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Marzia Carocci
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Nella splendida cornice del Salone di Raffaello nella Pinacoteca Vaticana, il Prof Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed il Col. Christoph Graf, Comandate della Guardia Svizzera Pontificia, hanno presentato THE LIFE OF A SWISS GUARD mostra fotografica allestita presso il Cortile delle Corazze dei Musei Vaticani,dedicata all’illustre corpo della Guardia Svizzera Pontificia al servizio del Santo Padre da oltre 500 anni.
In questa speciale occasione, il Corpo armato, viene presentato attraverso ottantasei scatti in bianco/nero e colore realizzati dal fotografo Fabio Mantegna e l’esposizione di divise ed oggetti che documentano la sua lunga storia.
“ Non potevano che essere i Musei Vaticani ad ospitare una mostra che presenti il glorioso Corpo della Guardia Svizzera Pontificia” afferma il Prof Antonio Paolucci,”gli scatti artistici di Fabio Mantegna che raccontano una storia nobile e antica, ma anche la bella giovinezza di un gruppo di ragazzi al servizio del Papa di Roma, orgogliosi e onorati del ruolo che rappresentano e del servizio al quale sono chiamati: il senso del dovere e l’umanità d’accenti si mescolano ai sogni, all’entusiasmo e alla speranza che hanno tutti i ragazzi del mondo a vent’anni”
“ Essere Guardia Svizzera è una vocazione” dichiara il Col. Christoph Graf, “ occorrono fede e profonda convinzione per svolgere questo impegno straordinario e nobile. Giorno e notte siamo vicini al Santo Padre e cerchiamo, attraverso il nostro servizio, di garantirgli la tranquillità e la sicurezza di cui ha bisogno per svolgere il suo ministero di Successore di Pietro”
Si può ben comprendere quanto sopra dichiarato evocando il terribile Maggio 1527, il Sacco di Roma, quando quattordicimila lanzichenecchi, in buona parte luterani, guidati da Georg von Frundsberg, diedero l’assalto ai Palazzi Apostolici. A difenderli vi erano centoquarantasette soldati svizzeri. Fu uno scontro feroce, all’arma bianca, al termine del quale tutti gli svizzeri del Papa risultarono morti. Fra gli altri anche il capitano Kaspar Roist che si era immolato con i suoi soldati per permettere a Papa Clemente VII di ritirarsi, nell’inespugnabile Castel Sant’Angelo.
La ricca mostra, realizzata grazie alla generosa disponibilità del Capitolo della California dei Patrons of the Arts dei Musei Vaticani e curata da Romina Cometti dell’Ufficio Patrons of Arts diretto da P. Mark Haydu, offrirà per la prima volta una rara visione dell’affascinante storia della Guardia Svizzera.
Il catalogo fotografico ,realizzato grazie ai Patrons Of The Arts della California, viene pubblicato in un’unica edizione in tre lingue, inglese, italiano e tedesco.
L’esposizione rimarrà aperta al pubblico fino al 12 Giugno del 2016 e sarà accessibile gratuitamente essendo compresa nel percorso ordinario di visita secondo i consueti orari di apertura e chiusura dei Musei Vaticani (www.museivaticani.va)
Fino al 31 marzo è possibile visitare a Roma, presso i locali della Vertecchi in via Pietro da Cortona n. 18, la prima mostra della giovane pittrice Alice Fois. Abbiamo ora l’occasione di rivolgerle alcune domande sulle sue tele e sull’arte in genere.
D. Come e quando è nata la passione per la pittura e in che modo è diventata così preponderante nella tua vita?
É una passione che ho fin dalla primissima infanzia. Da sempre infatti il disegno, e in seguito la pittura, sono stati fra i miei principali interessi. Fin da bambina passavo quasi tutto il mio tempo con la matita in mano ritraendo quasi esclusivamente animali. Una passione che é sempre stata più di un hobby, una che non ho mai abbandonato e che si é sviluppata, e perfezionata, con il passare degli anni.
D. Come mai la passione per i cani come soggetti dei tuoi quadri?
Il mio amore per gli animali é sempre stato a tutti molto evidente, ma i cani occupano nelle nostre vite un ruolo talmente importante, tale é l’affetto che si nutre nei loro confronti, da essere sempre stati tra i miei soggetti prediletti. Questo amore é ovviamente esploso nel momento in cui ho preso il mio, ed unicamente mio, primo cane, tre anni fa. L’idea di ritrarre su commissione i nostri amici a quattro zampe é nata per caso, al parco. In poco tempo si é sparsa la voce e in tanti volevano un quadro del proprio animale perché non era un semplice ritratto ma una parte di cuore su tela.
D. Cosa ti piace di più nella pittura, il momento creativo, la fase della creazione o la progettualità dell’opera?
Il momento che preferisco é quello appena prima di cominciare il dipinto, quando ricevo le foto dell’animale da ritrarre, ne immagino il carattere, l’indole, osservo nel dettaglio l’espressione degli occhi. Mi hanno detto spesso che riesco a catturare l’anima del cane, del gatto o del cavallo in questione, e questo credo sia dovuto a quella prima importantissima fase di ogni mio lavoro.
D. L’ispirazione è sempre un momento emozionante per l’artista, a te cosa suscita e come avviene?
Ci sono delle mattine in cui veramente non vedo l’ora di mettermi a dipingere, per provare una nuova tecnica o cominciare un cane che mi piace particolarmente o realizzare una richiesta diversa dal solito. In ogni caso da sempre la mia ispirazione sono quegli sguardi muti, che senza l’uso della parola sono in grado di mostrare delle emozioni che veramente sorprendono.
D. Nonostante la giovane età, hai fatto della pittura la tua professione. Prossimi progetti dopo questa prima esposizione? Hai contatti con pittori di altri paesi per uno scambio culturale?
