L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Theatre and cinema (146)

 

 

Riccardo Massaro
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November 09, 2016

“Se la legge non ammette ignoranza, l’ignoranza non ammette la legge” è il titolo dello spettacolo in due atti, diretto da Gisella Gobbi, andato in scena al Teatro Arciliuto di Roma dal 22 Ottobre al 6 Novembre. Irriverente, sarcastico, lo spettacolo mette a nudo l’Italia dei furbi, di quel popolo, come si legge nel comunicato, pavido e approfittatore. Una coppia di attori molto affiatata, Mimmo Mancini e Paolo De Vita, dà vita a due eccentrici e stravaganti personaggi: i fratelli Capitoni.

Carlo e Cosimo Capitoni, pugliesi, ultra cinquantenni, eternamente disoccupati, sono disposti a tutto pur di dare una svolta alla loro precaria esistenza, fino ad arrivare a portare in gIMG 0444iudizio l’Italia intera, gli italiani, isole comprese, e loro stessi, in una fatiscente aula di tribunale, rivelando alla Corte di essere entrati in possesso di un archivio segreto che racchiude tutti i misteri italiani.
Aspettando una sentenza che non arriva, i due fratelli rievocano ricordi lontani, partendo dalla loro infanzia, fino ad essere coinvolti nei primi sbarchi degli albanesi o lottare contro una cartella pazza di Equitalia.
Due uomini in guerra continua per difendere i loro diritti di emarginati e riparare i torti subiti dal loro eterno nemico: “l’assessore”, incarnazione di tutti i mali di uno Stato assente, della mala politica e di tutto ciò che non funziona.

Tante risate al Teatro Arciliuto, provocate dal fare schietto e genuino dei due fratelli e dal dialetto con cui si esprimono. Un lavoro ben riuscito quello concepito da Mimmo Mancini e Paolo De Vita, autori e attori per la televisione, il cinema e la radio, che sotto gli occhi attenti dei presenti cercano un finale adeguato. E la storia finirà nell’unico modo possibile: all’italiana.
Un pubblico partecipe, anche per la struttura del teatro che annulla lo spazio tra palco e platea, segue il dialogo tra i due interpreti che, grazie a un ritmo serrato, riempiono la scena, dove è presente solo una scritta fatiscente che indica “La legge è uguale per tutti”, in un flusso continuo di parole, sketch divertenti e battute mai banali.
Due personaggi paradossali, a tratti rocamboleschi, che ritraggono efficacemente vizi e virtù degli italiani, laddove è possibile riconoscere e ridere amaramente del proprio lato oscuro.

September 29, 2016

Manca poco ormai all’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, in programma dal 13 al 23 ottobre presso l’Auditorium Parco della Musica. Una vetrina di film in anteprima mondiale, internazionale ed europea, tra cinema indipendente, produzioni di genere, opere di autori affermati e di registi emergenti, grandi produzioni, animazione, documentari, visual art. Il ricco programma prevede anche incontri e masterclass aperti al pubblico con i protagonisti del cinema, dell’arte e della cultura, eventi speciali, retrospettive e rassegne per celebrare il cinema del passato e scoprire quello del futuro, mostre e installazioni d’arte e, non ultima, la rassegna dedicata ai bambini e ragazzi nella sezione autonoma, Alice nella Città.

Prestigiosi ospiti di rilievo internazionale sfileranno sul red carpet, tra gli altri: il premio Oscar Roberto Benigni, Meryl Streep, Viggo Mortensen, Andrzei Wajda, Renzo Arbore, Paolo Conte, Bernardo Bertolucci, Jovanotti, Oliver Stone e Tom Hanks, che riceverà il premio alla carriera.

Non è più solo la festa del cinema, ma la Settima Arte dialoga con musica, videoarte, teatro, architettura. Il processo di cambiamento da festival a festa è sempre più marcato ed evidente e pone al centro il pubblico. Come ha precisato il direttore, Antonio Monda, si parlerà di politica, lavoro, diversità, crescita, all’interno delle 40 opere provenienti da 26 Paesi, dall’Argentina all’Australia, dall’Iran alla Mongolia e alla Svizzera. Una manifestazione quindi sempre più internazionale, ma anche mobile e itinerante, che esce dall’Auditorium per coinvolgere diversi luoghi della Capitale: dal Villaggio del Cinema, con una tensostruttura di circa ottocento posti, alle sale in città, dal centro alla periferia, dalle strutture culturali più importanti fino a uno speciale red carpet in via Condotti. Si affronteranno inoltre argomenti legati all’attualità, al momento di cambiamento politico che stiamo vivendo, con una retrospettiva sulla politica americana, in vista anche delle prossime elezioni del presidente degli Stati Uniti, e ancora integrazione e solidarietà alle popolazioni vittime dal terremoto che ha devastato il centro Italia con il progetto IO CI SONO, grazie al quale parte del ricavato di eventi e proiezioni sarà devoluto alle zone colpite dal sisma.

I film italiani presenti nella selezione ufficiale sono: 7 minuti di Michele Placido, l’intenso racconto di una storia vera, accaduta in Francia nel 2012, che vede undici donne di fronte a un’ambigua offerta di rinnovo contratto e in poche ore dovranno decidere il loro destino; l’anteprima di Sole Cuore Amore di Daniele Vicari, una storia di amicizia e solidarietà tra due donne che hanno fatto scelte opposte; Naples '44 scritto e diretto da Francesco Patierno, un documentario narrato da Benedict Cumberbatch che racconta lo sbarco degli americani a Napoli, una potente denuncia sugli orrori della guerra; la commedia Maria per Roma opera prima di Karen Di Porto, un pittoresco affresco della città di Roma, tra miti, incanto, solitudini e immobilità.

