata negli anni e ora è la volta di Monet. Capolavori dal Museé Marmottan Monet, Parigi, in corso fino all’11 febbraio 2018.

Sono sessanta le opere provenienti dal museo parigino, che, donate all’istituzione dal figlio Michel, erano conservate a Giverny, ultima residenza del pittore.

Come di consueto, in apertura è allestita la saletta con il filmato che introduce all’esposizione, mentre nel corridoio un grande pannello riporta la biografia.

La novità, ormai divenuta consuetudine, è costituita dalla realtà immersiva di schermi, dove foto di giardini e di fiori si trasformano nei dipinti. Quasi a voler suggerire e far assimilare, a livello subliminale, quello che è stato il processo creativo e rivoluzionario instaurato dal movimento impressionista.

Una ribellione giocata tra il fisico e lo spirituale. Fisicamente gli impressionisti avevano abbandonato gli atelier, luogo di azione dei pittori accademici, per immergersi nella natura en plen air. Alla fisica si erano affidati per la teoria del colore e gli studi sul funzionamento dell’occhio umano. Alla chimica avevano richiesto di sintetizzare colori che, spremuti dal tubetto, passavano direttamente sulla tela, dove, insieme al gesto, andavano a costituire la materia dell’opera.

L’invenzione della fotografia li aveva spinti a cercare un’arte più reale del reale. Così, abbandonando la prospettiva rinascimentale, interpretazione matematica dello spazio, si erano affidati all’occhio perchè fotografasse l’attimo fuggente di una porzione di mondo. Ma la pellicola su cui fissare l’immagine era l’anima, capace di imprigionare e rispecchiare l’infinito.

La mostra parte dalle caricature e dai ritratti dei figli, per poi snodarsi tra i diversi paesaggi e le dimore di Monet, fino ad arrivare ai giardini e ai fiori. È un percorso cronologico e tematico che vede nelle versioni del Salice piangente, ne Le rose, ne Il ponte giapponese e nelle Ninfee, il punto d’arrivo della ricerca e della poetica di Monet.

Come di consueto i dipinti sono esposti in modo labirintico, succedendosi senza sosta tra piano inferiore e piano superiore. La situazione è particolarmente penalizzante nel caso delle opere impressioniste, dove, la tecnica esecutiva fatta di macchie di colore e luce, impone un allontanamento dello spettatore, così che la mente sia in grado di ricostruire la scena e il soggetto inquadrati dall’occhio.

 

 

Monet

Capolavori dal Museé Marmottan Monet, Parigi

19 ottobre 2017 - 11 febbraio 2018

Roma, Complesso del Vittoriano - Ala Brasini

Orari: da lunedì a giovedì 9.30 - 19.30

venerdì e sabato 9.30 - 22.00

domenica 9.30 - 20.30

Ingresso: Intero €.15,00

Ridotto €. 13,00

Info: Tel. + 39 06 87 15 111

www.ilvittoriano.com

Il 7° Mercato dei Vignaioli Indipendenti, svoltosi a Piacenza il 25 e 26 novembre scorso, si è chiuso con un successo atteso (era nell’aria) ma non nella misura che lo è stato veramente.

Grande, Grande, Grande, volutamente in crescendo a significare un successo maturato anno dopo anno, ben programmato, solidificando e compattando quanto realizzato. Crescere insieme è il motto. Come dargli torto.

I numeri parlano da soli. Una due giorni da Sold Out. E la cosa più sorprendente e allo stesso tempo clamorosa è stato il registrare affluenza di visitatori da regioni svariate e lontane. Presenze dalla Sicilia, Calabria e Sardegna per assaggi e acquisti ai circa cinquecento banchi dei vignaioli indipendenti .

La formula di così tanto successo?

  • rappresentare la figura del viticoltore promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani

  • fatta da vignaioli che coltivano le proprie vigne, imbottigliano il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vendono tutto o parte del proprio raccolto in bottiglia, sotto la propria responsabilità, con il proprio nome e etichetta.

  • persone che rispettano le norme enologiche della professione, limitando l'uso di additivi inutili e costosi, concentrando la propria attenzione sulla produzione di uve sane che non hanno bisogno del maquillage di cantina.

Quest’ultima posizione non vuol dire condurre necessariamente la propria coltivazione e le tecniche di cantina con certificazione biologica e/o biodinamica, ma produrre vini che prima di tutto siano buoni.

Ragione di questo trionfo, boom?

L’impegno generoso in vigna e in cantina, la ricerca costante della qualità, l’attenzione (finalmente aggiungo) dell’immagine del prodotto e perché no l’attività unitaria, associativa, di promozione e valorizzazione nel rispetto delle tradizioni, dei territori, per una offerta eterogenea di grande qualità.

E poi, non ultima, la familiarità che si respira appena varcate le porte della Mostra-Mercato. Essere uno di loro. D’obbligo dare del “tu” . Sorrisi, euforia, ottimismo, il bicchiere mezzo pieno. Fuori del capannone fieristico i problemi di tutti i giorni, dentro disponibilità, fratellanza, cordialità e stima. Quest’ultima toccata con mano. Alla richiesta di darmi qualche dritta negli assaggi, la risposta immediata e gentile è stata: ”vai ad assaggiare i vini di quel produttore o dell’altro” in una forma di cameratismo inusuale di questi tempi.