Essendo un’autodidatta e quindi non avendo frequentato ambienti dediti alla pittura, sono del tutto nuova al mondo dell’arte e degli artisti. In occasione della mia prima mostra ho però avuto modo di conoscere tanti pittori, ma per ora non prevedo scambi culturali. I commenti positivi e l’entusiasmo per le mie opere hanno superato le mie aspettative, spero quindi di avere presto la possibilità di esporre ancora.
Come è difficile riconoscere l’antica Roma nelle rovine del Foro Romano, del Palatino, dei Fori Imperiali.
Come è difficile ricostruire con l’immaginazione i grandiosi edifici, seppure a partire dalle poderose e imponenti murature che ne restano.
Come è difficile capire che Roma antica non si limitava a questo cuore congelato nel tempo, ma vive sotto le trafficate strade di oggi, sotto le chiese e le case.
La Roma antica come la vediamo ora nel Foro, non è mai esistita, è una creazione degli scavi del XIX e del XX secolo.
Nel 1900 viene distrutta la chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro e riemerge la chiesa di Santa Maria Antiqua, identificata dall’archeologo Giacomo Boni. Oggi considerata raro tassello medievale nel cuore antico della città, in realtà, testimonianza della continuità della storia millenaria della capitale.
Con l’imperatore Costantino arrivano la libertà di culto per i cristiani e le prime basiliche, dislocate lungo le vie consolari o, comunque, lontano dal polo politico-religioso pagano. Tanto che il cristianesimo, una volta affermato, creerà la basilica di Santa Maria Maggiore che, insieme ad altre limitrofe, sarà d’appoggio alla basilica di San Giovanni in Laterano per la creazione di un nuovo e alternativo polo religioso.
Nel VI secolo la trasformazione di alcuni dei templi pagani del Foro in chiese, è, per il cristianesimo, un avvicinamento a quello che, in passato, era il centro politico e religioso della città. Per gli edifici pagani, ormai in disuso, è occasione di trasformazione, ma anche di restauro.
Costantino aveva spostato la capitale a oriente, ma la memoria di Roma è ancora viva: la chiesa di Santa Maria Antiqua è frutto e testimonianza di tutto questo.
L’imperatore Caligola nel I secolo d.C. espande la residenza imperale del Palatino nella valle del Foro, vicino al tempio di Castore e Polluce, alla Basilica Giulia e al tempio di Augusto. In seguito anche Domiziano utilizzò e mise mano a questi edifici. Alle spalle del tempio di Augusto c’era una biblioteca, identificata, da una parte degli studiosi, con le murature che delimitano l’atrio della chiesa. Nel presbiterio e nelle due cappelle laterali, sopravvivono lacerti di decorazione pittorica di età adrianea e tracce di quella in opus sectile, realizzata con marmi policromi intagliati.
Parte dei brani di affresco nella navata centrale e nel presbiterio risalgono al 649-653 quando papa Martino I commissiona la decorazione. Ma l’intervento più importante è quello di Giovanni VII, che, educato nell’ambiente dell’amministrazione bizantina stabilitasi al Palatino, trasferì il patriarchìo, sede papale, dal Laterano, nella ex residenza imperiale. Tra il 705 e il 707 fa realizzare le pitture nel presbiterio e nella cappella dei Santi Medici, testimonianza della lotta iconoclasta e della continuità d’uso. Infatti proprietà curative erano attribuite, in epoca pagana, alla fonte di Giuturna, vicina alla chiesa e, nella cappella, continuava la pratica dell’«incubatio». Il malato poteva dormire sul pavimento della nicchia dei Santi Medici, nella speranza di svegliarsi guarito, così come accadeva, in precedenza, nei santuari pagani. Non bisogna dimenticare che nei pressi della chiesa si trovava una diaconia, istituzione religiosa per la cura dei poveri, dei malati e dei pellegrini.
L’altra cappella è dedicata ai Santi Quirico e Giulitta dal donatore Teodoto, funzionario di papa Zaccaria 741-752, che spostò dalla corte bizantina, verso quella dei Franchi, gli interessi del papato.
L’ultimo intervento decorativo dell’abside, insieme ai cicli di Antico e Nuovo Testamento nelle navate laterali, risale a Paolo I e agli anni 757-767.
Nel 772-795 Adriano I fa realizzare il ciclo pittorico nell’atrio, ne è esposto un frammento staccato negli ambienti della rampa imperiale che, dal fianco della chiesa, giungeva al Palatino e che, in parte, è stata riaperta al pubblico qualche mese fa.
Nell’847 il terremoto distrugge la chiesa che viene abbandonata. L’icona della Vergine, insieme al titulus, vengono trasferiti alla chiesa di Santa Maria Nova, attuale chiesa di Santa Francesca Romana al Foro, dove, la più antica icona romana, tornerà dopo l’intervallo della mostra.
Nell’XI secolo nell’atrio di Santa Maria Antiqua, fu creata la chiesa dedicata a S. Antonio di cui sopravvivono brani pittorici nelle murature.
La comprensione della complessa storia di Santa Maria Antiqua e la ricostruzione delle decorazioni è efficacemente supportata da video e dal video mapping delle cappelle e della zona absidale. I sette strati della famosa parete palinsesto sono illuminati progressivamente distinguendo le fasi cronologiche (utile anche il sito della Soprintendenza).
Le opere selezionate per la mostra servono a contestualizzare l’edificio tra queste: all’ingresso le sculture raffiguranti Amalasunta figlia di Teodorico o l’imperatrice Ariadne; i brani di mosaico da Santa Maria in Cosmedin e da Orte, ma originariamente nel distrutto oratorio di Giovanni VII presso la basilica costantiniana di San Pietro.
Tra i sarcofagi stabilmente nella chiesa, va ricordato quello di Giona nella navata di sinistra.
Accompagna la mostra, curata dalla professoressa Maria Andaloro con Giulia Bordi e Giuseppe Morganti, un corposo catalogo edito dalla Electa.
All’esposizione si accede con il biglietto di ingresso al Foro Romano negli stessi orari di apertura
per informazioni consultare il sito .
