L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Economics (223)

Roberto

Roberto Casalena
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Come uno di quei fastidiosi mal di stagioni, torna ad esplodere la crisi greca, una nazione oppressa da un debito pubblico che, espresso in percentuale del prodotto interno lordo, non ha paragoni in Europa, nonostante la massiccia tosatura avvenuta pochi anni orsono per 100 miliardi di euro e che ora è alle prese con i mancati impegni nei confronti della Troika, Fondo Monetario Internazionale-Unione Europea-Banca Centrale Europea, impegni molto duri, in particolare sul caldissimo fronte della riforma delle pensioni, e che potrebbero pregiudicare la concessione della terza tranche di aiuti, fondamentali per ripagare i creditori per qualche miliardo di euro nel prossimo mese di luglio e, in assenza dei quali, si potrebbe verificare una situazione di default del debito pubblico dello stato ellenico.

Ho volutamente evitato di esprimere giudizi sull'operato della Troika in questi anni, anni che hanno catapultato un partito alquanto inesperto come quello di Tsipras al potere ad Atene, e non l'ho fatto anche perché bastano e avanzano le critiche espresse da due economisti dello stesso Fondo Monetario Internazionale in un paper che ha avuto risonanza mondiale e nel quale si mettono in evidenza i nessi tra la politica di austerità a dosi massicce e la recessione profonda in cui le stesse hanno precipitato l'economia greca, con costi sociali difficilmente quantificabili ma tremendi, così come si è visto che hanno contribuito a peggiorare gli stessi saldi di finanza pubblica. Insomma una cura peggiore del male!

Ma c'è una considerazione che indurrebbe i diversi soggetti chiamati al capezzale della Grecia a fare uno sforzo aggiuntivo ed è dato dall'approssimarsi della scadenza, il 23 giugno prossimo, del referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, e questo Tsipras, che sarà non esperto ma è molto, ma molto abile, lo sa e non è un caso che stavolta sia lui a fare fuoco e fiamme perché si tenga un vertice dei capi di Stato e di Governo per discutere le sue richieste in merito ai diktat della Troika, così come non è un caso che la Merkel stia facendo di tutto per non concedergli questa chance, non bastando più l'abbaiare del suo cane da guardia, il ministro tedesco delle finanze, Schauble che ha impedito ai ministri dell'economia e delle finanze dell'eurogruppo di discutere le richieste greche.

Per quanto riguarda la Brexit, non è bastato il fermo endorsment del presidente Obama in favore delle posizioni di quanti vogliono restare nell'Unione europea, in quanto l'autorevolezza del primo ministro Cameron è fortemente minata dal suo coinvolgimento nei Panama Papers, ma, nonostante questo, ha parecchie frecce al suo arco per vincere in questa difficilissima competizione referendaria.

Mai una missiva della vigilanza BCE è giunta più gradita ai vertici di una banca sorvegliata ed è questo il caso della lettera di Francoforte giunta ieri a Veneto Banca, l'alquanto disgraziata banca di una regione che sembra proprio avere un rapporto tormentato con il credito per le gestioni passate che hanno reso quelle banche le madri di tutti i crediti deteriorati, spesso crediti elargiti agli amici degli amici che erano anche azionisti della banca stessa determinando un corto circuito esiziale per la salute delle banche stesse.

Ho scritto in diverse puntate passate del Diario della crisi finanziaria che questa prassi sta affossando le due banche con sede legale nella regione veneto, La dissestata Banca Popolare di Vicenza che ha subito lunedì scorso l'affronto di vedersi rifiutata la quotazione nei mercati regolamentati da parte del comitato direttivo di Borsa italiana e ha reso necessario un intervento da un miliardo e mezzo di euro da parte del neonato fondo Atlante, Veneto Banca, appunto, e la costola veneta del Monte dei Paschi di Siena, sì quell'Antonveneta che tanti lutti addusse ai senesi e che ha determinato l'uscita di fatto dell'omonima fondazione con sede a Rocca Salimbeni dall'azionariato di una banca che un tempo controllava completamente.
Ma veniamo ai fatti. Ieri il presidente di Veneto Banca, Pierluigi Bolla, il capo della cordata di risanatori dell'istituto di credito, ha tenuto una soddisfatta conference call per rendere noto di aver ricevuto una lettera della vigilanza BCE che ha puntualizzato che vigilerà sui requisiti professionali e di onorabilità dei candidati al consiglio di amministrazione della banca in vista dell'assemblea del 5 maggio che dovrà, appunto. procedere al rinnovo delle cariche sociali.