Giri per i banchi, leggi da dove provengono i vignaioli e subito il richiamo alla mente della straordinarietà dei luoghi di origine dei loro vini e la solidità delle tradizioni locali. Forse la mia presenza vuol essere il raccontare modestamente, con sobrietà, semplicità l’immenso patrimonio vitivinicolo che si cela dietro queste facce, le più arse dal sole, sagomate dalle intemperie.

Duemila anni di cultura del vino, di generazione in generazione, a volte di acquisizione in acquisizione, di volontà e ritorno alla terra, di lascio tutto e vado a vivere in campagna. Legame alla terra e al vino comunque sia la provenienza portando qui a Piacenza testimonianze, storia, echi e suggestioni.

Scrisse un giorno Pablo Neruda:” Non soltanto amore, bacio bruciante e cuore bruciato, tu sei vino di vita, ma amicizia degli esseri, trasparenza, coro di disciplina, abbondanza di fiori…”.

Questa è stata la FIVI, la mostra-mercato giunta alla sua 7° edizione. Lunga vita alla FIVI.

Urano Cupisti

Il 7° Mercato dei Vignaioli Indipendenti, svoltosi a Piacenza il 25 e 26 novembre scorso, si è chiuso con un successo atteso (era nell’aria) ma non nella misura che lo è stato veramente.

Grande, Grande, Grande, volutamente in crescendo a significare un successo maturato anno dopo anno, ben programmato, solidificando e compattando quanto realizzato. Crescere insieme è il motto. Come dargli torto.

I numeri parlano da soli. Una due giorni da Sold Out. E la cosa più sorprendente e allo stesso tempo clamorosa è stato il registrare affluenza di visitatori da regioni svariate e lontane. Presenze dalla Sicilia, Calabria e Sardegna per assaggi e acquisti ai circa cinquecento banchi dei vignaioli indipendenti .

La formula di così tanto successo?

  • rappresentare la figura del viticoltore promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani

  • fatta da vignaioli che coltivano le proprie vigne, imbottigliano il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vendono tutto o parte del proprio raccolto in bottiglia, sotto la propria responsabilità, con il proprio nome e etichetta.

  • persone che rispettano le norme enologiche della professione, limitando l'uso di additivi inutili e costosi, concentrando la propria attenzione sulla produzione di uve sane che non hanno bisogno del maquillage di cantina.

Quest’ultima posizione non vuol dire condurre necessariamente la propria coltivazione e le tecniche di cantina con certificazione biologica e/o biodinamica, ma produrre vini che prima di tutto siano buoni.

Ragione di questo trionfo, boom?

L’impegno generoso in vigna e in cantina, la ricerca costante della qualità, l’attenzione (finalmente aggiungo) dell’immagine del prodotto e perché no l’attività unitaria, associativa, di promozione e valorizzazione nel rispetto delle tradizioni, dei territori, per una offerta eterogenea di grande qualità.

E poi, non ultima, la familiarità che si respira appena varcate le porte della Mostra-Mercato. Essere uno di loro. D’obbligo dare del “tu” . Sorrisi, euforia, ottimismo, il bicchiere mezzo pieno. Fuori del capannone fieristico i problemi di tutti i giorni, dentro disponibilità, fratellanza, cordialità e stima. Quest’ultima toccata con mano. Alla richiesta di darmi qualche dritta negli assaggi, la risposta immediata e gentile è stata: ”vai ad assaggiare i vini di quel produttore o dell’altro” in una forma di cameratismo inusuale di questi tempi.

Giri per i banchi, leggi da dove provengono i vignaioli e subito il richiamo alla mente della straordinarietà dei luoghi di origine dei loro vini e la solidità delle tradizioni locali. Forse la mia presenza vuol essere il raccontare modestamente, con sobrietà, semplicità l’immenso patrimonio vitivinicolo che si cela dietro queste facce, le più arse dal sole, sagomate dalle intemperie.

Duemila anni di cultura del vino, di generazione in generazione, a volte di acquisizione in acquisizione, di volontà e ritorno alla terra, di lascio tutto e vado a vivere in campagna. Legame alla terra e al vino comunque sia la provenienza portando qui a Piacenza testimonianze, storia, echi e suggestioni.

Scrisse un giorno Pablo Neruda:” Non soltanto amore, bacio bruciante e cuore bruciato, tu sei vino di vita, ma amicizia degli esseri, trasparenza, coro di disciplina, abbondanza di fiori…”.

Questa è stata la FIVI, la mostra-mercato giunta alla sua 7° edizione. Lunga vita alla FIVI.

November 30, 2017

ukytky29.11.2017 - Questa mattina la Corea del Nord ha effettuato con successo il 20o test missilistico in quest’anno, dopo due mesi di “inattività”.

I fatti

L’agenzia ufficiale KCNA ha affermato che il missile era il più sofisticato rispetto a tutti i test precedenti ed è in grado di trasportare una testata nucleare pesante “super-large”.

Queste affermazioni non sono ancora state verificate dagli esperti, ma gli stessi si aspettavano che Pyongyang dimostrasse che ora ha l’intero territorio degli Usa nel suo raggio d’azione: uno sviluppo che rafforza in modo significativo la sua posizione negoziale nei confronti di Washington.

