L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La Riflessione!
La pandemia continua. I virologi chiedono nuove chiusure, i governi tentennano e si arrendono solo di fronte a situazioni incontrollabili. Le economie sono al collasso. Noi in Italia ci difendiamo dicendo “siamo stati i più bravi ed insegniamo al resto del mondo come e cosa si deve fare”. Ma la pandemia corre anche da noi e qualche governatore è pronto con il “lanciafiamme”. E l’enogastronomia si trova di fronte a prossime, possibili, parziali, chiusure. Le manifestazioni, se pur in difficoltà organizzative, pianificano le date, gli appuntamenti, per dare ossigeno a questo comparto in agonia e i vaccini, quelli veri, testati, efficaci, sono sempre lontani a venire.
Frammento n. 1
Erbamat, chi è costui?
1 agosto 2017. Il nuovo disciplinare Franciacorta, prevede l’utilizzo del vitigno autoctono Erbamat, a bacca bianca, nella produzione dello spumante. Solo un 10% ma è solo l’inizio. Motivazione ufficiale: dare allo spumante Franciacorta una propria identità e gestire, nel contempo, le conseguenze del cambiamento climatico. Il tutto, garantiscono gli esperti, per non rischiare il crollo delle acidità.
Frammento n. 2
All’asta i vini di Pinchiorri.
Notizia che ha addolorato migliaia e migliaia di wine lovers. Tenuta, da Zachy’s, casa d’asta londinese specializzata in vini, la vendita di 2.500 bottiglie di pregio, tesoro della cantina più fornita d’Italia. La cantina del ristorante Enoteca Pinchiorri di Firenze. Alcune bottiglie vendute? Magnum Vosne-Romanée Cros-Parantoux reserve Henri Jayer 1999 (base asta 60 mila sterline), Romanée-Conti 1990 (partenza 24 mila sterline). Il motivo spiegato da Giorgio Pinchiorri e da sua moglie Annie Féolde: “Il covid-19 non c’entra visto che la preparazione di questa asta è cominciata nel 2019.Solo creare un grande evento che potesse rimanere nella storia e portare valore all’Enoteca”.Spetta a noi crederci!
Frammento n. 3
Toscana, caos al Consorzio di Pitigliano e Sovana.
Un Presidente eletto che resta in carica solo 6 mesi. Messo in minoranza e sostituito da altra figura rappresentante della potente Cantina Sociale di Pitigliano in virtù della rappresentanza di ben 80% dei produttori. Storie legate ai campanilismi radicati in questo territorio, lotta tra il bianco di Pitigliano e il Rosso di Sovana. Situazione attuale? I produttori autonomi seguono il Presidente precedentemente eletto e nel Consorzio rimane solo la Cooperativa Cantina Sociale. “Stiamo costituendo una nuova Associazione – spiega Edoardo Ventimiglia della cantina Sassotondo – per promuovere i vini di questo particolare territorio dandogli una specifica connotazione come Volcanic Wines (per la vicinanza del Monte Amiata)”. Siamo solo agli inizi; vedremo come finirà la rivolta.
Notizie flash
- Festival Nazionale Spumantitalia 2021. Dal 21 al 24 gennaio sul Lago di Garda. Una kermesse che vedrà la partecipazione, come invitati, di maison straniere. Da mettere in agenda.
- Piemonte, Albese. Nasce un nuovo Consorzio: Consorzio Albesia. Ne sono costituenti i produttori facenti parte dell’Associazione Produttori Albesia. Presidente: Marina Marcarino.
- Villa Crespia, l’arcinota Tenuta della Franciacorta comunica: Riccardo Cotarella e il suo Team alla guida dei vini Villa Crespia. A darne l’annuncio la famiglia Muratori e più precisamente la seconda generazione. Dal 2020 la firma di Cotarella sull’intera gamma.
- La notizia è ufficiale: Autochtona 2020 si fa. Nuova formula per il Forum dedicato ai vitigni autoctoni italiani. 19 e 20 ottobre le date. Fiera di Bolzano la location. Per notizie dettagliate: www.fierabolzano.it
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
la dottoressa Margareta Griesz-Brisson (video) |
La neurologa Margareta Griesz-Brisson commenta le misure COVID19. Mette in guardia in particolare contro l’obbligo di indossare mascherine per i bambini. Indossando le mascherine, soprattutto i bambini sarebbero irreversibilmente danneggiati a vita. La carenza latente di ossigeno nel cervello porta alla distruzione irreversibile delle cellule cerebrali.
Secondo topdoctors.co.uk, la dottoressa Margareta Griesz-Brisson è uno dei principali consulenti neurologi in Europa, con sede ad Harley Street, Londra. È direttore medico della London Neurology & Pain Clinic, dove attualmente cura i suoi pazienti.
La dottoressa è specializzato in neurologia, neuroregenerazione, neuroplasticità, neurotossicologia, medicina ambientale e terapia del dolore. Tra gli altri, Margareta Griesz-Brisson è membro dell’Accademia Americana di Neurologia, della Federazione Europea delle Società Neurologiche e dell’Accademia Europea di Medicina Ambientale. Lavora anche come medico legale in Gran Bretagna, Norvegia, Germania, Svizzera e Stati Uniti.
TRASCRIZIONE
Ciao, questo è il mio primo video e anche a rischio di mettermi in cattiva luce, realizzerò questo video. Non sono un gran parlatore, ma guardo le persone negli occhi e quando sorridono so che mi hanno capito.
Questo funziona in qualsiasi lingua e con qualsiasi accento. Mi chiamo Margareta Griesz-Brisson. Sono una neurologa con uno studio professionale a Müllheim in Germania e uno studio neurologico a Londra.
Seguo con crescente preoccupazione gli eventi in Germania e nel mondo. La epidemia del coronavirus si è rivelata un’influenza moderata e le misure adottate sono state un disastro assoluto a tutti i livelli. La prossima influenza arriverà con il prossimo inverno – ma per favore non fatevi prendere dal panico. Gli americani dicono che ci vogliono due persone per ballare il tango. Ci vogliono due per ballare il tango ma anche per un’infezione. Un agente patogeno e un ospite. E se l’ospite è forte, può affrontare il patogeno tranquillamente. La salute, o la nostra salute, è in gran parte nelle nostre mani. Attraverso il buon cibo, la buona acqua, molto esercizio fisico, la socievolezza, la gioia, gli amici, l’amore e molta, molta aria fresca possiamo rafforzare il nostro sistema immunitario. Noti qualcosa che non va? Questo è esattamente ciò che il governo ci proibisce di fare. E quello che ci raccomandano in cambio è che ci disinfettiamo le mani, manteniamo le distanze e ci copriamo la bocca e il naso. Per la disinfezione delle mani sono state immesse sul mercato in brevissimo tempo enormi quantità di prodotti non testati. Non possiamo nemmeno immaginare la quantità di allergie, malattie della pelle, reazioni immunitarie, eczemi (n.d.r. in arrivo)
Le distanze non possono essere superate nella brutalità, nel disprezzo e nella crudeltà nei confronti dell’umanità e sono certamente assolutamente senza precedenti nella storia dell’umanità. E il tanto amato copri bocca e copri naso. L’uomo può vivere per settimane senza cibo, per giorni senza acqua, ma solo per qualche minuto senza ossigeno e senza respirare. Il reflusso dell’aria espirata, o quando si respira o si respira nuovamente l’aria espirata, provoca inevitabilmente una mancanza di ossigeno e un’inondazione di anidride carbonica.
Tuttavia, sappiamo che il cervello umano è molto sensibile alla carenza di ossigeno. Ci sono cellule nervose, ad esempio nell’ipocampo, che non possono sopravvivere per più di tre minuti senza ossigeno. I sintomi acuti della carenza di ossigeno sono mal di testa, sonnolenza, vertigini, problemi di concentrazione, tempi di reazione rallentati. In altre parole, limitazioni nel funzionamento cognitivo. Questi sintomi scompaiono con o nella privazione cronica di ossigeno. Ci si abitua. Ma le vostre prestazioni, la vostra efficienza sarà comunque compromessa. E la carenza di ossigeno nel cervello continua a progredire.
Sappiamo che le malattie neurodegenerative hanno un avanzamento di anni a decenni. Ciò significa che se oggi dimentichi il tuo numero di telefono, la degradazione del tuo cervello è iniziata 20 o 30 anni fa. Mentre si pensa di essersi abituati alla mascherina e alla propria aria espirata, i processi degenerativi nel cervello, intensificati dalla mancanza di ossigeno, continuno a crescere.
Il secondo problema del cervello è che le cellule nervose non si dividono o si dividono quasi per niente. Ciò significa che se il governo ci permettesse di respirare di nuovo ossigeno (n.d.r. togliere la mascherina) tra qualche mese, le cellule nervose perdute non saranno recuperate attraverso la divisione cellulare. Ciò che è andato è andato.
Questo è particolarmente importante per le persone ansiose che credono di potersi proteggere dai virus attraverso questa mascherina. Il virus ha una dimensione di circa 0,08 micrometri. I pori delle maschere comuni hanno una dimensione da 80 a 500 micrometri e continueranno ad ingrandirsi ad ogni lavaggio supplementare. Una maschera comune, quindi, non protegge affatto da un virus.
Io non indosso una maschera. Ho bisogno del mio cervello per pensare. Voglio affrontare i miei pazienti con testa chiara e mente lucida. Non sotto narcosi da anidride carbonica.
A Londra, almeno per il momento, l’esenzione medica è accettata e rispettata assolutamente senza commenti. Nella mia amata Germania, nel frattempo, ogni pilota, ogni steward, ogni commesso/a, ogni venditore, ogni pedone, ogni vicino di casa è promosso nel consiglio di sorveglianza delle mascherine, o è stato promosso o si è promosso lui stesso. I piloti della Lufthansa cacciano i passeggeri dall’aereo, perché chi non può indossare mascherina non può certo sopravvivere a un volo. A me è successo. La mattina dopo British Airways non ha nemmeno chiesto una mascherina. Ero arrivato a Londra viva.
Forse vi ricordate che qualche mese fa un uomo di colore è stato ucciso da un poliziotto per strada in America. Allora l’uomo disse: “Non riesco a respirare! Non riesco a respirare!” E il poliziotto ha spinto più forte. Oggi il popolo tedesco dice: “Non riusciamo a respirare! – e la nostra Cancelliera dice: “150 Euro di multa!”.
Come neurologa, devo dire esplicitamente che ogni persona che lo desidera ha diritto all’esenzione medica dalla mascherina. Non esiste un certificato infondato, falso o gratuito. La mancanza di ossigeno danneggia ogni cervello. Deve essere la libera decisione di ogni persona di accettare la mancanza di ossigeno nel proprio cervello per proteggersi con una mascherina inefficace contro i virus.
Per i bambini e i giovani le mascherine sono un assoluto NoNo! I bambini e gli adolescenti hanno naturalmente un sistema immunitario molto attivo e adattivo e hanno bisogno di una costante esposizione al microbioma terrestre. Il loro cervello è così follemente attivo, ha così tanto da imparare. Il cervello di un bambino o di un adolescente ha sete di ossigeno. Più un organo è metabolicamente attivo, più ha bisogno di ossigeno.