Anche se la BCE non fa esplicitamente nomi e cognomi, il pensiero di tutti è andato alle due liste Per Veneto Banca e Azionisti di Veneto Banca, due associazioni che esprimono 51 persone indebitate con la banca per 510 milioni di euro, e si tratta in prevalenza di crediti deteriorati, crediti per i quali le passate gestioni non avrebbero fatto i passi necessari per ottenere il recupero del dovuto, quindi, hanno tutto l'interesse a interrompere il processo di risanamento avviato da Botta.

Quello di ieri rappresenta l'ennesimo caso di vigilanza tempestiva e puntuale da parte delle donne e degli uomini agli ordini di Madame Nouy, un'attività di vigilanza che oscura quella esercitata a suo tempo dalla Banca d'Italia e dalle altre banche centrali nazionali dell'area dell'euro!

C'era molta attesa per quello che avrebbe deciso ieri il comitato direttivo di Borsa italiana in merito alla richiesta di ammissione ai mercati regolamentati della Banca Popolare di Vicenza appena trasformata in società per azioni e con l'ombrello del neonato Fondo Atlante che si era impegnato a rilevare il 92 per cento dell'offerta ad un prezzo che, molto irrealisticamente, era stato fissato in una forchetta compresa tra i 10 centesimi e i tre euro ad azione e che ieri, in sede di bocciatura, è stata fissata a 10 centesimi appunto, con buona pace degli azionisti che le aveva in carico a 62 euro e che non rivedranno mai i loro soldi pur non essendo stata assoggettata la loro banca alla procedura di bail in e non si sa, al momento, quale sarà la sorte degli obbligazionisti semplici e subordinati.

La decisione negativa di Borsa italiana all'ammissione dell'azione della Banca Popolare di Vicenza era prevedibile, perché si sapeva benissimo che il flottante, ossia il quantitativo di azioni disponibili per le operazioni di compravendita sarebbe stato inferiore a quel 25 per cento richiesto dall'attuale normativa.

In risposta alla decisione dell'organismo di gestione di Borsa italiana, il Fondo Atlante ha comunicato che porterà la sua sottoscrizione dell'aumento di capitale, l'unico capitale della banca perché il resto è praticamente bruciato, al 99,33 per cento restando il residuo a un pugno di azionisti preesistenti e ristrutturerà l'istituto vicentino avendo le mani completamente libere da lacci e laccioli derivanti da minoranze azionarie, una situazione che era stata largamente prevista da Alessandro Penati e dai suoi collaboratori che, non a caso, nei giorni scorsi avevano già fatto presenti le loro intenzioni di rivoltare la banca come un calzino per portarla poi molto probabilmente a una fusione con qualche istituto più in salute, riuscendo, per soprammercato, a realizzare una plusvalenza stimabile in qualche centinaia di milioni di euro.
Si riapre anche la spinosa questione della mancata azione di responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori, segnatamente l'ex presidente della banca, Gianni Zonin, un uomo che, per giudizio pressoché unanime dei suoi alquanto infuriati concittadini, ha distrutto il capitale dell'istituto in una presenza ventennale ai suoi vertici. I vertici attuali non hanno sponsorizzato l'azione che è infatti stata bocciata dall'assemblea, ma i nuovi azionisti molto probabilmente non guarderanno in faccia a nessuno.

Ora rimane aperta la questione dell'aumento di capitale di Veneto Banca, aumento che non è garantito dal Fondo Atlante, ma continua ad essere sulle spalle di Banca Intesa-San Paolo i cui vertici da stasera hanno davvero poco da stare allegri in vista di giungo, mese nel quale sarà valutata quell'operazione da parte, oltre che della CONSOB, ancora una volta da parte del comitato direttivo di Borsa italiana.