Da quanto  viene riportato, il missile ha volato per 50 minuti su una traiettoria molto alta, raggiungendo l’altezza di 2.796 miglia (10 volte maggiore dell’orbita della Stazione Spaziale Internazionale della Nasa), cadendo a una distanza di 621 miglia dal lancio ad ovest della costa del Giappone. David Wright, fisico ed esperto missilistico della Union of Concerned Scientists, calcola che su una traiettoria normale anziché così alta, il missile avrebbe una portata di 8.078 miglia (13.000 km), sufficiente a raggiungere Washington, l’Europa e l’Australia.

Le implicazioni

I commenti parleranno ovviamente di ennesima provocazione, di escalation inaccettabile. Ci sarà un ulteriore polverone. Vogliamo, per lo meno noi, ragionare con freddezza e raziocinio?

Innanzi tutto ho discusso più volte che la responsabilità dell’escalation nucleare della Corea del Nord ricade in primo luogo sugli Stati Uniti[1]. Questo non certo per “giustificare” che Pyongyang si sia dotata di armamenti nucleari, che sono comunque un delitto contro l’umanità, come verrà sancito non appena il nuovo Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari entrerà in vigore: è l’esistenza stessa delle armi nucleari, il loro uso come minaccia, a moltiplicare gli Stati che ambiscono dotarsene. Da un lato è ormai il segreto di Pulcinella che gli armamenti nucleari implicano enormi interessi economici oltre che militari, gli Stati che se ne sono dotati hanno ricevuto informazioni, tecnologie e supporti da cani e porci, e la Corea del Nord non ha certo fatto eccezione.

Si smetta di dipingere Kim come un pazzo fuori di testa, a mio parere è molto lucido, e fa un freddo, ancorché cinico, calcolo: “Saddam ha abbandonato i suoi armamenti e è stato fatto fuori, Gheddafi pure e è stato ucciso”. Più realistico di così! Sono gli Stati Uniti, e Trump in modo esasperato, che conoscono solo il linguaggio della minaccia della coercizione.

Pyongyang ha offerto la disponibilità a negoziare, non da ora ma da anni[2], ponendo come condizione il riconoscimento del suo status di Stato nucleare. Ormai gli Usa, e tutto il modo, devono prendere atto che – per loro precisa responsabilità – la Corea del Nord non pone più un problema di proliferazione, ma è uno Stato nucleare a tutti gli effetti. Kim e il suo regime possono essere legittimamente antipatici, ma di fronte alla minaccia che incombe è necessario mettere in secondo piano l’obiettivo di regime change, e lasciare il posto alla politica, ai popoli e alla storia.

La situazione diventa sempre più drammatica, e il rischio che venga premuto – accidentalmente, per errore o per calcolo – il bottone della fine del mondo è sempre più concreto. Sta al più forte, non al più debole, avere la saggezza di negoziare. La strada è chiara, anche se tutt’altro che priva di ostacoli e problemi: intavolare finalmente – dopo 63 anni dalla Guerra di Corea – un negoziato di pace complessivo che possa pacificare l’intera penisola coreana, e porre le basi per la sua completa denuclearizzazione.

 

[1]             A. Baracca, “La resistibile ascesa nucleare della Corea del Nord”, Pressenza, 3 maggio 2017, https://www.pressenza.com/it/2017/05/la-resistibile-ascesa-nucleare-della-corea-del-nord/.

[2]               Si veda ad esempio D. Bandow, “North Korea Wants to Talk Peace Treaty: U.S. Should Propose a Time and Place”, The National Interest, 3 dicembre 2015, http://nationalinterest.org/blog/the-skeptics/north-korea-wants-talk-about-peace-treaty-us-should-propose-14504; A. Denmark, “Time for President Trump to negotiate with North Korea”, The Hill, 10 novembre 2017, http://thehill.com/opinion/white-house/354891-time-for-president-trump-to-negotiate-with-north-korea.

per gentile concessione dell'Agenzia di stampa Pressenza

2017: Edizione da bollino Platinum, il più prezioso

 

 

IMG 20171114 115604Devo dire proprio di sì. Evento difficilmente superabile, senza alcuna “sbavatura organizzativa”. Vicinissimo alla perfezione.

Una “macchina” che ha bisogno di un solo goccio d’olio, meglio dire di vino, per far girare gli ingranaggi degli avvenimenti durante i cinque giorni. Dalla bio-dinamica al Catwalk Champagne passando per i tre giorni tradizionali, centrali, ricchi, come sempre, di novità “stellari” per gli appassionati di vini e non.

 

Non solo Vino.

La Gourmet Arena che da alcuni anni ha trovato la giusta location, come continuità del Wine, nella tensostruttura posizionata tra il fiume Passirio e il Kurhaus, lungo quella passeggiata resa famosa nel mondo come promenade Sissi.

Quet’anno oggetto di ulteriore “sana decisione”, da parte di Helmuth Köcher, liberandola dallo Show Cooking che, meritatamente, ha ottenuto il suo spazio in altra sede, piazza della Rena, vicinissima al Kurhaus, ribattezzata Cooking Farm.

Già, la Cooking Farm, meglio dire Chef Performance.

Dal venerdì 10 al Lunedì 13, nell’orario di apertura, più di venti chef stellati si sono alternati ai fornelli nel proporre piatti di particolare importanza cucinati secondo le loro filosofie di pensiero. Senza dimenticare i “temi giornalieri”

 

Wild Cooking, Fermenti in cucina, la prima manifestazione italiana sui cibi fermentati svoltasi Venerdì 10 in contemporanea con Bio&Dynamica, l’evento enoico più importante e rappresentativo insieme a Summa di Alois Lageder, guarda caso anche lui altoatesino.