Moonlight di Barry Jenkins sarà il film d’apertura, una riflessione intensa e poetica sull’identità, il senso di appartenenza, la famiglia, l’amicizia e l’amore; mentre il primo evento della nuova edizione, lunedì 3 ottobre presso il Cinema Barberini, è l’anteprima di American Pastoral, diretto e interpretato da Ewan McGregor, al suo esordio alla regia, che arriverà a Roma per presentare uno dei film più attesi della stagione cinematografica. Gli “Incontri ravvicinati” con il pubblico vedranno protagonisti personaggi del calibro di Viggo Mortensen Tom Hanks, Meryl Streep, Oliver Stone, David Mamet, Don DeLillo, Daniel Libeskind, Jovanotti.

festival del cinema111Tra le altre opere presenti alla kermesse: Snowden di Oliver Stone; Andrzej Wajda, uno dei grandi maestri del cinema mondiale, torna a dirigere il suo nuovo film, Afterimage (Powidoki), un appassionato biopic dedicato a una figura eroica dell’arte moderna, il pittore d’avanguardia Władysław Strzemiński; Florence Foster Jenkins di Stephen Frears con Meryl Streep; il documentario Into the Inferno di Werner Herzog; The Accountant di Gavin O’ Connor con Ben Affleck e Anna Kendrick; The Birth of A Nation di Nate Parker; Manchester by The Sea di Kenneth Lonergan con Casey Affleck e Michelle Williams; Genius di Michael Grandage con Colin Firth e Jude Law; infine Lion di Garth Davis con Nicole Kidman, chiuderà la manifestazione.

Anche la musica avrà un ruolo di primo piano con Paolo Conte, Jovanotti, Elio e le Storie Tese e Michael Bublè.

Tra gli omaggi: una mostra fotografica di Luigi Comencini; Mario Monicelli, con il restauro de L’armata Brancaleone; Citto Maselli e Gregory Peck, con la presenza dei loro figli alla proiezione di Vacanze romane a Trinità dei Monti.

La Festa del Cinema di Roma, con la direzione artistica di Antonio Monda, è prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma presieduta da Piera Detassis.

  

September 20, 2016

Risale a pochi giorni fa la notizia della morte di don Gabriele Amorth, sacerdote paolino e uno degli esorcisti più famosi al mondo, ed ecco che il 29 Settembre arriva nelle sale Liberami, il film documentario di Federica Di Giacomo che segna il ritorno dell’esorcismo nel mondo contemporaneo. Il nostro mondo.

Vincitore del Premio Orizzonti per il miglior film alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, da un soggetto della stessa Di Giacomo e Andrea Zvetkov Sanguigni, la pellicola vede protagonista Padre Cataldo, 77 anni, un veterano, tra gli esorcisti più ricercati in Sicilia e non solo, famoso per il suo temperamento combattivo e instancabile. Ogni anno sono in aumento le persone che chiamano “possessione” il loro malessere,

 federica di giacomo
 Federica Di Giacomo

in Italia, in Europa e nel mondo. Dal canto suo la Chiesa risponde all’emergenza spirituale nominando un numero sempre crescente di preti esorcisti ed organizzando corsi di formazione. Ogni martedì Gloria, Enrico, Anna e Giulia seguono, insieme a tante altre persone comuni affetti da disagi di varia natura, la messa di liberazione di padre Cataldo e cercano la cura ad un disturbo che non trova altrove risposte né etichette. Da qui una serie di interrogativi: fino a dove ognuno di noi, credente o meno, può spingersi affinché qualcuno riconosca il nostro male? Cosa siamo disposti a fare per essere liberati qui ed ora? La pratica esorcista incontra il quotidiano, dove i contrasti tra antico e contemporaneo, sacro e profano, risultano a tratti inquietanti e a tratti esilaranti. Un film non sulla religione, ma su come la religione può essere vissuta.

Come spiega Federica Di Giacomo: “La domanda fondamentale non è tanto se Satana esista o no, ma piuttosto come sia possibile che la pratica dell’esorcismo diventi un appuntamento settimanale, con aspetti inquietanti, ma integrabile da ognuno, con le proprie strategie, nella vita di tutti i giorni. La possessione e la liberazione raccontati come qualcosa in cui si può entrare e uscire continuamente”.

“Ho scelto di raccontare questa storia – continua la regista – dal punto di vista di chi la vive ogni giorno. I preti che vestono i panni di questo incarico, che non scelgono di essere esorcisti ma vengono nominati dai vescovi e la loro vita si trasforma completamente, assediati giorno e notte. Padre Cataldo è il simbolo di una dedizione assoluta unita ad una spontaneità e schiettezza disarmanti. E i cosiddetti posseduti, che non sono fanatici ipercattolici, ma persone comuni che si avvicinano alla Chiesa in un momento particolarmente difficile della loro vita. La loro esperienza si emancipa, quindi, dall’immaginario horror e acquista un’inedita complessità fatta di dubbi, inciampi, sbagli di interpretazione ma anche di un’inesauribile autoironia”.

La figura dell’esorcista ha sempre avuto attorno un alone di fascino e mistero che ha ispirato libri, film e serie tv. Un fenomeno in continua espansione, un tema inquietante, l’eterna lotta tra bene e male, visto da una prospettiva diversa, originale, scevra da giudizi, un racconto a tratti ironico e paradossale, lontano dagli schemi del cinema horror, che vede l’esorcismo un evento eccezionale, qui diventa una pratica 3quotidiana. Un viaggio fatto di interrogativi, di immagini forti, una lunga osservazione, senza interviste e senza una voce narrante, dove la telecamera segue con discrezione la scorrere della narrazione. Un film che sicuramente aiuta a liberarsi dagli stereotipi ormai entrati a far parte del pensiero comune.

Liberami è una produzione MIR CINEMATOGRAFICA con RAI CINEMA, in coproduzione con OPERA FILMS, con FRANCE 3 VIA STELLA, e il sostegno di SICILIA FILM COMMISSION - PROCIREP ANGOA – CNC. Film riconosciuto di interesse culturale dal MINISTERO dei BENI e DELLE ATTIVITÀ CULTURALI e del TURISMO - DIREZIONE GENERALE CINEM, distribuito da ITALIA I WONDER PICTURES.

