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Ormai è certo: il neonato fondo Atlante toglie dalle spalle di Unicredit la fatica improba per una sola banca di garantire integralmente l'aumento di capitale della molto disastrata Banca Popolare di Vicenza, sì quella banca veneta che la gestione monocratica dell'ex presidente Gianni Zonin ha portato a un passo oltre il ciglio del precipizio, e l'altro ieri la borsa. invece di brindare allo scampato pericolo per la prima banca italiana, ha punito sonoramente i titoli della banca di Piazza Cordusio con un rotonda flessione del 3 per cento, proprio in una giornata nella quale la borsa superava con facilità lo scoglio dello stacco dei dividendi e il fallimento del vertice di Doha dei paesi produttori di petrolio aderenti all'OPEC, fallimento determinato dalla posizione iraniana contraria a qualsiasi congelamento della produzione fino a che non raggiungerà i livelli del 2011, quando, prima delle sanzioni, esportava tre milioni di barili di greggio al giorno.
Eppure Atlante, costituito nell'ambito del Fondo Quaestio sgr, è nato fondamentalmente per garantire gli inoptati dei tanti aumenti di capitale che le banche italiane dovranno effettuare o per situazioni pregresse alquanto disastrate, è il caso della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, o per far fronte alle perdite derivanti dalle alienazioni di crediti deteriorati impostati dalla vigilanza europea costituito presso la Banca Centrale Europea e guidata da Madame Nouy, e già si sa che, dopo il passo indietro di Unicredit sulla banca di Vicenza, ci sarà quello di Intesa-San Paolo sull'aumento di capitale di Veneto Banca con sede a Montebelluna, anche qui si parla di cifre miliardarie che il mercato non vuole assorbire, né tantomeno i precedenti azionisti stremati da un rally delle loro azioni da 72 euro alle poche decine di centesimi che l'operazione verità dei valutatori meno compiacenti di quelli che hanno attribuito quei valori stellari alle azioni delle due banche venete vorranno assegnare alle azioni delle future società per azioni.
Per il fondo Atlante, invece, queste operazioni potrebbero rappresentare una notevole fonte di guadagni, anche perché, partendo da questi valori anche troppo realistici , la possibilità di upside sono davvero significative, e non è un caso se la lista degli aderenti al fondo cresce ad ogni giorno che passa, attirati dalla promessa di un rendimento stellare del 6 per cento l'anno, una remunerazione dei fondi versati alquanto credibile sia sul fronte degli aumenti di capitale, sia su quello dei Non Performing Loans acquisti ad un valore intorno al 20 per cento ma che hanno garanzie per un 70 per cento medio del loro valore nominale, circostanza che rende credibile un valore finale di recupero intorno al 36 per cento!
Ma allora, si chiederà il lettore più smaliziato si chiederà, perché quest'azione di recupero non la fanno direttamente le banche che quei soldi li hanno prestati? E' una domanda che può fare solo chi non conosce gli apparati interni alle banche che non hanno l'agilità e il modus operandi delle società i recupero crediti e si accontentano spesso di transazioni scandalose facilitate da intermediari molto smaliziati, ma di questo parlerò più diffusamente nelle prossime puntate.
Occorre introdurre flessibilità in uscita nel sistema pensionistico "in tempi stretti" anche perché "c'é una penalizzazione molto forte dei giovani e, dato il livello della disoccupazione giovanile, c'é il rischio di avere intere generazioni perdute all'interno del nostro Paese". Lo ha detto il presidente dell'Inps, Tito Boeri, sottolineando
come in Italia i livelli della disoccupazione giovanile siano "assolutamente intollerabili".
"Questa settimana partono le prime buste arancioni, saranno 150 mila e conterranno le informazioni di base" con la stima dell'estratto conto contributivo, e la previsione del rapporto tra contributi versati, pensione futura e possibile data di uscita". Così il presidente dell'Inps parlando a margine del 'Graduation Day all'Università Cattolica. Per Boeri si tratta di una operazione "importante, perché in Italia c'è una bassa cultura previdenziale e una consapevolezza finanziaria ancora più bassa, soprattutto fra i giovani".
"Abbiamo trovato tantissimi ostacoli, soprattutto per l'invio delle buste arancioni perché, lo voglio dire con sincerità, c'è stata paura nella classe politica, paura che dare queste informazioni la possa penalizzare". Così il presidente dell'Inps, Tito Boeri, parlando dei ritardi e delle difficoltà per la campagna informativa con cui l'Istituto diffonde le proiezioni sulla pensione futura. Per Boeri ha pesato "la paura di essere puniti sul piano elettorale".
Il part-time in uscita per chi è vicino alla pensione "è una sperimentazione e come tale va studiata, non si può dare un giudizio prima". Comunque, ha spiegato Boeri, "ci sono dei limiti di stanziamento, quindi in ogni caso non potranno esserci più di 30 mila lavoratori nel giro di 3 anni". E assicura: "valuteremo la misura con estrema attenzione".
Inps, +911.000 contratti stabili in 2015 - Nel 2015 i contratti a tempo indeterminato sono aumentati di 911.000 unità rispetto alla fine del 2014 (saldo tra attivazioni e cessazioni). Il dato arriva dall'Inps che ricorda come nell'anno scorso abbia inciso l'esonero contributivo per le assunzioni e le trasformazioni di contratto a tempo indeterminato. Nell'anno sono stati oltre 1,57 milioni i contratti attivati con l'esonero, un numero molto superiore all'iniziale previsione (un milione). In pratica il 61% delle assunzioni stabili ha goduto del beneficio contributivo.
