L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Economics (240)

Roberto

Roberto Casalena
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Se si consulta una pagina di un sito finanziario, si può leggere che lo spread o differenziale tra un titolo del debito pubblico e un altro non è altro che la differenza tra il rendimento interno dell'uno e quello dell'altro, il che significa che il suo valore è dato dai movimenti di prezzo dei due titoli e viene letto come la differenza che il mercato dà ai debiti pubblici sovrani dei due Stati presi in considerazione.

Per noi, lo spread che fa da stella polare è il differenziale tra il rendimento del BTP decennale ad una certa scadenza e il rendimento del Bund tedesco avente scadenza omologa ed è un valore che può subire variazioni per vari motivi e, cioè, sia perché scende il prezzo e quindi sale il rendimento di uno dei due titoli o perché scende il prezzo e quindi il rendimento dell'altro titolo o perché avvengono variazioni nella stessa direzione dei due titoli ma con intensità diversa, o perché, ed è quello che sta avvenendo ora, che un titolo scenda in termini di rendimento e l'altro salga.

Fino al 2011, il termine spread riferito al differenziale Btp-Bund era pressoché sconosciuto ai più e il valore dello stesso si aggirava sui 100 punti base che equivalgono all'un per cento, un valore tutto sommato modesto tenuto conto delle differenze strutturali esistenti tra l'Italia e la Germania, quando, nell'estate di quell'anno, il differenziale tra i titoli italiani, spagnoli e grechi rispetto al Bund tedesco cominciarono a volare, per giungere per il nostro Paese alla cifra record di 575 punti base e favorirono l'ascesa al governo del prof. Mario Monti che avviò quella fase di riforme, anche dolorose, che sono state poi proseguite dai governi di Enrico Letta e di Matteo Renzi.

Dopo aver sfiorato l'area dei 90 punti base e aver illuso i più, lo spread ha ripreso bruscamente a salire, toccando anche punte del 60 per cento superiori ai minimi recentemente raggiunti e questo in assenza di significativi rialzi dello yield to maturity, il rendimento interno appunto, dei decennali italiani ma di una vera propria fuga verso la qualità dei titoli di stato tedeschi rappresentati, a torto o a ragione, come beni rifugio di fronte ai nuovi marosi della tempesta perfetta.

Mi scuso per la spiegazione un po' tecnica, ma in televisione e sui giornali si è usi dare il valore sintetico dello spread senza analizzare le determinanti degli scostamenti quotidiani e siccome questo valore è visto come un indice sintetico dell'affidabilità dell'Italia credo sia opportuno questo rapido approfondimento.

L'incontro al vertice tra il ministro dell'energia russo e i suoi omologhi venezuelano e saudita svoltosi ieri è stata la classica montagna che ha partorito un topolino, in quanto i tre uomini più potenti del petrolio, escludo volutamente gli Stati Uniti d'America che seguono logiche tutte loro, si sono trovati d'accordo nel congelare la produzione di petrolio dei rispettivi paesi al livello raggiunto l'11 gennaio ma non nell'individuare un target effettivo di taglio della produzione di greggio che, qualsiasi ne fosse stata l'entità avrebbe potuto influenzare le quotazioni dell'oro nero in maniera significativa.
D'altra parte, tutte le manovre dal lato dell'offerta, le cosiddette supply side, non hanno effetti di medio e lungo termine se non ci sono variazioni significative dal lato della domanda e questo, nella presente fase congiunturale a livello globale è quanto meno poco probabile, anche perché non si sono notati fenomeni di accaparramenti agli attuali livelli minimi dei prezzi, anche perché, se vi fossero stati avrebbero prodotto, come spiega qualsiasi manuale di macroeconomia, effetti ben visibili sui prezzi.


C'era poi un grande assente al meeting dei tre plenipotenziari, quella potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, vera regina del mercato dei derivati sul petrolio e sulle altre materie prime energetiche che deve buona parte delle sue fortune a come gestì l'ascesa del prezzo del greggio fino al massimo storico di 147 dollari al barile per poi farne altrettanti girando per tempo le sue posizioni in questo turbolento mercato!
Come indico nel titolo, quella del petrolio e del gas è una bolla speculativa già scoppiata e che, almeno al momento, non ha prodotto l'effetto che i produttori dell'OPEC e non solo si attendevano: quello di determinare lo stop della produzione dello shell oil statunitense che ha dei prezzi di produzione molto più alti di quelli dei concorrenti e che, tuttavia, grazie a incisivi miglioramenti tecnologici, ha subito solo perdite marginali e continua a rappresentare una fonte di offerta, in particolare per la domanda interna a stelle e strisce.


Se fossi ancora un previsore di una trading room, vedrei una strada one way al rialzo per le materie prime energetiche, ma il livello di concorrenzialità esistente in questo immenso mercato mi fa ritenere che difficilmente si giungerà a quegli accordi di cartello a livello planetario che soli potrebbero produrre significative impennate nei prezzi.

Per chi come me ha tenuto il libro di bordo della tempesta perfetta dal settembre 2007 in poi, lo scoppio di una o più bolle speculative non dice nulla di nuovo, anche perché i comportamenti degli operatori e degli analisti sono pressoché identici a prescindere da quale sia l'epicentro della crisi e da quanto siano alti i marosi della tempesta perfetta.

Ai tempi del molto evitabile fallimento di Lehman e dell'incredibile salvataggio del colosso assicurativo statunitense AIG, non riuscivo quasi a credere ai miei occhi di fronte ai comportamenti del duo Paulson-Bernspan e alle tragiche conseguenze del capolavoro che furono in grado di realizzare finalizzato ad eliminare l'unica vera concorrente di Goldman Sachs.

Ma tornando allo scoppio delle tre bolle speculative che stanno iniziando a sgonfiarsi quasi contemporaneamente, mi ha colpito molto quanto ha detto in una trasmissione televisiva il numero uno di un'entità finanziaria il quale spiegava che i problemi con i quali ci si stava confrontando in questo primo squarcio del 2016 erano presenti in modo pressoché identico nel 2015, anno in cui, come tutti ricorderanno, le borse di tutto il mondo, non esclusa certo la piazza milanese pivot a livello europeo, macinavano record su record, facendo pensare ai più che la tempesta perfetta ce l'avevamo ormai alle spalle.

Quello che sta accadendo, in buona sostanza e al netto di eccessi speculativi che non mancano, è un ritorno verso valori più normali e più in linea con i fondamentali delle aziende ed è un tragitto che è tutt'altro che terminato con buona pace degli investitori che hanno comprato i titoli a caro prezzo nei mesi passati.

Come tutti oramai sanno, una delle componenti dei principali listini europei ad avere pagato il prezzo più alto al doloroso processo di aggiustamento in corso è quello bancario, con una media di correzione nel corso delle ultime sei settimane pari al 50 per cento e in qualche caso anche di più, un drastico ridimensionamento a cui non è estranea l'entrata in vigore del bail in un provvedimento che prevede che gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati e i depositanti per la parte eccedente i centomila euro partecipino alle perdite della banca in dissesto.