 

Cooking Farm, confronto tra la più prestigiosa cucina italiana e la tradizione contadina svoltasi nel giorno 11. Sperimentare e giocare, amore per le radici e curiosità verso altre culture, lavorare in sintonia con la natura, la pizza nella continua e costante ricerca delle migliore eccellenze gastronomiche italiane.

Cooking Farm, “Place to be” per gli amanti dell’Alta Gastronomia svoltasi nel giorno 12. Rispetto come pilastro centrale di una precisa architettura, il fedele artigiano del cibo, la proposta di Risate&Risotti, cucinare per soddisfare i propri familiari.

Cooking Farm, il premio GODIO, inserito dall’ormai lontano 2004 in onore e memoria dello chef Giancarlo Godio, svoltosi Lunedì 13, con la premiazione di Luis Haller, altoatesino della Val Passiria, come giovane appassionato per l’arte culinaria e per la sua vocazione ai piatti semplici, composti di tre o quattro ingredienti, sapientemente selezionati, con cui riesce a creare sapori del tutto inaspettati.

 

Ed infine, martedì 12, durante l’evento di chiusura dedicato agli Champagne “esclusivi”, Catwalk Champagne, lo chef Italo Bassi trent’anni ai vertici della ristorazione italiana e internazionale insieme al giornalista francese Sebastien Ripari fondatore di “Le Bureau d’elude gastronomique”, hanno dato vita ad un show cooking con la complicità della Maison Maxime Blin. Maison che si trova a Trigny nel Massiccio di Saint-Thierry, chiamato anche Petit Montagne de Reims, posto sul C 2 fotogallery 3083803 6 image50esimo parallelo.

Il nostro lavoro- parole di Helmuth Köcher – consiste nello scegliere annualmente il massimo della qualità per gli appassionati di vino e gourmet. E presentarlo in

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 Helmuth Köcher

una cornice esclusiva come Merano. Siamo e rimaniamo i nostri clienti più esigenti”

Lo “sdoganamento” ufficiale del nuovo Merano Food & Wine Festival e risposta secca, con “una cornice esclusiva come Merano” alle insistenti e continue pressioni svolte da alcuni media nell’indicare Milano come sede logistica migliore. Svanirebbe il fascino, la seduzione, l’attrazione unite a charme, carisma a favore della sola massificazione senza anima, solo business.

 

E il futuro? Sono sempre le parole di Helmuth Köcher ad indicarne le linee.

Diffondiamo l’eccellenza enogastronomica da oltre 25 anni attraverso la selezione e valutazione dei prodotti, comunicazione dell’eccellenza, allestimento di eventi esclusivi rivolti al B2B e al B2C ed organizzazione di eventi in Italia e Europa. Da dicembre partiranno i Corsi di formazione di figure professionali e specializzate in ambito eno-gastronomico. Wine export manager, Event Manager tra tradizione e innovazione, Commesso agroalimentare, Cameriere, Aiuto cuoco ed altri. Un nutrito programma per tenere sempre ai vertici il Merano Wine Festival senza dimenticare che siamo arrivati fino a qui grazie al VINO”. Chapeau!

 

              gfkk Quando Aldo Capitini parla della religione come “servizio dell’impossibile, rifiuto di accettare i modi di realizzarsi della vita e del mondo come se fossero assoluti e gli unici possibili” 1), ci troviamo indubbiamente di fronte ad una delle più belle definizioni che, del concetto di religione, siano mai state formulate.

La religione di cui parla il “Gandhi italiano”, padre della Marcia Perugia-Assisi, è “educazione e promovimento dell’apertura di unità amore”, è “educazione e promovimento di apertura alla realtà liberata”. E’ qualcosa che nulla ha a che vedere con quello che lui chiama il “sacro di esclusione”, caratterizzato dall’esigenza del chiudere e del chiudersi, dalla brama del gerarchizzare e contrapporre. Qualcosa che nulla ha a che vedere con quelle che gli illuministi chiamavano “religioni positive”, realtà istituzionalizzate avide di potere, dogmatizzanti e intrinsecamente intolleranti e violente, quelle, cioè, che presumono “di venire dall’alto con autorità e con assolutismo”, che pretendono di pontificare su “ciò che è bene e ciò che è male (anche il votare per certe liste politiche!)” che rifiutano la ricerca e lo sviluppo nella fondazione dei valori, imponendo il proprio credo, che vogliono “la parrocchia totalitaria, con tutti uniti nello stesso credo, negli stessi sacramenti, nella stessa sudditanza al

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Papa Francesco
sacerdote, il quale mette paura con la visione dell’inferno, e getta fuori del chiuso castello, protetto dagli arcangeli, i peccatori nelle mani dei diavoli.” 2)

La religione sognata (e, per quanto fu possibile, promossa) da Capitini è un’esperienza che può scaturire soltanto dalla libera ricerca, sempre rispettosa delle opinioni individuali, dalla “voce della ragione nella coscienza”, che rigetta radicalmente ogni apparato ecclesiastico, che vuole creare liberamente amore nell’animo di tutti verso tutti, rifiutando ciò che allontana, divide e contrappone, alimentando un intimo sentimento di unione con tutto ciò che vive, anche con gli animali, anche con gli stessi morti, sentiti vicini “nel bene che facciamo” 3), parte inscindibile di una “compresenza crescente” 4), che ci rende impossibile accettare che “la morte chiuda l’essere” e risucchi veramente tutto nel nulla.