Nei primi due mesi del 2016 sono stati venduti oltre 19,6 milioni di voucher del valore nominale di 10 euro con un aumento del 45,2% rispetto allo stesso periodo del 2015 (13,5 milioni). Nei primi due mesi del 2014 erano stati venduti meno di 8 milioni di buoni di lavoro accessorio. Lo si legge sul Rapporto sul precariato dell'Inps.
Nei primi due mesi del 2016 sono stati stipulati 291.387 contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo indeterminato sono state 254.274 con un saldo positivo di 37.113 unità. Il dato è peggiore di quello dell'anno scorso (-74% rispetto ai +143.164 contratti dei primi due mesi 2015), risente della riduzione degli incentivi sui contratti stabili e della grossa accelerazione nelle assunzioni stabili a dicembre. Il dato è peggiore anche del 2014 (+87.180 posti stabili).
Un’attenta analisi della situazione attuale continua a tenerci con il fiato sospeso sulle sorti dell’Italia. La crisi economica che ci ha affossati per un ventennio non può ancora dirsi superata, nonostante le continue rassicurazioni del Presidente Renzi. La ripresa risulta ancora di modesta entità e debole portata. Fiato sospeso anche per la valutazione che la Commissione europea dovrà dare a maggio sulla Legge di Stabilita, sulle correzioni che con la lettera inviata di recente al Governo ha sollecitato. Una ipotesi di relazione, si dice, relativa all’Italia del 2016 che parte dalle tre raccomandazioni che riguardano le priorità che la Commissione aveva indicato: rilanciare gli investimenti, proseguire le riforme strutturali per modernizzare le economie degli Stati membri ed attuare politiche di bilancio responsabile.
Il potenziale di crescita dell’Italia è stato considerevolmente limitato da alcune debolezze strutturali profondamente radicate: la crescita annua del PIL reale italiano attesta in media all’1,5%, ossia 2/3 di punto percentuale al di sotto della media europea, soprattutto a causa della modesta produttività locale dei fattori, l’elevato rapporto debito pubblico / PIL ed il saldo negativo della partite correnti che hanno limitato ulteriormente la capacita dell’economia italiana di resistere agli shock economici avversi. Sia a livello nazionale sia europeo fino al 2014 l’economia ha continuato a contrarsi. Nel 2015 il PIL reale dell’Italia è tornato ai livelli dei primi anni 2000, mentre il PIL della zona Euro era superiore a quei livelli di oltre 10%. Per quanto attiene il fisco il rapporto gettito fiscale – PIL nel 2014 era tra i più elevati della UE anche a causa del costo del debito pubblico. continua ad essere attesa la revisione delle agevolazioni fiscali, ad essere poco incisiva e coerente la politica fiscale, aumentando cosi l’incertezza degli operatori economici. Il sistema fiscale è complesso e la bassa percentuale degli adempimenti degli obblighi tributari aumenta ulteriormente l’onere gravante su imprese e famiglie.
In Italia il potere di acquisto delle famiglie consumatrici,ovvero il loro reddito resale, è aumentato nel 2015 dello 0,8%. Si tratta del primo rialzo da otto anni, dal 2007, prima dello scoppio della crisi. Lo rileva l’Istat che però guardando all’ultimo trimestre dello scorso anno registra una flessione della capacità di spesa, almeno a livello congiunturale (-0,7%). La variazione si mantiene invece positiva su base annua.
La spesa delle famiglie per consumi finale invece ha registrato un aumento dello 1% nel 2015; nell’ultimo trimestre dell’anno il rialzo è stato pari allo 0,4% a livello congiunturale. Scende la pressione fiscale che, nel 2015, si attesta al 43,5% in calo dello 0,1% su base annua. L’Istat spiega: “la correzione riguarda le operazioni connesse alla risoluzione della crisi delle quattro banche”. In conseguenza della revisione delle entrate, la pressione fiscale risulta rivista al rialzo di 0,2 punti percentuali. L’Istat, nel conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche, rileva inoltre che nel 2015 il rapporto tra indebitamento netto e PIL è stato pari al 2,6%, in diminuzione di 0,4% punti percentuali rispetto a quello del 2014. Nell’ultimo scorcio del 2015, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL (dati grezzi) è stato pari al 2,2%, risultando inferiore di 0,2% rispetto a quello del corrispondente trimestre del 2014.
Come era largamente prevedibile, il vertice dell'OPEC di Doha di domenica scorsa si è chiuso senza un accordo e il petrolio e le altre materie prime energetiche hanno pagato prezzo già all'apertura dei mercati in Asia lunedì mattina, con il WTI, che nelle settimane precedenti aveva ritrovato un miracoloso prezzo di qualcosa di più di 42 dollari al barile, risprofondato verso la soglia dei 38 dollari, per poi ritornare a 40 dollari al barile, ma di strada, con il passo del gambero, ne dovrà fare ancora tanta e l'unica speranza sarà quella della vacillante offerta di petrolio statunitense, stretta tra chiusure di giacimenti e ricorsi di compagnie a stelle e strisce alla protezione dell'accomodante legge fallimentare in vigore negli Stati Uniti d'America.