È stata inaugurata venerdì 19 marzo nella splendida cornice del Teatro Signorelli di Cortona, la mostra “Gli Etruschi maestri di scrittura”, evento organizzato da Museo del Louvre, dal sito archeologico LattaraMuseo Henri Prades di Lattes - Montpellier, e dal MAEC di Cortona.
Frutto dell’incontro e della collaborazione delle strutture museali francesi delLouvre e del Museo Henri Prades di Lattes Montpellier con il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, la mostra è stata inaugurata lo scorso 19 marzo e resterà presso il MAEC sino al 31 luglio 2016.
L’esposizione, che ha ricevuto un grande successo in Francia, presso il Museo di Lattes fino al 29 febbraio scorso, prosegue ora nel suo percorso in Italia, rientrando così in terra etrusca.
Da più di trent’anni non venivano organizzate mostre sulla scrittura etrusca e recentemente, dopo alcune scoperte di epigrafi etrusche vicino Montpellier e al ritrovamento a Cortona del terzo testo etrusco esistente più lungo, la Tabula cortonensis, i tre musei hanno deciso di progettare questo grande evento archeologico.
L’originalità di questa esposizione sta nel fatto che in questa sede la scrittura viene studiata come elemento culturale che può far passare una società dall’oblio alla memoria. In questo senso le iscrizioni rinvenute sugli oggetti esposti, (sia su oggetti di uso quotidiano, su oggetti di culto, su statue o su atti) sono classificate per settori di appartenenza: dalla sfera del rito a quella del sacro, dall’ambito funerario a quello giuridico. In questo modo è possibile notare come nell’arco di circa 7 secoli la scrittura abbia occupato il suo posto nella società etrusca sia in ambito religioso che economico o giuridico.
Ospite d’eccezione dell’esposizione è la così detta Mummia di Zagabria, una delle testimonianze più importanti dell’epigrafia etrusca insieme alle lamine di Pyrgi. Si tratta del testo etrusco più lungo (più di 1000 parole), riportato sulla tela che avvolgeva la mummia; la risorsa più preziosa per gli studiosi della scrittura etrusca. I reperti esposti, provenienti da alcuni dei più importanti musei del mondo, dimostrano chiaramente la diversità dei supporti e delle tecniche di scrittura, così come le scoperte degli ultimi anni di studi in materia.
aaAll’inaugurazione,che ha avuto luogo venerdì 19 marzo presso il Teatro Signorelli di Cortona,erano presenti,in rappresentanza dei complessi museali interessati: Laurent Haumesser, Conservatore sezioneantichità greche etrusche e romane del museo del Louvre; SajinMihelic Direttore Museo Archeologico di Zagabria, Paolo Giulierini Direttore del MANN di Napoli, Lionel Pernet Direttore Museo cantonale Archeologico di Losanna; Florence Millet conservatrice del Museo Archeologico di Lattes Montpellier;Paolo Bruschetti presidente del MAEC di Cortona.
Una mostra dunque che ha interessato tre Paesi, (Italia, Francia e Croazia), sei musei, (MAEC, Louvre, Lattes – Montpellier, Zagabria, Losanna e Napoli).
Un progetto nato dalla collaborazione di tre grandi poli musealiche progressivamente ne hanno inglobati altri, caratterizzato quindi da un’apertura e uno scambio culturale e umano, a dimostrazione che la cultura può essere realmente via di incontro come lo è stata per gli etruschi. L’auspicio degli organizzatori infatti è di recuperare uno spirito collaborativo e di incontro, di scambio e di circolazione di espressioni di un passato comune.
Un percorsoche, come sottolineato dal Sindaco Francesca Basanieri, ha posto al centro la cultura educativa con un risvolto nel sociale. Importante infatti, è ed è stata la partecipazione attiva della cittadinanza di Cortona proprio perché la cultura può “unire e riunire popoli del Mediterraneo”.
Interessanti le attività collegate alla mostra come ad esempio la proposta di laboratori di didattica sperimentale per ragazzi e attività per adulti; visite didattiche per portatori di handicap visivo e aggiornamento-formazione continua per insegnanti ed educatori e, per finire, il concorso letterario per racconti brevi inediti “Scribiamo! Narrazioni etrusche”. Inoltre, durante tutto il periodo di esposizione della mostra, saranno proposti incontri con specialisti della disciplina epigrafica.
Sembra proprio questo il momento propizio per approfondire lo studio sugli etruschi: infatti in contemporanea, dal 19 marzo fino al 30 giugno, sarà possibile visitare al Museo di Palazzo Pretorio di Prato la mostra “L’ombra degli etruschi” .
Ed è di questi ultimi mesi la notizia di alcuni scavi nell’area di Camuciache stanno facendo emergere strutture murarie e manufatti riferibili ad un vasto e imponente edificio etrusco.
Per info: MAEC, Piazza Signorelli, 9 –
Cortona, tel. 0575.637235;
www.cortonamaec.org,
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Gli animali da compagnia sono protagonisti, nel bene e nel male, del nostro quotidiano. I più fortunati godono delle stesse attenzioni di cura e bellezza riservate, di solito, agli esseri umani. Attenzioni in vita e in morte, con l’allestimento di cimiteri dedicati.
È di moda far ritrarre il proprio cane o gatto. Ma in realtà non è una nuova tendenza, sopratutto nel mondo anglosassone, c’era e c’è la tradizione di far immortalare in dipinti di artisti, più o meno famosi, alcuni addirittura specializzati nel genere, il proprio cavallo o cane. Anche in altri paesi ed epoche gli animali sono stati ritratti. Del resto il fascino di queste creature, ha fatto sì, che trovassero posto nel Paradiso Terrestre e addirittura nel pantheon di religioni pagane, come divinità. Nei bestiari medievali, vizi e virtù umane, prendevano forme animali
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Fino al 31 marzo presso la filiale Vertecchi di via Pietro da Cortona a Roma, è allestita la mostra di Alice Fois. Sono soprattutto i cani, i protagonisti degli acrilici su tela, ma anche qualche gatto e una giraffa. Sono soprattutto le teste, frontali o di profilo, ad essere indagate con cura, per rendere nei particolari le espressioni, che, a loro volta, mostrano il carattere dell’animale. Lo sfondo è colorato, ma privo di particolari descrittivi, serve ad esaltare l’animale, su cui tutto è focalizzato. Solo uno dei ritratti in esposizione è polimaterico e presenta un collare decorato, in rilievo. Come le espressioni e le inquadrature sono “umane”, così il collare è come un gioiello, a ribadire la “nobiltà”, anche un po’ snob, del protagonista.