Una religione che aspira alla “liberazione di tutti” dal “peccato”, dal “dolore”, dalla “morte”, combattendo tutte le chiusure che si nutrono di odio e indifferenza e che ragionano nell’ottica dell’ ”io mi salverò e tu no”. 5)

Una religione aperta che non dovrebbe mai essere semplice “adattarsi, più o meno volentieri, al fatto che vi siano altri che pensino e agiscano differentemente”, una vera e propria “gioia per la presenza degli altri” sorretta dal sentimento sincero della compartecipazione di tutti ad “un’unità e un destino comune”. 6)

     Per Capitini tutto ciò che rifiuta rapporti e che tende ad accartocciarsi su di sé è destinato ad autoannullarsi. La vita ci richiede continue e necessarie aperture: a vari livelli, in innumerevoli diverse modalità, tutto è chiamato ad aprirsi, a correlarsi, ad interagire in maniera scambievolmente costruttiva. “Apertura - dice il filosofo perugino - è vita, è maggiore vita, è migliore vita” 7). E la vita non dovrebbe essere percepita negli angusti confini di quello che Schopenhauer chiama “principium individuationis”, ma come una tensione bergsonianamente intesa verso un “oltre” che trascenda perennemente i limiti della realtà attuale.

     La cosa più bella della concezione capitiniana di religione aperta è la sua commossa e commovente convinzione che un mondo come quello in cui siamo gettati, sia per quanto riguarda le cosiddette leggi della natura (selezione del più forte, “pesce grosso mangia pesce piccolo”, ecc.), sia per quanto riguarda il vivere dell’uomo insieme agli altri (con tutte le incalcolabili violenze ed ingiustizie), non meriti di continuare ad esistere, non potendo degnamente ambire alla eternizzazione di sé. L’animo autenticamente religioso non può non vedere la realtà presente come qualcosa di provvisorio, come qualcosa, cioè, di destinato ad essere trasformato, ad essere trasceso. Religione aperta è, quindi, prima di ogni altra cosa, desiderio, volontà, capacità di rifiutare quanto attacca l’unità del Tutto e cerca di sottrarsi alla unificante potenza cosmica dell’Amore. E’ ribellione al male e a tutto ciò che semina dolore. E’ schierarsi sempre dalla parte degli sconfitti, dei sofferenti, degli esclusi, in vista di altri mondi possibili. E’ cercare di costruire “una società senza classi, fondandone religiosamente sia le motivazioni sia il metodo di avvicinamento, nonviolento, amorevole anche verso i ricchi, anche verso gli oppressori, ma non in quanto ricchi e oppressori, bensì in quanto esseri umani, peccatori, da amare non accettando però il loro peccato, e con la fermissima apertura che essi stessi, prima o poi, si avvedranno del loro peccato, aiutati in ciò da una lotta che usa un metodo puro, amorevole, di sacrificio, facente appello alla comune e intima realtà di tutti, e alla speranza di una realtà liberata di cui siamo partecipi tutti, quale che sia stato il passato di ciascuno.” 8)

   Quando Capitini elaborava e generosamente divulgava le sue tesi, la Chiesa di allora (anni ’50 dello scorso secolo) lo trattava - assai comprensibilmente - come un pericoloso nemico, meritevole delle più severe rampogne e deprecazioni. Il suo Religione aperta (1955), senza alcun dubbio una delle opere più interessanti dell’ intero panorama filosofico novecentesco, venne messo prontamente all’Indice da Pio XII, e il decreto - come lo stesso filosofo tenne a ricordare con amara ironia - uscì “proprio nel giorno anniversario 1956 della Conciliazione tra il Vaticano e il Governo fascista” 9).

     Ma i tempi, si sa, cambiano. A volte, fortunatamente e alquanto inaspettatamente, anche in meglio. E il papa venuto da molto lontano, che, non certo per caso, ha scelto di chiamarsi Francesco, ora ci parla di una Chiesa “chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre”, di una Chiesa che “non è una dogana” bensì “la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” 10), e dichiara di considerare anche coloro che non si riconoscono in alcuna tradizione religiosa, ma che sinceramente ricercano verità, bontà e bellezza, “come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato”. 11)

     Piace pensare che un papa così, che, oltre a ravvivare e sviluppare la svolta epocale di Giovanni XXIII 12), sembra voler far risorgere il sogno tragicamente naufragato di Celestino V, che non perde occasione per insegnare che la misericordia è, nella Sacra Scrittura, la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi” 13), che l”’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia” 14), che tale virtù è “il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore” 15) e che la misericordia del Padre “non ha confini” 16) e “dura in eterno” 17), se avesse la ventura di imbattersi negli scritti capitiniani (nel caso non gli fossero già di occulta ispirazione), potrebbe anche, senza troppe esitazioni (e scandalizzando non pochi alti prelati), citarli nei suoi appassionati discorsi e nelle sue splendide encicliche.