Nei bambini e negli adolescenti ogni organo è metabolicamente attivo. Privare il cervello di un bambino o di un adolescente dell’ossigeno o anche limitarlo non solo è pericoloso per la salute, ma è assolutamente criminale. La mancanza di ossigeno inibisce lo sviluppo del cervello – e i danni che ne derivano non possono essere invertiti. Il bambino ha bisogno del cervello per imparare. E il cervello ha bisogno di ossigeno per funzionare. Non abbiamo bisogno di una sperimentazione clinica per questo, questa è una fisiologia semplice, semplice ma indiscutibile.
La carenza di ossigeno indotta deliberatamente e specificamente è un deliberato e intenzionale pericolo per la salute e una controindicazione medica assoluta.
In medicina, una controindicazione assoluta significa che questo farmaco, questo metodo, questa terapia o questa misura non devono essere utilizzati. Al fine di imporre una controindicazione medica assoluta come misura obbligatoria a tutta la popolazione, devono essere presentate ragioni chiare e serie, che devono essere riesaminate e approvate all’unanimità dai comitati e dalle autorità competenti, interdisciplinari e indipendenti.
Quando tra 10 anni le malattie da demenza aumenteranno in modo esponenziale e le giovani generazioni non saranno in grado di utilizzare il potenziale che Dio ha dato loro, sarà inutile dire che non avevamo bisogno delle mascherine.
E la vaccinazione benefica? La signora Merkel dice: “La pandemia sarà finita quando sarà disponibile un vaccino efficace”. Signora Merkel, cosa sa di virus e vaccini? Avete mai guardato negli occhi dei genitori che hanno un figlio handicappato? E coloro che vi mostrano le foto di com’era questo bambino prima della vaccinazione?
No, non lo hai fatto. Noi addetti ai sondaggi possiamo vedere immagini come queste in continuazione. E non c’è niente al mondo che possiamo restituire a quei genitori i loro figli. Avete idea di quanto sia doloroso per quei genitori? Signora Merkel, un’inoculazione non è un’oca di Natale che si ordina a Pasqua per essere consegnata a Natale (n.d.r. lascio all’intuizione del lettore il compito di capire il senso :).
Per favore, lasciate la salute del vostro popolo ai medici.
Come possono un veterinario, un virologo di laboratorio, un distributore di software, un uomo d’affari, un produttore di auto elettriche, un fisico decidere della salute di un intero popolo?
Prego, cari colleghi! Tutti noi dobbiamo crescere, ehm, svegliarci. E magari anche crescere. So quanto sia dannosa per il cervello la mancanza di ossigeno. Il cardiologo lo sa per il cuore, il pneumologo lo sa per i polmoni. La mancanza di ossigeno danneggia ogni organo.
E dove sono le nostre autorità sanitarie? Dove sono le nostre assicurazioni sanitarie? E le nostre associazioni mediche? Sarebbe stato loro dovere affrontare questa follia con tutta la determinazione fin dall’inizio, con tutta la determinazione di affrontarla e fermarla. Perché le commissioni mediche intervengono per punire i medici che scrivono certificati per i loro pazienti? L’essere umano deve dimostrare o il medico deve dimostrare che la mancanza di ossigeno è dannosa per l’essere umano o per il paziente? Che tipo di medicina rappresentano le nostre associazioni mediche?
L’iniziale mancanza di prove dell’efficacia di queste misure si è ora trasformata in una chiara prova di evidenza di inefficacia. Eppure il delirio continua? Chi è responsabile di questo crimine? Quelli che vogliono imporre le misure? O quelli che lo lasciano accadere, quelli che partecipano o quelli che non lo impediscono?
Svegliati, Germania. Non si tratta di mascherine. Non si tratta di virus. E non si tratta certo della vostra salute. Si tratta di molto, molto di più. Io non parteciperò. Non ho paura, signora Merkel. Vengo dalla Romania. Sono sopravvissuta a Ceaușescu.
Prima della mia partenza per la Repubblica Federale di Germania ero ospite permanente della polizia rumena. Indossavo occhiali da sole scuri, anche sotto la pioggia. In modo che non si vedessero gli occhi che piangono. Allora avevo paura, ero giovane, volevo vivere. E quando sono arrivato in Germania, a volte mi sono dovuta fermare per strada, perché ero così felice che non potevo proseguire.
“Sono in Germania, sono libera.”
Solo chi non è mai stato libero prima conosce questa sensazione. Oggi non ho più paura, ho avuto una vita meravigliosa e piena di soddisfazioni. Mi è stato permesso di studiare medicina, ho fatto il mio anno pratico alle Hawaii, la mia formazione specialistica a New York. E tutto quello che ho e che sono oggi, lo devo alla Germania.
E quando oggi vado alle manifestazioni, mi schiero a favore di chi è giovane d’oggi e forse ha paura; come me allora. Voglio dirvi un’altra cosa. La dittatura del proletariato in tutto il suo abominio, ci ha garantito istruzione, lavoro, assistenza sanitaria e pensioni gratuite. Non illudetevi che la dittatura finanziaria che stiamo affrontando vi offra anche la minima cosa simile. Come potete vedere, ci stanno già togliendo la capacità di respirare.
L’imperativo dell’ora è la responsabilità personale.
Siamo responsabili di ciò che pensiamo. Non i media.
Siamo responsabili di ciò che facciamo. Non il nostro capo.
Siamo responsabili della nostra salute. Non l’OMS.
E siamo responsabili di ciò che accade nel nostro Paese. Non il nostro governo.
Sveglia Germania! Siete un paese meraviglioso. Un popolo così meraviglioso. Grazie. Grazie, Germania.
Traduzione a cura di Nogeoingegneria
Codice etico per tutti i medici
Perché una rinomata dottoressa si espone alla volgarità dei suoi critici? Perché non si trattiene?
Perché è un medico e quindi si impegna per il popolo e non per la politica.
Nella dichiarazione di uno studio legale con sede a Madrid, si legge: “C’è un consenso tra gli esperti sul fatto che le misure attuali sono sproporzionate rispetto ai danni collaterali causati. Abbiamo chiesto direttamente ad alcuni di questi esperti molto credibili perché non pubblicano le loro opinioni e non si uniscono alle trasmissioni televisive e presentano i fatti da una prospettiva diversa. Sorprendentemente, la riluttanza era giustificata da un lato dall’incertezza, ma soprattutto dal timore di essere squalificati come teorici della cospirazione”.
Ci sono buone ragioni per avere più paura dei responsabii delle disposizioni contro il coronavirus che del virus stesso. Più medici dovrebbero avere il coraggio di prendere una posizione. In tutto il mondo i medici si appellano al Giuramento di Ginevra. In molti paesi è parte integrante della professione medica, in alcuni è addirittura legale. La World Medical Association (WMA) si aspetta che la versione riveduta sia riconosciuta in tutto il mondo come un codice etico per tutti i medici, secondo la rivista medica Ärzteblatt. Traduzione della Dichiarazione di Ginevra, autorizzata dall’Associazione Medica Mondiale, 2017
Il giuramento medico di Ginevra afferma, tra le altre cose:
“Non userò, nemmeno sotto minaccia, le mie conoscenze mediche per violare i diritti umani e le libertà civili”.
Articolo integrale https://ruhrkultour.de/margareta-griesz-brisson-zu-den-coronamassnahmen/
Era marzo di quest’anno e per Ricciardi: “quelle mascherine devono essere date solo al personale sanitario e ai malati». E poi la dichiarazione: «Ai sani non servono assolutamente a niente, non danno nessuna protezione nei confronti dei virus che penetrano attraverso quei fogli di garza. È solo una paranoia che la gente utilizza in maniera impropria».
Il Min. Lucia Azzolina e il Pres. della Regione Sicillia, Nello Musumeci, al tavolo della FIDAPA |
Sbarcata ad Agrigento al motto di “Riparte la scuola, riparte L’Italia”, leziosamente stampato sulla mascherina nera, ieri, sabato 26 settembre, la ministra Lucia Azzolina, dopo il gomito a gomito col Presidente Musumeci, si è gentilmente offerta alle domande dei giornalisti giunti numerosi per l’evento di risonanza mondiale.
A motivazione della sua presenza presso il capoluogo agrigentino il XXXVIII Convegno Nazionale della FIDAPA-BPW Italy (Federazione Italiana delle Donne nelle Arti, Professioni e Affari) aderente alla I.F.B.P.W. (International Federation of Business and Professional Women) sul tema nazionale che quest’anno ha scelto le vestigia dell’antica Akragas quale dimora d’eccellenza per un tema di forte attualità: Il Tempo delle Donne. Un indicatore attuale delle sperequazioni di genere.
“Aprite gli occhi sulle donne” ha più volte ribadito la giovane ministra, siracusana d’origine, “donne che lavorano, studiano, sognano”, narrando, per inciso, anche la sua esperienza, comune a tanti, oggi come ieri, di giovane insegnante che, con una “valigia di cartone” lascia la sua Terra per la professione. E dentro quella valigia, oltre ai sogni e alle competenze, fondamentale il bagaglio culturale acquisito fra i banchi di scuola (quelli di legno!), ribadendo, così, l’importanza del ruolo svolto dalla scuola sulla formazione di un’ Italia che sia un Paese migliore per le pari opportunità, con particolare attenzione rivolta a colmare il divario fra giovani e istituzioni. Citato anche Victor Hugo, nel perorare la sua causa tutta al femminile, indicando l’uguaglianza come base della piena libertà…salvo poi rinnegare quell’uguaglianza di genere, poco prima auspicata, inneggiando alle donne che sono state le prime ad isolare il ceppo del Coronavirus, almeno su computer. Perché, in un convegno dedicato ai diritti della donna, ancora non acquisiti, nonostante interminabili anni di lotte e rivendicazioni, il vero protagonista invisibile è sempre il virus e l’osannato vaccino che anche il Governatore della regione non ha certo mancato di promuovere nel corso del suo intervento.
“Artigiano della politica”, si è definito Musumeci, quella politica che è l’arte del governo dei popoli, narrando di quei 36.000 morti per Covid (pari alla metà dei morti della Seconda guerra) che, a suo dire, non fanno scalpore, perché non si vedono. Aspettando che “Il vaccino arrivi!”.
Lodevoli i propositi di questo “Uomo del Centro destra” che, nella sua politica di risanamento post Covid, non tralascia neanche Dio e il suo ineluttabile giudizio.
Intanto fra promesse di incentivi finanziari per scuola e famiglia da parte dei politici di casa, il miglior auspicio per il futuro sembra essere stato quello espresso dalla Presidente Internazionale Amany Asfour che, nei toni speziati della sua mise esotica, ha invocato a gran voce, in un italiano stentato ma deciso, LA PACE NEL MONDO.
Una sala convegni a Tashkent |
L’Uzbekistan è un paese dell'Asia Centrale, da sempre corridoio di passaggio tra India da una parte, Russia, Persia e Penisola Arabica dall’altra. Qui sono nate e hanno avuto diffusione le principali religioni: dallo Zoroastrismo al Buddhismo, dall’Ebraismo al Cristianesimo fino ad arrivare all’Islam e alla sua dimensione mistica, il Sufismo.