Gabriele Garagnani, associato Flip, appassionato di arte contemporanea, in occasione del temporaneo ritorno della Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli a Montefalco (PG), “debutta” con l’arte antica. Oltre all’articolo sulla mostra, ne ha realizzato un video. Protagonisti, naturalmente, Montefalco e i dipinti di Gozzoli, la pala raffigurante la Vergine e gli affreschi della chiesa di S. Francesco, sede del complesso museale.
Nel video, con la consueta maestria e disponibilità, il Professore Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, dove la pala è solitamente conservata, ne illustra le immagini. Intervento d’eccezione, sempre nello stesso video, quello del Sindaco di Montefalco, Donatella Tesei.
Il girato, prodotto con le più moderne tecnologie in alta definizione, è stato presentato ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori e autorità. Oltre al
Foto Egisto Catalani |
Professor Paolucci e al Sindaco Tesei con il suo staff, erano presenti la restauratrice della pala del Gozzoli, dottoressa Adele Breda, la dottoressa Lucina Vattuone, responsabile dell’Ufficio Stampa dei Musei Vaticani, la direttrice del Museo di Montefalco Serena Marinelli con lo staff, il Direttore del Museo Diocesano di Terni, don Claudio Bosi e il Presidente della Free Lance International Press, Virgilio Violo.
Alla presentazione è seguito il brindisi con buffet di dolci, della squisita accoglienza si è occupata la Signora Gianna Garagnani insieme alle figlie Letizia e Maria Gabriella.
La capitale sempre più multietnica
Ieri sera, a Roma, in un’accoglientissima location situata nella zona fra due dei simboli sacri della romanità, il Colosseo e la Basilica di San Giovanni, si è svolta una conferenza degna di una città multietnica e d’avanguardia. I gestori di “Riccio Capriccio Eco-parrucchieri” (in via di San Giovanni in Laterano), da sempre molto più di un semplice coiffeur e una realtà attenta alle tematiche sociali e dei diritti delle minoranze, hanno organizzato una conferenza sul tema del velo islamico. Takoua Ben Mohamed (illustratrice e autrice di Fumetto Intercultura), Hind Lafram (stilista di moda islamica), Sabika Shah Povia (giornalista), Renata Pepicelli (docente Università LUISS e autrice di “Il velo nell’Islam. Storia, politica, estetica”, Carocci 2012), Francesca Caferri (giornalista di Repubblica e autrice di “Il paradiso ai piedi delle donne.
Le donne e il futuro del mondo musulmano”, Mondadori 2012) hanno dibattuto sul valore estetico, religioso e politico di questo indumento che come si è ironicamente ricordato: “copre la testa, non il cervello!”L’argomento dell’hijab, sia nei paesi a maggioranza musulmana che in quelli occidentali, generalmente spacca l’opinione pubblica fra chi lo ritiene espressione di un’identità religiosa e culturale e chi lo considera la prova del diffondersi di un Islamismo oscurantista e misogino. Pochi sono però coloro che si aprono a un confronto diretto con le donne che lo portano. Quanti occidentali ricordano che fra le donne islamiche vi sono autrici di fumetti o stiliste creatrici di brands o giornaliste?
Le donne velate e non, islamiche e non che, da diverse prospettive, hanno partecipato al dibattito, hanno dimostrato quanto la questione sia aperta e vada trattata senza pregiudizi e lontano dagli stereotipi. Molte sono le donne migranti che cominciano a indossarlo per libera scelta solo una volta stabilitesi nel paese ospitante (emblematico il caso di molte bangladesi) e fra le giovani islamiche della generazione 2.0, in bilico fra diverse culture, quelle che portano il velo sono in aumento.
Prima di giungere ad affrettate conclusioni è utile ricordare che le ragioni sono molteplicie innanzitutto personali per ciascuna e che, seppur accomunate da una stessa Fede religiosa, dietro ognuna di esse c’è una storia e un bagaglio culturale differente. Il velo che più ci divide dal mondo esterno è quello dell’ignoranza. La chiave per capire meglioè sempre: l’apertura verso l’altro, in questo caso l’“altra”, vista come un’occasione di arricchimento del nostro orizzonte.
Martedì 9 febbraio 2016 nella Sala del Refettorio, Biblioteca della Camera dei Deputati, a Palazzo San Macuto si è svolta la cerimonia per il Premio Europa e Cultura verso il nuovo Umanesimo, istituito nel 2014 dalla scrittrice Anna Manna Clementi. Durante la prestigiosa iniziativa sono state premiate le eccellenze italiane che si sono distinte per le loro attività. Quest’anno l’attenzione del premio è stata rivolta alla città di Spoleto, ogni anno viene scelta una città di riferimento, il prossimo sarà Gaeta. Ha aperto l’incontro il Presidente dell’Associazione degli ex parlamentari Gerardo Bianco, con un discorso sulla classicità greca e romana, sull’archetipo contenuto nelle opere e riconosciuto da chi è sensibile all’arte. Si sono poi alternati negli interventi Anna Manna Clementi, presidente del premio Le rosse Pergamene, che ha poi dato parola a Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione internazionale dei Critici letterari, nella giuria presidente della sezione ITALIAMIA, dedicata al racconto della bellezza italiana, nell’arte e nel paesaggio. Notevoli le parole del Presidente di Giuria del Premio Europa e Cultura, Corrado Calabrò, che ha parlato della necessità di una ricerca e riscoperta dei valori per un nuovo Umanesimo, per una cultura di pace. In un periodo storico dove persiste la violenza e la guerra è frammentata, bisogna ripartire dalla poesia, dall’arte, da ciò che può rendere il nostro futuro migliore. Anna Manna Clementi ha ricordato l’amicizia con Maria Luisa Spaziani, raccontando ciò che la poetessa le ha trasmesso, le sue parole hanno raggiunto i sentimenti.