Sembra proprio che i nodi al pettine della crescita mondiale, ieri parlavo del contributo dell'anemica crescita cinese (ovviamente per gli standard cui quel paese ci ha abituato in questi anni) alla possibile stagnazione secolare secondo la recente definizione del Fondo Monetario Internazionale, e già oggi vi sto tediando con la bolla scoppiata del prezzo del petrolio in virtù di un mancato accordo di cartello tra i produttori, flop peraltro largamente previsto dalla potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, una banca globale che di petrolio ha dimostrato davvero di intendersi, come quando guidò, via derivati, la carica che portò il greggio al prezzo record di 143 dollari al barile, per poi girare opportunamente le proprie posizioni per guidare il ritorno quasi repentino a quotazioni che non si discostavano dai 40 dollari al barile e guadagnò una montagna di soldi sia in una direzione che nell'altra!
Del resto, che le cose a Doha si stessero mettendo male lo si è capito quando si è saputo che la delegazione iraniana al tanto strombazzato incontro sarebbe stata guidata da un funzionario e non dal ministro del petrolio di quel paese, un malcapitato che ha potuto solo ribadire che l'Iran non avrebbe accettato nessun incontro fino a che il paese non avesse recuperato la produzione ante sanzioni del 2011, il che significa in soldoni che intende porre sul mercato una produzione aggiuntiva pari all'attuale sbilancio che vede l'offerta superare la domanda per 1-2 milioni di barili al giorno e ai presenti non è restato che prendere atto di una situazione che non rendeva possibile nessun accordo a meno di un sacrificio forte da parte dell'Arabia Saudita e di altri importanti produttori arabi, né era pensabile che venissero in soccorso altri disastrati produttori fuori del cartello, come la Russia di Putin o il Venezuela del traballante Maduro.
In questa terza ondata della tempesta perfetta, ogni elemento si tiene con l'altro e, già a partire da questa settimana, dovremmo assistere a una nuova corsa verso i "beni" rifugio, quali l'oro, il franco svizzero e i titoli di stato di Germania e Stati Uniti, facendo tendere i rendimenti del Bund tedesco ancor più verso lo zero!
Si è appena conclusa l’ultima affollatissima tornata del Salone del Mobile di Milano. Una settimana di autentica passione che - tra funzionalità, creatività e fantasia – ha affascinato e conquistato gli oltre 370mila visitatori (86% gli stranieri) provenienti da tutto il mondo. Oggi, spenti i riflettori, si tirano le somme – questa volta veramente e strepitosamente positive – e ci si inchina davanti all’alto livello delle proposte che designer e artigiani-quasi-artisti hanno presentato ribadendo, ancora una volta, che sono cambiati i valori del pentagramma dell’ apparire. Oggi, di fronte ad una scelta “basilare”, all’abito firmato dai guru dell’abbigliamento (da indossare nelle grandi occasioni) si preferisce il pezzo firmato del famoso designer (da sfoggiare in salotto) magari con la medesima noncuranza alla Lord Brummel.
Dati di fatto emersi nel corso delle appena concluse calde giornate del Salone del Mobile che hanno letteralmente sconvolto i ritmi, sia pure sempre tumultuosi, della città. Migliaia gli espositori, innumerevoli i designer, gli sperimentatori di nuovi stili e materiali, sparpagliati, oltre che negli stand di Fieramilano Rho, nel Salone Satellite di via Tortona e dintorni e nelle animate performance/installazioni del Fuori Salone sparse in città. Tutti Insieme appassionatamente hanno presentato concreti od onirici stili di vita di un futuro più o meno possibile che spesso arrivano da un passato decisamente più vivibile. Solide proposte di pezzi d’arredo che ricordano quelli di alcuni decenni or sono di funzionalità e aspetto “comune” ma che oggi, attualizzati e firmati da grandi designers e stilisti stellari, si sono rifatti la faccia e l’anima, diventando bio sostenibilmente ed ecologicamente corretti. Ecco quindi materiali soprattutto di origine naturale, legno in primis, forme altrettanto naturali funzionalmente e anatomicamente perfette e, soprattutto “vivibili” ed esteticamente quasi senza tempo. Poi spazio ai giovani designer che con le loro idee di “ritorno al futuro” hanno sorpreso e qualche volta persino incantato, per le coraggiose, e spesso seducenti idee. E tanto, tanto (troppo?) spazio alla tecnologia futuristica e spesso inquietante che dominerà – a breve - la nostre case e i nostri “spazi vitali”.
Discorso a parte sulla creatività fantasticamente poliedrica di cui sono naturalmente dotati i nostri grandi della moda, e che ne fa anche splendidi designer di mobili e accessori e, pur cambiando i parametri, i risultati sono rimasti magicamente invariati. Si è creata una perfetta osmosi tra moda e arredamento che, iniziata diversi anni or sono e via via cresciuta nel tempo, ha avuto lusinghieri consensi. Perciò, a immagine e somiglianza di “Milano Moda Donna” e “Milano Moda Uomo”, la Camera della Moda ha dato vita alla manifestazione “Milano Moda Design” progetto/vetrina voluto per valorizzare e promuovere il “design d’arredamento d’alta moda”.