In un recente studio, la Banca d'Italia "misura" il rischio dei risparmiatori italiani rispetto all'ipotesi di bail in degli istituti di credito dei quali gli italiani, o anche gli stranieri residenti, sono azionisti, obbligazionisti o depositanti per la parte del deposito che supera la soglia dei 100 mila euro, una cosa che si sapeva, ma della quale si ignoravano le dimensioni che, espresse in lire, sono nell'ordine di qualcosa di più di 800 mila miliardi e che dimostrano come alcuni deflussi di capitale dalle banche siano dovuti da un lato alla propensione dei risparmiatori ad emigrare verso quelli che, a torto o a ragione, vengono considerati porti sicuri, cioè banche di maggiore affidabilità e solidità patrimoniale, mentre dall'altro alla nuova tendenza di spezzettare i depositi tra più istituti in modo da rimanere per ognuno di essi al di sotto della fatidica soglia dei 100 mila euro.
Scendendo nel dettaglio, scopriamo che la somma dei depositi al di sopra dei 100 mila euro è stimatia da Via Nazionale in 225 miliardi di euro, le obbligazioni non garantite sono pari a 173 miliardi, mentre le obbligazioni subordinate sono nell'ordine dei 29 miliardi, un dato in calo dopo le tristi esperienze delle quattro banche salvate in novembre dal Governo, ma con la prima applicazione del bail in che ha comportato perdite per centinaia di milioni di euro a carico dei detentori delle tre categorie di attività finanziarie colpite dalla nuova normativa che invano Governo e Banca d'Italia stanno cercando di addolcire in sede europea.

Ma la vera notizia sta nel fatto che, rispetto al 2011, gli strumenti di debito bancario sono calati da 1.017 miliardi di euro a 921 miliardi, complice un vero e proprio crollo delle obbligazioni bancarie non garantite passate, nel breve volgere di quattro anni, da 341 a 173 miliardi di euro, un deflusso che solo in piccola parte si è dirottato verso le altre forme di debito bancario, veleggiando quindi per altri lidi (molto probabilmente, verso l'investimento in titoli di Stato, azionario non bancario e fuga di capitali all'estero), anche se c'è un significativo aumento dei depositi entro la soglia dei 100 mila euro, segno che lo spezzettamento dei depositi sta avvenendo.

E' in questo quadro che si inserisce l'azione della nuova vigilanza europea, un'azione che non lascia nessuna banca italiana, a prescindere dalla dimensione, al riparo dagli strali delle donne e degli uomini capitanati da Daniéle Nouy che possono in ogni momento, tramite una semplice lettera, avviare quel percorso che, in casi estremi, può portare alla risoluzione della banca sotto esame, con conseguente applicazione delle drastiche misure previste dal nuovo meccanismo che vede colpiti per primi azionisti, obbligazionisti di ogni tipo e depositanti per la soglia, come ho ripetuto più volte,, superiore ai centomila euro.
Il fatto che una quota di poco superiore al 10 per cento della ricchezza finanziaria degli italiani sia oggettivamente a rischio non significa che si aprono scenari apocalittici, ma è soltanto un esercizio statistico della nostra banca centrale che ha diviso i 921 miliardi di euro di strumenti di debito bancario tra i 427 non garantiti e i 494 miliardi che invece, per fortuna dei loro possessori, sono garantiti (verrebbe da dire che, se si verificasse un crisi sistemica, sarebbe ben difficile garantire alcunché)

Se anche un banchiere centrale navigato come il tedesco Weidman non ha timori a sposare le istanze del tedesco medio, meglio se pensionato, che lamenta che dal suo conto corrente o dal suo investimento in Bund, il decennale tedesco, non ricava più nulla e paga solo spese, vuol dire che il tema dei tassi zero sui depositi e il rendimento prossimo a zero del Bund sono questioni molto sentite dai suoi concittadini, in particolare da quelli, come i pensionati, che non godono degli innegabili vantaggi che la politica della Banca Centrale Europea sotto la guida di Super Mario ha portato per i mutui, sia quelli esistenti a tasso variabili (con l'euribor ormai sottoterra), sia per quelli nuovi a tasso fisso che sono a livelli mai visti in passato.