I momenti di emozione sono stati tanti, anche le parole di Carla Fendi, che è stata premiata per la dedizione, l’impegno su vari fronti, la presenza costante e amorevole con cui ha voluto in tanti anni onorare la città di Spoleto. Mecenate verso la città con la restaurazione e rilancio del Teatro Caio Melisso, ma anche vero faro di cultura e stile per l’impegno culturale e il sincero approfondimento di tematiche e proposte culturali che rientrano nel progetto di un Nuovo umanesimo, con particolare riferimento alla Performance “Alla ricerca del tempo perduto” presentata dalla Fondazione Fendi al Festival dei due Mondi 2015. Il premio Donna e Lavoro è stato assegnato ad Anna Maria Furlan, "per essere una donna di grande impegno e senso di responsabilità vera portatrice del messaggio di armonia e comprensione che dovrebbe distinguere la donna nel mondo del lavoro”; premio a Maria Cristina Valeri per l’ideazione e la realizzazione di un servizio fotografico su Spoleto attraverso i versi dei poeti; a Benedetto Zeppadoro per aver restituito l’antico ristorante Sabatini di Spoleto agli antichi fasti con la ristrutturazione e lancio de “Il giardino del corso”; a Stefania Catenacci per un quadro dedicato a Spoleto moderna, per la sezione ITALIAMIA riservata agli autori della casa editrice Nemapress, la presidente della giuria Neria De Giovanni ha proclamato vincitore assoluto Luigi De Mitri per il libro “Il grande mistero dell’arte. Fidia-Michelangelo”. Il premio Nuovo Umanesimo è stato assegnato da Anna Manna Clementi a due donne, Laura De Luca, radio giornalista e scrittrice per il suo impegno nella diffusione del messaggio artistico culturale, e Neria De Giovanni presidente dell’Associazione internazionale dei Critici letterari per la carriera.
Il Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani e curatore della mostra, su espressa richiesta del Sindaco Donatella Tesei, ha concesso la proroga dell’evento al 30 Aprile 2016 con pieno apprezzamento dell’organizzazione generale e dell’ottima risposta di pubblico e critica.
Così “ il miracolo di oro e azzurro” di Benozzo Gozzoli continuerà ad incantare visitatori (sino ad ora 17.000) e critici che raggiungeranno al Museo S. Francesco di Montefalco, la famosa “ Madonna della Cintola”, la straordinaria Pala d’altare di Benozzo Gozzoli tornata nel borgo umbro dopo 167 anni.
La prestigiosa operazione di restauro è stata eseguita nei laboratori dei Musei Vaticani grazie al contributo della felice sinergia tra pubblico e privato, con la partecipazione importante di imprenditori del territorio.
Il Museo ha registrato nei mesi di mostra un record in ascesa di visitatori, italiani e stranieri, con oltre il 60% in più di presenze rispetto al 2014. Tale successo è stato raggiunto sia durante le festività sia grazie agli incontri con tre grandi maestri del mondo dell’arte che hanno creduto nella straordinaria importanza di questo progetto e contribuito alla qualificata promozione: lo stesso direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, il critico d’arte-giornalista-conduttore televisivo Philippe Daverio e lo storico d’arte Vittorio Sgarbi.
Le loro dichiarazioni hanno reso omaggio alla grandezza dell’opera e all’eccezionalità del pittore fiorentino Benozzo Gozzoli, che amò Montefalco onorandola con i suoi capolavori.
Numerosi gli eventi collaterali che hanno coinvolto in questi mesi la visita alla magnifica Pala: visite guidate, attività didattiche per scuole e famiglie, concerti, incontri a tema.
Molto apprezzato anche il catalogo della mostra, in italiano e inglese, realizzato grazie al prezioso contributo dell’azienda Fabiana Filippi. Il volume presenta il restauro della magnifica Pala d’altare ed è completato da un accurato apparato fotografico che ne illustra le fasi e i dettagli artistici, oltre a notizie biografiche e una bibliografia essenziale.
Puntuale ed efficace il prezioso lavoro informativo dell’Ufficio Stampa del complesso museale San Francesco di Montefalco che ha accompagnato, giorno per giorno, la vita dello straordinario evento.
Dal 1529 i frati Cappuccini risiedono nel cuore di Roma, dopo alcuni spostamenti, nel Seicento, papa Urbano VIII Barberini, costruisce la chiesa dell’Immacolata Concezione e l’annesso convento nella zona del suo Palazzo. Il fratello cardinale, Antonio, appartiene all’ordine, che è uno dei tre della Famiglia Francescana.
I Francescani sono, da sempre, devoti all’Immacolata Concezione. Il dogma è stato proclamato da Pio IX nel 1854.
I Cappuccini devono il loro nome al cappuccio triangolare, parte del loro abito, che li distingue dalle altre famiglie. I fondatori fra Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone caratterizzarono il movimento secondo un rigoroso modello di penitenza, povertà, preghiera, servizio ai sofferenti e vita eremitica, ispirato dalla Regola di San Francesco. L’ordine fu riconosciuto nel 1528 da papa Clemente VII.
Dal 1631 il convento fu sede della Curia Generale, trasferita nel 1890, della Curia Provinciale, della famiglia religiosa provinciale, dell’infermeria, del lanificio, degli studenti di teologia e filosofia e, più tardi, anche della tipografia.
Nel 1925 il convento fu demolito per la costruzione del Ministero delle Corporazioni e l’apertura di via Veneto. Tra il 2009 e il 2012 è stato ristrutturato il complesso formato da chiesa, convento, museo e cripta.