Professori a Samarkanda |
Samarcanda, Bukara e Khiva sono il simbolo di un patrimonio culturale dal valore immenso, ma ancora poco conosciuto fuori dai confini nazionali. Le motivazioni sono da ricercare nelle complesse vicende storico-politiche che hanno riguardato il paese negli ultimi decenni: dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’ex Unione Sovietica nel 1991, la ricostruzione politica ma anche sociale del paese è stata tutt’altro che semplice.
Una tappa importante nella storia attuale dell’Uzbekistan sono state le elezioni legislative parlamentari, le prime dall'arrivo alla guida del Paese del Presidente Mirziyoyev, che hanno avuto luogo il 22 dicembre scorso.
Sono state avviate numerose riforme ed un processo di democratizzazione del Paese sin dal 2016; programmi mirati ad affrontare, in primo luogo, quelle questioni sociopolitiche riguardanti gli interessi vitali dei cittadini uzbeki. Vengono altresì sostenute strategie per i giovani, considerati la risorsa più importante sulla quale investire.
Dall’inizio dell’anno il COVID-19 è divenuto una questione centrale nell’agenda globale. Su questo argomento il Presidente ha proposto un fondo comune per assicurare la
Hostess del treno Tashkent Samarkanda |
tutela dei cittadini di tutti i Paesi vicini colpiti dalla pandemia, e la vicenda è seguita con attenzione anche dai giovani volontari uzbeki. Nel paese i giovani costituiscono più della metà della popolazione e la salvaguardia dei loro diritti, della loro libertà e interessi legittimi sono la priorità. Con le loro promettenti iniziative, progetti sociali e volontari, sono attivamente coinvolti nel sostenere la popolazione più vulnerabile e nella promozione di nuovi programmi di tutela per i contagi.
Il lago D'Aral |
La politica incentiva scambi bilaterali, socio-economici e culturali con altri paesi, Italia compresa. Si tratta di un’apertura senza precedenti e certamente un risultato “storico”. Lo scorso 23 settembre, lo stesso Presidente, durante la 75ma Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ampiamente evidenziato i vari aspetti caratterizzanti il suo programma ed ha ancora una volta ribadito l’adesione ai principi delle Nazioni Unite.
In virtù di questa apertura sono stati ripresi e intensificati i contatti con il nostro paese, in particolare con l’associazione culturale Ncr.it, di cui ne è presidente il dott. Salvo Cacciola, il quale ha visitato più volte il Paese ed è stato invitato, per la seconda volta, dal Governo uzbeko in qualità di osservatore internazionale alle elezioni del nuovo Parlamento.
Questa sua missione in Uzbekistan è stata anche l’occasione per ricostruire i progressi degli ultimi anni e fare il punto
Danzatrice uzbeka |
sulla situazione attuale di molte Regioni del Paese, a partire da quella politica: l’attuale Presidente Mirziyoyev ha preso il posto dello scomparso Presidente, Islom A. Karimov, che Cacciola conobbe personalmente ad un Convegno Mondiale per la ricostruzione delle zone rurali e per i progetti sostenibili sull'ambiente. La collaborazione tra l’associazione con Tashkent risale al 2012 e da allora non si è mai interrotta, salvo brevi periodi; l’occasione fu data dalla situazione del “Lago di Aral”, il quarto lago salato più grande del mondo, di origine oceanica, che nel giro di pochi decenni era stato prosciugato quasi totalmente da un progetto ideato dal regime di Stalin, che avrebbe voluto impiantare in quell'area un’imponente produzione di cotone affinché l’Unione Sovietica diventasse il secondo produttore di cotone al mondo. Il referente iniziale in Uzbekistan dell’associazione italiana fu il presidente del Movimento Ecologico Parlamentare dell’Uzbekistan con il quale, alla presenza di molti Ministri, Cacciola a nome
Il Presidente Mirziyoyev |
dell’associazione firmò un Memorandum d’Intesa di partenariato. A seguito di questo accordo, fu possibile osservare e studiare da vicino la drammatica metamorfosi subita dall’ambiente e l’associazione italiana poté così dare un importante contributo documentaristico. A tutt’oggi collabora assiduamente con il nuovo Ambasciatore dell’Uzbekistan in Italia, S.E. Otabek Akbarov, molto impegnato ad incrementare i rapporti socio-economi e culturali con il nostro Paese. Numerose le iniziative portate avanti, soprattutto quelle rivolte alla tutela e conoscenza dell'ambiente: favoriti i programmi di sviluppo tecnicoscientifico con Istituti, Università italiane ed Uzbeke di ogni ordine e grado.
Publio Virgilio Marone nasce ad Andes, nei pressi di Mantova, il 15 ottobre del 70 a.C. muore a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C.
Il padre, Stimicone Virgilio Marone, è un piccolo proprietario terriero, mentre la madre, Polla Magio, è figlia di un noto mercante della zona. Il giovane Publio Virgilio studia a Cremona presso la scuola di grammatica, conseguendo all’età di soli quindici anni la toga virile. Di seguito si trasferisce a Milano, dove studierà – retorica - e poi a Roma nel 53 a.C., dove si dedica allo studio del greco, del latino, della matematica e della medicina.
A Roma frequenterà la scuola del celebre maestro Epidio, dedicandosi allo studio dell’eloquenza che gli sarebbe servito per intraprendere la carriera professionale di avvocato. In occasione del suo primo discorso in pubblico però, Virgilio, avendo un carattere molto riservato e mite, non riesce nemmeno a introdurre una frase, avendo dei difetti nella pronuncia, dunque decide di abbandonare gli studi di oratoria continuando però quelli di medicina, filosofia e matematica.
Virgilio vive in un periodo storico molto complesso, infatti, nel 44 a. C. muore Giulio Cesare in una congiura, conseguenza della rivalità tra Marco Antonio e Ottaviano suoi successori. Durante la battaglia di “Filippi” del 42 a.C. che vede contrapposto l’esercito di Ottaviano con le Forze di Bruto e Cassio, Virgilio perde molte delle proprietà che possiede nell’area mantovana che vengono confiscate e consegnate ai veterani di Ottaviano. Queste perdite lo segneranno tantissimo. In occasione del suo rientro ad Andes, il poeta passati diversi anni incontra l’amico Asinio Pollione, che deve distribuire le terre del mantovano ai veterani di Ottaviano. Nonostante abbia cercato di fare tutto il possibile per tenere i suoi possedimenti, Virgilio non ci riesce, facendo ritorno a Roma nel 43 a.C. L’anno successivo, insieme al padre e agli altri suoi familiari, si trasferisce in Campania, a Napoli. Ci rimarrà per poco dopo aver rifiutato persino l’offerta di ospitalità da Augusto e dall’illustre Mecenate preferendo di fare una vita tranquilla nel Sud Italia. Nel suo soggiorno a Napoli egli frequenta la scuola – epicurea - dei celebri filosofi Filodemo e Sirone. Nel corso delle lezioni che si tengono nella scuola, conosce numerosi intellettuali, artisti e politici. E’ in quest’occasione che incontra Orazio. Dedicandosi alla lettura del “De rerum natura” di Lucrezio, afferma di non condivide la concezione secondo cui deve essere negata l’immortalità dell’anima. Grazie a Mecenate entra a far parte del suo circolo letterario, diventando un poeta molto illustre nell’epoca imperiale. Per la sua prima opera “Le Bucoliche”, scritta a Napoli, il poeta Virgilio trae ispirazione dai precetti epicurei. Nell’opera sembra voler rappresentare, tramite i suoi personaggi, il dramma che ha segnato la sua vita, ovvero l’esproprio dei suoi possessi mantovani dopo la battaglia di “Filippi”.
Tra il 36 e il 29 a.C. , durante il suo lungo soggiorno a Napoli, compone un altro dei suoi capolavori letterari: “Le Georgiche”. In quest’opera, articolata in quattro libri, racconta il lavoro sui campi, descrive attività come l’allevamento, l’arbicoltura e l’apicoltura. In questo poema inoltre vuole indicare un modello ideale di società umana, una visione personale della società del futuro. I quattro libri contengono sempre una digressione storica: ad esempio, nel primo libro, racconta l’episodio della morte di Cesare, avvenuta il 15 marzo del 44 a.C. Nel 29 a.C. nella sua abitazione campana, il poeta ospita Augusto che è di ritorno dalla spedizione militare vittoriosa di Azio contro Marco Antonio e Cleopatra.
Virgilio, con l’aiuto di Mecenate, legge ad Augusto il suo componimento poetico, “Le Georgiche” divenendo così uno dei poeti prediletti dell’Imperatore e di tutto l’Impero romano. L’ultima opera letteraria da lui scritta è “L’Eneide” composta tra il 29 a.C. e il 19 a.C. nella città di Napoli e in Sicilia. In quest’Opera viene narrata la vicenda di Enea, in fuga da Troia, rappresentato come uomo pio, dedito allo sviluppo del proprio Paese. Uomo ligio e virtuoso che con la sua pietas, riesce quindi a fondare la città di Roma, rendendola gloriosa e importante. Il poema ha come obiettivo quello di ricordare la grandezza di Giulio Cesare, del suo figlio adottivo Cesare Ottaviano Augusto e dei loro discendenti. Infatti, Virgilio chiama Ascanio, il figlio di Enea, “Iulo” considerandolo come uno degli antenati della gloriosa Gens Iulia. In quest’opera, con il suo grande ingegno letterario, immagina che i Troiani siano gli antenati dei Romani, mentre i Greci vengono rappresentati come dei nemici, i quali poi saranno assoggettati all’Impero romano. Condizione per la quale i romani rispetteranno i Greci sottomessi. Nel 19 a.C. Virgilio svolge un lungo viaggio tra la “Grecia e l’Asia” con l’obiettivo di conoscere i luoghi che descriverà nell’Eneide e per accrescere la sua sete di cultura. Nella città di Atene il poeta incontra Augusto che in quel momento sta facendo ritorno dal suo viaggio nelle Province orientali dell’Impero. Su consiglio dello stesso Imperatore, decide di tornare in Italia a causa delle sue deboli condizioni di salute.
Dopo avere visitato Megara, Publio Virgilio Marone muore a Brindisi il 21 settembre dello stesso anno a causa di un “colpo di sole”, mentre sta ritornando dal suo lungo viaggio di ritorno. Il poeta, prima di morire, chiede ai suoi compagni Varo e Tucca di bruciare il manoscritto dell’Eneide, non essendo terminato e sottoposto a revisione, ma come sappiamo queste sue ultime volontà non furono rispettate. Muore e viene ricordato dai cittadini della Brindisi Romana in una casa a ridosso della Colonne del Porto, le imponenti e amate colonne simbolo dell’importanza di questa città nel periodo romano. Le sue spoglie come da sue volontà, vengono in seguito trasferite a Napoli, mentre Augusto e Mecenate per riconoscenza e nonostante la contrarietà dello stesso poeta, fanno pubblicare l’Eneide, affidando il compito agli stessi Varo e Tucca, i compagni più intimi di studi di Virgilio.
In epoca medievale i resti di Virgilio vanno perduti (e qui cominciano i misteri).
Nella sua tomba compaiono ancora le seguenti frasi in latino: “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope, cecini pascua, rura, duces”; letteralmente si può tradurre come: "Mantova mi generò, la Calabria (attuale Puglia) mi rapì, e ora mi tiene Napoli; cantai i pascoli, le campagne, i condottieri". La leggenda narra che questa frase sarebbe stata dettata dallo stesso Virgilio in punto di morte.
