L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Cultural Events (216)

    Marzia Carocci

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La mano dell'Angelo punta alla luce che entra dalla finestra, il bel volto rivolto dalla parte opposta, il corpo avvitato in una piroetta d'atterraggio, enfatizzata dal vorticoso moto delle vesti. L'impeto improvviso, sconvolge la quiete della Vergine, che si ritrae istintivamente, tutti i muscoli contratti, il battito del cuore sospeso dal colpo dello spavento. La seggiola, urtata dall'improvviso ritrarsi, è in precario equilibrio. Così Francesco Mochi descrive l’Annunciazione tra il 1603 e 1608. Concepita per il Duomo di Orvieto, insieme agli Apostoli, faceva parte della decorazione barocca, violentemente rimossa, quando la moda purista ha voluto riportare ad un finto, perché ricostruito quasi dal nulla, aspetto medievale, la cattedrale.

Solo pochi anni fa le sculture, bistrattate dalle rimozioni del 1897 dal Duomo e del 1989, da Palazzo Soliano, seguita, quest'ultima, dal nascondimento, hanno ritrovato dignità, nel suggestivo allestimento nella ex chiesa di S. Agostino, parte del complesso espositivo del Museo dell'Opera del Duomo, nel 2006. Allestimento suggestivo dell'effetto luce per l'Annunciazione e del candore delle pareti per le statue degli Apostoli, ma lo spazio è forse un po' ristretto, rispetto all'originario, tanto da aver "impedito" il trasferimento anche delle basi delle sculture.
Francesco Mochi è uno degli scultori più importanti del Seicento, sua la Veronica, nella nicchia di uno dei pilastri della cupola di San Pietro in Vaticano. Tra gli altri autori delle statue degli Apostoli, realizzate tra il XV e XVIII secolo, Raffaello da Montelupo, Francesco Mosca, Ippolito Scalza, Giambologna.
Dagli anni Ottanta del Novecento, si pensa di far tornare al loro posto le statue barocche.
Il convegno tenutosi in "campo neutrale" ai Musei Vaticani, ha fatto il punto della situazione.

In apertura, con un nostalgico e felice colpo di scena, Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, ha presentato il documentario del 1996, parte del ciclo «L'arte negata», che riportava l'opinione, favorevole al rientro, dello storico dell'arte, Federico Zeri.
Alla presenza dei rappresentanti delle autorità coinvolte nella decisione: Diocesi, Opera del Duomo, Ministero dei Beni Culturali e Turismo, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, Università, sono state presentate le relazioni.
Tra queste, quella di Giuseppe M. Della Fina ha ripercorso la posizione di Cesare Brandi, storico dell'arte, padre della teoria del restauro; Gisella Capponi ha, invece, illustrato le distruzioni e la a-storicità del restauro purista, ma anche le incongruenze del riallestimento, che produrrebbe sostanzialmente un altro falso storico e pesante manomissione, anche se la buona conservazione delle basi delle statue e il "costo ridotto", sono punti a favore.
Ai posteri, molto probabilmente molto prossimi, l'ardua sentenza.

Una Venezia soleggiata e primaverile accoglie ancora una volta le opere di Sigmar Polke (1941-2010), questa volta nella prima retrospettiva italiana negli spazi affascinanti di Palazzo Grassi, nella città dove fu premiato con il Leone d'Oro alla Biennale nel 1986; quest'anno infatti ricorre il trentesimo anniversario della sua partecipazione all'evento internazionale, mentre segna il 75esimo anniversario della sua nascita.
L'esposizione che gli viene dedicata comprende opere provenienti dalla Collezione Pinault e altre da importanti collezioni private e pubbliche, e ripercorre l'intera carriera dell'artista dagli anni Sessanta agli anni Duemila offrendo al fruitore ogni tecnica utilizzata dall'autore, tra le quali installazioni e film.

Sigmar Polke, figura artistica fondamentale degli ultimi cinquant’anni, ha profondamente rinnovato il linguaggio pittorico della fine del XX secolo. Il suo incessante desiderio di sperimentazione riguarda tanto le immagini – delle quali mette in discussione la gerarchia e analizza la manifestazione – quanto il supporto, coinvolto al punto di essere pienamente costitutivo della composizione e, ancora, i colori di cui insegue le potenzialità sia fisiche sia plastiche. Il suo approccio si sviluppa attraverso media differenti: la pittura e il disegno naturalmente, ma anche la fotografia, la fotocopia, il film, l’installazione, che all’interno della sua opera si incrociano e arricchiscono vicendevolmente. La sua pratica si colloca in una prospettiva di rivitalizzazione del potere sovversivo dell’arte e si fonda tanto sulla destabilizzazione dei meccanismi di percezione quanto sul rivolgimento dei generi e delle categorie.
In occasione della Biennale del 1986, Sigmar Polke ha ideato un’installazione straordinaria per il Padiglione tedesco, intitolata Athanor. Dall’opera che associava pittura figurativa o astratta e installazione, partendo dai colori termosensibili applicati direttamente sui muri di pietra di quarzo e meteorite, emergevano fondamentalmente due tematiche, l’alchimia e la politica, individuate oggi come assi portanti dell’esposizione di Palazzo Grassi. Tuttavia, per rispettare lo spirito dell’artista profondamente refrattario a ogni sistematizzazione e a ogni regola prestabilita, il percorso si emancipa regolarmente da questo schema, derogando tanto alla tematica quanto alla cronologia.