Il Governatore della Banca d'Italia, il Governo e anche i partiti di opposizione hanno proposto di applicare il provvedimento con gradualità, ma Super Mario ha spiegato ieri al Parlamento europeo che non se ne parla proprio!

 Non era possibile esaurire l'analisi delle turbolenze che circondano il colosso creditizio Deutsche Bank, una delle poche banche globali del continente europeo già nei guai ai tempi della prima fase della tempesta perfetta quando era guidata dall'ineffabile Herr Ackermann, in una sola puntata del Diario della crisi finanziaria e oggi quindi torniamo sull'argomento anche perché sono finalmente apparsi sulla stampa specializzata dei numeri più precisi sullo stato dell'arte in questa banca che ha sede nella stessa città tedesca in cui ha sede la Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi.

D'altra parte, che la situazione sia davvero preoccupante lo dimostrano le mosse di John Cryan, CEO di Deutsche da appena sei mesi, che, dopo aver rassicurato che la banca ha i soldi per pagare gli interessi sui bond subordinati (sic), ha anche promesso che ne riacquisterà con un'operazione di buyback per poco meno di 5 miliardi di euro, una mossa quest'ultima che ha consentito venerdì al titolo di guadagnare un 15 per cento pur restando a meno della metà di quanto quotava pochi mesi orsono.

Ma la cifra che davvero è impressionante è stata resa nota dal quotidiano la repubblica che, in un articolo a firma di Maurizio Ricci, rende noto che l''esposizione lorda sui derivati è pari a qualcosa meno di 60 mila miliardi di euro un multiplo dell'attivo tradizionale della banca e superiore all'intero prodotto lordo dei paesi dell'Unione europea, ma Cryan rassicura dicendo che Deutsche ha una "piscina" di liquidità pari a 215 miliardi di euro e alcuni analisti rassicurano vieppiù, affermando, come è peraltro ovvio, che si tratta di una cifra lorda e che l'esposizione netta è nell'ordine di cifre molto più basse e gestibili.

Peccato che la memoria storica ci porti immediatamente a quelle torride giornate del settembre 2008 quando il ministro del Tesoro a stelle e strisce dell'epoca e in precedenza numero uno di Goldman Sachs, Hank Paulson, e il suo sodale Benjamin Bernanke, in arte Bernspan, fecero fallire Lehman Brothers, che pure aveva una considerevole "piscina" di liquidità, ma che, al momento opportuno si vide negare da altre banche, in particolare JP Morgan Chase (che per questo è stata condannata) la disponibilità dei propri soldi.

Ma il problema vero di Deutsche è il cosiddetto rischio di controparte, perché è solo se le controparti dei contratti sono solide, e liquide, che il passaggio dal lordo al netto della montagna dei derivati in pancia al colosso tedesco è possibile!

 

Evito normalmente di soffermarmi sui movimenti quotidiani delle azioni delle banche, anche perché credo che la cosa più importante sia capire le cause più o meno profonde delle variazioni dei valori azionari stessi, ma quello che sta accadendo in questi giorni e in queste settimane richiede di fare conto anche delle variazioni congiunturali, sopratutto se le variazioni delle quotazioni stesse siano dell'ordine del cinquanta per cento e più nel volgere di poche settimane.

Partirò dal caso italiano, apparentemente immune dal maggiore problema della tempesta perfetta iniziata nel luglio del 2007 e che il mese successivo vide il blocco completo della liquidità interbancaria sul non marginale mercato dell'euribor, un problema che venne individuato nella proliferazione in controllata dei titoli della finanza derivata per cifre nozionali che erano un multiplo del prodotto lordo a livello planetario.

Ma il caso recente della Deutsche Bank di cui ho parlato ieri, una banca globale che ha in pancia titoli tossici per un ammontare anche difficile da immaginare, titoli non smaltiti da nessuno a differenza di quanto è accaduto negli Stati Uniti d'America, con la Federal Reserve che ha fatto da spazzino per la montagna di titoli della finanza derivata posseduti dalle banche a stelle e strisce, il caso della Deutsche, dicevo, fa capire che è difficile assolvere un intero sistema bancario, quello italiano, senza cercare di capire come è strutturato.

Ebbene, come tutti sanno, il nostro è un sistema bancario che presenta un numero molto elevato di banche, ma che è di fatto concentrato su quattro-cinque gruppi bancari che rappresentano oltre il cinquanta per cento del mercato e due dei quali, Intesa e Unicredit Group si sono lanciate in una politica di acquisizioni/salvataggi di banche europee e non solo di varia dimensioni.

Ora il problema è quello di capire cosa c'era in pancia di alcune di queste prede, in particolare in quelle tedesche e austriache, e, tanto per non fare nomi, nella controllata tedesca di Unicredit, una banca sulla quale è stato difficile per un certo tempo fare chiarezza sui conti anche per un certo tempo dopo la stessa acquisizione.

Ho proprio l'impressione che l'ostinazione del governo tedesco nel privilegiare i prodotti derivati più o meno tossici negli schemi di salvataggio europei a scapito di quelle che ieri definivo banali sofferenze abbia dei solidi e fondati motivi, peccato che a fare le spese di tutto questo la quasi totalità delle banche italiane dove si è pensato che i derivati fossero qualcosa che aveva a che fare più con l'analisi matematica che con l'attività bancaria!

Interrompo l'illustrazione delle cause profonde della nuova fase della tempesta perfetta perché è davvero preoccupante quello che è successo ieri nel colosso tedesco Deutsche Bank, una delle poche banche europee a rivaleggiare con quelle statunitensi nella produzione di titoli tossici e di certo la più multata proprio per il suo attivismo in queste spericolate attività.


Infatti, dopo aver perso il 40 per cento circa di capitalizzazione di borsa nelle prime settimane di questo orribile 2016, il neo amministratore delegato del gruppo ha annunciato di avere i soldi, un miliardo di euro, per pagare gli interessi sulle obbligazioni subordinate per il 2016 e che dovrebbe avere anche quelli necessari alla stessa bisogna per il 2017, sempre che i risultati di bilancio dell'anno in corso vadano secondo le previsioni.
Non è proprio un bel segnale quando il numero uno di una banca si vede costretto ad annunciare coram populo che è in grado di far fronte ai suoi impegni, fatto sta che il mercato gli ha creduto e ieri il titolo è volato in borsa, grazie anche all'aperto sostegno dell'arcigno ministro delle finanze teutonico, lo stesso che negli schemi europei di salvataggio delle banche ha privilegiato i titoli tossici a scapito delle banali sofferenze.
Ma la vera notizia di ieri, oltre alla provvidenziale vendita della affiliata banca cinese, è stata la decisione di chiudere/cedere le due branche dell'investment banking proprio quelle che con le loro fabbriche prodotto hanno determinato in questi anni davvero turbolenti la maggior parte degli utili della banca globale ma anche la quasi totalità delle multe miliardarie!