Il poco conosciuto Virgilio “Mago”
Durante il medioevo “normanno e angioino”, trovò enorme credito la teoria o leggenda che Virgilio fosse stato un Mago. da dove scaturiva questa bizzarra, per alcuni, teoria?
La strana e inusuale, tomba di Virgilio è sita nel parco di Piedigrotta che porta il suo nome, manifesta due orientamenti cosiddetti “d’amore”: una colta che riguarda la sua prestigiosa opera letteraria, l’altra popolare che lo venera come “Mago e Salvatore” della stessa città; il liberatore da varie “jatture” come l’invasione di insetti o serpenti, con l’ausilio di particolari incantesimi. La testimonianza più affascinante di questa credenza popolare risiede tutta nel nome di “Castel dell’Ovo” riferito alla “turrita” struttura dell’isolotto di S. Salvatore, la greca Megaride, in seguito unita artificialmente alla costa dal Borgo Marinaro.
Nel periodo medievale, proprio quando si ha notizia della sparizione dei suoi miseri resti, nella zona fiorì una grande scuola “ermetica” che si occupava di “alchimia”. Megaride divenne presto rifugio di eremiti che occuparono le piccole grotte naturali ed i ruderi delle costruzioni romane della grande “domus luculliana” che dalle pendici di Pizzo Falcone giungeva all’isolotto.
Di seguito i monaci Basiliani riutilizzarono le possenti colonne romane per ornare la sala del loro cenobio, come ancora si può notare visitando oggi Castel dell’Ovo. Per una più attenta analisi, invitiamo il lettore a porre bene l’attenzione su nome stesso di Castel dell’Ovo di cui la sua origine resta alquanto “misteriosa”. Nel simbolismo alchemico il concetto di «uovo Filosofale», è la storta (vaso di vetro, rotondo con il becco rivolto verso il basso che serve a distillare la materia nel corso dell’Opera) nella quale viene posta la materia prima e con la quale si procede alla “Grande Opera” durante la cosiddetta "via umida", più lunga ma più sicura, contrapposta alla "via secca" in cui si opera con il più comune crogiolo.
Questo “uovo” di metallo o di un particolare vetro nel quale avveniva la lenta trasmutazione degli elementi primari – zolfo e mercurio – in metallo prezioso, “l’Oro alchemico”, che rappresentava la simbolica operazione iniziatica che determinava la profonda mutazione dello “spirito e dell’intelligenza” dell’alchimista. Veniva poi rinchiuso all'interno dell'Athanor, chiamato simbolicamente con diversi nomi, come Torre, Prigione o Caverna. Per gli alchimisti l’Athanor era il termine usato per designare un “forno” il cui calore serviva ad eseguire la “digestione alchemica”, utilizzato per la prima volta da Raimondo Lullo nel suo “Elucidatio Testamenti R. Lulli”. In questo ruolo, dunque, l'”uovo Filosofico” fa le veci simboliche dell'uovo del Mondo mentre l'Athanor, nella più diffusa interpretazione è la corrispondenza micro-macrocosmo che diviene assimilato al "cosmo"!
In un documento molto datato si legge di un antico amanuense (addetto a scrivere a mano atti e documenti) che aveva speso tutta la sua esistenza, nello studio e nella trascrizione del poeta e “mago” Virgilio, da cui traspare la profonda cultura virgiliana della classe colta e religiosa “partenopea” tra il Medioevo angioino e il Rinascimento aragonese. In antichi testi alchemici, gelosamente custoditi da studiosi napoletani, si legge di: “… soluzione de vergilio ...” o più avanti “... lo spireto de frutta de vergilio ...” ; citato anche come: “ … l’acqua de lo Mago Vergilio ...”. Indizi fortemente indicativi. Certo è che per agli scettici nulla fa escludere che un “ignoto alchimista” si chiamasse Virgilio e che avesse distillato uno “spirito di frutta”. Ma perché di frutta? Aveva a che fare forse con il fatto che Virgilio scrisse le Georgiche quale “Inno alla Terra” e le Bucoliche quale “Inno all’Uomo”?
Si può intuire che il sommo poeta mantovano, nei suoi lunghi soggiorni napoletani, oltre che frequentare la scuola epicurea di Sirone come abbiamo detto, abbia potuto carpire il “segreto” di alcune distillazioni da qualche “stregone” seguace dei misteri orfici, e avendo nel cuore Esiodo e Lucrezio, si sia addentrato nella conoscenza “segreta” della natura “iniziandosi”, molto probabilmente ai culti di Cerere e Proserpina, culti misterici allora vivissimi nella potente Neapolis. Un aspetto particolarissimo e controverso è proprio quello della definizione stessa di Virgilio come Poeta o come “Iniziato ai misteri”, e persino veggente e profeta, dopo quando, nella “IV egloga delle Bucoliche”, molti studiosi si sono attardati a vedere una sorta di “profezia” sulla nascita di Gesù o di altri profetizzati eventi del tutto destituiti di verità. Altro fatto e che ci si ostina a non voler vedere, la traccia dell’autentica intenzione virgiliana cioè: il Compimento dell’Opera Alchemica, ovvero la nascita dell’Oro ottenuto nell’Athanor manipolando la Terra Vergine o Madre; come è eloquente l’incipit dell’ultimo canto del “Paradiso” di Dante.
A prova di questa ipotesi, cioè che fosse prima un iniziato e poi un poeta e scrittore, la storiografia medievale narra che Virgilio entrò nel castello di Megaride e vi pose un “uovo chiuso” in una gabbietta che fece murare in una nicchia delle fondamenta, avvisando che alla rottura dell’uovo la città sarebbe crollata; così nasce molto probabilmente il nome di “Castel dell’Ovo” che l’isolotto ha sempre conservato, e lo si evince sia dagli scritti antichi che da una radicata tradizione orale; un’altra ancor più inquietante, vede Virgilio evocare dal nulla un gruppo di demoni infuocati affinché potessero scavargli una grotta lunga un chilometro ai piedi di una collina. Un'apertura simile a quella di un acquedotto che avrebbe rifornito le città e i paesi circostanti. Il lavoro si sarebbe completato in una sola notte, se non fosse passato di lì un cittadino che, gridando impaurito verso i lampi di luce e il frastuono del “lavorio”, mise in fuga gli spiriti infernali che si volatilizzarono nel nulla. Questi lasciarono il lavoro quasi ultimato, poiché soltanto per altri 100 metri il tunnel sarebbe stato costruito. E' così che nacque la Crypta Neapolitana, sita tra la tomba commemorativa di Leopardi e il colombario che conteneva (ma ora non più) le ossa di Virgilio. Al momento della morte di Virgilio, un grande albero di alloro prosperava vicino all'ingresso della Tomba rigoglioso per mezzo delle “energie Magiche” del corpo del Poeta, acquisendone le stesse capacità “magiche e terapeutiche. Lo stesso Maestoso albero, si dice morì nello stesso anno della morte di Dante, e ne fu piantato uno nuovo dal Petrarca. I suoi rami e le sue foglie venivano utilizzati come dagli insegnamenti misterici delle sacerdotesse di Apollo che ne masticavano le foglie e ne respiravano le esalazioni per ottenere visioni profetiche.
Questa pianta assume una importanza notevole nel periodo medievale dove i visitatori che se ne appropriavano “segretamente”, la utilizzavano per evocare influssi di chiaroveggenza e saggezza, sebbene il suo sapore sia molto forte. Le foglie di alloro sotto il cuscino portavano sogni profetici, e bruciate provocavano visioni. È una pianta di protezione e purificazione per eccellenza. Alcuni la portavano addosso come amuleto per scacciare le negatività e il male, bruciata e sparsa durante gli “esorcismi”, appesa sopra le finestre per difendere la casa dai fulmini, adoperata per evitare che gli “spiriti insidiosi” seminassero zizzania in casa. L’albero di alloro piantato vicino ad una casa allontana le malattie. Utilizzate perché un amore duri nel tempo, la coppia doveva staccare un ramoscello di alloro, dividerlo in due e tenerne ognuno una metà. Le foglie donavano forza e prestanza agli atleti se portate addosso durante una gara. Se si scriveva un desiderio sopra una foglia di alloro e la si bruciava, venivano esauditi tutti i desideri e tenuta in bocca proteggeva dalla “sfortuna”.
Nota curiosa e anch’essa controversa vuole che ben prima di S. Gennaro, Virgilio, fosse una sorta di protettore della città di Napoli, per le doti “taumaturgiche” riconosciutegli, fatto che spiega il trafugamento delle povere ossa.
Siamo forse arrivati al livello più basso con alcuni programmi televisivi.
Ciò che disarma, è che sono i più seguiti. La televisione spazzatura dove il gossip ha più valore del bambino siriano ucciso nei peggiori dei modi, della donna violata, delle guerre delle quali non si parla perché non ci sono i guadagni e i riscontri, delle leggi da attuare mai considerate, degli ultimi, degli invisibili.
La tv spazzatura, dove la cultura è inesistente e l’esibizionismo del sé diventa dottrina da mettere in prima pagina.
Siamo ormai arrivati a un punto dove l’audience è il braccio di ferro fra i Palinsesti.
Non importa se gli argomenti sono vuoti o privi di senso, l’importante è esibire. Si esibisce la morte facendone show senza riguardo alcuno trasmettendo la sofferenza, il dolore, la violenza mentre la gente diventa spettatore del male e di argomenti spesso distorti da poca professionalità di alcuni presentatori.
Conduzioni dove la parola è espressa sempre più con linguaggio banale e dal contenuto povero convergendo in discussioni di bassa attrattiva. E cosa dire di quei programmi importati e scopiazzati dall’estero, dove si usa il corpo solo come provocazione per indurre interesse ai voyeur dello schermo? il pettegolezzo come verità da ascoltare. Sempre meno argomenti sul sociale, dossier informativi, documentari-verità. Sempre più fumo negli occhi.
Cosa è cambiato, la televisione o lo spettatore? Perché questo tipo di programmazioni sono seguite da audience altissimi? Perché in tempi così difficili, così complicati a livello internazionale, nazionale, di economia, di politica, di storia, di malattie, di società ai margini ci sono tante persone che hanno interesse a tanta pochezza televisiva? Perché gli acquisti di alcuni settimanali scandalistici di bassa cultura giornalistica sono al top delle vendite? Siamo arrivati ad essere questo o ci vogliono lobotomizzati e distratti? Disoccupazione, malasanità, povertà, difficoltà economiche, intrallazzi di potere, favoritismi, scandali e ingiustizie sono all’ordine del giorno. Lo sappiamo tutti, ce ne accorgiamo e ci arrabbiamo, ma il programmino strutturato a dovere ci ipnotizza, rimandando così quelle riflessioni che ci logorano e che ci fanno capire quanto siamo deboli e fragili in balia degli eventi.
Dovremmo tornare a seguire con attenzione quelle notizie che parlano di disagio, degli ultimi messi ai margini, del degrado, del barbone che dorme al giardinetto vicino a casa nostra. Dovremmo soffermarci e ricordarsi che quella scatola con lo schermo che abbiamo in casa, è solo uno strumento spesso di evasione ma che la vita è ben altro dei chiacchiericci sulla soubrette, sul calciatore o sui tradimenti e che la morte non è solo lo spettacolo da esibire ma dolore e perdita. Sempre!