L’esposizione inizia presentando per la prima volta nel patio centrale di Palazzo Grassi Axial Age (2005-2007), ciclo monumentale di sette dipinti (fra cui un trittico) esposto nel Padiglione centrale della Biennale nel 2007. Questo capolavoro affascinante, vero e proprio testamento artistico di Polke, evoca l’intreccio originale tra visibile e invisibile e le differenze tra pensiero e percezione, facendo sempre riferimento alla teoria di Karl Jaspers sull’età assiale.
La mostra si sviluppa poi sui due livelli del palazzo secondo un percorso cronologico a ritroso, dalla fine degli anni 2000 all’inizio degli anni sessanta, disseminato di cicli eccezionali come Strahlen Sehen (2007), serie di cinque dipinti sulla visione e i suoi ostacoli, Hermes Trismegistos (1995), magistrale evocazione in quattro parti del fondatore dell’alchimia, Magische Quadrate (1992), sette variazioni madreperlate sui quadrati magici e sui pianeti, Laterna Magica (1988-1992), composto da sei pannelli dipinti sul recto e sul verso in cui il quadro si fa vetrata o Negativwerte (1982), tre dipinti di un viola intenso e tossico. Queste opere permettono di cogliere per intero l’ambizione della pratica di Sigmar Polke sulla tematica dell’alchimia delle forme e dei colori a partire dall’inizio degli anni ottanta.
Il suo gusto per la sperimentazione della materia pittorica si manifesta anche nei piccoli formati con la serie dei Farbprobe, summa di tutte le possibilità in termini di mescolanza di materiali eterogenei, così come emerge il suo piacere nel giocare con le immagini secondo modalità diverse: manipolandole con la fotocopiatrice (Für den Dritten Stand bleiben nur noch die Krümel, 1997), sovrapponendole come nelle trasparenze di Picabia (Alice im Wunderland, 1972) o frammentandole grazie all’ingrandimento della trama fotografica (Man füttert die Hühner, 2005). Un piacere del gioco che, nell’artista, è sempre sinonimo di umorismo e leggerezza.
951820FF A35B 4EA2 930D AFDAE63417C7Insieme a queste opere aperte su ciò che si trova oltre le apparenze, dove figurazione e astrazione si confondono, l’artista, fedele all’approccio critico nei confronti della società contemporanea adottato fin dagli esordi, continua a realizzare dipinti dalla forte connotazione storico-politica. Il percorso espositivo ne riunisce alcuni fra i più rappresentativi, come Polizeischwein (1986), e Amerikanisch-Mexikanische Grenze (1984), incentrati rispettivamente sulle forze dell’ordine e sulle frontiere ed entrambi presenti alla Biennale del 1986, ma anche come Hochstand (1984) sui campi di concentramento e Schiesskebab (1994) sulle guerre fratricide della ex Jugoslavia... Alcune opere aventi per soggetto la Rivoluzione francese, come Jeux d’enfants (1988) o Message de Marie-Antoinette à la Conciergerie (1989), evocano il rapporto di Sigmar Polke con la Storia.