Giorgio Armani è l’icona – con la sua linea “Armani Casa” - degli stilisti-designer d’alta moda. Ribadiscono il suo stile sofisticato, ma rigorosamente inconfondibile le proposte di quest’anno declinate sulle ali della leggerezza. E della trasparenza. Diafani come un sogno... e attraverso un percorso onirico, quasi trasportati dalle ali di una farfalla, i “pezzi” di Casa Armani ripercorrono i parametri dell’ ultima collezione d’abbigliamento. Trasparenze e leggerezze che, con dolcezza, catturano una luce soffusa riflettendo le sfumature d’oro bianco e d’argento dei ricami che impreziosiscono tessuti di rafia, velluti preziosi, disegni di antichi foulard ripresi su lampi di seta. Gentili espressioni di un’arte che fonde – tra raffinata eleganza e funzionalità – il dna di un poliedrico creativo che ha saputo creare una perfetta corrispondenza tra abiti e abitabilità.
Donatella Versace – per Versace Home – nel segno della comodità raffinata, ha presentato il bellissimo divano “Via Gesù Palazzo Empire” un pezzo di design unico che si ispira alla omonima It-Bag Versace.
Nella grande e preziosa collezione Fendi Casa Contemporary spicca il nuovo divano Soho Lite disegnato da Toan Nguyen stilista francese di fama mondiale.. E’ sorretto da un a struttura minimalista ed elementi di sostegno in acciaio con grandi cuscini che ne sottolineano e amplificano l’ elegante comodità.
Roberto Cavalli amplia la sua già grande gamma di proposte d’arredamento – comodissimi i divani, le “sedute” tigrate, i tavolini, i letti ... faraonici - e annuncia l’ultima novità : la collaborazione con “La Murrina” artistica azienda del vetro di Murano per la creazione e la distribuzione mondiale di prodotti di illuminazione, vetri, specchi ed vari elementi d’arredo realizzati unicamente in vetro di Murano.
Lineare ed essenziale la linea delle proposte Trussardi che ricalcano la sobria raffinatezza delle linee d’abbigliamento del marchio. Deliziosa ed unica la collezione di Marella Ferrera “Trame Mediterranee” che riprendono suggestivi “segni scritti sulle pietre”.
Ho citato solo di sfuggita il passaggio dell'Economia Outlook del Fondo Monetario Internazionale che paventa il rischio di una stagnazione secolare per il mondo sviluppato e questo potrebbe stupire visto che, a livello dell'orbe terraqueo, registriamo da anni tassi di crescita del prodotto interno lordo compresi tra il 3 e il 4 per cento, ma il problema è che si tratta di un valore medio che unisce la crescita anemica dell'occidente sviluppato e del Giappone con quelli molto più vivaci che caratterizzano gli emerging markets e quella che ancora oggi, e nonostante i tanti paperoni cinesi in vetta alle classifiche di Forbes, si chiama Repubblica Popolare Cinese.
Tra le tre concause della terza ondata della tempesta perfetta, ho indicato il problema delle borse, e segnatamente delle banche, lo scoppio delle due bolle speculative del petrolio e delle altre materie prime energetiche, e la crisi sempre più evidente dell'economia cinese su cui grava un problema delle banche che è multiplo di quelli che affliggono le banche europee e il profilarsi dello scoppio di una gigantesca bolla nel settore immobiliare, due fatti che porterebbero le borse cinesi al collasso.
Credo proprio che gli economisti del Fondo Monetario Internazionale stiano seguendo uno schema di ragionamento non troppo dissimile da quello che ho descritto, a partire da febbraio, in numerose puntate del Diario della crisi finanziaria, uno schema di ragionamento che vede avvenire in Cina qualcosa di non troppo diverso da quello che è accaduto in Russia dopo l'abbandono di Michail Gorbachov e cioè l'applicazione selvaggia di metodi capitalisti d'arrembaggio in un paese povero ma che garantiva una serie di certezze a tutti.
Dopo il brusco allontanamento del capo dell'ufficio statale di statistiche cinesi, il nuovo responsabile si è premurato di diffondere a tempo di record le statistiche sulla crescita del prodotto interno lordo cinese che segnalano un lusinghiero 6,7 per cento di crescita, con un incremento della produzione industriale del 5,8 per cento, una crescita quest'ultima che contrasta con i programmi di licenziamento di 1,8 milioni di lavoratori del settore siderurgico e altre chiusure di stabilimenti non più produttivi, nel frattempo esplode l'industria delle abitazioni e esplodono i mutui (+92 per cento).
Il possibile scoppio di tre bolle contemporaneamente, quella del credito che sembra oramai imminente, quella del settore immobiliare e quella delle borse, inducono a prendere sempre più in considerazione le stime alternative dell'esule cinese ma con buoni contatti nella madrepatria, stime che dicono che siamo oramai prossimi ad una "stagnazione" che avrebbe effetti catastrofici sul PIL dei paesi avanzati!
Ho già parlato del fondo Atlante costituito presso una società di gestione del risparmio già operativa e si chiariscono meglio gli assetti proprietari del fondo stesso, con Unicredit e Intesa-San Paolo a far la parte dl leone con un miliardo di euro ciascuna e Cassa Depositi e Prestiti impegnata per mezzo miliardo e poi una pletora di fondazioni, banche e compagnie di assicurazioni a fare da comprimarie. Un'iniziativa che ha ricevuto l'autorevole benedizione del Fondo Monetario Internazionale, mentre suscita qualche perplessità nella più piccola delle società di rating, Fitch's, che paventa rischi per l'affidabilità delle prime due grandi banche italiane che impegnano tante risorse in questa opera di salvataggio del sistema bancario italiano, anche se lo stesso premier Renzi si è affrettato a spiegare che l'iniziativa cooperativa del mondo finanziario è solo un tassello di una strategia più ampia del Governo che punta a mettere al riparo le banche italiane dagli strali della vigilanza della Banca Centrale Europea.