La televisione spazzatura che attraverso lo scandalo, la morte come spettacolo, il seno e le labbra rifatte, la parolaccia, e il pettegolezzo, non ci toglierà il malessere, il disagio, la solitudine, la depressione ma sarà solo un palliativo che arricchirà chi, con poca intelligenza ma destrezza psicologica, avrà fatto di noi lo spettatore di un niente mentre il tutto è là fuori in attesa che qualcuno lo cambi.
Panzano in Chianti |
Analizziamo bene il successo di questa manifestazione.
Iniziamo dai promotori: Unione Viticoltori di Panzano in Chianti. Chi sono?
“Dall’esigenza di condividere un percorso comune pur nel rispetto delle identità che ogni azienda esprime con i propri prodotti, dando il proprio apporto personale per una esperienza collettiva” pur mantenendo, aggiungo, la comune posizione e appartenenza (non tutti ma quasi) al Consorzio Chianti Classico ( quello del Gallo Nero).
“Nata nel 1995, l’Unione Viticoltori di Panzano nel Chianti, è un’associazione che unisce 22 viticoltori con un’idea comune: produrre vini di altissimo livello nel rispetto della propria terra”.
Perché Unione e non Associazione o Accordo?
Unione come necessità di una stretta collaborazione e urgenza di un'azione comune.
La Manifestazione
Nata dalla necessità di degustare più vini per Azienda e di diverse annate, conoscere da vicino un territorio e una Associazione (appena nata) che propone al mercato enologico italiano ed internazionale vini biologici e di filiera corta.
Dare, durante la manifestazione, la possibile di acquistare i vini in all’interno di uno stand allestito ad hoc.
il logo 2020 |
Niente di diverso da altri eventi sparsi su tutto il territorio nazionale.
Per l’edizione 2020 tutto è cambiato, complice il Covid-19.
Non organizzare e predisporre distanziamenti, ingabbiamenti (box plexi glass), evitando gli assemblamenti e i necessari controlli da parte della Polizia Locale, ma: “il visitatore, dopo aver acquistato il suo calice in piazza a Panzano in Chianti (una specie di iscrizione all’evento), potrà degustare i vini recandosi direttamente con il proprio mezzo nelle 22 aziende, in orario 10:00 – 18:00”
E ad attenderci in azienda il titolare o il direttore, i loro staff, capire con le loro descrizioni le varie location, ammirarando le vigne generatrici dei vari “campioni”, visitare le cantine vecchie e nuove, capire i futuri progetti ed ascoltare i racconti “di come nascono certi vini”.
Stringere la mano (non materialmente) alla Signora Maurizia, al direttore Stefano, ad un veterano di tante battaglie come il Sig. Renzo ed allora Vino al Vino, l’evento dell’ Unione Viticoltori di Panzano nel Chianti, raggiunge un’altra dimensione: far vivere in prima persona l’appartenenza a questo particolare territorio.
il Gallo Nero simbolo del Chianti Classico |
Ecco perché Vino al Vino è stato diverso, ecco perché tutti quanti, produttori, stampa, wine lovers, chiediamo di continuare in questa direzione rendendo la Manifestazione unica nel suo genere. Chapeau!
Urano Cupisti
Se è difficile far funzionare armonicamente un condominio, tanto più lo è far funzionare una comunità eterogenea come una nazione. Ma a guardare la storia gli esseri umani da millenni dibattono sui medesimi problemi e sulle possibili soluzioni da adottare, senza riuscire a mutare in meglio il corso della storia: le stesse ingiustizie, gli stessi crimini, le stesse inquietudini.
Coloro che, attraverso i media, parlano di politica o di economia, generalmente dicono le medesime cose in forma diversa e alla fine le problematiche risultano ancora più complesse e l’ascoltatore spesso non ricorda nulla e soprattutto non comprende quale è la causa del problema e quale deve essere la sua parte. E’ come se in guerra si arringassero le truppe senza far capire loro lo scopo della missione.
Il linguaggio è forbito con frasi e neologismi accessibili solo agli addetti ai lavori o a persone della stessa progenie. In un insopprimibile veglia di primeggiare vi è una’ansimante, affannosa e cardiopatica corsa a parlare il più possibile, magari rubando la parola dell’avversario o sopraffarlo con una fulminante battuta finale. Insomma, tutti dicono le stesse cose in termini diversi che è come rivendicare il diritto di avere la stessa minestra in un piatto diverso, lontani dal pensiero di chi diceva: “Sia il
vostro dire si si no no, il di più viene dal maligno” (Mtt, 5,37).
La stragrande maggioranza delle persone non ha buona stima dei politici e ritiene questi una categoria a parte, interessata solo ai propri interessi.
Fino quando il soggetto resta solo un candidato politico viene considerato persona rispettabile, onesta, di sani propositi, da sostenere; ma, si ritiene che nel momento in cui viene politicamente eletto diventa automaticamente un corrotto, preoccupato solo dei suoi vantaggi, un nemico da combattere.
Ci si dimentica che i politici sono una fetta del popolo con le stesse virtù ed i medesimi difetti e che coloro che criticano o condannano l’operato dei politici forse al loro posto si comporterebbero allo stesso modo, se non peggio, perché, nella sostanza, sono i meccanismi che sono perversi e che quasi costringono l’individuo eletto a scendere a compromessi. Ma i meccanismi sono fatti dagli uomini e non serve cambiarli se non cambia la coscienza e il modo di pensare di chi li fa e li gestisce. E’ come
concentrare le proprie risorse sulla necessità di cambiare l’automobile senza chiedersi se il conducente è in grado di guidare.
Quello che stupisce è che la storia non insegna nulla agli esseri umani; tutto l’impegno politico è improntato ad arginare gli effetti prodotti dall’insano comportamento umano intriso di egoismo e attitudine predatoria.
Non ci sarà mai un mondo migliore finché non ci sarà la volontà politica di intervenire sulla persona attraverso un piano globale di educazione delle masse, che parte dalla scuola e dalla famiglia, con lo scopo di favorire lo sviluppo dei valori fondamentali della vita: l’onestà, il senso di giustizia, la fraterna collaborazione, il rispetto ed il valore delle diversità, la non invasione dello spazio fisico, mentale e morale dell’altro. A molti può sembrare semplicistico quanto difficile da attuare, ma è il solo obiettivo trascurato quanto scelleratamente e volutamente ignorato.
Certo ognuno ha la sua visione delle cose, ma molti hanno percezioni limitate, altri sono in buna fede, ma quel che è assurdo e incomprensibile è: come mai la stragrande maggioranza della popolazione non comprende che è il cuore, la coscienza degli uomini a fare la storia, l’intima sensibilità delle persone? Come mai non riesce a svincolarsi dal condizionamento mentale e morale della cultura antropocentrica e sintomatologica intesa ad arginare i sintomi non a debellare le cause dei problemi? Come mai continua a credere che saranno i sistemi economici o politici a risolvere i problemi e non la saggezza del pensiero positivo dell’uomo?
Molti sono i motivi per cui l’essere umano si comporta ingiustamente nei confronti del suo simile, ma non c’è azione delittuosa che non passa attraverso la coscienza degli uomini, il suo intimo sentire. E’ la coscienza infatti a fare la storia che se fosse più giusta e sensibile alla condizione dell’altro fino a condividerne le necessità vitali non potrebbe esprimersi in modo lesivo. Perché dunque l’umanità continua a trascurare questo aspetto risolutore? Perché non si impegna ad intervenire sulle cause dei suoi
problemi piuttosto che continuare a leccarsi le ferite dei sintomi?
La violenza in natura si manifesta principalmente perché un animale si sente minacciato o per motivi di sopravvivenza. Tra gli esseri umani si manifesta quando l’individuo viene privato di un suo diritto o si impossessa di ciò che non gli appartiene. La mucca non cede volentieri il suo latte agli umani, né la cavia si presta volentieri ad essere vivisezionata: ma all’essere umano non importa se l’animale, o l’altro, è d’accordo, anzi, non gliene frega nulla di ciò che l’altro pensa o può provare. Questo aspetto è
propedeutico alla mentalità predatrice che inevitabilmente si manifesta e si ripercuote anche nei confronti degli uomini.
Naturalmente l’educazione delle masse non sarà un processo né breve né facile, né tantomeno privo di contrasti ideologici. Passeranno generazioni prima che emerga la vera civiltà, prima che sia geneticamente sradicata dalla natura umana la propensione al sopruso, all’ingiustizia, alla violenza, alla sopraffazione. Ma se mai si inizia un’opera mai la si conclude e i problemi resteranno. A molti può sembrare pleonastico, ma non è forse il cardine del pensiero di tutti i grandi illuminati, quello di intervenire sull’uomo, sulla coscienza, sulla sensibilità, sulla bontà umana attraverso la conoscenza e lo sviluppo dei valori morali e spirituali? Già Socrate (come tutti i grandi filosofi), aveva indicato il valore imprescindibile dell’insegnamento delle virtù; anche Cavour prima di morire disse le stesse cose: “Educare l’infanzia e la gioventù”. Ma i politici sono
sordi agli insegnamenti dei grandi.
Osservando nella sua globalità i processi di digitalizzazione dei sistemi sociali e virtualizzazione progressiva della vita degli individui, dalla crisi finanziaria del 2008 alla crisi sanitaria del 2020, se ne possono scorgere non solo le ricadute socio-economiche, ma anche le trame cognitive, psicologiche e percettive dell'uomo. Tre facoltà già messe a dura prova dai cambiamenti politici e sociali degli ultimi decenni, tutti in varia misura complici della perdita di una facoltà umana essenziale: la dialettica, come strumento di confronto autentico con il sé e con l'altro.
L'aggravamento della crisi economica e sociale è solo il cambiamento più visibile innescato dall'emergenza sanitaria legata al Covid-19. Se in un primo momento alcuni avevano intravisto il primo passo verso una digitalizzazione accelerata delle collettività organizzate, non è soltanto perché le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) sono state per molti l'unico strumento di socialità e di produzione (dagli acquisti tramite applicazioni mobili al telelavoro); infatti, le principali metamorfosi degli individui e delle società dipendono in gran parte dalla presenza sempre più pervasiva di queste tecnologie nella vita quotidiana degli individui, dal momento che sempre più transazioni sociali, soprattutto private, avvengono tramite reti sociali e applicazioni mobili. Ciò, verosimilmente, trasformerà la percezione che l'uomo ha di se stesso, della propria corporeità e della propria presenza, posta sempre meno in relazione con la fisicità. Intanto, resta da comprendere se la tendenza all'iperconnessione e le dipendenze da videogiochi e da internet siano una causa o un sintomo dei mutamenti che hanno interessato la sfera psichica, cognitiva ed emozionale, dell'essere umano. Riflessioni su queste ultime, infatti, sono già presenti nella letteratura, nell'arte e nella filosofia degli inizi del secolo scorso, in conseguenza dei profondi cambiamenti prodotti dalla seconda rivoluzione industriale. Forme drammatiche di sfruttamento della forza lavoro umana si sono accompagnate all'inquadramento sociale e all'affermazione del modello di società di massa, caratteristici delle società industriali.
Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in effetti, risale ai più antichi sistemi economici basati sulla schiavitù, dall'antico Egitto al mondo greco-romano, nel quale gli schiavi erano considerati strumenti animati, di proprietà del padrone come un altro qualsiasi degli oggetti in suo possesso, e beni da commerciare. Generalmente giustificato sulla base dei codici di guerra e delle leggi di natura, questo istituto, a quanto risulta dalle fonti in nostro possesso, non è stato contestato che da pochi intellettuali e in epoca relativamente tarda, dai sofisti greci Antifonte e Alcidamante, dal pensiero stoico e dal pensiero cristiano. Peraltro, nell'antichità, il lavoro stesso, in quanto prerogativa degli schiavi non era affatto considerato un'attività nobilitante. Profondo deve essere stato quindi lo scalpore suscitato dalla tragedia Elettra di Euripide, il cui prologo è recitato da un auturgo, ossia un contadino indipendente, che nel corso del dramma sottolinea a più riprese come la vera nobiltà non sia quella del sangue, ma quella conquistata con azioni e comportamenti giusti. La schiavitù, inoltre, è attestata sin dalle prime fonti scritte, come nel codice di Hammurabi del 1750 a.C. circa, e ancor prima nelle sepolture di età neolitica. Insomma, la schiavitù in quanto legittimazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo nacque nella stessa fase in cui, secondo il filosofo Jean-Jacques Rousseau, nacque la proprietà privata, e con essa la diseguaglianza. Tuttavia, sono le forme di schiavitù affermatesi in epoca moderna ad aver individuato un principio di legittimazione in sé sufficiente, benché eticamente insostenibile: il profitto. Argomentazioni basate sulla presunta missione civilizzatrice da parte delle società superiori a beneficio di quelle inferiori non sono che espedienti per ridurre al silenzio il richiamo cristiano all’uguaglianza di tutti gli uomini, anche laddove si affermava la superiorità di questi ultimi sugli altri animali.
Lo stesso criterio del profitto legittimò infatti le nuove forme di schiavitù imposte dal sistema economico capitalista dopo la seconda rivoluzione industriale, che legò in maniera apparentemente indissolubile il successo dei meccanismi del mercato all’organizzazione delle collettività umane come gigantesche macchine produttive, all’interno delle quali l’individuo era considerato in base al ruolo che rivestiva in tali ingranaggi. Di qui il carattere alienante e disfunzionale delle società di massa, che emerge nella letteratura, nelle arti e nelle filosofie del XX secolo. Le metamorfosi antropologiche conseguenti a simili forme di addomesticazione delle masse sono sintetizzabili nell’identificazione tra posizione lavorativa e status sociale da un lato, e identità personale dall’altro. Di conseguenza, gli individui che vivevano in collettività organizzate sono stati condannati alla prigionia perpetua dei ruoli sociali imposti dai sistemi produttivi, che tendevano (e tendono) a inquadrare anche i gesti e i comportamenti quotidiani. Da questo punto di vista, la digitalizzazione e la virtualizzazione dell’esistenza umana ha soltanto cambiato le forme di un simile asservimento, rendendo quest’ultimo meno evidente, ma non meno feroce. In altri termini, l’iperconnessione, che si manifesta sotto diversi aspetti, dall’identità digitale che ciascun individuo si costruisce sulle reti sociali, alla repressione dei bisogni fisiologici da parte dei video-giocatori dipendenti (che in Corea del Sud arrivano a indossare un pannolino per non dover interrompere il gioco), fino all’oblio della cura di un figlio reale per occuparsi di figli virtuali (anche questo fenomeno è attestato in Corea del Sud), non è altro che la nuova forma di inquadramento sociale nata dalla diffusione massiccia delle TIC su scala globale. Tecnologie che svolgono quindi la stessa funzione delle istituzioni tradizionali delle società di massa, come la fabbrica, la scuola, le accademie o la televisione.
In fondo, la finalità è sempre la stessa, integrare le esistenze dei singoli individui nei meccanismi più funzionali all’economia di mercato: un tempo la fabbrica, oggi il web. Se dunque la seconda rivoluzione industriale aveva ridotto l’uomo a forza lavoro, a capitale umano, la rivoluzione digitale ne ha fatto una macchina produttrice di dati, analizzabili da algoritmi. Nessuno spazio dunque viene lasciato alla dialettica, come strumento del pensiero per superare se stesso e le proprie elaborazioni. Il che significa che anche filosofie che, come il transumanismo, auspicano il superamento da parte dell’uomo della propria condizione naturale grazie all’integrazione di componenti tecnologiche nell’organismo, non fanno altro che spingere lo sviluppo delle facoltà umane nella direzione che più si adatta al nuovo produttivismo digitale, portando alle estreme conseguenze le diseguaglianze sociali. La questione centrale non è in sé se l’uomo percepisca se stesso come corporeità o come proiezione digitale, ma l’uso e la strumentalizzazione che le classi dominanti delle attuali società in via di evoluzione decidono di realizzare di tali percezioni, ossia del ruolo che queste hanno e avranno negli ingranaggi produttivi. Parimenti, artificiale o naturale (il confine tra le due non è sempre nettamente determinabile), l’intelligenza, al pari delle altre facoltà e potenzialità umane, rischia di essere considerata ancora esclusivamente in funzione del mercato.
L'insegna |
Non un vitigno ma un vino. “Un vino locale”, autoctono, fatto con uve da vitigni alloctoni che troviamo diffusi in altre zone. Croatina, Uva Rara (Bonarda) e Vespolina (Ughetta).
Una sostanziale differenza: quelli usati per produrre il Barbacarlo sono diversi perché vengono allevati su di una collina dai suoli tufosi, con un microclima particolare. Ecco perché, Lino Maga, l’inventore del Barbacarlo, li ricorda sempre come vitigni locali, di quella parte del pavese esposta a sud-ovest e che permette di “ricevere il sole tutto il giorno”.
In un caldo giorno di questa torrida estate 2020 mi sono ritrovato a Broni nell’Oltrepò Pavese, alla ricerca di due miti. Mito lui, mito il suo
Il tavolo degustazione |
vino.
Sto parlando di Lino Maga, viticoltore, vignaiolo, filosofo alla sua maniera, contestatore, insomma “un personaggio” e del suo vino, Barbacarlo, assemblaggio di Croatina, Uva Rara, Vespolina, allevati nella vigna collinare posta a 300m s.l.m. con inclinazioni del 70% e un lavoro sfiancante da condurre solo a mano. Vigna Barbacarlo sulla collina di Porrei da sempre proprietà dei Maga. E proprio il nome della vigna e del suo vino a ricordo perenne di “zio Carlo” (zio nel dialetto locale si traduce con Barba), un antenato che ripartì la proprietà tra i suoi nipoti alla fine del XIX secolo.
Tutti elementi indispensabili per capire Lino Maga, il Barbacarlo e la filosofia di vita d’entrambi.
Varcato l’ingresso a volta mi sono trovato in una corte tipica pavese, di quelle divise con altre famiglie, osservato da occhi indiscreti, abituati poco da presenze estranee. Alle 10 in punto, orario certificato dal vicino campanile della Chiesa, ecco arrivare con passo “stanco” lui, ultraottantenne (classe 1931) Lino Maga, fisico asciutto, con l’inseparabile cappello, consumando come in un rito l’ennesima sigaretta del mattino. Mi osserva (non nascondo di essermi trovato in imbarazzo), mi scruta non distogliendo lo sguardo dal mio viso quasi a dire: “questo capirà di vino? Non sarà un perditempo?”
<<Mi segua>>. Precedendomi apre la porta che conduce in un passato remoto, fatto di cimeli, bottiglie da tutto il mondo avute in regalo e mai bevute, con al centro un tavolo per la degustazione.
Tutt’intorno diverse foto che lo ritraggono con personaggi importanti come presidenti della Repubblica, cardinali, filosofi, scrittori, attori, figure di grande credibilità e quelle più amate che lo ritraggono con l’inseparabile amico di bevute qual’era il giornalista sportivo Giovanni Brera.
I vini assaggiati |
Insieme alle foto, in bella evidenza, diversi “ammonimenti” scritti alla meglio che ricordano al visitatore i suoi pensieri filosofici come:
- Terra…Vite…Vino…La civiltà contadina in un bicchiere!
- Sono i terreni che fanno il Vino!
- La qualità del vino non nasce da una imposizione di legge, ma piuttosto da una vocazione del produttore.
- Il mio vino non esibisce diplomi né medaglie. L’unico autentico premio è il giudizio del consumatore!
- I francesi non sanno fare il vino, sono mediocri. Lo sanno vendere a peso d’Oro. Gli italiani sanno fare il vino. Non sanno venderlo e risulta per loro Piombo.
- Un consiglio per abbinare il mio Barbacarlo? Essere in due: la bottiglia e chi la beve!
Lino Maga e il "suo" cavatappi |
- Volete lo spumante? Il meglio: Barbacarlo naturale rosso!
Quest’ultima affermazione per la presenza nell’assemblaggio dell’uva rara, chiamata anche Bonarda, che con il suo trasporto di carbonica rende leggermente effervescente il vino.
Il tutto avvolto in una cappa di fumo di sigarette che rende tutto surreale. Anche la signora che lo aiuta nelle degustazioni fuma come una “turca” e collabora nel servizio dei vini con la sigaretta che pende dalle labbra.
Vi da noia il fumo? Evitate la visita da Lino Maga, dove le leggi antifumo si fermano all’ingresso.
E non parlate di papille gustative che assorbono nicotina e rendono gli assaggi “truccati”. Vi tiene seduti per ore dimostrando alla fine che il piacere del tabacco è interconnesso con il piacere di un “buon bicchiere di rosso”. Personaggio da accettare così, autentico, sanguigno e pertanto “favoloso”.
È lui a raccontare la storia di famiglia, le battaglie in difesa del nome Barbacarlo opponendosi a consorzi, produttori, denominazioni, politica e quello che lui chiama "il sistema". Solo contro tutti. E alla fine il Barbacarlo è solo suo!
Infine, visto il mio interessamento e il continuo assenso a tutte le sue innumerevoli espressioni filosofiche, ha iniziato a parlare dei “segreti”: conduzione in vigna e in cantina.
<<L’azienda Barbacarlo si estende su circa 8 ettari vitati. Nessun diserbante o prodotti chimici, solo lavoro di braccia. La raccolta è selettiva. In cantina arriva solo il meglio della produzione>>.
<< Fermentazioni con macerazioni in vecchie botti di rovere. Dopo la svinatura diversi travasi per la decantazione naturale. In primavera l’imbottigliamento, un primo affinamento orizzontale per poi passare alla posizione verticale per la vendita>>.
Berlo subito? Sconsigliato, l’affinamento in bottiglia deve essere nel tempo, fino anche a trent’anni. Il fondo che s’intravede è sinonimo di alta qualità. Evitare di agitare la
bottiglia.
insieme a Lino Maga
<<Il Barbacarlo va rispettato e lui riserverà magiche emozioni>>
Gli assaggi.
Personaggio inserito nel suo mondo di provocazioni cerca il suo cavatappi personale che altro non è che Il classico cavatappi casalingo, con le caratteristiche "ali" d'estrazione.