Gli anni settanta sono rappresentati da un’importante selezione di lavori che illustrano sia la frenesia iconoclasta di Polke in questo periodo – come Cameleonardo da Willich (1979) con la sua sovrapposizione di caricatura e fumetto – sia la sua volontà di sperimentare tecniche pittoriche a 360 gradi: ne sono un esempio Untitled (1970-1971) e la sua fioritura cromatica o Indianer mit Adler (1975), con i dipinti metallizzati realizzati con la vernice spray e l’utilizzo delle sostanze psicotrope più diverse cui rimandano i funghi di Alice im Wunderland, 1972.
Al termine del percorso espositivo, infine, gli anni sessanta fanno luce sulla genesi di quest’arte fuori del comune. In Telepathische Sitzung II (William Blake - Sigmar Polke, 1968) emerge l’interesse per i fenomeni paranormali già manifestato dall’artista, mentre la celebre Kartoffelhaus (1967/1990), un capanno da giardino costellato di patate, attesta in particolare il suo gusto per l’assurdo e i suoi legami con Fluxus. La sua attenzione si focalizza sulla pittura con la messa a nudo dei meccanismi dell’immagine fotografica nei dipinti basati sulla trama di quest’ultima, Interieur (1966) o Vase II (1965), gli ammiccamenti all’estetica del kitsch, con Reiherbild I (1968), o alle manie della modernità con Bohnen (1965) e Schrank (1963). Polke assimila anche la questione del supporto del dipinto attraverso l’utilizzo di tessuti stampati i cui motivi decorativi dialogano con il soggetto dipinto, come in Das Palmen-Bild (1964) o Lampionblumen, 1966.
A complemento dell’esposizione saranno presentati i Venice Films (1983-1986) e alcune serie di fotografie. Al Teatrino di Palazzo Grassi sarà inoltre proiettata in autunno una selezione dei film più significativi dell’artista.

La mostra, che resterà aperta fino al 6 novembre 2016, è stata ideata da Elena Geuna, curatrice indipendente e consulente d'arte contemporanea e Guy Tosatto, direttore del Musèe de Grenoble, in collaborazione con The Estate of Sigmar Polke e ruota intorno a due grandi temi: l'alchimia e la politica.

SIGMAR POLKE
Palazzo Grassi
Campo San Samuele 3231 - Venezia
17 aprile 2016 - 6 novembre 2016

Nella splendida cornice del Salone di Raffaello nella Pinacoteca Vaticana, il Prof Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed il Col. Christoph Graf, Comandate della Guardia Svizzera Pontificia, hanno presentato THE LIFE OF A SWISS GUARD mostra fotografica allestita presso il Cortile delle Corazze dei Musei Vaticani,dedicata all’illustre corpo della Guardia Svizzera Pontificia al servizio del Santo Padre da oltre 500 anni.

In questa speciale occasione, il Corpo armato, viene presentato attraverso ottantasei scatti in bianco/nero e colore realizzati dal fotografo Fabio Mantegna e l’esposizione di divise ed oggetti che documentano la sua lunga storia.

“ Non potevano che essere i Musei Vaticani ad ospitare una mostra che presenti il glorioso Corpo della Guardia Svizzera Pontificia” afferma il Prof Antonio Paolucci,”gli scatti artistici di Fabio Mantegna che raccontano una storia nobile e antica, ma anche la bella giovinezza di un gruppo di ragazzi al servizio del Papa di Roma, orgogliosi e onorati del ruolo che rappresentano e del servizio al quale sono chiamati: il senso del dovere e l’umanità d’accenti si mescolano ai sogni, all’entusiasmo e alla speranza che hanno tutti i ragazzi del mondo a vent’anni”

“ Essere Guardia Svizzera è una vocazione” dichiara il Col. Christoph Graf, “ occorrono fede e profonda convinzione per svolgere questo impegno straordinario e nobile. Giorno e notte siamo vicini al Santo Padre e cerchiamo, attraverso il nostro servizio, di garantirgli la tranquillità e la sicurezza di cui ha bisogno per svolgere il suo ministero di Successore di Pietro”

Si può ben comprendere quanto sopra dichiarato evocando il terribile Maggio 1527, il Sacco di Roma, quando quattordicimila lanzichenecchi, in buona parte luterani, guidati da Georg von Frundsberg, diedero l’assalto ai Palazzi Apostolici. A difenderli vi erano centoquarantasette soldati svizzeri. Fu uno scontro feroce, all’arma bianca, al termine del quale tutti gli svizzeri del Papa risultarono morti. Fra gli altri anche il capitano Kaspar Roist che si era immolato con i suoi soldati per permettere a Papa Clemente VII di ritirarsi, nell’inespugnabile Castel Sant’Angelo.

La ricca mostra, realizzata grazie alla generosa disponibilità del Capitolo della California dei Patrons of the Arts dei Musei Vaticani e curata da Romina Cometti dell’Ufficio Patrons of Arts diretto da P. Mark Haydu, offrirà per la prima volta una rara visione dell’affascinante storia della Guardia Svizzera.

Il catalogo fotografico ,realizzato grazie ai Patrons Of The Arts della California, viene pubblicato in un’unica edizione in tre lingue, inglese, italiano e tedesco.