Il vero banco di prova del neonato fondo sarà l'azione di garanzia degli aumenti di capitale miliardari delle due disastrate banche venete, in primis quello della Banca Popolare di Vicenza che, dopo la dissennata gestione capitanata da Gianni Zonin, l'ormai ex presidente che ha gestito da dominus indiscusso la banca per un ventennio, affondandola sotto un mare di sofferenze, aumento spostato ma alle porte e che doveva essere garantito in perfetta solitudine da Unicredit e per il quale si profila una marea di diritti inoptati da parte degli azionisti amareggiati dalla caduta a picco del valore delle azioni, non quotate nei mercati regolamentati, di una banca che sentivano propria al punto da sottoscrivere a 62 euro per azione quello che sempre più sembra somigliare ad un pezzo di carta straccia e che dovrebbe essere quotata a Piazza Affari ad un valore che dovrebbe, secondo i bene informati, oscillare intorno ad un euro, se non meno.
In un bellissimo articolo, il professor Zingales spiega l'ascesa e la caduta delle banche di provincia e il loro rapporto malata con le imprese delle zone di pertinenza, ma è sicuro che in nessuna regione d'Italia come nel Veneto tale rapporto patologico abbia prodotto frutti tanto avvelenati, incrociandosi con l'ascesa e la caduta di quell'economia del Nord-Est fatta di fabbrichette che hanno prosperato grazie alla debolezza della lira e alla relativa assenza della concorrenza cinese, ma che poi sono naufragate quando è stato introdotto l'euro e la concorrenza cinese, ma anche tedesca, ha iniziato a mordere sempre di più.
Come le favole del tempo antico, quello scenario idilliaco non tornerà più e gran parte delle sofferenze delle due banche venete sono irrimediabilmente perdute, anche perché i crediti venivano spesso erogati in assenza di garanzie e ad imprenditori che alla prova dei fatti sono spesso risultati nullatenenti!
Chi mi ha seguito in questi nove anni sa bene che non mi soffermo mai sui movimenti quotidiani di borsa, anche perché ritengo che i fenomeni vadano osservati sui tempi medio lunghi, ma quello che è accaduto martedì nella borsa italiana è stata una classica applicazione di quel detto che sentivo quotidianamente quando facevo l'economista in una sala operativa e, cioè, proprio come dice il titolo: compra sulla voce e vendi quando esce la notizia ed è esattamente quello che è successo a Piazza Affari tra lunedì e martedì per quanto riguarda la costituzione del fondo Atlante, un fondo destinato a sostenere gli aumenti di capitale delle banche italiane e ad acquistare le tranche junior delle cartolarizzazioni di crediti deteriorati, cioè quei pacchetti di sofferenze che non possono godere della garanzia statale riservata ai crediti in sofferenza di migliore qualità.
Cosa è accaduto? In poche parole, le azioni delle banche sono volate nella prima seduta dell'ottava sulle voci, anche contraddittorie, che parlavano della prossima costituzione di Atlante, aumenti che riguardavano indifferentemente le banche salvate da quelle considerate, a torto o a ragione, salvatrici, per non parlare della incertezza che riguardava la dotazione di Atlante, con voci che parlavano di 2,5- 5 o 6 miliardi di euro, cifre destinate in ogni caso a fare da effetto leva per interventi di molto maggiori dimensioni, nell'ordine delle decine di miliardi.
Nella seduta successiva, quella di martedì, quando le notizie sembravano più certe, il clima è cambiato improvvisamente e vi è stata una vera e propria valanga di vendite che ha lasciato indenne solo l'alquanto disastrato Monte dei Paschi di Siena che chiudeva quella infuocata seduta con un incremento di qualcosa di più di un punto percentuale, una seduta che era la cosiddetta seduta dei gonzi che hanno venduto, spesso in perdita, azioni che solo il giorno dopo, come è puntualmente accaduto, erano destinati a risollevarsi, in alcuni casi con variazioni a doppia cifra, ed è questo lo scenario che si è realizzato nella giornata di mercoledì, complice una chiarissima intervista del ministro Padoan al Sole 24 Ore.
Quello che sta accadendo sui mercati, con l'ottovolante delle quotazioni delle azioni delle banche italiane, non deve fare dimenticare che il sistema bancario italiano ha trovato il classico uovo di Colombo, cioè una soluzione che potrebbe davvero salvare capra e cavoli, riuscendo con uno sforzo finanziario tutto sommato limitato a venire incontro alle pretese di Madame Nouy che vuole una drastica riduzione delle sofferenze e aumenti di capitale adeguati a far fronte alle perdite derivanti da queste pulizie di bilancio, il tutto utilizzando il metodo assicurativo che permette di far fronte a grandi rischi con poche risorse!
Per combattere l'evasione delle multinazionali in Europa, che costa agli Stati 50-70 miliardi di euro all'anno, la Commissione ha proposto nuovi obblighi di trasparenza che costringeranno le aziende a pubblicare in ogni Paese dove operano le informazioni fiscali più importanti come profitti, tasse pagate, natura delle attività. "I cittadini vedranno chi paga, quanto e dove e vedranno se qualcuno ha spostato profitti all'estero", scrive Bruxelles, convinta che i Panama Papers dimostrino l'importanza della trasparenza.