     E piace anche molto immaginare che il mite e pugnace filosofo della nonviolenza, di fronte a tante affermazioni di papa Francesco, in merito alla “pienezza del perdono di Dio” (a cui nessuno potrà mai porre un limite) e alla sua misericordia che “sarà sempre più grande di ogni peccato” 18), si sarebbe trovato festosamente in sintonia, e che, magari, gli sarebbe corso incontro, offrendogli in dono un irenico affratellante abbraccio …

NOTE                                                                                               

  1. Aldo Capitini, Religione aperta, Editori Laterza, Bari 2011, p, 11.
  2. Ibidem, p. 19.
  3. Ib. p. 21.
  4. Ib. p. 10.
  5. Ib. p. 16.
  6. Ivi.
  7. Ib. p. 8
  8. Ib. pp. 44-5
  9. Aldo Capitini, Discuto la religione di Pio XII, edizioni dell’asino, Roma 2013, pp. 19-20.
  10. Evangelii gaudium, 47.
  11. Ivi.
  12. In apertura di Concilio, papa Giovanni XXIII volle contrapporre nuova a vecchia strategia della Chiesa: “la medicina della misericordia” alle “armi del rigore”.
  13. 13)Misericordiae vultus,
  14. 14)Ibidem, 10.
  15. 15)Ib, 11.
  16. 16)Ib, 26.
  17. 17)Ib, 32.
  18. 18)Ib, 3.

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November 10, 2017

3336b9fe70bbabc7b65df6710c54dba7c285b27cUn incubo satirico, brillante e implacabile come una luce alogena”, così Peter Bradshaw presenta su The Guardian “Happy End”, il nuovo film scritto e diretto dal pluripremiato Michael Haneke, regista e sceneggiatore austriaco, Palma d’Oro per “Il Nastro Bianco” e “Amour”, quest’ultimo anche vincitore del Premio Oscar come Miglior Film Straniero. Autore di storie scioccanti e senza speranza, Haneke è tra i registi contemporanei che maggiormente dividono pubblico e critica. E dopo cinque anni da “Amour”, torna dietro la macchina da presa con una nuova opera.

Presentata in concorso al Festival di Cannes, la pellicola è ambientata in una cittadina di confine nel Nord della Francia, dove si svolgono le vicende di una grande famiglia altoborghese, i Laurent, che ha ormai smarrito i suoi valori, chiusa nella propria solitudine, nell’incomunicabilità di un mondo cinico, indifferente e asettico.

La storia raccontata contrasta con il titolo scelto per questo film: specchio spietato di una società votata alla falsità, alla rabbia, all’egoismo e all’infelicità, tra vane ambizioni, menzogne, frustrazioni e morbose fantasie. Sullo sfondo, Calais, tra i maggiori centri di transito per i rifugiati d’Europa che invadono le strade della città portuale in attesa di una possibilità di attraversare l'Eurotunnel.

Un film attuale e originale che arriva dritto allo spettatore, al quale rivolge domande senza dare risposte, rigoroso e spiazzante, provocatorio e controverso in pieno “stile Haneke”, acuto e lucido osservatore di un’umanità alla deriva e di una realtà in perenne trasformazione. Il tutto impreziosito dalle interpretazioni di due mostri sacri del cinema francese, Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert, ormai presenze quasi costanti nei film di Haneke.

Un cast stellare che vede tra gli interpreti anche: Mathieu Kassovitz (Il favoloso mondo di Amélie), Franz Rogowski, Laura Verlinden, Toby Jones (Il Racconto dei racconti).

“Happy End” è prodotto da Les Films du Losange, X Filme Creative Pool e Wega Film e sarà in sala a partire dal 30 novembre distribuito da Cinema di Valerio De Paolis.

Carnivorismo umano: il più perverso, deleterio e distruttivo sistema convenzionale

 

Quando si parla di carne si sta parlando delle parti anatomiche strappate ad un essere, capace di intelligenza e sentimenti, appositamente ucciso, e che come noi amava la vita e aveva paura di morire. Ma molta gente è convinta che la carne sia necessaria alla nostra salute. Se questo fosse vero sarebbe difficile spiegare l’eccellente salute di coloro che non la mangiano, quella di moltissimi personaggi recenti e della storia passata, oltre delle popolazioni che per tradizione sono vegetariane.

 La domanda fondamentale da porsi è se l’alimentazione carnea genera benefici o danni. Quali sono i benefici del consumo di carne nella dieta umana per la nostra salute? Assolutamente nessuno. Non è possibile menzionare in alcun modo un solo beneficio apportato dalla carne, mentre i danni prodotti sono molteplici e dimostrabili da qualunque patologia ad essa correlati: danni alla salute, all’ambiente, all’economia, al Terzo Mondo, alla coscienza umana… non v’è malattia che non sia correlata al consumo di carne, come non v’è rimedio in cui si consigli l’eliminazione della stessa dalla dieta.

Mangi una bistecca ed hai tutti i nutrienti necessari? Nulla di più falso. Se mangiassi solo carne non arriveresti alla fine del mese, mentre se mangiassi solo vegetali otterresti una salute eccellente, questo perché la carne è l’alimento nutazionalmente più scompensato esistente in natura: è privo di carboidrati, amidi, fibra, vitamina A,C ed E.  
La carne fa male (come il pesce) non solo perché agli animali d’allevamento vengono somministrati ormoni per accelerarne la crescita, oltre a vari farmaci, come antibiotici per immunizzarli alle malattie cui andrebbero incontro a causa di una vita disumana, ma perché è ricca di colesterolo, grassi saturi; perché acidifica il sangue, sottrae calcio alle ossa, ma soprattutto perché tutti gli organismi in putrefazione sviluppano  ptomaine come indoli, fenoli, cadaverina, istamina sostanze altamente dannose, indipendentemente dal fatto che la carne provenga da animali d’allevamento o  da animali che vivano allo stato brado. 
Per certi nutrizionisti che in televisione ipocritamente giurano che gli  animali italiani sono esenti da farmaci, significativa arriva in questi ultimi giorni la dichiarazione della Coop che ufficialmente dichiara“…si vuole impegnare a migliorare le condizioni degli animali d’allevamento pereliminare o ridurre l’uso degli antibiotici in modo da contrastare l’incremento dei batteri resistenti”. Il problema dell’antibiotico resistenza che va sviluppandosi negli ultimi tempi è di gravità enorme. Ma pare che all’essere umano non importa morire: l’importante farlo con la bocca piena. 