August 04, 2016

L’archetipo del gentiluomo coraggioso, che crede negli ideali e per questo combatte, contrapposto al plebeo codardo, facilmente corruttibile, sta nuovamente prendendo forma nelle gesta politiche dei sostenitori del Movimento, che ha l’obiettivo della rinascita d’intenti. Serve ancora compiacersi della propria figura in specchi resi opachi dal tempo per incrociare le armi contro mulini a vento scambiati per giganti e spasimare per sguattere impresentabili, per restituire alla cultura universale la prova della congiunzione tra il mondo delle cose e il mondo dei segni? Mettere a nudo i malfattori, gli imbroglioni, i prestanome con la poesia e l’arte è un impegno encomiabile che solo l’estro di un regista attore come Gennaro Duccilli riesce sempre diplomaticamente a smascherare. Lo abbiamo seguito in varie realizzazioni degne di teatri stabili, se ancora ne esistono, e la vena satirica e ironica tipica, specialmente in questa sua messa in scena, dei romanzi cavallereschi, mira ad evidenziare i mali della società del nostro tempo, che sembrano sulla strada dell’abbandono grazie al nuovo respiro di cambiamento! Sì, è vero, potrebbe sembrare un sogno esaltato e maniaco di avventure e di gloria di un allampanato cavaliereimmerso in una sua perenne insoddisfazione, ma è l’umanità del suo robusto scudiero che lo porta a soppesare il bene ed il male. Regna Filippo III in Spagna e la stagnazione di un secolo di decadenza politica ed economica si respira in ogni luogo, in ogni nucleo familiare. Sequestri territoriali, minacce di bancarotta, mancanza di lavoro, esorbitanti processi inflattivi, i cui effetti vengono amplificati da epidemie e recrudescenze di fenomeni criminali, riportano a situazioni politiche attuali e ben venga quindi, il "Don Chisciotte e Sancio Panza", elaborato da Gennaro Duccilli, tratto dall’opera di Miguel de Cervantes Saavedra.
È Gennaro Duccilli che lo dirige e lo interpreta per il Teatro della Luce e dell’Ombra.

La prima dello spettacolo sarà ad Anzio il 19 agosto 2016 – ore 21,15 – nella splendida e storica cornice di “Villa Adele”, così chiamata fin dal 1° ottobre 1834, in onore della sposa di Francesco Borghese.

July 27, 2016

La speranza, la forza delle donne, la capacità di nascere e rinascere ancora, sono i temi portanti de La vita possibile, il nuovo film di Ivano De Matteo con due straordinarie protagoniste, Margherita Buy e Valeria Golino, per una produzione italo-francese, Rodeo Drive e Barbary Film con Rai Cinema.

Dopo Gli equilibristi e I nostri ragazzi, Ivano De Matteo, attore, regista, documentarista, impegnato tra teatro, cinema e televisione, alla costante ricerca di un linguaggio personale, torna dietro la macchina da presa per raccontare una storia di amore, amicizia, cambiamento, una storia emozionante e coinvolgente sull’Italia di oggi.

Anna (Margherita Buy) e il figlio Valerio (Andrea Pittorino), in fuga da un marito violento, trovano rifugio a Torino in casa di Carla (Valeria Golino), attrice di teatro e amica storica di Anna. I due cercano di adattarsi alla nuova vita e, tra difficoltà e incomprensioni, riusciranno, con l’aiuto di Carla e quello inaspettato di Mathieu (Bruno Todeschini), un ristoratore francese che vive nel quartiere, a trovare la forza per ricominciare. Valerio è un ragazzo fragile, chiuso e pieno di risentimento, per via della figura paterna. Anna sarebbe potuta essere un altro nome che va a riempire le colonne dei giornali, in mezzo alle innumerevoli notizie che raccontano di donne spezzate, vittime dell’inganno di sentimenti malati. Ma un’altra vita esiste, ci sono altre possibilità, c’è una via d’uscita. Ribellarsi non è solo necessario, è doveroso. La possibilità è rappresentata, in questo caso, dall’aiuto di una folle e dolce amica, da un lavoro, da un futuro, e forse da un nuovo amore. Ma soprattutto dalla consapevolezza, dal coraggio e dalla forza necessaria ad affrontare un nuovo inizio.

La vita possibile uscirà nelle sale il 22 settembre 2016.

July 20, 2016

Cinema e ambiente. Un binomio che sta sempre più prendendo piede, anche grazie al coinvolgimento di star internazionali impegnate in prima linea nella tutela dell’ecosistema. Primo fra tutti, il neo premio Oscar Leonardo Di Caprio, da sempre attivo a sostegno dell’ambiente, che ha donato oltre 15 milioni di dollari per la ricerca di soluzioni innovative nei programmi di conservazione del paesaggio terrestre, per la protezione degli animali e per combattere i cambiamenti climatici.

La cultura come strumento di sensibilizzazione sul problema ambientale. Un’importante iniziativa in questo senso è rappresentata da Edison Green Movie: il primo protocollo europeo per il cinema ecosostenibile, rivolto alle case di produzione cinematografiche. Si tratta della prima linea guida per la sostenibilità ambientale del cinema in Europa, nata nel 2011 e finalizzata alla riduzione dell’impatto ambientale ed economico di una produzione cinematografica. All’interno del protocollo vengono indicate le soluzioni migliori per ottimizzare i consumi energetici, i materiali, i mezzi di trasporto, il consumo dei pasti, i rifiuti, le scenografie, i mobili, gli oggetti, l’illuminazione, attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili e pratiche eco-compatibili in tutte le fasi della produzione.
Il set è la riproduzione in miniatura di una città, in cui si compiono le normali azioni quotidiane. Come ha chiarito Fabrizia De Vita, responsabile Progetti speciali di Edison: "Ogni anno in Italia l'industria cinematografica produce circa 5.600 tonnellate di CO2 per i consumi di energia e i trasporti dei set, cui si aggiungono l'uso dei materiali e la gestione dei rifiuti. Grazie al protocollo Edison Green Movie è possibile ridurre di almeno il 20% le emissioni inquinanti dovute alla realizzazione di un film. Se tutte le produzioni in Italia seguissero le indicazioni di Edison Green Movie (in Italia si producono circa 140 film l'anno per un totale stimabile di 5.880 giorni di riprese) si realizzerebbe una riduzione delle emissioni pari ad almeno 1.120 tonnellate di CO2, equivalenti a quelle relative all'illuminazione pubblica annuale di una città di oltre 10.000 abitanti o a 1.120 voli andata e ritorno Roma-Dakar".