Delle tre cause profonde della crisi finanziaria in corso delineate ieri, ho collocato non a caso la Cina e i suoi problemi al primo posto, anche perché in pochi luoghi della terra i problemi di questa nuova fase della tempesta perfetta si concentrano in una miscela davvero esiziale.

Comincerei dal problema della crescita di quella che è oramai diventata la locomotiva dell'economia mondiale e in quel +6,9 per cento di crescita del PIL 2015 che tanto aveva deluso analisti e osservatori. Ebbene, uno studioso cinese esule negli States, grazie ai suoi contatti nella madrepatria, ha scoperto che la crescita reale sarebbe di almeno due punti percentuali più bassa e le ferie forzate di fine anno degli operai cinesi sembrerebbero dimostrare tale assunto, per non parlare del recente arresto del numero uno dell'istituto di statistiche cinesi.

C'è poi il problema delle banche, appesantite, si fa per dire, da sofferenze pari a quasi due volte il prodotto lordo cinese (1,6 volte); per dare un'idea, basti pensare che le sofferenze delle banche italiane, al netto degli accantonamenti, non superano il 5 per cento del prodotto interno lordo italiano ed è più o meno così per tutti gli altri grandi paesi europei.

Per quanto poi riguarda le borse cinesi, credo che in pochi casi si possa parlare di bolla speculativa come nelle due borse situate sul continente cinese, mentre quella di Hong Kong appare caratterizzata da fondamentali più solidi.

Procedendo per estrema sintesi, le cause della nuova tempesta perfetta sono tre: il rallentamento dell'economia cinese con il suo corollario di crediti in sofferenza delle imprese del celeste impero; lo scoppio delle bolle speculative sui mercati azionari all over the world e, the last but not the least, il crollo delle quotazioni del petrolio, dove si intravede la manina di Goldman Sachs, con le conseguenti situazioni di default dei grandi e piccoli operatori in questo vastissimo mercato.

Si tratta del concomitante scoppio di tre bolle speculative dovute a falle che sarà difficile riparare anche perché vi è un evidente effetto sinergico tra i tre fenomeni che si danno in realtà mano l'uno l'altro, ma di tutto questo parlerò più diffusamente nei prossimi giorni.

Di altro segno quello che sta accadendo nel mercato dei titoli del debito sovrano anche se la dominante in questo case è la paura innescata dallo scoppio, per ora solo all'inizio, delle summenzionate bolle, con il conseguente e ben noto fenomeno del fly to quality che vede i bund tedeschi ai minimi storici in termini di yeald, addirittura negativi in alcuni punti della curva, mentre attraggono anche i TBonds e i Gilt britannici, il tutto a scapito dei titoli dei paesi deboli, Grecia, Italia e Spagna in testa!

I contributi sono finalizzati a sostenere lo svolgimento di specifiche attività promozionali realizzate dai Consorzi multiregionali per l’internazionalizzazione, per sostenere le PMI nei mercati esteri, favorire la diffusione internazionale dei loro prodotti e servizi, nonché incrementare la conoscenza delle autentiche produzioni italiane presso i consumatori internazionali per contrastare il fenomeno dell’italian sounding e della contraffazione dei prodotti agroalimentari.

Soggetti destinatari e requisiti:

I Consorzi per l’internazionalizzazione devono:
- essere costituiti ai sensi degli articoli 2602 e 2612 e seguenti del codice civile o in forma di società consortile o cooperativa da PMI industriali, artigiane, turistiche, di servizi, agroalimentari, agricole e ittiche aventi sede in Italia, nonché da imprese del settore commerciale purché in misura non prevalente rispetto alle altre. E’ ammessa la partecipazione di enti pubblici e privati, di banche e di imprese di grandi dimensioni, purché non fruiscano dei contributi pubblici. In tale ipotesi la nomina della maggioranza degli amministratori dei consorzi per l’internazionalizzazione spetta comunque alle PMI consorziate, a favore delle quali i consorzi svolgono, in via prevalente, la loro attività;
- avere per oggetto la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese, nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri anche attraverso la collaborazione e il partenariato con imprese estere;

- essere senza scopo di lucro e non distribuire avanzi e utili di esercizio, di ogni genere e sotto qualsiasi forma, alle imprese consorziate o socie anche in caso di scioglimento del Consorzio o della Società consortile o cooperativa;

- avere un fondo consortile interamente sottoscritto, versato almeno per il 25%, formato da singole quote di partecipazione non inferiori a € 1.250,00 e non superiori al 20% del fondo stesso;
- essere iscritti nel registro delle imprese al momento della presentazione della domanda e in stato di attività;

- non essere in liquidazione o soggetti a procedure concorsuali;

I Consorzi dovranno possedere i requisiti richiesti in modo continuativo dalla data di domanda fino all’erogazione del contributo; la perdita di anche uno solo di essi comporta la revoca dell’ammissione a contributo.

Progetto e iniziative finanziabili:
Sono agevolabili le seguenti iniziative (art.4, del Decreto Direttoriale):
- partecipazioni a fiere e saloni internazionali;
- eventi collaterali alle manifestazioni fieristiche internazionali;
- show-room temporanei (durata max 6 mesi);
- incoming di operatori esteri;
- incontri bilaterali fra operatori esteri e all'estero;
- workshop e/o seminari in Italia con operatori esteri e all’estero;
- azioni di comunicazione sul mercato estero;
- attività di formazione specialistica per l’internazionalizzazione, destinata esclusivamente alle imprese partecipanti al progetto. Tale attività non può costituire più del 25% del costo totale delle iniziative;
- realizzazione e registrazione del marchio consortile.

Requisiti del Progetto:
- le iniziative finanziabili devono essere realizzate nel periodo 1 gennaio/31 dicembre 2016 e devono essere strutturate sotto forma di Progetto di internazionalizzazione, secondo il Modello B allegato al Decreto;
- il Progetto deve prevedere una spesa ammissibile non inferiore a € 50.000,00 e non superiore a € 400.000,00;
- il Progetto deve coinvolgere, in tutte le sue fasi, almeno cinque PMI consorziate provenienti da almeno tre diverse regioni italiane, appartenenti allo stesso settore o alla stessa filiera; (tale elemento costituisce un oggettivo fattore di criticità)

- il Progetto non deve annoverare imprese che siano in liquidazione o soggette a procedure concorsuali;

- il Progetto presentato da consorzi con sede legale in Sicilia o Valle d’Aosta può anche avere una strutturazione monoregionale, prevedendo il coinvolgimento di sole imprese con sede legale in una delle citate regioni. Nel Decreto Direttoriale 29 dicembre 2015, artt. 5 e 6, sono indicate le spese ammissibili e non ammissibili.