L’esposizione rimarrà aperta al pubblico fino al 12 Giugno del 2016 e sarà accessibile gratuitamente essendo compresa nel percorso ordinario di visita secondo i consueti orari di apertura e chiusura dei Musei Vaticani (www.museivaticani.va)

Fino al 31 marzo è possibile visitare a Roma, presso i locali della Vertecchi in via Pietro da Cortona n. 18, la prima mostra della giovane pittrice Alice Fois. Abbiamo ora l’occasione di rivolgerle alcune domande sulle sue tele e sull’arte in genere.

D. Come e quando è nata la passione per la pittura e in che modo è diventata così preponderante nella tua vita?

É una passione che ho fin dalla primissima infanzia. Da sempre infatti il disegno, e in seguito la pittura, sono stati fra i miei principali interessi. Fin da bambina passavo quasi tutto il mio tempo con la matita in mano ritraendo quasi esclusivamente animali. Una passione che é sempre stata più di un hobby, una che non ho mai abbandonato e che si é sviluppata, e perfezionata, con il passare degli anni.

D. Come mai la passione per i cani come soggetti dei tuoi quadri?

Il mio amore per gli animali é sempre stato a tutti molto evidente, ma i cani occupano nelle nostre vite un ruolo talmente importante, tale é l’affetto che si nutre nei loro confronti, da essere sempre stati tra i miei soggetti prediletti. Questo amore é ovviamente esploso nel momento in cui ho preso il mio, ed unicamente mio, primo cane, tre anni fa. L’idea di ritrarre su commissione i nostri amici a quattro zampe é nata per caso, al parco. In poco tempo si é sparsa la voce e in tanti volevano un quadro del proprio animale perché non era un semplice ritratto ma una parte di cuore su tela.

D. Cosa ti piace di più nella pittura, il momento creativo, la fase della creazione o la progettualità dell’opera?

Il momento che preferisco é quello appena prima di cominciare il dipinto, quando ricevo le foto dell’animale da image1ritrarre, ne immagino il carattere, l’indole, osservo nel dettaglio l’espressione degli occhi. Mi hanno detto spesso che riesco a catturare l’anima del cane, del gatto o del cavallo in questione, e questo credo sia dovuto a quella prima importantissima fase di ogni mio lavoro.

D. L’ispirazione è sempre un momento emozionante per l’artista, a te cosa suscita e come avviene?

Ci sono delle mattine in cui veramente non vedo l’ora di mettermi a dipingere, per provare una nuova tecnica o cominciare un cane che mi piace particolarmente o realizzare una richiesta diversa dal solito. In ogni caso da sempre la mia ispirazione sono quegli sguardi muti, che senza l’uso della parola sono in grado di mostrare delle emozioni che veramente sorprendono.

D. Nonostante la giovane età, hai fatto della pittura la tua professione. Prossimi progetti dopo questa prima esposizione? Hai contatti con pittori di altri paesi per uno scambio culturale?

Essendo un’autodidatta e quindi non avendo frequentato ambienti dediti alla pittura, sono del tutto nuova al mondo dell’arte e degli artisti. In occasione della mia prima mostra ho però avuto modo di conoscere tanti pittori, ma per ora non prevedo scambi culturali. I commenti positivi e l’entusiasmo per le mie opere hanno superato le mie aspettative, spero quindi di avere presto la possibilità di esporre ancora.

Come è difficile riconoscere l’antica Roma nelle rovine del Foro Romano, del Palatino, dei Fori Imperiali.

Come è difficile ricostruire con l’immaginazione i grandiosi edifici, seppure a partire dalle poderose e imponenti murature che ne restano.

Come è difficile capire che Roma antica non si limitava a questo cuore congelato nel tempo, ma vive sotto le trafficate strade di oggi, sotto le chiese e le case.

La Roma antica come la vediamo ora nel Foro, non è mai esistita, è una creazione degli scavi del XIX e del XX secolo.

Nel 1900 viene distrutta la chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro e riemerge la chiesa di Santa Maria Antiqua, identificata dall’archeologo Giacomo Boni. Oggi considerata raro tassello medievale nel cuore antico della città, in realtà, testimonianza della continuità della storia millenaria della capitale.

Con l’imperatore Costantino arrivano la libertà di culto per i cristiani e le prime basiliche, dislocate lungo le vie consolari o, comunque, lontano dal polo politico-religioso pagano. Tanto che il cristianesimo, una volta affermato, creerà la basilica di Santa Maria Maggiore che, insieme ad altre limitrofe, sarà d’appoggio alla basilica di San Giovanni in Laterano per la creazione di un nuovo e alternativo polo religioso.

Nel VI secolo la trasformazione di alcuni dei templi pagani del Foro in chiese, è, per il cristianesimo, un avvicinamento a quello che, in passato, era il centro politico e religioso della città. Per gli edifici pagani, ormai in disuso, è occasione di trasformazione, ma anche di restauro.