Diverse pellicole sono già state realizzate seguendo il protocollo: “Il capitale umano” di Paolo Virzì, primo film realizzato secondo Edison Green Movie; "Il ricco, il povero e il maggiordomo" di Aldo, Giovanni e Giacomo; "Torneranno i prati" di Ermanno Olmi, con un abbattimento del 75% delle emissioni di anidride carbonica e del 77% del costo dell’energia per le riprese.
Edison Green Movie è stato presentato al Giffoni Film Festival, nell’ambito dei due giorni dedicati agli ultimi progetti realizzati dall’azienda.
Negli anni l’iniziativa si è sviluppata in diverse direzioni: partner del Film4Climate, un’iniziativa globale per realizzare un piano concreto teso a mitigare l’impatto ambientale delle produzioni cinematografiche, promuovere e incoraggiare azioni rispetto al tema del cambiamento climatico attraverso il cinema; avvio di un tavolo di lavoro con Italian Film Commissions e l’associazione dei produttori cinematrografici ANICA per la condivisione e la diffusione delle buone pratiche finalizzate alla realizzazione di produzioni green in Italia; spinta all’avvio di un gruppo di lavoro per lo studio di un protocollo che replichi quello fatto sul cinema, rivolto al mondo della musica, per la riduzione dell’impatto ambientale in ambito musicale, Edison Green Music, concretizzato in Edison - Change the music: il primo progetto musicale a emissioni zero.

July 08, 2016

Determinazione, umiltà, coraggio, talento, tenacia, spontaneità. È quanto emerge dall’incontro con l’attore Fabrizio Colica, tra i protagonisti del film d’esordio di Ludovico Di Martino: “Il Nostro Ultimo”. Nato a Roma, classe 1991, Fabrizio ha sempre vissuto nella zona di Ponte Milvio, dove, come lui stesso ha precisato “chi vuol fare l'attore è una pecora nera”. Padre avvocato, frequenta per due anni e mezzo la facoltà di Giurisprudenza. Si accorge però che quella non è la sua strada. Decide così di iscriversi al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove sta frequentando il terzo anno. Recentemente un video caricato sul web, in cui imita Alessandro Di Battista, insieme a Liliana Donna Fiorelli, che imita la neo eletta Sindaca Virginia Raggi, sta avendo moltissime visualizzazioni. (Link al video http://video.espresso.repubblica.it/tutti-i-video/dibba-e-virgy-la-coppia-piu-bella-del-mondo/8806/8898).

“Il Nostro Ultimo”, vincitore come Miglior Film al Ferrara Film Festival e Miglior Attore al Milan International Film Festival, racconta di due fratelli, Fabrizio e Guglielmo, che decidono di esaudire il desiderio espresso dalla madre prima di morire: partire per un’ultima vacanza insieme. Inizia così il viaggio verso la Sicilia, con la bara della madre legata al portapacchi di una vecchia utilitaria, che li porterà a confrontarsi con il

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 Fabrizio Colica

passato e a vedere il futuro con occhi diversi.

Il mestiere dell’attore. Cosa ti ha spinto a scegliere questa strada?

Probabilmente lo sapevo sin da quando ero piccolo. A otto anni mi divertivo a osservare e imitare parenti, amici, compagni di classe e maestre. Addirittura riproducevo le "facce delle macchine": ero convinto che avessero un’espressione e la riproducevo fedelmente, qualsiasi modello, Fiat, Ford, Mercedes, Audi…tutte! Più che qualcosa che mi abbia spinto a fare questo mestiere, ci sono tante cose che mi spingono in continuazione a non farlo: paure, insicurezze, scelte universitarie sbagliate e frustrazione. Sono questi i veri ostacoli che si incontrano e, finora, devo dire, li sto affrontando tutti. È troppo bello questo lavoro per arrendersi così presto.

Come si diventa attori?

Ormai chiunque può diventare attore. Siamo in un periodo che chiamerei Neo-neorealismo. Al cinema vogliamo vedere rappresentata la verità, così com'è. Quindi per rappresentare la verità bisogna osservarla e riprodurla. Le scuole di recitazione possono farti conoscere metodi e tecniche per la riproduzione, ma per l'osservazione nessuno può insegnarci niente. Io spesso, in metro, sorpasso il limite dello stalking! Mi piace osservare le persone, immaginare cosa stiano pensando, cosa mangeranno la sera, che giornata hanno avuto...

Hai dei modelli di riferimento?

Continuando il discorso di prima, non ho modelli di riferimento tra gli attori famosi, bensì tra le persone. Quando leggo un copione o una sceneggiatura, mi ritrovo a figurarmi in testa tipologie di persone che conosco, che starebbero bene in quel ruolo. Ammiro tantissimi professionisti del passato e contemporanei. Tra questi ultimi, uno che mi stupisce sempre è Elio Germano. È un attore generoso, che si catapulta in un ruolo e ci mostra tutte le sfaccettature ogni volta in maniera diversa.

Parliamo del film che ti vede protagonista, “Il Nostro Ultimo” di Ludovico Di Martino. Come hai lavorato sul personaggio?