Quella che si intravede in Germania, ma non solo, è quindi una sorta di conflitto generazionale e sociale, che vede sui due lati della barricata gli anziani da un lato e i giovani e le imprese dall'altro e che ha spinto il governo della signora Merkel a compiere un passo anche esso inusitato, alzando d'un colpo le pensioni del 4,7 per cento nella parte Ovest del paese e di oltre il cinque per cento nelle regioni che un tempo facevano capo all'ex Repubblica Democratica Tedesca, aumenti non giustificati dall'inflazione inesistente ma da preoccupazioni meramente elettorali che vedono accomunati sia la CDU-CSU che i socialdemocratici e che non dispiacciono anche ai partiti di opposizione.

Lasciamo la Germania alle sue ambasce da paese ricco e veniamo alle altre aree dell'eurozona, con particolare riferimento a quella del Sud, e vediamo che non si registrano proteste né nel mondo delle imprese, né in quella dei risparmiatori, né tantomeno in quella degli Stati che stanno beneficiando di risparmi sul debito emesso a partire dal quantitative leasing sempre più aggressivo deciso da Super Mario che è riuscito a portare dalla sua la quasi totalità dei membri del direttivo, Widman escluso naturalmente.

Il perché è presto detto, in quanto tutti i soggetti stanno realizzando guadagni da questa politica, esclusi ovviamente i pensionati che oltre al deposito bancario non hanno mutui, ma vi è una maggiore consapevolezza che a livello paese vi è un risultato positivo da questa coraggiosa manovra intrapresa da Francoforte.

L'unico neo è dato dalla scellerata politica di apertura al rischio adottata dal ministero dell'economia italiano sotto forma di contratti di derivati di tassi, contratti che sono costati, nel 2015, 6,8 miliardi di euro, un importo che si è "mangiato" il risparmio di 5 miliardi di euro derivante dal bassissimo livello dei tassi sui titoli pubblici di nuova emissioni, un importo non molto diverso da quello che i derivati sono costati negli anni precedenti e che sarà azzerato solo quando i tassi risaliranno e di molto!

Guardavo l'altro giorno le statistiche sul prodotto interno lordo dei maggiori paesi dell'orbe terraqueo e mi ha colpito l'assenza dell'Unione europea, ignorata dai redattori della lista stessa proprio come se, come accadeva all'Italia di tanto tempo fa, fosse poco più che un'espressione geografica e non un insieme di paesi che ospitano complessivamente 500 milioni di abitanti e che produce un PIL che, nel 2015, supera quello cinese di 2 mila miliardi di dollari ed è dietro soltanto ai potentissimi Stati Uniti d'America .
Ma quale è il motivo di questa irrilevanza che si moltiplica quando si passa a temi quali quello della politica estera e della difesa? Non è solo, e non è tanto, nelle posizioni degli euroscettici, un insieme che accomuna forze politiche e sensibilità molto diverse tra di loro, ma sta nelle posizioni di buona parte dei leaders politici dei paesi membri, che, fatta la moneta unica e fatti progressi in direzione dell'unione bancaria, non sembrano assolutamente disposti a cedere ulteriori fette di autonomia e si rinserrano pervicacemente nei loro confini sempre più circondati dagli stessi muri che erigono contro la marea umana dei migranti che al momento e sulla base delle esangui tendenze demografiche sembrano più una risorsa che una criticità, come insegnano le esperienze vincenti della Gran Bretagna e della stessa Germania, per non parlare della Francia post coloniale.

Chi pensa che un eventuale successo del referendum del 23 giugno sulla Brexit sia in realtà una questione di poco conto e afferente esclusivamente agli abitanti di quella che in tempi antichi veniva denominata Albione commetterebbe un tragico errore, perché si può discutere sull'impatto economico negativo che l'uscita della Gran Bretagna potrà avere sugli abitanti di quelle terre, ma quello che è certo è che da quella scelta verrebbero spinte all'uscita di tanti altri paesi dell'Unione i cui governanti strizzano apertamente l'occhio alle spinte nazionalistiche e a quelle pulsioni che definire euroscettiche rischia di essere sempre più un tragico eufemismo.