<<Si meraviglia per l’utilizzo di questo cavatappi evoluzione del tirabusciòn a vite?>> Rispondo ricordando che nelle tecniche di servizio stabilite dalle Associazioni delle Sommellerie è categoricamente vietato.
<<Perché? È il più comodo, semplice ed estrazione sicura. Deve sapere che Dominick Rosati che lo progettò in parte nel 1930, lo ritenne il sistema più semplice, maneggevole per l’uso al quale era chiamato. E la versione più moderna, da attribuire a Tullio Campagnolo realizzata nel 1966, che recepì la necessità di avere anche una possibilità di stappare i tappi a corona, lo ha reso ancor più funzionale>>. Il tutto accompagnato da una alzata di spalla, come dire “è stupido negarlo”.
Inutile insistere, avrei perso anche questa battaglia.
Gli assaggi non porteranno le mie considerazioni in voti. Una scelta dovuta vuoi al personaggio carismatico e un po’ permaloso vuoi ai vini stessi, diversi tra loro.
- Barbacarlo 2016. Naso che sprigiona un’incantevole complessità aromatica. Il palato che si snoda in una lunga e persistente sensazione di freschezza (acidità e sapidità).
- Barbacarlo 2017 Definito da Lino Maga “problematico”, da bere con amici che possono capire le varie evoluzioni.
La corte
- Barbacarlo 2018 Merita la menzione ed un augurio: invecchiare con queste sensazioni olfattive e gustative.
- Montebuono 2017 Infine abbiamo parlato di un secondo vino dove il tocco di barbera unisce all’eleganza gustativa quella caratteristica di fruttato che non guasta. <<Ogni anno la natura gli dà la propria impronta madre per cui ogni annata porta un particolare carisma>>.
<< Deve sapere che mangio presto e i rintocchi del campanile della chiesa sono stati 12, li ho contati>>. Come dire che il tempo a disposizione era scaduto. Ho aggiunto: “anche il pacchetto delle sigarette è finito”.
Un arrivederci diverso da inserire nella descrizione del personaggio. Lino Maga e il suo vino eterno. Chapeau!
Urano Cupisti
Visita effettuata il 4 agosto 2020
Azienda Barbacarlo
Strada Statale Bronese, 3
Broni (PV)
Tel: 0385 53890
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"La qualità del vino non nasce da una imposizione di legge, ma piuttosto da una vocazione del produttore".
Oggi l’insicurezza sembra essere lo stato d’animo più diffuso. Si ha l’impressione che l’umanità sia giunta ad un bivio, ad un punto cruciale della sua storia; la sensazione che tutto sia fragile, precario, di essere come sul filo del rasoio in cui da un momento all’altro tutto potrebbe precipitare. I delitti si manifestano in modo sempre più numerosi e agghiaccianti. La povertà dilaga, la fame e le malattie imperversano, l’economia vacilla, la natura cade sotto la scure degli interessi economici, l’inquinamento ci impedisce di respirare, gli alimenti denaturati uccidono più delle guerre. E l’elenco potrebbe continuare.
La crisi che si sta vivendo, e che crea incertezza nel domani, inquietudine e paura, non è politica, sociale, economica, o culturale: è crisi di valori, quella che mette sotto accusa la coscienza umana, la mancanza di punti di riferimento, della giustizia sociale, l’onestà individuale, l’apertura alla responsabilità personale verso la collettività: valori che non si improvvisano. Nei tanti dibattiti non basta dire giustizia, diritti, per avere giustizia e diritti. Non basta elencare ciò di cui ha bisogno l’essere umano per uscire dalla crisi, dal pantano: se non c’è una forte volontà politica a livello nazionale e mondiale, di un progetto capillare di educazione delle masse ai valori fondamentali della vita, della pace, della giustizia sociale, saremo condannati a permanere in questo stato di cose, con prospettive inquietanti.
Tutto questo non è che l’effetto di un’umanità malata, smarrita, stordita, alla deriva, perché ha trascurato la componente fondamentale della sua natura: la sua dimensione spirituale. Che è come aver dimenticato di mettere il carburante nell’automobile per poi chiedersi perché non cammina.
Dare valore allo spirito significa dare ascolto alla propria coscienza; significa credere nel bene collettivo che passa attraverso la vera maturità di se stessi; significa credere che il bene avrà il sopravvento sulla disarmonia; significa credere nello spirito cosmico che tutto vivifica, che tutto pervade e spinge tutti gli esseri verso il loro bene e la loro evoluzione; significa dar valore alle cose che non passano con la vita; significa identificarsi e incarnare in se stessi, in prima persona, quell’ideale che vorremmo si realizzasse in questo mondo.
Chi sono gli esordienti in campo artistico? Nei cosi detti luoghi comuni ci viene da pensare a quei principianti che con leggerezza si apprestano ad esprimersi attraverso l’arte a loro più consona, sia questa pittura, musica, scrittura, scultura o fotografia. Invece non immaginiamo nemmeno lontanamente delle infinite difficoltà che vanno ad intraprendere.
Iniziano spesso il loro percorso artistico con l’iscriversi ad Associazioni a pubblicare, a partecipare a quanti più concorsi possibili per intraprendere una strada lunga e tortuosa spesso dove la meritocrazia è inesistente. Un ambiente nuovo per loro dove spesso, a causa della frenesia iniziale non si accorgono minimamente di quante trappole ruotano intorno a questo universo artistico. Troveranno chi si presterà ad aiutarli chiedendo loro cifre importanti pur non muovendo un dito nei loro confronti. Chi dirà di sostenerli pubblicizzandoli ovviamente in cambio di danaro. Cataloghi che propongono la pubblicazione a prezzi per molti inaccessibili. Proposte di successi sicuri là dove non avranno mai accessibilità o visibilità. Sarà solo l’esperienza, gli anni, il passaparola che li renderà più scaltri e meno facili ad essere catturati da perfetti manigoldi.
Pochissime organizzazioni s’impegnano ad aiutare gli esordienti, solo alcune Associazioni no profit che si autofinanziano rimettendoci spesso per prime o, per quanto riguarda i pittori emergenti ci sono piccole gallerie chiamate “gallerie di scoperta” che hanno la caratteristica di chiedere oneri economici limitati ma hanno scarse possibilità di fare entrare il giovane nel mondo dell’arte. Chi ha alle spalle un buon gallerista ovviamente avrà più chanches.
Iscriversi alle mostre è oneroso e spesso gli artisti di arti figurative per risparmiare, si organizzano per le collettive.
Per quanto riguarda invece la fotografia, chi non è del settore vede la figura del fotografo solo colui che scatta le foto e poi le stampa; la gente ignora delle tante ore spese dietro ad un computer per una post produzione sia per elaborare foto ritocchi o per migliorie nello sviluppo standard, per quelle destinate alla fashion portraits, al reportage, still life o semplici foto commerciali che vengono perfezionate per poterle poi consegnare alle Agenzie, ai privati, ai giornali e quanto poi sia difficile trovare le giuste collaborazioni. Ricordiamo anche che dietro ad ogni forma di arte ci sono corsi da conseguire, ricerche continue in campo artistico e di rappresentazioni estetiche, musicali, letterarie, d’immagine, aggiornamenti fondamentali, oltre alla spesa di materiali che hanno prezzi a volte insostenibili per i giovani provenienti da famiglie a basso reddito. E per quanto riguarda gli scrittori? Una giungla, inutili promesse, c’è chi si lascia abbindolare da quelle pseudo case editrici che in realtà solo legatorie, promettono pubblicazioni gratuite chiedendo solo di acquistare qualche copia. Perché non dire subito che trattasi di casa editrice a pagamento? Perché non ammettere che in realtà stampano solo quelle poche copie che daranno al povero illuso autore convinto di essere arrivato? E’ normale che ci siano case editrici a pagamento, ma dovrebbero andare incontro ai giovani talentuosi con prezzi abbordabili o a rate senza approfittarsi di tanta ingenuità. Vi sono case editrici che obbligano a stampare minimo 300, 400 o più copie sapendo la difficoltà poi di vendere i libri degli emergenti o peggio degli esordienti. Perché non dare la possibilità di stampare inizialmente una cinquantina di copie?
Purtroppo fra i nuovi artisti c’è sempre chi dopo un entusiasmo iniziale si arrende, ma anche chi invece con caparbietà e voglia di affermarsi insiste nonostante le difficoltà sempre alla ricerca di quelle opportunità che li conducano finalmente ad un riscontro di visibilità. Giovani talentuosi che si mettono in continua discussione nonostante i no e le porte chiuse in faccia; l’impegno e il lavoro costante però non sempre sono sufficienti.
Non ci sono reali agevolazioni per gli artisti esordienti o emergenti; spesso abbandonano i loro sogni mentre noi perdiamo a volte talenti ignorati. Tutto è diventato business, tutto è commercio, guadagno, e la “meritocrazia” diventa parte di questo. Non sempre i migliori sono quelli arrivati. La bellezza andrebbe sostenuta da tutti, la stessa bellezza che vediamo nei musei, leggendo un buon libro, osservando una scultura e un quadro, incantandosi di fronte ad una bella fotografia ascoltando una musica che fermerà il tempo magari a riflettere su tutto questo.
La nuova cantina |
È stata una visita aziendale diversa, insolita e alla stesso tempo straordinaria. Subito immerso nella Storia della ultra centenaria tradizione vitivinicola, preso per mano da Silvia Mellini, agronoma, e David Landini, Direttore e capo enologo.
“La nostra è una tenuta storica nel cuore della Toscana, con un ricco patrimonio agricolo e una moderna “cantina boutique” che produce una serie di vini pluripremiati”. Così Silvia al momento dell’accoglienza.
“Villa Saletta ha una storia ricca di fascino, tanto per il suo passato quanto per il suo potenziale. Le sinuose colline toscane, il borgo medievale e le antiche fattorie sono testimoni delle trasformazioni avvenute nei secoli”. Il racconto continua durante un sali-scendi di una strada tortuosa che porta verso i vigneti collinari di Palaia e al Borgo Antico,
insieme a Silvia e David |
imponente quanto misterioso.
Una storia in continuo divenire.
La tenuta è appartenuta a quattro sole famiglie. I Gambacorta che consolidarono la proprietà delle terre nel 1300, prima che ne entrassero in possesso i Riccardi, abbiente famiglia fiorentina di banchieri della potente casa dei Medici. I Riccardi trasformarono Villa Saletta in una vera e propria azienda rurale nel corso del 16° e 17° secolo, quando fu ceduta alla famiglia Castelli. Infine gli Hands.
Siamo nel 2000 quando Julia e GuyHands acquistarono la tenuta e iniziarono da subito a recuperarne la vitalità produttiva attraverso il re-impianto di 22 ettari di vigneti mettendo a dimora Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Sangiovese, quello pisano.
La riscoperta della tradizione
“Gli interventi di restauro sono stati rivolti primariamente alla produzione di vino, che ha comportato ingenti investimenti nel recupero degli antichi vigneti e nell’impianto di nuovi, in base una comprensione accurata del terroir. Grazie all’uso congiunto di tecniche e approcci tradizionali e degli strumenti dell’agronomia moderna, il sistema di viticoltura di Villa Saletta ora è tra i più avanzati in Italia”. È sempre Silvia che dall’alto
Alcuni vigneti |
di uno dei vigneti, racconta e rende il dialogo sempre più affascinante ed ermetico.