Costantino aveva spostato la capitale a oriente, ma la memoria di Roma è ancora viva: la chiesa di Santa Maria Antiqua è frutto e testimonianza di tutto questo.

L’imperatore Caligola nel I secolo d.C. espande la residenza imperale del Palatino nella valle del Foro, vicino al tempio di Castore e Polluce, alla Basilica Giulia e al tempio di Augusto. In seguito anche Domiziano utilizzò e mise mano a questi edifici. Alle spalle del tempio di Augusto c’era una biblioteca, identificata, da una parte degli studiosi, con le murature che delimitano l’atrio della chiesa. Nel presbiterio e nelle due cappelle laterali, sopravvivono lacerti di decorazione pittorica di età adrianea e tracce di quella in opus sectile, realizzata con marmi policromi intagliati.

Parte dei brani di affresco nella navata centrale e nel presbiterio risalgono al 649-653 quando papa Martino I commissiona la decorazione. Ma l’intervento più importante è quello di Giovanni VII, che, educato nell’ambiente dell’amministrazione bizantina stabilitasi al Palatino, trasferì il patriarchìo, sede papale, dal Laterano, nella ex residenza imperiale. Tra il 705 e il 707 fa realizzare le pitture nel presbiterio e nella cappella dei Santi Medici, testimonianza della lotta iconoclasta e della continuità d’uso. Infatti proprietà curative erano attribuite, in epoca pagana, alla fonte di Giuturna, vicina alla chiesa e, nella cappella, continuava la pratica dell’«incubatio». Il malato poteva dormire sul pavimento della nicchia dei Santi Medici, nella speranza di svegliarsi guarito, così come accadeva, in precedenza, nei santuari pagani. Non bisogna dimenticare che nei pressi della chiesa si trovava una diaconia, istituzione religiosa per la cura dei poveri, dei malati e dei pellegrini.

L’altra cappella è dedicata ai Santi Quirico e Giulitta dal donatore Teodoto, funzionario di papa Zaccaria 741-752, che spostò dalla corte bizantina, verso quella dei Franchi, gli interessi del papato.

L’ultimo intervento decorativo dell’abside, insieme ai cicli di Antico e Nuovo Testamento nelle navate laterali, risale a Paolo I e agli anni 757-767.

Nel 772-795 Adriano I fa realizzare il ciclo pittorico nell’atrio, ne è esposto un frammento staccato negli ambienti della rampa imperiale che, dal fianco della chiesa, giungeva al Palatino e che, in parte, è stata riaperta al pubblico qualche mese fa.

Nell’847 il terremoto distrugge la chiesa che viene abbandonata. L’icona della Vergine, insieme al titulus, vengono trasferiti alla chiesa di Santa Maria Nova, attuale chiesa di Santa Francesca Romana al Foro, dove, la più antica icona romana, tornerà dopo l’intervallo della mostra.

Nell’XI secolo nell’atrio di Santa Maria Antiqua, fu creata la chiesa dedicata a S. Antonio di cui sopravvivono brani pittorici nelle murature.

La comprensione della complessa storia di Santa Maria Antiqua e la ricostruzione delle decorazioni è efficacemente supportata da video e dal video mapping delle cappelle e della zona absidale. I sette strati della famosa parete palinsesto sono illuminati progressivamente distinguendo le fasi cronologiche (utile anche il sito della Soprintendenza).

Le opere selezionate per la mostra servono a contestualizzare l’edificio tra queste: all’ingresso le sculture raffiguranti Amalasunta figlia di Teodorico o l’imperatrice Ariadne; i brani di mosaico da Santa Maria in Cosmedin e da Orte, ma originariamente nel distrutto oratorio di Giovanni VII presso la basilica costantiniana di San Pietro.

Tra i sarcofagi stabilmente nella chiesa, va ricordato quello di Giona nella navata di sinistra.

Accompagna la mostra, curata dalla professoressa Maria Andaloro con Giulia Bordi e Giuseppe Morganti, un corposo catalogo edito dalla Electa.

All’esposizione si accede con il biglietto di ingresso al Foro Romano negli stessi orari di apertura

per informazioni consultare il sito .

È stata inaugurata venerdì 19 marzo nella splendida cornice del Teatro Signorelli di Cortona, la mostra “Gli Etruschi maestri di scrittura”, evento organizzato da Museo del Louvre, dal sito archeologico LattaraMuseo Henri Prades di Lattes - Montpellier, e dal MAEC di Cortona.