Non è un caso che il presidente degli Stati Uniti d'America, una nazione con un'opinione dei decision makers non proprio favorevole all'Unione europea, si stia spendendo con vigore perché la Brexit fallisca, perché, al di là delle ricorrenti divergenze su quasi tutti i temi, avverte la necessità di un interlocutore che parli con una lingua sola su temi non secondari quali la finanza, la lotta al terrorismo jadista,il rapporto con Russia e Cina, la difesa e le questioni che compongono ogni giorno l'agenda dei potenti della terra!

Ma la posizione tedesca di chiusura sulle richieste della Grecia per poter accedere alla terza tranche di aiuti a suo tempo concessi dalla Troika, Fondo Monetario Internazionale-Unione europea-BCE, rischia di determinare a luglio un default del debito pubblico del paese ellenico e potrebbe creare le condizioni per una Grexit dall'euro.

Voucher digitalizzazione 2016 per le piccole e medie imprese per l'acquisto di computer, pc, hardware. Finalmente a quasi 2 anni dall'entrata in vigore del bonus imprese con il Decreto Destinazione Italia e da quasi un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del relativo decreto, con molta probabilità, il beneficio potrebbe partire da gennaio 2016. Di seguito tutte le informazioni su cos'è e come funziona l'agevolazione, quali sono le spese ammissibili, come e quando presentare la domanda e soprattutto quali sono i requisiti che le piccole e medie imprese devono possedere per partecipare al bando e fruire del contributo economico fino a 10.000 euro.

Voucher digitalizzazione 2016 PMI: bonus imprese.

I voucher digitalizzazione 2016 PMI fino a 10.000 euro sono un'iniziativa introdotta dal decreto destinazione Italia, al fine di favorire la digitalizzazione delle micro e piccole e medie imprese. Il beneficio, consiste in un contributo economico, dato sotto forma di voucher di importo non superiore a 10.000,00 euro, da utilizzare per aumentare o per adottare interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico. Per poter procedere, alla domanda dei voucher imprese da 10 mila euro le PMI dovranno attendere l'emanazione del provvedimento direttoriale da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che fisserà le modalità, termini, apertura per la presentazione delle domande, oltreché i requisiti e i moduli per accedere al beneficio, dal momento che la misura massima prevista del bonus è complessivamente di 100 milioni di euro. A quasi due anni dall'entrata in vigore dell'incentivo con il decreto Destinazione Italia, ma fino adesso mai utilizzato a causa della mancata approvazione da parte di Bruxelles del PON Imprese e Competitività 2014-2020, ovvero, l'approvazione ad utilizzare le risorse economiche previste dalla Legge di conversione, pare che la misura dei voucher digitalizzazione PMI 2016 partirà da gennaio, dato che il MEF renderà operativo lo sportello per le domande, solo ad inizio anno. Attenzione però, visto che l’operatività a valere sul PON è stata solo per il momento a favore delle imprese localizzate nelle 8 Regioni del Mezzogiorno, per cui Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, per quelle ubicate nelle regioni centro nord, si dovrà attendere invece lo sblocco delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione e del Fondo di rotazione, per le quali serve una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), che speriamo possa arrivare in tempi molto rapidi.

Chi può presentare la domanda?

Le imprese e le aziende che possono fare domanda del Voucher da 10.000 euro 2016 sono: a) Micro, piccola o media impresa (MPMI) indipendentemente dalla loro forma giuridica, nonché dal regime contabile adottato; b) Non essere imprese la cui attività siano riconducibili a settori di produzione primaria di prodotti agricoli, della pesca e dell’acquacoltura; c) Avere sede legale e/o unità locale attiva in Italia (per ora solo nelle 8 regioni del Mezzogiorno) ed essere iscritte al Registro delle imprese; d) Non essere sottoposte a procedura concorsuale, fallimento, liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo ecc.; e) Non essere beneficiarie di altri contributi statali per l'acquisto e servizi concessi dal voucher; f) Non essere soggette ad un ordine di recupero dichiarato dalla Commissione Europea per aiuti illegali.