Presentazione della domanda di contributo:
La domanda di contributo, in regola con l’imposta di bollo vigente, redatta secondo il Modello A, deve essere presentata esclusivamente tramite posta elettronica certificata ( PEC), firmata digitalmente dal legale rappresentante del Consorzio, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione sul sito del Ministero (www.mise.gov.it) del presente decreto ed entro e non oltre il 15 febbraio 2016, all’indirizzo PEC This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it., secondo quanto stabilito dall’art. 7 del bando. L’oggetto della PEC deve contenere l’indicazione “PROGETTO CONSORZI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE - Anno 2016”.
Ciascun Consorzio può presentare una sola domanda di contributo, pena l’esclusione di tutte le domande in cui figura la stessa denominazione.
Ciascuna PMI, pur potendo aderire a più consorzi, può partecipare ad un solo progetto presentato. Le PMI coinvolte nel progetto devono essere imprese industriali,artigiane, turistiche, di servizi, agroalimentari, agricole e ittiche; le imprese del settore commerciale possono partecipare al progetto purché in misura non prevalente rispetto alle altre.

Alla domanda devono essere allegati:
a. il Progetto di internazionalizzazione da realizzare, corredato dalle relative voci di spesa
b. atto costitutivo e statuto del Consorzio, salvo che tali documenti siano già agli atti del Ministero e
che nel frattempo non abbiano subito modifiche;
c. autocertificazione “aiuti de minimis”, comprensiva degli eventuali contributi erogati dal Ministero
I Consorzi per l’internazionalizzazione che intendono presentare domanda dovranno dotarsi di un proprio indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC) e di firma digitale ai sensi della normativa vigente.
Tutta la corrispondenza con il Ministero dovrà avvenire tramite PEC e dovrà essere firmata digitalmente dal legale rappresentante del consorzio.
Le domande presentate oltre il 15 febbraio 2016 saranno ritenute irricevibili.

Procedura per l’ammissione al contributo:
Le domande pervenute sono istruite dal Ministero che verifica la sussistenza dei requisiti previsti dal decreto direttoriale, nonché l’ammissibilità delle iniziative progettuali e delle relative spese.
Nel caso di incompletezza della domanda ovvero di insussistenza dei requisiti di ammissibilità previsti dal Decreto direttoriale, il Ministero provvede a comunicare i motivi ostativi all’accoglimento della domanda ai sensi dell’art.10-bis, della legge 7 agosto 1990, n.241, e successive modificazioni e integrazioni. I progetti rispondenti ai requisiti richiesti e che prevedano una spesa ammissibile non inferiore a € 50.000,00 e non superiore a € 400.000,00, sono inoltrati alla Commissione di valutazione, istituita presso la Direzione Generale per le politiche per l’internazionalizzazione e la promozione degli scambi. La Commissione di valutazione esamina i progetti e attribuisce a ciascuno un punteggio tenendo conto dei parametri e dei punteggi fissati dall’art.9 del Decreto Direttoriale. Sono ammessi a contributo esclusivamente i Consorzi che raggiungono il punteggio-soglia pari a 18 punti.
Contributi:
L’agevolazione, concessa a fondo perduto, non potrà superare il 50% delle spese sostenute ritenute ammissibili. Nell’ipotesi in cui la dotazione finanziaria non sia sufficiente a garantire l’erogazione nella percentuale massima del 50% delle spese rendicontate ammissibili, si procederà alla determinazione dei contributi stessi attraverso il riparto proporzionale delle risorse disponibili.
Per trasparenza e correntezza amministrativa, si informa che - per quanto concerne i consorzi monoregionali della Sicilia e della Valle d’Aosta - tenuto conto delle possibili manovre di finanza pubblica, non è garantita la possibilità del co-finanziamento pubblico.
Ai contributi si applicano, con riguardo alle PMI consorziate i seguenti Regolamenti UE in materia di aiuti de minimis: n.1407/2013 del 18.12.2013, n.1408/2013 del 18.12.2013, n.717/2014 del 27.06.2014.

Riferimenti normativi:

- D.L. 22 giugno 2012, n.83 art.42, commi 2 e 6, convertito dalla L.7 agosto 2012, n.134


Traduzione dell’articolo: http://tapnewswire.com/2016/01/pillaging­the­world­the­history­and­politics­of­the­imf/

Il testo che segue è un estratto del libro intitolato “Pillaging the World” (Saccheggiare il Mondo) di Ernest Wolf, 2014, pubblicato da Tectum Verlag Marburg, 2014, www.tectum-verlag.de – il libro è disponibile in inglese e in tedesco.

 

– Prima parte

Nessun altra organizzazione finanziaria ha influenzato la vita della maggioranza della popolazione mondiale più profondamente, nei trascorsi 50 anni, che il FMI. Sin dai suoi esordi, dopo la 2° guerra mondiale, ha avuto una sfera d’influenza che ha toccato gli angoli più remoti della terra. I suoi membri attualmente includono 188 paesi in 5 continenti.

Per decenni il FMI è stato attivo principalmente in Africa, Asia e Sud America. Difficilmente c’è stato un paese in questi continenti dove le loro politiche non sono state portate avanti in stretta cooperazione con i rispettivi governi nazionali. Quando la crisi finanziaria ha fatto irruzione nel 2007 il Fmi ha spostato la propria attenzione sul nord-europa, sin dall’inizio della crisi dell’euro nel 2009 il suo obiettivo primario invece si è spostato nel sud dell’europa.

 Ufficialmente la funzione principale del Fmi consiste nella stabilizzazione del sistema globale finanziario, nell’aiutare i paesi che hanno dei problemi in tempo di crisi, in sostanza le sue operazioni, alla fine dei conti, sembrano la brutta reminiscenza del lavoro lasciato dagli eserciti in guerra. Dovunque interviene mina la sovranità degli stati, forzandoli ad implementare delle misure che sarebbero rigettate dalla maggioranza della popolazione, lasciandosi dietro di conseguenza una scia di devastazione economico-sociale.

Nel perseguire i suoi obiettivi il Fmi non ha mai fatto uso di armi o soldati. Semplicemente applica il meccanismo del capitalismo, specialmente quello del credito. La sua strategia è semplice quanto efficace: quando un paese presenta difficoltà finanziarie, il Fmi vi fa sosta e fornisce supporto in forma di crediti, in cambio chiede il rinforzo di misure che servono per garantire la solvibilità di quel paese, di modo da consentirgli di ripagare quei crediti.

Per via del suo stato globale di prestatore di ultima istanza dei governi, questi non hanno scelta nell’accettare o meno l’intervento del Fmi e devono accettare le condizioni che gli vengono richieste, cadendo in una rete di debito, composto dal debito primario e dall’interesse, che impigliano il paese in un crescente indebitamento. Lo sforzo risultante sul budget dello stato e sull’economia interna, inevitabilmente porta al deterioramento della situazione finanziaria che normalmente il Fmi usa come pretesto per domandare ulteriori concessioni da parte dei governi, nella forma di programmi di austerità.