Il personaggio de “Il Nostro Ultimo” si chiama Fabrizio, come me. Ludovico l'ha scritto proprio su di me perché era sicuro, già prima di scriverlo, che quel ruolo l'avrei interpretato io. Me lo ha cucito addosso e l’estate in cui abbiamo girato, mi sono ritrovato ad affrontare tutte le situazioni che affrontava quel personaggio, non da attore, ma da persona. E quindi le domande che mi facevo erano: "cosa farei io qui?", "come reagirei a questa cosa?". Il personaggio di Fabrizio è Fabrizio Colica che si trova a fare cose che farebbe Ludovico Di Martino.

Il film è definito una commedia noir. Trovi che il noir sia il genere giusto per indagare l’universo dei sentimenti umani?

Effettivamente è un film noir per quanto riguarda l'atmosfera. C'è suspance, amarezza, dubbio. Per quanto riguarda il soggetto, però, ha poco di noir. L'importante (noir o non noir) è che siamo riusciti a indagare su questo universo dei sentimenti.

Nella storia c’è anche un messaggio positivo: a volte le disgrazie ci predispongono alla crescita e ci aiutano a rivalutare determinati valori.

È proprio così. Come diceva un poeta libanese: "Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza". Il personaggio di Fabrizio ha assorbito tutta la sofferenza della madre nella sua malattia, Guglielmo no. Questo rende Fabrizio molto più maturo del fratello, non solo per un fattore anagrafico. Il viaggio con la bara della mamma, fa maturare Guglielmo e alleggerisce Fabrizio dal senso di colpa con un conseguente scambio di valori tra i due.

Quali difficoltà e quali vantaggi ha comportato l’autoproduzione di quest’opera?

Devo dire che, da attore, non ho sentito per niente le difficoltà. Come dico sempre, i veri eroi di questo film, oltre a quelli che ci hanno creduto e hanno investito i soldi, sono gli assistenti, i macchinisti, i runner, quelli che fermavano le macchine sotto il caldo, quelli che ci portavano i cestini sul set e che hanno svolto questi compiti scomodi solamente per amore del set e per un progetto a cui credevano, senza che nessuno lo venisse a sapere e senza un nome in cartellone. Non avere molti soldi è stato anche più entusiasmante per tutti quanti, perché ci rendeva tutti coproduttori e quindi responsabili del risultato finale.

Cosa potrebbero fare le istituzioni per incoraggiare i giovani in questo settore?

Prima di parlare di istituzioni dovremmo parlare di addetti ai lavori e prima ancora di parlare degli addetti ai lavori dovremmo parlare di quelli che aspirano ad esserlo. A Ludovico va riconosciuto, oltre il talento, il coraggio. È stato coraggioso a girare, come opera prima, un lungometraggio che avesse come protagonisti due attori esordienti o, detto papale papale, due sconosciuti. Quello che noto anche al Centro Sperimentale di Cinematografia, che finirò di frequentare a dicembre, è che la maggior parte degli studenti di regia hanno paura di sperimentare. Per i loro corti di diploma o per le loro opere prime puntano sui nomi famosi, senza neanche informarsi se, nella stessa scuola, ci sia uno studente di recitazione talentuoso con cui poter lavorare. Neanche ci vengono a vedere quando facciamo delle prove aperte o gli spettacoli di fine trimestre. Prima di parlare di cosa non funzioni ai piani alti, vorrei capire perché i giovani abbiano paura di sperimentare.

Un cast fatto di attori emergenti e professionisti, che atmosfera si respirava sul set? Vuoi raccontarci qualche aneddoto durante le riprese?

L'atmosfera che si respirava sul set era di profonda responsabilità, ma nello stesso tempo si giocava in continuazione. Ogni reparto era concentrato a dare il meglio di sé nel modo più professionale possibile, in un clima di rispetto e fiducia. Nei momenti di pausa o a fine set sembravamo una classe in gita scolastica. Durante le cene si cantava, si urlava, si scherzava. Gli abitanti dei paesini in cui giravamo erano in subuglio, non solo perché vedevano passare una macchina con una bara, ma anche perché la nostra allegria non passava inosservata. Anche i professionisti che si trovavano a girare una o due giornate con noi rimanevano colpiti dal clima che c'era sul set. In particolare, Giobbe Covatta ci ha mandato un bellissimo messaggio dopo aver girato con noi. Sembrava che fossimo stati noi a dare qualcosa a lui e non il contrario. Anche con Pietro De Silva siamo rimasti in buonissimi rapporti e ogni volta che mi vede, oltre a dirmi che assomiglio a Gigi Proietti, mi ripete quanto si sia divertito a girare insieme a noi.

Progetti futuri?

FB IMG 1467960016029Ho ripreso da poco a scrivere e, insieme a mio fratello, stiamo mettendo su una serie sulla vita di un aspirante attore. L'idea nasceva da momenti di frustrazione in cui io e mio fratello Claudio (anche lui attore e autore) ci trovavamo in camera a lamentarci delle nostre carriere e dei personaggi che si incontrano in questo stravagante ambiente. Questi personaggi sono stati riportati in chiave comica in piccoli episodi che gireremo ad agosto. È la prima volta che "uniamo le forze" seriamente e sono sicuro che usciranno grandi cose.

“Il Nostro Ultimo” sarà proiettato sabato 9 Luglio alle ore 22:30 al Parco degli Acquedotti (ingresso altezza Subaugusta). Sarà presente parte del cast. L'ingresso è gratuito.