Il Museo dei Frati Minori della Provincia Romana conserva la memoria della storia e dei religiosi che l’hanno caratterizzata. I primi dipinti raffigurano i santi dell’ordine vissuti tra XVI e XVIII secolo: San Felice da Cantalice (1515-1587); San Giuseppe da Leonessa (1556- 1612); San Crispino da Viterbo (1668-1750). Nel XVII secolo visse anche padre Michele da Bergamo, architetto che lavorò per Urbano VIII anche come “revisore dei conti”.
Attraverso manoscritti e volumi a stampa, suppellettili e paramenti liturgici, oggetti preziosi e più umili e quotidiani, di farmacia, l’immagine del Cristo sanguinante, si arriva ai Cappuccini del XX secolo: S. Pio da Pietrelcina (1887- 1968); il mediatico “cappuccino della Tv italiana” Padre Mariano da Torino e l’artista Padre Ugolino da Belluno a cui è dedicata la mostra Oltre il bello allestita in occasione del Giubileo della Misericordia e che si chiuderà nel novembre 2017.
Chiude il percorso la Cripta-ossario, dall’impressionante decorazione, memento mori, realizzato tra il 1732 e il 1775, impiegando le ossa di circa 3700 defunti.
Un’alta e moderna scalinata a forbice conduce alla chiesa, dalla caratteristica pianta cappuccina, ad aula unica con cinque cappelle laterali per lato, separate dalla navata per mezzo di cancellate lignee. Decorazione sobria con l’impiego di materiali umili, come il legno, ma ricca di numerosi e importanti dipinti, come il San Michele Arcangelo di Guido Reni e il Cristo deriso del fiammingo caravaggesco Gherardo delle Notti. Ma su tutte si impone lo stupendo cielo del San Francesco che riceve le stigmate del Domenichino. In prossimità dell’altare maggiore, il seicentesco monumento funebre del cardinale Antonio Barberini e il settecentesco di Alessandro Sobieski (nipote del re polacco Giovanni III vincitore sull’armata turca a Vienna nel 1683) opera di Camillo Rusconi.
Una parete separa il presbiterio dal retrostante coro, in cui è allestita la mostra di Padre Ugolino da Belluno (1919- 2002), Oltre il bello.
Il percorso espositivo è stato organizzato in maniera cronologica, per permettere di cogliere l’evoluzione dell’artista, attraverso le diverse sperimentazioni espressive. Dal figurativo, alla parola-simbolo, all’astratto e di nuovo al figurativo. Tra il 1951 e il 1962 frequentò Giorgio de Chirico e Gino Severini. Quest’ultimo, fu determinante per l’acquisizione della tecnica del mosaico parietale. Della sua opera, che si esprime al meglio nella pittura murale, ha lasciato numerose testimonianze nella decorazione di chiese, a Roma, nel Lazio, ma anche in altre regioni d’Italia e all’estero.
In occasione dei festeggiamenti del cinquecentenario della nascita di S. Teresa d'Avila, è stato restaurato il capolavoro del Bernini, l'Estasi di S. Teresa. In realtà, l'intera Cappella Cornaro nella chiesa di S. Maria della Vittoria, è stata oggetto dell'intervento, conclusosi a giugno, ma inaugurato ora, in prossimità dell'inizio del Giubileo straordinario della Misericordia il prossimo 8 dicembre.
La conferenza stampa si è aperta con i saluti delle autorità religiose e laiche. I padri Carmelitani, che ne hanno commissionato la costruzione a Carlo Maderno nel 1608, officiano la chiesa che fa parte del Fondo Edifici di Culto. Ente nato a seguito della soppressione delle proprietà ecclesiastiche nella seconda metà del 1800 e che si occupa della tutela, della valorizzazione, della conservazione e del restauro di più di settecento chiese distribuite sul territorio nazionale.
Daniela Porro, passata dalla direzione della Soprintendenza del Polo museale romano a quella del Segretariato regionale del Ministero per i Beni Culturali, ha riassunto la storia della chiesa e dell'opera.
Padre Rocco Visca, rettore della chiesa, ha completato l'introduzione sull'edificio. Inizialmente dedicato a San Paolo apostolo, ma a seguito della battaglia della Montagna Bianca presso Praga, nel 1620, che vide la vittoria dei cattolici sui protestanti, intitolato all'immagine mariana, considerata vera responsabile del successo. Il carmelitano padre Domenico di Gesù e Maria, cappellano e combattente, portò a Roma l'immagine di "Maria in adorazione del Bambino" che, tuttora campeggia sull'altare centrale della chiesa di cui ha improntato la decorazione. Padre Rocco ha poi condotto l'uditorio verso una dimensione più spirituale, illustrando la figura e le opere di Santa Teresa. Attraverso gli scritti, citando in particolare Il Castello Interiore, ma anche attraverso la vita, come fondatrice di ordini e mistica, ma anche donna pratica, alle prese con problemi reali. È stata definita "la più santa tra le donne e la più donna tra le sante". La sua stessa descrizione dell'estasi mistica è stata materialmente raffigurata dal Bernini nel capolavoro oggetto del restauro: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio”.
La parola è passata poi ai restauratori che hanno operato nei loro interventi quella fusione tra materiale e spirituale, che rende un'opera d'arte, un'esperienza personale e interiore.
Il restauro è sempre un'occasione di studio. Uno dei frutti più ghiotti è stato, come descritto da Lia Di Giacomo, che ha diretto i lavori, la scoperta che il banco di nuvole che sostiene la Santa non era interrotto in origine dalla cornice, ma era connesso al piedistallo in travertino (nel muro esterno della chiesa è possibile vedere il blocco su cui poggia il gruppo marmoreo inserito nel testo murario). La “continuità” della nuvola, conferma il collegamento del gruppo della Santa e dell'Angelo con tutto l'impianto decorativo della cappella, come interpretato dal maggiore studioso del Bernini Irving Lavin.