Le conseguenze sono disastrose per la gente dei paesi interessati, che nella maggior parte dei casi sono paesi a basso reddito, perchè i loro governi seguono sempre lo stesso paradigma, spostando gli effetti dell’austerità su chi percepisce reddito da lavoro e sui poveri.

In questa maniera i programmi del Fmi sono costati il lavoro a milioni di persone, negandogli l’accesso ad adeguate cure ospedaliere, ad un adeguato sistema educativo e ad abitazioni dignitose. Hanno reso precario il loro vitto, incrementando i senza tetto, derubando le persone anziane dei frutti di una vita di lavoro, favorendo l’accrescimento del disagio sociale, riducendo l’aspettativa di vita e incrementando la mortalità infantile.

Sull’altro lato della scala sociale, comunque, le politiche del Fmi hanno aiutato un ristretto gruppo di ultra-ricchi ad incrementare le loro fortune, persino in tempi di crisi. Le misure del Fmi hanno contribuito in maniera decisiva al fatto che l’iniquità globale abbia assunto livelli mai raggiunti in precedenza, storicamente: la differenza nei redditi tra il re e i poveri, alla fine dell’era medioevale, impallidisce, raffrontandola alla differenza tra un hedge-fund manager e il paniere che costituisce il walfare attuale.

Perchè? Come è possibile che una organizzazione che causa tali immense sofferenze umane in giro per il mondo continui ad agire con impunità e con il supporto delle forze più potenti dei nostri tempi? Per chi lavora il Fmi? Di chi fa gli interessi? Chi ottiene benefici dalle sue azioni? E’ il proposito di questo libro, dare risposte a queste domande.

La conferenza di Bretton Woods:

Si comincia con i ricatti

Mentre la seconda guerra mondiale infuria in Europa, nel luglio 1944, gli Stati uniti invitarono le delegazioni di 44 paesi nella località sciistica di Bretton Woods,nel New Hampshire.  La motivazione ufficiale della conferenza, tenutasi per tre settimane nel lussuoso hotel “Mount Washington”, era quella di stabilire le caratteristiche di base di un ordine economico post-bellico e stabilire le pietre angolari di un sistema che avrebbe stabilizzato l’economia mondiale e prevenire il fatto di ritornare ad una condizione che era esistita prima della 2° guerra mondiale. Il 1930 in particolare si distinse per una alta inflazione, barriere doganali, tassi di cambio con elevati livelli di fluttuazione, scarsezza di oro e una attività  economica in declino di oltre il 60%. Inoltre, le tensioni sociali avevano minacciato costantemente di abbattere l’ordine sociale.

La conferenza era stata preceduta da numerosi anni di negoziazioni segrete tra la Casa Bianca e Downing Street che avevano già lavorato a quei piani per un nuovo ordine monetario, sin dal 1940. Un commento che venne registrato del capo della delegazione britannica, l’economista Lord Keynes, mise in luce l'atteggiamento dell'elite verso gli interessi e le preoccupazioni dei paesi più piccoli: “Ventuno paesi sono stati invitati, i quali non hanno chiaramente nulla con cui negoziare e si limiteranno a occupare terreno ... Il più mostruoso sporco affare montato da anni”.

Non ci volle molto tempo prima che il loro atteggiamento di disprezzo rimbalzasse su Lord Keynes e i suoi compatrioti. Nel corso della conferenza divenne sempre più chiaro quanto la bilancia del potere globale si era mossa a sfavore dell’Inghilterra. Troppe spese di guerra avevano trasformato il paese, già seriamente indebolito dalla prima guerra mondiale, nel più grande debitore planetario e avevano spinto il paese sull’orlo dell’insolvenza.  L'economia della Gran Bretagna era in ginocchio e l'aumento dei movimenti di liberazione in tutto il mondo già annunciava la rottura definitiva del suo impero coloniale, una volta globale.

L’indiscussa vittoria della seconda guerra mondiale, era stata ad ogni modo degli Usa. Paese che era diventato a quel punto il più grande creditore internazionale, in possesso di due terzi delle riserve mondiali e al comando di una buona metà della produzione industriale globale. A differenza della maggior parte dei paesi europei, le sue infrastrutture erano intatte e mentre la sua delegazione era impegnata nelle negoziazioni a Bretton Woods, i comandanti dell’esercito americano stavano programmando l’attacco nucleare alle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, per evidenziare la pretesa americana di dominio globale.

Come risultato di questo nuovo equilibrio di poteri, il piano di Lord Keynes per un nuovo ordine economico fu rigettato in pieno. Rappresentando un paese con problemi sostanziali nella bilancia dei pagamenti, aveva proposto una “unione internazionale dei pagamenti” che avrebbe fornito ai paesi che soffrivano per una bilancia dei pagamenti negativa un più facile accesso ai prestiti ed introdotto una unità di riequilibrio contabile chiamata “Bancor” che sarebbe servita acnhe come unità di riserva.

Gli Stati Uniti, tuttavia, non erano disposti ad assumere il ruolo di creditore importante che il piano Keynes aveva previsto per loro. Il capo della loro delegazione, Harry Dexter White, in cambio presentò il suo piano, che fu alla fine accettato dalla assemblea. Il “piano White” concettualizzò un piano di valuta mondiale che non s’era mai visto nella storia della moneta. Il dollaro USA fu costituito come il suo unico centro e tale valuta doveva essere ancorata a tutte le altre valute a un tasso di cambio fisso, mentre la sua relazione di cambio con l’oro veniva fissata a 35 dollari l’oncia. Il piano fu attuato dagli Stati Uniti a fronte della richiesta dell'istituzione di numerose organizzazioni internazionali, col compito di monitorare il nuovo sistema e stabilizzarlo, per la concessione di prestiti a paesi che affrontavano problemi di bilancia dei pagamenti.

Dopo tutto, Washington, per via delle sue dimensioni e della rapida crescita economica, dovette fare dei passi in avanti al fine di ottenere l'accesso alle materie prime e creare opportunità di vendita a livello mondiale per la sua sovrapproduzione.  Ciò richiese la sostituzione della moneta finora più utilizzata, la sterlina inglese, col dollaro. Inoltre, il tempo sembrava maturo per la sostituzione della City di Londra con Wall Street, in tal modo si stabilivano gli Stati Uniti nella loro nuova posizione di punto focale del commercio internazionale e della finanza globale.