La direttiva che introduce i nuovi obblighi era già prevista da tempo e quindi non è una risposta diretta ai Panama Papers. Ma può comunque aiutare a fare luce su quelle multinazionali che cercano di nascondere i propri 'traffici' di profitti per sfuggire al fisco. E' la prima volta che la Ue introduce il principio dello "scrutinio pubblico" sin materia fiscale. Con l'obbligo di pubblicazione Paese per Paese, Bruxelles si spinge oltre gli
standard Ocse in materia di trasparenza. Le nuove regole si applicano alle multinazionali più grandi, quelle cioè con un fatturato di almeno 750 milioni di euro annui. Dovranno pubblicare, in ogni Stato dove hanno una filiale, l'elenco dei profitti al netto delle tasse, l'ammontare delle tasse richieste e di quelle pagate, la natura delle attività, il numero di dipendenti, guadagni accumulati in altro modo. E dovranno rendere note
anche le tasse pagate nei Paesi fuori dalla Ue.
La direttiva coprirà circa 6000 società, che rappresentano il 90% del giro d'affari delle multinazionali in Europa. Bruxelles la vede anche come un modo per riportare equità nel settore, visto che le pmi sono spesso
penalizzate dal comportamento fiscale 'aggressivo' delle grandi aziende: secondo le stime della Commissione, una società che opera in più Stati paga in media fino al 30% di tasse in meno rispetto ad una società soggetta ad un solo ente fiscale.
Avendo tenuto il giornale di bordo della tempesta perfetta sin dal suo scoppio nell'estate del 2007, ho individuato tre macro fasi in quella che è nata come la più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra mondiale, travolgendo prima banche, industrie e settore immobiliare a stelle e strisce, per poi allargarsi alle banche britanniche, irlandesi, belghe olandesi, francesi e tedesche, una prima ondata che ha lasciato quasi indenni le banche italiane e l'industria nostrana.
La seconda ondata è quella che ha travolto i titoli del debito pubblico dei paesi dell'Europa mediterranea e la Grecia nel suo complesso con l'avvio dei lavori della Troika e lo strangolamento di quel paese che ancora oggi non è uscito da quella fase di difficoltà in gran parte legato alle strampalate ricette, del tutto pre keynesiane, adottate dagli spin doctors del Fondo Monetario, della Commissione europea e della Banca Centrale Europea, alcuni dei quali hanno anche onestamente, ma un po' coccodrillescamente, fatto ammenda dei loro errori.
In questa seconda fase, io ho interrotto per tre anni circa le pubblicazioni perché non aveva senso analizzare una crisi del debito acuita dalla sostanziale inerzia della Banca Centrale Europea che, in quella fase così calda, non imitò non dico la politica fortemente espansiva adottata dalla Federal Reserve, ma neanche quella fatta propria dalla Bank of England.
Le cose sono radicalmente cambiate nel 2015, anno che ha gettato le premesse di quanto sta avvenendo in questo anno di disgrazia 2016, con le banche europee falcidiate in borsa e quelle italiane sotto la lente della vigilanza europea presso la BCE che, dopo aver molto studiato a partire dalla sua istituzione, ha iniziato a inondare le banche di missive alquanto minacciose brandendo l'arma finale del bail-in.
Tutto questo avveniva mentre scoppiava la bolla speculativa del petrolio e quando non si erano spenti gli echi di quella fragorosa del settore immobiliare, con prezzi non lontani dai minimi in numerosi paesi europei, inclusa l'Italia. Ho invitato i miei lettori a non aspettarsi vere e proprie inversioni di tendenza nei due comparti e a non lasciarsi illudere dalla corsa dell'orso in atto nel settore petrolifero, una corsa drogata dall'attesa del prossimo vertice dell'OPEC previsto a Doha, in quanto Stati Uniti, Gran Bretagna e Iran, per non parlare degli sciagurati paesi latino-americani sono in grado agevolmente da far da contrappeso alle decisioni che verranno eventualmente prese lì. Nel frattempo, l'Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale informa che stiamo andando verso una stagnazione secolare.
La vera novità di questa terza ondata della tempesta perfetta è data dal comportamento ampiamente proattivo delle principali banche centrali dell'orbe terraqueo, un comportamento che da solo certamente non potrà risolvere tutti i problemi, ma senza il quale staremmo certamente molto, ma molto, peggio!
Dopo il vero e proprio bagno di sangue avvenuto sui mercati finanziari a partire dalla primavera dello scorso anno, ma intensificatosi bruscamente a partire dalla prima seduta di questo anno di disgrazia 2016, il Governo italiano ha capito nei mesi scorsi che la favoletta del sistema bancario solido non reggeva più e ha deciso di muoversi, dopo intense faticosi negoziati in sede europea, su due fronti: quello dell'agevolazione con garanzia del processo di smaltimento dei Non Performing Loans in pancia alle banche e quella di un fondo di garanzia per gli inevitabili aumenti di capitale delle banche stesse derivanti dalle pesanti perdite derivanti dallo smaltimento stesso e, per farlo, ha spinto un po' rudemente le banche a muoversi e ad utilizzare una sgr già esistente per garantire gli aumenti di capitale ed acquistare le tranche di sofferenze dismesse dalle banche di qualità più scadente mediante un fondo che si chiamerà Atlante, mentre quelle cosiddette senior versavo assistite da garanzia statale mediante il Gacs.