Il restauratore Giuseppe Mantella ha descritto il lavoro fatto, reso necessario, anche e soprattutto, dall'inquinamento atmosferico prodotto dal semaforo all'angolo della chiesa (che già a pochi mesi dalla fine del restauro, ha determinato di nuovo il deposito di polveri grasse sulle superfici).
Le tecniche diagnostiche hanno evidenziato la presenza di sostanze (paraloid) di un precedente restauro (circa 20 anni fa) e l'infiltrazione di resine nel marmo quando è stata realizzata la decorazione dorata della volta. Sono inoltre stati trovati frammenti del vetro giallo della finestra ellittica, che fa entrare dall'altro la luce sul monumento. La campagna fotografica ha documentato anche la tecnica dell'artista: gli strumenti utilizzati, le superfici nascoste lasciate non finite, non levigate, con la traccia, appunto, degli strumenti incisori; i frammenti di marmo aggiunti, una mano, un lembo della veste. Ma anche il lavoro sul fianco dell'angelo per rendere il vento del movimento, che gli scompiglia anche i capelli. La storia ha modificato l'opera originale. La nuvola è stata "trasformata" in cornice, probabilmente, quando il bronzo dorato dei raggi della grazia divina e quello del dardo dell'angelo (di cui una foto mostra il foro di fissaggio) sono stati rimossi in epoca napoleonica, a seguito del trattato di Tolentino del 1797.
Il paliotto d’altare, che passa solitamente inosservato, è, invece, non solo parte integrante, ma determinante e fondante del senso compiuto e del programma iconografico dell'intera cappella.
Sante Guido, che lo ha restaurato, ne ha illustrato le caratteristiche. Vi è raffigurata l’Ultima cena in bronzo dorato su fondo lapislazzuli. La mano anonima dell'esecutore è stata inserita in un contesto che vede un nesso con la decorazione della cappella Raimondi di S. Pietro in Montorio (sempre Bernini 1640 ca, con Estasi di S. Francesco sull'altare e bassorilievi con volatili e rose nelle mura laterali); l'altare del Santissimo Sacramento di S. Giovanni in Laterano (Ultima cena in alto, in nesso con la reliquia del legno della tavola). Ma anche con il bassorilievo nella cappella Paolina di Santa Maria Maggiore, in cui è raffigurato papa Liberio che traccia il perimetro di fondazione della basilica. Un'altro altare condurrebbe a Malta. Infine anche all'ambito di Camillo Mariani, il cui capolavoro (sculture di santi) si trova nella vicina chiesa di S. Bernardo alle terme.
Il programma decorativo descrive un duplice percorso: dall'alto verso il basso, con la presenza della colomba simbolo dello Spirito Santo negli affreschi dell’Abbatini. La luce che dall'oculo sopra la Santa e l'Angelo scende insieme ai raggi dorati è figura di Dio Padre. Il Figlio è presente nell'Ultima cena, come punto di arrivo di questo movimento che dall'alto passa attraverso la Transverberazione di Santa Teresa, modello e culmine dell'esperienza mistica. L'ultima cena è, però, anche il punto di partenza del moto ascensionale che, dal pavimento in cui le tarsie di marmi (provenienti da Villa Adriana a Tivoli), raffigurano scheletri emergenti, prosegue in alto con la Santa Teresa, alla cui estasi assistono i membri della famiglia Cornaro affacciati ai coretti. Vivi, come a teatro, perché l'eucarestia e la fede, li hanno condotti alla vita eterna, più in alto, negli affreschi, la Gloria dello Spirito Santo.
La Madonna della Cintola, dipinta intorno al 1450 da Benedetto Gozzoli, allievo prediletto del Beato Angelico può essere ammirata nel suo originale splendore, rappresentata mentre sale al cielo e si volge dolcemente verso l’Apostolo Tommaso per offrirgli la sua cintura, egli che aveva già dubitato della resurrezione di Cristo riceve il dono a testimonianza dell’evento miracoloso dell’assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Correva l’anno 1848 e precisamente il giorno 9 del mese di Maggio quando Papa Pio IX a “perpetua memoria” concedeva il tanto sospirato titolo di “Città” a Montefalco con il seguente diploma: “Sull’esempio dei nostri predecessori romani pontefici siamo soliti conferire di buon grado il titolo e l’onore di Città a quelle terre che per numero di abitanti, dignità di costumi, lodevoli operosità, e soprattutto per certa ed indiscussa fedeltà ed obbedienza verso la Sede Apostolica si distinguano. Ora, v’è in Umbria una terra, chiamata Montefalco, che veramente non di sol Titolo è adorna. E’ noto infatti che, oltre la sua antichità, essa fu ricca di uomini i quali, o per santità di costumi meritano di essere ascritti ai fasti celesti, o per fortezza d’animo procacciarono a loro stessi e alla patria grande lode in pace e in guerra “.
“Oggi quello stesso amore di patria e la comunità Montefalchese” ci conferma con il consueto entusiasmo Donatella Tesei, sindaco di Montefalco, “ mi hanno spinto con determinazione a ricercare la strada per riportare a Montefalco, con una mostra straordinaria, quella preziosa pala di Benozzo Gozzoli, che la città riconoscente per il prestigioso titolo ricevuto, donò a Papa Pio IX. Dunque, dopo 167 anni la preziosa Pala della “Madonna della Cintola” torna a Montefalco per congiungersi, seppur temporaneamente, al prezioso ciclo degli affreschi che il maestro Benozzo Gozzoli realizzò nello stesso periodo nella Chiesa Museo di San Francesco.Il risultato raggiunto è per me e per tutta la comunità una gioia immensa.Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione e guida del Prof Antonio Paolucci direttore dei Musei Vaticani, di sua Ecc. Renato Boccardo, degli amici dell’Accademia della “Cultura Montefalco” e altre autorità e sponsor , che mi hanno esortata a continuare e “lottare” perché questo desiderio si avverasse … credo che la realizzazione di questo importante progetto sia motivo di vanto per l’intera comunità, non solo per la grande importanza culturale dell’evento ma anche per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico Montefalchese …”.