May 27, 2016


La vita romanzata di una delle più grandi attrici di tutti i tempi, Adriana Lecouvreur, ha ispirato drammi, opere liriche e cinematografiche. Eugène Scribe nel 1849 le dedicò un dramma, Francesco Cilea nel 1092 un’opera lirica, nel secondo dopoguerra in Italia è stato prodotto un film con Valentina Cortese, Olga Villi e Gabriele Ferzetti. L’epistolario fra Adriana e Maurizio di Sassonia sacrifica il romanzo alla verità storica, ma mostra la sensibilità e l’intelligenza proprie di una grande artista, come lo è stata, in vita, la mitica Adriana.
Adriana Lecouvreur aveva esordito in teatro nel 1706, all’eta di quattordi anni. Una recita di adolescenti che, per aver adottato un testo di Corneille (Poliuto), si era vista attirata su di sé la reazione della società del teatro francese, gelosa custode delle tragedie di Racine. A quella contrastata recita aveva assistito Le Grand, un attore famoso ai suoi tempi. Questi, divinando il talento della piccola, aveva voluto curarne la formazione artistica e le suggerì il nome d’arte. Adrienne Couvreur divenne Adrienne Lecouvreur.
Dopo due anni di studio e otto di provincia, Adrienne tornò a Parigi preceduta da una reputazione ottima come artista e cattiva come donna: a Lilla, all’età di sedici anni aveva avuto il primo amante, a Lunéville la prima figlia da un ufficiale del duca di Lorena, a Strasburgo la seconda da un nobile alsaziano. la storia d’amore con Maurizio di Sassonia, entrata nella letteratura mondiale, si svolse nella lussuosa dimora parigina di rue des Marais, dove Adriana si era definitivamente trasferita.


Adriana Lecouvreur aveva conosciuto Maurizio di Sassonia nel salotto della marchesa di Lambert, l'indomani di una recita della Fedra di Racine. Affascinato dalla rappresentazione, Maurizio di Sassonia aveva voluto conoscerne la protagonista e l'attrice rimase a sua volta affascinata da quel giovane capitano dalla vita avventurosa che, all’età di 24 anni, aveva già condotto undici campagne di guerra.
Maurizio di Sassonia era figlio naturale di un re. Sua madre, la bellissima principessa svedese Aurora di Koenigsmark, lo aveva avuto da Augusto II, elettore di Sassonia. Lo aveva fatto riconoscere dal re e si adoperava fra gli stati del nord allo scopo di ottenere i voti della Dieta per la successione al trono. Quando Maurizio si dichiarò, Adriana impose un’attesa a lui e a se stessa (“Io sono più vostra, mio caro conte, - ella infatti scrive - di quanto lo sarebbe un'altra che lo fosse di più. Voi siete abituato ad ottenere delle vittorie rapide e complete per non essere contenta di prepararvi un trionfo differente che può solleticarvi per la sua singolarità"). Un’attesa non troppo lunga: tre mesi dopo l’attrice capitolava: “voglio farvi conoscere quello che ha potuto mancarvi e quanto i sentimenti siano ancora superiori ai piaceri ordinari. Venite, voi m'incanterete, anche senza profferir motto".
La loro unione fu felice per tre anni, poi si mise di mezzo la politica. Il conte di Sassonia partì per la Polonia con il miraggio della reggenza degli stati baltici, fino allora retti dal Gran Maestro dei Cavalieri Teutonici, morto in quell'anno senza lasciare eredi. I negoziati che egli intraprese si trascinarono nel tempo. Le lettere di quel periodo riflettono la reciproca gelosia dei due amanti. Scrive Adriana: "lo ve ne supplico, provatemi che pensate a me, non siate ga1ante, non vi mostrate, non piacete, ve ne supplico in ginocchio"; e in risposta ai timori di Maurizio, geloso a distanza di tutti gli spettatori della Comedie: "io non esco dalla mia camera, non vado a cena con nessuno. Temo di amarvi troppo. Questa non è la maniera più sicura per piacere?".
Due anni trascorrono nelle vicende baltiche. "Io invecchio, constata l'attrice, ma è per voi. Potrei trovare una scusa più felice?: è nell’aspettarvi". Contro il volere di Russi e Polacchi, il conte di Sassonia ottiene dalla Dieta l’investitura ufficiale per i Paesi Baltici. Adriana pensa seriamente di interrompere la sua carriera, di abbandonare tutto per raggiungerlo. Russi. Polacchi, nel mentre, scontenti della scelta della Dieta, minacciano di invadere il ducato e fanno mancare le finanze al neoeletto principe per sostenere la guerra. Adriana vende i suoi diamanti, i suoi cavalli, la sua argenteria e invia quarantamila libbre a Maurizio, che risponde: “vi sono obbligato per il sacrificio che avete sostenuto. Ciò mi persuade che voi vi preoccupate esclusivamente di me e del mio destino. Ve ne ringrazio e vi assicuro che la mia fortuna non sarà mai tanto cattiva da non poterla dividere con voi".
Ma la catastrofe si avvicina: le truppe russe sono entrate in Estonia; anche i Polacchi sono apparsi sulla frontiera. I nuovi sudditi di Maurizio non fanno resistenza, il principe resta solo con la sua guardia del corpo. Adriana, lo scongiura di abbandonare: dal momento che i sudditi per primi hanno mancato, può ritirarsi senza vergogna. Cosa potrebbe trovare, se non la morte, in quella disperata resistenza?
La risposta è angosciante: "Domani farò una sortita e passerò attraverso gli avversari. ...Addio, amatemi. Se io perirò voi perderete qualcuno che vi ha molto sinceramente amato".
Si sa come Maurizio di Sassonia abbia attraversato l’Europa aggrappato alla criniera del suo cavallo, passando a nuoto o a guado i corsi d’acqua, portando con sé solo una cassetta contenente l’attestato della sua elezione e le lettere di Adriana.
La lotta condotta da un solo uomo contro una coalizione internazionale impressionò il mondo e sedusse le donne; tutte volevano amare l'eroe. Adriana Lecouvreur, ormai trentacinquenne, ebbe allora mille rivali, ma tutte passeggere. Maurizio ritornava a lei dopo ogni infedeltà come ad una sposa legittima. L'attrice riconosceva l'inutilità dei rimproveri, confessando di non essere portata "né alla gelosia, né alle scene violente".
Eppure questa creatura che si reputava "debole e delicata" doveva svegliarsi con una fiammata terribile: quando una donna minacciò di prenderle il posto nel cuore di Maurizio. La Parigi pettegola di quel tempo le aveva fatto conoscere in breve tempo il suo nome: era la bellissima Francesca di Guisa, moglie del vecchio duca di Bouillon. Ma, incapace di spezzare con Maurizio, Adriana sembrava accettare la divisione degli affetti con la giovane duchessa. La cenere, però, restava calda. Nel corso di una rappresentazione della "Fedra", nella scena in cui la protagonista rivolgendosi alla confidente pronuncia l’apostrofe alle donne ardite, l'attrice cerca nel teatro la duchessa Bouillon e le lancia, indicandola col dito, la terribile apostrofe di Racine: "Conosco le mie perfidie ed io non sono di quelle donne ardite, le quali, godendo la tranquillità nel peccato, hanno saputo farsi una fronte che non arrossisce mai".