Cos'è e come funziona il voucher imprese da 10.000 euro?

Il decreto Destinazione Italia è entrato in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo del 23 settembre 2014, dell’articolo 6, commi da 1 a 3, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 che ha istituito, a favore delle micro, piccole e medie imprese, Voucher imprese fino a 10.000,00 euro per l’adozione di interventi di digitalizzazione interni all'impresa, ovvero, per l'acquisto di computer, pc, software e hardware. Il bando per accedere ai fondi, è già diventato legge ma si deve attendere l'emanazione del provvedimento ministeriale che conterrà tutte le informazioni e le modalità che le PMI dovranno seguire per presentare la domanda per accedere al bonus.

Ma cos'è e come funziona il voucher digitalizzazione PMI? A cosa serve?

Il decreto appena pubblicato GU, prevede la possibilità alle PMI di accedere a fondi finalizzati ad aumentare l'efficienza aziendale dal punto di vista digitale e tecnologico. Il voucher da 10.000 euro serve quindi per acquistare software, hardware o servizi che consentano alle micro, piccole e medie imprese di: migliorare l'efficienza aziendale; modernizzare l'organizzazione del lavoro con strumenti tecnologici, tali da consentire la messa in funzione di nuove forme di contratti e lavoro, come ad esempio il telelavoro; aumentare la produttività con e-commerce; garantire l'accesso al web con la banda larga e ultralarga; accesso alla rete internet attraverso il sistema satellitare, con l'acquisto e l'attivazione di decoder e parabole, in quelle aree geografiche in cui non arriva il segnale Adsl. Per la formazione del personale PMI nel campo delle telecomunicazioni ITC. Attenzione: I servizi sopra elencati, devono essere acquistati e adottati, solo dopo il riconoscimento e concessione del voucher.

Cosa serve e quali documenti occorrono per presentare istanza voucher PMI?

Le imprese per poter presentare la domanda devono avere obbligatoriamente una PEC valida e funzionante e la firma digitale del rappresentante o del delegato.

Quando va presentata la domanda?

I tempi e le modalità di erogazione del bonus imprese, sono definiti dal Ministero dell'Economia che con successivo e specifico provvedimento direttoriale definirà le tempistiche per la presentazione delle istanze per fruire di questa importante agevolazione. Una volta presentata la domanda, il Ministero, provvederà a verificare il possesso dei requisiti e le spese ammissibili descritte nell'istanza, dopodiché determinerà l'importo del voucher, cui ha diritto l'impresa beneficiaria. Come viene dato il contributo? L'importo del voucher viene erogato direttamente dal Ministero in un'unica soluzione, in base alla somma richiesta dall'impresa in sede di presentazione dell'istanza e concessa e approvata dal MISE.

Cause di revoca del contributo e perdita dell'agevolazione.

Le cause che possono determinare la revoca del contributo e quindi perdita totale o parziale dell'agevolazione, sono: Il mancato possesso da parte delle impresa di uno o più requisiti che determinano l'accesso al bonus, o perdita di una delle condizioni prevista per la fruizione e mantenimento del beneficio. Se a seguito di controlli formali, l'impresa risulta aver presentato una documentazione irregolare tale da non poter essere sanata o addirittura falsa. Se non vengono rispettati i termini e le modalità per la presentazione delle richieste di erogazione del voucher. Se interviene nel frattempo una procedura fallimentare aziendale dell'impresa beneficiaria. Il mancato rispetto del divieto di cumulo dello stesso tipo di agevolazioni. Per info scrivere a : This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Per un patto non scritto raggiunto prima della sua fondazione, la Germania ospita la sede della Banca Centrale Europea ma non ne esprime il presidente, carica ricoperta, nell'ordine, da un olandese, con esiti disastrosi, da un francese, il non troppo rimpianto Jean Claude Trichet e, the basta but not the least, il nostro Mario Draghi, un uomo il cui curriculum incredibile e il cui operato gli hanno consentito di conquistare il nomignolo di Super Mario, una persona di successo che non piace né ai tedeschi, né al governo di quel potentissimo paese, ma soprattutto non piace al non più potente capo della banca centrale tedesca, un'istituzione che, prima dell'avvento della BCE, influenzava fortemente i destini economici dell'Europa.