Frutto dell’incontro e della collaborazione delle strutture museali francesi delLouvre e del Museo Henri Prades di Lattes Montpellier con il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, la mostra è stata inaugurata lo scorso 19 marzo e resterà presso il MAEC sino al 31 luglio 2016.

L’esposizione, che ha ricevuto un grande successo in Francia, presso il Museo di Lattes fino al 29 febbraio scorso, prosegue ora nel suo percorso in Italia, rientrando così in terra etrusca.
Da più di trent’anni non venivano organizzate mostre sulla scrittura etrusca e recentemente, dopo alcune scoperte di epigrafi etrusche vicino Montpellier e al ritrovamento a Cortona del terzo testo etrusco esistente più lungo, la Tabula cortonensis, i tre musei hanno deciso di progettare questo grande evento archeologico.
L’originalità di questa esposizione sta nel fatto che in questa sede la scrittura viene studiata come elemento culturale che può far passare una società dall’oblio alla memoria. In questo senso le iscrizioni rinvenute sugli oggetti esposti, (sia su oggetti di uso quotidiano, su oggetti di culto, su statue o su atti) sono classificate per settori di appartenenza: dalla sfera del rito a quella del sacro, dall’ambito funerario a quello giuridico. In questo modo è possibile notare come nell’arco di circa 7 secoli la scrittura abbia occupato il suo posto nella società etrusca sia in ambito religioso che economico o giuridico.

Ospite d’eccezione dell’esposizione è la così detta Mummia di Zagabria, una delle testimonianze più importanti dell’epigrafia etrusca insieme alle lamine di Pyrgi. Si tratta del testo etrusco più lungo (più di 1000 parole), riportato sulla tela che avvolgeva la mummia; la risorsa più preziosa per gli studiosi della scrittura etrusca. I reperti esposti, provenienti da alcuni dei più importanti musei del mondo, dimostrano chiaramente la diversità dei supporti e delle tecniche di scrittura, così come le scoperte degli ultimi anni di studi in materia.

aaAll’inaugurazione,che ha avuto luogo venerdì 19 marzo presso il Teatro Signorelli di Cortona,erano presenti,in rappresentanza dei complessi museali interessati: Laurent Haumesser, Conservatore sezioneantichità greche etrusche e romane del museo del Louvre; SajinMihelic Direttore Museo Archeologico di Zagabria, Paolo Giulierini Direttore del MANN di Napoli, Lionel Pernet Direttore Museo cantonale Archeologico di Losanna; Florence Millet conservatrice del Museo Archeologico di Lattes Montpellier;Paolo Bruschetti presidente del MAEC di Cortona.

Una mostra dunque che ha interessato tre Paesi, (Italia, Francia e Croazia), sei musei, (MAEC, Louvre, Lattes – Montpellier, Zagabria, Losanna e Napoli).

Un progetto nato dalla collaborazione di tre grandi poli musealiche progressivamente ne hanno inglobati altri, caratterizzato quindi da un’apertura e uno scambio culturale e umano, a dimostrazione che la cultura può essere realmente via di incontro come lo è stata per gli etruschi. L’auspicio degli organizzatori infatti è di recuperare uno spirito collaborativo e di incontro, di scambio e di circolazione di espressioni di un passato comune.

Un percorsoche, come sottolineato dal Sindaco Francesca Basanieri, ha posto al centro la cultura educativa con un risvolto nel sociale. Importante infatti, è ed è stata la partecipazione attiva della cittadinanza di Cortona proprio perché la cultura può “unire e riunire popoli del Mediterraneo”.

Interessanti le attività collegate alla mostra come ad esempio la proposta di laboratori di didattica sperimentale per ragazzi e attività per adulti; visite didattiche per portatori di handicap visivo e aggiornamento-formazione continua per insegnanti ed educatori e, per finire, il concorso letterario per racconti brevi inediti “Scribiamo! Narrazioni etrusche”. Inoltre, durante tutto il periodo di esposizione della mostra, saranno proposti incontri con specialisti della disciplina epigrafica.

Sembra proprio questo il momento propizio per approfondire lo studio sugli etruschi: infatti in contemporanea, dal 19 marzo fino al 30 giugno, sarà possibile visitare al Museo di Palazzo Pretorio di Prato la mostra “L’ombra degli etruschi” .

Ed è di questi ultimi mesi la notizia di alcuni scavi nell’area di Camuciache stanno facendo emergere strutture murarie e manufatti riferibili ad un vasto e imponente edificio etrusco.

Per info: MAEC, Piazza Signorelli, 9 –
Cortona, tel. 0575.637235;
www.cortonamaec.org,
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Gli animali da compagnia sono protagonisti, nel bene e nel male, del nostro quotidiano. I più fortunati godono delle stesse attenzioni di cura e bellezza riservate, di solito, agli esseri umani. Attenzioni in vita e in morte, con l’allestimento di cimiteri dedicati.