D'altra parte, di aumenti di capitale ne sono in corso per circa quattro miliardi di euro complessivi da parte di Banco Popolare, come dote di nozze nell'unione promessa con la Banca Popolare di Milano, e da parte delle due disastrate banche venete, la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ma potete essere sicuri che molti altri ne verranno nel corso del 2016, a partire da quel Monte dei Paschi di Siena che denuncia un rapporto tra crediti deteriorati e impieghi vivi intorno al 40 per cento, un dettaglio che non deve essere sfuggito agli uomini e alle donne che lavorano al comando di Madame Nouy!
Come si suol dire, il diavolo si vede nei dettagli e le cifre di cui per ora si parla non sembrano assolutamente stratosferiche, anche se potrebbero esercitare un effetto leva molto forte, in quanto con 2,5 miliardi di euro elevabili a 6 di fondo di dotazione si potrebbero, per la parte che garantisce gli aumenti di capitale, gestire agevolmente aumenti di capitale per decine di miliardi, a meno di ipotizzare livelli di inoptato totali che verrebbe di escludere per ché le banche di cui si parla offrono il valore delle rispettive azioni a prezzi davvero stracciati, in particolare le due banche venete di cui ho parlato di sopra.
Qualche parola va spesa sui motivi per cui ci troviamo oggi in questa situazione che non nasce certo l'anno scorso, ma affonda le radici in una gestione del credito effettuata dalle banche italiane che è stata davvero disastrosa e sulla quale la Banca d'Italia ha chiuso non un solo occhio ma tutti e due e che ha reso facile il compito della nuova vigilanza europea che ha messo in dubbio l'efficacia degli accantonamenti a questo titolo per oltre 110 miliardi di euro effettuati nel tempo e che sarebbero a rischio in una condizione di stress come quella ipotizzata in quel di Francoforte. Un'attenzione legittima, quasi doverosa, che però non viene esercitata con uguale fermezza per la altissima montagna di derivati e titoli tossici in pancia alle banche globali europee, una montagna argillosa non solo per i rischi di mercato ma anche per quelli di controparte!
Le biblioteche e i musei oggi sono a un punto di svolta. Le rapide innovazioni tecnologiche trasformano profondamente l’accesso degli utenti alla storia e alle raccolte. Gli Opac (Online public access catalogue), cataloghi in linea su internet, rendono conoscibili su scala planetaria le risorse delle singole istituzioni, per quanto geograficamente marginali; la gestione informatizzata del prestito snellisce le procedure; prestito interbibliotecario e document delivery, ovvero distribuzione selettiva dei documenti, favoriscono la circolazione degli stessi. Ancor di più, imponenti progetti di digitalizzazione delle raccolte rendono direttamente accessibili a studiosi e lettori di tutto il mondo il contenuto dei documenti, fornendo un surrogato virtuale del libro o del reperto, a patto che non si dimentichi l'importanza della materialità dell'oggetto: presupposto basilare di una corretta informatizzazione dei beni librari, non è una politica culturale non volta a sostituire il documento, bensì a consentire la conservazione dell'oggetto materiale permettendo contemporaneamente l'accesso ai contenuti.
In questo panorama acquisiscono grande importanza lo sviluppo di standard internazionali informatici e di catalogazione, necessari rispettivamente a garantire la fruizione nel lungo periodo dei documenti digitali e a creare una rete di istituzioni che condividono metodi di indicizzazione e non solo: catalogazione partecipata e catalogazione derivata permettono la condivisione da parte di più biblioteche della medesima scheda catalografica, dando uniformità alle voci. Anche in Italia si è ormai affermata l'applicazione degli standard Isbd (International standard book description), promossi dalla Ifla (International federation of library associations) e declinati in una serie di specifiche (M per le monografie, A per il libro antico, S per i periodici eccetera), che si aggiungono alle Rica (Regole italiane di catalogazione per autori) pubblicate nel 1979 a cura dell'Iccu (Istituto centrale per il catalogo unico) per definire gli "accessi formali" e al datato soggettario per i cataloghi delle biblioteche italiane curato dalla Biblioteca nazionale di Firenze nel 1956 per gli "accessi semantici".
Ne deriva quindi l’importanza per un Comune, di riuscire ad avvicinare in tal senso, i suoi cittadini e il mondo, alle risorse culturali del proprio territorio. Il bando europeo a fondo perduto con scadenza 30 giugno, fino a 3 milioni di euro, destinato ai Comuni per la creazione di un museo e una biblioteca virtuale e’un’opportunità per creare un polo culturale informatizzato che porterebbe ogni cittadina d’Italia nella rete delle città culturali. L’impatto sarà quello di creare nuovi aspetti progettuali per l’utilizzo dello stato dell'arte in informatica e la gestione dei Big data, di ricercare contenuti digitali europei importanti e sicuri, sistemi di analisi dei dati con ricerche semantiche tra enormi quantità di dati e non sufficientemente contrassegnati con metadati adeguati e, inoltre, quello di migliorare la comprensione della ricca diversità del patrimonio culturale europeo e creare valore aggiunto per la società, fornendo a ricercatori, giornalisti, politici e al pubblico interessato nuovi modi di trovare risposte alle loro domande sul patrimonio culturale europeo e storico. Un’occasione per i Comuni che potrebbero cogliere per loro stessi e la loro storia. Digitalizzando e gestendo in maniera integrata le informazioni, i vantaggi culturali ed economici del Comune crescerebbero in maniera esponenziale. I Comuni d’Italia, considerata la logica della politica, saranno pronti a vincere sul piano della cultura? La loro storia potrà finalmente essere fruibile da tutti?