Un’autentica fattoria
“Non ci occupiamo solo di vino, ma ci impegniamo con determinazione per sostenere la biodiversità in tutta la tenuta. Gran parte del territorio è destinato a produzioni agricole varie. Lo facciamo per due motivi: vuoi perché siamo consapevoli che quanto più riusciamo a favorire la biodiversità e l’equilibrio nel nostro ambiente tanto maggiore sarà l’impatto sulla viticoltura, vuoi perché questo approccio riporta in vita la tradizione straordinaria di una fattoria intesa come azienda agricola, in grado di produrre le migliori materie prime che il
gli assaggi |
territorio offre”. Esce lo stato d’animo dell’agronomo Silvia.
L’incontro con il Direttore nonché enologo David Landini è avvenuto da lì a poco, al Borgo Antico.
Era all’ingresso ovest del borgo ad aspettarmi. E da subito è stata l’anima del Direttore ad imporsi iniziando così: “stiamo scrivendo una nuova pagina riappropriandoci delle rovine”.
Il borgo è attraversato da un unica strada lastricata che segue l’andatura di un dosso. Sulla piazza principale si affaccia la bella villa padronale seicentesca, sulla sinistra altre costruzioni con lo scudo, una chiave della famiglia dei Ricciardi. La piazza è impreziosita dalla bella torre con l’orologio che la domina. Senza dimenticare, in una veduta a 360° della chiesa di SS. Pietro e Michele con altre abitazioni, scuderie e magazzini. David mi ricorda che il Borgo è stato spesso scelto come location per diversi set cinematografici come Io e Napoleone di Virzì e La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani.
Strano ma vero: nel Borgo Villa Saletta ci abita ancora una persona, in una casetta che parla di Storia, con le piccole finestre invase da fiori e illuminate da raggi del sole, creando un effetto amarcord prodigioso e allo stesso tempo inverosimile.
Il Cru 980 ad |
“La nostra tenuta è in continua trasformazione. Abbiamo intrapreso un percorso di restauro completo di questa fattoria storica per riportarla alla biodiversità e alla produttività del passato. Il nostro scopo è la sperimentazione continua con la frutta, gli ortaggi, le erbe e i fiori, ed essere al tempo stesso custodi responsabili della terra. Abbiamo in mente anche di trasformare questo edificio storico del borgo in un’esperienza di ospitalità di lusso, fondata sull’autenticità e sulla storia”. Adesso è David che ci parla dei progetti della famiglia inglese Hands mentre ci avviciniamo alla nuova cantina che presto non sarà più nuova nei disegni di più ampio respiro e progettualità d’interventi previsti.
“Viviamo in un’epoca in cui i processi, l’efficienza, la pianificazione, i dati e i procedimenti meccanici determinano il nostro vivere: noi preferiamo ancora ascoltare la terra, comprendere quali frutti può offrire, ma senza mai forzare il terreno affinché fornisca ciò che non dovrebbe. Lavoriamo la terra e la nutriamo affidandoci alle giuste tecnologie perché abbia tutto ciò che le serve per essere fertile”. Giunti al dunque: parlare di vino, di tutto quello che gira intorno e assaggiarlo.
La degustazione
“Nella tenuta si producono una serie di vini eccellenti: alcuni sono tipici esempi dello stile toscano e altri, grazie alle tecniche adottate, evocano i migliori cru di Bordeaux, ma con un tocco italiano inconfondibile”.
Così l’enologo David Landini al momento degli assaggi dei vini della Fattoria Villa Saletta nella modernissima sala-wineshop.
Il borgo antico |
Presente anche l’agronoma Silvia Mellini, conosciuta prima, attenta descrittrice dei terreni, vitigni, tecniche di allevamento.
Cosa può volere di più un assaggiatore se non essere guidato nei molteplici volteggi dei vini nei calici, nelle effusioni olfattive che si sprigionano ad ogni svolazzo e dalle analisi gustative e tattili?
“In Villa Saletta, l’innovazione serve a valorizzare una particolare tradizione. Ogni dettaglio ha un ruolo essenziale. Crediamo fondamentalmente che solo la cura empatica e olistica dell’ambiente possa produrre dei vini davvero eccezionali e così è sempre stato per noi”.
David mi parla di filosofia di produzione mentre versa sette vini, l’attuale produzione.
Con la mano, con gli occhi, con l’assaggio
- Spumante Rosé Villa Saletta Sangiovese 100%. 48 mesi sui lieviti. Vendemmia 2014, sboccatura 2020. È sceso nel calice carico di spuma liberando un perlage fine. Naso originale come abituati dal sangiovese. Uno sfacciato timbro di vino rosso che disorienta al palato. Molto diverso dai tradizionali spumanti.
- Villa Saletta Rosé 2018 Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc in parti uguali. Affinamento 8 mesi di cui il 75% in inox e 25% in bottiglia. Iniziato come esperimento nel 2013 senza Cabernet Franc e Sangiovese al 50%. L’assemblaggio ultimo ci ha guadagnato. Aleggiano sentori di ribes, frutti rossi. Al palato, acidità e sapidità lo rendono fresco, immediato, vivace pur nella sua semplicità.
- Villa Saletta Chianti 2015 92% Sangiovese, 4% Cabernet Sauvignon, 4% Cabernet Franc. Affinamento 12 mesi di cui 50% in barriques secondo passaggio, 50% in botti da 30hl. Rosso rubino luminoso caratteristico del Sangiovese.Naso che ricorda sensazioni solari di frutta matura. Al palato una buona tannicità con prezioso contorno minerale. Finale balsamico. Un bel Chianti delle colline pisane.
- Chiave di Saletta 2015 Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 20%, Cabernet Franc 20%, Merlot 10%. Affinamento 14 mesi di cui 40% in barriques nuove, 30% in barriques di un anno e 30% in barriques di due anni. Rosso intenso, quasi impenetrabile. Profumi orientati verso tonalità balsamiche, erbe aromatiche, marasca e macchia mediterranea. Al palato tannicità vellutata, decisa mineralità. Lunghissimo.
- Saletta Riccardi 2015 Sangiovese 100%. L’espressione più vera della tenuta. Affinamento di circa 24 mesi di cui 50% in botti nuove e il resto in barriques di primo, secondo e terzo passaggio. Regala da subito intensi profumi fruttati con sfumature floreali macerate. Speziato su note di caffè, pepe rosa e liquirizia. Al palato solenne e sontuoso. Finale quasi infinito. Un bel futuro davanti a se.
la bottaia |
- Saletta Giulia 2015 55% Cabernet Frabc, 45% Cabernet Sauvignon. Affinamento in barriques di primo e secondo passaggio. Bendato sarebbe posizionato nel Bordeaux, Rive Gauche. Rubino scuro. Danza nel bevante con insistenza lasciando copiose tracce di se stesso. Al naso offre un ventaglio di note suadenti. Al palato caldo e morbidissimo ben sorretto da acidità e sapidità. Strutturato, armonico.
- 980AD 2016 Cabernet Franc 100%. Fermentazione e affinamento tutto in barriques in parte francesi e in parte ungheresi. Imbottigliato solo in Magnum. Che dire, un Franc così è difficile trovarlo. Un vino da meditazione e per pochi eletti. Chapeau!!!
“A Villa Saletta facciamo parte di una tradizione straordinaria: è una tradizione vivente, una storia che ci porta verso l’innovazione invece di limitare il cambiamento”.
Urano Cupisti
Gli additivi dei cibi sono sostanze tossiche, nocive per l’organismo: deprimono il sistema immunitario e lo predispongono a moltissime patologie; impoveriscono il valore nutrizionale degli alimenti, accelerano l’invecchiamento, abbassano il pH del sangue favorendo l’insorgenza di patologie come il cancro, il diabete, cardiopatie, allergie ecc. Bisognerebbe consumare un quantitativo venti volte superiore per avere gli stessi nutrienti di un cibo biologico. Un cibo trattato, conservato, incellofanato ecc. blocca l’assimilazione di quell'esigua quantità di nutrienti contenuta nei cibi allo stato naturale. Saziarsi non equivale a nutrirsi e le nostre cellule restano affamate di nutrienti indispensabili; questo porta a squilibri, deficit immunitario, scarsa resistenza alle infezioni, predisposizione alle malattie.
In genere negli alimenti trattati vengono aggiunte circa 1500 diverse sostanze chimiche che non è obbligatorio menzionare nelle etichette; sostanze appetizzanti, che generano dipendenza in modo che ognuno possa acquistare quantitativi sempre maggiori di quell’alimento e questo può causare mal di testa, irritabilità, nausea, epressione, ansia ecc. finché non torna a consumare quel determinato prodotto. Alcuni componenti sono programmati per far ingrassare: le persone grasse mangiano molto perché l’organismo è portato a reperire il quantitativo necessario di sostanze in maggiori quantità di alimenti.
Sembra che fertilizzanti, pesticidi, diserbanti, ormoni della crescita, additivi e farmaci permangono nel nostro organismo e vengono immagazzinati nei tessuti grassi e siccome il cervello è costituito in larga misura da sostanza grassa succede che questo accumulo di tossine generi ansia, depressione, difficoltà di apprendimento ecc.
Una tecnica di lavorazione abbastanza comune degli alimenti industriali è l’irradiazione che consiste nel bombardare gli alimenti con radiazioni per uccidere i batteri. La fotografia di Kirlian evidenzia che una mela coltivata in maniera biologica mostra un’aura armonica e perfetta; la stessa mela trattata con radiazioni mostra un’aura irregolare, spigolosa, instabile, simile a quella dell’arsenico.
DISTORSIONI MEDIATICHE
Strumentali sono le posizioni di alcuni nutrizionisti quando affermano che chi sceglie il regime vegano deve farsi seguire da un nutrizionista perché può incorrere a carenze di alcuni componenti nutrizionali come la vit. B12, ferro, calcio, omega 3... Mai che i presentatori intervistassero una persona vegana alla quale chiedere lo stato di salute, se fa riferimento al nutrizionista o se ha carenza dei nutrienti dei quali allarmano la popolazione. A differenza di tutte le altre la nostra specie è la sola che ha bisogno che qualcuno gli dica cosa mangiare.
Potenza della comunicazione mediatica al servizio delle grandi lobby agroalimentari e zootecniche: la popolazione associa automaticamente le proteine alla carne, l’omega 3 al pesce e il calcio ai formaggi. I nutrizionisti ancora usano l’anacronistico termine di “proteine nobili”, (io le chiamerei ignobili) dando a queste un valore che non hanno. Se fossero realmente “nobili” non sarebbero associate alle peggiori patologie e se fossero realmente necessarie coloro che non ne fanno uso accuserebbero carenze, invece la loro salute è migliore di coloro le utilizzano. In verità è molto meglio e più salutare consumare due prodotti (cereali e legumi) piuttosto che uno solo e salvarsi degli effetti collaterali dei prodotti carnei e derivati animali. Allo stesso modo per l’omega 3 di cui è ricco il mondo vegetale senza ingerire le sostanze putrefattive e nocive del pesce. E
il calcio nei latticini? Sono proprio questi, essendo altamente acidificanti, che sottraggono calcio all’organismo.