È di moda far ritrarre il proprio cane o gatto. Ma in realtà non è una nuova tendenza, sopratutto nel mondo anglosassone, c’era e c’è la tradizione di far immortalare in dipinti di artisti, più o meno famosi, alcuni addirittura specializzati nel genere, il proprio cavallo o cane. Anche in altri paesi ed epoche gli animali sono stati ritratti. Del resto il fascino di queste creature, ha fatto sì, che trovassero posto nel Paradiso Terrestre e addirittura nel pantheon di religioni pagane, come divinità. Nei bestiari medievali, vizi e virtù umane, prendevano forme animali
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Fino al 31 marzo presso la filiale Vertecchi di via Pietro da Cortona a Roma, è allestita la mostra di Alice Fois. Sono soprattutto i cani, i protagonisti degli acrilici su tela, ma anche qualche gatto e una giraffa. Sono soprattutto le teste, frontali o di profilo, ad essere indagate con cura, per rendere nei particolari le espressioni, che, a loro volta, mostrano il carattere dell’animale. Lo sfondo è colorato, ma privo di particolari descrittivi, serve ad esaltare l’animale, su cui tutto è focalizzato. Solo uno dei ritratti in esposizione è polimaterico e presenta un collare decorato, in rilievo. Come le espressioni e le inquadrature sono “umane”, così il collare è come un gioiello, a ribadire la “nobiltà”, anche un po’ snob, del protagonista.

Gabriele Garagnani, associato Flip, appassionato di arte contemporanea, in occasione del temporaneo ritorno della Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli a Montefalco (PG), “debutta” con l’arte antica. Oltre all’articolo sulla mostra, ne ha realizzato un video. Protagonisti, naturalmente, Montefalco e i dipinti di Gozzoli, la pala raffigurante la Vergine e gli affreschi della chiesa di S. Francesco, sede del complesso museale.


Nel video, con la consueta maestria e disponibilità, il Professore Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, dove la pala è solitamente conservata, ne illustra le immagini. Intervento d’eccezione, sempre nello stesso video, quello del Sindaco di Montefalco, Donatella Tesei.
Il girato, prodotto con le più moderne tecnologie in alta definizione, è stato presentato ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori e autorità. Oltre al

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 Foto Egisto Catalani

Professor Paolucci e al Sindaco Tesei con il suo staff, erano presenti la restauratrice della pala del Gozzoli, dottoressa Adele Breda, la dottoressa Lucina Vattuone, responsabile dell’Ufficio Stampa dei Musei Vaticani, la direttrice del Museo di Montefalco Serena Marinelli con lo staff, il Direttore del Museo Diocesano di Terni, don Claudio Bosi e il Presidente della Free Lance International Press, Virgilio Violo.


Alla presentazione è seguito il brindisi con buffet di dolci, della squisita accoglienza si è occupata la Signora Gianna Garagnani insieme alle figlie Letizia e Maria Gabriella.

La capitale sempre più multietnica

Ieri sera, a Roma, in un’accoglientissima location situata nella zona fra due dei simboli sacri della romanità, il Colosseo e la Basilica di San Giovanni, si è svolta una conferenza degna di una città multietnica e d’avanguardia. I gestori di “Riccio Capriccio Eco-parrucchieri” (in via di San Giovanni in Laterano), da sempre molto più di un semplice coiffeur e una realtà attenta alle tematiche sociali e dei diritti delle minoranze, hanno organizzato una conferenza sul tema del velo islamico. Takoua Ben Mohamed (illustratrice e autrice di Fumetto Intercultura), Hind Lafram (stilista di moda islamica), Sabika Shah Povia (giornalista), Renata Pepicelli (docente Università LUISS e autrice di “Il velo nell’Islam. Storia, politica, estetica”, Carocci 2012), Francesca Caferri (giornalista di Repubblica e autrice di “Il paradiso ai piedi delle donne.

Le donne e il futuro del mondo musulmano”, Mondadori 2012) hanno dibattuto sul valore estetico, religioso e politico di questo indumento che come si è ironicamente ricordato: “copre la testa, non il cervello!”L’argomento dell’hijab, sia nei paesi a maggioranza musulmana che in quelli occidentali, generalmente spacca l’opinione pubblica fra chi lo ritiene espressione di un’identità religiosa e culturale e chi lo considera la prova del diffondersi di un Islamismo oscurantista e misogino. Pochi sono però coloro che si aprono a un confronto diretto con le donne che lo portano. Quanti occidentali ricordano che fra le donne islamiche vi sono autrici di fumetti o stiliste creatrici di brands o giornaliste?