Si tranquillizzino i miei lettori perché non voglio fare riferimenti mitologici o di storia antica, ma solo cercare di capire se gli isolani della Gran Bretagna, un miscuglio di popoli e di realtà geografiche molto diverse tra loro, spingeranno i loro risentimenti e il loro orgoglio fino a decidere di lasciare una realtà che conta ventotto nazioni, cinquecento milioni circa di abitanti e un prodotto interno lordo che la colloca nel novero delle tre realtà economiche più importanti dell'orbe terraqueo, una realtà a cui ha aderito relativamente di recente, ma comunque da poco meno di mezzo secolo.
Nell'Unione Europea, comunque, la Gran Bretagna possiede uno status davvero invidiabile, in quanto non aderisce, pur avendone abbondantemente i requisiti stabiliti dall'accordo di Maastricht, all'euro, sfruttando in questo caso la clausola dell'opting out, come hanno fatto anche alcuni paesi scandinavi, non aderisce al trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone nell'ambito dell'Unione europea, mentre sfrutta a mani basse della libera circolazione dei capitali, ma eccezioni generose ha conseguito anche nell'ultima tornata di negoziati svolti in quel di Bruxelles, tra i quali spiccano la possibilità di ulteriori e importanti opting out rispetto a provvedimenti in materia economica e finanziaria, nonché l'esclusione pluriennale dal welfare per gli immigrati che entreranno dopo la data del referendum, se prevarrà, ovviamente, l'opzione di restare in Europa, altrimenti faranno quello che vorranno.
Non mi addentrerò volutamente nel vivace dibattito in corso sui vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'esito della scelta referendaria ove la stessa fosse quella della Brexit, anche se trovo ragionevole l'ipotesi di un'incidenza negativa sul prodotto interno lordo britannico nell'ordine del cinque per cento, un impatto pesante per un paese oramai deindustrializzato e alle prese con l'andamento largamente cedente del prezzo del greggio (un prezzo che ha compiuto nelle ultime settimane quella che io definisco la corsa dell'orso, con un repentino rimbalzo e poi con quella che sembra una vera e propria caduta, per poi tentare una nuova risalita).
Quello che più mi interessa è capire la stratificazione sociale rispetto agli orientamenti di voto e trovo un ottimo supporto in un articolo di Maurizio Ricci che analizza un sondaggio di dimensioni davvero impressionanti pubblicato da YouGov, un sondaggio basato su sedicimila interpellati e che indica come Londra, Irlanda del Nord, la Scozia e il Galles siano decisamente per restare nell'Unione europea, mentre le cose vanno decisamente male nelle altre pari della Gran Bretagna, così come vi è una discriminante anagrafica tra gli elettori, con i più giovani contrari a lasciare la UE e i più anziani ferventi fautori della Brexit. Vi è poi una differenza di classe, quella medio-alta a favore dello statu quo e quelle più basse in favore dell'uscita. Comunque sapremo come andrà a finire tra due mesi e mezzo o più precisamente il 23 giugno prossimo, anche se il coinvolgimento di David Cameron nei Panama Papers mette un'ulteriore ipoteca sul risultato.
Pressata dalla sorveglianza europea della BCE, Banca Carige ha tenuto ieri l'assemblea ordinaria dei soci che, guidati dall'azionista di riferimento Vittorio Malacalza, hanno approvato il molto discusso bilancio 2015, giubilato il precedente presidente e l'amministratore delegato, Pierluigi Montani, chiudendo di un colpo l'era del possibile ma mancato risanamento che doveva fare seguito alla disastrosa e pluridecennale gestione Berneschi.
Alla guida della Banca è stato chiamato Giuseppe Tesauro, già presidente della Corte Costituzionale dopo essere stato il numero uno dell'Antitrust, mentre Malacalza si è ritagliato per sé il ruolo di vicepresidente, mentre al posto di Montani è stato chiamato Guido Bastianini, ex Capitalia che ha proseguito a lavorare per Matteo Arpe nella creatura finanziaria realizzata dall'antico antagonista di Cesare Geronzi.
Ma la notizia che tutti si aspettavano era relativa alla posizione dell'azionista di maggioranza relativa nei confronti dell'offerta del fondo statunitense Apollo Capital Management che, come ho scritto in questi giorni, ha offerto 625 miliardi di euro per i 3,5 miliardi di sofferenze nette di Carige (meno del 20 per cento del valore al netto degli accantonamenti), per poi partecipare con 500 milioni di euro a un aumento di capitale della banca, più 50 milioni riservati agli attuali azionisti.
La mossa più discutibile di Apollo non sta nelle condizioni offerte che, seppur molto dure, fanno parte del gioco non sempre elegante della finanza, quanto nel fatto che è stata fatta filtrare una sorta di approvazione da parte della vigilanza della BCE che il legale di Malacalza smentisce duramente come destituita di ogni fondamento.
Quale è il piano alternativo della banca nella nuova era dominata dai Malacalza, sì sono più d'uno, viene delineato nello stesso intervento del legale incaricato di parlare per conto dell'azionista di maggioranza, quando non esclude un ricorso al Gasc il nuovo meccanismo messo in piedi dal Ministero dell'Economia e che ha avuto il via libera da parte dell'Unione europea, anche perché si potrebbe spuntare un prezzo più alto di quello offerto da Apollo e si potrebbe operare per tranche senza giungere nell'immediato a perdite per molte centinaia di milioni.