 1387325ab956c8c74bb3ab7914759e29 MFrammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

Frammenti antemprima del

Merano Wine Festival edizione 2017.

Dal 10 al 14 novembre. 5 giorni di degustazioni esclusive ed eventi.

MWF 
 Merano Wine Festival

Entriamo nei particolari indicando le “perle” di questa edizione che si presenta come una delle più “assortite” degli ultimi anni

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Frammento n. 1

Naturae et Purae

Edizione 2017 che apre all’insegna del “naturale, biologico, biodinamico”. Celebrazione del territorio e dei prodotti naturali, mettendone in NATURAE ET PURAErisalto “le differenze e invitando ad una riflessione sul grande tema della naturalità nell’ambito del cibo e del vino”. Anteprima giovedì 9 nov. nella splendida cornice dei Giardini botanici di Castel Trauttmansdorff con il convegno “Quo Vadis? Food&Wine, is the future natural”. Il giorno successivo ben 105 aziende provenienti da 18 Regioni Italiane proporranno vini biologici, biodinamici, orange. Nel contempo nell’area Gourmet Arena presso Cooking Farm, gli chef si “alterneranno nella preparazione di piatti dedicati al tema dei cibi fermentati, nuova frontiera culinaria che riprende l’antica usanza di modificare le caratteristiche organolettiche dei cibi tramite il processo di fermentazione”.

 

Frammento n. 2

VINO in VULCANOVulcano1

Il protagonista di questa sezione sarà il fuoco. “Laddove vi siano vulcani estinti da oltre 10.000 anni, dormano quelli quiescenti o ribollano quelli ancora vivi, la natura è generosa nella sua fertilità”. MWF riserva, per la prima volta, un’area dove aziende selezionate provenienti da territori estremi, racconteranno la loro storia attraverso assaggi di vini dal carattere “vulcanico”.

Frammento n. 3

Charity Wine Masterclass. Cosa sono?

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 Masterclass

Volute dal Patron del MWF, Helmuth Köcher, destinando il ricavato degli ingressi al Gruppo Missionario per la realizzazione di progetti specifici in Africa. Veri e propri seminari aperti a “chiunque desideri approfondire, confrontarsi, assaggiare e conoscere territori, storie e tradizioni da prodotti unici, grandi classici dell’enologia”.

Sabato 11, Domenica 12, Lunedì 13, in vari orari. Ben 19 Masterclass con moderatori scelti tra enologi, giornalisti del settore, sommelier quotati, tra i più conosciuti sia a livello nazionale che internazionale.

L’elenco delle 19 Masterclass in http://www.meranowinefestival.com/charity-wine-masterclasses/

Infine, da non perdere,

 

 

Frammento n. 4

Catewalk Champagne

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Martedì 14 l’ormai attesa Catewalk Champagne. Giunta alla terza edizione ha “bruciato le tappe”; è già diventata il primo riferimento dello Champagne in Italia. Ben oltre 80 Maison tra le più famose con ben 200 etichette per condividere emozioni in un ambiente unico, il Kurhaus, elitario, elegante. “Lo champagne si confronta con il vino come l’haute couture si confronta con la moda” (Alfred Gratien).

Riflessione!

“Il Merano Wine Festival non è solo un evento; è un vero e proprio “think tank”, un forum di scambio di opinioni tra produttori, opinion leader, professionisti del settore e consumatori: un benchmark dell’eccellenza enogastronomica”.

Aggiungo: Un’azienda quando viene selezionata dal MWF entra a far parte del gotha dell’alta qualità.

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

November 01, 2017

Mentre le dispute tra Erbil e Baghdad su Kirkuk insidiano gli equilibri regionali, il presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno Massoud Barzani si dimette

Le dimissioni dell'ex presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG) Massoud Barzani, entrate in vigore il primo novembre, sono arrivate poco meno di dieci di giorni dopo la conferenza stampa in cui portavoce del movimento di opposizione Gorran aveva chiesto a lui e al vice-presidente Kosrat Rassoul di porre fine alle loro funzioni, avviando la formazione di un governo di unità nazionale. Lo stesso movimento, nato da una scissione all'interno del Partito di unione patriottica del Kurdistan (il PUK del defunto Jalal Talabani), in agosto si era pronunciato a favore del rinvio del referendum per l'indipendenza della regione curda. Gorran accusa la leadership del KRG di aver gestito in modo inefficace e poco trasparente le questioni interne ed esterne, e di aver illegalmente prolungato le sue funzioni per quattro anni oltre il suo mandato. Inoltre, il fatto che il parlamento sia chiuso dall'ottobre del 2015 impedisce un dialogo tra le forze politiche. Il Partito democratico del Kurdistan (KDP) di Barzani, forte dell'influenza della sua potente tribù, ha di fatto egemonizzato la politica curda, facendo leva soprattutto sui successi militari nella guerra contro i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico. Abbandonata la presidenza, Barzani non potrà candidarsi alle prossime elezioni, ma ha assicurato che resterà sulla scena “come peshmerga”, come combattente. Anche perché le elezioni presidenziali, previste per il primo novembre, sono state rinviate sine die.