Il nuovo rapporto oro-dollaro e l'istituzione di cambi fissi ha parzialmente reintrodotto il gold standard, che esisteva tra il 1870 e lo scoppio della prima guerra mondiale - sia pure in circostanze molto diverse. Fissando tutti i tassi di cambio al dollaro USA, Washington privò tutti gli altri paesi partecipanti del diritto di controllare la propria politica monetaria per la protezione delle loro industrie nazionali - un primo passo verso la limitazione di sovranità del resto del mondo con la ormai dominante Stati Uniti.

La distribuzione dei diritti di voto suggeriti dagli Stati Uniti per le organizzazioni proposte fu lontano dall’essere democratico. I paesi membri non furono trattati ugualmente o videro l’assegnazione dei diritti di voto sulla scorta del numero delle loro popolazioni, piuttosto ciò corrispose al contributo che essi pagarono – che significava che Washington, vista la sua superiorità finanziaria, si assicurò il controllo assoluto su tutte le decisioni. Il fatto che lo stato razzista che si era macchiato di apartheid del Sud Africa fu invitato a diventare un membro fondatore del Fmi diffuse una luce rivelatoria, sul ruolo che le considerazioni umanitarie giocavano nel processo.

Il governo degli Stati Uniti intuì che non sarebbe stato facile conquistare l'opinione pubblica, per un progetto così evidentemente in contraddizione con lo spirito della Costituzione degli Stati Uniti e la comprensione che molti americani avevano della democrazia. I veri obiettivi del Fondo monetario internazionale sono stati di conseguenza offuscati con grande impeto, dalla vuota retorica sul "libero commercio" e "l'abolizione del protezionismo".  Il New York Herald Tribune ha parlato della "campagna di propaganda più potente nella storia del paese."

Il primo compito del FMI fu quello di esaminare tutti gli Stati membri al fine di determinare i rispettivi tassi di contribuzione.

Dopo tutto, il Fondo era stato creato per esercitare una funzione a lungo termine di "monitoraggio" per la protezione del sistema. Gli Stati Uniti hanno quindi rivendicato per sé il diritto di essere informati, in modo permanente, sulle condizioni finanziarie ed economiche di tutti i paesi coinvolti.

Quando un anno e mezzo dopo la conferenza la Gran Bretagna insistette su un miglioramento della sua condizione circa i contratti, essi furono messi inequivocabilmente a conoscenza di che fosse a capo del Fondo monetario internazionale. Senza ulteriori indugi Washington li legò ad un prestito di 3,75 miliardi di dollari, urgente per il Regno Unito al fine di rimborsare i suoi debiti di guerra, alla condizione che la Gran Bretagna seguisse i termini del contratto, senza se e senza ma. Meno di due settimane dopo Downing Streetcedette al ricatto di Washington e acconsentì.

Il 27 dicembre 1945, 29 governi firmarono l'accordo definitivo. Nel mese di gennaio 1946, i rappresentanti di 34 nazioni si riunirono per un incontro introduttivo del Consiglio dei governatori del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale a Savannah, in Georgia. In quella occasione, Lord Keynes e i suoi connazionali furono ancora una volta lasciati a mani vuote: contrariamente alla loro proposta di poter stabilire la sede del Fondo monetario internazionale - che aveva nel frattempo dichiarato di essere un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite, a New York City - il governo degli Stati Uniti insistette sul suo diritto di determinare autonomamente la sede. Il 1 ° marzo 1947, il FMI finalmente cominciò le sue operazioni dal downtown di Washington.

Le regole per l'adesione al FMI erano semplici: i paesi candidati dovevano aprire i loro libri contabili per essere valutati rigorosamente. Dopo di che dovettero depositare una certa quantità di oro e versare il proprio contributo finanziario per l'organizzazione, in base al loro potere economico. In cambio, sono certi che in caso di problemi della bilancia dei pagamenti hanno diritto a un credito fino a concorrenza del loro contributo - in cambio di tassi di interesse determinati dal Fondo monetario internazionale e l'obbligo contrattualmente garantito di ripagare i loro debiti al FMI prima di tutti gli altri.

Il FMI finalmente ricette un capitale iniziale di 8,8 miliardi dai suoi Stati membri che pagarono il 25% dei loro contributi in oro e il 75% nella propria valuta. Gli Stati Uniti si assicurarono il più alto tasso, depositando 2,9 miliardi. L'importo è stato doppio rispetto a quello di Gran Bretagna e ha garantito agli Stati Uniti non solo i diritti di voto doppi, ma anche il fatto di essere una paralizzante minoranza e il potere di veto.

Il FMI è stato gestito da un consiglio di amministrazione, a cui dodici amministratori esecutivi erano subordinati. Sette erano eletti dai membri del FMI, gli altri cinque venivano nominati dai maggiori paesi, guidati dagli Stati Uniti. Gli uffici del FMI e quelli della sua organizzazione sorella, la Banca Mondiale, sono stati istituiti sullaPennsylvania Avenue a Washington a pochi passi dalla Casa Bianca.

Gli statuti originali del FMI stabilivano che gli obiettivi dell'organizzazione sono, tra gli altri: promuovere la cooperazione internazionale nel campo della politica monetaria, facilitare l'espansione e la crescita equilibrata del commercio internazionale, promuovere la stabilità dei tassi di cambio e contribuire alla creazione di un sistema multilaterale di pagamenti, fornire ai paesi membri che affrontano difficoltà di bilancia dei pagamenti l'accesso temporaneo alle risorse generali del Fondo, sotto adeguate garanzie, abbreviare la durata e ridurre lo squilibrio nelle bilance dei pagamenti internazionali dei paesi membri.

Questi termini ufficiali fanno sembrare come se il FMI è un'istituzione imparziale, posto al di sopra delle nazioni e indipendente da influenze politiche, il suo obiettivo principale consisterebbe nella gestione dell'economia mondiale per ordinarla nel miglior modo possibile, e rapidamente correggere malfunzionamenti. Non è un caso. Questa impressione è stata voluta dagli autori e ha infatti raggiunto il suo effetto desiderato: E 'esattamente questo concetto che è stato trasmesso al pubblico mondiale per più di sei decenni da parte di politici, scienziati e media internazionali.

 In realtà, il FMI, fin dall'inizio, è stato un'istituzione lanciata da, controllata da, e su misura per gli interessi degli Stati Uniti, volta a garantire alla nuova superpotenza militare la dominazione del mondo economico. Per nascondere ancora più efficacemente queste intenzioni, i padri fondatori del FMI nel 1947 iniziarono una tradizione che l'organizzazione ha tenuto fino ad oggi - la nomina di un non americano al posto dell'amministratore delegato.

Il primo straniero, selezionato nel 1946, fu Camille Gutt dal Belgio. Come ministro delle finanze del suo paese durante la seconda guerra mondiale, l'economista esperto aveva aiutato gli inglesi a coprire le loro spese di guerra, prestando loro oro belga. Aveva aiutato lo sforzo bellico fornendo agli stati alleati del suo governo cobalto e rame, provenienti dalla colonia belga del Congo, e aveva sostenuto il governo degli Stati Uniti con consegne segrete di uranio congolese, per il suo programma nucleare. Nel 1944 aveva effettuato una drastica riforma monetaria (più tardi conosciuta come la "operazione Gutt"), che era costata alla popolazione attiva del Belgio grandi quantità di loro risparmi.