Come ho scritto nel recente articolo sulla Banca d'Italia, parlando della perdita verticale di attribuzioni dell'istituto con sede a Via Nazionale in Roma, perdita di poteri che vale ovviamente per tutte le banche centrali dei paesi membri dell'area dell'euro, e vale, nonostante le chiare ambizioni di un uomo che non nomino neanche, anche per il capo della Bundesbank, che non perde occasione per attaccare Super Mario e la sua politica di quantitative easing e di politica dei tassi a zero, se non sottozero, quella politica che non piace ai risparmiatori tedeschi che non riescono a fare fruttare il loro denaro in banca e che vanno sotto in termini di rendimenti anche quando investono nei loro tanto amati Bund, i titoli di stato decennali made in Germany.


Ieri, venendo a casa nostra, o meglio nella sede dell'ambasciata tedesca, il nostro ce ne ha dette una per bere e una per sciacquare, affermazioni che un tempo avrebbero fatto tremare la borsa, che invece ieri gli ha risposto con un discreto rialzo e i nostri titoli di stato che, invece, hanno guadagnato qualche posizione, dicendo che il nostro debito pubblico è una minaccia per l'eurozona, che il nostro ministro dell'Economia è un inguaribile ottimiste, il che, in termini di cose economiche, significa dire che è uno stupido, e ha salvato solo quello che va in direzione del modello tedesco, e cioè il job act e il neonato fondo Atlante per garantire gli aumenti di capitale delle banche e per intervenire nel settore dei Non Performing Loans.


Che sulle banche dell'eurozona siamo di fronte ad un patto di ferro tra la Germania e la Francia è una cosa che sanno pure i bambini che sono cresciuti a pane ed euro, ma la politica di Madame Nouy ha apportato alle banche francesi e tedesche dei vantaggi competitivi immensi, pesando poco i rischi finanziari di cui queste sono strapiene e attribuendo un peso enorme ai rischi creditizi, rischi che dalle banche centrali nazionali venivano visti in modo molto diverso!

Ho detto più volte che gli strapagati banchieri italiani dalla fine dell'anno scorso hanno difficoltà notevoli ad addormentarsi e fare sonni tranquilli perché hanno in mente la severa signora francese alla guida della vigilanza delle banche dell'eurozona che vuole che in tempi rapidi ripuliscano drasticamente i loro bilanci dalla zavorra dei crediti deteriorati, non facendo quasi distinzioni tra questo ampio aggregato e quelli più ridotti delle sofferenze lorde e di quelle nette, adducendo Madame Nouy il ragionamento che, in una situazione di forte stress, non sarebbe possibile per la banca sotto attacco utilizzare gli accantonamenti effettuati nel tempo, perché vi sarebbe una crisi di liquidità in parte dovuta alla fuga dei depositanti oltre i 100 mila euro, come è accaduto di recente, per ammissione del suo stesso amministratore delegato, alla disastrata e sotto aumento di capitale Banca Popolare di Vicenza.

Ma un informatissimo articolo di Rosario Dimito su Il Messaggero va ancora più nello specifico e ci informa che per i banchieri italiani, ma non solo per quelli del nostro paese, la segretezza del manuale di vigilanza e, quindi, delle modalità di attuazione dello stesso, costituisce un problema perché non consente di capire quale è il modello di riferimento, quale è il modello ideale di banca secondo le donne e gli uomini della Banca Centrale Europea, così come non si capiscono i criteri secondo cui vengono divulgati alla stampa i nomi delle banche sotto stress test, visto che alla fine dell'anno scorso sono stati resi pubblici solo quelli delle banche italiane.