“Sono sempre lo stesso Massoud Barzani, sono un peshmerga”, ha dichiarato l'ex presidente alla televisione irachena, “continuerò ad aiutare il mio popolo nella lotta per l'indipendenza”. Tuttavia, le recenti conquiste dell'esercito iracheno (le truppe del governo centrale di Baghdad), in particolare quella della provincia petrolifera di Kirkuk, senza spargimento di sangue, hanno complicato la situazione politica di Barzani, svelandone il sostanziale isolamento internazionale. Nessun paese vicino ha preso posizione perché Kirkuk e altri territori contestati rimanessero sotto il controllo kurdo o perché i curdi iracheni potessero avere un loro stato. Neppure l'alleato statunitense, che pure sui peshmerga aveva contato sia durante l'invasione dell'Iraq del 2003, sia nella guerra contro i cartelli del jihad, mentre ora si è limitato ad accogliere con favore le dimissioni di Barzani come segno di “senso dello stato”. Oltre all'indifferenza degli alleati regionali, Barzani si trova di fronte avversari politici che lo accusano già da anni di cupidigia e nepotismo, di indentificare alleanze politiche e relazioni tribali e di clan e gli attribuiscono la responsabilità del grave deficit di bilancio del KRG.

L'effetto più significativo delle dimissioni di Barzani è l'emergere delle divisioni politiche all'interno del KRG, ancor più gravi perché legate a rivalità tribali profondamente radicate. A poche ore dall'annuncio delle sue dimissioni dalla presidenza, mentre il parlamento regionale si accingeva a ratificarle, gruppi di giovani vicini al KDP hanno tentato di fare irruzione. Nel mirino di questi gruppi sono finite inoltre le sedi dell'emittente televisiva NRT di Shaswar Abdulwahid, vicina all'opposizione (già agli inizi di settembre uomini armati ne avevano attaccato gli uffici di Dohuk, al grido di “sì al referendum”) e le sezioni di Dohuk del PUK e di Gorran.

Anche nello scacchiere politico regionale la debolezza del KRG può avere conseguenze nefaste, costituendo un nuovo focolaio di tensioni. La Turchia, tradizionalmente alleata del KRG a guida Barzani, non ha perdonato a quest'ultimo l'ostinazione nel voler indire il referendum per l'indipendenza. Al punto che un paio di settimane fa il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha ricevuto il primo ministro iracheno Haider al-Abadi, a poco più di un anno dal loro aspro scontro. “L'avventurismo turco può provocare una guerra regionale”, aveva dichiarato al-Abadi, scatenando l'ira di Erdoğan, che aveva replicato: “non sei il mio interlocutore, non sei al mio livello”. Una riconciliazione improvvisa motivata dalla spinosa questione curda, oltre che dal commercio dell'oro nero.

È probabile che a preoccupare Ankara sia la consapevolezza che un KRG debole, con Barzani e il suo partito-clan non saldamente al potere, ridurrebbe notevolmente la sua influenza sulla regione. In Iraq infatti sta crescendo il peso dell'organizzazione Badr, partito politico filo-iraniano che ha la sua milizia all'interno delle Unità di mobilitazione popolare, un corpo di paramilitari in maggioranza sciita, fondato nel 2014 per combattere i cartelli del jihad. L'influenza iraniana sarebbe in aumento anche nella regione di Kirkuk, dove la popolazione turcofona dei turkmeni è in maggioranza sciita, mentre le dimissioni di Barzani potrebbero spianare la via a un'ascesa del PUK, che con Tehran ha storicamente buone relazioni. Si potrebbe tuttavia inserire il riavvicinamento tra Turchia e Iraq nel quadro dell'alleanza stretta di recente tra Turchia, Iran e Russia (anche a livello commerciale), che ha consentito ai tre paesi di giocare un ruolo chiave nei negoziati per una soluzione diplomatica del conflitto siriano. Negli ultimi mesi, infatti, anche Iran e Russia hanno firmato importanti accordi commerciali con l'Iraq e Ankara non intende cedere il passo.

Contestualmente, si inaspriscono le relazioni tra Turchia e Stati Uniti: l'instabilità nelle aree del KRG ricche di petrolio ha reso le riserve di Tehran una valida alternativa. Washington ultimamente ha inasprito le sanzioni, mettendo a rischio quello che alcuni analisti definiscono un accordo oil-for-goods, che comporterebbe una cooperazione finanziaria. A New York è ancora in corso il processo contro l'imprenditore turco Reza Zarrab, accusato di aiutare l'Iran a eludere le sanzioni. Intanto, il primo novembre il presidente russo Vladimir Putin è stato in visita ufficiale a Tehran per incontrare il presidente iraniano Hassan Rohani, la Guida suprema della rivoluzione, ayatollah Ali Khamenei e il presidente dell'Azerbaijan Ilham Aliyev. Oggetto di discussione la “cooperazione politica, economica, culturale e umanitaria”, la “lotta contro il crimine e il terrorismo” e soprattutto strade, oleodotti e gasdotti.

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