Lo scandalo fu enorme. L'indomani la duchessa esigeva ed otteneva che la compagnia di Molière, nella persona del suo decano, andasse a presentarle le sue scuse. Anche il conte di Sassonia, cessando di colpo le sue visite sembrava avere disapprovato Adriana. Sono di questo periodo tre significativi biglietti di Adriana: "O voi volete troncare, o voi contate infinitamente sulla mia debolezza e sulla mia predilezione per voi. Io ho il tempo di riflettere e di prepararmi agli avvenimenti più tristi. Ma non sforzatevi affatto. Io non posso soffrire di essere ingannata e se voi avete l'intenzione di lasciarmi ... Io non posso più continuare, il mio cuore smentisce la mia mano e la mia penna". "Io vi scrivo nel mezzo della notte poiché da quando siete lontano, io non mangio, né dormo. Così voi mi troverete assai magra ed anche molto malata, se voi non tornerete. Quale piacere trovate a rendermi infelice, quando voi potreste fare la mia felicità? Io non voglio affatto riempirvi di lamentele, vorrei molto rianimare la vostra tenerezza e non suscitare la vostra pietà. Ma forse avviene che il vostro animo non sia più suscettibile di alcun sentimento per me. Finite dunque di illudermi, per me è indifferente morire o vivere ancora nello stato in cui sono”.


Quando Adriana scrisse il terzo biglietto il dolore aveva prodotto i suoi effetti: Adriana è caduta malata: "Vorrei di tutto cuore essere nell'agonia per il piacere di farvelo sapere. Non posso per ora che annunciarvi che ho un po' di febbre, poiché non saprei mentirvi. Poiché non mangio e non dormo e poiché mi addoloro quanto è umanamente possibile, è da ritenere che vi arriverò. Secondo quanto pensiamo l'uno dell'altro presentemente, è verosimile che saremmo assai contenti se ci sbarazzassimo, voi di me, io della vita. Sono d'accordo con voi che sia una cosa difficile e che le donne durano fatica a morire. Ma ciò che posso promettervi è che farò del mio meglio e con tutto il cuore”.
Adriana Lecouvreur, infatti, non visse a lungo; un mese dopo dalla stesura di questo messaggio, a tre giorni di distanza da una rappresentazione in cui aveva offerto una misura di tutta la sua arte interpretando “l'Ortensia” di La Fontaine e "l'Edipo" di Voltaire, l'attrice si spegneva, fra le braccia delle sue due figlie e di Voltaire, che era suo grande amico dal tempo dei primi trionfi parigini.
La Chiesa colpiva con scomunica gli artisti di quell'epoca e, senza un'abiura prima della morte, negava loro la sepoltura con il rito ecclesiastico. Poteva rinnegare il teatro Adriana Lecouvreur? Il teatro era Adriana stessa, un atto di abiura equiva1eva a un misconoscimento di se stessa.
Il titolare della parrocchia di Saint-Sulpice, padre Languet de Gergy, si rifiutò di lasciare entrare il corpo nella chiesa. Invano gli fu riferito che il testamento della defunta cominciava con le parole: "In nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo"; replicò che Adriana non aveva voluto fare alcun atto di pentimento per gli scandali della sua professione. Poi, nottetempo, la polizia notturna fece irruzione nella camera mortuaria. "Per ordine del Luogotenente di Polizia - disse l’ufficiale - noi veniamo a prendere la salma di mademoiselle Lecouvreur". Strappato alle figlie, avvolto in un drappo e portato come un fagotto, il corpo è gettato in un carro. Dove fu portato? Voltaire e Maurizio di Sassonia, partirono alla ricerca. Domandando a destra e a sinistra arrivarono all’altezza di un cantiere sito al civico 115 di rue de Grenelle. Lì uno sconosciuto affermava di aver visto gettare un fardello bianco. Il corpo di Adriana Lecouvreur, di colei che era stata la grazia, la sensibilità, l'intelligenza, era stato gettato nella calce viva.
Perché si era voluto far scomparire e annientare il corpo dell'attrice? La gente a Parigi non vide chiaro nella faccenda. E una voce corse ben presto, insinuando lo stesso sospetto in tutte le menti: la vendicativa duchessa non avrebbe soppresso la rivale?
L’attrice non sarebbe morta avvelenata? E venne fuori la chiacchiera di un frate che pretendeva di essere stato incaricato da uno scudiero di casa Bouillon di offrire all'attrice certe pastiglie. "Mademoiselle Lecouvreur è morta fra le mie braccia, risponde Voltaire. Tutto ciò che si dice sul suo avvelenamento sono voci di popolo senza alcun fondamento". Non importa: la gente è persuasa del contrario. Adriana Lecouvreur entra nella leggenda. Scrittori e poeti s’ispireranno alla sua persona e ne fisseranno lo storia per l'eternità.