Gutt fu a capo del Fondo Monetario Internazionale dal 1946 al 1951. Durante la sua permanenza in carica fu in gran parte concentrato sulla attuazione e il monitoraggio del sistema dei tassi di cambio fissi, inaugurando così una nuova era di stabilità finora sconosciuta per gli Stati Uniti e le aziende internazionali, quando esportavano beni e compravano materie prime. Ha anche aperto la strada alle principali banche degli Stati Uniti che cercavano di trattare in crediti a livello internazionale e ha aperto i mercati di tutto il mondo per il capitale finanziario internazionale alla ricerca di opportunità di investimento.

I maggiori cambiamenti politici del mondo, dopo la seconda guerra mondiale, hanno causato notevoli mal di testa al Fondo monetario internazionale, in quanto hanno limitano la portata della organizzazione. Soprattutto, l'Unione Sovietica ha approfittato della situazione post-bellica, caratterizzata dalla divisione del mondo tra le grandi potenze e il disegno di nuove frontiere in Europa. Sempre basandosi sulla socializzazione dei mezzi di produzione, da parte della rivoluzione russa del 1917, i funzionari di Stalin isolarono il cosiddetto "blocco orientale" dall'Occidente, al fine di introdurre la pianificazione della economia centrale in questi paesi. L'obiettivo primario della burocrazia sovietica, tuttavia, non era quello di far rispettare gli interessi dei lavoratori, ma garantire la subordinazione del blocco orientale ai propri interessi, allo scopo di saccheggiare questi paesi. In ogni caso, la frammentazione dell'Europa orientale ha fatto sì che la Polonia, Germania Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e molti altri mercati divennero aree vuote per il capitale finanziario internazionale.

La presa del potere da Mao Zedong nel 1949 e l'introduzione di una economia pianificata in Cina, dal Partito Comunista, privò gli investitori occidentali di un altro mercato enorme e alla fine ha portato alla guerra di Corea. Attuando la loro politica di "contenimento" della sfera d'influenza dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti, tacitamente, hanno accettato la perdita di quattro milioni di vite, solo per consegnare un chiaro messaggio al resto del mondo: che la più grande potenza economica al mondo non sarebbe più rimasta passiva se le veniva negato l'accesso a tutti i mercati più globali.

 

 

– Seconda parte

Chile 1973

Ci si instrada sulla via del Neoliberismo

L'inizio del 1970 ha segnato la fine del boom del dopoguerra, un periodo di espansione economica durato 25 anni, in cui ai lavoratori, nei principali paesi industriali, erano state fatte grandi concessioni sociali e avevano potuto sperimentare uno sconosciuto miglioramento delle loro condizioni di vita, fino a quel momento. E 'stata la disgregazione interna del sistema di Bretton Woods che ha portato alla fine di quel periodo.  Come risultato della crescita degli investimenti degli Stati Uniti all'estero e della crescente spesa militare - in particolare per la guerra del Vietnam - la quantità di dollari in circolazione a livello globale è costantemente aumentato. Tutti i tentativi da parte del governo degli Stati Uniti per riportare sotto controllo questa proliferazione hanno fallito, perché il capitale statunitense era mescolato con capitale straniero e nessuna nazione sulla terra era in grado di imbrigliare questa massiccia concentrazione di potere finanziario.

Nel 1971, gli Stati Uniti, per la prima volta nella loro storia, svilupparono un deficit della bilancia dei pagamenti.  Allo stesso tempo, lo squilibrio tra l'offerta globale e le riserve auree degli Stati Uniti, accumulate a Fort Knox, avevano assunto dimensioni tali che anche l'aumento del prezzo dell'oro a 38,00 e poi a 42,20 dollari, non poteva più garantirne il cambio contro un'oncia d'oro. Il 15 agosto del 1971, il presidente americano Nixon ha tirato i freni e ha reciso il legame tra oro e dollaro, mostrando l'arroganza tipica di una superpotenza, visto che non fu consultato in proposito un solo alleato.

Nel dicembre 1971, una conferenza del gruppo G10, fondata nel 1962 dalle dieci nazioni più industrializzate del mondo, decise un allineamento dei tassi di cambio, che ha determinato un riaggiustamento del valore del dollaro rispetto alle altre valute. Ciò ha comportato una svalutazione del dollaro, che è andato dal 7,5%, contro la debole lira italiana, al 16,9% contro il forte yen giapponese. Nel febbraio 1973, il dollaro è stato svalutato di nuovo, ma ben presto divenne chiaro che il sistema dei cambi fissi non poteva più essere mantenuta. Nel marzo 1973, il G10 e diversi altri paesi industrializzati hanno introdotto il sistema di cambi flessibili, da parte delle banche centrali - senza consultare un solo paese al di fuori del G 10, e nonostante il fatto che il nuovo regime violava palesemente l'articolo 6, iscritto nel documento della fondazione del FMI, sui tassi di cambio fissi e la stabilità monetaria.

L'abolizione dei cambi fissi ha storicamente terminato i compiti principali del FMI. L'unico ruolo che gli era rimasto era quella di prestatore incaricato della ripartizione dei fondi e a quali condizioni, col diritto di controllare la contabilità dei membri e di esercitare un'influenza diretta sulle loro politiche. Tuttavia, è stato proprio per questa funzione che presto sarebbero sorte delle nuove situazioni, estremamente favorevoli.

Nel 1973, i membri dell'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), fondata nel 1960, hanno usato la guerra dello Yom Kippur, tra Egitto e Israele, per ridurre le quantità di olio fornito all'occidente ("embargo petrolifero") e aumentare drasticamente i prezzi del petrolio. Ciò ha portato ad un enorme aumento degli utili delle compagnie petrolifere e dei paesi produttori di petrolio. Questi guadagni finivano, la termine del ciclo, nelle banche commerciali, che in cambio hanno cercato di usarli per investimenti redditizi. Mentre l'economia globale era scivolata in una recessione, nel 1974-1975, e le opportunità di investimento nei paesi industrializzati erano diminuite, la parte del leone del denaro, in forma di prestiti, fu quella rivolta ai paesi del terzo mondo, in Asia, Africa e Sud America, che - a causa della loro maggiore spese, dopo l'aumento dei prezzi del petrolio - avevano bisogno urgente di denaro. Il FMI rispose alle accresciute esigenze di credito dei paesi in via di sviluppo con l'introduzione della "Extended Fund Facility" nel 1974, da cui i paesi membri avrebbero potuto trarre prestiti fino al 140% della loro quota, con termini da quattro anni e mezzo, fino a dieci.