“Il prestigioso risultato raggiunto nella ristrutturazione dell’opera ” , commenta il Prof. Paolucci, “ è uno dei capolavori del Rinascimento pittorico italiano come il restauro condotto dagli operatori dei Musei Vaticani, Alessandra Zarelli e Massimo Alesi, per la direzione di Arnold Nesselrath coadiuvato da Adele Breda, ha dimostrato: carpenteria lignea di straordinaria qualità, quasi un capolavoro di ingegneria strutturale, arrivato miracolosamente intatto fino ad oggi; cromia tenera e luminosa, sottigliezze fiamminghe degne dell’Angelico, all’altezza del Tabernacolo dei Linaioli e degli affreschi di San Marco.
Ora, portando dal Vaticano a Montefalco la grande pala dell’Assunta, già in San Fortunato, tutti potranno vedere come quell’insegnamento ha fruttificato negli anni fino a diventare lo stile maturo del pittore autore del ciclo del San Francesco.
Per realizzare una impresa come questa, l’amore per la patria, il desiderio di far conoscere e di valorizzare la gloriosa tradizione artistica di Montefalco non erano però da soli sufficienti. Ci volevano, perché il progetto arrivasse al risultato, lungimiranza, pazienza, determinazione, capacità di spiegare e di persuadere.
Sono queste le risorse che solo la buona politica può mettere in campo ed è quello che Donatella Tesei ha saputo fare, attivando e coltivando gli opportuni contatti con i Musei Vaticani, coinvolgendo la comunità, reperendo le risorse necessarie al costoso restauro.
Così a luglio del 2015 Bernozzo Gozzoli è tornato a Montefalco presentando la più bella, la più prestigiosa fra le sue opere di pittura su tavola, mentre la Pinacoteca Vaticana si arricchisce di un prezioso restauro.”
Oltre 11.000 visitatori sono già arrivati ad ammirare lo splendore della eccezionale opera, in continua ascesa di pubblico e di critica richiamati dallo straordinario evento.
… E così, che ci rimane di questa stupenda giornata a Montefalco?
L’avvocato Donatella Tesei, sindaco di Montefalco, che con la forza delle sue idee, con il suo contagioso entusiasmo e carisma ha realizzato questo affascinante evento.
Il Prof. Antonio Paolucci … profondo, al tempo stesso accogliente, sembra prenderti per mano e portarti “dentro” l’opera d’arte; giunto al commiato confessa “si può pensare che Benozzo Gozzoli si fosse innamorato di Montefalco ... e anche io!”
Un affettuoso scroscio di applausi a non finire da una platea attenta, sofisticata e orgogliosa.
Grazie Montefalco!
È arrivata a Roma al Complesso del Vittoriano, la seconda tornata di opere dal Musée d'Orsay di Parigi. Lo scorso anno si è tenuta la mostra dedicata alla storiadell’istituzione parigina.
Ora è la volta di Impressionisti, tête à tête in corso fino al 7 febbraio 2016. Come si evince dal titolo, è il ritratto l’affascinante tema prescelto. Più di sessanta opere, in gran parte dipinti, ma anche qualche scultura, ci mostrano i volti dei protagonisti, non solo della pittura, ma anche della cultura e della società dell’epoca.
Curatori sono Guy Cogeval, presidente dei Musée d’Orsay et de l’Orangerie, il direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura Xavier Rey e Ophélie Ferlier, conservatore del dipartimento di scultura. Quest’ultima ha rimarcato come la mostra offra occasione, più di quanto lo consenta la sede d’origine, di un confronto-dialogo tra pittura e scultura. Le sculture esposte non sono in gran numero e di dimensioni contenute, tra queste il ritratto di Victor Hugo di Rodin del 1897 e una delle fusioni di Ecce Puer, o Impressione di bambino (Ritratto di Alfred Mond a sei anni) del 1906.
Altro italiano in mostra, Giovanni Boldini, che fa toccare con mano i materiali dell’elegante guardaroba delle signore da lui ritratte che sembrano presenti con tutta la loro verve e lo charme, in questo caso si tratta Madame Charles Max, immortalata nel 1896.
La viscontessa di Poilloüe de Saint Perier di John Singer Sargent ritratta 1883, spicca nel suo abito rosso.
Una sola l’autrice presente, Berthe Morisot, con Giovane donna in abito da ballo del 1879 e L’ortensia o le due sorelle del 1894.
Le opere coprono un periodo tra il 1850 e il 1920, illustrano ciò che c’era prima e ciò che viene dopo l’Impressionismo. Attraverso i volti si dà conto anche del contesto storico sociale.
Una sezione è dedicata all’infanzia. Bambino e donna in un interno di Paul Mathey del 1890 ca, colpisce per la costruzione dell’immagine, dalla figura del bambino biondo, l’occhio dello spettatore è portato all’interno della casa, che si approfondisce grazie a piani differenti. Nell’interno pieno d’atmosfera si svela l’attività della donna. Interno di una casa o dell’inconscio?
Non tutti famosi gli autori, una manciata sono i capolavori conosciuti e caratterizzanti il movimento. Tra questi Il balcone di Manet del 1890, L’altalena di Renoir del 1867, la Donna con caffettiera di Cezanne, realizzata tra il 1890 e il 1895.
Un filmato che spiega la nascita e lo sviluppo dell’impressionismo apre la mostra, che prosegue con le foto e le biografie degli artisti.
Impressionisti, têteàtête
Roma, Complesso del Vittoriano
15 ottobre 2015- 7 febbraio 2016
Orario: dal lunedì al giovedì 9.30-19.30
venerdì e sabato 9.30-22.00
domenica 9.30-20.30
Ingresso: intero €.12,00; ridotto €. 9,00
Info: 06 6780664
Catalogo: Skira €. 38,00