E veniamo qui al corollario della insistenza della vigilanza BCE sui Non Performing Loans delle banche italiane, perché l'adeguarsi alla politica delle pulizie di bilancio porta con se la necessità di procedere ad aumenti di capitale, aumenti che non potranno essere tutti garantiti dal Fondo Atlante come è stato nel caso della Popolare di Vicenza e che portano normalmente a contrazioni, anche forti della capitalizzazione di borsa delle banche coinvolte, richieste che non tengono conto, come nota Dimito, del fatto che negli ultimi otto anni le banche italiane si sono rivolte al mercato per una cifra di circa 40 miliardi di euro!

Per non parlare delle richieste di aumentare i livelli di patrimonializzazione di grandi gruppi bancari al livello assolutamente irragionevole del 20 per cento (Unicredit), o ad abbreviare significativamente i tempi oltre i quali un credito è considerato deteriorato, per giungere all'assurdo di considerare deteriorati i crediti verso la pubblica amministrazione, tutte cose che, ove attuate, disegnano uno scenario molto fosco per l'industria finanziaria italiana.

Faceva un po' tristezza la dichiarazione di martedì del Governatore della Banca d'Italia a proposito dell'approssimarsi della fase delle offerte vincolanti per le quattro banche tecnicamente fallite e che un decreto del governo ha scisso tra good bank e bad bank, banche tristemente note perché sono state il primo banco sperimentale di un bail in che teoricamente, all'epoca dei fatti, non era ancora operante ma, su input della vigilanza della BCE, fu applicato con qualche mese di anticipo, anche perché l'alternativa era il fallimento vero e proprio delle banche con conseguenze ancora peggiori del bail in stesso.
Le quattro banche erano Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, quattro istituti che, dopo la tosatura, di azionisti, obbligazionisti e depositanti per le somme superiori alla soglia garantita dei 100 mila euro, sono ora banche ripulite di tutte le sofferenze e gli incagli che avevano e che quindi hanno suscitato l'interesse di diverse banche e fondi di investimento italiani e stranieri e verranno vendute "sfuse o a pacchetti" ad offerenti che presentino tutte le garanzie anche dimensionali di essere atte ad operare nel sistema bancario italiano, requisiti questi che verranno accertati dalle donne e dagli uomini che operano alle dipendenze di Madame Nouy, responsabile della vigilanza europea presso la BCE.

Dicevo all'inizio di un sentimento di tristezza perché, avendo operato in un grande banca italiana, ricordo bene il timore reverenziale che si aveva nei confronti della Banca d'Italia, in particolare se la vigilanza della stessa interveniva con un'ispezione per controllare che la governance e l'agire concreto della banca oggetto dell'interesse della vigilanza fossero efficaci e improntati alla massima correttezza e conformi alle leggi e alle disposizioni normative che venivano via via emanate da Via Nazionale, tutte cose che oggi Francoforte fa in maniera più incisiva e con tempi non paragonabili a quelli del passato italico.
Attualmente, la Banca d'Italia è poco più di un gigantesco ufficio studi impegnato a sfornare statistiche e analisi sul sistema bancario italiano e non a caso sia il Governatore che il direttore generale sono stati responsabili dell'Ufficio Studi di Via Nazionale e ci si chiede a che serva avere un organico intorno alle 10 mila unità per svolgere tali attività. Ma questa scarsa rilevanza non impedisce di fare danni, come è accaduto martedì scorso quando, intervenendo nel corso di un'audizione, Visco ha fatto scendere i titoli bancari che erano impegnati in un vigoroso rally delle quotazioni dei loro rispettivi titoli azionari, in particolare il Monte dei Paschi di Siena, a causa di frasi contorte e non comprese dagli operatori.

Nel frattempo, il nostro vero Governatore, Super Mario, ha difeso ieri brillantemente, e con l'unanimità del consiglio direttivo, la Banca Centrale Europea dagli attacchi scomposti provenienti dalla Germania alla sua politica monetaria e, soprattutto alla politica dei tassi zero/negativi, e la cancelliera Merkel ha dovuto abbozzare!

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