May 15, 2016

Seppure odiata per il frastuono, l’inquinamento, la caoticità, la spersonalizzazione, alle volte si finisce per amare la grande città per i suoi fermenti culturali, la vasta gamma di forme di intrattenimento, i mille colori che offre. Nel cuore di Roma, nel quartiere che forse più degli altri rappresenta queste belle note musicali, Trastevere, è possibile ancora respirare quell’arte che ha reso noi italiani famosi nel mondo, e dove gli artisti, quelli veri, si danno appuntamento per vivere quell’aria magica che avvolge il quartiere. Al teatro Agorà di via della Penitenza, appena dietro il carcere di Regina Coeli, storico carcere trasteverino, è andato in scena il monologo:“Conosco l'amore solo per sentito dire”, scritto e diretto da Rita Gianini e interpretato da Manuela Di Salvia.

Un’ora è mezzo di spettacolo che la bravura dell’attrice e la maestria artistica di Rita Gianini ha fatto volare in un attimo. Parla di una donna che non riesce più ad avere consapevolezza del suo corpo, della sua immagine. E' solo un involucro che contiene cibo. Non si guarda. Non si vede. Ma si racconta. E racconta. Racconta tanto. Dei suoi genitori, della sua infanzia, di quegli amori vissuti e soprattutto non vissuti. Il suo specchio è semplicemente un water. Il suo sguardo è quello degli altri: il pubblico. Anoressica, bulimica, logorroica, affamata - più di amore che di cibo - racconta la sua vita attraverso la compulsione della parola e del gesto, chiusa in un bagno. La sua è una vita ironicamente votata all'autodistruzione, anestetizzata dal vomito. Ma non ci sono giudizi. Chi decide che quello che fa sia giusto o sbagliato? Ognuno ha diritto a essere quello che vuole essere. Anche a essere infelice nella propria incapacità di amare. Parole gettate, vomitate in un water. Conosco l'amore solo per sentito dire, ovvero un ironico - tragico - divertente monologo affamato d'amore. Arte vera, da non perdere.

May 14, 2016

E’ partita l’11 Maggio 2016 la nuova edizione di uno dei più importanti e prestigiosi eventi cinematografici internazionali: il Festival di Cannes, sotto la direzione artistica di Thierry Frémaux. Le migliori pellicole d’autore e un red carpet affollato di divi del grande schermo, tra cui Jessica Chastain, Susan Sarandon, Lily Donaldson, Julianne Moore, Eva Longoria, Julia Roberts, George Clooney, Steven Spielberg e Jodie Foster, questo e molto altro rende la kermesse uno degli appuntamenti più attesi e mondani dell’anno.

In programma, dall’11 al 22 maggio, 21 film provenienti da 14 Paesi.

L’apertura della Croisette, tra imponenti misure di sicurezza, è stata inaugurata dalla commedia malinconica e romantica, Café Society, che segna un ritorno al passato del suo regista, Woody Allen, presente insieme alle protagoniste Kristen Stewart e Blake Lively. Primo film in Concorso è Sieranevada di Cristi Puiu, mentre Fuori Concorso troviamo alcuni grandi nomi: il Premio Oscar Steven Spielberg, con il film per ragazzi GGG – Il Grande Gigante Gentile; Jodie Foster in veste di regista della pellicola Money Monster; Jim Jarmusch alle prese con un documentario sulla rockstar Iggy Pop e in concorso con il film Paterson. E ancora: Alejandro Jodorowsky con Poesìa sin fin; Paul Vecchiali con Le cancro; il coreano Park Chan-Wook presenta Agassi; Jeff Nichols arriva con il suo Loving; il rumeno Cristian Mungiu presente con Bacalaureat; il ritorno del regista britannico Ken Loach con I, Damien Blake, un intenso film/denuncia sulla poetica disperazione degli ultimi, degli invisibili, schiacciati dall’iniquo e paradossale sistema previdenziale del loro Paese; e l’attesissimo e favorito film di Pedro Almodovar, Julieta. Per l’Italia troviamo il noir di Stefano Mordini, Pericle il nero, unico film italiano presente nella selezione ufficiale dedicata alle nuove tendenze contemporanee, Un Certain Regard, tratto dal romanzo cult di Giuseppe Farrandino, con Riccardo Scamarcio e prodotto da Valeria Golino, presente tra i membri della giuria, presieduta da George Miller, regista di Mad Max. Altri film italiani sono presenti nelle sezioni collaterali: la produzione italo-greca L’ultima spiaggia dei registi Davide Del Degan e Thanos Anastopoulos, che racconta i cambiamenti di una piccola città stravolta dall’arrivo dei migranti; nella Quinzaine dei Realisaterus, Fai bei sogni di Marco Bellocchio, ispirata all’omonimo best seller di Gramellini, con Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo; La Pazza Gioia di Paolo Virzì con protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti; Fiore di Claudio Giovannesi con Valerio Mastandrea e Daphne Scoccia; nella Semaine de la critique troviamo I Tempi felici verranno presto di Alessandro Comodin. In pole position per la critica, i fratelli Dardenne con La fille inconnue, il canadese Xavier Dolan con Juste la fin du monde, e Olivier Assyas con Personal Shopper, anche questo interpretato da Kristen Stewart. Infine, il lungometraggio The Last Face, diretto da Sean Penn, presentato in anteprima a Cannes, con protagonisti Charlize Theron e Javier Bardem. Il 16 maggio arriva in Costa azzurra un ospite speciale: Robert De Niro, che accompagna la proiezione del suo ultimo lavoro, Hands of Stone. Susan Sarandon e Geena Davis, indimenticabili protagoniste di Thelma & Louise di Ridley Scott, oltre ad essere entrambe due attiviste impegnate su più fronti per la tutela dei diritti delle donne, riceveranno il Women in Motion Award 2016 della Kering Foundation, arricchito quest’anno da dibattiti e incontri a tema.

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