Le donne velate e non, islamiche e non che, da diverse prospettive, hanno partecipato al dibattito, hanno dimostrato quanto la questione sia aperta e vada trattata senza pregiudizi e lontano dagli stereotipi. Molte sono le donne migranti che cominciano a indossarlo per libera scelta solo una volta stabilitesi nel paese ospitante (emblematico il caso di molte bangladesi) e fra le giovani islamiche della generazione 2.0, in bilico fra diverse culture, quelle che portano il velo sono in aumento.

Prima di giungere ad affrettate conclusioni è utile ricordare che le ragioni sono molteplicie innanzitutto personali per ciascuna e che, seppur accomunate da una stessa Fede religiosa, dietro ognuna di esse c’è una storia e un bagaglio culturale differente. Il velo che più ci divide dal mondo esterno è quello dell’ignoranza. La chiave per capire meglioè sempre: l’apertura verso l’altro, in questo caso l’“altra”, vista come un’occasione di arricchimento del nostro orizzonte.

 

Martedì 9 febbraio 2016 nella Sala del Refettorio, Biblioteca della Camera dei Deputati, a Palazzo San Macuto si è svolta la cerimonia per il Premio Europa e Cultura verso il nuovo Umanesimo, istituito nel 2014 dalla scrittrice Anna Manna Clementi. Durante la prestigiosa iniziativa sono state premiate le eccellenze italiane che si sono distinte per le loro attività. Quest’anno l’attenzione del premio è stata rivolta alla città di Spoleto, ogni anno viene scelta una città di riferimento, il prossimo sarà Gaeta. Ha aperto l’incontro il Presidente dell’Associazione degli ex parlamentari Gerardo Bianco, con un discorso sulla classicità greca e romana, sull’archetipo contenuto nelle opere e riconosciuto da chi è sensibile all’arte. Si sono poi alternati negli interventi Anna Manna Clementi, presidente del premio Le rosse Pergamene, che ha poi dato parola a Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione internazionale dei Critici letterari, nella giuria presidente della sezione ITALIAMIA, dedicata al racconto della bellezza italiana, nell’arte e nel paesaggio. Notevoli le parole del Presidente di Giuria del Premio Europa e Cultura, Corrado Calabrò, che ha parlato della necessità di una ricerca e riscoperta dei valori per un nuovo Umanesimo, per una cultura di pace. In un periodo storico dove persiste la violenza e la guerra è frammentata, bisogna ripartire dalla poesia, dall’arte, da ciò che può rendere il nostro futuro migliore. Anna Manna Clementi ha ricordato l’amicizia con Maria Luisa Spaziani, raccontando ciò che la poetessa le ha trasmesso, le sue parole hanno raggiunto i sentimenti.


I momenti di emozione sono stati tanti, anche le parole di Carla Fendi, che è stata premiata per la dedizione, l’impegno su vari fronti, la presenza costante e amorevole con cui ha voluto in tanti anni onorare la città di Spoleto. Mecenate verso la città con la restaurazione e rilancio del Teatro Caio Melisso, ma anche vero faro di cultura e stile per l’impegno culturale e il sincero approfondimento di tematiche e proposte culturali che rientrano nel progetto di un Nuovo umanesimo, con particolare riferimento alla Performance “Alla ricerca del tempo perduto” presentata dalla Fondazione Fendi al Festival dei due Mondi 2015. Il premio Donna e Lavoro è stato assegnato ad Anna Maria Furlan, "per essere una donna di grande impegno e senso di responsabilità vera portatrice del messaggio di armonia e comprensione che dovrebbe distinguere la donna nel mondo del lavoro”; premio a Maria Cristina Valeri per l’ideazione e la realizzazione di un servizio fotografico su Spoleto attraverso i versi dei poeti; a Benedetto Zeppadoro per aver restituito l’antico ristorante Sabatini di Spoleto agli antichi fasti con la ristrutturazione e lancio de “Il giardino del corso”; a Stefania Catenacci per un quadro dedicato a Spoleto moderna, per la sezione ITALIAMIA riservata agli autori della casa editrice Nemapress, la presidente della giuria Neria De Giovanni ha proclamato vincitore assoluto Luigi De Mitri per il libro “Il grande mistero dell’arte. Fidia-Michelangelo”. Il premio Nuovo Umanesimo è stato assegnato da Anna Manna Clementi a due donne, Laura De Luca, radio giornalista e scrittrice per il suo impegno nella diffusione del messaggio artistico culturale, e Neria De Giovanni presidente dell’Associazione internazionale dei Critici letterari per la carriera.

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