Anche se l'impianto era stato appositamente istituito per finanziare le maggiori esigenze di importazioni di petrolio, il Fondo monetario internazionale - così come le banche - si erano curate poco di come il denaro fosse stato effettivamente speso. Per esempio del fatto che fosse andato dritto nelle tasche di dittatori come Mobutu, nello Zaire, Saddam Hussein in Iraq, o di Suharto in Indonesia - che lo sperperarono, trasferendolo su conti esteri segreti o utilizzandolo per scopi militari, in ogni caso facendo salire il debito pubblico – tutte cose che non ha avevano importanza per il Fondo monetario internazionale e le banche, fino a quando avrebbero ricevuto i loro pagamenti di interessi regolarmente.

Tuttavia, la situazione cambiò bruscamente quando Paul Volcker, il nuovo presidente della Federal Reserve americana, ha alzato il prime rate (il tasso di interesse al quale le banche commerciali possono ottenere denaro dalle banche centrali) del 300%, al fine di ridurre l'inflazione nel 1979. Gli Stati Uniti scivolarono in un'altra recessione, il che significava che meno materie prime erano necessarie, a causa di una più bassa attività economica.

Per molti paesi in via di sviluppo la combinazione di minor domanda, il calo dei prezzi delle materie prime e la crescita alle stelle dei tassi di interesse, fecero sì che non poterono soddisfare i loro obblighi di pagamento alle banche internazionali. Una massiccia crisi finanziaria incombeva. L'onere del debito dei paesi in via di sviluppo, all'inizio del 1980, ammontava a un totale di 567 miliardi di dollari. Un mancato pagamento di questa portata, avrebbe spinto al collasso di molte banche occidentali e quindi doveva essere evitato a tutti i costi.

E 'stato a questo punto che al Fondo monetario internazionale è stato dato la sua prima grande occasione per entrare nella situazione come prestatore di ultima istanza. Mentre il suo “settore pubbliche relazioni” stava diffondendo la notizia che l'organizzazione stava lavorando sui salvataggi, al fine di "aiutare" i paesi indebitati, il Fondo ha approfittato della sua posizione di monopolio, incontestabile, per legare la concessione di prestiti a condizioni ancora più difficili. In tal modo, è stato in grado di attingere a due esperienze diverse, maturate negli anni precedenti.

In primo luogo, un colpo di stato militare appoggiato dalla CIA, in Cile, nel settembre del 1973, che aveva portato a termine il governo del presidente socialista Salvador Allende e aveva altresì sistemato il dittatore fascista, Augusto Pinochet, al potere. Pinochet aveva subito invertito le nazionalizzazioni fatte da Allende, ma non aveva trovato rimedio contro l'inflazione galoppante. Nel tentativo di riprendere il controllo della situazione, si era così rivolto a un gruppo di 30 economisti cileni (conosciuto come "Chicago Boys" perché avevano studiato alla Chicago School of Economics, sotto il premio Nobel Milton Friedman) per proporre loro una divisione del lavoro ben definita: egli avrebbe provveduto alla soppressione di qualsiasi tipo di opposizione politica e sindacale, nonchè a schiacciare tutti i conflitti sul lavoro, mentre loro si sarebbero occupati di attuare un programma di austerità radicale, sulla base di idee neoliberiste.

Nel giro di poche settimane un ampio catalogo di misure fu sviluppato. Fu richiesta una drastica limitazione della massa monetaria, tagli alla spesa pubblica, licenziamenti nel settore pubblico, la privatizzazione nella sanità e l'istruzione, tagli salariali e aumenti delle tasse per i lavoratori, mentre allo stesso tempo venivano ridotti i dazi doganali e le imposte per le società. Il programma è stato apertamente indicato come "terapia dello shock" da ambo i lati.

Sia Pinochet che i suoi soci, che vennero presentati al pubblico come un "governo di tecnocrati", rispettarono la loro parte dell'accordo fino in fondo. Mentre il dittatore distrusse violentemente qualsiasi opposizione alle misure drastiche del governo e assicurò che molti dissidenti politici scomparissero per sempre, i "Chicago Boys" lanciarono un attacco frontale alla popolazione attiva. In particolare condussero alla disoccupazione, che era pari a 3% nel 1973, e al 18,7% entro la fine del 1975, contemporaneamente spingendo l'inflazione al 341%, facendo sprofondare i segmenti più poveri della popolazione in una povertà ancora maggiore. Gli impatti del programma in realtà aggravarono il problema della disuguaglianza sociale per i decenni a venire: nel 1980, il 10% più ricco della popolazione cilena aveva accumulato il 36,5% del reddito nazionale, espandendo quella quota al 46,8% nel 1989, mentre allo stesso tempo quella del 50 % più poveri scese dal 20,4% al 16,8%.

Durante il suo sanguinoso colpo di stato, Pinochet aveva fatto completo affidamento sul sostegno attivo della CIA e del Dipartimento di Stato, sotto il governo Kissinger. In sede di attuazione del programma di austerità più duro mai effettuato in un paese latino-americano, i "Chicago Boys" ricevettero il pieno sostegno da parte del FMI. Indipendentemente da tutte le violazioni dei diritti umani infatti i prestiti del FMI in Cile vennero raddoppiati l'anno successivo al golpe di Pinochet, per quadruplicarli e quintuplicarli nei due anni successivi.

L'altra esperienza del FMI ha riguardato la Gran Bretagna. L'inesorabile declino economico della Gran Bretagna nel corso di due decenni e mezzo aveva reso il paese il più grande debitore del FMI. Dal 1947 al 1971, il governo di Londra aveva preso prestiti per un totale 7.25 miliardi di dollari. Dopo la recessione del 1974/75 e attacchi speculativi contro la sterlina, il paese era giunto ad una condizione di pressione ancora maggiore. Quando nel 1976 il governo britannico, ancora una volta si rivolse al FMI per chiedere aiuto, gli Stati Uniti colsero l'opportunità di dimostrare il loro potere. Alleandosi con i risorgenti tedeschi, costrinsero il governo laburista del primo ministro Harold Wilson a limitare la spesa pubblica, ad imporre tagli massicci ai programmi sociali, a perseguire una politica di bilancio restrittiva, e ad astenersi dai controlli sulle importazioni di qualsiasi tipo. Questo drastico intervento rappresenta tutt'oggi una limitazione finora sconosciuta alla sovranità di un paese debitore, in europa, risultato nel fatto che nessun leader di un paese industrializzato occidentale ha mai più applicato un programma del genere in relazione ad un prestito del FMI.

 

Traduzione a cura di Francesco Piro, pubblicato il 12/01/16 in due parti ai seguenti link:

http://demokraziadiretta.blogspot.it/2016/01/saccheggiare-il-mondo-la-storia-e-la.html

http://demokraziadiretta.blogspot.it/2016/01/saccheggiare-il-mondo-la-storia-e-la_12.html

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